Ella S. Bennet's Blog, page 31
July 4, 2020
Cranford – Elizabeth Gaskell * impressioni di lettura
(titolo originale Cranford, 1851-1853; letto nell’edizione 2015, Lit edizioni, trad. Carlotta Piombi)
(attenzione, alla fine spoiler)
La versione italiana che ho letto riporta come sottotitolo “Il paese delle nobili signore”, che è una descrizione davvero calzante del romanzo e del paese (di fantasia) di Cranford.
L’io narrante è Mary Smith, giovane donna che si reca spesso in visita a Cranford presso due anziane sorelle, le signorine Jenkyns, Deborah e Matilde detta Matty.
[image error]
Queste signorine e il gruppo di altre persone che frequentano (composto di zitelle e di poche vedove) sono legate in modo incredibile alle buone maniere e a un certo modi di vivere a cui non rinunciano nonostante – almeno per alcune – le condizioni economiche non siano proprio floride. In un paese come Cranford tutto è tranquillo ma per le nubili protagoniste ogni piccolo evento costituisce una novità incredibile e un interessante argomento di cui parlare e su cui fare ipotesi per più giorni.
L’ingenuità e la credulità delle protagoniste e delle loro amiche sono grandi e sono oggetto dell’ironia della Gaskell, ironia abbastanza bonaria, filtrata dalla presenza della narrazione in prima persona.
Le abitudini e le convinzioni di queste nobili signore fanno decisamente sorridere e sono difficili da credere per una persona che ne legge nel 2020.
Per esempio, quando Lady Glenmire, la cognata della signora Jamieson, vedova benestante, sta per venire ad abitare con lei, dopo essere rimasta vedova a sua volta, le altre signore entrano in crisi per per quanto riguarda il modo con cui sia opportuno rivolgersi a lei, in quando “lady”; in particolare è preoccupata la signorina Matty che, quando Mary Smith le chiede chi è lady Glenmire, le risponde così:
«Oh, è la vedova del signor Jamieson… cioé del secondo marito della signora Jamieson… Voglio dire la vedova del fratello maggiore del suo secondo marito. La signora Jamieson nasceva Walker, era figlia del governatore Walker… “Sua Signoria”… Mia cara, se si decide per questo appellativo, mi devi permettere di fare un po’ di esercizio con te, perché mi sentirò smarrita e mi salirà il sangue alla testa, quando dovrò usarlo per la prima volta con Lady Glenmire.»
Quando le signore e signorine finalmente vengono invitate dalla signora Jamieson per conoscere la cognata, indossano tutte un cappellino nuovo – espressione della massima eleganza per loro – e la signorina Pole indossa ben sette spille: Mary Smith riferisce la posizione di tutte eccetto che per la settima, pur essendo sicura di avergliela vista indosso.
La serata procede con un certo imbarazzo, tutte cercano un argomento di conversazione abbastanza elevato che possa interessare Sua Signoria. Per esempio scartano l’aumento del prezzo dello zucchero, non avendo la certezza che la nobiltà mangiasse le conserve che invece loro – massaie – preparavano. Dopo aver bevuto il tè il ghiaccio si rompe, anche perché Lady Glenmire è una persona cordiale e le altre non si sentono più tanto in soggezione.
Qualche tempo dopo, Lady Glenmire si fidanza con il dottor Hoggins, il medico di Cranford – non nobile e di modi non molto raffinati secondo il giudizio delle varie signorine. La novità stupisce in molti e la signorina Matty ne è perfino sconvolta, perché negli ultimi quindici anni solo una sua conoscente aveva annunciato il proprio matrimonio. Le reazione delle amiche inducono Mary Smith a questa riflessione, che suona un poco amara:
Non so se risponda a una mia idea o a realtà, ma ho notato che, subito dopo l’annuncio di un fidanzamento in una cerchia di persone, le donne nubili che fanno parte di quel gruppo sono assalite da un’insolita felicità e dal desiderio di indossare abiti nuovi, come se volessero annunciare in modo silenzioso e inconsapevole: «Siamo nubili anche noi.»
Il romanzo è quasi una serie di episodi, ogni capitolo infatti racconta sostanzialmente un evento, e con evento si intendono avvenimenti come quelli che ho portato per esempio e altri ancora più insignificanti (almeno ai nostri occhi); ve ne sono solo due, alla fine, più rilevanti, la perdita di valore delle azioni della signorina Matty, che si trova perciò ad avere una rendita insufficiente per vivere e il ritorno dall’oriente del fratello di lei, che era partito decine di ani prima e di cui non avevano più avuto notizia (gli scrive Mary Smith).
Un testo piacevole, che fa sorridere per l’assurda ingenuità (e ignoranza, del resto inevitabile visto il periodo storico in cui è ambientato il romanzo) e che è interessante proprio per la descrizione della vita di queste persone. La nota di ironia che vi ho colto non l’avevo ancora scoperta nella Gaskell, di cui ho letto altri tre libri, di argomento e tono decisamente più drammatici.
June 29, 2020
Jack – un racconto * parte #2
La donna che gli aveva risposto al telefono aveva ragione, sarebbe stato impossibile lasciare quel posto senza portare via almeno uno degli ospiti. Il canile era abbastanza ben tenuto, considerando che se ne occupavano solo dei volontari; non era troppo grande né eccessivamente affollato. A Luca però pareva che gli occhi di tutte quelle bestiole fossero tristi, rassegnati a un destino misero, una vita quasi sempre in gabbia, accuditi da persone che, pur dedicando loro tempo e affetto, dovevano dividersi fra troppi per poter soddisfare i bisogni di ciascuno.
«È fortunato, in questi giorni abbiamo anche dei cuccioli. Immagino che preferisca un cane giovane, no?»
Luca aveva annuito e la ragazza che lo aveva accolto, infagottata in una tuta da meccanico e con stivali di gomma ai piedi, aveva proseguito: «Di Beagle ne sono rimasti solo due, i cani di razza sono quelli che vengono adottati con più facilità. Oppure c’è un incrocio, non so bene fra cosa. Venga.»
«Mi faccia vedere solo quello, l’incrocio.»
La ragazza si allontanò per tornare poco dopo con un arruffato peluche bianco nero e marrone, Luca lo riconobbe come uno di quelli che aveva visto in centro, una settimana prima. Guardandolo meglio capì che il nero era grigio antracite e il marrone fango. Gli occhi, sotto i ciuffi scomposti, erano vivaci, di un caldo color nocciola, sopra un naso nero.
Allungò una mano verso il muso che si protendeva curioso verso di lui e ricevette una leccata di benvenuto. Non c’era dubbio, era per quel cucciolo che si trovava lì.
«Posso averlo?»
«Certamente. Deve compilare dei moduli e lasciarmi alcune informazioni. Controlleremo che il cane venga trattato bene, vaccinato, curato eccetera.»
«Mi sembra giusto.»
Luca seguì la ragazza per espletare le pratiche burocratiche e, in quei pochi passi percorsi per raggiungere lo stanzino che fungeva da ufficio, le chiese: «È un maschio o una femmina? Quanti mesi ha? E da quali razze proviene?»
«Maschio di circa tre mesi. Per le razze non saprei, provi a sentire un veterinario.»
[image error]
Così, in meno di mezz’ora Luca diventò proprietario di un cane. Tolse il ripiano che copriva il vano portabagagli del suv, stese sul fondo la vecchia coperta che, previdentemente, aveva portato con sé, e vi depose il cucciolo, il tutto sotto gli occhi attenti della ragazza. La salutò e montò in auto.
Forse aveva ragione Roberto e aveva commesso una pazzia, ma in quel momento era contento di avere qual batuffolo di pelo sporco con sé. Era stato un atto completamente irrazionale? Comunque fosse aveva sentito il bisogno di compierlo. Se c’era un motivo, col tempo, avrebbe compreso quale.
«Jack, ti chiamerai Jack» gli disse.
Aveva pensato a quel nome mentre si recava al canile, solo a quello, se fosse stata una femmina non ne aveva preparato uno.
Prima di rincasare si fermò in un negozio per animali, dove acquistò cibo per cuccioli e un guinzaglio. L’indomani avrebbe cercato un veterinario per farsi dare dei consigli sull’alimentazione, provvedere alle vaccinazioni e a tutto quello che sarebbe stato necessario.
Il cucciolo dormì, nella morbida cuccia appena acquistata, in camera con Luca, che non se l’era sentita di lasciarlo chiuso in cucina da solo, pur sapendo di correre il rischio che il cane, durante la notte sporcasse, anche se aveva fatto i suoi bisogni verso le undici. Mise la sveglia alle sei, per portarlo fuori, caso mai fosse andato tutto liscio. Quando si alzò, scoprì con sollievo che Jack non aveva combinato guai e trovò la cosa di buon auspicio. Gli mise il guinzaglio e lo portò fuori, nel fresco del mattino, mentre la città cominciava a muoversi.
Guardandolo trotterellare contento, Luca pensò che, quando fosse stato ripulito, di lì a poche ore, sarebbe stato davvero un bel cucciolo. Perfino Sonia non sarebbe rimasta insensibile a quella vista.
Si sbagliava. Appena la fidanzata seppe della novità gli chiuse il telefono in faccia.
E quando si trovò davanti a Jack lo definì sgraziato, aggiungendo che gli aveva dato un nome ridicolo e che non sopportava la gente che chiamava i cani come le persone.
Comunque, nonostante la sua ostilità e le sue critiche, nonostante che l’impegno fosse maggiore di quanto aveva immaginato, Luca non si pentì nemmeno per un istante di aver adottato Jack. Inoltre era stato fortunato, il cucciolo aveva un buon carattere, era accomodante e tranquillo. Tentava perfino di fare amicizia con Sonia, anche se questo era più un problema che altro, perché la mandava in collera: «Tieni quella bestia lontana da me» era infatti la frase più ricorrente nelle rare occasioni in cui erano tutti e tre insieme.
Per la verità prima o poi ci sarebbe stato un altro problema da affrontare, quando lui e Sonia avessero deciso di convivere o addirittura di sposarsi. Ma per il momento si trattava di un progetto abbastanza vago e Luca riuscì a godersi la compagnia di Jack senza preoccuparsi troppo.
Ogni tanto pensava che, forse, la presenza di Jack era una sorta di test per la sua relazione con Sonia. E, per quanto fosse innamorato di lei, non sempre era sicuro che l’avrebbe superato. Ma a questo solo il tempo avrebbe dato una risposta.
(Pubblicato in “Let it snow – amore sotto la neve”)
June 28, 2020
Jack – un racconto * parte #1
Forse se Sonia non avesse commentato, o meglio criticato aspramente, l’idea, non ne avrebbe fatto di nulla. Non era certo la prima volta che, camminando per le vie del centro, si imbatteva in un gruppo di volontarie di un canile che cercavano un’adozione per dei cuccioli. Quel pomeriggio aveva lasciato un’offerta e una delle tre donne gli aveva dato un biglietto, stampato al computer, con due numeri di cellulare e il muso di un cane.
«Venga a trovarci, sono sicura che fra i nostri ospiti ce n’è uno che aspetta proprio lei.»
Mentre si allontanavano Sonia aveva proteso la mano: «Dammi, c’è un cestino, lo getto via.»
Luca, chissà perché, l’aveva messo in tasca: «Ci penso io, dopo.»
Non aveva davvero in mente di recarsi al canile, il suo gesto era stata solo la reazione all’atteggiamento di Sonia, che negli ultimi tempi sembrava voler dirigere un po’ troppo la sua vita.
«Spero che non stia pensando alle parole di quella tizia. Le dicono a tutti, per vedere di piazzare qualcuno dei loro bastardi.»
Il tono era quasi scherzoso, ma Luca vi aveva colto un’irritazione, a parer suo, ingiustificata.
«Adesso non si chiamano più bastardi, ma cocktail» aveva osservato sorridendo. «E, a proposito, perché non ci fermiamo a bere qualcosa?»
Era una giornata di inizio giugno, piuttosto calda, e una sosta per una bibita fresca era quello che ci voleva. Sonia era stata d’accordo e aveva accantonato l’argomento canile.
Lo aveva ripreso più tardi, in auto, mentre Luca la riaccompagnava a casa.
«Ricordati di buttare quel biglietto. Lo sai che non sopporto i cani. Sono sporchi e lasciano peli dappertutto.»
Lui non ci pensava più, ma quella specie di ordine non gli era piaciuto per niente. Forse lo stava prendendo troppo sul serio, ma non intendeva comportarsi sempre in modo accomodante. Del resto viveva da solo e lei stava nella lussuosa villa di famiglia: il pelo di un eventuale cane non sarebbe stato un problema suo.
Non le aveva risposto. Non aveva voglia di litigare.
[image error]
Fu una settimana dopo, quando infilando una mano nella tasca dei pantaloni trovò il foglietto spiegazzato con il disegno del muso di un cane, che prese la decisione.
Compose il numero del primo cellulare indicato sul biglietto. Gli rispose una voce molto giovane.
«Buongiorno, vorrei un’informazione sul canile» disse Luca.
«Mamma è per te» gridò la voce, assordandolo.
«È per il canile?» gli chiese qualche istante dopo una donna.
«Vorrei sapere l’orario di apertura.»
L’altra fece una risatina: «Non è un supermercato, sa? È aperto quando qualcuno di noi può stare lì a occuparsi dei cani.»
«Oggi c’è qualcuno?»
«Credo di sì, se aspetta un minuto controllo sull’agenda chi è di turno e a che ora.»
La donna fornì a Luca le indicazioni richieste e, prima di salutarlo, lo avvisò: «Non vada se non può o non vuole prendere un cane. Non riuscirebbe a venire via senza.»
Quando Luca avvisò Roberto, il socio, che sarebbe uscito prima dal lavoro per andare al canile, l’amico lo squadrò come se fosse impazzito.
«Non vorrai prendere un cane.»
«Secondo te uno cosa va a fare in un canile?»
«Stai scherzando? Ti rendi conto della rottura di scatole? Non pensi alle giratine evacuative, ai peli per tutta la casa…»
«Mi sembra di sentire Sonia.»
«Sono sicuro che non è d’accordo.»
«Il cane starà a casa mia, peli e giratine saranno solo affari miei.»
Roberto sospirò, proclamando: «Ogni tanto Luca il razionale e previdente scompare e lascia il posto a un tizio impulsivo e perfino un po’ romantico che mi sconcerta.»
Luca sorrise, per la bonaria presa di giro.
«A domani.»
«In bocca al lupo. Pardon, al cane.»
(Pubblicato in “Let it snow – amore sotto la neve”)
June 24, 2020
Prossime letture #9
Di sicuro fra i prossimi libri che leggerò o meglio che rileggerò ci saranno questi cinque romanzi gialli di Agatha Christie. I primi due hanno fra i personaggi il colonnello Race; gli altri tre non fanno parte di alcuna serie: “L’uomo vestito di marrone”, “Giorno dei morti”,”Un messaggio dagli spiriti”, “Il segugio della morte”, “È un problema”.
(Come si può notare ho ben due edizioni de “L’uomo vestito di marrone”.)






June 23, 2020
Biografia
Una mia breve biografia non può che iniziare da cosa mi ha indotta a scegliere Ella S. Bennet come pseudonimo per pubblicare le mie storie rosa.
Come è facile intuire Bennet si riferisce al cognome della protagonista di “Orgoglio e Pregiudizio“, uno dei miei romanzi preferiti: Elisabeth Bennet. Inoltre lo trovo particolarmente adatto per storie ambientate nel periodo Regency inglese. Il nome e l’iniziale, invece, richiamano in qualche modo il mio vero nome.
La scelta di firmare queste storie con un nome fittizio è stata un esperimento. Ho infatti pubblicato alcuni testi con il mio vero nome ma senza grandi risposte da parte di lettrici e lettori. Poiché desideravo scrivere dei romanzi rosa storici (o meglio di ambientazione storica) e quindi di un genere ben definito e – almeno in teoria – piuttosto seguito dal pubblico, ho deciso di farlo partendo da zero, ovvero come autrice completamente sconosciuta, per vedere cosa sarebbe successo. Ho scoperto che, vuoi per il genere dei romanzi, vuoi per le belle cover opera di Romance Cover Graphic (per i soli Regency), lettrici e lettori hanno apprezzato le mie storie o, per lo meno, le hanno lette.
Perché ho voluto proporre questa spiegazione? perché si legge talvolta sui social che la l’uso di nomi inglesi come pseudonimi è una sorta di mania che ad alcuni (forse più che alcuni) risulta sgradevole. Forse è vero che non abbia molto senso e suoni un po’ come quando negli anni ’60 i cantanti italiani prendevano nomi inglesi, soprattutto se avevano un repertorio rock, ma a me piaceva l’idea di un omaggio a Lizzie e alla sua autrice… e non ho preso in considerazione molto altro.
Come cenni biografici posso aggiungere che ho sempre amato molto leggere e volare con la fantasia; Leggo quasi di tutto ad eccezione di erotici e horror; scelgo le letture secondo l’ispirazione del momento e dell’umore (per esempio se ho bisogno di tirarmi su scelgo un rosa che mi garantisce il lieto fine o un giallo, non una storia più realistica ma drammatica in cui il protagonista muore dopo mille peripezie).
Ho scritto cose anche piuttosto diverse fra loro (firmandole con il mio nome) mentre come Ella S. Bennet ho pubblicato due racconti lunghi di ambientazione contemporanea (Let it snow) e tre romanzi di ambientazione Regency: “Un libertino per marito“, “Il patto di Alicya” e “Un marito per Martha“.
Sto lavorando ad alcune nuove storie, alcune delle quali usciranno gratuitamente, sia a puntate su questo blog sia su Wattpad e, magari anche come ebook (non amazon).
June 19, 2020
Georgette Heyer – Corpo contundente * Le mie letture
(Titolo originale “A Blunt Instrument”, traduzione di Giacometta Limentani Cantatore; originale pubblicato nel 1938; edizione italiana da me letta del 1978)
Finora ho letto tre gialli della Heyer e diversi rosa storici: devo dire che trovo molto più intriganti e ironici i rosa.
Per quanto riguarda “Corpo contundente” ho intuito quale fosse la soluzione (anche se non il movente dell’omicidio) circa a metà romanzo. Non che questo mi abbia rovinato la lettura perché dovevo accertarmi di aver visto giusto e anche perché la storia era comunque piacevole.
Fra i personaggi si fanno notare, fin dalle prime pagine, un poliziotto e il maggiordomo della vittima che citano continuamente frasi della bibbia, tutte dal tenore punitivo o accusatorio (es. Colui che schernisce è un abominio oppure La stoltezza è letizia per chi è privo di senno) irritando così non poco il sergente Hemingway e il sovrintendente Hannasyde che si occupano delle indagini.
Un tipo originale è anche il giovane Neville Fletcher, nipote ed erede della vittima: squattrinato, irriverente, ironico, menefreghista e intelligente ma decisamente il più simpatico, proprio per queste sue caratteristiche.
[image error]
La vittima, Ernest Fletcher detto Ernie, era un dongiovanni e la sera in cui è stato ucciso ha ricevuto in poco tempo diversi visitatori e – di certo – uno di questi lo ha colpito con un corpo contundente dandogli la morte: sul susseguirsi delle visite e sugli orari delle stesse si concentra l’attenzione della polizia.
In casa con Ernie vive l’anziana sorella, signorina; in una delle case vicine abita una coppia in crisi, Helen e John North, conoscenti dei Fletcher, che ospitano per qualche giorno la sorella di lei, Sally Drew, autrice di gialli dal carattere deciso e agguerrito.
L’indagine della polizia procede in modo classico, con domande alle persone che possono aver avuto un motivo o l’opportunità di uccidere Ernie, verifica degli eventuali alibi, ulteriori ricerche.
Insomma, a mio parere “Corpo contundente” è un giallo come tanti, non particolarmente brillante per la parte mistery ma più interessante e divertente per i personaggi.
June 16, 2020
Agatha Christie * I romanzi con l’ispettore Battle
Di seguito l’elenco dei romanzo che hanno fra i personaggi che investigano l’ispettore (poi divenuto sovrintendente) Battle di Scotland Yard.
In “È troppo facile” la presenza di Battle è comunque quasi marginale; in “Carte in tavola” è affiancato da altri personaggi-investigatori fra cui Poirot).
Ecco ad ogni modo la lista dei romanzi, per ciascuno dei quali ho scritto un breve commento, con l’anno di pubblicazione:
Il segreto di Chimneys (1925)
I sette quadranti (1929)
Carte in tavola (1936)
È troppo facile (1938-1939)
Verso l’ora zero (1944)





June 15, 2020
Agatha Christie – Verso l’ora zero * Le mie letture
(titolo originale “Towards Zero”; pubblicato nel 1944; trad. Lia Volpatti, edizione italiana da me letta del 1986)
Fra i romanzi in cui compare l’ispettore Battle questo è, insieme a “Il segreto di Chimneys”, quello che mi è piaciuto di più.
In questo romanzo è proprio Battle, adesso sovrintendente di Scotland Yard, a dirigere le indagini, anche se in realtà sarebbe in ferie, per dare una mano all’ispettore di polizia locale, Jim Leach, suo nipote.
L’omicidio avviene circa a metà del libro; fino a quel momento il lettore assiste a un crescendo di tensione e avverte che qualcosa sta per succedere, che si sta andando verso l’ora zero, appunto, quella in cui qualcuno ucciderà qualcun altro. È un’atmosfera che si fa sempre più insopportabile e il modo in cui la Christie riesce a dipingerla e a farla sentire – a mio parere – è uno dei pregi del romanzo.
[image error]
Dopo l’omicidio entrano in scena Jim Leach e Battle, che era apparso anche all’inizio, alle prese con un problema che la figlia aveva presso la scuola in cui la ragazza studiava.
I due poliziotti interrogano, cercano, considerano gli indizi, senza lasciarsi ingannare dalle apparenze, fino a giungere alla soluzione. Battle studia molto la psicologia delle persone coinvolte e a questo proposito, parlando con il nipote, cita perfino Poirot:
«Vorrei sapere perché continua a tornarmi in mente Hercule Poirot…»
«Vuoi dire quel belga… quell’omino tanto comico?»
«Comico un corno!» sbottò Battle. «È pericoloso e infido come una pantera, un cobra. Ecco quello che è, quando finge di comportarsi come un saltimbanco. Vorrei che fosse qui… è proprio il genere di delitto adatto ai suoi metodi.»
«In che senso?»
«Psicologia» spiegò Battle. «Psicologia pura… non quella dei ciarlatani che pretendono di saperne di più. … Vera psicologia, cioè sapere esattamente cos’è che fa girare le ruote. “Fate parlare un assassino più che potete”, è uno dei suoi motti. Sostiene che tutti, prima o poi, sono tentati di dire la verità perché, in fondo, è più facile che raccontare bugie. E quindi si lasciano scappare qualcosa che non ritengono importante… e questo è il momento in cui li cogli in fallo.»
Ma anche Battle ha i suoi metodi per cerare di capire le persone:
Il sovrintendente Battle osservò i visi rivolti verso di lui. Stava soppesandoli, secondo i suoi sistemi particolari. Era un suo modo non del tutto ortodosso di osservare le persone. Indipendentemente dal fatto che la legge esige di considerare la gente innocente finché non ne sia stata provata la colpevolezza, Battle riteneva sempre le persone coinvolte in un delitto dei potenziali assassini.
L’autrice, nelle prime pagine del romanzo, lo presenta come un uomo che un delinquente può essere portato a sottovalutare, mentre invece è un ottimo investigatore:
Il sovrintendente Battle, seduto al tavolo della colazione, leggeva attentamente, con le mascelle contratte, una lettera che la moglie, piangendo, gli aveva appena consegnato. Il suo viso impenetrabile sembrava scolpito nel legno. Battle non aveva mai dato l’impressione di un uomo dalle facoltà brillanti. Anzi, non era decisamente un uomo brillante, ma aveva altre qualità, difficili a definirsi, che ne facevano, comunque, un personaggio di polso.
Ecco per esempio una delle sue qualità:
Battle uscì dalla stanza e cominciò a fare quello che aveva avuto intenzione di fare prime che … lo fermasse. Era un uomo metodico. Aveva bisogno di certe informazioni e una nuova, benché promettente, traccia non doveva distoglierlo dalla programmata routine dei suoi compiti.
Infine una riflessione – che trovo interessante a prescindere dalla storia – di un personaggio che riveste alla fine un ruolo di un certo rilievo nella vicenda e che all’inizio del romanzo tenta di suicidarsi, senza successo. L’infermiera che lo ha curato gli ha detto che di solito nessuno riprova a uccidersi e, dopo che è stato dimesso dall’ospedale e che un uomo gli ha appena offerto un lavoro (essere disoccupato era stato uno dei motivi che lo aveva spinto al suicidio), lui si rende conto che quell’affermazione corrisponde alla realtà, almeno per lui:
Era anche vero che ora non aveva più voglia di riprovarci. Quella fase era superata. Non ci si può togliere la vita a sangue freddo. Ci devono essere degli stimoli: disperazione, passione, dolore. Non si può commettere un suicidio solo perché a un certo punto ti accorgi che la vita non è altro che una girandola di eventi inutili.
June 14, 2020
Ebook gratis per 2 giorni
#rosa #amazon #kindleunlimited
"Let it snow - Quando nevica tutto può succedere...
Dimenticata nell'area di servizio... e nevica…
https://www.amazon.it/dp/B01NBMBW3F
June 10, 2020
Agatha Christie – È troppo facile * Le mie letture
(titolo originale “Murder is Easy”; pubblicato nel 1938-1939; trad. Giovanna Gianotti Soncelli, edizione italiana da me letta del 1982)
In questo romanzo, contrariamente agli altri tre di cui ho già parlato, troviamo l’ispettore Battle solo alla fine…
Il protagonista è infatti Luke Fitzwilliam, in pensione (ma non vecchio anche se l’autrice non rivela la sua età) e di ritorno da Mayang (India, Assam), dove ha svolto il suo lavoro di poliziotto.
Questi incontra sul treno per Londra la signorina Lavinia Pinkerton, una simpatica zitella che gli ricorda sua zia Mildred, per cui provava molto affetto. La signorina Lavinia gli racconta che sta andando a Scotland Yard per denunciare che nel villaggio in cui abita, Wychwood, la morte di alcuni abitanti avvenuta negli ultimi tempi non è da imputarsi a disgrazie o malattie, ma è secondo lei opera di una persona; la signorina basa la sua ipotesi sullo sguardo molto particolare che questa persona avrebbe rivolto a tutte le vittime poco prima che queste morissero. Temendo di non essere creduta dalla polizia del paese ha deciso di sporgere la sua denuncia a Scotland Yard e si è decisa a farlo perché è preoccupata per la sorte del dottor Humbley, che, appunto, ha ricevuto uno di quegli sguardi…
[image error]
La cosa potrebbe finire con quella conversazione se non fosse che pochi giorni dopo Luke legge sul giornale che la signorina Pinkerton è morta, investita da un’auto e vede anche il necrologio del dottor Humbley.
Il suo istinto di poliziotto gli suggerisce che non si può trattare di una coincidenza, così parte per Wychwood, dove si spaccerà per cugino di una cugina di un amico (Bridget) e fingerà di cercare informazioni per un libro sulle superstizioni, mentre invece indagherà sulle due morti e sulle altre di cui gli aveva parlato la signorina Pinkerton.
In paese c’è più di una persona che avrebbe potuto uccidere, sia perché ha un movente sia perché ha avuto l’opportunità. Luke incontra più volte diversi degli abitanti ma alla fine decide anche lui di coinvolgere Scotland Yard; è a questo punto che l’ispettore Battle entra in scena, ma la sua parte è comunque molto ridotta.
Il colpevole naturalmente viene scoperto e la storia rosa che da un certo punto in poi si è affiancata all’indagine può seguire il suo corso senza pericoli.
In questo romanzo mi è sembrato che la vena ironica fosse un poco meno acuta che negli altri tre; ad ogni modo riporto due brevi passaggi.
Il primo è uno spezzone di dialogo in cui l’amico garantisce a Luke che lord Whitfield, il fidanzato della cugina Bridget ed editore di “orrendi rotocalchi settimanali”, crederà senza problemi che lui (Luke) sia un cugino di Bridget:
«E lord Whitfield? Ci crederà lui?»
«Sicuramente. Non ha un briciolo di cultura ed è un credulone nato… figurati che prende per buono persino quel che legge sui suoi settimanali!…»
Nel secondo invece il maggiore Horton, vedovo da circa un anno, ha appena parlato a Luke, con apparente rimpianto, della moglie (donna che invece sembra a Luke essere stata davvero terribile):
«Ragazzo mio, so quel che dico. Badate, non dico che, agli inizi, il matrimonio non sia gravoso per l’uomo. Lo è, eccome! E uno maledice il momento in cui si è sposato. Ma a poco a poco ci si abitua, è solo questione di disciplina.»
Luke concluse che la vita matrimoniale del maggiore doveva essere stata più una campagna militare che un idillio domestico.
Trascrivo infine una descrizione di Battle (era l’ora, no?)
Luke rimase subito favorevolmente impressionato dal sovrintendente Battle. Era un uomo robusto, pacato, con un viso largo e un vistoso paio di baffi. Di primo acchito non lo si sarebbe detto particolarmente dotato d’ingegno, ma bastava parlargli qualche istante per restare stupiti, tanta era l’intelligenza e l’astuzia che esprimevano i suoi occhi.
Luke non commise l’errore di sottovalutarlo. Aveva già incontrato, nel corso degli anni, tipi come Battle. Sapeva che di loro ci si poteva fidare, e che invariabilmente, con loro, i risultati erano buoni. Non avrebbe potuto desiderare di meglio.
Anche questo romanzo mi è piaciuto, del resto così è stato negli anni per i gialli di Agatha Christie e non credo che le riletture mi faranno cambiare opinione. Nel caso di questa scrittrice preferisco le storie senza i suoi famosi investigatori, ovvero Poirot e Miss Marple, forse perché mi piace di più che siano personaggi davvero coinvolti nella storia a darsi da fare per trovare il colpevole anche se a volte hanno bisogno di un aiuto esterno, di solito un poliziotto.