Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 47
September 22, 2023
The book is an ax to break the sea of ice within us …
A book is magic as all books are. Everyone in their own way has a special soul, large and small, for travel or for an armchair, for a…
September 19, 2023
“Credo perchè è assurdo” è il primo “meme” del Cristianesimo?

Si ritiene spesso che la fede religiosa evidenzi un impegno di tipo precario, in cui il grado di convinzione è inversamente proporzionale alla corrispondenza ai fatti. In altre parole significa “o credi per fede o non credi”.
La prova migliore di questa caratterizzazione del credo religioso è la massima accreditata allo scrittore cristiano del terzo secolo Tertulliano, al quale viene attribuita la frase “Credo perché è assurdo”.
Questa espressione paradossale appare di solito nelle valutazioni filosofiche della razionalità della fede religiosa, nelle polemiche contemporanee rivolte a un’immaginaria opposizione tra scienza e religione, e praticamente in ogni rispettabile dizionario di citazioni. Può, addirittura, essere associato all’idea di “meme” come ha fatto l’autore di questo articolo.
Il concetto di “Credo perché assurdo” non è propriamente un meme nel senso moderno. Tertulliano affermava che la fede cristiana richiedeva di credere in verità che potevano sembrare assurde o irrazionali agli occhi del mondo. La frase può essere interpretata come una sintesi dell’approccio alla fede.
Si intende enfatizzare che la fede cristiana trascende la logica e la ragione umana, e che la verità può essere compresa solo attraverso la fede. In altre parole, la ragione umana può sembrare insufficiente per comprendere i misteri della fede, ma si richiede, comunque, di credere nonostante le apparenti contraddizioni.
E’ importante notare che l’attribuzione di questa frase a Tertulliano può essere oggetto di dibattito tra gli studiosi, poiché non è presente in modo esplicito nelle sue opere sopravvissute. Quindi, sebbene sia spesso citata come una sintesi del suo pensiero, non possiamo affermare con certezza che Tertulliano abbia effettivamente utilizzato questa esatta espressione.
In ogni caso, l’idea che la fede richieda di accettare verità che possono sembrare contrarie alla ragione o al buon senso è un tema presente in molte tradizioni religiose, non solo nel cristianesimo. Ma che cos’è un meme?
La lingua dei meme, spesso chiamata anche “memeologia” o “linguaggio memetico”, è un sistema di comunicazione basato sull’uso di immagini, video, testo e concetti che si diffondono rapidamente attraverso Internet.
I meme sono diventati una forma popolare di espressione online e si sono evoluti in un linguaggio unico che spesso trascende le barriere linguistiche e culturali.
I meme possono assumere diverse forme, ma spesso si basano su un’immagine o un video accompagnato da un breve testo. Questa combinazione di immagine e testo è conosciuta come “meme image macro”.
Questi testi spesso giocano con la cultura popolare, le tendenze attuali, gli eventi di attualità o le espressioni comuni, creando una sorta di codice condiviso tra coloro che sono a conoscenza del meme.
Ad esempio, il celebre quadro di Caravaggio qui riportato può diventare una immagine meme per la frase attribuita a Tertulliano. “Vedere per credere, ho visto quindi credo, non è vero ma ci credo”. L’incredulità di San Tommaso è un episodio del Vangelo che riunisce la fragilità dell’uomo di fronte al mistero della fede e la sua necessità di comprendere le cose nel loro essere.
La lingua dei meme è caratterizzata anche da una serie di concetti e formati ricorrenti. Ad esempio, i “reaction GIF” sono brevi clip tratti da film, show televisivi o video virali che vengono utilizzati come risposta visiva a una situazione o a un commento. Questi GIF possono esprimere emozioni come felicità, tristezza, sorpresa e sarcasmo in modo immediato ed efficace.
Inoltre, i meme spesso si basano sull’umorismo e sulla satira, utilizzando giochi di parole, ironia o paradossi per creare un effetto comico. La lingua dei meme è dinamica e in continua evoluzione, con nuovi meme che vengono creati e diffusi rapidamente. Alcuni possono avere una vita breve e sparire presto, mentre altri possono diventare virali e diffondersi in tutto il mondo.
La lingua dei meme ha avuto un impatto significativo sulla cultura popolare e sulla comunicazione online. Ha influenzato l’umorismo, il linguaggio e l’espressione creativa di milioni di persone in tutto il mondo. Inoltre, i meme sono diventati uno strumento utilizzato da aziende, personaggi pubblici e organizzazioni per raggiungere il pubblico online e creare coinvolgimento.
È importante notare che questa lingua può essere altamente referenziale e dipendere da una certa conoscenza condivisa tra gli utenti di Internet. Alcuni meme possono essere specifici di determinate comunità online o culture, rendendoli meno comprensibili per chi non è a conoscenza di tali riferimenti.
Molti meme sono diventati così diffusi che sono riconosciuti e compresi da un vasto pubblico, una lingua diventata forma di espressione creativa, un modo per comunicare idee, emozioni e anche umorismo attraverso la condivisione di immagini e concetti condivisi online. È un fenomeno culturale che riflette l’evoluzione della comunicazione nell’era digitale.[image error]
September 17, 2023
“Random” come “destino”
Si leva in aria uno stormo di aerei in esercitazione, come da programma. Tutto sembra andare per il meglio. All’improvviso un pilota…
September 16, 2023
Viaggio al Centro dell’Immaginazione
Nel labirinto delle parole, dove le storie prendono vita e la fantasia si libra nell’aria come una farfalla, c’è un luogo magico noto come…
September 15, 2023
Il “brodino digitale”. Attenzione sempre al “Grande Fratello” …

“Saranno anche sintesi o brodini digitali, ma sempre superiori a certi sgangherati opinionisti, commentatori, giornalisti! AI ha chiarezza, ordine espositivo …” — “Sono d’accordo. La libertà condiziona il pensiero umano, da sempre, e questo genera il caos altrimenti detto casino. Il Verbo era in principio, ma poi arrivò Babele, che continua. Ovviamente ci sono i rischi, vengono dal Grande Fratello. Sarà una questione di scelta … peggio non potra andare … chi vivrà, vedrà …” — “Caro prof. … credo che il buon Carioti debba aggiornarsi un pochino. Ha idee piuttosto vetuste. Provi a googlare questo progetto: Prodigit. È portato avanti anche da un sarnese di mia conoscenza e da altre menti della nostra zona …” — “è un progetto che spaventa anche il Vaticano, che ha inserito nel comitato etico il suo massimo esperto di AI …” — “Altro che brodino digitale … “
Questi sono alcuni commenti apparsi sulla pagina di FB a commento della della mia lettera pubblicata su LIBERO in risposta a quanto pensa il vice direttore del quotidiano Fausto Carioti.
No, l’intelligenza artificiale non può essere considerata semplicemente un “brodino digitale”. L’intelligenza artificiale (IA) è un campo di studio che si occupa di creare sistemi informatici in grado di eseguire compiti che richiedono solitamente l’intelligenza umana.
L’IA può essere vista come un insieme di algoritmi e modelli matematici che permettono alle macchine di apprendere dai dati e di prendere decisioni o eseguire attività in modo autonomo. L’obiettivo dell’IA è quello di simulare alcune delle funzioni cognitive umane, come il ragionamento, l’apprendimento, la percezione e la comprensione del linguaggio.
I brodini digitali, o chatbot, sono applicazioni di intelligenza artificiale che sono progettate per interagire con gli utenti attraverso il linguaggio naturale. Tuttavia, l’intelligenza artificiale è un campo molto più ampio e comprende anche altre aree come l’apprendimento automatico (machine learning), l’elaborazione del linguaggio naturale, la visione artificiale, la robotica e molte altre.
Quindi, mentre i brodini digitali possono utilizzare l’intelligenza artificiale per fornire risposte alle domande degli utenti, l’IA è un campo di studio più ampio e complesso che va oltre l’ambito dei semplici chatbot.
L’intelligenza artificiale comprende vari sottocampi e tecniche che mirano a replicare o simulare l’intelligenza umana nelle macchine. Ecco alcune aree chiave dell’intelligenza artificiale:
Machine Learning (ML): l’apprendimento automatico è un sottoinsieme dell’intelligenza artificiale che si concentra su algoritmi e modelli statistici che consentono ai computer di apprendere dai dati e fare previsioni o decisioni senza essere esplicitamente programmati. Le tecniche ML includono l’apprendimento supervisionato, l’apprendimento non supervisionato e l’apprendimento per rinforzo. Ha trovato applicazioni in diversi settori come il riconoscimento di immagini e parlato, l’elaborazione del linguaggio naturale e i sistemi di raccomandazione.
Elaborazione del linguaggio naturale (NLP): la PNL implica l’interazione tra computer e linguaggio umano. Consente alle macchine di comprendere, interpretare e generare il linguaggio umano, facilitando attività come la traduzione linguistica, l’analisi dei sentimenti, i chatbot e gli assistenti vocali.
Visione artificiale: la visione artificiale si occupa di consentire alle macchine di comprendere e interpretare le informazioni visive da immagini o video. Coinvolge attività come il riconoscimento degli oggetti, la classificazione delle immagini, il rilevamento degli oggetti e la generazione di immagini. La visione artificiale ha applicazioni in campi come veicoli autonomi, sistemi di sorveglianza e imaging medico.
Robotica: la robotica implica la progettazione, lo sviluppo e il funzionamento di robot in grado di eseguire compiti in modo autonomo o con l’assistenza umana. L’intelligenza artificiale svolge un ruolo cruciale nella robotica consentendo ai robot di percepire il loro ambiente, prendere decisioni e interagire con esseri umani o altri oggetti.
Sistemi esperti: i sistemi esperti sono sistemi di intelligenza artificiale progettati per imitare le competenze umane in domini specifici. Usano tecniche di rappresentazione della conoscenza e di ragionamento per risolvere problemi complessi emulando i processi decisionali di esperti umani. I sistemi esperti sono stati impiegati in campi come la medicina, la finanza e l’ingegneria.
Deep Learning: il deep learning è un sottoinsieme del machine learning che utilizza reti neurali con più livelli per modellare e apprendere modelli complessi nei dati. Il deep learning ha ottenuto notevoli successi in vari settori, come il riconoscimento di immagini e parlato, l’elaborazione del linguaggio naturale e i giochi.
Questi sono solo alcuni esempi dei numerosi rami e applicazioni dell’intelligenza artificiale. Il campo è in rapida evoluzione e i ricercatori esplorano continuamente nuove tecniche e progressi per migliorare le capacità dei sistemi intelligenti.
Attenzione sempre al Grande Fratello …
[image error]“Vita oscura e tormentata del più grande pensatore italiano” letto nella realtà digitale.
Leggo da sempre Marcello Veneziani sin dai tempi de “Il Borghese”, lo scomparso settimanale fondato da Leo Longanesi e pubblicato fino al…
September 14, 2023
L’Europa è una emozione, non una nazione …
L’Unione Europea è stata spesso descritta come un’utopia, un sogno collettivo che mira a unire nazioni e popoli sotto un’unica bandiera…
September 13, 2023
La vera cultura coltiva l’uomo e non lo sottomette in nome della tecnocrazia

La cultura, in un certo senso, è come un grande fiume: collega e percorre varie regioni della vita e della storia mettendole in relazione, permette di navigare nel mondo e di abbracciare Paesi e terre lontane, disseta la mente, irriga l’anima, fa crescere la società. La stessa parola cultura deriva dal verbo coltivare: il sapere comporta una semina quotidiana che, immergendosi nei solchi della realtà, porta frutto.
Cent’anni fa Romano Guardini, grande intellettuale e uomo di fede, proprio mentre si trovava immerso in un paesaggio reso unico dalla bellezza delle acque, ebbe una feconda intuizione culturale. Scrisse: “In questi giorni ho più che mai compreso che vi sono due forme di conoscenza (…), l’una conduce ad immergersi nell’oggetto e nel suo contesto, per cui l’uomo che vuol conoscere cerca di vivere in lui; l’altra, al contrario, raduna le cose, le decompone, le ordina in caselle, ne acquista padronanza e possesso, le domina” (Lettere dal lago di Como. La tecnica e l’uomo, Morcelliana, 2022, p. 55). Distingue tra una conoscenza umile e relazionale, la quale è come “un regnare che si ottiene per mezzo del servire; un creare secondo la natura, che non oltrepassa i limiti stabiliti” (p. 57), e un’altra modalità di sapere, che “non osserva, ma analizza (…) non s’immerge più nell’oggetto, lo afferra” (p. 56).
Ed ecco che in questo secondo modo di conoscere “le energie e le sostanze sono fatte convergere ad un unico fine: la macchina” (p. 58), e “così si sviluppa una tecnica dell’assoggettamento dell’essere vivente” (pp. 59–60). Guardini non demonizza la tecnica, la quale permette di vivere meglio, di comunicare e avere molti vantaggi, ma avverte il rischio che essa diventi regolatrice, se non dominatrice, della vita. In tal senso vedeva un grande pericolo: “L’uomo perde tutti i legami interiori che gli procurano un senso organico della misura e delle forme di espressione in armonia con la natura” e, “mentre nel suo essere interiore egli è divenuto senza contorni, senza misura, senza direzione, egli stabilisce arbitrariamente i suoi fini e costringe le forze della natura, da lui dominate, ad attuarli” (p. 60). E lasciava ai posteri una domanda inquietante: “Cosa ne sarà della vita se essa finirà sotto questo giogo? (…) Cosa accadrà (…) quando ci troveremo davanti al prevalere degli imperativi della tecnica? La vita, ormai, è inquadrata in un sistema di macchine. (…) In un tale sistema, la vita può rimanere vivente?” (p. 61).
La vita può rimanere vivente? Quanto intravisto da Guardini appare evidente ai nostri giorni: pensiamo alla crisi ecologica, con la natura che sta semplicemente reagendo all’uso strumentale che ne abbiamo fatto. Pensiamo alla mancanza di limiti, alla logica del si può fare dunque è lecito. Pensiamo anche alla volontà di mettere al centro di tutto non la persona e le sue relazioni, ma l’individuo centrato sui propri bisogni, avido di guadagnare e vorace di afferrare la realtà. E pensiamo di conseguenza all’erosione dei legami comunitari, per cui la solitudine e la paura, da condizioni esistenziali, paiono tramutarsi in condizioni sociali. Quanti individui isolati, molto social e poco sociali, ricorrono, come in un circolo vizioso, alle consolazioni della tecnica come a riempitivi del vuoto che avvertono, correndo in modo ancora più frenetico mentre, succubi di un capitalismo selvaggio, sentono come più dolorose le proprie debolezze, in una società dove la velocità esteriore va di pari passo con la fragilità interiore. Questo è il dramma. Dicendo ciò non voglio ingenerare pessimismo sarebbe contrario alla fede che ho la gioia di professare , ma riflettere su questa tracotanza di essere e di avere, che già agli albori della cultura europea Omero vedeva come minacciosa e che il paradigma tecnocratico esaspera, con un certo uso degli algoritmi che può rappresentare un ulteriore rischio di destabilizzazione dell’umano.
In un romanzo che ho più volte citato, Il padrone del mondo, di Robert Benson, si osserva “che complessità meccanica non è sinonimo di vera grandezza e che nell’esteriorità più fastosa si nasconde più sottile l’insidia”. In questo libro, in un certo senso profetico, scritto più di un secolo fa, viene descritto un futuro dominato dalla tecnica e nel quale tutto, in nome del progresso, viene uniformato: ovunque si predica un nuovo umanitarismo che annulla le differenze, azzerando le vite dei popoli e abolendo le religioni. Abolendo le differenze, tutte. Ideologie opposte convergono in una omologazione che colonizza ideologicamente. Questo è il dramma, la colonizzazione ideologica; l’uomo, a contatto con le macchine, si appiattisce sempre di più, mentre il vivere comune diventa triste e rarefatto. In quel mondo progredito ma cupo, descritto da Benson, dove tutti sembrano insensibili e anestetizzati, pare ovvio scartare i malati e applicare l’eutanasia, così come abolire le lingue e le culture nazionali per raggiungere la pace universale, che in realtà si trasforma in una persecuzione fondata sull’imposizione del consenso, tanto da far affermare a un protagonista che “il mondo sembra in balia di una vitalità perversa, che corrompe e confonde ogni cosa”.
Mi sono protratto in questa disamina a tinte fosche perché proprio in tale contesto meglio risplendono i ruoli della cultura e dell’università. L’università è infatti, come indica il nome stesso, il luogo dove il pensiero nasce, cresce e matura aperto e sinfonico; non monocorde, non chiuso: aperto e sinfonico. È il tempio dove la conoscenza è chiamata a liberarsi dai confini angusti dell’avere e del possedere per diventare cultura, cioè coltivazione dell’uomo e delle sue relazioni fondanti: con il trascendente, con la società, con la storia, con il creato. Afferma in proposito il Concilio Vaticano II: “La cultura deve mirare alla perfezione integrale della persona umana, al bene della comunità e di tutta la società umana. Perciò è necessario coltivare lo spirito in modo che si sviluppino le facoltà dell’ammirazione, dell’intuizione, della contemplazione, e si diventi capaci di formarsi un giudizio personale e di coltivare il senso religioso, morale e sociale” (Gaudium et spes, n. 59). Già nei tempi antichi si diceva che l’inizio del filosofare è l’ammirazione, la capacità di ammirazione.
È vero: i grandi intellettuali, infatti, sono umili. Il mistero della vita, d’altronde, si svela a chi sa entrare nelle piccole cose. Così intesa, la cultura davvero rappresenta la salvaguardia dell’umano. Immerge nella contemplazione e plasma persone che non sono in balia delle mode del momento, ma ben radicate nella realtà delle cose. E che, umili discepole del sapere, sentono di dover essere aperte e comunicative, mai rigide e combattive. Chi ama la cultura, infatti, non si sente mai arrivato e a posto, ma porta in sé una sana inquietudine. Ricerca, interroga, rischia, esplora; sa uscire dalle proprie certezze per avventurarsi con umiltà nel mistero della vita, che si sposa con l’inquietudine, non con l’abitudine; che si apre alle altre culture e avverte il bisogno di condividere il sapere. Questo è lo spirito dell’università.
La cultura ci accompagna a conoscere noi stessi. Lo ricorda il pensiero classico, che non deve mai tramontare. Vengono alla mente le celebri parole dell’oracolo di Delfi: “Conosci te stesso”. È una delle due frasi-guida che vorrei lasciarvi in conclusione. Ma che cosa significa conosci te stesso? Vuol dire saper riconoscere i propri limiti e, di conseguenza, arginare la propria presunzione di autosufficienza. Ci fa bene, perché è anzitutto riconoscendoci creature che diventiamo creativi, immergendoci nel mondo anziché dominandolo. E mentre il pensiero tecnocratico insegue un progresso che non ammette limiti, l’uomo reale è fatto anche di fragilità, ed è spesso proprio lì che comprende di essere dipendente da Dio e connesso con gli altri e con il creato. La frase dell’oracolo di Delfi invita dunque a una conoscenza che, partendo dall’umiltà, partendo dal limite, partendo dall’umiltà del limite scopre le proprie meravigliose potenzialità, che vanno ben oltre quelle della tecnica. Conoscere se stessi, in altre parole, chiede di tenere insieme, in una dialettica virtuosa, la fragilità e la grandezza dell’uomo. Dallo stupore di questo contrasto sorge la cultura: mai appagata e sempre in ricerca, inquieta e comunitaria, disciplinata nella sua finitezza e aperta all’assoluto. Vi auguro di coltivare questa appassionante scoperta della verità!
La seconda frase-guida si riferisce proprio alla verità. È una frase di Gesù Cristo: “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32). L’Ungheria ha visto il susseguirsi di ideologie che si imponevano come verità, ma non davano libertà. E anche oggi il rischio non è scomparso: penso al passaggio dal comunismo al consumismo. Ad accomunare entrambi gli ismi c’è una falsa idea di libertà; quella del comunismo era una libertà costretta, limitata da fuori, decisa da qualcun altro; quella del consumismo è una libertà libertina, edonista, appiattita su di sé, che rende schiavi dei consumi e delle cose. E quanto è facile passare dai limiti imposti al pensare, come nel comunismo, al pensarsi senza limiti, come nel consumismo! Da una libertà frenata a una libertà senza freni. Gesù invece offre una via d’uscita, dicendo che è vero ciò che libera, quello che libera l’uomo dalle sue dipendenze e dalle sue chiusure. La chiave per accedere a questa verità è un conoscere mai slegato dall’amore, relazionale, umile e aperto, concreto e comunitario, coraggioso e costruttivo. È questo che le università sono chiamate a coltivare e la fede ad alimentare.
Originally published at https://www.ilgiornale.it on September 14, 2023.
[image error]Transizione Digitale e Intelligenza Artificiale
Il XXI secolo è caratterizzato dall’Intelligenza Artificiale (IA) e dalla Transizione Digitale.
Libri, biblioteche e lettori di altri tempi
Sono molto fiero di questa opera editoriale qui fotografata, presente nella mia biblioteca cartacea. La Folio Society è una casa editrice…
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