Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 81

February 17, 2022

Tenere un diario. La mia versione …

Tenere un diario. La mia versione … Keeping a diary. My version… Breve storia di (quasi ) tutto

Ecco, quello che sto facendo da sempre, prima in cartaceo, ora in digitale. Scrivo “la mia versione”. Passato, presente, futuro, favoloso, eterno. Questi sono i “mondi” nei quali, secondo Marcello Veneziani, l’uomo deve abitare se vuole salvarsi vivendo. Non è cosa facile abitarli tutti, folle addirittura, se ne vive uno solo. La citazione che vedete qui in testa al post l’ho ricavata dall’incipit del libro di Bill Bryson “Breve storia di (quasi) tutto”. Una buona occasione per raccogliere le idee, tradurle in parole, digitarle e trasferirle al Cloud, a futura memoria per continuare a creare quella versione dei fatti che resta solamente mia.

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Here it is, what I’ve always been doing, first in paper, now in digital. I write “my version”. Past, present, future, fabulous, eternal . These are the “worlds” in which, according to Marcello Veneziani , man must live if he wants to save himself by living. It is not easy to live in them all, even crazy, if he lives in only one. The quote you see here at the top of the post I got from the incipit of Bill Bryson ’s book “A brief history of (almost) everything” . A good opportunity to collect ideas, translate them into words, type them and transfer them to the Cloud , for future memory to continue creating that version of events that remains mine alone.

The book[image error]
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Published on February 17, 2022 07:35

February 16, 2022

Aiutare a morire … Aiutare a vivere …

Aiutare a morire … Aiutare a vivere … Lo struzzo

Aiutare a morire … Si può aiutare qualcuno, arrivato al limite della sopportazione umana, a morire? Sembra di no, a quanto ho capito, leggendo sui giornali, che “l’eutanasia si è suicidata”. Un titolo ad effetto che, comunque, fotografa la situazione. La morte non può essere nè dolce, nè accompagnata. Almeno finora, qui in Italia. La Consulta Costituzionale ha bloccato il referendum perchè la proposta, così come è stata scritta, non tutela la vita. Voi che avete capito?

Lo so che la domanda dà fastidio, ma non fate come gli struzzi. Così ho scritto su FB e non mi aspetto risposte intelligenti in quella realtà alquanto “liquida” che sono i social. Eppure, la morte, come la vita, sono il principio e la fine di tutto. Dovremmo occuparci sia dell’una quanto dell’altra in maniera onesta. Non è che qui ho intenzione di affrontare un problema del genere. Ma è che tra aiutare a vivere e aiutare a morire, gli esseri umani sembrano sempre più propensi ad aiutare a morire più che a vivere.

La storia sta lì dircelo ed è del tutto inutile che io stia a dimostrarlo. Stiamo venendo fuori da una strage pandemica globale e ci stiamo ancora chiedendo se le cose che sono state fatte, le decisioni prese per combattere un nemico tanto invisibile quanto misterioso siano state tutte prese per aiutare a morire o a vivere. Non vi sembri che quello che sto dicendo in sia in argomento con il punto di partenza.

Quando è in gioco quella che viene definita la “tutela della vita” ogni azione, decisione e comportamento presi diventano atti “politici” per il bene comune del singolo e delle collettività. Aborto ed eutanasia sono leggi che definiranno i limiti della vita e della morte. La prima è già in vigore, restiamo in attesa della seconda, solo rimandata. Nel frattempo, sarebbe bene che i nostri rappresentanti politici, governanti, costituzionalisti e tuttologi sociali ci aiutassero a vivere nel miglior modo possibile.

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Published on February 16, 2022 09:28

February 17, 1600: Bruno the brave. Bruno il coraggioso, al rogo

Samir Rakhmanov “Execution of Giordano Bruno”
February 17, 1600, in Rome, Bruno the brave, was burnt at stake for his thoughts. I never get tired of reading and writing about this great and mysterious friar, born in Nola, not far from the town where I live in the ancient Sarrasti Valley, next to Pompei. Of modest origins, forced to become a friar, this little man had a great destiny, for better or for worse, in glory and in defeat. How this was possible, it remains to be understood in various respects, despite the attempts made. It is not surprising: the individual, any individual, even Bruno, is basically ineffable.
Go to Campo dei Fiori in Rome on 17 February and you will find yourself surrounded by a motley crowd of atheists, pantheists, anarchists, Masons, mystics, Christian reformers and members of the Italian Association of Free Thinkers, all rubbing shoulders with an official delegation from City Hall. Every year, this unlikely congregation gathers to lay wreaths at the foot of the 19th-century statue that glowers over the piazza from beneath its friar’s cowl; flowers, candles, poems and tributes pile up against the plinth whose inscription reads:
‘To Bruno, from the generation he foresaw, here, where the pyre burned.’
In the four centuries since he was executed for heresy by the Roman Inquisition, this diminutive iconoclast has been appropriated as a symbol by all manner of causes, reflecting the complexities and contradictions inherent in his ideas, his writings and his character.
The “crazy Nolano” is a character who continues to fascinate not so much and not only for his writings, still very difficult to understand, but also for his mysterious life. It is no coincidence that writers such as James Joyce, Oscar Wilde, Bertold Brecht and many others have written about him in their books. Victor Hugo promoted a fundraiser in France for the erection of the monument in Piazza dei Fiori. What particularly attracts about Giordano Bruno is his complex figure as a man and a friar, two conditions at times conflicting, at other times converging. Two identities that have given life to writings that are still the subject of studies and discussions today.
His continuous conflict with authority arose from a problematic relationship within his distinct identities as a man and a friar. He seems, however, to remain a stranger both to himself and to his community, a continuous conflict between human and divine, earthly and transcendent, past, present and future. His successor, Galileo, unlike him, was able to retract his ideas and was officially pardoned for his revolutionary ideas.
Bruno, on the other hand, had gone too far, deviating from Christian doctrine and for this reason continues to be outside the traditional schemes to which every philosophy based on a faith must refer. The clash and conflict with those who make the intellect the instrument of knowledge are inevitable, against all limits and inquisitions.

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Il 17 febbraio 1600, a Roma, Bruno il valoroso, fu arso al rogo per i suoi pensieri. Non mi stanco mai di leggere e scrivere di questo grande e misterioso frate, nato a Nola, non lontano dal paese in cui vivo nell’antica Valle dei Sarrasti, vicino Pompei. Di origini modeste, costretto a farsi frate, questo piccolo uomo ebbe un grande destino, nel bene e nel male, nella gloria e nella sconfitta. Come ciò sia stato possibile, resta da capire sotto vari aspetti, nonostante i tentativi fatti. Non sorprende: l’individuo, qualsiasi individuo, anche Bruno, è fondamentalmente ineffabile.
Andate a Campo dei Fiori a Roma il 17 febbraio e sarete circondati da una folla eterogenea di atei, panteisti, anarchici, massoni, mistici, riformatori cristiani e membri dell’Associazione Italiana Liberi Pensatori, tutti a contatto con una delegazione ufficiale dal Municipio. Ogni anno, questa improbabile congregazione si riunisce per deporre corone ai piedi della statua del XIX secolo che brilla sulla piazza, sotto il cappuccio del frate. Fiori, candele, poesie e omaggi si accumulano contro il piedistallo la cui iscrizione recita:
“A Bruno, dalla generazione che ha previsto, qui, dove bruciava la pira.”
Dopo più di quattro secoli, da quando fu giustiziato per eresia dall’Inquisizione romana, questo minuscolo iconoclasta è diventato il simbolo per ogni sorta di cause, riflettendo le complessità e le contraddizioni inerenti alle sue idee, ai suoi scritti e al suo carattere.
Il “pazzo Nolano” è un personaggio che continua ad affascinare non tanto e non solo per i suoi scritti, ancora molto difficili da capire, ma anche per la sua vita misteriosa. Non è un caso che scrittori come James Joyce, Oscar Wilde, Bertold Brecht e molti altri abbiano scritto di lui nei loro libri.

Victor Hugo promosse una raccolta fondi in Francia per l’erezione del monumento in Piazza dei Fiori. Ciò che particolarmente attrae di Giordano Bruno è la sua complessa figura di uomo e di frate, due condizioni a volte contrastanti, ora convergenti. Due identità che hanno dato vita a scritti che ancora oggi sono oggetto di studi e discussioni.
Il suo continuo conflitto con l’autorità nasceva da un rapporto problematico all’interno delle sue distinte identità di uomo e di frate. Sembra, tuttavia, rimanere un estraneo sia a se stesso che alla sua comunità, un conflitto continuo tra umano e divino, terreno e trascendente, passato, presente e futuro. Il suo successore, Galileo, a differenza di lui, seppe ritrattare le sue idee e fu ufficialmente graziato per le sue idee rivoluzionarie.
Bruno, invece, si era spinto troppo oltre, deviando dalla dottrina cristiana e per questo continua ad essere al di fuori degli schemi tradizionali a cui deve fare riferimento ogni filosofia basata su una fede. Lo scontro e il conflitto con coloro che fanno dell’intelletto lo strumento della conoscenza sono inevitabili, contro ogni limite e ogni inquisizione.
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Published on February 16, 2022 08:15

February 15, 2022

What’s in word: Zetetic. Basta la parola: Zetetico

The Book
What’s in a word: zetetic. The novelist Iain Banks was born on this day February 16, in 1954. He wrote a pamphlet called with the word. Inquiring minds deserve the name zetetic, which means ‘investigating or proceeding by inquiry’, from the Greek zetein, ‘to seek’. Curiously, in the nineteenth century, ‘zetetic astronomers’ were Flat Earthers, after an 1849 pamphlet entitled Zetetic Astronomy: A description of several experiments which prove that the surface of the sea is a perfect plane and that the Earth is not a Globe! More usually, however, zetetic has described those who avoid all proud dogmatism, and was sometimes used interchangeably with ‘sceptic’, as a writer in 1895 referred to ‘Sceptics and Zetetics, indicat[ing] that they were always in search of truth without flattering themselves that they had found it’. The novelist Iain Banks was born on this day in 1954; in his 1996 science-fiction novel Excession, we read of a splendid offshoot of the enlightened Culture civilization that glories in the name of the Zetetic Elench. The root of ‘Elench’ is the Greek elenchos, ‘cross-examination’, often used of Socrates’s questioning method. So, happily, the Zetetic Elench were questioning inquirers.

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In una parola: zetetico . Il romanziere Iain Banks è nato in questo giorno 16 febbraio 1954. Ha scritto un saggio intitolato con la parola. Le menti indagatrici meritano il nome zetetico , che significa ‘investigare o procedere per indagine’, dal greco zetein, ‘cercare’ . Curiosamente, nel diciannovesimo secolo, gli ‘astronomi zetetici’ erano terrapiattisti, dopo un opuscolo del 1849 intitolato Astronomia zetetica : una descrizione di diversi esperimenti che dimostrano che la superficie del mare è un piano perfetto e che la Terra non è un globo! Più comunemente, tuttavia, zetetico ha descritto coloro che evitano ogni superbo dogmatismo, ed è stato talvolta usato in modo intercambiabile con “scettico”, poiché uno scrittore nel 1895 si riferì a “scettici e zetetici, indicando che erano sempre alla ricerca della verità senza lusingandosi di averlo trovato». Il romanziere Iain Banks è nato in questo giorno nel 1954; nel suo romanzo di fantascienza del 1996 Excession , leggiamo di una splendida propaggine della civiltà illuminata della Cultura che si gloria nel nome della Zetetic Elench . La radice di ‘Elench’ è il greco elenchos, ‘interrogatorio’, spesso usato nel metodo di interrogatorio di Socrate. Quindi, fortunatamente, gli Zetetic Elench stavano interrogando gli inquirenti.
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Published on February 15, 2022 14:53

February 13, 2022

Salman Rushdie and the Charm of Catastrophe after the Fatwa

February 14, 1989, St Valentine Day.

At a memorial service in London for the writer Bruce Chatwin, Paul Theroux leaned forward and said to his friend Salman Rushdie, sitting in the pew in front of him, “I suppose we’ll be here for you next week, Salman.” It was Valentine’s Day, and that morning a BBC reporter had called Rushdie and asked, “How does it feel to know that you have just been sentenced to death by Ayatollah Khomeini?” Khomeini’s fatwa against Rushdie and “all those involved in” the publication of his novel “The Satanic Verses” drove the author into hiding for much of the next decade, which he later wrote about in “Joseph Anton”, a memoir named after the police alias he created from the first names of Conrad and Chekhov.

The Book
Fiction after the Fatwa: Salman Rushdie and the Charm of Catastrophe proposes for the first time an examination of what Rushdie has achieved as a writer since the fourteenth of February 1989, the date of the fatwa. This study argues that his constant questioning of fictional form and the language used to articulate it have opened up new opportunities and further possibilities for writing in the late twentieth and early twenty-first centuries. Through close readings and intensive textual analysis, arranged chronologically, Fiction after the Fatwa provides a thought-provoking reflection on the writer’s achievements over the last thirteen years. Aimed principally at academics and students, but also of interest to the general reader, it engages with the specific nature of the post-fatwa fiction as it moves from the fairy-tale world of Haroun and the Sea of Stories to the heartbreaking post-realism of Fury.
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Published on February 13, 2022 13:37

February 12, 2022

La tempesta su Dresda & Il mattatoio 5

Il Libro
Alle 21:51 di martedì 13 febbraio 1945, le sirene antiaeree di Dresda suonarono come molte volte durante la seconda guerra mondiale. Ma questa volta era diverso. La mattina successiva, più di 4.500 tonnellate di esplosivi ad alto potenziale e ordigni incendiari vennero sganciate sulla città non protetta.Almeno 25.000 abitanti morirono nella terribile tempesta di fuoco e tredici miglia quadrate del centro storico della città, comprese quantità incalcolabili di tesori e opere d’arte, andarono in rovina. In questo ritratto della città, della sua gente e della sua distruzione ancora controversa, Frederick Taylor ha attinto ad archivi e fonti accessibili solo dalla caduta del regime della Germania orientale e ha parlato con l’equipaggio alleato e i sopravvissuti, da membri dell’esercito tedesco servizi e profughi in fuga dall’avanzata russa verso i comuni cittadini di Dresda
Il Libro
Nella notte del 13 febbraio 1945 circa tremila tonnellate di bombe, per lo più incendiarie, furono scaricate sulla città artistica di Dresda, priva di industrie e strutture militari, e per questo gremita di profughi e prigionieri di guerra. Tra i pochi sopravvissuti c’era lo scrittore Kurt Vonnegut, che dalla sua esperienza in questo enorme crimine di guerra trarrà ispirazione per il romanzo Il Mattatoio n.5. Per vent’anni ha cercato di trasformare l’esperienza in finzione. “Sono tornato a casa nel 1945, ho iniziato a scriverne, e ne ho scritto, ne ho scritto e ne ho scritto!”, prima di arrivare alla forma confusa e frammentata di Slaughterhouse-Five, un romanzo che, nel suo viaggio nel tempo ritorna inesorabilmente all’inspiegabile carneficina di quei giorni, riecheggiata nella vita di un prigioniero americano che sa che “Io, Billy Pilgrim, morirò, sarò morto e morirò sempre il 13 febbraio 1976” l’anniversario del bombardamento.
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Published on February 12, 2022 13:22

February 11, 2022

Cazzotti tra Nobel

Mario Vargas Llosa e Gabriel Garcia Marquez, entrambi premi Nobel per la letteratura, si incontrarono, oggi, 12 febbraio 1976.

Erano stati migliori amici quando entrambi vivevano a Barcellona durante il “Boom” della narrativa latinoamericana, Mario Vargas Llosa e Gabriel García Márquez avevano già iniziato ad allontanarsi, sia a causa della politica che delle diverse personalità, quando si incontrarono a Città del Messico alla premiere di Survivors of the Andes, film su un incidente aereo uruguaiano (lo stesso raccontato in Alive) di cui Vargas Llosa aveva scritto la sceneggiatura. “Fratello!” gridò García Márquez e alzò le braccia per abbracciarlo, ma Vargas Llosa diede un pugno in faccia al suo vecchio amico e lo fece cadere a terra, gridando: “Questo è per quello che hai detto” — o “fatto”, secondo altri testimoni — “per Patricia”, la moglie di Mario. Furono le ultime parole che i due scrittori — entrambi i premi Nobel ora — si scambiarono.

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Mario Vargas Llosa & Gabriel Garcia Marquez both Nobel Laureate in Literature met today February 1976.

The best of friends when they both lived in Barcelona during the “Boom” in Latin American fiction, Mario Vargas Llosa and Gabriel García Márquez had already begun to drift apart, thanks to both politics and personality, when they met in Mexico City at the premiere of Survivors of the Andes, a film of a Uruguayan plane crash (the same one recounted in Alive) for which Vargas Llosa had written the screenplay. “Brother!” cried García Márquez and raised his arms for an embrace, but Vargas Llosa punched his old friend in the face and knocked him to the ground, shouting, “That’s for what you said” — or “did,” according to other witnesses — “to Patricia,” Mario’s wife. They were the last words either writer — both Nobel laureates now — has spoken to the other.

A Reader’s Book of Days

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Published on February 11, 2022 09:20

February 10, 2022

Dopo il Covid, si rinnova “il piacere delle spine” nel “Giardino Segreto dell’Anima”

“IL PIACERE DELLE SPINE” è un INVITO a condividere dal 21 al 28 febbraio, in rigorosa luna calante, il piacere e l’esperienza della potatura del grande roseto del GIARDINO SEGRETO dell’ANIMA a Campinola di Tramonti sulle alture della Costa d’Amalfi. Perché da maggio possa ancora offrire lo spettacolo della grande fioritura delle trecento varietà di ogni colore, forma, dimensione, profumo, in un contesto armonioso e attraente in ogni stagione. Venite a visitarlo dalla “stagion de’ fiori” ma solo su appuntamento e con visite guidate: sarà una bella esperienza per gli amatori e per tutti. Per la condivisione del “piacere delle spine” ed eventuali visite, telefonare al 3478790007. Lo studioso e scrittore Antonio Gallo che vive fra Tramonti e Sarno ed ha vissuto molto in Inghilterra, il 24 febbraio 2016 sul blog “Un’idea di vita” commentava simpaticamente e sapientemente un annuncio simile su “Il piacere delle spine” nel Giardino Segreto dell’Anima. (Antonio De Marco)
“Un Giardino che vuole custodire i segreti dell’anima di chi ama la natura. Il titolo può avere un certo sapore di “sadismo” compiacente. In effetti nasconde non solo l’amore sofferto e silenzioso di chi questo giardino lo custodisce, lo coltiva e lo difende. Rappresenta anche un invito ed una sfida a provare le fatiche che un impegno del genere richiede.
Per scrivere questo post mi sono documentato e ho fatto una rapida ricerca. Ho scoperto così che “potare” non è una “cosa” del tutto semplice, specialmente se si tratta di rose. Se si conosce poi la dimensione del roseto che questo Giardino Segreto dell’Anima contiene oltre trecento varietà di rose, potete immaginare cosa significa quello che l suoi patron”, Enza Telese e Antonio De Marco, chiamano il “piacere delle spine”. Una metafora poetica naturale di grande impatto.
Dunque, esistono regole ben precise per potare le rose. Il principale problema è che sono molto diverse le une dalle altre e la sfida consiste nel capire quali regole siano quelle giuste per quel particolare tipo di rosa e per la conformazione che si vuole ottenere. Gli scopi per cui si pota sono molteplici: ridurre la taglia della pianta, modellarla secondo le proprie necessità, ripulirla dai rami morti, rotti o malformati, rinnovare la pianta attraverso la crescita di nuovi rami basali, concentrare le riserve solo su alcuni steli per ottenere fiori più grandi. Riguardo al rapporto potatura/fioritura vale la regola: maggiore potatura = fiori più grandi, minore potatura = maggior numero di fiori ma più piccoli.
Ho appreso, così, che molti appassionati del verde vedono la potatura della rosa con timore, perché le diverse varietà richiedono differenti modalità di potatura. Alcune devono essere potate presto durante la stagione, altre in inverno. Anche l’intensità della potatura varia in funzione del tipo di rosa. La rosa “Floribunda”, ad esempio, richiede solo potature leggere per fiorire; l’ibrido “Tea”, che produce fiori grandi, richiede invece potature vigorose, per ottenere una fioritura vistosa.
Per avere buoni risultati, le rose andrebbero potate in tardo inverno, quando la caduta delle foglie è completata e non è ancora iniziata l’emissione dei nuovi germogli. Credo che questa sia la politica giardiniera usata da Enza e Antonio. Le piante giovani devono essere trattate con grande attenzione e i tagli essere meno vigorosi.
Bisogna lasciare un numero sufficiente di steli e gemme necessario allo sviluppo della giovane pianta. La potatura deve essere proporzionale alle dimensioni e alla età della pianta. In genere si lasciano 4–8 steli, un numero inferiore nelle piante più vigorose. Ad eccezione delle rose rampicanti, più vigorosa è la potatura, più abbondante sarà la fioritura.
E poi, ancora: evitare di tagliare le gemme più robuste, localizzate a metà stelo e, solitamente vicine alle foglie più lussureggianti. Lasciare le gemme rivolte verso l’esterno della pianta, così da ottenere uno sviluppo rivolto verso l’esterno. Di solito, queste gemme producono i fiori più grandi e appariscenti. Ogni pianta ha rami vecchi e giovani, scegliere quelli che danno alla pianta la forma migliore e asportare i rimanenti, soprattutto i più vecchi. Sui rami più vecchi, lasciare sempre un germoglio laterale e accorciare quelli nuovi cresciuti in estate.
Qui mi fermo. Rischio di annoiare chi mi legge e di commettere anche errori. Non sono un giardiniere. Sono esposto a facili critiche di chi lo è davvero. Gli amici Enza Telese e Antonio De Marco sono fra questi. In questa antica e consolidata passione, rivelano non solo un piacere “positivo”, ma anche uno “negativo”, come emerge dal “piacere delle spine”. Perché, di questo si tratta.
La frase che hanno usato per mettere in evidenzia la potatura delle rose è, come ho detto innanzi, sopratutto una metafora, oltre che un invito a partecipare. Una “epifània” che nasconde una ben precisa provocazione indirizzata a chi vuole amare la natura e visita per l’occasione il loro Giardino.

Enza e Antonio intendono dire a chi afferma di amare i giardini, ai suoi visitatori quando gli chiedono di accedere, quando li sentono parlare delle loro rose, quando li introducono ai suoi segreti: vedete quanta fatica, quanto impegno, quanto lavoro, passione, fantasia ci vuole per governare un giardino?
Già! perché di questo si tratta. Una fatica che deve avere anche fantasia, una fantasia che deve essere creativamente poggiata sulla presenza della natura. Perché il vero giardiniere deve “conoscere” la natura, per modularla, modellarla, aiutarla a dare il meglio di se stessa.
E, allora, se una rosa rappresenta l’amore, cosa significano le spine? Perché la natura tira fuori le spine? Mi sembra chiaro. Le spine servono a che esse difendano le rose dagli attacchi degli insetti permettendo a chi è in cerca di amore di soddisfare questo loro bisogno di amore. Il fatto è che se una rosa rappresenta l’amore umano, essa rappresenta, con le sue inevitabili spine, anche il tipo di amore desiderato ma non avuto, a meno che uno non abbia indosso i guanti.
Esse rappresentano anche le difficoltà che l’amore è destinato ad incontrare nel suo percorso, la realtà della vita. Il loro fiore, le rose, con il loro amore rischiano di portarci fuori da questa realtà. L’amore oltre ad essere quello che tutti desideriamo che sia, è anche sofferenza, dolore, lacrime.
In tutte le letterature questo fiore simboleggia bellezza, amore, fantasia. Una rosa per ogni donna come simbolo di armonia. I suoi colori testimoniano questa armonica bellezza. Il rosso, amore romantico; il bianco, la purezza; il silenzio, il fascino; il rosa, la gioventù; il giallo, l’amicizia; il nero, la morte e il contrasto; il blu, la fantasia e anche qualcosa di irraggiungibile.
Tutte (o quasi) hanno le loro spine, e tutte sono uguali. Esse testimoniano il sacrificio, la necessità di lottare. Simboleggiano anche avversità, difesa, sacrificio. Abraham Lincoln ha detto: “ Possiamo lamentarci che le rose hanno le spine, ma anche rallegrarci del fatto che le spine hanno le rose”. Oscar Wilde ha scritto nel suo “L’usignolo e la rosa”, un racconto che fa parte de “Il Principe Felice”. Con questa citazione concludo dicendo che se non c’è rosa senza spina, ogni spina merita una rosa.
“L’Usignolo capiva il segreto dolore dello Studente e restava silenzioso sulla Quercia a meditare sul mistero dell’Amore. D’improvviso spiegò nel volo le sue ali brune e si librò nell’aria e come un’ombra aleggiò sul Roseto che cresceva sotto la finestra dello Studente. “Dammi una rosa rossa” implorò “e ti canterò la mia canzone più dolce.” Ma il Roseto scosse il capo.“L’inverno ha ghiacciato le mie vene e il gelo ha straziato i miei boccioli”. “Una sola rosa rossa è tutto ciò che ti chiedo” gridò l’Usignolo. “Non c’è proprio nessun modo per averla?”
“Un modo c’è ma è così terribile che non oso dirtelo.”
“Dimmelo, io non ho paura.”
“Se vuoi una rosa rossa devi formarla con la musica al chiaro della Luna e tingerla col sangue del tuo cuore. Devi cantare per me col petto contro una spina tutta la notte, e la spina deve trapassare il tuo cuore”.
“La morte è un prezzo alto da pagare per una rosa rossa” disse l’Usignolo “e la vita è cara a tutti. E’ così dolce indugiare nel bosco, guardare il Sole nel cocchio d’oro e la Luna in quello d’argento. Sentire il profumo della vitalba, delle campanule azzurre che si nascondono nella valle e dell’erica che fiorisce sul colle. Ma l’Amore è più prezioso della Vita, e cos’è mai il cuore di un uccellino paragonato al cuore di un uomo?”
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Published on February 10, 2022 08:07

La “esecuzione” di Fyodor Mikhailovich Dostoevsky

Fyodor Mikhailovich Dostoevsky, morì il 9 febbraio 1881. Romanziere, scrittore di racconti, saggista e giornalista russo. Le opere letterarie di Dostoevskij esplorano la condizione umana nelle travagliate atmosfere politiche, sociali e spirituali della Russia del XIX secolo e affrontano una grande varietà di temi filosofici e religiosi.

All’età di ventisette anni fu arrestato per appartenenza a una società letteraria che distribuiva libri ritenuti pericolosi dal regime zarista. Fu condannato a morte. Il 22 dicembre 1849 fu portato in una piazza pubblica a San Pietroburgo, insieme ad altri detenuti, sarebbero stati giustiziati come monito alle masse.

Gli fu letta la condanna a morte, indossò l’abbigliamento per l’esecuzione con camicie bianche e gli fu permesso di baciare la croce. Le sciabole ritualistiche furono rotte sopra le loro teste. Tre alla volta, furono legati ai pali sul posto dove doveva essere eseguita l’esecuzione. Dostoevskij, il sesto in fila, fu consapevole di avere solo momenti da vivere.

All’ultimo minuto, venne fatto un pomposo annuncio con il quale si proclamava che lo zar li stava perdonava e salvava le loro vite: l’intero spettacolo era stato orchestrato come una trovata pubblicitaria crudele per raffigurare il despota come un sovrano benevolo. Si lesse poi la vera sentenza. Dostoevskij doveva trascorrere quattro anni in un campo di lavoro siberiano, seguiti da diversi anni di servizio militare obbligatorio nelle forze armate dello zar, in esilio.

Avrebbe compiuto quasi quarant’anni quando riprese in mano la penna per soddisfare le sue ambizioni letterarie. Ma ora, nei momenti crudi successivi alla sua fuga ravvicinata dalla morte, era euforico, sollevato, rinato in un nuovo amore per la vita. Riversò la sua esultanza in una splendida lettera a suo fratello Mikhail, scritta poche ore dopo la messa in scena delll’esecuzione:

“Fratello! Non sono abbattuto e non mi sono perso d’animo. La vita è ovunque, la vita è in noi stessi, non fuori. Ci saranno persone al mio fianco, ed essere un essere umano tra le persone e rimanerlo per sempre, non importa in quali circostanze, non scoraggiarsi e non perdersi d’animo: ecco cos’è la vita, questo è il suo compito. Sono arrivato a riconoscerlo. L’idea è entrata nella mia carne e nel mio sangue… La testa che ha creato, vissuto la vita più alta dell’arte, che ha riconosciuto e si è abituata alle esigenze più alte dello spirito, quella testa è già stata tagliata dalle mie spalle… Ma in me rimane un cuore e la stessa carne e sangue che può anche amare, e soffrire, e compatire, e ricordare, e anche questa è vita!”
La finta esecuzione[image error]
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Published on February 10, 2022 07:35

February 8, 2022

Come squarciare la “cappa” e tornare a riveder le stelle …

Come squarciare la “cappa” e tornare a riveder le stelle … Il Libro
Chi ha il dono di trasformare il pensiero in scrittura e decide di scrivere libri ha il dovere, secondo me, di esprimere con precisione il proprio modo di stare al mondo.
Questa operazione è prima di tutto un processo di eliminazione: una volta che è stato rimosso tutto il linguaggio stupido e violento, eliminati i dogmi di seconda mano, le verità che non sono tue ma di altre persone, smontati i motti, gli slogan, le bugie vere e quelle false della realtà in cui vivi, i miti del momento storico, una volta che sono state rimosse tutte quelle esperienze ridotte ad una forma che non riconosci e in cui non credi, ciò che ti rimane dopo due anni e passa di pandemia e infodemia, (e speriamo che finiscano presto!) è una vera fortuna se ti imbatti in un libro che sappia donarti, per pochi euro, la speranza di ritornare a vivere, “a riveder le stelle” che credevi perdute.
Questo è ciò che cerco quando leggo un libro. Questa ultima fatica di Marcello Veneziani mi ridona la speranza, pur con qualche interrogativo che rimane.
“Si può solo tentare di perforare la Cappa con l’intelligenza critica e la passione ideale; sottraendosi il più possibile all’oppressione, si possono volgere gli occhi altrove, anche quelli della mente, per non subire il plumbeo presente. Al più ritrovarsi con chi condivide lo stesso giudizio e cammino. È poco? Non ci è possibile nulla di meglio, in verità. E poi affidarsi all’amor fati. Salire, ripartire dall’alto, da una visione spirituale, misurare la realtà con altri parametri, avendo altre priorità. Vedere il mondo con altri occhi, sotto altra luce, lo ripetiamo, aperti alla sorpresa dell’imprevedibile. Ma, prima, sgombrare la mente e il cielo da tempo oscurati. Stamani, però, c’era un cielo limpido, il sole trionfava, e limpido è rimasto pure la sera. Così, per una volta, senza la Cappa, tornammo a riveder le stelle…”

La citazione che avete appena letto segna la conclusione del libro che ho letto in versione Kindle. Non siamo ancora fuori dall’epidemia e non si vedono ancora le stelle. A dire il vero, le stelle, così come le conosciamo, stanno sempre lì e mi verrebbe da chiosare il titolo di quel libro (“E le stelle stanno a guardare”) dicendo con tristezza che continuano ancora a “guardarci” senza che ci abbiano potuto dire cosa è successo in questi due anni.

Il futuro resta una incognita e questo libro ne è una fondata testimonianza. Nel leggerlo ho rifatto il viaggio, a ritroso nel tempo, in quasi tutto quello che è accaduto non solo qui da noi in Italia, ma sull’intero pianeta. Ho riletto, infatti, molti pensieri, idee ed opinioni l’autore continuamente esterna, con la straordinaria forza comunicativa della sua scrittura, in varie riviste e quotidiani.

Marcello Veneziani ha saputo abilmente rimetterli insieme e ne è venuto fuori un libro-saggio di oltre trecento pagine che è una vera, seria critica del presente, come viene detto nel sottotitolo. Da bibliomane dinosauro, figlio di una famiglia di tipografi quale mi ritengo di essere, mi sento di dire che leggere un libro in versione digitale non è come leggerlo in cartaceo.

Mi sono reso conto che questo saggio, per sentirlo davvero tuo, con i pensieri, le considerazioni e le riflessioni, (quelli di Veneziani) per rileggerlo e confrontarlo con la realtà che devi affrontare giorno dopo giorno, in trappola sia della pandemia che della infodemia, se ti vuoi difendere, questo libro lo devi tenere tra le mani, lo devi considerare un oggetto, non una somma di informazioni.

Un libro cartaceo ha un suo status ontologico, ti offre un possesso, non un accesso, come la versione digitale. Penso alla diversità tra libri cartacei ed ebook. Un ebook non è una cosa, bensì un’informazione. Dispone di uno status ontologico ben diverso. Utilizzarlo non equivale a un possesso, ma a un accesso.

Nel caso dell’ebook, il libro viene ridotto alle sue informazioni ed è privo d’età, luogo, lavoro manuale e proprietario. Gli manca del tutto quella qualità che ci può parlare di un destino individuale. Il destino non rientra nell’ordine digitale. Le informazioni non hanno né fisionomia, né destino. Non consentono nemmeno un legame intenso.

È la mano dello scrittore, poi di chi l’ha comprato, lo legge e rilegge, a dotare il libro di un volto inconfondibile, una sua fisionomia. Gli ebook sono privi di volto e di storia. Vengono letti senza mani. Nello sfogliare è insito quell’elemento tattile costitutivo di qualsiasi relazione. Senza contatto fisico non emergono legami.

Per questa ragione dovrò avere tra le mani il libro cartaceo. Altrimenti anche Marcello Veneziani, autore, giornalista, scrittore, filosofo diventa una semplice, ennesima informazione. Se vuoi che sia “canoscenza”, quella di Dante, che lui tanto ama, devi "possederlo”.

Veneziani tenta di esaminare i punti di appoggio di un sistema politico, sociale, culturale, religioso sul quale sia la pandemia che l’infodemia si trovano ad interagire creando conflitti di condizioni estreme che stritolano gli esseri umani, sia i sani che i malati.

Vere e proprie divinità alle quali lui assegna la maiuscola: Natura, Sesso, Salute, Sorveglianza, Bioliberismo, Pensiero Forte e Debole fino ad arrivare alla parola che lui ritiene risolutiva per comprendere quello che è accaduto e che ancora deve accadere.

La chiama Mutazione, che dovrebbe stabilire la correlazione tra la razionalità della tecnica e l’irrazionalità della situazione. Paura, mistero, isolamento, limite, noia … sono soltanto alcuni dei rischi che dovremo continuare a correre chissà ancora per quanto tempo.

Dovremo saper ricorrrere alla intelligenza critica ed alla passione ideale, citate innanzi, per sperare nella canoscenza rivedendo le stelle. Il suo saggio aspira ad essere un manuale di sopravvivenza e recupero della nostra misteriosa condizione di esseri umani.

Per questa ragione ho parlato della necessità di una versione “forte”, quella di un libro tradizionale e non un ebook che rimane sempre e soltanto un vettore di informazione. Abbiamo bisogno di vero sapere e vera conoscenza. Le parole con le quali Veneziani conclude il suo lavoro lasciano a chi legge un filo di speranza, anche se sottile.

“La Cappa” merita le cinque stelle di lettura anche se alle canoniche cinque domande, chi-cosa-quando-dove-perchè, Marcello Veneziani non riesce a dare risposte chiare all’ultima. Resta inevasa la domanda sulla condizione umana, sul perchè sembra che questa condizione peggiori sempre di più, mentre invece c’è chi continua a pensare che “l’uomo non è peggiorato, ma è stupido da sempre”.

Proprio stamani, sul suo quotidiano, il direttore Vittorio Feltri, grande giornalista e scrittore, esemplare unico di cinico osservatore della realtà umana, ha scritto che spera che “le asserzioni di Marcello siano state espresse in buona fede … Non illudiamoci: il mondo nè va avanti nè va indietro, è un porcaio immutabile perchè chi lo abita siamo noi”.

Io, nel mio piccolo, sono propenso a pensare che questo sia l’unico, miglior mondo possibile che possiamo permetterci di avere. Con o senza cappa.

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Published on February 08, 2022 03:19

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Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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