Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 80

February 28, 2022

Il mese di marzo …

Il mese di marzo …Foto@angallo
A Emily Dickinson piaceva marzo: porta una luce come nessun altro periodo dell’anno, un colore “che la scienza non può superare / Ma la natura umana sente”. “Entra!” lei scrisse. “Oh, marzo, vieni di sopra con me / ho così tanto da dire.”
Ma conosceva anche i pericoli della vita che il disgelo di marzo risveglia: quando le “nevi arrivano di fretta dalle colline” possono allagare le sponde di quel “ruscello nel tuo cuoricino” che “nessuno conosce”. “Beh, cerca quel ruscello a marzo”, avvertì: potrebbe lavare tutti i tuoi ponti. Non sappiamo bene cosa fare con marzo. Siamo eccitati e spaventati dalla sua potenza e variabilità.
Pensiamo davvero che il leone in cui entra come può sdraiarsi con l’agnello che diventa? Sembra appropriato che a metà strada tra le due estremità del mese, dove il leone e l’agnello s’incontrano, siano le idi di marzo, piene delle tempeste e dei presagi di Shakespeare.

Casca, uno di quelli che tramano la morte di Giulio Cesare, è testimone non solo delle “tempeste” e delle “nuvole minacciose” di un “mondo troppo impertinente con gli dei” ma anche di un vero leone di marzo che passeggia innaturalmente per Roma, “che mi guardava e se ne andò burbero.»
Anche l’unico agnello menzionato in Giulio Cesare nasconde la violenza nella sua mitezza: Bruto, discutendo con Cassio dopo la morte di Cesare, si definisce “un agnello / Che porta ira come la selce porta fuoco”.
Il nome di marzo deriva da Marte, il dio della guerra, che segnava il periodo dell’anno in cui Roma avrebbe ripreso le armi dopo l’inverno. Ma gli eserciti richiedono un po’ di tempo per radunarsi: con poche eccezioni, le grandi battaglie della storia hanno avuto luogo più tardi in primavera o in estate o in autunno, non a marzo.
Dear March — Come in — 
How glad I am — 
I hoped for you before — 
Put down your Hat — 
You must have walked — 
How out of Breath you are — 
Dear March, how are you, and the Rest — 
Did you leave Nature well — 
Oh March, Come right upstairs with me — 
I have so much to tell —
I got your Letter, and the Birds — 
The Maples never knew that you were coming — 
I declare — how Red their Faces grew — 
But March, forgive me — 
And all those Hills you left for me to Hue — 
There was no Purple suitable — 
You took it all with you —
Who knocks? That April — 
Lock the Door — 
I will not be pursued — 
He stayed away a Year to call
When I am occupied — 
But trifles look so trivial
As soon as you have come
That blame is just as dear as Praise
And Praise as mere as Blame —

— — — — — — — — — -

Caro marzo — Entra — 
Quanto sono felice-
Ho sperato per te prima-
Metti giù il cappello — 
Devi aver camminato — 
Quanto sei senza fiato-
Caro marzo, come stai, e il resto…
Hai lasciato bene la Natura?
Oh marzo, vieni al piano di sopra con me-
Ho così tanto da dire-
Ho ricevuto la tua lettera e gli uccelli…
Gli aceri non hanno mai saputo che stavi arrivando…
Dichiaro — come sono cresciuti i loro volti rossi -
Ma marzo, perdonami — 
E tutte quelle colline che mi hai lasciato a Hue — 
Non c’era viola adatto-
Hai portato tutto con te-
Chi bussa? Quell’aprile — 
Blocca la porta — 
non sarò perseguitato — 
È rimasto via un anno per chiamare
Quando sono occupato — 
Ma le sciocchezze sembrano così banali
Non appena sei arrivato
Quella colpa è cara quanto la lode
E lode tanto quanto la colpa -
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Published on February 28, 2022 14:00

February 27, 2022

Montaigne, il “blogger” che scriveva per capire se stesso

28 febbraio 1571 nasce Michel de Montaigne. Trentotto anni dopo, questo “blogger” del cinquecento, uno dei miei scrittori preferiti, subì una delle crisi di mezza età più nota e più produttiva della storia letteraria. Si ritirò dal Parlamento di Bordeaux dopo tredici anni come magistrato in una biblioteca della torre dove poteva leggere ogni giorno un messaggio dipinto sul muro in latino:

«Nell’anno di Cristo 1571, all’età di trentotto anni, l’ultimo giorno di febbraio, anniversario della sua nascita, Michel de Montaigne, stanco della servitù della corte e dei pubblici impieghi, ancora intero, andò in pensione al seno delle dotte Vergini, dove con calma e libero da ogni affanno trascorrerà quel poco che resta della sua vita ormai esaurita a più della metà. Se il fato lo permetterà, completerà questa dimora, questo dolce ritiro ancestrale; e l’ha consacrato alla sua libertà, tranquillità e ozio»
Questo, lettore, è un libro sincero. Ti avverte fin dall’inizio che non mi sono proposto, con esso, alcun fine, se non domestico e privato. Non ho tenuto in alcuna considerazione né il tuo vantaggio né la mia gloria. Le mie forze non sono sufficienti per un tale proposito. L’ho dedicato alla privata utilità dei miei parenti e amici: affinché dopo avermi perduto (come toccherà a loro ben presto) possano ritrovarvi alcuni tratti delle mie qualità e dei miei umori, e con questo mezzo nutrano più intera e viva la conoscenza che hanno avuto di me. Se lo avessi scritto per procacciarmi il favore della gente, mi sarei adornato meglio e mi presenterei con atteggiamento studiato. Voglio che mi si veda qui nel mio modo d’essere semplice, naturale e consueto, senza affettazione né artificio: perché è me stesso che dipingo. Si leggeranno qui i miei difetti presi sul vivo e la mia immagine naturale, per quanto me l’ha permesso il rispetto pubblico. Ché se mi fossi trovato tra quei popoli che si dice vivano ancora nella dolce libertà delle primitive leggi della natura, ti assicuro che ben volentieri mi sarei qui dipinto per intero, e tutto nudo. Così, lettore, sono io stesso la materia del mio libro: non c’è ragione che tu spenda il tuo tempo su un argomento tanto frivolo e vano. Addio dunque; da Montaigne, il primo di marzo millecinquecentottanta.

Questa lunga citazione si trova all’inizio del libro dei “Saggi” di Michel Eyquem de Montaigne (1533–1592). Me lo ricordo questo brano perchè ce lo fece studiare l’insegnante di francese al ginnasio, nel secolo e nel millennio trascorsi. Conservo ancora quella antologia come uno dei pochi felici ricordi che ho di quegli anni. Una delle materie di studio che amavo era il francese. Ero anche simpatico a quella prof dai capelli rossi alla quale piaceva la mia pronuncia e mi invitava a leggere sempre i brani che ci assegnava da quella antologia.

Strani scherzi della vita. Chissà poi perchè non continuai a studiare quella lingua e la tradii con quella di Shakespeare. Ad ogni buon conto, questo brano mi offrì la possibilità di introdurmi alla conoscenza di un certo tipo di scrittura che poi avrei seguito ed approfondito anche con gli inglesi: il saggio. Un genere letterario che ho sempre amato ed esercitato.

In questo blog ed in altri luoghi virtuali ho riversato la mia passione per la scrittura che, nel corso del tempo, da cartacea, nata nella vecchia tipografia paterna, è diventata digitale. Un amore, una passione, se non ossessione, che ha qualcosa di terapeutico. Con l’avvento della Rete, ho scoperto che siamo in tanti a soffrire del “male di scrivere”, un male dal quale si guarisce, ahimè!, solo scrivendo. Michel Eyquem de Montaigne fu uno di questi. Ha scritto di lui Andrè Gide:

“Che cosa Montaigne apporta dunque di nuovo nel mondo? La conoscenza di se stesso: tutte le altre conoscenze gli sembrano incerte: ma l’essere umano che egli scopre è così autentico, così vero, che ogni lettore si riconosce in lui. In ogni epoca della storia, un aspetto convenzionale dell’umanità tenta di coprire questo essere reale. Montaigne toglierà tale maschera per afferrare l’essenziale e se ottiene ciò lo deve allo aforso tenace di una singolare perspicacia: opponendo alle convenzioni, alle credenze prestabilite, ai conformismi, uno spirito critico sempre puntuale, a volte elastico e a volte teso, divertito di tutto, ironico, indulgente, ma senza compiacimento, poichè egli cerca di conoscere e non moralizzare … Egli si descrive per smascherarsi. E poichè la maschera appartiene molto di più al paese e all’epoca che all’uomo stesso, è per mezzo della maschera che la gente si distingue, in modo che nell’essere veramente mascherato, potremo riconoscere con facilità il nostro prossimo”.

Montaigne fu uno dei pionieri della prosa francese moderna. Di famiglia agiata, all’età di sei anni sapeva parlare latino. Studiò legge, ebbe diversi incarichi pubblici ma senza particolari onori. Trascrisse gran parte della sua vita in 107 Saggi, scritti e riscritti per trentanove anni, non per onore o fama ma soltanto per capire se stesso. In francese la “essai” significa “tentativo, prova”. Ogni scritto è tale, un cercare di capire se stesso e quindi gli altri.

La sua scrittura non è lineare, ma informe, incerta, misteriosa, nel senso che chi legge non sa mai dove egli vuole arrivare. Abbonda di citazioni, il suo tono è sempre scettico, ma mai cinico o negativo. Sapeva interessarsi di tutto, ma niente sembra convincerlo. Il suo motto era: “Cosa so?” Questo suo atteggiamento lo porta ad essere considerato un sostenitore del pensiero libero.

Egli non si inganna e non intende ingannare chi legge. Scrive in un modo sempre piacevole e sembra che si diverta sempre di quello che dice, delle sue leggerezze, delle sue osservazioni intelligenti e delle sue stupidità. I suoi Saggi non vanno letti con metodo, perchè lui scrive senza metodo. Logico che sia stato così. Scriveva per capire se stesso.

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Published on February 27, 2022 12:48

Un “guru” con i fiocchi

Il 26 febbraio nasce il dottor Harvey Kellogg (1852–1943). Il guru dei fiocchi di mais. Il sesso fa male, porta la malattia. L’astinenza sessuale è garanzia di una vita sana e per questo i cornflakes, alimento assolutamente antiafrodisiaco, sono salutari. Perfetto per sostituire la tipica colazione americana a base di prosciutto e uova. Harvey Kellogg, inventore dei “corn flakes” più famosi ancora oggi al mondo, è stato un medico e scrittore molto religioso. Non ha mai dormito con la moglie (quindi non ha avuto figli naturali, ma 42 figli adottivi). Ha creato una dieta priva di carne, uova, zucchero raffinato, caffè, alcol, cioccolato. Dà il via libera a cereali, legumi e frutta. Consiglia dieci bicchieri d’acqua al giorno e un clistere quotidiano.

— — -

Sebbene la tradizione dei fornitori di medicina alternativa o spiritualizzata risalga al periodo coloniale, pochi hanno raggiunto lo status di superstar del dottor John Harvey Kellogg e del suo Battle Creek Sanitarium. Nel suo periodo di massimo splendore, il “San” era una combinazione di spa e Mayo Clinic. Fondata nel 1866 sotto gli auspici della Chiesa avventista del settimo giorno e presieduta dalla leadership carismatica di Kellogg, si rivolgeva a molti benestanti cercatori di salute tra cui Henry Ford, John D. Rockefeller e i presidenti Taft e Harding. Ha anche sostenuto un ospedale, strutture di ricerca, una scuola di medicina, una scuola per infermieri, diverse aziende di alimenti naturali e una casa editrice dedicata alla produzione di materiali su salute e benessere. Piuttosto che concentrarsi su Kellogg come l’eccentrico creatore di fiocchi di mais o un ciarlatano megalomane, Brian C. Wilson prende sul serio il suo ruolo di innovatore teologico e colloca la sua religione del “Vivere biologico” in una tradizione in corso di sacra salute e benessere. Wilson fa risalire lo sviluppo di questa teologia della fisiologia dalle sue radici nella riforma sanitaria anteguerra e nell’avventismo del settimo giorno al suo definitivo accomodamento della genetica e dell’eugenetica nell’era progressista.

IlLibro

February 26, Harvey Kellogg Doctor was born (1852–1943). The corn flakes guru. Sex hurts, it brings disease. Sexual abstinence is a guarantee of a healthy life and for this reason cornflakes, an absolutely anti-aphrodisiac food, are healthy. Perfect to replace the typical American breakfast of ham and eggs. Harvey Kellogg, inventor of the most famous corn flakes still today in the world, was a very religious doctor and writer. He did not sleep with his wife (so he had no natural children, but 42 adopted children). He created a diet free of meat, eggs, refined sugar, coffee, alcohol, chocolate. He gives the green light to cereals, legumes and fruit; Ten glasses of water a day and a daily enema are recommended.

While the tradition of purveyors of alternative or spiritualized medicine stretches back to the colonial period, few have achieved the superstar status of Dr. John Harvey Kellogg and his Battle Creek Sanitarium. In its hey-day, the “San” was a combination spa and Mayo Clinic. Founded in 1866 under the auspices of the Seventh-day Adventist Church and presided over by the charismatic leadership of Kellogg, it catered to many well-heeled health seekers including Henry Ford, John D. Rockefeller, and Presidents Taft and Harding. It also supported a hospital, research facilities, a medical school, a nursing school, several health food companies, and a publishing house dedicated to producing materials on health and wellness. Rather than focusing on Kellogg as the eccentric creator of corn flakes or a megalomaniacal quack, Brian C. Wilson takes his role as a theological innovator seriously and places his religion of “Biologic Living” in an on-going tradition of sacred health and wellness. Wilson traces the development of this theology of physiology from its roots in antebellum health reform and Seventh-day Adventism to its ultimate accommodation of genetics and eugenics in the Progressive Era.

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Published on February 27, 2022 07:42

February 23, 2022

Ora parla Tremonti: “Vi dico perché l’Occidente ha sbagliato con Putin”

“Questo è un caso in cui è la storia che fa la politica, non la politica che fa la storia”. Esordisce così, il professor Giulio Tremonti, non appena lo interpelliamo per comprendere ciò che sta accadendo ai confini ucraini.

Professore, partiamo dalla Storia, dunque. Dall’inizio di queste vicende.

Ai tempi dell’Urss, al Cremlino si usava dire: “L’Urss confina con chi vuole”. Era, questa, una formula che combinava la potenza ideologica del comunismo con la potenza militare della Russia. Tra le due, la più forte non era la potenza militare, ma la potenza ideologica: la proiezione quasi globale del comunismo. Per ironia della storia, ancora di recente, un messaggio opposto e parallelo era quello trasmesso dalla Ue: la Ue confina con chi vuole, perché rappresenta un attrattivo e superiore modello di civiltà e di progresso. Oggi, nella disputa sui confini tra Russia e Ue, c’è un vizio bilaterale. E, per capirlo, per correggerlo, non serve molta storia, ma una modica quantità di storia: tre distinte fasi della storia recente.

Quando inizia la prima?

La prima fase va dalla caduta del Muro di Berlino, dalla caduta del comunismo, fino alla fine degli anni Novanta. In questo tempo si sviluppa verso la Russia una pace oggettivamente punitiva: l’addebito delle colpe storiche del comunismo, l’idea che il modello sovietico possa essere sostituito dal modello politico dell’Occidente, export di democrazia e strutture di mercato. In questa fase, e lo ricordo bene, c’erano professori che dalle università occidentali migravano a Mosca e San Pietroburgo per insegnare la democrazia e il mercato. Per la verità, con limitati successi didattici. In parallelo, fuori dal mercato e fuori dalla democrazia, su tutto dominava il flagello degli oligarchi, che privatizzavano in modo certo meno elegante che sul Britannia. Va per contro notato, che a quell’altezza di tempo, dal lato dell’Occidente, quello che si voleva cambiare in Russia era invece tollerato in Cina. Sulla Cina si diceva che era in cammino sulla via dello sviluppo e della democrazia, senza alcun sindacato sulla “cifra” democratica della Cina. Questa è stata la prima fase del rapporto tra Occidente e Russia: pace punitiva e democrazia esportativa.

La seconda fase?

È quella che va dalla fine degli anni Novanta fino alla prima decade del Duemila. È la fase in cui la Russia entra nel G7, che per questo diventa G8. È la fase politicamente più intelligente. Bilateralmente intelligente, sia per l’Occidente che per la Russia. È la fase della politica di Bush e Berlusconi. Erano certo evidenti i limiti “democratici” della Russia, ma da un lato si capiva quanto fosse (e sia) difficile governare nella purezza democratica un Paese che va da Anna Karenina a Gengis Khan, dall’altro lato si cominciava a vedere, per primi segni, un’evoluzione positiva della politica russa.

Cosa c’era di diverso all’epoca?

La visione era quella dell’Europa “dall’Atlantico agli Urali”, già la visione di De Gaulle e di Wojtyla. Ricordo un seminario a Berlino, in cui il vecchio cancelliere Schmidt, parlando della Russia, ci diceva: “Abbiamo la stessa musica, la stessa matematica, la stessa letteratura”.

Che cosa rappresentano questi anni?

Il G7 era il luogo che concentrava la forza del mondo. Circa 700 milioni di persone, con attorno miliardi di persone. Era un corpus, unificato da un codice politico (la democrazia) un codice linguistico (l’inglese) e un codice economico (il dollaro). Bush e Berlusconi fanno entrare la Russia in questo corpus, la fanno sedere attorno allo stesso tavolo. Ricordo che Berlusconi mi correggeva sempre: ‘Ricordati di dire G8’. Questa era la posizione del mondo occidentale, che incorporava la Russia. Questa è la via che si sarebbe dovuto seguire. Attorno al tavolo trovavi America, Europa e Russia, come parte dell’Europa. Trovavi Putin. Io trovavo Kudrin, il ministro del Tesoro russo dell’epoca.

Poi cosa è successo?

Finita questa fase, quella del G8 e di Pratica di Mare, ne inizia una diversa, che concentra la sua criticità nel 2014. La criticità non c’è tanto quando l’Ucraina parla di Nato, quanto piuttosto, ed è l’inizio di tutto, quando l’Ucraina esprime il suo interesse per un “accordo commerciale” con la Ue. Proprio questo è il punto di inizio della crisi. La Russia, non più legittimata dal G8, inizia a temere l’esportazione della democrazia nei suoi confini.

Il punto sembrerebbe dunque l’esportazione della democrazia…

Se uno vuole capire la democrazia nei rapporti internazionali, deve leggere la Carta atlantica, dove la democrazia è un modello positivo e progressivo che si propone, non un modello che si impone. Proprio perché sei democratico capisci che la democrazia si costruisce in loco e non si esporta come fosse una commodity, come fosse un McDonald. Ed è così che si arriva ad oggi. Per dirla con Benedetto Croce, non esistono incidenti della storia, ma solo incapacità di capire i cambiamenti.

Ad esempio?

Se uno vuole avere la prova dell’incapacità di comprendere i cambiamenti, deve leggere il G7 communiqué di Carbis Bay del 13 giugno. L’impressione, se uno legge quel documento dei “grandi” dell’Occidente, è che sia stato scritto da “turisti della storia”. Su un totale di 70 paragrafi e 25 pagine, alla questione della Russia sono stati dedicati solo due piccoli paragrafi, sviluppati su mezza pagina. All’opposto il communiqué è molto più sviluppato sulla gender equality. Se uno lo legge, nota che è tutto sviluppato su una visione palingenetica del mondo — build back better — sviluppato su uno spettro che va dal digitale, al sociale, all’ambientale. Lo stesso “palinsesto” è stato recitato nel G20 di Roma, solo con la variante rituale e propiziatoria delle monete gettate nella fontana di Trevi. A Roma i “grandi” non avevano capito di essere 18 e non 20 — G20 vuole dire appunto 20 — perché mancavano, guarda caso, Cina e Russia. Gli ultimi G7 e G20 vengono dopo la pandemia e pretendono di capitalizzarla nel disegno di un mondo migliore senza averne capito le cause e gli effetti. Come nella Bibbia, la divinità punisce l’uomo che erige la Torre di Babele, togliendogli la lingua unica, così la pandemia ha hackerato il software della globalizzazione. Ha spazzato via il pensiero unico. E’ tornata la storia accompagnata dalla geografia. Dopo aver scritto per venti anni sui limiti della globalizzazione, nel 2016 ho scritto Mundus furiosus. E mi pare che oggi ci siamo.

Esiste un pericolo russo per l’Europa?

È più probabile che ci conquistino i mongoli, che non i russi. In realtà, ci sono stati, e ci sono, errori bilaterali. Nella vecchia diplomazia, si ragionava in termini di partita doppia, di ragioni e di non ragioni, di pro e di contro, anche di dare e di avere. E’ proprio questa quella che manca: una diplomazia del tipo che si faceva al tempo di Kissinger. Certo, il Putin di oggi non è più quello del G8 e di Pratica di Mare, ma proprio per questo devono comunque prevalere le ragioni della diplomazia.

Originally published at https://www.ilgiornale.it on February 24, 2022.

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Published on February 23, 2022 22:55

February 22, 2022

Il 23 febbraio 1946 “nasce” Marilyn Monroe

Il rapporto di Norma Jeane con il suo nome non fu semplice: il cognome Mortenson è del secondo marito di sua madre Gladys, ma pare non fosse lui il padre della bambina, nata nel giugno 1926 a Los Angeles. Dopo un’infanzia tra orfanatrofi e famiglie adottive, con una madre in ospedali psichiatrici, Norma Jeane inizia la carriera di modella che le apre le porte di Hollywood. Ed ecco la ricerca di un nuovo nome: Jean Norman… Mona Monroe… Jean Adair… finché un regista della Fox sceglie per lei. Il 23 febbraio 1946 Norma Jeane Mortenson diventa Marilyn Monroe. Cambiare nome era un po’ come cambiare vita, e in effetti la sua vita cambiò, ma forse non come avrebbe voluto: ebbe fama, denaro, adoratori, tuttavia continuò a sentirsi insicura, spaventata, sola, a collezionare uomini sbagliati, a soffrire di depressione. Ha fatto sognare gli uomini di tutto il mondo, ma, vittima della sua bellezza, ha dimostrato una crescente instastabilità emotiva, abusando di farmaci e alcol, fino alla tragica notte del 4 agosto 1962, quando morì, a soli 36 anni, per un’overdose di barbiturici. Molti non si rassegnarono alla versione ufficiale, molti dubbi vennero avanzati, molte ipotesi di omicidio vennero formulate, ma il mistero di quella morte non è mai stato risolto, contribuendo ad alimentare il mito di Marilyn.
Il post che segue l’ho scritto dieci “stagioni” fa in ricordo di un mito per tutte le stagioni della vita.
Marilyn Monroe, una donna per tutte le stagioni
Il 5 agosto del 1962, ahimè! cinquanta anni fa, ero in Inghilterra, a studiare l’inglese. Nella mia camera nello “staff block” dell’ospedale dove lavoravo, avevo sul muro una gigantografia del settimanale “Life” con l’immagine di Marilyn Monroe. La vedete qui sopra. Porta la data del 7 aprile 1952. Lei aveva, quindi, 26 anni. Quel giorno ricordo che ascoltammo la notizia delle sua morte alla radio mentre ero di servizio nel reparto dei bambini. Aveva trentasei anni. Fu trovata morta dal suo medico, uno psichiatra, il quale dichiarò che il decesso era forse dovuto ad avvelenamento di barbiturici, oppure anche ad un tentativo di un possibile suicidio. La polizia quando intervenne avanzò il sospetto di assassinio.
Tre ipotesi che hanno fatto di Marilyn Monroe un mito, trasformando la sua persona un un personaggio che ancora vive a distanza di tanti anni. Non si contano i libri pubblicati su di lei. L’occasione per la stesura di questo post, con questi personali ricordi me la offre la recente uscita di un ennesimo libro che ha per titolo “Marilyn: la passione e il paradosso”. Sia la passione che il paradosso fanno di questa sfortunata attrice “una donna per tutte le stagioni”.
Non inganni la parola che ho usato: “stagioni”. Non è intesa come una offesa alla memoria di questa bellissima attrice, bensì come come un complimento per il fatto che poche altre attrici, di non grande genio e valore, sono sopravvissute al logorio del tempo come lei. Marilyn, in effetti, è ancora l’idolo di tanti uomini di una certa età, ma continua ad esserlo anche per tanti giovani di oggi. Come la sua arte cinematografica Marilyn Monroe aveva le sue radici nel paradosso, nel senso che era una brillante stella, ma anche una puttanella, una gioiosa, irriverente ragazza da feste giovanili, con una profonda e nascosta spiritualità, un grande senso di amicizia e di narcisismo, una bionda di fuoco ed una intellettuale.
Tutte queste qualità sono messe in luce in questa nuova biografia scritta da Lois Banner. Dal giorno della sua morte quanto mai misteriosa è venuta sempre aumentando la sete di notizie su questa bellissima creatura che ha attirato l’attenzione di tanti in tutto il mondo. Le biografie abbondano, come ho detto, ma questa ultima non sembra essere una in cui si cucinano notizie già note. L’autrice nella stesura del libro ha potuto avvicinare tutte le persone che furono vicine a Marilyn.
La Banner sostiene che Marilyn ha nella sua figura qualcosa di “paradossale” in quanto paradossale fu l’età in cui visse. Era l’epoca dell’esuberante “boom” del dopoguerra e della paranoia della guerra fredda. Si potevano leggere molte “Marilyn” a seconda dei riferimenti ai quali la donna-attrice veniva collegata. La stessa attrice ebbe a dire una volta che si sentiva “so many people”, “tante persone”. Nella sua biografia incompleta di Ben Hecht, “My Story” del 1974, mise in evidenza la sua doppia essenza: la bambina dell’orfanotrofio che non apparteneva a nessuno e un’altra persona senza nome che apparteneva all’oceano, al cielo e al mondo intero. Tutto questo nasce dal suo “background” che vide l’assenza di un padre, una madre schizofrenica, una decina di orfanotrofi dove venne rinchiusa, un matrimonio a sedici anni. Va ricordata poi la violenza sessuale che Marilyn aveva subito a soli otto anni, forse da parte di uno dei suoi patrigni. Non è un caso, quindi, che tutta la sua esistenza fosse caratterizzata da una forte carica sessuale. Da questa sua carica antica e primitiva scaturiscono tutte le debolezze. Marilyn portò con sé per tutta la vita una sorta di cultura politica e sociale punitiva che le chiedeva costantemente chiarezza e certezza morale nel suo comportamento esistenziale.
Le persone nelle quali si imbatté furono senza dubbio crudeli nei suoi confronti, come non lo fu del resto il mondo che la vide in azione e che ne sfruttò l’immagine per propria convenienza. In un contesto del genere l’autrice del libro sembra volerci far capire, dopo un’analisi della sua vita di oltre cinquecento pagine, che non sapremo mai chi veramente fu Marilyn. Entrano in gioco tutti quegli interrogativi che riguardano il nostro approccio alla sessualità, al successo e alla morale.
La terza immagine che correda questo post ritrae l’attrice mentre legge un libro che all’epoca in cui Marilyn lo teneva tra le mani era sotto accusa per oscenità. E’ l’ “Ulisse” di James Joyce, il capolavoro che ha gettato le basi della letteratura moderna. Non a caso sulle donne che leggono è stato pubblicato un libro in cui si afferma che: “Le donne che leggono sono pericolose soprattutto per se stesse. Ci sarà un motivo se la storia dell’umanità ha ritardato la lettura alle donne: la natura sapeva che avrebbe complicato loro la vita … Le donne e i libri sono state passioni talmente divoranti e proibite da aver sedotto pittori e fotografi di ogni epoca. Tra le immagini proposte non ci sono uomini. Ci sono solo donne che leggono. Donne, vecchie e giovani, in giardino, sul divano o a letto, con i volti sognanti o concentrati, nude, in déshabillé o magnificamente vestite, di cui vediamo le braccia, i capelli, il capo chino, ma raramente scorgiamo gli occhi: solo quando hanno appena finito di leggere e alzano per un istante lo sguardo riusciamo a intravederne l’espressione ancora sognante. Da Simone Martini a Rembrandt, Vermeer e Fragonard, da Matisse, Heckel e Hopper fino alla famosa fotografia di Eve Arnold con Marilyn Monroe che legge l’Ulisse: questo libro mette in scena una galleria di figure affascinate e affascinanti. Attraverso dipinti, disegni e fotografie, questo volume racconta la storia appassionante, piena di bellezza, grazia ed espressività, della lettura femminile dal XIII al XXI secolo”.
La fotografia alla quale fa riferimento la citazione del libro è stata pubblicata a piena pagina nei giorni scorsi da “Il Foglio” in un servizio sulla nuova traduzione del capolavoro di James Joyce. Marilyn Monroe appare ritratta mentre legge “Ulisse” a Long Island. Mariarosa Mancuso, nell’articolo ha scritto a proposito di “Ulisse”: “Non è più un libro. E’ un’icona, al pari di certi quadri famosi … Per felice coincidenza, una copia dell’ “Ulisse” di James Joyce sta tra le mani di un’assorta Marilyn Monroe, che seduta su una giostra parrebbe in dirittura d’arrivo, alle ultime pagine del monologo di Molly Bloom. O, forse, come tanti di noi, è andata direttamente lì, a sbirciare le faccende piccantine”.
Ecco, a questo punto il quadro psicologico, umano e sociale del personaggio Marilyn sembra essere chiaro, completo in tutti i suoi tasselli. Sesso, fama e morale caratterizzarono la sfortunata donna di nome Marilyn. Una donna per la quale la lettura può essere davvero sinonimo di “pericolo”. Nel libro sulle donne si legge tra l’altro: “Le donne che leggono sono pericolose perché nutrono i loro sogni e non c’è nulla di più rivoluzionario di una donna che sogna di cambiare la propria vita …”. Chissà quanto influenzò la povera Marilyn la lettura dell’Ulisse. Chissà se riuscì a leggerlo tutto e cosa comprese. Ne fece comunque di certo una donna per tutte le stagioni, da amare sempre. Ieri come oggi.

Postato 25th October 2012 da  galloway

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Published on February 22, 2022 14:00

Breve storia di (quasi) di tutto, anzi (quasi) niente

Il Libro
Questa non è una recensione, vuole essere qualcosa di diverso e di sperimentale dal punto di vista comunicativo. Quelle che seguono sono tre citazioni. La prima è la presentazione editoriale del libro di Bill Bryson. La seconda è la conclusione del libro così come l’ha scritta l’autore. La terza citazione è di Omraam Mikhaël Aïvanhov, un filosofo e pedagogo bulgaro di origine macedone. Indirettamente lo studioso bulgaro risponde a quanto, pur egregiamente, Bill Bryson ha scritto nel suo libro. Questo scrittore e divulgatore scientifico anglo-americano di grande successo ha saputo scrivere (quasi) tutto di quello che c’era da narrare sulla condizione umana, facendo però mancare al suo lavoro ogni riferimento a qualsiasi forma di elementi spirituali con i quali gli esseri umani si distinguono dagli esseri animali. Quel “quasi” del titolo ha la sua ragion d’essere. Rimane fuori la maggior parte del “tutto”.
“Mentre ero in volo sul Pacifico e guardavo pigramente dal finestrino l’oceano illuminato dalla luna, mi si presentò alla mente, con una forza piuttosto inquietante, la consapevolezza di non sapere nulla dell’unico pianeta sul quale mi sarebbe mai capitato di vivere.» Quanto è grande, infatti, il nostro pianeta? Come è fatto? Quali leggi ne governano il moto, la natura e i fenomeni? Per colmare questa lacuna, Bill Bryson decide di partire per un viaggio molto diverso da quelli che ci ha raccontato nei suoi libri: un viaggio nel mondo del sapere scientifico, per narrarci la storia dell’universo e farci comprendere, senza inutili difficoltà, la teoria della relatività e le sue conseguenze, i segreti del Big Bang, le leggi dell’evoluzionismo, la comparsa dell’uomo sulla terra, la doppia elica del DNA e molto altro. Con una scrittura sempre ironica, e senza mai rinunciare al gusto dell’aneddoto e della battuta, Bryson ci fa incontrare le personalità che hanno fatto e stanno facendo la storia della scienza, lasciandoci alla fine la sensazione di conoscere meglio il mondo in cui viviamo, ma anche quella, piacevolissima, di avere letto un «romanzo» ricco di sorprese e curiosità.”
“Se questo libro ha una morale, è che noi tutti — e per “noi tutti”, intendo tutti gli esseri viventi — abbiamo avuto una fortuna straordinaria a trovarci qui. Essere una forma di vita qualunque, in questo nostro universo, è già un gran risultato. Noi, in quanto esseri umani, siamo doppiamente fortunati. Non solo godiamo del privilegio dell’esistenza ma anche della facoltà, nostra esclusiva, di apprezzarla e perfino di migliorarla in un gran numero di modi. E’ un’abilità che abbiamo appena cominciato a dominare. Abbiamo raggiunto questa posizione di preminenza in un tempo incredibilmente breve. Gli esseri umani moderni, dal punto di vista comportamentale, esistono su questo pianeta da non più dell’0,0001 per cento della sua storia: quasi niente, davvero. Eppure, anche solo riuscire ad esistere per questo breve istante ha richiesto una serie quasi infinita di colpi di fortuna. Abbiamo appena cominciato. L’abilità, naturalmente, sta nell’assicurarsi di non arrivare mai alla fine. Quasi sicuramente per riuscirci non basterà affidarsi alla buona sorte, ma occorrerà molto di più.”
“A cosa si riducono le preoccupazioni della maggior parte degli esseri umani? Ad assicurarsi un sostentamento e una casa, ad avere una famiglia e a trovare anche di che nutrirla e alloggiarla. Ebbene, qualunque cosa essi pensino, in questo modo non fanno che condurre una vita da animali; ma sì, qualunque animale fa altrettanto! In cosa, allora, essi sono “umani”? L’esistenza di costoro sfugge quasi totalmente alla loro volontà e alla loro coscienza: nascono, crescono, si riproducono, poi si indeboliscono e se ne vanno; non sono mai presenti in niente di ciò che accade loro, non fanno che subire. L’esistenza veramente umana inizia quando, con la sua consapevolezza e con la sua intelligenza, un essere impara a controllare la propria vita, a purificarla e ad aggiungervi un elemento spirituale. A quel punto sì, egli diventa l’attore della sua esistenza, capace di dominare il suo destino.“
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Published on February 22, 2022 09:13

February 21, 2022

I cancelli dell’Europa. Ucraina & Russia in sei libri

Five Books

Sophie Roell, è l’Editor di un sito di libri molto accreditato a livello internazionale che periodicamente sceglie cinque libri su un determinato argomento e intervista un esperto invitandolo a parlarne. Questa settimana l’Ucraina è il tema prescelto e ha invitato Serhii Plokhy, uno storico ucraino-americano. Plokhy è attualmente Mykhailo Hrushevsky Professore di Storia ucraina e Direttore dell’Istituto di ricerca ucraino presso l’Università di Harvard, dove è stato anche nominato Walter Channing Cabot Fellow nel 2013. Una delle principali autorità dell’Europa orientale, ha vissuto e insegnato in Ucraina, Canada, e gli Stati Uniti. Ha pubblicato ampiamente in inglese, ucraino e russo. Per tre anni consecutivi (2002–2005) i suoi libri hanno vinto il primo premio dell’Associazione americana per gli studi ucraini. Ha scritto questo libro dal titolo quanto mai emblematico: “The Gates of Europe: A History of Ukraine” (I cancelli dell’Europa: Una storia dell’Ucraina)
Il sesto libro
L’Ucraina è attualmente coinvolta in una accesa battaglia con la Russia per preservare la sua indipendenza economica e politica. Ma il conflitto di oggi è solo l’ultimo di una lunga storia di battaglie sull’esistenza dell’Ucraina come nazione sovrana. Come sostiene il pluripremiato storico Serhii Plokhy in “The Gates of Europe”, dobbiamo esaminare il passato dell’Ucraina per comprenderne il difficile presente e il probabile futuro. Situata tra l’Europa, la Russia e l’Asia orientale, l’Ucraina è stata modellata dagli imperi che l’hanno utilizzata come porta strategica tra Oriente e Occidente: dai romani e dagli ottomani al Terzo Reich e all’Unione Sovietica, tutti si sono impegnati in combattimenti globali per la supremazia sul suolo ucraino. Ogni esercito invasore ha lasciato un segno indelebile nel paesaggio e nella popolazione, rendendo l’Ucraina moderna un amalgama di culture in competizione

Migliaia di persone sono state uccise dal 2014 nel conflitto in corso tra Russia e Ucraina, in una guerra piena di disinformazione, narrazioni fuorvianti e operazioni con false bandiere. Qui Serhii Plokhy, professore di storia ucraina all’Università di Harvard, consiglia libri per comprendere meglio il conflitto, da un’opera introduttiva di un eminente storico all’ultimo lavoro di alcuni dei principali romanzieri ucraini. Ecco il testo dell’intervista liberamente tradotta.

Prima di passare ai libri, potrebbe spiegare di cosa tratta, secondo lei, il conflitto tra Russia e Ucraina?

È stato inquadrato più e più volte in termini di Russia e NATO. Ci sono alcuni elementi del conflitto che riguardano la Russia e la NATO, ma ci sono anche radici più profonde. È una situazione che probabilmente potrebbe essere riconosciuta in qualsiasi parte del mondo, perché quello che vediamo è il processo di disintegrazione di uno degli ultimi imperi mondiali. L’impero russo iniziò a disgregarsi quando l’impero austro-ungarico, ottomano e altri imperi stavano cadendo a pezzi. I bolscevichi lo tennero insieme, ma nel 1991 andò comunque in pezzi, quasi da un giorno all’altro. Tutti furono sorpresi. È stato un miracolo che non ci siano state grandi guerre o spargimenti di sangue. Ora ci rendiamo conto che la guerra è stata appena rinviata. In questo senso, sembra terribile. Ma è anche una situazione molto familiare per molti paesi del mondo, che hanno anche attraversato una guerra per l’indipendenza. Non è un fatto inaudito.

È complicato dal fatto che in termini di russi e ucraini ci sono questioni irrisolte di identità e formazione della nazione, di storia contestata. Ad esempio, i russi credono che provengano da Kiev (“Kiev” in russo), che oggi è la capitale di uno stato indipendente, l’Ucraina. Putin ha scritto un articolo sulla “unità storica di russi e ucraini”. Quanti presidenti che entrano in guerra scrivono quel tipo di articolo e fanno quelle argomentazioni? È un tentativo di delegittimare la pretesa ucraina di statualità. Se storicamente siamo le stesse persone, che diritto hai di avere uno stato? Non ne hai! Questo normalmente non accade con la disintegrazione degli imperi. Gli inglesi non hanno mai affermato di venire in qualche modo da Delhi, o viceversa. Ma lo vedi con Russia e Ucraina.

Quindi queste sono le radici profonde e la struttura generale del conflitto. Con la fine della Guerra Fredda, l’Unione Sovietica crollò. Non è stata una guerra calda, ma è stata una guerra che è stata persa da Mosca dal punto di vista economico, geostrategico, ecc. Ora c’è un tentativo di riunire l’impero come cintura di dipendenze. La Russia ci ha provato con mezzi economici, con mezzi politici, e ora siamo nella fase della guerra. È l’ultimo strumento che la Russia ha nelle sue mani.

L’Ucraina è importante perché è la seconda repubblica post-sovietica per grandezza. Se l’Ucraina resiste con successo, ciò mette in discussione la pretesa russa per il resto dello spazio post-sovietico. Mette in discussione il tentativo di Mosca di ricreare in qualche modo non l’Unione Sovietica — nessuno lo vuole, era un costoso progetto imperiale — ma di stabilire un’effettiva sfera di influenza. Senza la seconda parte più grande avresti un enorme buco nell’intera struttura.

Quindi, ciò che viene presentato e dibattuto dai media sono le relazioni Russia-NATO. Queste relazioni sono importanti, ma sono solo uno strato in cima a tutti questi tanti, molti, molti altri strati politici, storici e culturali che definiscono la crisi attuale.

Prima di parlare con lei, stavo guardando una mappa del “New York Times” di dove si trovano le truppe russe e le ho potute vedere in Bielorussia e Moldova. All’inizio dell’anno, le truppe russe sono state invitate a intervenire in Kazakistan. Sembra che molti paesi dell’ex Unione Sovietica siano abbastanza felici di rimanere nella sfera di influenza russa. Immagino che il problema per l’Ucraina sia che, dal 2013, o forse prima, 2004, sta cercando di seguire una strada diversa?

Ha assolutamente ragione. L’Unione Sovietica è crollata sulla questione dell’Ucraina. I primi ad alzare la bandiera dell’indipendenza sono stati gli stati baltici, ma sono piccoli paesi e non sono slavi. Il referendum ucraino del dicembre 1991 non poneva la domanda su cosa si volesse fare con l’Unione Sovietica, il referendum riguardava solo l’Ucraina: “Vuoi che l’Ucraina sia indipendente?” Ma una volta che più del 90% degli ucraini ha risposto affermativamente, l’URSS se n’è andata entro una settimana. Le repubbliche dell’Asia centrale furono davvero espulse dall’Unione Sovietica perché la Russia non era interessata a un’unione con loro senza l’Ucraina. Questo è l’inizio della parte più recente della storia: l’Unione Sovietica è caduta sulla questione dell’Ucraina e ora, se vogliamo che ci siano efficaci sfere di influenza russe economiche, militari e di altro tipo, l’Ucraina è essenziale, come lo era nel 1991 .

Parliamo dei libri che ha scelto, e forse può dire qualcosa su ciascuno di essi e su cosa portano al quadro. Il primo della lista è “Ucraina e Russia: dal divorzio civile alla guerra incivile” di Paul D’Anieri, che è un politologo. Penso che sia uno specialista in questa relazione, giusto?

In termini di libri, questo è il primo libro di Paul D’Anieri che si occupa delle relazioni Ucraina-Russia. Prima di allora, ha studiato i processi interni in Ucraina e si è laureato in Russia, ed è quello che porta in tavola. Questo libro è più di una semplice teoria delle relazioni internazionali o storia diplomatica; Paul D’Anieri in realtà sa molto di entrambi i paesi.

Inizia alla fine degli anni ’80 e arriva fino a quando il libro è stato pubblicato nel 2019, quindi quando la guerra era già iniziata e la prima fase della guerra era passata. La sua argomentazione è sostanzialmente duplice. In primo luogo, che le radici di questa storia sono nella storia della disintegrazione dell’Unione Sovietica e di come è andata in pezzi. Sottolinea l’importanza dell’Ucraina in questo processo, qualcosa di cui stavo solo parlando.

“Quello che vediamo è il processo di disintegrazione di uno degli ultimi imperi mondiali”.

L’altro suo grande argomento è che la guerra è diventata quasi inevitabile a causa di un diverso percorso politico scelto da Ucraina e Russia, in particolare la questione della costruzione della nazione e della creazione e consolidamento dello stato in Ucraina. L’Ucraina diventa uno stato democratico; La Russia si muove in una direzione autoritaria. Ciò pone automaticamente le relazioni della Russia con l’Europa in una posizione difficile e le questioni di sicurezza diventano molto importanti. È molto bravo a documentare e fornire una cronologia di come le questioni di sicurezza hanno influenzato le relazioni russo-ucraine dagli anni ’90, agli anni 2000 e all’arrivo di Putin e dopo. Dà una buona spiegazione della guerra e dei suoi retroscena, non cercando alcune spiegazioni sensazionalistiche o guardando le personalità, ma le ragioni strutturali.

È un politologo e il libro è molto ben organizzato e ben scritto. Spiega molto sui due paesi e sul loro sviluppo politico, sulle scelte che sono state fatte in entrambi i casi e su come quelle scelte alla fine hanno portato a questo scontro, l’attuale confronto.

Sì, perché possiamo parlare di politica estera, ma se si guarda a come agiscono i leader, ha quasi sempre a che fare con la politica interna.

Sì, in effetti, e porta davvero a casa questo punto.

Passiamo all’Ucraina: quello che tutti devono sapere di Serhy Yekelchyk, storico ucraino con sede in Canada. Consiglierebbe questo come il miglior libro introduttivo?

Esattamente. Fa parte di una serie della Oxford University Press, “Quello che tutti (presumibilmente) hanno bisogno di sapere”. La prima edizione è apparsa nel 2015 e si chiamava “The Conflict in Ukraine”. È stato fatto quasi come un catechismo: ha raccolto tutte queste domande che c’erano là fuori e ha spiegato cosa significavano. Il libro è stato eccezionalmente importante dato che la guerra iniziata in Ucraina e tuttora in corso è ibrida: include disinformazione, false narrazioni, operazioni sotto falsa bandiera e così via. Il libro ha fatto un ottimo lavoro nello spiegare qualunque affermazione ci fosse nei media. La protesta ucraina di Maidan era fascista? Cosa stava succedendo con la Crimea? Qual è l’atteggiamento della popolazione del Donbas?
Questa è un’edizione rivista e nuova, che anche, secondo il titolo, è un libro più ampio. Se le persone sono interessate all’argomento, è da lì che suggerisco di iniziare.

La sua argomentazione nello spiegare la guerra va contro la narrativa del Cremlino. Nei media, si può leggere che l’Ucraina è in una guerra civile, che il paese è diviso tra est e ovest, e queste persone parlano russo e queste persone parlano ucraino. Sostiene che questo non è un problema. Sì, le lingue sono diverse, ma gli ucraini si sono mobilitati al di là delle linee linguistiche. Un buon numero di soldati che combattono oggi al fronte parlano russo. La lingua russa non significa automaticamente identità russa e lealtà alla Russia.
Nell’edizione 2020, introduce sviluppi più recenti, tra cui il processo per l’impeachment di Trump, Paul Manafort e le affermazioni sull’interferenza ucraina nelle elezioni americane. È un libro che affronta tutti questi problemi e argomenti che sono apparsi sui media dall’inizio della guerra.

Il libro è per un vasto pubblico. Di recente ha pubblicizzato la nuova edizione dicendo: ‘il libro è là fuori. Non è per i miei amici di Facebook perché probabilmente lo sai tutto, ma per favore consiglialo ai tuoi amici.’ È un ABC del conflitto in corso e della guerra, scritto da un ottimo storico.

Passiamo al disarmo nucleare ucraino di Yuriy Kostenko. È il politico ucraino che è stato effettivamente coinvolto nei negoziati che hanno portato al Memorandum di Budapest, quando l’Ucraina ha rinunciato al terzo arsenale nucleare più grande del mondo. Ci parli del libro e di come si inserisce.

All’inizio della guerra, la Russia ha violato molti trattati. Uno dei principali è stato il Budapest Memorandum, firmato nel dicembre 1994 con Stati Uniti, Regno Unito, Russia e Ucraina. C’erano anche accordi separati che sono stati firmati con il Kazakistan e con la Bielorussia. Secondo gli accordi, queste repubbliche rinunciarono agli arsenali nucleari che avevano ereditato dall’Unione Sovietica in cambio, non di garanzie, ma di “assicurazioni” da parte degli altri tre poteri della loro sovranità, dell’inviolabilità dei loro confini e così via. Nel 2014, la Russia, uno dei paesi che ha fornito tali assicurazioni e al quale l’Ucraina ha trasferito il suo arsenale nucleare, ha violato la sua integrità territoriale e ha occupato la Crimea.

È in quel contesto che Kostenko scrive questo libro, che è per metà un libro di memorie, per metà basato su tutti i documenti che ha accumulato. È una storia davvero, davvero interessante, quasi sconosciuta in Occidente. L’Ucraina era molto riluttante a rinunciare al suo arsenale nucleare, sul quale aveva il controllo fisico, ma non operativo. Il Kazakistan e la Bielorussia erano molto più favorevoli. Ancora una volta, l’Ucraina è stata un piantagrane, se la si guarda da una prospettiva russa. Ma tutti hanno ritenuto che fosse una buona cosa, un grande successo di denuclearizzazione.

“È stato un miracolo che non ci siano state grandi guerre o spargimenti di sangue”

Kostenko offre una prospettiva diversa. È il primo lavoro in inglese con così tanti dettagli che va contro l’interpretazione tradizionale occidentale di quella storia. La sua argomentazione non è che l’Ucraina avrebbe dovuto mantenere le armi nucleari, ma che gli ucraini sono stati costretti a rinunciarvi senza ottenere adeguate garanzie di indipendenza del paese o un’adeguata compensazione finanziaria. Le armi nucleari erano la sicurezza dell’Ucraina e ci hanno rinunciato perché gli Stati Uniti e la Russia stavano lavorando insieme.

Questa è una prospettiva che ha ricevuto pochissima attenzione in Occidente ed è particolarmente interessante perché viene dalla bocca di qualcuno che era proprio lì, nel mezzo del processo di denuclearizzazione. Potresti anche dire: ‘Grazie a Dio, la guerra ora non è nucleare, perché avrebbe potuto esserlo, se non ci fosse stato il Budapest Memorandum.’ Ma in un modo o nell’altro, la nostra comprensione del Memorandum di Budapest e di ciò che sta accadendo oggi è assolutamente incompleta senza questo libro molto importante.

Sta suggerendo che l’Ucraina avrebbe dovuto forse mantenere le sue armi nucleari?

No, e quella non era la sua posizione negli anni ’90. E’ stato coinvolto come Ministro della Protezione Ambientale e della Sicurezza Nucleare; si è occupato anche di Chernobyl. Quello che sta dicendo è che l’Ucraina è stata derubata delle sue armi nucleari. Il prezzo era sbagliato. Il prezzo avrebbe dovuto essere l’adesione alla NATO o qualcos’altro che fosse effettivamente significativo, che avrebbe salvato l’Ucraina dall’aggressione russa. Quello che è successo all’Ucraina da quando è stata disarmata ha e avrà un impatto negativo sulla storia globale della denuclearizzazione. I paesi ci penseranno due volte la prossima volta che qualcuno si presenterà proponendo di dare loro un pezzo di carta in cambio delle loro armi nucleari. È un enorme disincentivo a denuclearizzare. Questa è l’importanza globale di questa storia, al di là della semplice crisi attuale.

Passiamo all’Ucraina in Storie e storie: saggi di intellettuali ucraini. Ci parla di questo libro.

Questo libro, in un certo senso, è allo stesso livello di quello di Yekelchyk, nel senso che è un’introduzione all’Ucraina, ma è un’introduzione che usa voci ucraine. La prefazione è di Peter Pomerantsev e ci sono saggi di altri espatriati (sono anche uno degli autori). Ma per lo più i saggi sono di intellettuali ucraini che vivono in Ucraina. Parlano del loro paese, di stereotipi, di mitologia, di storia, di letteratura. È un’introduzione all’Ucraina per le persone che leggono non solo saggistica ma anche narrativa, che sono interessate a come appare la scena culturale e accademica locale.

Cosa pensano i filosofi ucraini del loro paese? O gli scrittori? Molti dei contributori sono scrittori, come Andrey Kurkov. Se una persona è almeno un po’ conosciuta in Occidente, sarà lì dentro. C’è Volodymyr Rafeenko, uno dei migliori nuovi scrittori ucraini. C’è un saggio di Yuri Andrukhovych, uno dei nomi più riconoscibili della letteratura ucraina. C’è un pezzo di Alim Aliev su “Ucraina e tartari di Crimea”, un’altra questione importante.
Questo libro è per persone interessate non solo alla politica, ma anche alla scena culturale, che magari hanno letto alcuni degli autori ucraini che sono stati tradotti e vogliono saperne un po’ di più sul Paese.

E il libro tratta di come la gente si sente nei confronti della Russia e del rapporto con la Russia?

Si tratta di questo in un modo o nell’altro. Riguarda l’identità ucraina e cosa significa e quanto sia diversa o meno dal russo. Le persone che scrivono questi saggi sono tutte bilingue in un certo senso. Andrey Kurkov ha pubblicato un paio di libri in ucraino, ma è fondamentalmente uno scrittore di lingua russa. Per i tartari di Crimea, la generazione più giovane parla e scrive ucraino, ma per la generazione più anziana è russo. Il legame polacco-ucraino è rappresentato anche nel libro, in un pezzo di Ola Hnatiuk.

Quindi è una combinazione di narrativa e saggistica?

No, questi sono tutti saggi. Andriy Kulakov scrive l’introduzione, “Tabula rasa, o come trovare una terra incognita ucraina”. Uno storico, Yaroslav Hrytsak, scrive “Ucraina: una storia breve ma globale del pane ucraino”. Mi hanno intervistato sull’identità cosacca in Ucraina e su Yuri Andrukhovych su “Cultura e letteratura ucraina”. C’è anche un saggio intitolato “Steppe, Empire, and Cruelty” di Volodymyr Yermolenko, che è un ottimo filosofo. Larysa Denysenko, avvocato e attivista, scrive di “La maggioranza come minoranza”. “Guadagnare una madrepatria” di Vakhtang Kebuladze, un filosofo, parla dell’atteggiamento verso il passato sovietico, l’attuale guerra e il luogo in cui appartieni. C’è un saggio intitolato “Donbas-Ucraina, un viaggio di vita” di Volodymyr Rafeenko, che è uno dei rifugiati del Donbas. L’ultimo è intitolato “Sicurezza insicura dell’Ucraina” di Hanna Shelest, un’interpretazione saggistica dell’attuale situazione della sicurezza, o della sua mancanza.

Infine, ha scelto un’opera di finzione, “The Orphanage: A Novel” di Serhiy Zhadan. È uno dei romanzieri ucraini più famosi?

Sì, in Ucraina è probabilmente il romanziere principale; al di fuori dell’Ucraina, penso che Andrey Kurkov sia più conosciuto. Sia Kurkov che Zhadan hanno scritto su questa guerra in corso. Il libro di Andrey Kurkov è che non l’ho incluso perché voglio leggerlo, ma non l’ho ancora fatto.
L’orfanotrofio è un libro estremamente interessante. Serhiy Zhadan proviene dall’Ucraina orientale e durante Maidan ha preso parte agli scontri nella seconda città ucraina per grandezza, Kharkiv, che ora è minacciata da un possibile attacco. È una persona poliedrica: ha la sua band e canta, scrive romanzi e poesie, disegna. Per me è un libro coraggioso perché parla di cose di cui non si doveva parlare durante la guerra. La guerra dice: ‘Questo siamo noi e abbiamo ragione. Noi siamo gli eroi e gli altri ragazzi sono tutto ciò che è l’opposto di quello.’ E certamente siamo ucraini, patrioti ucraini.
Ma nel romanzo scrive di un ragazzo, Pasha, che ha questa identità post-sovietica. È etnicamente ucraino ma non è realmente ucraino o russo. L’identità esclusiva non è sua. Questa è proprio la storia del Donbas, che ora è fuori dal controllo ucraino, e anche di molte parti dell’Ucraina orientale. Le identità nazionali non sono realmente formulate.

Pasha è un insegnante e non si schiera in conflitto, in guerra. Ma ha un nipote che si trova dall’altra parte della linea di demarcazione, nella zona controllata dai separatisti. Sente di dover andare a prendere il nipote e riportarlo in famiglia. Durante il viaggio e il ritorno, si rende conto di dove si trova la sua casa. Anche questa è una cosa grande e importante: la guerra plasma l’Ucraina e l’identità ucraina. Porta all’attaccamento a una nazione che forse non c’era prima in quelle parti orientali dell’Ucraina. È una storia di scoperta a cui appartieni, da quale parte di quella divisione.

Ancora una volta, stavo dicendo che era un libro coraggioso, perché se leggi di questo ragazzo, simpatizzi con lui. Il romanzo è una sorta di spiegazione di questa identità offuscata che non è né qui né là e che, ovviamente, apre tutte queste possibilità di manipolazione. Anche il romanzo è molto ben fatto. Si legge bene. È quasi una rappresentazione e una presentazione fotografica di questa società in cui si sta svolgendo la guerra, senza un tentativo di dipingerla in qualche modo ideologicamente in un modo o nell’altro, o fingere che non sia ciò che non è. In questo senso, è anche un libro molto onesto.

Ho letto la prima parte, dove si mette nei guai perché evita di ascoltare le notizie. Non vuole sapere cosa sta succedendo, vuole solo vivere la sua giornata.

Questa è un’altra parte del meccanismo di reazione in Ucraina, che le persone hanno semplicemente smesso di ascoltare o guardare. È una forma di negazione, ma è anche una forma per affrontare la situazione. Putin attaccherà oggi o no? O forse domani? Una persona non può vivere così per quattro o cinque o sei mesi. In questo momento, in Ucraina, capisco che non c’è panico. Tutto ciò che è normalmente nei negozi, è lì. Le persone non fanno scorta di carta igienica, come abbiamo fatto noi quando è arrivato il Covid. Tutto è in abbondanza. L’unica cosa che non c’è sono armi da caccia e pistole che le persone possono comprare. Questa è l’unica cosa su cui c’è stata una corsa. È interessante il modo in cui la società reagisce. Per qualsiasi motivo, non stanno facendo scorta di nient’altro che le armi, il che significa che vogliono restare e resistere. Vogliono potersi proteggere.

Lei riesce a capire cosa Putin spera di ottenere in Ucraina con l’attuale accumulo? È un po’ confuso per me perché sono sempre stato portato a credere che la sorpresa fosse un elemento chiave nella strategia militare. Se stava per invadere, non avrebbe dovuto già farlo?

Il punto è finire gli affari incompiuti dal 2014. Il suo obiettivo è rendere l’Ucraina filo-russa o smembrarla. Non ci è riuscito nel 2014. Ha afferrato parte del territorio ucraino ma ha mobilitato il resto contro la Russia. In Ucraina, il numero di persone che vogliono entrare a far parte della NATO è aumentato di tre volte. L’Ucraina è diventata più vicina all’Occidente: conducendo esercitazioni militari congiunte con la NATO e così via. È l’esatto opposto di ciò che voleva ottenere. Quindi il piano ora è tornare e minacciare il governo ucraino, creare crisi interne, accaparrarsi più territorio: in pratica, gli obiettivi sono gli stessi.

È una guerra in cui sono già morte 13.000 persone dal 2014, vero?

Sì, tra 13 e 14.000. Inoltre, in questo tipo di guerre, non sono i militari i più vulnerabili, ma la popolazione civile. Sono i cittadini medi che subiscono di più i bombardamenti e gli attacchi aerei.

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Originally published at https://fivebooks.com on February 22, 2022.

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Published on February 21, 2022 16:00

Palindromi”per un giorno …

Palindromi per un giorno …
Vi è mai capitato di imbattervi in una parola o in una serie di numeri che, letti avanti e indietro, possono essere letti allo stesso modo? Si chiama palindromo. A febbraio si possono formare 10 date palindrome a seconda del formato utilizzato per leggere la data. Alcune di queste date sono 2/2/22, 20/2/22 e 22/2/22. Nel 2021, c’erano un totale di 22 date palindrome tra cui il 20 gennaio 2021 o il 20/1/21 che era anche il giorno dell’inaugurazione dell’attuale presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Questo tipo di date in realtà non indicano nulla, ma sicuramente rendono interessanti determinati momenti. I palindromi non si verificano solo con i numeri, ma possono anche essere trovati in parole o frasi come kayak e molti altri. Eccone alcune:

ACCA, ADA, ADDA, AEREA, AFA, AIA, ALA, ALALA, ALLA, ALULA, AMA, ANILINA, ANNA, ANONA, ARA, ARERA’, ARRA, ATTA, AVA, AVALLAVA, AVEVA, AZZA
DVD
EBBE, EFFE, ELLE, EMME, ENNE, ERE, EREGGERE, ERRE, ESOSE, ESSE, ETATE
GAG
IDI, INANI, INGEGNI, INNI, ISSASSI, ISSI, ITI, IVI
KAYAK
ODO, OIDIO, OMO, OMONOMO, ONORARONO, ORERO’, ORO, OSO, OSSESSO, OSSO, OTTETTO, OTTO, OVATTAVO, OVO
POP
RADAR
SOS
TNT
TOT

Un evento statisticamente ricorrente, ma che per alcune discipline può essere ricco di significati che vanno oltre il calendario. Parliamo della numerologia e dello studio dei numeri sacri, ossia la Cabala. A fornire un’interpretazione sui potenziali sviluppi allo scoccare del 22 febbraio 2022 è il fisico ed esperto di numerologia Gian Piero Abbate, come detto uno scienziato laureato anche in teologia che ha lavorato al Cern di Ginevra, con la Commissione europea e da anni si occupa di crescita spirituale, “sondando i territori al confine fra Scienza e Spiritualità” si legge nel profilo sul suo sito che fornisce alcune chiavi per questa data palindroma.
Innanzitutto Abbate sostiene che “stiamo andando verso un evento positivo veramente eccezionale, per il quale però dobbiamo prepararci a livello spirituale” e ha a che fare con “la scienza dei portali”. “Il 2022 è l’anno della scelta e quindi in qualche modo è anche l’anno della dualità. Chi non conosce la Numerologia dice che è un anno di particolare energia femminile, perché si riferisce al 2, e poi questo 2 addirittura compare tre volte, che sommate tra di loro fanno 6, e nella Numerologia Pitagorica sia il numero 2 che il numero 6 sono energie femminili perché sono numeri pari”, spiega citando l’antica Numerologia Caldea e quella Cabalistica secondo cui “il 2 è un numero che esprime energia maschile, mentre il numero 6 è un numero bipolare, cioè 50% maschile e 50% femminile”.
Dualità, dunque, che si esprime anche in questa data che è totalmente palindroma: 22022022. Come vedete letta in un verso o nel verso opposto la sequenza numerica è la stessa. La sua somma fra 12 altro numero fondamentale per le analisi del numerologo che spiega come siamo davanti a un “portale”, un momento molto importante dal punto di vista energetico.
Convertendo la data “dal nostro calendario gregoriano al calendario ebraico tenendo conto dell’ora, le 20:22. Il risultato che otteniamo è il 22 di Adar dell’anno 5782. Notiamo subito la prima singolarità: è un giorno 22 anche in quel calendario. Adar è il 12º mese, quindi 22 del 12, e se adesso sommiamo i numeri dell’anno del calendario ebraico otteniamo di nuovo 22, quindi la data diventa 22/12/22. Non è palindroma però ci mostra un’indicazione importantissima: abbiamo il 22 agli estremi esattamente come già avevamo nella nostra data gregoriana, e in mezzo troviamo un 12 che ci rimanda al 12 che avevamo già trovato in precedenza. Quindi questa è la conferma che effettivamente ci troviamo di fronte a un portale, anzi, a un portale importantissimo perché riguarda l’intera umanità”, spiega l’esperto.
Ma cosa vuol dire? Questo “portale” è “collegato alla necessità di scegliere, alla bivalenza delle situazioni a livello materiale, all’accesso alla sapienza a livello dell’anima e alla nascita di qualcosa di diverso”. Riassumendo la data sottolinea la “necessità di scegliere” ma anche la “violenza delle situazioni a livello materiale”. Insomma, “non è per niente facile oltrepassare questa porta e per prepararci al meglio la prima indicazione … è quella di attivare la coerenza fra il cuore e cervello” dice Abbate che fornisce esempi di meditazione e ricerca interiore ad hoc.

@IL TEMPO

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Published on February 21, 2022 11:17

Simplicio, Galileo e Urbano VIII

Il Libro

Il libro che Galileo Galilei presentò il giorno 22 febbraio 1632 al suo mecenate, il Granduca di Toscana, è diventato noto come il “Dialogo sui due massimi sistemi del mondo”, ma originariamente conteneva un sottotitolo più lungo e più delicatamente formulato: “Dove , negli incontri di quattro giorni, si discute sui due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, proponendo in modo inconcludente le ragioni filosofiche e fisiche tanto di una parte quanto dell’altra”. La censura del papa a Roma aveva approvato il libro, ma quando lo stesso papa Urbano VIII si accorse che la sua fede in un universo incentrato sulla Terra era difesa in modo poco convincente nel libro da un personaggio di nome Simplicio, non fu ingannato dalla falsa imparzialità del titolo, bloccò il libro e Galileo fu processato per eresia.

Il Dialogo di Galileo sui due massimi sistemi del mondo fu la causa più prossima del processo davanti all’Inquisizione. Utilizzando la forma del dialogo, genere comune nelle opere filosofiche classiche, Galileo afferma magistralmente la verità del sistema copernicano su quello tolemaico, dimostrando, per la prima volta, che la terra ruota attorno al sole. La sua influenza è incalcolabile. Il Dialogo non è solo uno dei più importanti trattati scientifici mai scritti, ma un’opera di suprema chiarezza e accessibilità, che rimane leggibile ora come quando fu pubblicato per la prima volta. La Storia, quella vera, con la maiuscola, spiega con tutta la sua forza la Verità.

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Published on February 21, 2022 09:09

February 19, 2022

La “madeleine” di Angela a Sarno, nella Valle dei Sarrasti

Corriere della sera domenica 9 febbraio 2020
L’edicola di Angela. Aveva ragione Marcel Proust. Se vai alla ricerca del tempo perduto puoi ritrovarlo a Sarno, nell’antica Valle dei Sarrasti. Mai titolo sarebbe stato più riassuntivo di quello che non ho dato a questo post per celebrare un evento che segnala l’apertura di una “nuova ma antica” edicola. Potrebbe passare inosservato, un semplice fatto di cronaca di poca importanza. Ma questa “storia” contiene, anche se in minima parte, diversi elementi che concorrono a formare quel piccolo, prezioso mosaico che crea il tessuto della microstoria di una comunità che vede, appunto, il presente diventare il passato del futuro nella realtà del divenire. Il post che segue è presente nell’archivio del mio blog con la data 28 giugno 2018. La foto qui sopra venne pubblicata sul “Corriere della sera” il 9 febbraio di due anni fa.
Non si ricorda mai abbastanza che il presente è il passato del futuro. Una frase che sembra un aforisma in apparenza incomprensibile ma che, se si riflette, capisci che il passato, il presente e il futuro non esistono. Se penso al 1952, mi ritrovo tra le mani il primo numero della rivista di fantascienza URANIA uscita nei primi giorni di Novembre di quell’anno. Era edita da Mondadori e costava 150 lire. Parlava delle sabbie di Marte.
Era un romanzo di uno scrittore scientifico Arthur C. Clarke. famoso autore di “Odissea nello spazio 2001”. Avevo poco più di dieci anni. Il quotidiano “Il Risorgimento” costava 20 lire. “Urania” usciva due volte al mese e costava 150 lire. Nel romanzo si parlava di qualcosa che sarebbe accaduto il 6 agosto del 2012. Era il futuro.
Per me quella data era fantascienza, immaginabile soltanto nella fantasia che poteva avere un giovanetto che, invece di leggere, non dico studiare, quei libri di scuola media di quegli anni del dopoguerra, preferiva guardare, se non leggere, quei “giornaletti”, così come allora venivano chiamati quei pochi giornali, settimanali e fumetti che, sotto quel portone di Via Fabbricatore, nella città dei Sarrasti, nella Valle del Sarno, i mitici ed indimenticabili Angela e Ciro Oletto, avevano appena “aperto”, per così dire.
Già, perchè su una semplice, bancarella, sotto quell’arco che apriva al passante un portone che non c’era e lo conduceva verso quel vicolo ancora oggi aperto e che conduceva verso le “villette” del Paese, dopo di avere attraversato quello spazio che è poi, col passare del tempo, divenuto il personale cortile della mia memoria. Ho avuto modo di parlarne in passato su questo blog. Chi vuole può entrarci. Su quella sgangherata bancarella “Giritiello e Ngiulina” allineavano la loro “merce”. Tra fumetti e qualche copia del famigerato “Grand Hotel” compariva anche qualche libro che introduceva i più fortunati alla lettura di quello che sarebbe stato poi il “futuro”.
Quel primo numero di URANIA, portava, niente di meno, il fortunato lettore sulle sabbie di Marte. Questa la sintesi che merita di essere trascritta perchè documenta come il futuro sarebbe poi diventato passato. ll 6 Agosto 2012 un invasore alieno a forma di disco volante ha azionato i propri razzi frenanti atterrando in una nuvola di polvere. La sorpresa sta nel fatto che il disco volante proveniva dalla Terra e la sua missione era invadere Marte. Il nome del “lander” è “Curiosity”, un nome appropriato, perché è stata proprio la curiosità a spingere l’umanità su Marte fin da quel lontano Ottobre 1952.
Un cimelio, un libro che cerca di descrivere la vita dei coloni terrestri su Marte al riparo di grandi cupole come si può ben vedere nella immagine di copertina. Una lettura che oggi sembra chiaramente anacronistica. Ma allora, per un giovanetto come me, aveva il senso del futuribile. Si trattava di un futuro ancora immaginato a metà, saldamente ancorato al passato. Eppure, questo romanzo ha ancora oggi un valore documentario e ci tiene sospesi ricordandoci quanto è antico il sogno marziano.
Quando il protagonista Martin Gibson alza lo sguardo al cielo, a guardare una stella brillantissima lievemente scostata dal Sole, anche oggi il lettore ne rimane affascinato: “Quella luce ferma e immobile che brillava così inaspettatamente nel cielo diurno, era adesso, e tale sarebbe rimasta per molte settimane, la stella mattutina di Marte. Ma era meglio nota come la Terra”.
Questa luce a sessanta anni di distanza non è ancora tramontata. Se penso a come mi immaginavo il futuro allora, e con esso Marte e confronto il tutto con quello che so oggi non solo di Marte ma di tutto l’universo, mi rendo conto quanto questo futuro sia passato, anzi trapassato. Come “trapassati” sono quei luoghi, quelle persone e quei personaggi della mitica Via Fabricatore in Sarno, nella Valle dei Sarrasti.
Il Libro ieri Il Libro oggi
Non ho conservato la copia di quel primo numero di Urania, smarrita purtroppo nelle pieghe del tempo. Oggi avrebbe un valore affatto venale, da collezionismo. Ma per me questo evento è l’occasione per avere la conferma che è possibile ritrovare il tempo che si crede perduto.
A distanza di settanta anni Angela Oletto, figlia di Nino, suo padre, nipote dei mitici nonni Angela e Ciro, si è insediata nella sua “nuova ma antica” edicola al centro della città, dopo diversi anni di attesa e di contestazioni, riconquistando lo spazio e il tempo perduti.
Ho avuto la possibilità di ordinare la nuova copia di Urania e rileggere la storia delle sabbie di Marte. Le cronache di oggi ventunesimo secolo ci fanno sapere che sono prossime le prenotazioni per fare viaggi spaziali. Virgin Galactic apre le vendite a tutti per i viaggi turistici nello spazio: il prezzo è di 400mila euro. Non esiste il passato, il presente e il futuro … Auguri Angela!
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Published on February 19, 2022 22:48

MEDIUM

Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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