Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 48
September 12, 2023
Immensity & Infinity
When the Italian poet Giuseppe Ungaretti wrote the famous verse “m’illumino d’immenso”, (I light up with immensity) he intended to express…
Immensità & Infinito
Quando il poeta italiano Giuseppe Ungaretti scrisse il celebre verso “m’illumino d’immenso”, intendeva esprimere un’esperienza di…
September 11, 2023
“Siamo creature, possiamo essere creativi, ma non siamo creatori.”
Così ha scritto Marcello Veneziani in un suo articolo a proposito della condizione umana. Essere creature significa che siamo nati e siamo…
September 10, 2023
Visions, illusions, delusions: what are the remains of the day
I was born in a countryside context, with an archaic peasant culture, but my family was not made of peasants, even if it was imbued with a…
Tra visioni, illusioni e delusioni: quel che resta del giorno, fa parte del gioco.
Sono nato in un contesto di campagna, di cultura contadina arcaica, ma la mia famiglia non era contadina, pur se impregnata di un non…
September 7, 2023
Una famiglia nell’Arca di Noè …

Oggi vorrei raccontarvi una storia di amore e compassione che coinvolge una famiglia straordinaria, con un amore speciale per ogni tipo di animale. Questa famiglia ha un legame profondo con il regno animale. Il loro amore si estende a tutte le creature che vivono sul nostro pianeta. Nel cuore di questa famiglia viveva un cane di nome Nico.
Era un compagno fedele, un amico leale e un membro amato della famiglia. Nelle loro case, ci sono animali grandi e piccoli che volano, strisciano, si arrampicano o camminano, di terra o di acqua. Tutti hanno un nome, trovano un rifugio sicuro e un amore incondizionato.
Nico apparteneva alla razza detta dello “spinone italiano” che vanta una tradizione secolare, conosciuta con il nome di ‘Griffone’. Cani da caccia dal pelo ruvido, molto utilizzati anche in terreni insidiosi, disciplina in cui emergono. Grazie alle sue straordinarie doti di cacciatore, lo “spinone italiano” gode di un certo prestigio.
Ma la vita può essere ingiusta e un giorno il destino ha colpito, per una crudele ironia, con un altro animale, volante e misterioso: una zanzara lo ha morso, causandogli una malattia letale. La famiglia ha subìto l’angoscia di vedere il loro amato Nico soffrire e lottare per la vita.
Questa famiglia, con il suo amore per gli animali, ha affrontato questa tragedia con coraggio e compassione. Hanno cercato ogni possibile cura, consultando veterinari e esperti, ma alla fine, la malattia ha preso il sopravvento.

Tutto accade nella Valle di Tramonti, in Costa d’Amalfi, nella frazione di Novella. Conosco questa famiglia. Mi sembra l’Arca di Noè. Tutti conosciamo la sua storia. Me ne sono ricordato pensando alle cure che il Noè della Bibbia dovette avere per tutti gli animali in quei quaranta giorni nella sua Arca, durante il Diluvio Universale. Qualche giorno fa, il capo di questa famiglia, (non farò il suo nome, ma per me è un moderno Noè), mi ha raccontato la morte di un suo amato animale, Nico. A causa del morso di una zanzara assassina, è deceduto in pochi giorni.
Strano che sia stato un altro animale. E’ il caso di dire, una “bestia”, ad ucciderlo. Non credo che il biblico Noè lo abbia messo nella sua arca per salvarlo dal diluvio. Con il suo morso fatale e letale, pericoloso anche per gli umani, l’ha ucciso. La zanzara, nonostante tutte le cure del mio amico, moderno “Noè” di questa straordinaria famiglia. Ha avuto per lui tanta cura ed affetto. Nico era stato colpito nei suoi organi più vitali, ma è stato assistito con grande attenzione da tutta la famiglia, con la continua guida di un esperto veterinario.
L’ho visto con i miei occhi. Disteso su un soffice tappeto, all’ombra di secolari cipressi, il mio amico “Noè” aveva appeso ad un ramo la flebo per la somministrazione della soluzione che il veterinario aveva prescritto per difendere il suo fegato attaccato dal virus. Dosava e controllava con attenzione il gocciolamento del medicinale, una flebo ogni dodici ore. Aveva previsto per pranzo una pappa di carne frullata che sua moglie aveva preparato. Gliela avrebbe data col cucchiaino o anche con un opportuno biberon.
Nico, disteso sul tappeto, respirava sollevando a fatica il suo bianco vellutato pelo sulla pancia. Gli occhi chiusi, di volta in volta ne apriva uno, quasi come per lanciare uno sguardo al suo infermiere che, con un occhio alla flebo e l’altro all’ago sulla zampa nella quale aveva inserito l’ago, continuava a parlarmi come se avesse in cura un suo bambino.
In effetti il bambino c’è ancora ma è diventato un uomo, anche lui coi suoi due figli e la signora, appassionati di animali, membri della famiglia dell’Arca paterna. In un suo giardino alleva e accudisce anitre, oche, galline, conigli, tortore e non so quali altri animali. Al telefono si faceva sentire un altro membro della famglia dell’Arca di Noè, la figlia. Anche lei, con i suoi figli, amante degli animali, in specie quelli striscianti. Voleva essere costantemente informata degli eventi. Ognuna di queste persone ha un rapporto diverso e significativo con gli animali: nomi, abitudini, alimentazione.
“Noè” continuava a non perdere di vista il filo della flebo, temeva che il medicinale andasse fuori vena. Al calare della sera, avrebbe portato Nico dentro casa, al riparo. Avrebbe riferito a sua suocera, la mamma di sua moglie, ultra centenaria, la quale voleva essere informata delle condizioni di salute del cane. Amore per gli animali, sì, ma senza dimenticare quello per gli umani!
Quando ho poi rivisto “Noè” al mattino, mi ha detto che Nico era scomparso, era contento perchè sembrava si fosse ripreso, ma era anche ansioso di trovarlo. Nel pomeriggio, quando ci siamo incontrati in giardino e gli ho chiesto di Nico, mi ha detto, quasi con le lacrime agli occhi ed un groppo in gola, che lui e il figlio gli avevano appena dato sepoltura. Durante la notte, al suo ritorno a casa, dopo la scomparsa, era crollato in un mare di sangue.
Nico era scappato, come se avesse avvertito l’avvicinarsi della fine. In cerca di un posto dove morire. Ma non aveva potuto fare a meno di tornare per finire suoi giorni là dove lo avevano amato. Nella casa della famiglia dell’Arca di Noè …
[image error]September 6, 2023
La nostra “disattenzione” quotidiana

“Disattenzione” di Wisława Szymborska è una poesia straordinaria che cattura con delicatezza e profondità una verità universale: la nostra tendenza innata a essere distratti dalle piccole meraviglie della vita quotidiana. La poesia ci invita a riflettere sulle occasioni perdute e sugli attimi preziosi che sfuggono alla nostra attenzione, mentre siamo immersi nelle nostre routine frenetiche.
Le parole di Szymborska ci conducono in un viaggio di introspezione, in cui scopriamo quanto spesso trascuriamo la bellezza e il significato nascosti nelle situazioni più semplici. La poetessa polacca ci sollecita a rallentare, a guardare attentamente intorno a noi e a sperimentare appieno il presente, anziché lasciarci travolgere dal passato o lasciarci distrarre dal futuro incerto.
Attraverso una prosa incisiva e una visione acuta, Szymborska ci ricorda che la vita è un’opportunità fugace, e che spesso ciò che cerchiamo si trova proprio davanti a noi, se solo avessimo l’attenzione necessaria per notarlo. Le sue parole ci invitano a riflettere sulla nostra disattenzione e a cogliere l’essenza dei momenti, perché solo nella consapevolezza possiamo trovare la pienezza e la gratitudine per tutto ciò che ci circonda.
“Disattenzione” è un inno alla presenza mentale, alla meraviglia e alla semplicità. Ci ricorda che la vita è un mosaico di istanti preziosi che meritano di essere apprezzati, e che la nostra disattenzione può costarci la gioia di vivere appieno. Questa poesia ci invita a riconnetterci con il nostro intimo, a rallentare e a trovare la bellezza nelle piccole cose, donandoci una preziosa lezione di umanità e di consapevolezza.
“Disattenzione” è una poesia che ci spinge a riflettere sulla nostra attenzione e sul valore dei momenti fugaci. È un invito a vivere nel presente e a riconoscere la bellezza che ci circonda, anche nelle cose più semplici. Szymborska ci ricorda che la disattenzione è un lusso che non possiamo permetterci, se vogliamo abbracciare appieno la vita e tutto ciò che essa ha da offrire. Condivido la mia “Disattenzione…”
“Ieri mi sono comportata male nel cosmo.[image error]
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente.
Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.
Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.
Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.
Nessun come e perché –
e da dove è saltato fuori uno così –
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.
Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro
(e qui un paragone che mi è mancato).
Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter d’occhio.
Su un tavolo più giovane da una mano d’un giorno più giovane
il pane di ieri era tagliato diversamente.
Le nuvole erano come non mai e la pioggia era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.
La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.
È durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.
Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.”
September 5, 2023
La carne, la morte e il diavolo …

Il 6 settembre 1896 nasce Mario Praz autore di un famoso libro il cui titolo ho usato a metà per titolare questo post in ricordo della sua nascita. Uno scrittore, critico d’arte, traduttore, giornalista e anglista accademico italiano, Mario Praz ha trascorso gran parte della sua vita a Londra, dove ha insegnato letteratura italiana presso il Queen Mary College dell’Università di Londra. È stato anche professore di letteratura italiana presso l’Università di Roma “La Sapienza”.
Un intellettuale eccentrico, noto per la sua grande cultura e la sua capacità di scrivere su una vasta gamma di argomenti, dalla letteratura alla critica d’arte, dalla moda alla cultura popolare. Tra le sue opere più famose “La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica” e “La casa della vita: simbolismo e poesia della vita inglese”.
Praz è stato anche un collezionista d’arte e ha donato gran parte della sua collezione alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. La sua collezione comprendeva opere di artisti come Giorgio de Chirico, Carlo Carrà e Filippo de Pisis. Mario Praz morì a Roma il 23 marzo 1982, all’età di 85 anni. La sua vasta eredità culturale e intellettuale continua ad essere studiata e apprezzata in tutto il mondo.
Ho un ricordo personale di questo straordinario anglista legato ai miei primi anni di studio della lingua inglese. Nel secolo e nel millennio trascorsi. Posseggo molti dei suoi libri ma conservo gelosamente una semplice antologia di testi usata nelle poche scuole superiori italiane del tempo dove si studiava l’inglese, una lingua che stava lentamente spodestando la presenza del francese.
In un post qui al link, qualche anno fa, ebbi modo di metterla a confronto con un’altra antologia moderna e digitale, tirandone le opportune conseguenze. Firmata da Mario Praz, quell’antologia di scrittori inglesi e americani cercava faticosamente di farsi notare tra le grosse e sofisticate antologie di latino e greco che siedevano in trono sulla cattedra nelle classi sperimentali dei ginnasi di fine anni sessanta e inizi settanta.
Erano brani scelti di autori con commenti biografici, brevi inquadramenti storici letti in classe dalla viva voce con grandi sforzi e senza supporti dal povero docente.

Erano iniziate timide sperimentazioni su di un futuro che sembrava non dovesse mai arrivare. La classicità dominava il piccolo mondo meridionale, come ancora oggi, purtroppo. Qualche preside all’avanguardia era riuscito a raggruppare pochi studenti i quali, volontariamente, avevano scelto le due ore di sperimentale apprendimento di una lingua che gareggiavano con la maestosa e rivoluzionaria lingua consorella: il francese. Si era guardati con un sorriso di superiorità dalle lingue classiche. Una perdita di tempo per molti, un esperimento destinato al fallimento per altri.
Ricordo che in un antico e prestigioso liceo-ginnasio, che era anche un collegio, un lungimirante, intelligente e colto preside, un Padre benedettino “ora et labora”, mi fece avere l’incarico dal Provveditorato per alcune ore di “lingua sperimentale” in inglese ad alcuni studenti del ginnasio. I loro genitori, dietro impegno economico personale, avevano deciso di optare privatamente per lo studio della lingua inglese affiancandola al francese.
In adozione avevo proprio l’antologia di Mario Praz. Usavo la mia voce e i preziosi dischi del corso “Linguaphone” per insegnare i suoni della lingua di Shakespeare con le voci degli attori trasferiti sui nastri del nascente registratore audio. Stava per accadere quello che poi è accaduto. Era in arrivo il futuro.
Nasceva la comunicazione video, si affiancava all’audio, entrambi sarebbero in poco tempo diventati un sistema di attività cognitive complesse denominato “attivo-comparativo”, il “testo” sarebbe diventato un “ipertesto”, l’insegnamento sarebbe stato programmato, continuo e a distanza. Sarebbe arrivata ben presto la Rete.
Il “mezzo” sarebbe diventato il “messaggio”, il digitale era alle porte. Marshall McLuhan lo aveva previsto dicendo che il “mezzo era il messaggio”. In poco tempo, tutta l’esistenza umana sarebbe diventata “audio-video-attiva-comparativa”. In poche parole “social” e “digitale”. Basta dare una occhiata a come sono fatte le moderne antologie dedicate allo studio non solo della lingua inglese.
Libri multimediali, piattaforme digitali sofisticate per un apprendimento immediato che avrebbe spaventato anche l’erudito e finissimo studioso quale era Mario Praz: interactive timeline, video in contesto storico e culturale, testi antologizzati, texts bank aggiuntivi, routes di apprendimento, esercizi interattivi online, esercizi di neuroscienza cognitiva, dalle origini ad oggi, una grande, una sconfinata realtà digitale. Le scarse trecento pagine dell’Antologia di Praz fanno la differenza. Progresso o mutamento?
Mario Praz fu anche un grande traduttore. Vi propongo una sua traduzione di una bellissima poesia romantica. Una poesia del poeta inglese Alfred Tennyson, molto triste, che esprime insieme la dolcezza ed il dolore del ricordo per le cose passate e gli amici scomparsi.
Il poeta piange lacrime che egli ritiene “idle” cioè “vane” perchè egli stesso non è in grado di capirne il significato e le conseguenze. Eppure resta convinto che quelle lacrime, quelle tenere, misteriose gocce d’acqua che solcano il volto di chi avverte un sentimento di sofferenza, quelle stesse lacrime sono belle e nobili.
Sorgono, infatti, dal profondo del suo cuore e gonfiano i suoi occhi alla vista di quei campi dorati al tempo della mietitura autunnale. Occasione di gioia per il raccolto, ma anche di tristezza, perchè segna una fine, quella della stagione estiva. Tutte quelle foglie gialle destinate a marcire, come sono purtoppo finiti i giorni passati che non potranno mai più tornare.
Luminoso come il primo raggio di sole che sorge e bacia le vele della nave al limite dell’orizzonte, così il ricordo degli amici perduti emerge dal profondo dell’animo. Il mondo irraggiungibile, oltre la linea della vita, nel regno dei morti, come nelle leggende classiche.
Quando ricordiamo i nostri amici scomparsi essi ci appaiono e sembra che navigano nella nostra mente. Ma poi affondano per scomparire. Sappiamo bene che essi non possono restare in superficie a lungo.
Così è altrettanto triste il momento del tramonto allorquando il sole perde le sue forze e fa il cielo rosso del suo sangue, affondando dietro l’orizzonte. Una coltre scura cala sulle memorie e sui ricordi dei giorni andati che di esse sono i figli.
Molta “carne” a cuocere, la “morte” del passato, il “diavolo” del futuro …
Tears, idle tears, I know not what they mean,
Tears from the depth of some divine despair
Rise in the heart, and gather to the eyes,
In looking on the happy autumn-fields,
And thinking of the days that are no more.
Fresh as the first beam glittering on a sail,
That brings our friends up from the underworld,
Sad as the last which reddens over one
That sinks with all we love below the verge;
So sad, so fresh, the days that are no more.
Ah, sad and strange as in dark summer dawns
The earliest pipe of half-awaken’d birds
To dying ears, when unto dying eyes
The casement slowly grows a glimmering square;
So sad, so strange, the days that are no more.
Dear as remembered kisses after death,
And sweet as those by hopeless fancy feign’d
On lips that are for others; deep as love,
Deep as first love, and wild with all regret;
O Death in Life, the days that are no more!
— — — — — — —
Lacrime, vane lacrime ed arcane,
Dal sen d’una divina disperanza,
Sorgano in cuor, s’accolgono negli occhi.
Vedendo i lieti campi dell’Autunno,
Pensando ai giorni che non sono più.
Gai come il primo raggio su una vela
Che ci riporti i cari d’oltremare,
Tristi come l’estremo su una vela
Che affondi insieme con tutto quel che amiamo:
Si tristi e gai quei dì che non son più.
Ah, tristi e strani come in alba oscura
Voci d’uccelli per morenti orecchi,
Mentre ad occhi morenti la finestra
Via via diventa un pallido quadrato;
Si tristi e strani i dì che non son più.
Cari siccome i baci ricordati
Dopo la morte, e dolci come i baci
Sognati invan, profondi come amore,
Il primo amore, e folli di rimpianto:
O Morte in Vita, i dì che non son più.
(Traduzione di Mario Praz)
Molta “carne” a cuocere, la “morte” del passato, il “diavolo” del futuro …[image error]
Un piano per vivere: forse meglio dalla A alla Z

E’ importante avere sempre un piano B in molte situazioni. Un piano alternativo può aiutare a gestire le incertezze e ad affrontare possibili ostacoli lungo il percorso. Quando si di dice di “fare come Amazon: dalla A alla Z”, suppongo che si faccia riferimento al famoso slogan dell’azienda che sottolinea la loro capacità di gestire ogni aspetto del processo, dall’inizio alla fine. Forse si esagera, ma è bene rifletterci su.
Questo approccio dettagliato e completo può essere utile in molti contesti, specialmente quando si tratta di organizzare e pianificare progetti complessi. Tuttavia, è anche importante notare che ogni situazione è unica e richiede una valutazione caso per caso.
Mentre l’approccio di Amazon può funzionare bene per loro nell’industria del commercio elettronico, potrebbe non essere adatto per tutti i tipi di attività o settori.
Quindi, mentre è saggio avere un piano B+C e adottare un approccio dettagliato come quello di Amazon, è altrettanto importante considerare le circostanze specifiche e adottare la strategia di pianificazione di conseguenza. In alcuni casi, potrebbe essere necessario sviluppare più di un piano alternativo o essere aperti a modifiche e adattamenti lungo il percorso.
L’importante è essere flessibili e pronti ad affrontare i imprevisti, assicurandosi una solida pianificazione di base, ma anche di essere aperti a nuove opportunità e soluzioni lungo il percorso. Quando si incontrano ostacoli improvvisi ed imprevisti lungo il percorso, è meglio adottare un approccio strategico per gestirli.
Ecco alcuni consigli su cosa fare in tali situazioni:
Mantenere la calma: È comprensibile sentirsi frustrati o stressati quando si affrontano ostacoli imprevisti, ma è importante mantenere la freddezza necessaria e prendere decisioni razionali. Il panico può nuocere alla capacità di pensare chiaramente e di trovare soluzioni efficaci.
Analizzare la situazione: Valutare attentamente la natura dell’ostacolo e il suo impatto sul piano iniziale. Cercare di comprendere le cause dell’ostacolo e l’entità dei suoi effetti.
Rivedere il piano: In base all’analisi della situazione, valutare se è necessario apportare modifiche al piano iniziale. Si potrebbero dover ridefinire le priorità, ridistribuire le risorse o adottare nuove strategie per superare l’ostacolo.
Cercare soluzioni alternative: Esplorare diverse opzioni e considerare soluzioni alternative. Potrebbe essere necessario pensare in modo creativo e fuori dagli schemi per trovare nuovi approcci che consentano di superare l’ostacolo.
Chiedere aiuto: Non esitare a chiedere aiuto o a coinvolgere altre persone competenti nel problema. A volte, una prospettiva esterna o l’apporto di esperti può portare idee e soluzioni preziose.
Adattare e imparare: Quando si incontrano ostacoli imprevisti, è un’opportunità per imparare e crescere. Valutare attentamente ciò che si impara dalla situazione e considerare come applicare queste lezioni in futuro per migliorare i piani e le strategie.
Mantenere la flessibilità: La flessibilità è fondamentale quando si affrontano ostacoli imprevisti. Essere disposti a modificare il percorso, se necessario, e ad adattarsi alle nuove circostanze. La capacità di adattarsi e di trovare soluzioni alternative può essere cruciale per superare gli ostacoli.
Ricordare che gli ostacoli sono parte integrante del processo e che la capacità di affrontarli in modo efficace può portare a nuove opportunità e a una maggiore crescita personale e professionale.
In fondo, se tante sono le lettere dell’alfabeto per creare parole e comunicare, tante possono essere le soluzioni per vivere con meno problemi.[image error]
September 4, 2023
L’uomo che divenne Gesù Cristo

Ogni qualvolta esce un libro la cui tematica è di mio interesse e decido di leggerlo, cerco sempre di confrontarmi con quegli interrogativi che ogni buon libro pone ed ai quali sia chi l’ha scritto che chi l’ha comprato cercano di trovare non solo risposte, ma porre anche altre eventuali, ulteriori domande.
E’ il caso di questo libro appena annunziato in uscita da Mondadori. Ho avuto la possibilità di leggere uno stralcio scritto dall’autore e la presentazione editoriale. Tra i tanti interrogativi che un libro come questo pone, (ne sono stati scritti a milioni in tutte le lingue su questo argomento nel corso di duemila anni), un interrogativo me lo sono posto ed è tutto espresso nel titolo di questo post: Come fece l’uomo chiamato Gesù Cristo a diventare un uomo?
Non so se Busi affronta questo problema. Lo saprò solo dopo aver letto il libro. Per ora mi limito a cercare una risposta a questa domanda che, da sempre, mi pongo nella mia impropria e limitata fede di credente. L’editore nella presentazione del libro di Giulio Busi scrive:
Chi è, veramente, Gesù? Sappiamo cosa è diventato dopo la sua morte, in duemila anni di fede cristiana. Ma come lo considerano i contemporanei? Cosa pensano quando lo ascoltano parlare e mentre lo vedono agire? Poco prima della fine, egli pronuncia su di sé parole «Io so da dove vengo, e dove vado. Voi, invece, non sapete da dove vengo e dove vado» ( Gv 8,14). Può questo messaggio di un «re» ebreo illuminare anche l’origine e la meta della nostra vita? Attraverso un fitto e appassionato dialogo con i Vangeli, Giulio Busi traccia il profilo di un Gesù ribelle, assai diverso dall’immagine del buon pastore, mite e mansueto, trasmessa da gran parte della tradizione cristiana. È il Gesù della polemica e dell’invettiva. E, insieme, il Gesù visionario che sovverte e trascende ogni limite di spazio e di tempo, in continuo movimento tra il «qui» della sofferenza e della sopraffazione e il «là» della pace e della vita spirituale. A delinearsi con chiarezza in queste pagine è, in particolare, una «storia ebraica» del maestro di Nazaret. Per lui, infatti, gli ebrei non sono mai «loro» ma «noi». E se la sua ribellione s’indirizza anche contro l’élite religiosa giudaica, è pur sempre la ribellione di un ebreo, orgoglioso della propria appartenenza, che sa interpretare la Torah in modo straordinariamente raffinato, eppure libero, nuovo, creativo. Alla fine, Gesù è un re proscritto, su cui pende un ordine di arresto. Un rabbi itinerante braccato e costretto a nascondersi. Quando sale a Gerusalemme per l’ultima Pasqua, sa che verrà tradito, catturato, percosso, ucciso. I suoi si sbandano, rinnegano. Solo un gruppo di donne non lo lascia nell’ora più oscura. E soltanto una donna cerca il proprio maestro e per prima lo trova, all’alba, in un giardino, al di là della morte. Il giudaismo ha rifiutato il regno senza potere impersonato da Gesù. Il cristianesimo ha trasformato la missione errante dei primi discepoli ebrei, senza famiglia e senza averi, senza bagaglio e senza armi, in una realtà solida, ben costruita, capace di durare per millenni. Ma la ribellione di Gesù ancora continua.
Partiamo dal principio. Non è possibile affrontare questo argomento senza costruire le premesse, il contesto. L’uomo di cui mi accingo a scrivere non è un bambino, un ragazzo, un uomo qualunque. È niente di meno che il figlio di Dio.
Bisogna anche intenderci su questa entità che porta questo nome: Dio. Un ente superiore, una realtà ultra umana, spaziale, celeste, universale, chiamatela come volete. Certamente colui/colei che ha creato dal nulla ogni cosa. Da dove inizio, dalla parola universo?
Impropria parola se sappiamo che esistono i multiversi. Insomma questa entità creatrice del tutto, forza misteriosa e potente, fuori dal tempo e dallo spazio, ma che entrambi comprende, conosce e comanda, decide di inviare su uno dei milioni di miliardi di infiniti corpi celesti di cui sono fatti non solo i suoi spazi ma anche se stesso, decide di inviare su una palla-pianeta chiamata Terra, suo “figlio”.
Aveva bisogno di inviare un messaggio a quegli esseri umani che molto tempo prima aveva creato e messo a vivere da quelle parti. Non starò a dire e spiegare il come e il perché. Mi basta dire che decide di inseminare una donna, in una certa parte di quel pianeta, per generare un figlio, portatore di un messaggio per quella gente.
La narrazione a questo punto avrebbe bisogno di diverse spiegazioni e risposte a vari interrogativi ai quali non intendo rispondere perché mi porterebbero fuori strada nel racconto. Ciò che interessa a questo punto è cercare di capire il travaglio che dovette affrontare questo povero cristo, è il caso di dire.
Se “il mezzo è il messaggio”, questo neonato era il “mezzo” che doveva poi diventare il “messaggio”. Lui, figlio di questo ente superiore creatore del tutto, aveva un compito, una missione, un “messaggio” da comunicare, spiegare, far comprendere e alla fine far accettare non solo a quella particolare gente, quel particolare popolo, in quei determinati luoghi del pianeta, ma anche a tutti gli altri esseri allora viventi, ma anche per quelli futuri.
Ebbe scarsa fortuna, il messaggio non venne capito, continua a non essere compreso nè tantomeno accettato. Il povero cristo, è il caso di ripeterlo, venne preso per pazzo, rivoluzionario, ribelle e quant’altro. La storia la conosciamo tutti. Il punto che mi interessa in questo mio esercizio di scrittura, che spero non verrà considerata blasfema, è l’avventura che dovette affrontare nel diventare uomo in terra, lui che aveva una identità diversa, non bene definita.[image error]
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