Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 70

September 20, 2022

Il più matto di tutti …

Il più matto di tutti …
21 SETTEMBRE 1452 nasce Girolamo Savonarola. Religioso, politico e predicatore (1452–1498) Un frate contro tutti a Firenze, 1497. Certamente il più matto di tutti, così come si possono leggere i matti in ALMAMATTO. Chi è tua madre, popolo cristiano? Una donna, la Chiesa, piena di misericordia e carità. Ma non oggi!

«Le poppe con le quali lattava ognuno, erano il vecchio e il nuovo testamento; le belle mani erano opere piene di carità. […] Le poppe ora sono tutte guaste: non si dà più latte, non ci è più odore di santi; ella è diventata una leonessa. La donna è diventata leonessa rapace e crudele degli altri animali. La leonessa è molto lasciva, così ora vediamo ogni cosa piena di lascivia».
L’attacco feroce a preti, prelati e principi tutti è l’ennesimo di una lunga serie di prediche urlate dal pulpito dal frate domenicano Girolamo Savonarola.
Poco più che ventenne il predicatore ha già visto «gli stupri, gli adulteri, le ruberie, la superbia, l’idolatria, il turpiloquio, tutta la violenza di una società che ha perduto ogni capacità di bene», da quel momento la sua lotta al potere ecclesiastico e politico sarà acerrima.
Quando nel 1490 viene chiamato a Firenze, inizia ad avere seguito e simpatizzanti tra i poveri e i nemici della Signoria fiorentina. Arrivano le prime ammonizioni da parte di Lorenzo il Magnifico, ma il predicatore, che sostiene di avere il dono della profezia, annuncia sciagure e flagelli e non si sottomette al potere politico né a quello pontificio. Quando viene eletto papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia), è guerra aperta.
Savonarola mira, con sincera passione, a riformare l’ordine dei domenicani, per trasformarlo in un effettivo ordine mendicante, e anche a moderare il potere della Signoria a Firenze: si mette, in pratica, contro tutti.
Il papa lo invita a Roma, ma Girolamo declina l’invito («Non voglio cappelli […] voglio quello che hai dato ai tuoi santi: la morte. Un cappello rosso, ma di sangue, voglio!»). Viene accusato di eresia e falsa profezia. Il 7 febbraio del 1497 organizza il «falò delle vanità», per dare alle fiamme oggetti d’arte, dipinti di soggetto pagano, gioielli, suppellettili preziose, vestiti lussuosi. Le sue prediche contro i vizi della Chiesa continuano con crescente violenza e la sua fine è vicina.
Alla cattura, particolarmente cruenta, seguiranno la carcerazione, la tortura e la condanna a morte: Savonarola viene impiccato e messo al rogo insieme a due confratelli in piazza della Signoria. La mattina dopo la piazza viene coperta di fiori e ancora oggi, il 23 maggio, la Fiorita ricorda l’orrido martirio. Il peccato era nei suoi occhi su qualunque cosa si posassero. Ha cercato il martirio e alla fine l’ha trovato.
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Published on September 20, 2022 12:43

Il vento non sa leggere l’inglese …

Il vento non sa leggere l’inglese …La Verità 20 settembre 2022

Ho letto l’intervista che l’autore di un interessante saggio intitolato “Diciamolo in Italiano” ha dato ad un giornale. L’hanno titolata in maniera davvero catastrofica: “Una nuova parola su due è inglese. L’italiano diventa una lingua morta. In meno di 30 anni gli anglicismi sono raddoppiati e continuano a crescere. Si pensa e si scrive anche che la nostra identità rischia di andare in frantumi.” Scrivo questo post che non intende essere tanto una recensione sul libro, quanto il pensiero libero e forse contro corrente, di chi, questa lingua, l’inglese, la considera “seconda lingua”, dopo quella materna. Non credo che l’inglese stia “assassinando” l’italiano. Se le cose stessero così, di cadaveri la lingua di Britannia ne avrebbe seminato molti lungo il suo cammino nel tempo e nello spazio. Proprio stamani ho letto il corsivo che appare qui sopra scritto su questo argomento che è sempre alla ribalta della cronaca. L’italiano non sta morendo e l’inglese non è la lingua degli “assassini”.

Il Libro

Le cose stanno diversamente e spero di provarlo in maniera semplice e pratica, lontano da filosofismi o intellettualismi dei quali non ho mai saputo cosa farmene. La verità è che le lingue, tutte le lingue, e ovviamente le loro culture, nel mondo contemporaneo, con l’avvento della IT, Informazione Tecnologica, sono destinate ad avere identità diverse da quelle che le hanno caratterizzato per secoli. Per alcuni studiosi questa è la quarta rivoluzione non ancora conclusa e completata: la “Infosfera”. Dopo Copernico, Darwin e Freud, questa in corso è destinata a mescolare tutto.

Se penso a come iniziai a studiare la lingua, quella che oggi è sotto processo per tentato “assassinio” mi vien da sorridere. Ne ho scritto in diverse occasioni sul mio blog e non è il caso che mi ripeta. Quando ero ancora “in cattedra” a scuola, mi sono trovato spesso in conflitto con i docenti di lettere di tutti gli istituti superiori della Scuola italiana.

Ho dovuto litigare con i cari colleghi di latino e greco i quali hanno sempre avuto uno spazio egemone, decisivo e determinante nella formazione culturale degli studenti italiani. Hanno sempre ritenuto che il latino non fosse una “lingua morta” e le poche ore che che fino a pochi anni fa venivano assegnate allo studio delle lingue moderne, in particolare all’inglese, fosse tempo perso.

Non si sono mai resi conto che fuori dalle mura della scuola il mondo stava cambiando inesorabilmente. Radio, cinema, televisione, telefono, fino all’arrivo del Commodore 64 agli inizi degli anni ottanta, il primo pc alla portata di tutti, insieme alla diversa visione della cultura diventata improvvisamente un immenso “ipertesto” globale, avrebbe trasformato non solo la comunicazione linguistica, ma gli stessi contenuti culturali.

Adesso scoprono che ci sono troppi termini stranieri nella lingua italiana, troppi anglicismi, forestierismi, barbarismi, deviazioni linguistiche che danno vita a deviazioni mentali e culturali. Non si tratta di voler fare gli americani, ricordando una famosa canzone di Renato Carosone in auge negli anni cinquanta. In effetti il famoso musicista, con la famosa canzone “Tu vuò fà l’americano” anticipava la storia.

Non credete a chi dice, teme e scrive che l’italiano sta prendendo il posto del latino nello status di “lingua morta”. Il latino non è mai morto, nè tanto meno quel possente antico “mostro” del greco antico. Sia l’una che l’altra, sono lingue essenziali e decisive per lo studio delle lingue moderne e per la costruzione di una vera identità europea ed occidentale destinata a confrontarsi dall’interno della cultura greco-latina e mediterranea, non solo con quella anglo-americana, ma con altre ben diverse come la cultura araba e quella orientale.

Quello a cui dobbiamo state attenti quando si parla di anglicismi e di invasione linguistica, per quanto riguarda specialmente noi Italiani, è il travaso dell’inglese nell’italiano. La voglia di fare non solo gli americani, alla Carosone, ma di atteggiarsi ad essere “globish”, parola che sta per “global english”, atteggiarsi e credere di conoscere davvero l’inglese. Questi anglicismi di cui di parla e si legge nel Parlamento e nel Paese Italia, sono pseudo anglicismi che nessun anglofono comprende davvero. Sono parole inglesi usate quasi sempre in senso diverso. “Ad usum delphini” è il caso di dire, anche se il “delfino” è “latino”, non è morto e non è fesso!

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Published on September 20, 2022 04:25

September 18, 2022

Il libro definitivo: “Grandi problemi risolti in piccoli spazi. Codicillo dell’essenzialismo”

Sossio Giametta

Cinque stelle ***** perchè questo, a mio parere, è “il libro definitivo”: solo 170 pagine, 30 argomenti, per pochi euro hai tra le mani un libro che ti dice tutto quello che è necessario sapere nel XXI secolo. Per giustificare questa mia scelta cercherò di sintetizzare alcune delle trenta idee che caratterizzano i capitoli del libro: la conoscenza, la responsabilità, la religione, il metodo, il nichilismo, la matematica e la logica, il tempo, te stesso, la natura, l’omosessualità, evi-avi, essere, sostanza, essenza, il senso della vita, il libero arbitrio, il genio, l’idealismo e il realismo, la filosofia della politica, il nazismo, la vita è sacra, l’immortalità, Atene e Gerusalemme, Gesù Cristo.

Tutto inizia con la parola chiave che è la “essenza” così come la intese Giordano Bruno. Secondo il Nolano questa è “l’essenza divina che è tutto in tutto, empie tutto ed è la più intrinseca alle cose che la essenzia propria di quelle, perchè è la essenzia delle essenzie, vita de la vita, anima delle anime”. Invece negli esseri viventi ci sono due “cose” eterogenee ma inscindibilmente intrecciate tra loro: l’essenza e le condizioni di esistenza. L’essenza è divina, le condizioni di esistenza sono le nostre, umane, quindi “diaboliche”. “Dunque l’essenzialismo afferma la necessità di una visione di pienezza: del macroantropo e del microcosmo, di tutto il positivo e tutto il negativo e del loro intreccio indissolubile in noi e per noi.”

Nel capitolo successivo riguardante la Natura, per comprendere questo conflitto, il filosofo Sossio Giametta consiglia lo studio del libro di filosofia più bello, completo e profondo perchè consente la decifrazione del mondo: “Il mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenhauer. Egli dipinge il grande affresco della vita umana, delle virtù e dei vizi degli uomini spiegando molte cose inspiegabili. La sua visione è quella di un poeta tragico e il mondo è il romanzo tragico dell’umanità.

Il senso della tragicità sta nel Male perchè: “solo dal punto di vista degli esseri umani ci sono divisioni e distinzioni: male e bene, bello e brutto, vero e falso ecc. Perchè essi, immersi come sono nel divenire con progresso e regresso, evoluzione e involuzione, sono in sè divisi e tirati da due parti: da una parte dall’origine divina, attestata dalla principale caratteristica divina che è l’esistenza, dall’altra dalle condizioni di esistenza fin troppo spesso diaboliche … I più grandi esempi di diabolicità sono: 1. terremoti, maremoti, uragani, incendi, eruzioni, alluvioni, carestie, siccità ecc.; 2. la piramide degli esseri costretti a divorarsi tra di loro perchè la vita si nutre solo di se stessa e quelli che stanno sopra, armati di zanne, artigli, veleno, armi da fuoco, mangiano quelli che stanno sotto, tranne eccezioni in contrario; 3. l’autosuperamento incessante della vita, ossia la precarietà e instabilità di ogni vita e la transitorietà di ogni stadio di essa, oltre che la finitezza di essa stessa; 4. il rovescio della medaglia dell’infinita creatività dell’essere e quindi dell’infinita produttività della natura che però poi non ne ha per tutti gli individui generati; 5 infine, il comune destino di vecchiaia, malattia e morte. Non avendo in sè il male, Dio non ha da preoccuparsi del male degli esseri. Il nostro male è dunque decisamente la nostra piccolezza, collegata alla grandezza di Dio, è la nostra posizione periferica nell natura”.

Alla domanda “Perchè l’essere e non il nulla?” nel capitolo dedicato Giametta conclude che: “l’uomo non è così importante da “scuotere le fondamenta del mondo”, come dice il profeta Isaia. Nell’attribuirgli tanta importanza sia pure negativa, siamo sempre nel sistema tolemaico: l’uomo al centro dell’universo, come scopo della creazione e magari come bersaglio di Dio, invece che come creatura finita e problematica, ma concreta e positiva, su di un pianeta tra i tanti che girano intorno a una stella medio-piccola di una galassia tra le più piccole di quelle che, ciascuna con miliardi di stelle, a miliardi di miliardi popolano uno degli infiniti universi.”

Ma qual è la “morale” di tutto questo? “Come ogni organismo, anche la specie (umana e non) è ordinata gerarchicamente, ha sempre, per così dire, un capo e una coda, strati nobili e meno nobili, allo stesso modo che il nostro organismo avrà sempre un cervello e un intestino crasso e perfino una macchina avrà sempre un motore è un tubo di scappamento. Quindi la specie non potrà mai essere livellata; fatta di tutti buoni, tutti onesti, tutti civili, tutti generosi, tutti giusti; avrà sempre, in senso naturale e non (o almeno prima che) social politico, un’aristocrazia e una plebe, un’elite ed una massa, individui intelligenti, onesti, trasparenti e individui initelligenti, disonesti, opachi; santi e benefattori in cima e ladri e assassini in fondo. In tal modo essa, che non è un’unità statica ma mobile e aperta ai due estremi, in alto e in basso, continuerà a svilupparsi coi primi verso l’alto, verso una specie superiore, e coi secondi verso il basso, verso una specie inferiore, nella concatenazione universale della specie …

Da un lato, allora, mentre la morale è sentita come “un’esigenza insopportabile nella vita dell’individuo e della società, dall’altro i tentativi si moltiplicano perchè nessuno di essi riesce a vincere e convincere … Qual è il politico di più alta moralità? Quello che fa il bene del suo paese. E qual è il bene del suo paese? Primeggiare sugli altri Stati con la potenza (gli stati sono detti appunto “potenze”), ossia far trionfare l’interesse (l’egoismo) del proprio paese su quello altrui. Dunque la moralità consiste qui nel fare per la collettività e non per sè ciò che normalmente l’individuo fa per sè. Ma la collettivivtà, lo Stato, è un grande individuo in concorrenza con gli altri grandi individui simili agli individui in carne e ossa. Si riproduce dunque l’homo homini lupus …”

“L’uomo è un divenire abitato dall’essere”. Questa frase mi ha colpito molto quando ho letto le quattro paginette che Giametta dedica all’ “essere” e al “divenire”. Sono andato subito col pensiero a Amleto per il quale la sua indecisione nell’essere ne condizionava il suo divenire. Mi pare che questa precedente umano sia piuttosto drammaticamente diffuso. Gli uomini sembrano non rendersi conto che vivere significa “essere trascinati irresistibilmente e in modo sempre più vorticoso nel fiume in piena del divenire, verso il salto, la cascata finale”. Così scrive Giametta che, però, mi pare, non sappia decidersi tra le due condizioni. Nel capitolo del libro dedicato alla conoscenza dice che “conoscere vuol dire riportare l’ignoto al noto”.

La conoscenza è “l’enigma del mondo, la realtà alla quale sono stati dati diversi nomi: Dio, essere, sostanza, materia, substrato, volontà di vivere, volontà di potenza, economia, libido, ecc. ma nessuno di questi nomi la definisce perchè essa è, nella sua infinità ed eternità, indefinibile e senza nome, una realtà che non si può pensare, eterna e infinita. L’uomo può averne solo una percezione tutta antropomorfica, secondo la sua natura finita e limitata. Tra l’esterno e l’interno della mente umana, tra il pensiero e la realtà non vi è ponte o passaggio ma solo un velo fatto di illusione o allucinazione. Non è possibile rompere o bucare il manto dell’antropomorfismo che avvolge tutta la nostra conoscenza che è solo uno strumento. Di questo Dio non ha bisogno perchè, per Lui, la conoscenza è libera eterna e infinita creazione e coincidenza di tutti gli opposti, quindi anche di conoscente e conosciuto”.

Per questa ragione, quando Giametta affronta il tema della religione, scrive che: “il cristianesimo è l’interiorizzazione dell’uomo”. Lo spazio che il filosofo dedica a questo argomento ha il riflesso di un “selfie” nel senso che l’uomo cerca la verità e Dio in strati sempre più intimi e profondi, giacchè, “per quanto cammini i confini dell’anima non li troverai mai”, come aveva detto Eraclito. Solamente con ciò che si sviluppa nell’uomo, nella sua anima, questo stesso uomo potrà ritrovare conforto e sfogo verso il mondo esterno. Ma a Giametta non sembra piacere molto l’idea di questa interiorizzazione verso un padre previdente, amorevole e misericordioso. La vita rimane travagliata e drammatica, ingiusta e spietata, tragica e crudele, priva di senso, al di là di se stessa. La religione si riduce ad un semplice “selfie” che può aiutare a vivere, come tutte le illusioni.

Il tempo, d’altra parte, sembra rientrare proprio in questa categoria. Ma ne siamo davvero certi? Giametta scrive che secondo la scienza: “il tempo riposa sul passaggio del calore dalle cose più calde alle più fredde, per cui il tempo diventa “tempo termico”. A noi sembra che riposi sopratutto sulla contemporaneità e successione degli avvenimenti di cui appunto il tempo, di per sè inesistente, è una rivelazione, e sulle sensazioni che ci vengono trasmesse dalle cose facenti parte della realtà, come faceva notare Lucrezio. Dunque il tempo è collegato in definitiva con la realtà oggettiva. A ciò si aggiunge il fatto che oggi per i neuroscienziati il tempo è altresì forma dell’oggetto, di quell’oggetto è anche il soggetto, e in questo senso è fisicamente reale, perchè nel nostro cervello ci son meccanismi nervosi che presiedono a questa funzione (non finzione) della vita”.

Conosci te stesso. Questo è il punto centrale sul quale tutto quanto detto e scritto finora poggia. Alla domanda, senza dubbio metafisica, “Chi siamo?” fa eco “Chi sono io?Ad entrambi non c’è risposta, perchè essendo noi parte del mondo, in definitva: significa: che cos’è il mondo? Ma se non conosciamo noi stessi, che cos’è allora l’Io, col quale ci identifichiamo? L’Io, non isolabile nello spazio e nel tempo, l’Io che tutto conosce e da nessuno è conosciuto”, secondo Schopenhauer, è la continuità della nostra esperienza di noi stessi e delle cose; è la memoria, la coscienza, lo spirito, il custode dell’individuo. Ma non è tutto l’individuo …”

Arrivati a questo punto mi rendo conto che la recensione del libro di Giametta è diventata soltanto la trascrizione del suo pensiero. Non potrebbe essere altrimenti se si considera che questa grande figura di intellettuale, questo “Mago del Sud” è davvero una “magìa” di molteplici talenti: aforista, conferenziere, divulgatore, epistolografo, ermeneuta, filologo, filosofo, freddurista, giornalista, memorialista, moralista, novelliere, oratore, poeta, romanziere, saggista, storico, traduttore.

Un maestro ancora attivo e lucido alla bella età di 93 anni, autore oltre che di questo libro, che ritengo essere “il libro definitivo”, di molti altri tra i quali l’eccentrico e sui generis: Commento a Umano, troppo Umano, Aforisma per Aforisma”. Recensire una mente tanto proteiforme significa davvero sfidare l’impossibile. Bisogna soltanto leggere i suoi libri, specialmente questo che è davvero la sintesi di tutte le sintesi del sapere e della conoscenza. I temi che seguono sono quelli che qui di seguito leggerete: “la natura, l’omosessualità, evi-avi, essere, sostanza, essenza, il senso della vita, il libero arbitrio, il genio, l’idelismo e il realismo, la filosofia della politica, il nazismo, la vita è sacra?, l’immortalità, Atene e Gerusalemme, Gesù Cristo.” Vi pare poco?

Il Libro [image error]
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Published on September 18, 2022 04:39

September 15, 2022

Il primo di una lunga serie di suicidi nel mondo di Hollywood

Il Libro
Questo libro è la prima biografia completa dell’attrice Peg Entwistle, conosciuta come la “Hollywood Sign Girl” a causa del suo suicidio dall’insegna di Hollywood nel 1932. Descrive in dettaglio la sua infanzia, la carriera teatrale e cinematografica, il matrimonio e il divorzio, il suo suicidio e uno status di cultura pop diventato quasi un culto oggi. Ampiamente studiato e scritto con la completa collaborazione della famiglia Entwistle, questo lavoro include estratti da interviste con il fratello di Peg Entwistle Milton e sua cugina Helen Reid, i quali hanno entrambi ricordato gran parte degli anni di Peg vissuta a Hollywood, la sua carriera e vita privata, e i suoi ultimi giorni. Contiene anche molte delle parole scritte da Peg Entwistle, lettere alla sua famiglia e interviste scoperte di recente con giornalisti teatrali. Quasi 30 immagini inedite dalla collezione dell’autore, dalla famiglia Entwistle e da una serie di altre fonti completano uno sguardo intimo su una vita che è stata definita da molto più della sua infelice fine.

16 SETTEMBRE 1932. Peg Entwistle Attrice (1908–1932) La prima di una lunga serie di suicidi. È una tiepida serata di settembre a Los Angeles: la giovane ventiquattrenne Peg Entwistle lascia la casa dello zio, con cui abita, attraversa il Griffith Park e lentamente si inerpica sul monte Lee, che si trova alle spalle della città. Vuole raggiungere una delle installazioni più famose al mondo: le grandi lettere della scritta Hollywood. Arrivata in prossimità della lettera H, appoggia la sua borsetta su un sasso, piega accuratamente la giacca e sale la scala di manutenzione posta dietro la lettera, che è alta 15 metri: giunta in cima, Peg si lascia cadere nel vuoto. È lei la prima di una triste serie di suicidi, in questo luogo. Promettente attrice teatrale, Peg nasce nel Galles nel 1908 e a soli 16 anni ottiene il suo primo ruolo in una spettacolo di Broadway: da quel momento, il suo nome compare in diverse produzioni e la sua carriera prosegue a Boston e a New York. La crisi del ’31, che causa la chiusura di molti teatri, la spinge a recarsi a Los Angeles, per rincorrere il sogno di diventare attrice cinematografica. Ma la competizione è aspra e Peg non emerge. Nell’estate di quell’anno, riesce a ottenere una parte in un thriller, ma poi nell’editing del film la sua scena viene eliminata. Rimasta senza soldi e senza un piano B, la giovane aspirante attrice non regge e un terrore la invade; il sogno diventa tragedia e le sue ultime parole in un biglietto recitano: «Ho paura, sono una codarda. Mi dispiace per tutto. Se l’avessi fatto molto tempo fa, avrei risparmiato molto dolore». Da quella notte del 16 settembre, molti testimoni raccontano che una donna bionda, con l’aria triste e i vestiti anni Trenta si aggira sul sentiero che conduce alle altissime lettere. Al tramonto, giurano i ranger del parco, la figura di Peg scivola nell’aria e un profumo di gardenia pervade i sensi, il profumo preferito da Peg. (Almamatto)

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SEPTEMBER 16, 1932. Peg Entwistle Actress (1908–1932) The first of a long series of suicides. It’s a warm September evening in Los Angeles: the young 24-year-old Peg Entwistle leaves the house of her uncle, with whom she lives, crosses Griffith Park and slowly climbs Mount Lee, which lies behind the city. She wants to reach one of the most famous installations in the world: the big letters of the Hollywood sign. Arriving near the letter H, she places her purse on a stone, folds her jacket carefully and climbs the maintenance ladder behind the letter, which is 15 meters high: at the top, she Peg she lets herself fall into the void. She is the first of a sad series of suicides in this place. Promising theater actress, Peg was born in Wales in 1908 and at the age of 16 she got her first role in a Broadway show: from that moment, her name appears in several productions and her career continues in Boston and New York. The crisis of ’31, which caused the closure of many theaters, pushed her to go to Los Angeles, to pursue the dream of becoming a film actress. But the competition is stiff and she Peg does not emerge. In the summer of that year, she manages to get a part in a thriller, but then in the editing of the film her scene is eliminated. Left without money and without a plan B, the young aspiring actress does not hold up and a terror invades her; her dream becomes tragedy and her last words in a note read: “I’m afraid, I’m a coward. I’m sorry for everything. If I had done it a long time ago, I would have saved a lot of pain. “ Since that night of September 16, many witnesses say that a blonde woman, with a sad air and clothes from the thirties, is wandering on the path that leads to the very high letters. At sunset, the park rangers swear, the figure of Peg glides through the air and a scent of gardenia pervades the senses, Peg’s favorite perfume.

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Published on September 15, 2022 06:47

September 13, 2022

La sostenibile leggerezza del futuro

Dare forma al futuro. Si può? Converso col mio alter-ego che cerca di dare una risposta. Come ti senti riguardo alla tua vita in questo momento? Dimentica tutto quello che sta succedendo nel mondo. Guarda le cose personali che contano per te. Per la maggior parte di noi, è il nostro carattere, la nostra coerenza, una ideale felicità, una possibile salute, questo genere di cose. Le cose su cui abbiamo possiamo intervenire.
Queste cose sono migliori oggi rispetto a un anno fa? Se non sono migliori, sono almeno uguali? In caso contrario, scommetto che c’è un’area nella tua mente che ti rode dentro e corrode i possibili momenti di tranquillità. Prima di intraprendere un percorso di miglioramento continuo in cerca di saggezza, ho avuto molti momenti in cui ho pensato: “Cosa sto facendo della mia vita?” Non in modo professionale o in cerca di successo.
Non pensavo di raggiungere un grande obiettivo o qualcosa del genere. Ho spesso avuto la sensazione di non ottenere il massimo dalla mia mente e dal mio corpo. Una esistenza passiva ha reso la mia vita stagnante. Poi ho iniziato a esaminarla. Come disse Epitteto: “Non è necessario consultare gli astrologi per predire il futuro”. Puoi semplicemente guardare le tue azioni oggi e guardare i risultati che ottieni.
Se non impari mai cose nuove, non sarai più intelligente tra un anno.
Se non ti sfidi mai fisicamente, non sarai più forte. Queste sono le uniche cose che sono sotto il nostro controllo. Ecco perché preoccuparsi di cose come l’economia o la geopolitica è inutile. Epitteto ha affermato che il futuro generale del mondo non è qualcosa che controlliamo, e quindi dovrebbe essere “nulla per noi”.
Tuttavia, le nostre azioni dovrebbero essere tutto per noi. Modificando le tue azioni oggi, puoi dare forma al tuo domani. Ecco cosa ho fatto per apportare tale modifica. Ho iniziato a leggere libri giorno per giorno. Continuo a camminare costantemente. Continuo a scrivere su qualsiasi argomento. Non mi concentro su cose futili o astratte. Quando fai cose che ti migliorano, è solo questione di tempo prima che tutta la tua vita cambi.
Continua a farlo. Impari, lavori, fai esercizio e probabilmente ti sentirai stanco alla fine della giornata. Questa è la sensazione di una buona giornata di lavoro. Questa è la sensazione che dovresti amare. È segno che stai andando avanti. Invece di sentirti frustrato perché non vedi grandi progressi di giorno in giorno, guarda come ti senti alla fine della giornata.
Se non riesci ad addormentarti perché ti preoccupi e ti senti male perché la tua vita è stagnante, è tempo di fare un cambiamento. Ma quando sei a letto e sei stanco perché hai spremuto il massimo dalla tua giornata, sei sulla buona strada per dare forma al tuo futuro. Stai diventando più intelligente, migliore, più forte. Ti auguro il meglio.
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Published on September 13, 2022 06:16

September 10, 2022

Elisabetta II tra “Anglomani” e “Italomani”

Libero 10 settembre 2022
L’Anglomania sta all’Italofobia come l’Anglofobia sta all’Italomania. Un rapporto di amore odio caratterizza da sempre gli inglesi e gli italiani.
La prova la trovate nella storia dei due paesi, nel gran numero di scrittori, poeti, politici e artisti, le infinite relazioni e gli innumerevoli contatti che intercorrono da sempre, tra queste due culture, tanto vicine quanto lontane.
Davvero infinito è il numero dei libri scritti sull’Italia e sugli Italiani da parte degli inglesi. Medesima cosa l’inverso. Posso tranquillamente annoverare anche me stesso e mia moglie in questa seconda categoria. Il passaggio a miglior vita di Elisabetta II mi offre una nuova occasione per rinnovare la mia “Anglomania”.
Proprio in questi giorni mia moglie sta leggendo un ponderoso volume su Napoli scritto da un antiquario bibliomane “inglese” di origini multinazionali, vero proprio “factotum” nel campo della “Italomania”.
Una tematica antica ben confermata nel secolo e nel millennio trascorsi, con un ampio spazio temporale nel quale Elisabetta II ha fatto sentire la sua presenza con la sua grande passione per l’Italia.
Posso dire, senza timore di sbagliare, che “La Regina” ha saputo continuare questo sentimento che aveva già ben dimostrato di possedere la sua grande antenata Elisabetta I per tutto il Rinascimento.
Ad una certa età è naturale voltarsi indietro e ricordare. Ho scoperto in questi giorni che quelli che noi chiamiamo “ricordi”, momenti del vivere, oggettivamente legati al passato, sono quasi sempre collegati a qualcosa che accade nel presente.
Con la fine del regno di Elisabetta II e con il discorso alla nazione di suo figlio Carlo, diventato Carlo III, inizia una nuova epoca anche se il Regno Unito, vale a dire la Gran Bretagna, cioè l’Inghilterra, la Scozia, il Galles e l’Irlanda del Nord, il tutto geograficamente definito anche “Isole Britanniche”, non fanno più parte dell’Unione Europea della quale hanno fatto finora parte per un bel pò di tempo.
Non si tratta di un semplice voltare pagina. Se penso a quando, settanta anni fa, per entrare in quel Regno dovetti mostrare il mio passaporto, sul quale a Dover apposero un permesso di soggiorno per quattro settimane e rivedo oggi il ritorno di questa procedura, mi viene ben da riflettere.
Dopo di essere vissuti per tanto tempo in un’area europea di libera circolazione, mi rendo conto di come la realtà evolve in maniera inaspettata. Spesso, come accade oggi, sembra quasi che si ritorni indietro. Ma così non è.
Il discorso dell’appena insediato Carlo III, mentre i cannoni reali sparavano i canonici 96 colpi per gli anni vissuti da Elisabetta II, segnalano un nuovo inizio per il Regno Unito.
Dice bene Nicholas Farrell, un inglese, anzi un “British”. Nell’articolo nella schermata qui sopra si dichiara affetto da “italomania”. Giornalista e scrittore, collaboratore del quotidiano “Libero” e dell’antico settimanale inglese “The Spectator”, scrive testualmente:
“E’ meglio una testa coronata di un presidente eletto dai politici. Elisabetta aveva tutti i poteri ma li ha usati solo per il bene del nostro Stato-Nazione”.
Con questa frase l’ “Italo-British” sintetizza la sua “Italomania”, con ben SEI figli da una signora italiana, residente in Emilia Romagna. Scrive che anche se si sente un “Italomane”, non vorrebbe mai perdere la sua identità.
Se mi chiedete, per contrappeso, cosa farei io, “Anglomane” dichiarato da sempre, unitamente alla mia metà del cielo per ragioni di studio e di lavoro, avrei delle serie difficoltà nel rispondere. Ricordo una nota poesia di Robert Frost “The Road not Taken” (“La strada che non presi”)…
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Published on September 10, 2022 08:00

September 8, 2022

Elisabetta II, mia Madre ed io …

Elisabetta II, mia Madre ed io … “La Regina Elisabetta, Regina d’Inghilterra … ed io”
Sette anni fa scrissi sul mio blog un post di cui vedete qui sopra la schermata iniziale. Lo riproduco per ricordare a me stesso il rapporto che ho avuto con il Paese di cui questa Donna è stata Regina per 70 anni.
Non è stata l’unica volta che ho scritto di questa Signora inglese. Non so perchè e non chiedetemi come, mi ha sempre ricordato mia Madre, specialmente in questi ultimi tempi, a distanza di tanto tempo dalla sua scomparsa.
Ogni volta che la vedevo alla TV o sulle pagine dei giornali, mi ricordavo di Lei, mia Madre. Sono trascorsi 18 anni. Oggi se n’e andata anche Lei, non una donna o una regina qualsiasi, ma la Donna Regina.
Non sembri surreale (fantastico, irreale, kafkiano, onirico, visionario, assurdo, inverosimile) l’accostamento che faccio tra Concetta, mia Madre e Elisabetta II, la Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
Proprio l’altro giorno, mettendo in ordine le tante carte che il tempo mi ha fatto accumulare nel suo inesorabile scorrere, ho ritrovato una malridotta agenda nella quale mia Madre conservava i suoi pensieri e accadimenti familiari.
Non sapevo che aveva trascritto i suoi semplici, scarni, quotidiani pensieri. Non avevo mai aperto quel diario di piccole “cose”. Niente di speciale, semplici, brevi frasi come possono essere i pensieri di una piccola, comune donna di provincia italiana.
In questa agenda ho letto quello che pensava e trascriveva in gran segreto quando riceveva le mie lettere che le inviavo dall’Inghilterra dove ero andato per imparare la lingua.
Ero a sud di Londra, ospite di una famiglia inglese di origini di Tramonti, in Costa d’Amalfi, il paese di mia Madre dove mi diede alla luce, poi ero finito, come studente infermiere, in un ospedale mentale a nord di Londra, per mantenermi agli studi.
Mi ha colpito, in particolare, una frase, anzi una sola parola, scritta in un giorno di dicembre 1962. Riporta quello che avevo scritto nella lettera: “Tanta neve e tanta nebbia, temo che il sole non sorgerà mai più”. Lei aggiunge nel diario: “Prego”.
Era di poche parole mia Madre Concetta, come credo anche Elisabetta II. Entrambi donne per le quali le parole servizio, dignità e responsabilità sono state parole chiave per definizione. Elisabetta II passerà alla storia per le stesse parole con le quali mi ha ricordato mia Madre.
Se per Lei “servizio, dignità e responsabilità” sono state le parole chiave che l’hanno fatta ultima grande Regina di un Impero che non esiste più, posso dire, con piacere e con un velo di tristezza, che lo furono anche per mia Madre, una donna semplice, per una famiglia come la mia.
Ricordate quel famoso musical, poi diventato anche film, degli anni cinquanta, interpretato da Yul Brinner e Deborah Kerr intitolato “The King and I”? Bene, per il titolo di questo post mi sono ispirato ad esso per omaggiare una donna che siede sul trono d’Inghilterra da oltre sessanta anni.
Non sono un monarchico ne’ tanto meno un anglomane, ma è come se lo fossi, visto e considerato che gran parte della mia vita è legata a questo che non è un Paese qualsiasi ma addirittura un Regno.
Sono esattamente 63 anni e mezzo che Elisabetta continua a sedere su quel trono, mentre io sono precisamente 53 e passa anni che mi sento come un suo “suddito” visto e considerato che gran parte della mia vita culturale, ed anche familiare, è legata alla realtà della lingua inglese.
Sono passati ben 53 anni da quel lontano mese di ottobre del 1962 quando, alle nove di una umida e nebbiosa sera, arrivai alla Victoria Station di Londra per iniziare la mia avventura inglese. Napoli-Roma-Parigi-Calais-Dover-Londra dopo quasi 48 ore di treno ed una traversata abbastanza burrascosa.
Sul passaporto avevo un permesso di entrata per solo tre settimane. La mia speranza era di trovare un lavoro stabile per ottenere il tanto sospirato soggiorno. Come cambiano i tempi, ma i ricordi restano sempre gli stessi! Di Elisabetta sapevo ben poco, quasi niente. Non sapevo nulla nemmeno degli “scarafaggi” di Liverpool e di Mary Quant, quella signorina di Carnaby Street che inventò la minigonna.
Sapevo che Elisabetta era su quel trono da quasi dieci anni mentre io cominciavo la ricerca di un posto dove dormire. Meno male che c’era Alfred ad attendermi ai binari. Lui era un “suddito” di sua maestà britannica, ma discendeva da una mamma tramontina in Costa d’Amalfi ….. Qui mi fermano questi puntini pieni di ricordi che non hanno niente a che fare con la Regina Elisabetta e il suo regno, il più lungo della storia della monarchia inglese.
Di fianco, la rivista TIME ha elaborato una simpatica ed elegante scheda grafica per ricordare l’evento di una Signora Regina che a dire di uno dei suoi più autorevoli biografi non ha mai detto nulla di speciale durante il suo lungo regno, ma lo ha fatto in maniera straordinaria tanto da attirarsi anche le simpatie dei più accaniti repubblicani e anglofobi.
Il suo titolo regale suona esattamente così: “Elisabetta seconda, per grazia di Dio del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e di altri reami e territori Regina, Capo del Commonwealth e Difensore della Fede”. Mi pare abbastanza esauriente come biglietto da visita.
Per quanto poi concerne i suoi diritti sono questi: “Ha il diritto di essere consultata dal Primo Ministro per incoraggiare alcune azioni e scoraggiarne altre. Lei è il capo supremo della Chiesa d’Inghilterra e Scozia anche se l’una è anglicana e l’altra presbiteriana. Lei è la guardiana di chi ha bisogno di protezione, a partire dai bambini a chi è malato di mente.”
Alcune cose divertenti che la riguardano. Elisabetta non può essere chiamata e testimoniare in tribunale. Non può prendere in affitto proprietà da un suo concittadino ma può andare in carrozza a Hyde Park anche là dove è vietato. Può guidare la sua auto alla velocità che vuole ed è la prima persona della famiglia reale a detenere un record dorato. Anche se è nata nel mese di aprile il suo compleanno lo si festeggia in giugno. Elisabetta non può votare e si suppone che se potesse non potrebbe dire chi ha votato.
Il Primo Ministro inglese David Cameron ha dichiarato: “Per 63 anni Sua Maestà è stata una roccia di stabilità in un mondo in continuo cambiamento e il suo disinteressato senso del dovere e di servizio hanno attratto verso di Lei ammirazione non solo in questo Paese ma nel mondo intero”. Questo senso di certezza e di continuità caratterizza la realtà culturale inglese sulla quale questo blogger ha costruito gran parte della sua esistenza. Lunga vita alla Regina!
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Published on September 08, 2022 13:42

September 7, 2022

La Patafisica. La cura per vivere …

La Patafisica. La cura per vivere … Il Libro
La data dell’8 settembre sembra fatta apposta per festeggiare tutto ciò che riteniamo sia “assurdo”. Dal lat. “absurdus”, propr. «stonato», derivato di “surdus” «sordo», che è contrario alla ragione, all’evidenza, al buon senso. La vita è “assurda”, eppure l’umanità non se ne rende conto.
E’ il suo destino, in un universo che è del tutto indifferente a quello che ci accade. In sintesi, questa è la filosofia dell’assurdo. Siamo tutti alla ricerca di soluzioni irrisolvibili e perciò diventiamo appassionati di Patafisica. Non sapete cos’è? Continuate a leggere.
Volete qualche esempio di problemi assurdi che non hanno senso? Lo stiamo vivendo ormai da quasi tre anni in un clima globale che include tutti i sensi possibili: civili, politici, economici, religiosi oltre quello naturale e guerresco continuato.
Su questa data rileggetevi anche quello che accadde, l’8 settembre del 1943 quando venne firmato l’armistizio che divise l’Italia e fecero diventare l’Italia, con la fine della seconda guerra mondiale, un Paese allo sbando. Continuiamo ad essere un paese di “sbandati”.
Ma c’erano già state manifestazioni assurde e continuate in precedenza. Le tracce risalgono alle storie del Vecchio Testamento. Ricordate il Teatro dell’assurdo?
Era piuttosto naturale che questa idea fosse accettata e filtrata in quasi tutte le arti, sempre alla ricerca di senso, un significato, delle idee che potessero aiutare artisti, scrittori, filosofi e poeti a trovarlo.
Il teatro divenne il luogo ideale per cercarlo senza mai trovarlo. Scrittori come Jean Genet, Samuel Beckett, Tom Stoppard dimostrano che l’arte potrebbe dare un valido senso alla ricerca pur senza arrivare mai a coglierlo.
Come filosofia, il concetto di “assurdo” nacque nel dopoguerra, in reazione all’esistenzialismo con la minaccia nucleare e a seguito anche delle difficoltà che emersero per il superamento della scoperta di quelle che erano state le crudeltà del nazismo.
In maniera diversa, sia dall’esistenzialismo che dal nichilismo, l’ “assurdo” tendeva a sostenere che ci debba essere un significato all’esistenza, ma non siamo in grado di conoscerlo. Il semplice fatto che gli uomini si sforzano di cercarne uno, è del tutto “assurdo”.
E così arriviamo all’ 8 SETTEMBRE del 1873 quando nacque Alfred Jarry, drammaturgo, scrittore e poeta.
Un provocatore nato «Merdre!»: è gridando questa parola che entra in scena il protagonista della pièce teatrale Ubu Roi. La parola nasce dalla fusione tra mère (madre in francese) e merde (merda). È l’imprecazione preferita di un uomo volgare, arrogante e scaltro, l’ufficiale di fiducia di re Venceslao, che vuole conquistare il potere e diventare re, attraverso l’omicidio, le bugie, gli imbrogli.
Siamo nel 1896, a Parigi, e l’autore è il padre del teatro dell’assurdo, Alfred Jarry. Anticipatore di avanguardie, vuole un teatro essenziale, sordido, satirico, senza grandi scenografie, con pochi attori in scena, che ribalta totalmente le mode dell’epoca. Alla prima dello spettacolo, il pubblico si divide: da una parte, gli amici di Jarry, tra cui spiccano i poeti Mallarmé e Apollinaire, applaudono l’evento come un’opera dirompente e innovatrice; dall’altra, in platea, si assiste a una furibonda contestazione che finisce in rissa!
La critica lo stronca: «Alla stupidità c’è un limite!» Ma Ubu Roi, con la sua enorme pancia, il grande cappello e la spirale disegnata sul pancione, diventa una vera e propria icona. Jarry, dal canto suo, diviene un protagonista dei salotti intellettuali parigini di fine Ottocento; frequenta Bergson, Mallarmé, Gauguin, Apollinaire, Ravel; impone la sua presenza con una grande energia. È piccolo di statura, molto muscoloso, eccentrico (spesso si diverte a sparare tra la gente, quando è arrabbiato) e utilizza, come Ubu, il plurale maiestatis.
Presto il personaggio e l’uomo perdono i confini l’uno dell’altro e Jarry si sente obbligato dalle aspettative di chi gli sta intorno a diventare volgare, stupido e cattivo come il suo personaggio. Eppure è un intellettuale colto e raffinato: è persino l’inventore di una nuova disciplina, la patafisica, ossia «la scienza delle soluzioni immaginarie». Si tratta di una paradossale e geniale anti-scienza, che si concentra sulle eccezioni, studiandole «in maniera analitica e allucinata», basandosi su giochi di parole, intuizioni, accostamenti geniali.
La vita di Jarry brucia in fretta: abita in una baracca sulla Senna e da lì ogni giorno pesca il pesce di cui si nutre (in barba ai divieti di legge); è molto povero e vive in compagnia di gufi, topi e civette. Beve, negli ultimi anni della sua vita, dai tre ai quattro litri di vino al giorno, a cui aggiunge etere e assenzio: fisico e psiche non reggono a lungo. Muore a 34 anni, per una meningite tubercolare, chiedendo sul letto di morte: «Datemi uno stuzzicadenti!» (Almamatto)
Aveva ragione Samuel Beckett, uno dei miei scrittori preferiti di lingua inglese. Chi non ricorda “Godot”? una commedia che tutto è tranne una commedia. Premio Nobel per la letteratura nel 1969, ricordo che comprai nel 1962, a Londra, una delle prime copie di “Godot” e non ci capii assolutamente nulla.
Ero agli inizi dello studio della lingua, ero là a studiarla lavorando. Avrei capito tutto solamente vivendo, quando alla fine diventi “patafisico”. Giovane com’ero, non potevo capire l’idea, il concetto, la definizione di “assurdità”.
La parola-chiave era, appunto questa. La vita come “teatro dell’assurdo”. Ci vuole una filosofia. Appunto, la Patafisica: la «scienza delle soluzioni immaginarie».(@) “Sei sulla Terra. Non c’è cura per questo”.
“Sei sulla Terra. Non c’è cura per questo”[image error]
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Published on September 07, 2022 06:42

September 6, 2022

L’inconscio che parlava romanesco

7 SETTEMBRE 1791 nasce Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo Belli. Nei suoi 2279 Sonetti romaneschi, composti in vernacolo romanesco, raccolse la voce del popolo della Roma del XIX secolo.
L’inconscio parla romanesco. Quello di Gioachino Belli sembra proprio un caso di doppia personalità. Si «sistema» a 25 anni impalmando una vedova benestante di una decina d’anni più anziana di lui, svolge modesti lavori impiegatizi e si dedica alla poesia e alla letteratura. La morte della moglie ne incupisce il carattere, rendendolo «malinconico e irritabile».
I moti del 1848 lo sconvolgono, spingendolo su posizioni reazionarie, tanto che, nominato censore, esercita la carica con sommo zelo, fiutando ovunque idee sovversive e giungendo a condannare le tragedie di William Shakespeare e i melodrammi di Rossini e Verdi. La sua produzione letteraria in lingua è all’insegna della tradizione arcadica e del conformismo, ma accanto a questa produce più di duemila sonetti in dialetto romanesco, quasi tutti inediti, un grandioso «monumento» alla plebe di Roma, vista con gli occhi e il realismo di chi a quella plebe appartiene.
Un miracolo. Belli diventa un altro, smette i panni del papalino reazionario, per ritrarre con spirito satirico e crudo realismo una società in disfacimento sociale e morale e un mondo popolare miserabile e vitale, sanguigno e spietato, per arrivare a riflettere sulla stessa condizione umana.
È come una protesta che sale dal profondo, un impeto di ribellione spontaneo, istintivo e incontrollato. La produzione dialettale avrebbe dovuto rimanere segreta: nel testamento lascia infatti scritto di bruciare le sue carte. Fortunatamente non avvenne. (Almamatto)
L’anno che Gesucristo impastò er monno,
Ché pe impastallo già c’era la pasta,
Verde lo vorze fà, grosso e ritonno,
All’uso d’un cocommero de tasta.
Fece un zole, una luna e un mappamonno,
Ma de le stelle poi dì una catasta:
Su ucelli, bestie immezzo, e pesci in fonno:
Piantò le piante, e doppo disse: “Abbasta”.
Me scordavo de dì che creò l’omo,
E coll’omo la donna, Adamo e Eva;
E je proibbì de nun toccaje un pomo.
Ma appena che a maggnà l’ebbe viduti,
Strillò per dio con quanta voce aveva:
“Ommini da vienì, sete futtuti”
— — -
La creazione del mondo
L’anno in cui Gesù Cristo impastò il mondo,
che per impastarlo c’era già la pasta,
lo volle fare verde, grosso e rotondo
come un cocomero da assaggiare.

Fece un sole, una luna, e un mappamondo,
ma di stelle, poi, ne fece una catasta:
sopra gli uccelli, le bestie in mezzo, e i pesci in fondo:
piantò le piante, e dopo disse: Basta.

Mi scordavo di dire che creò l’uomo,
e con l’uomo la donna, Adamo ed Eva;
e proibì loro di toccare una mela.

Ma non appena li ebbe visti mangiare,
strillò «per Dio!» con quanta voce aveva:
«Uomini a venire, siete fottuti!».
— — — -
The year Jesus Christ kneaded the world,
The stuff for doing so was already there,
He wanted it to be green, big and round,
Like a ripe water-melon.
He made a sun, a moon and a globe,
And a real multitude of stars:
Birds up, animals midway, and fishes at the bottom:
He planted plants, and then said: “That’s enough”.
I forgot to say that he created man,
And, with man, woman too, Adam and Eve;
And he forbade them to touch a fruit.
But as soon as he saw them eating,
By God, he shouted as loud as he could:
“People to come, you’re in trouble”.
Questa trascrizione popolaresca della creazione del mondo è uno dei primi sonetti di Belli. Venne composto a Terni il 4 ottobre 1831 e dà avvio al filone dei sonetti sugli episodi della Bibbia. La creazione del mondo è descritta con tono favolistico e satirico, come il tiro mancino di un Creatore spinto dalla vendetta.
La prima quartina fa riferimento a due metafore alimentari: pasta e cocomero. Inoltre nei primi due versi Belli utilizza gli errori teologici popolari dove non Dio ma Gesù è l’autore dell’universo che non viene creato dal nulla ma “impastato” da una materia informe, che già era pronta (già c’era la pasta), non creata dunque.
La seconda quartina mostra un Dio giardiniere, all’apparenza benevolo, ma che nell’ultima terzina sentenzia con maligna soddisfazione l’inutilità dello sviluppo futuro del genere umano (l’effetto comico-paradossale è reso attraverso l’immagine di un Dio che, fortemente irritato si lascia andare a gridare con un gran vocione).
Nella Bibbia belliana Dio è un tiranno e persecutore, un Dio che sta sempre dalla parte dei potenti e che manifesta il suo potere con divieti incomprensibili e punizioni eterne, angariando i comuni mortali condannandoli all’immutabilità di una condizione umana misera, ad una vita d’inferno che non cambierà neppure dopo la morte perché proseguirà con l’inferno dell’al di là.
A differenza dei racconti Biblici per Belli gli uomini non hanno nessuna possibilità di redenzione e di riscatto, come declamato da Dio stesso in conclusione del sonetto. Non c’è nessuna speranza di redenzione perché chi dovrebbe operarla è un popolo inetto e spregevole tanto quanto chi lo comanda.
Emerge quindi il radicale pessimismo di Giuseppe Gioacchino Belli che assume sfumature nihiliste.
Sonetto, composto da due quartine e due terzine, a schema ABAB, ABAB, CDC, EDE. (Parafrasando.it)
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Published on September 06, 2022 13:34

September 5, 2022

La “favola” della vita non come “stupido intento”

Foto@angallo

Stamattina ho fatto la foto che vedete qui durante il mio solito footing. Ogni mattina ho l’opportunità di svelare il mistero della vita. Ognuno di noi lo fa come può: chi non sa farlo, chi non vuole farlo, chi non se ne rende conto, chi se ne frega, chi lo legge come mistero, chi come una favola. Io lo faccio da mattiniero, camminando per scoprire “il miracolo di vivere”.

Dopo aver fatto la foto, ho aperto il giornale e ho letto che un giovane di soli 27 anni ha vinto il Premio Campiello con un libro intitolato I miei stupidi intenti. Si chiama Bernardo Zannoni. Credo che leggerò il suo libro, anche se la narrativa non è il mio forte. Lo farò perchè, in una sua intervista, ha detto che il suo libro è “una favola su Dio, la scrittura e la morte”.

La parola chiave è proprio quella: “favola” che mi riporta a quella mia con la quale ho commentato la foto di cui ho parlato all’inizio del post: . “Favola” e “Miracolo” possono essere benissimo due sinonimi per i quali la vita merita di essere vissuta. Onore a questo giovane che “legge” la vita in questi termini facendola rivivire, parlandone e scrivendone, in forma di una autobiografia di un animale. La storia dei viaggi di un animale, la faina, che ha una coscienza e attraversa le tre principali illusioni: Dio, la scrittura e la morte. A mio modesto parere per niente “illusioni”. Alla domanda della giornalista perchè “illusioni”, il giovane Bernardo risponde:

“La prima cosa che arriva è la morte. Poi ci siamo inventati Dio, che non so se esista o non esista e non voglio fare quello che la sa più lunga perchè è solo fiction. Dopo arriva la scrittura, che promette non dico la salvezza dell’anima, ma di riuscire a sopravvivere oltre la nostra vita. Illusioni perchè il tempo è talmente ampio che la pietra si erode, la carta si scioglie, la memoria si perde e Dio non si sa. La morte è l’illusione che raccoglie tutti, perchè tempo è talmente infinito e vasto che le nostre vite sono un battito di cigli. Siamo già morti mentre sto parlando”.

Non c’è che dire, il giovane Bernardo sembra saperla già lunga la storia della vita e decide di intendere il tutto come “favola”. Devo dire che io, i miei 27 anni, li ricordo come una “favolosa” realtà che si è dissolta nella infinita, misteriosa illusione del tempo che non ha ancora segnato la sua fine, almeno per quanto mi riguarda. Lui ha tutto il tempo per fare in modo che la sua esistenza non continui ad essere soltanto una “favola”.

Leggerò, comunque, il suo libro e gli consiglio di coltivare, accanto a questa idea, anche quella che riguarda una possibile “divinità” dell’esistenza. Gli auguro di capire che l’esistenza è non solo il mistero dei misteri ma anche il dono dei doni, la cosa più sbalorditiva e inspiegabile che ci sia nella sua elementare semplicità.

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Published on September 05, 2022 04:09

MEDIUM

Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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