Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 43
November 14, 2023
Il “nulla eterno” come ossimoro


“Il nulla eterno”. A prima vista, potremmo considerare questo concetto come un ossimoro, un’apparente contraddizione in termini. Tuttavia, se ci addentriamo nella complessità del discorso, potremmo scoprire che le apparenze possono ingannare. Per iniziare, dobbiamo comprendere cosa intendiamo con “nulla”. Il nulla può essere inteso come l’assenza di tutto, una condizione in cui non esiste alcuna forma di materia, energia o coscienza. È l’opposto assoluto dell’essere, una sorta di vuoto primordiale.
L’eternità, d’altra parte, è un concetto che si riferisce a una durata infinita nel tempo, senza inizio né fine. È un’idea che supera i confini della nostra comprensione e che sfida la nostra concezione lineare del tempo.
Quando combiniamo questi due concetti, otteniamo il “nulla eterno”, un’entità che non solo manca di contenuto, ma che è anche priva di qualsiasi principio o fine temporale. In apparenza, sembra un paradosso irrisolvibile.
Tuttavia, alcune correnti filosofiche e scientifiche hanno cercato di affrontare questa apparente contraddizione. Ad esempio, nella teoria quantistica, il vuoto quantistico è considerato uno stato di bassa energia, ma non completamente privo di attività. Secondo la teoria delle stringhe, potrebbe esserci un multiverso in cui il nulla eterno è solo una delle infinite possibilità.
Alcuni filosofi hanno considerato il nulla eterno come una sorta di condizione metafisica primordiale da cui tutto può emergere. Secondo questa prospettiva, il nulla eterno potrebbe essere la matrice da cui si sviluppano le forme, le energie e le coscienze. Questa riflessione sul nulla eterno ci spinge a interrogarci sulle nostre stesse limitazioni cognitive.
Forse il nostro linguaggio e la nostra capacità di concepire il mondo sono intrinsecamente legati alla nostra esperienza umana e alla nostra percezione del tempo. Potrebbe essere che il “nulla eterno” sia semplicemente al di là delle nostre capacità concettuali.
L’ossimoro del “nulla eterno” ci invita a esplorare le profondità del pensiero umano e ad abbracciare l’incertezza che risiede nelle questioni più profonde della filosofia e della scienza. Mentre cerchiamo di comprendere l’incomprensibile, potremmo scoprire nuove prospettive che ci aiutino a superare le apparenze e ad abbracciare la complessità del mondo che ci circonda. Siamo in un’altra dimensione a noi preclusa.[image error]
November 13, 2023
A chi appartiene la vita?

Una domanda filosofica e forse provocatoria. Tanto per aiutarci a vivere, tra cataste di morti e speranze di vita: a chi appartiene la vita, la vita di ognuno di noi, ed anche quella di Indi che, ormai, non respira più?
Questa “creatura” era un individuo o una persona? Sono individui o persone gli arabi, israeliani, palestinesi, ebrei, per non dimenticare poi gli ucraini e i russi, i serbi, i cinesi, i bianchi e i neri e tutti gli altri?
Tu, caro lettore che eventualmente mi leggi, a chi ti senti di appartenere? A te stesso o alla tua famiglia, alla tua religione, al tuo partito, alla tua ideologia, filosofia, patria, se ne hai una? Mi aiuti a capire, se possibile?
Indi Gregory ormai appartiene a madre Natura, ad essa è ritornata, secondo altri è nel regno dei cieli col suo Creatore, in un universo senza fine. Cittadina inglese o italiana, non fa differenza. A noi non resta che la sua memoria.
Quei pochi giorni che ha vissuto costituiscono la sua unica dimensione che si ritrova nella sua eternità. Come a questa “eternità” appartenevano tutte quelle “creature” denominate “pazienti”, che ho accudito in quella stessa Inghilterra dove è nata e passata a miglior vita Indi Gregory. Alla sua memoria dedico questo post.
Non avrei mai pensato che i quasi due anni che ho trascorso in quell’ospedale per pazienti con handicap fisici e mentali, giovani e vecchi, adulti e bambini, maschi e femmine, avrebbero avuto tanta importanza nella mia formazione morale, intellettuale, culturale e sociale. Ho avuto la possibilità di conoscere, visitare e frequentare diverse istituzioni universitarie, ma nessuna di queste come Harperbury Hospital ha avuto tanta importanza.
In una delle tante vite che ogni essere umano vive, posso dire di averne avute diverse. Una di queste è stata quella quando sono stato studente infermiere proprio nel paese di Indi Gregory, in quell’ospedale a nord di Londra diventato poi un derelict place ancora presente in Rete.
Un posto della mente che mi porterò dentro per sempre. Ne ho scritto in diverse occasioni, non intendo ripetermi. Non posso però fare a meno di ricordarmi di quella esperienza specialmente quando guardo la foto di Indi che ho messo a corredo di questo post.
C’erano tre “ward” (reparti) a Harperbury riservati ai bambini classificati per età e patologie. In quello al numero 1 ospitavano anche neonati con patologie simili a quelle di Indi. Non ho mai fatto servizio in questi reparti perchè soltanto infermieri qualificati potevano svolgere le loro funzioni.
Durante il corso di formazione che seguii per sei mesi, prima dell’esame per il livello preliminare annuale, ebbi modo di conoscere quella realtà umana che non immaginavo potesse esistere. Si trattava di curare e tenere in vita “creature” che non avevano alcuna aspettativa di vita futura normale.
Fatali lesioni cerebrali, handicap fisici totali, deficienze mentali e fisiche senza speranza. Creature viventi che dovevamo aiutare a vivere senza che essi sapessero qualcosa del loro essere in vita. Neonati, fanciulli, bambini, ragazzi che sarebbero cresciuti, maschi e femmine, sarebbero diventati adulti con le loro “deficienze” e sarebbero poi stati trasferiti in altri reparti.
Ricordo in particolare il “ward 6”, quello dei vecchi e il “ward 8” quello riservato ai soggetti pericolosi. Aveva le pareti di gomma e la stanza con la terapia elettroconvulsivante. Tutti dovevano vivere, pur non sapendo la maggior parte di essi a chi apparteneva la loro vita.
La questione a chi appartenga la vita umana è stata oggetto di dibattito in vari contesti, tra cui etica, diritto e religione. L’Italia ha fatto la sua parte offrendo la possibilità ai genitori di Indy Gregory di curare la loro figlia in Italia in un ospedale di proprietà del Vaticano. Il diritto inglese ha avuto il sopravvento, è stata staccata la spina e Indy ha smesso di soffrire. Perchè di questo si trattava. Farla smettere di soffrire. Secondo alcuni.
Secondo me questa decisione è stato un errore perchè la Natura rimane un mistero complesso e imprevedibile nelle sue manifestazioni. La “natura” di Indy avrebbe potuto reagire in un modo a-scientifico ed imprevisto. La decisione inglese di staccare la spina ha dimostrato che la vita appartiene allo Stato. Tutto il contrario di quello che facevamo ad Harperbury. E’ nato un “mondo nuovo” …[image error]
November 12, 2023
La “storia” di una edicola nella scatola dei ricordi

Questa fotografia non è la semplice immagine di una edicola che si autodefinisce “storica”. Chi sa “leggere”, in una fotografia, riconosce i luoghi, le persone e le memorie, e ha la possibilità di fare un viaggio nel passato, mentre osserva i cambiamenti del presente. Non è la prima volta che mi occupo di questo argomento.
Mi piace leggere il presente rintracciando il passato filo della memoria, la mia, per giustificare proprio quel termine, “storica”, che caratterizza il tutto. Non è la grande storia, quella con la lettera maiuscola, ma è proprio questo il caso: la piccola storia, fa la grande Storia. Quando ho scattato questa immagine non mi sono reso conto di quello che stavo facendo.
Volevo soltanto fermare un momento di vita, quando ogni mattina vado all’edicola di Angela, la moderna titolare della famiglia Oletto, figlia del mitico Nino, nipote degli altrettanto mitici “ ‘Ngiulina e Giritiello”, per la mia quotidiana porzione di informazione cartacea. Attraverso questa immagine posso ora fare una lettura più approfondita del significato di questa parola.
Sullo sfondo della foto si osserva la collina del Saretto ai piedi della quale si distende la Città di Sarno, nella antica Valle dei Sarrasti, con le radici nelle sorgenti del suo antico fiume. In cima ad essa sono ben visibili i resti di quello che fu il Castello di Sarno, la lunga storia di una fortezza che ebbe termine nel secolo XVII, oggi ridotta a ruderi irriconoscibili, fusi e confusi in una vegetazione montana che periodicamente cede alle forze della natura e alle malefatte degli uomini.
Se non è “storia” questa, cosa dire poi della storia di quel cognome? Oletto. Per me è come viaggiare nel tempo e nello spazio, facendo diventare i ricordi un continuo presente. Il pensiero mi porta subito in Via Fabricatore prima, e all’angolo della Piazza Municipio poi, dove tutto ebbe inizio oltre settanta anni fa. Quel giorno in cui tutto ebbe inizio, come se fosse oggi. Vivevo con la mia famiglia in quella strada al numero 14.
Sotto quel portone, una mattina di fine anni quaranta, apparve una sedia sulla quale erano poggiati poche copie di alcuni quotidiani: “Il Mattino”, “Il Roma”, “Il Giornale”. Ce n’era anche uno in particolare che si sarebbe estinto di lì a poco. Lo ricordo bene, perché l’indimenticabile “fondatore” dell’edicola, il mitico “Giritiello”, girava con la sua bicicletta per il paese urlando a gran voce, come solo lui sapeva fare : “ ‘O Risorgimentooo!”.
Il portone era segnato da un arco di piperno. Oggi è ancora così, quasi come un tunnel che, dopo una ventina di metri, si apriva al cielo e discendeva verso il centro, il cortile. Su questo si distendevano numerose rampe di scale a cerchio che portavano su verso i piani alti, tra balconi e finestre. Sembrava che tutti avessero un occhio, una finestra, un osservatorio su quello spazio che per noi ragazzi sembrava enorme.
Tutto da scoprire, con tante porte, stanze note e stanze segrete, alcune oscure, altre abitate da grossi animali dalla lunga coda che, di tanto in tanto, apparivano e scomparivano dal sottosuolo. Chi entrava in questo portone, dopo avere attraversato l’ampio cortile, poteva continuare il suo cammino inoltrandosi in uno stretto vicolo largo non più di un paio di metri. Tra due muri, il vicoletto portava, ancora oggi conduce verso la parte bassa del paese, là dove un tempo si svolgeva il mercato.
Tutto mi resta fotografato nella mente. Quando ti inoltravi in quel portone, proprio al suo limitare, trovavi una bancarella, una bancarella con delle sedie, sulle quali potevi vedere allineati, fermati da tante mollette usate per mettere ad asciugare il bucato, bene in mostra, giornali, giornalini e giornaletti di vario tipo. Una vita sotto quel portone, al freddo d’inverno, quando in quella specie di tunnel si infilava il famoso vento cittadino. D’estate diventava un forno che soltanto la fresca acqua della fontana pubblica in strada all’angolo riusciva ad alleviare.
A distanza di tanti anni, come in una videoclip, saprei descrivere chi in quel cortile ci viveva, ci lavorava, ci abitava. Noi ci giocavamo, ci conoscevamo tutti. Rampe di scale una dietro l’altra che portavano alle abitazioni al primo, al secondo ed anche al terzo piano, tra un susseguirsi di cortili e cortiletti interni. Una, due, tre, quattro rampe, verso quelli che, più che stanze abitate, sembravano dei covi che soltanto d’estate, quando il sole picchiava forte, costringeva chi ci abitava ad aprirle per farci entrare la luce.
Vendere giornali in quegli anni non era una cosa facile. Gli Oletto erano molto mattinieri. Sei o sette figli da sfamare. Le liti non mancavano mai. Quando A. si arrabbiava, dopo avere litigato con il marito e i figli, staccava dal muro il quadro di San Ciro che venerava molto, lo metteva faccia al muro e diceva rivolta al santo che sarebbe rimasto là fino a quando lui non avrebbe risolto il problema che affliggeva la famiglia.
A destra, scendendo verso il cortile, trovavi la porta posteriore dell’ “Antica pasticceria”. Il figlio aveva un nome antico, biblico, ed era un vero campione al gioco delle figurine dei giocatori Panini di cui facevamo la raccolta. Le bustine non mancavano mai sulla bancarella di ‘Ngiulina”. Assalonne era il più bravo, perché era capace, battendo il palmo della mano su una superficie di marmo, di fare “voltare” un mazzetto di figurine e vincerle facendole capovolgere con un colpo di vento. Un gioco tanto stupido quanto ingenuo.
Un profumo di pasticceria celestiale si levava dal laboratorio e si diffondeva per tutta l’area ogni qualvolta si infornavano torte e dolci. Il forno era collocato nel ventre del palazzo al piano terra di quell’agglomerato di costruzioni che costituiva una informe sequenza di abitazioni susseguitesi nel tempo, dando vita a spazi e luoghi, adibiti a stanze, abitazioni legate l’una all’altra, l’una sull’altra, in un groviglio difficile da descrivere.
Quei luoghi mi sono rimasti fermi nella memoria come in una fotografia. Nella quanto mai misteriosa rete fatta di muri e contromuri, piani inferiori e superiori, collegamenti interni ed esterni, la mia famiglia abitava ad un livello di terzo piano, verso l’interno. Avevamo il piccolo bagno in una sorta di monolocale quadrato su una loggia esterna all’appartamento. Eravamo direttamente interessati dal tubo di scarico del forno del pasticciere. Una fessura nel muro di fianco alla porta del bagno, mescolava i profumi del vaso e della pasticceria in una sorta di fragranza imprevista che nemmeno il più costoso Chanel avrebbe saputo elaborare.
Accanto al laboratorio di pasticceria vi trovavi il deposito del vetraio che vendeva anche altre cose per l’edilizia. In una stanza interna, quanto mai misteriosa, nella quale a noi ragazzi il burbero padrone non ci permetteva mai di entrare, si allineavano alcune bare che servivano da campione per chi ne avesse bisogno. Non molte, solo un paio. Le altre le si poteva visionare in un’altra stanza più grande, giù per il vicolo. Tutte in posizione verticale. Bianche, nere, marroni, grandi, qualcuna piccola.
Uno spettacolo indimenticabile. Noi sbirciavamo curiosi quando degli uomini venivano con il carrettino, ne caricavano una e la portavano in un altro portone. Nella stessa strada, in un altro grosso cortile, sostava un grande carro funebre, che poi sarebbe stato trainato da giganteschi cavalli neri per chi aveva deciso di fare il “grande viaggio”, come ci diceva quel vecchio che le vendeva sogghignando. Me lo ricordo quell’uomo che parlava ai suoi cavalli. Si chiamava Mariano. Era soprannominato “fieto ‘e cavallo”.
I nomi me li ricordo tutti. Io ero Nino. Poi c’erano Massimo, Mario, Mimmo, un altro Nino, Pino dal palazzo di fronte, Vincenzo e il biblico Assalonne. Non mancavano le femmine, ma queste non comparivano mai nei nostri giochi, tutti maschili. I nostri giochi erano economici, poveri, tanto poveri e così pochi che ne dovevamo inventare uno nuovo ogni mattina: “la guerra finta”, il carritiello, lo strummolo, il gioco dei corridori a tappe, “il palmo e il muro”, le figurine dei giocatori girate con il colpo di aria che fuoriusciva dal “cuoppo” del palmo della mano battuto sul banco, il pallone di gomma di pezza e di carta. ‘Ngiulina era sempre pronta a fornire bustine.
Tutto faceva spettacolo e casino. Specialmente la “guerra finta” e il pallone. Tanto casino che dall’alto ci piovevano addosso in ogni momento secchi di acqua versati da donna Nunzia che sbraitava sempre perché disturbavamo il figlio che stava a studiare per diventare medico. Ricordo che mio padre, per dirozzare il mio cervello di monello mi regalò una scatola di pezzi di legno, le così dette “costruzioni”. Pezzetti di legno variamente colorati e che io oggi identifico come antenati dei pezzi Lego.
Li mettevi l’uno sull’altro e davi forma a varie costruzioni. Gioco civile e senza dubbio più intelligente di quelli che facevamo. Ma ogni qualvolta li portavo nel cortile e cercavo di giocarci con gli altri, finivamo per usare i pezzi nelle sfide che ci lanciavamo. Li usavamo come proiettili per gli archi e le frecce che costruivamo per colpire gli avversari. Ecco perché quelle costruzioni non hanno avuto poi successo. Dovevano arrivare gli “incastri” per sfidare la creatività e capire, oggi, una volta per sempre, che la vita reale, come quella virtuale, è tutta un “incastro”.
Ecco, tutto questo leggo nella mia scatola dei ricordi quando ogni mattina vado all’edicola di Angela di oggi a prendere la mia razione quotidiana di informazione cartacea. Lei continua a venderli i giornali, i libri e i giochi, ancora cartacei, ma anche digitali. Piccole storie di una storica edicola. Grazie Angela![image error]
November 5, 2023
Avete mai letto un libro di marmo?

Il Pavimento del Duomo di Siena non suscita un’impressione soltanto estetica, ma è un libro di marmo da leggere in chiave simbolica e spirituale: il Duomo come un libro aperto. Dietro alle figurazioni, dietro ai tanti colori preziosi riconosciamo motivi filosofici, spirituali, religiosi, una trama di simboli e allegorie, personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento, ma anche del mondo antico: Sibille come la Cumana, profeti del mondo pagano come Ermete Trismegisto, filosofi come Socrate, Cratete di Tebe, Aristotele, Zenone di Cizio, Epitteto, Seneca che ci conducono in un viaggio alla scoperta dei valori più alti dell’Uomo di ogni tempo e di ogni spazio geografico.Il volume di grande formato e riccamente illustrato conduce il visitatore aiutandolo a riconoscere i vari “tasselli” marmorei e narrativi in un viaggio spettacolare attraverso l’arte ma anche incontro alla saggezza.

Il volume “Un libro di marmo” è un lavoro ampio e articolato, che riunisce i numerosi studi filologici dedicati, nell’arco di tre decenni, al celebre capolavoro eseguito a commessi marmorei, da Marilena Caciorgna, la quale svolge, nell’Ufficio Cultura di Opera Laboratori, attività di ricerca, organizzazione di mostre, progettazione culturale ed editoriale per la valorizzazione del patrimonio artistico ed è docente di Iconografia e tradizione classica dell’Università degli Studi di Siena (Dfclam).
Il titolo esplicita l’intento del contributo scientifico, che oltre a trattare gli aspetti storico-artistici, guida alla lettura delle tematiche affrontate, dei simboli e delle numerose iscrizioni a corredo delle tarsie, cogliendone il significato più profondo, quello di un cammino di sapienza e di fede, di un’esperienza interiore senza pari. Il Pavimento del Duomo di Siena, come ricaviamo dal testo introduttivo dell’autrice, non suscita difatti un’impressione soltanto estetica, ma è un libro di marmo da leggere in chiave spirituale: il Duomo come un libro aperto.
Dietro alle figurazioni, dietro ai tanti colori preziosi riconosciamo motivi filosofici e religiosi, una trama di allegorie, i personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento, ma anche del mondo antico: Sibille come la Cumana, profeti del mondo pagano quali Ermete Trismegisto, filosofi come Socrate, Cratete di Tebe, Aristotele, Zenone di Cizio, Epitteto, Seneca che ci conducono in un viaggio alla scoperta dei valori più alti dell’uomo di ogni tempo e di ogni spazio geografico. Il visitatore riconoscerà i vari “tasselli” marmorei e narrativi trasformandoli in un percorso interiore, alla ricerca di una “via giusta” per superare gli ostacoli, le traversie che si incontrano nel cammino dell’esistenza. In ogni epoca e contesto, religione o pensiero filosofico, da sempre l’essere umano è alla ricerca di un equilibrio interiore, una sicurezza che possa concedere la serenità dell’animo: una pietra quadrata, un porto sicuro, una fonte di salvezza.

November 4, 2023
Il 5 di Novembre …

La celebrazione di Halloween nel corso degli anni si è venuta a scontrare con un’altra festa del genere, con una storia tutta diversa risalente ad un fatto storico realmente accaduto qualche secolo prima. Mi riferisco a quella di Guy Fawkes che fu un evento il quale ostacolò l’accadimento di un altro evento ancora più grosso di quello che si verificò.
Cosa accadde allora a Londra la notte del 5 novembre dell’anno 1605? Ci fu il tentativo di far saltare il Palazzo del Parlamento in piena seduta, con tutto il Re. I terroristi, pardon!, i cospiratori vennero scoperti, torturati, impiccati e squartati. Il capo dei cospiratori aveva il nome di Guy Fawkes, un militare inglese di professione.
Guy era membro di un gruppo di cospiratori cattolici inglesi che tentarono di assassinare con un’esplosione il re Giacomo I d’Inghilterra e tutti i membri del Parlamento inglese mentre erano riuniti nella Camera dei Lord per l’apertura delle sessioni parlamentari dell’anno 1605.
Il “Guy” viene così ricordato per la sua figura sinistra di attentatore delle istituzioni. E’ diventata la figura classica di fantoccio da bruciare ogni anno in questa data. Sul ricordo della sua azione si scaricano da sempre le ire, il disprezzo ed il dileggio degli inglesi ai quali sin da piccoli viene insegnata una “nursery rhyme” che ricorda il suo attentato.
Non a caso, in lingua inglese il termine “guy” sta per “figura losca e sospetta”. Tanto losca e sospetta da meritarsi le fiamme in pubblico, le danze, gli schiamazzi e tutta una serie di eventi d’occasione tra i quali la raccolta di soldi per comprare i fuochi d’artifizio che non possono mancare in un rito di questo tipo. “Remember, remember the fifth of November.”
“Gunpowder, treason and plot. I see no reason why gunpowder, treason should ever be forgot…” I ragazzi vanno in giro quella sera per tutti i villaggi della vecchia Inghilterra recitando e cantando questi versi. Mentre altri compagni bussano alle porte chiedendo “a penny for the Guy”, un soldo per comprare i botti e i fuochi. Numerose sono le canzoncine dedicate all’occasione. Oggi, a distanza di tanto tempo, rimane l’aspetto folcloristico dell’evento.
Si dimentica che il fatto fu un vero e proprio attentato politico. I cospiratori avevano tentato di eliminare il re Giacomo sostituendolo con sua figlia Elisabetta di nove anni. Speravano così di fare dell’Inghilterra un paese cattolico. Un complotto cattolico, quindi.
Per questa ragione fino a qualche tempo fa, per tutto il 17° secolo, nella vecchia e domocratica Inghilterra si soleva bruciare in effige non solo l’immagine del Guy ma anche quella del Papa. Una usanza questa che per fortuna è scomparsa.
Per molti inglesi la giornata del ricordo di Guy Fawkes, come quella della battaglia di Trafalgar, è un’occasione di sano, patriottistico protestantesimo per riaffermare il senso di una identità collettiva che ancora oggi sopravvive in gran parte del popolo. Non è un caso che in occasione del 5 novembre i non pochi cattolici inglesi si sentano a disagio e vedono queste celebrazioni come manifestazioni di intolleranza e bigottismo.
La celebrazione nazionalistica e democratica del 5 novembre è andata così lentamente e confluire in quella di populistica e pagana di Halloween che ha luogo come si sa il 31 ma che ha origini diverse.
Come tutte le cose di natura americana Halloween ha assunto una piega squisitamente commerciale e consumistica. Si sa bene che quando il danaro conquista la vita degli uomini e assume un ruolo dominante anche la storia e la tradizione sono facili ad essere tradite in nome di un falso modernismo.[image error]
November 3, 2023
“Sum ergo cogito” vs “Cogito ergo sum”

La famosa affermazione filosofica “Cogito ergo sum” di René Descartes, tradotta in italiano come “Penso, quindi sono”, è considerata uno dei pilastri della filosofia moderna. Tuttavia, in questo post intendo esplorare un’alternativa concettuale intrigante: “Sum ergo cogito” ovvero “Sono, quindi penso”.
Questa inversione di parole potrebbe sembrare solo una sottigliezza linguistica, ma in realtà porta a importanti riflessioni filosofiche. Le differenze tra le due affermazioni e le implicazioni che queste differenze possono avere sulla nostra comprensione dell’esistenza e della coscienza sono rilevanti.
Il significato di “Cogito ergo sum” sottolinea la centralità del pensiero come prova dell’esistenza di un individuo. Secondo Cartesio, il pensiero è una certezza indubitabile, poiché nel momento in cui si pensa, si conferma l’esistenza dell’individuo che pensa. Questa affermazione pone la mente e il pensiero come punto di partenza per la comprensione della realtà e dell’identità personale.
L’inversione concettuale di “Sum ergo cogito” sposta l’accento sull’esistenza come fondamento del pensiero. Invece di affermare che il pensiero è la prova dell’esistenza, questa inversione suggerisce che è l’esistenza stessa a precedere e permettere il pensiero. Sono, quindi penso. Questo cambiamento prospettico solleva questioni interessanti sulla natura dell’essere e sulla relazione tra esistenza e coscienza. La differenza tra le due affermazioni ha implicazioni significative per la filosofia.
“Cogito ergo sum” attribuisce al pensiero il ruolo primario nella definizione dell’identità e della realtà. Sottolinea la mente come entità distinta e separata dal corpo e dal mondo esterno. D’altra parte, “Sum ergo cogito” sposta l’attenzione sull’esistenza come condizione fondamentale per qualsiasi forma di pensiero o coscienza. Questa prospettiva suggerisce una connessione più profonda tra l’individuo e il mondo esterno, enfatizzando l’interdipendenza tra l’essere e la sua capacità di pensare.
Inoltre, “Sum ergo cogito” potrebbe anche sollevare domande sulla natura dell’esistenza stessa. Se l’essere è la base per il pensiero, cosa significa realmente esistere? È possibile concepire l’esistenza al di fuori del pensiero? Queste domande ci portano verso una riflessione più ampia sulla natura della realtà e sulla nostra comprensione della coscienza. La mia conclusione è che mentre “Cogito ergo sum” ha dominato il panorama filosofico per secoli, l’inversione concettuale di “Sum ergo cogito” offre un nuovo punto di vista sul rapporto tra esistenza e pensiero.
Questa prospettiva solleva importanti questioni sulla natura dell’essere e della coscienza, spostando l’attenzione sull’interdipendenza tra l’individuo e il mondo esterno. Sebbene la differenza tra le due affermazioni possa sembrare sottile, le sue implicazioni filosofiche sono profonde e stimolano una riflessione critica sulla nostra comprensione dell’esistenza umana. “Sum ergo cogito” ci invita a considerare l’essere come condizione primaria per il pensiero, aprendo nuove vie di indagine nel campo della filosofia e dell’ontologia.
Nel contesto di “Sum ergo cogito”, la ”interdipendenza tra l’individuo e il mondo esterno” si riferisce all’idea che l’esistenza di un individuo e il suo pensiero sono strettamente legati e si influenzano reciprocamente. Questo concetto suggerisce che l’individuo non può esistere isolato dal mondo esterno, ma è costantemente influenzato e plasmato dalle sue interazioni con l’ambiente circostante.
In “Sum ergo cogito”, si riconosce che l’esistenza di un individuo è fondamentale per qualsiasi forma di pensiero o coscienza. L’individuo non è semplicemente un’entità che pensa, ma è un essere che esiste in relazione al mondo esterno. Le esperienze, le percezioni e le interazioni con l’ambiente sono parte integrante della formazione del pensiero e della coscienza di un individuo.
Ciò implica che l’individuo non può essere compreso separatamente dal contesto in cui vive. Le influenze culturali, sociali e ambientali giocano un ruolo significativo nella costituzione dell’identità e delle prospettive di un individuo. L’interdipendenza tra l’individuo e il mondo esterno sottolinea che il pensiero e la coscienza sono il risultato di una complessa rete di relazioni e interazioni che si verificano tra l’individuo e il suo ambiente.
Questa prospettiva mette in discussione l’idea di un soggetto isolato e autonomo che pensa indipendentemente dal contesto circostante. Sottolinea invece che l’individuo è un essere sociale e interconnesso, il cui pensiero è influenzato dalle esperienze e dalle dinamiche relazionali con gli altri e con il mondo esterno.
L’interdipendenza tra l’individuo e il mondo esterno ci invita a considerare l’importanza delle relazioni e dell’ambiente nella formazione della nostra coscienza e della nostra comprensione del mondo. Sono Italiano, mi riconosco come tale. Se fossi nato a Katmandu mi identificherei pensandomi Nepalese e sarebbe tutta un’altra storia.
[image error]October 30, 2023
La insostenibile leggerezza del “padre nostro” antropomorfizzato digitale

Questo post vuole essere un esercizio di scrittura creativa su di un argomento transumano. La parola “transumano” deriva dalla combinazione del prefisso “trans-” (che indica un movimento al di là o al di sopra di qualcosa) e “umano”. Il termine “transumano” è utilizzato per descrivere un concetto che va oltre l’essere umano, indicando una condizione o uno stato in cui gli esseri umani possono superare le loro limitazioni biologiche attraverso l’uso di tecnologie avanzate.
Il concetto di transumanesimo si basa sull’idea che l’evoluzione umana non debba necessariamente essere guidata solo dalla selezione naturale, ma che gli individui debbano avere la possibilità di migliorare se stessi attraverso l’uso della tecnologia. Queste tecnologie potrebbero includere impianti di realtà aumentata, protesi avanzate, intelligenza artificiale, modifiche genetiche e altre migliorie che consentono agli esseri umani di superare le loro capacità fisiche e cognitive naturali. Il concetto di transumano è oggetto di dibattito e solleva questioni politiche, etiche, filosofiche e sociali sulla natura dell’identità umana, la distribuzione delle risorse e l’equità nell’accesso alle tecnologie potenzialmente trasformative.
Antropomorfizzare Dio significa attribuire a Dio caratteristiche, attributi o comportamenti umani. L’antropomorfismo è un modo di rappresentare o concepire la divinità in termini umani, rendendo Dio simile agli esseri umani nelle sue caratteristiche, emozioni, percezioni e azioni. Questo può includere attributi come l’aspetto fisico, le emozioni, il pensiero razionale e persino gli atteggiamenti morali.
L’antropomorfismo può essere il risultato di un tentativo umano di comprendere e relazionarsi a un concetto divino astratto, che può sembrare lontano o incomprensibile. Rendendo Dio più simile all’umanità, le persone possono trovare più facile identificarsi con la divinità e comprendere il suo ruolo e la sua relazione con il mondo.
Tuttavia, è importante notare che l’antropomorfismo può essere problematico in quanto può limitare la comprensione di Dio. Secondo molte tradizioni religiose, Dio è considerato trascendente, al di là della realtà umana e delle sue limitazioni. Pertanto, l’antropomorfismo può ridurre la grandezza e la sacralità di Dio, riducendolo a un semplice riflesso degli esseri umani.
Le diverse tradizioni religiose hanno prospettive diverse su come concepire la divinità , alcune possono utilizzare l’antropomorfismo come strumento per comunicare meglio i concetti divini, mentre altre possono sottolineare l’inadeguatezza di rappresentare Dio in termini umani. La antropomorfizzazione nel Padre Nostro può influire sulla nostra comprensione di Dio in diversi modi:
Relazione personale: L’immagine di Dio come Padre ci permette di stabilire una connessione personale e intima con la divinità. Ci offre un quadro familiare attraverso il quale possiamo comprendere e sperimentare l’amore, la protezione e la cura di Dio nei confronti dell’umanità. Ciò può creare un senso di vicinanza e fiducia nella nostra relazione con Dio.
Empatia e comprensione: L’antropomorfizzazione può aiutarci a comprendere meglio gli attributi divini, come l’amore, la misericordia e la giustizia. Utilizzando termini e concetti umani, possiamo trovare un punto di riferimento per comprendere le qualità divine e applicarle alla nostra esperienza umana. Ciò facilita la nostra capacità di relazionarci a Dio e di comprendere la sua volontà e il suo carattere.
Simboli e linguaggio: L’antropomorfizzazione fornisce un linguaggio simbolico che ci permette di esprimere le nostre esperienze spirituali e di comunicarle ad altri. Le immagini e i concetti umani utilizzati nel Padre Nostro possono servire come veicoli per esprimere emozioni, aspirazioni e bisogni spirituali, fornendo un terreno comune per la preghiera e la condivisione della fede.
Limiti e sfumature: È importante riconoscere che l’antropomorfizzazione ha dei limiti. Dio va oltre la nostra comprensione umana e trascende le nostre caratteristiche limitate. Pertanto, mentre l’antropomorfizzazione può aiutarci a comprendere alcuni aspetti di Dio, dobbiamo ricordare che è solo un modo figurato di esprimere la relazione e gli attributi divini. Dobbiamo evitare di ridurre Dio alle limitazioni umane o di limitare la nostra comprensione di Dio a tali immagini, poiché ciò può portare a una visione distorta o incompleta del divino.
L’antropomorfizzazione nel Padre Nostro ci offre un modo di comprendere e relazionarci a Dio in termini umani, facilitando la nostra esperienza di amore, cura e vicinanza divina. Tuttavia, dobbiamo sempre ricordare che Dio va oltre la nostra comprensione umana e che l’antropomorfizzazione è solo un mezzo per avvicinarci a Dio, senza limitare la sua grandezza e trascendenza.
Nelle diverse religioni, la figura della divinità viene chiamata con termini e nomi diversi. Ecco alcuni esempi:
Ebraismo: Nel giudaismo, la figura della divinità viene chiamata Yahweh (o Jehova), che è il nome personale di Dio, e viene spesso indicata anche come Adonai, che significa “mio Signore”. Altre espressioni usate includono El Shaddai (“Dio Onnipotente”), Elohim (“Dio”), Hashem (“Il Nome”), tra gli altri.
Islam: Nell’Islam, la divinità viene chiamata Allah, che è il nome arabo per Dio. È un termine usato esclusivamente per riferirsi a Dio nell’Islam e sottolinea l’unità, la supremazia e la trascedenza di Dio.
Induismo: Nell’induismo, la divinità è rappresentata da una vasta gamma di divinità e forme divine. Alcuni dei nomi più comuni includono Brahma (il creatore), Vishnu (il preservatore) e Shiva (il distruttore e rigeneratore), insieme a molte altre divinità regionali e incarnazioni.
Buddismo: Nel buddismo, la figura della divinità viene spesso rappresentata dal concetto di Buddha, colui che ha raggiunto l’illuminazione. Tuttavia, il buddismo non attribuisce una divinità personale a un essere supremo, ma enfatizza l’illuminazione interiore e la saggezza.
Sikhismo: Nel sikhismo, la divinità viene chiamata Waheguru, che significa “Meraviglioso Insegnante”. Waheguru rappresenta l’Essere supremo, senza forma e senza attributi, al di là delle distinzioni religiose.
È importante notare che queste sono solo alcune delle religioni e dei loro rispettivi nomi per la divinità. Ogni tradizione religiosa ha i propri termini e appellativi per riferirsi alla figura della divinità in base alle loro credenze, pratiche e lingue specifiche.
Il Padre Nostro è una delle preghiere più universalmente conosciute e recitate nella tradizione cristiana. Questa preghiera contiene una profonda essenza spirituale e molte persone la considerano un punto di riferimento per la loro fede e la loro connessione con la divinità.
Il Padre Nostro inizia con le parole “Padre nostro che sei nei cieli”, che richiama l’immagine di un Padre amorevole e misericordioso che risiede in un luogo sacro. Queste parole ci invitano a riconoscere la presenza di un potere superiore e a stabilire una relazione filiale con esso.
La preghiera prosegue con la supplica “Sia santificato il tuo nome”, che esprime il desiderio che il nome di Dio sia considerato sacro e rispettato da tutti. Questa frase ci invita a riflettere sulle nostre azioni e sulla nostra condotta, affinché siano allineate con i valori spirituali e morali.
La preghiera prosegue con richieste che riguardano sia le necessità materiali che spirituali dell’individuo. Si chiede il “pane quotidiano”, ovvero il sostentamento materiale necessario per la nostra sopravvivenza, ma anche il perdono dei nostri peccati e la protezione dal male. Queste richieste riflettono la consapevolezza dell’essere umano della propria fragilità e della necessità di dipendere da un potere superiore per ottenere guarigione, perdono e protezione.
Infine, il Padre Nostro si conclude con l’affermazione “Tuo è il regno, la potenza e la gloria”, che riconosce l’onnipotenza e la sovranità di Dio su tutte le cose. Questa affermazione ci invita ad abbandonarci fiduciosamente nelle mani di Dio e ad accettare la sua volontà nelle nostre vite. Una preghiera che richiama all’amore, alla sottomissione e alla fiducia in Dio. È un invito a stabilire una connessione profonda con il divino e a cercare la sua guida e la sua protezione nelle sfide della vita.
L’origine storica del Padre Nostro risiede nel Nuovo Testamento della Bibbia cristiana. La preghiera è stata insegnata da Gesù ai suoi discepoli durante il famoso “Sermone della Montagna” descritto nel Vangelo secondo Matteo (Matteo 6:9–13) e nel Vangelo secondo Luca (Luca 11:2–4).
Nel contesto biblico, Gesù insegnò il Padre Nostro come modello di preghiera ai suoi discepoli in risposta alla loro richiesta di insegnare loro come pregare. La preghiera si presenta come un’espressione di fiducia e dipendenza da Dio, offrendo una guida sulla forma e il contenuto delle preghiere.
È importante notare che, mentre i Vangeli di Matteo e Luca riportano il Padre Nostro con alcune differenze di formulazione, l’essenza e il significato fondamentale rimangono gli stessi. Da allora, il Padre Nostro è diventato una delle preghiere principali e più amate all’interno del cristianesimo. È stato tramandato di generazione in generazione e recitato in diverse tradizioni e liturgie cristiane in tutto il mondo. La sua importanza e la sua diffusione hanno reso il Padre Nostro una preghiera fondamentale sia per i cattolici che per i protestanti e per molte altre denominazioni cristiane.
[image error]October 29, 2023
A mio Padre dal “Mondo Nuovo” diventato già “vecchio”

Aldous Huxley è un autore fra i più citati ma la sua vita è poco conosciuta: questo è il racconto più approfondito dei suoi giorni, tragici, drammatici, felici, sempre impegnati. Con decine fra romanzi e saggi al suo attivo divenne “l’eroe culturale” dei nati a fine secolo. Giallo cromo, Passo di danza e Punto contro punto furono percepiti come la voce più scandalosa della generazione postbellica, all’inizio di un percorso inquieto che lo portò a mettere in dubbio l’utilità stessa dei libri che scriveva. Sempre diviso fra scienza e spiritualismo, profeta psichedelico e pacifista, amico di scrittori e scienziati, amante dell’arte e della tecnica, Huxley predilesse l’Italia e la Francia, viaggiò moltissimo in Messico, India, Giappone, Brasile, sino a stabilirsi nel 1937 a Hollywood dove divenne, fra mille dubbi, sceneggiatore per il cinema. Acuto e implacabile osservatore di un mondo destinato, secondo lui, al tracollo, è una voce la cui conoscenza è imprescindibile per capire l’epoca in cui viviamo, quella del tramonto delle ideologie, della secolarizzazione accentuata, dello spiritualismo vago, della scienza asservita agli interessi. L’incendio della sua casa e di tutti i suoi libri, alla fine della vita, è, quasi metafora del suo percorso esistenziale.

L’edizione originale di questo libro “Il Mondo Nuovo” è stata pubblicata nel 1932 da Chatto & Windus, una casa editrice britannica. In Italia, il romanzo apparve per la prima volta nel 1934 da Arnoldo Mondadori in una collana di classici della letteratura mondiale chiamata Medusa. Venne poi rilanciata nel 2007. Mio Padre, che era del 1906, l’aveva nella sua piccola biblioteca. Credo che fosse poco più che ventenne quando si procurò questo libro avveniristico, ancora oggi classificato come fantascientifico. Ma non lo è affatto. A quei tempi non c’era Internet nè Amazon, a Sarno, nella pre-romana Valle dei Sarrasti, non c’era nemmeno una edicola o libreria. Ma lui era un tipografo e guardava in avanti. La foto che vedete qui sopra riproduce la copertina con i segni del tempo. Purtroppo non lo ritrovo tra i miei libri, nel “mondo nuovo” di oggi in cui sono finito. E’ scomparso tra i tanti traslochi che la vita ci costringe a fare. In occasione della pubblicazione di una nuova interessante biografia di Huxley, ho deciso di rileggere sia questa nuova biografia edita da Ares che il “Mondo Nuovo” in versione digitale. Poi scriverò una lettera a mio Padre facendogli sapere se questo “mondo nuovo”, nel quale sto ancora vivendo, è davvero “brave” come lui scrisse nel titolo originale del libro. “Brave” in inglese sta per “coraggioso, valoroso, impavido”. Huxley usò di certo questo aggettivo in senso ironico e provocatorio. Un mondo definito “nuovo” è sempre una “provocazione” …[image error]
A mio Padre dal “Mondo Nuovo”

Aldous Huxley è un autore fra i più citati ma la sua vita è poco conosciuta: questo è il racconto più approfondito dei suoi giorni, tragici, drammatici, felici, sempre impegnati. Con decine fra romanzi e saggi al suo attivo divenne “l’eroe culturale” dei nati a fine secolo. Giallo cromo, Passo di danza e Punto contro punto furono percepiti come la voce più scandalosa della generazione postbellica, all’inizio di un percorso inquieto che lo portò a mettere in dubbio l’utilità stessa dei libri che scriveva. Sempre diviso fra scienza e spiritualismo, profeta psichedelico e pacifista, amico di scrittori e scienziati, amante dell’arte e della tecnica, Huxley predilesse l’Italia e la Francia, viaggiò moltissimo in Messico, India, Giappone, Brasile, sino a stabilirsi nel 1937 a Hollywood dove divenne, fra mille dubbi, sceneggiatore per il cinema. Acuto e implacabile osservatore di un mondo destinato, secondo lui, al tracollo, è una voce la cui conoscenza è imprescindibile per capire l’epoca in cui viviamo, quella del tramonto delle ideologie, della secolarizzazione accentuata, dello spiritualismo vago, della scienza asservita agli interessi. L’incendio della sua casa e di tutti i suoi libri, alla fine della vita, è, quasi metafora del suo percorso esistenziale.

L’edizione originale di questo libro “Il Mondo Nuovo” è stata pubblicata nel 1932 da Chatto & Windus, una casa editrice britannica. In Italia, il romanzo apparve per la prima volta nel 1934 da Arnoldo Mondadori in una collana di classici della letteratura mondiale chiamata Medusa. Venne poi rilanciata nel 2007. Mio Padre, che era del 1906, l’aveva nella sua piccola biblioteca. Credo che fosse poco più che ventenne quando si procurò questo libro avveniristico, ancora oggi classificato come fantascientifico. Ma non lo è affatto. A quei tempi non c’era Internet nè Amazon, a Sarno, nella pre-romana Valle dei Sarrasti, non c’era nemmeno una edicola o libreria. Ma lui era un tipografo e guardava in avanti. La foto che vedete qui sopra riproduce la copertina con i segni del tempo. Purtroppo non lo ritrovo tra i miei libri, nel “mondo nuovo” di oggi in cui sono finito. E’ scomparso tra i tanti traslochi che la vita ci costringe a fare. In occasione della pubblicazione di una nuova interessante biografia di Huxley, ho deciso di rileggere sia questa nuova biografia edita da Ares che il “Mondo Nuovo” in versione digitale. Poi scriverò una lettera a mio Padre facendogli sapere se questo “mondo nuovo”, nel quale sto ancora vivendo, è davvero “brave” come lui scrisse nel titolo originale del libro. “Brave” in inglese sta per “coraggioso, valoroso, impavido”. Huxley usò di certo questo aggettivo in senso ironico e provocatorio. Un mondo definito “nuovo” è sempre una “provocazione” …[image error]
October 27, 2023
L’arte di ridere di se stessi …

Ho chiesto a Intelligenza Artificiale (AI) se i polli in questa immagine sono galli o galline. Ecco la sua risposta:
In base alle informazioni che mi hai fornito, i polli nella foto sono galli. I galli sono caratterizzati da una cresta e bargigli più grandi e rossi delle galline. Inoltre, i galli hanno un piumaggio più brillante e appariscente, con piume più lunghe e arcuate. Nella foto, tutti i polli hanno una cresta e bargigli grandi e rossi, e un piumaggio brillante e appariscente. Pertanto, è probabile che siano tutti galli. Ecco un elenco dei dettagli che mi hanno portato a questa conclusione:
Cresta e bargigli grandi e rossi
Piume lunghe e arcuate
Colore del piumaggio brillante e appariscente
Tuttavia, è importante notare che non è possibile determinare il sesso di un pollo con certezza solo in base all’aspetto. In alcuni casi, è possibile che una gallina abbia una cresta e bargigli grandi e rossi, o che un gallo abbia un piumaggio meno brillante e appariscente. Per una determinazione più accurata del sesso, sarebbe necessario eseguire un test genetico o un esame fisico.
Non c’è bisogno di alcun test genetico nè di un esame fisico. Io so di essere quello che sono e sono disposto anche a riderci su. Ridere di se stessi è un’abilità preziosa che può aiutarci a prendere la vita con leggerezza e affrontare situazioni imbarazzanti o difficili. Ecco alcuni consigli su come sviluppare la capacità di ridere di se stessi:
Accetta le tue imperfezioni: Nessuno è perfetto, e accettare i propri difetti e peculiarità è il primo passo per poter riderci su. Ricorda che tutti commettiamo errori e abbiamo aspetti di noi stessi che potremmo migliorare.
Prenditi meno sul serio: Impara a non prenderti troppo sul serio e a non considerare ogni piccola cosa come una tragedia. Riduci l’importanza che dai alle situazioni imbarazzanti o ai momenti in cui fai degli errori. Spesso, le cose che sembrano cruciali sul momento diventano irrilevanti nel lungo periodo.
Coltiva l’autoironia: L’autoironia consiste nell’essere in grado di ridere delle proprie debolezze, eccentricità e errori. Cerca di sviluppare uno sguardo critico su te stesso in modo leggero e giocoso. Quando fai un errore o ti trovi in una situazione imbarazzante, prova a trovare un lato comico o paradossale nella situazione.
Condividi le esperienze con gli altri: Condividere le tue esperienze imbarazzanti o i momenti in cui hai fatto degli errori con gli altri può aiutarti a sviluppare una prospettiva più ampia e a renderli meno imbarazzanti. Spesso scoprirai che gli altri hanno vissuto situazioni simili e potrete ridere insieme di queste situazioni.
Coltiva l’umorismo: Espandi la tua conoscenza dell’umorismo esponendoti a diverse forme di comicità. Leggi libri divertenti, guarda commedie, ascolta stand-up comedy o segui comici che siano bravi a ridere di se stessi. L’umorismo può aiutarti a sviluppare una prospettiva più leggera e flessibile sulla vita.
Sii gentile con te stesso: Mentre ridi di te stesso, ricorda di farlo con gentilezza e compassione. Non si tratta di denigrarsi o ferirsi, ma piuttosto di sviluppare una sana prospettiva su se stessi. Ridere di sé stessi dovrebbe essere un modo per sperimentare gioia e leggerezza, non per alimentare l’autocritica o il disprezzo.
Ricorda che ridere di se stessi richiede pratica e pazienza. Inizia con piccoli passi e sii aperto a ridere delle tue idiosincrasie e dei momenti in cui le cose non vanno come previsto. Con il tempo, svilupperai una prospettiva più positiva e un senso dell’umorismo che ti aiuterà a navigare attraverso le sfide della vita con maggiore leggerezza.
Ridere di se stessi può portare numerosi benefici alla tua vita e al tuo benessere emotivo. Ecco alcuni motivi per cui è importante sviluppare questa abilità:
Riduce lo stress: Ridere di se stessi aiuta a ridurre lo stress e la tensione emotiva. Quando riesci a prendere le situazioni con leggerezza e a sorridere dei tuoi errori o imperfezioni, diminuisci la pressione che metti su te stesso.
Favorisce la resilienza emotiva: Ridere di se stessi è un segno di resilienza emotiva. Ti permette di adattarti alle situazioni difficili e di affrontare le sfide con una mentalità più positiva. Quando sei in grado di riderci su, sei anche più incline a superare gli ostacoli e a imparare dalle esperienze negative.
Migliora le relazioni: L’autoironia può aiutarti a creare un’atmosfera di allegria e leggerezza nelle relazioni. Quando sei disposto a ridere di te stesso, gli altri percepiscono la tua apertura e umiltà, e questo può favorire la connessione e la simpatia reciproca.
Sviluppa l’umiltà: Ridere di sé stessi è un segno di umiltà e di capacità di mettersi in discussione. Ti permette di riconoscere che non sei perfetto e che hai ancora molto da imparare. Questo atteggiamento aperto e umile può favorire la crescita personale e il miglioramento continuo.
Favorisce la creatività: L’autoironia può stimolare la creatività e l’innovazione. Quando sei disposto a ridere delle tue idiosincrasie, sei più aperto a esplorare nuove idee e a pensare in modo non convenzionale. Questo può portare a nuove scoperte e a un maggiore senso di divertimento nel processo creativo.
Rende la vita più leggera: Ridere di se stessi può rendere la vita più leggera e divertente. Quando sei in grado di prendere le cose con un pizzico di umorismo, ti liberi dalla rigidità e dalla serietà e ti apri a un’esperienza di vita più gioiosa e spensierata.
Tieni presente che ridere di se stessi non significa ignorare o minimizzare le tue emozioni legittime. È importante riconoscere e affrontare le tue emozioni in modo sano. L’autoironia dovrebbe essere un modo per sviluppare una prospettiva più positiva e una maggiore flessibilità mentale, senza negare o reprimere i tuoi veri sentimenti.
Se le cose stanno così, ormai è chiaro che i polli non sono tutti uguali. Ce ne sono di ‘intelligenti’. L’allevamento intensivo può influenzare le capacità cognitive. Io non provengo da un allevamento del genere. Io sono unico …

(ANSA) — PADOVA, 26 OTT — Le varietà di polli da carne più comuni paiono indistinguibili, eppure una risulta essere meno “intelligente” dell’altra: il “Ross308” in particolare, selezionato per garantire una maggiore resa di carne, si dimostra più scarso ai test cognitivi.[image error]
E’ la conclusione a cui giunge uno studio condotto dal Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università degli Studi di Padova, che è stato pubblicato su “Poultry Science”.
Negli ultimi decenni, l’uomo ha effettuato una selezione intensiva nelle varietà di polli da carne — i cosiddetti ‘broiler’ — con l’obiettivo di ottenere tassi di crescita più rapidi, riducendo al minimo i costi di produzione, in particolare dell’alimentazione. La selezione intensiva, oltre che sugli aspetti fisici, potrebbe avere delle ripercussioni sul comportamento e sulle capacità cognitive degli animali.
Questo nuovo studio si è posto l’obiettivo di esplorare l’effetto della selezione su due varietà di pulcini domestici appena nati: l’”Hybro” e il “Ross308”, valutandone le abilità di comprensione di informazioni di tipo numerico. Tutti i pulcini hanno selezionato il quarto contenitore al di sopra della probabilità casuale; i pulcini Hybro hanno però ottenuto risultati significativamente migliori rispetto ai pulcini Ross308.
“Un precedente studio — sottolinea Rugani — ha messo in luce che i polli broiler hanno corpi più grandi ma cervelli più piccoli rispetto ai polli red junglefowl (una varietà non ibrida di pollo), differenza che potrebbe influire selettivamente sulle prestazioni in alcune abilità cognitive. Questi risultati aprono una finestra su un tema finora poco esplorato di come la selezione intensiva possa influenzare il comportamento e la cognizione. Comprenderne le capacità cognitive consente di apprezzarne le necessità e promuoverne al meglio il benessere anche in contesti di allevamento”.
Lo studio proseguirà per l’individuazione delle differenze cognitive e comportamentali tra varietà rustiche di pollo domestico, quali la gallina padovana, e gli ibridi selezionati per la produzione industriale. (ANSA).
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