Emanuela Navone's Blog, page 16
July 28, 2020
Quando l’editor riesce (e l’autore è contento)
Quando l’editor riesce (e l’autore è contento)
In ogni lavoro creativo, oltre al doveroso compenso economico, il professionista è soddisfatto quando anche il cliente è soddisfatto.
Vuol dire che ha lavorato bene e le ore spese sono state utili.
Succede anche per l’editor, e quando accade è davvero una sensazione unica.
[image error]Foto di Gerd Altmann da Pixabay
Il rapporto editor/autore…
… è ostico.
Diamine, ne ho già parlato in precedenti post, ma spesso capitano situazioni davvero antipatiche, che se non si ha una grande padronanza dell’arte diplomatica rischiano di degenerare.
Spesso editor e autore, infatti, vanno tutto fuorché d’accordo: l’uno vuole imporsi sull’altro reciprocamente, con il risultato che il testo che esce da questa sorta di guerra fredda ne risente. E parecchio.
Questo capita quando un autore non ne vuole proprio sapere di accettare gli interventi dell’editor (che siano giusti o meno) e rifiuta sistematicamente ogni revisione, o quando l’editor ci prende gusto e tratteggia di rosso pagine e pagine, magari senza nemmeno un motivo preciso.
Il libro che esce è quindi un misto dell’interventi di editor e di contro-interventi dell’autore, quasi una gara a “chi faccio meglio”. E la voce di quest’ultimo scompare, ma non perché viene sostituita da quella dell’editor, ma perché il prodotto di queste battaglie è un ibrido che per forza di cose non accontenta nessuno.
Quando invece editor e autore sono in armonia… eh, è tutt’altra cosa!
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Essere in armonia, però…
… non equivale all’autore che si prostra davanti all’editor quasi avesse di fronte una divinità.
Cerco di far passare questo messaggio ai miei autori: non sono infallibile, posso sbagliare anche io.
Inoltre l’editor non deve sfruttare questa supposta reverenza agendo di testa sua e stravolgendo il testo non perché “così va meglio” ma perché “così mi piace”.
Il migliore intervento di un editor è quando il libro corretto acquista una migliore scorrevolezza ma lo stile rimane quello dell’autore.
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La formula migliore
Sto rileggendo un romanzo che ho finito di editare per un controllo su eventuali refusi o inesattezze che ho lasciato per strada (eh sì, bisogna sempre rileggere, soprattutto quando la correzione è terminata!) e mi sono accorta di un fatto interessante.
Sicuramente è già successo altre volte, ma chissà perché mi è balzato agli occhi proprio oggi. Forse perché pensavo a questo articolo.
Di norma io lavoro a blocchi di testo, che mando settimanalmente all’autore così che possa starmi dietro, quindi nella rilettura finale spesso non ricordo dove sono intervenuta nei primi capitoli, a meno che non fosse un intervento davvero incisivo.
Ebbene: in questo romanzo mi sto accorgendo di non trovare traccia dei miei interventi. Dirai: ovvio, l’autore magari li ha tolti, eccetera… No, perché mi ha detto di averne accettati in gran parte.
Questo è successo perché i miei interventi si sono armonizzati alla sua scrittura, creando un tutt’uno musicale in cui lo stile dell’autore è rimasto intatto.
Quando ci ho riflettuto, ammetto di essermi sentita orgogliosa. Ogni tanto un po’ di merito me lo prendo anche io 
July 24, 2020
Blog tour “Il portale degli obelischi” (N. K. Jemisin): Cosa ti aspetti dal terzo volume?
** Questo approfondimento è relativo al blog tour dell’evento. Qui sotto trovi gli altri blogger partecipanti e le loro tappe **
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Trovare anche solo qualcosa da dire su cosa mi aspetto del prossimo volume, che in lingua originale è già uscito e si intitola The Stone Sky, richiederebbe un articolo lungo da oggi a domani.
Inizierò con un breve: mi aspetto TUTTO.
Ovviamente questo non rende l’idea, e allora posso dirti nel dettaglio cosa penso ci sarà nel volume conclusivo della trilogia La terra spezzata (che per la cronaca è già uscito sia in Spagna, con il titolo El cielo de piedra sia in Francia, con il titolo Les cieux pétrifiés).
Innanzitutto, come ogni finale di trilogia, o di saga, in teoria dovrebbe tirare le fila di tutto: ogni nodo viene al pettine e abbiamo il denouement della narrazione, ossia il passaggio dal climax alla conclusione.
Mi aspetto quindi una bella corsa di colpi di scena fino alla fine, il fiato sospeso su ogni pagina. Sarò esigentissima: se anche solo qualcosa non mi convincerà, ahimè la mia valutazione rischierà di essere negativa.
Già, perché di solito leggo solo libri autoconclusivi (salvo rarissimi casi), e se prendo in mano una saga o una trilogia deve essere perfetta dall’inizio alla fine. Lo so, lo so, ho troppe pretese 
July 22, 2020
Review Party: The Ones (Veronica Roth)
** Questa recensione fa parte del Review Party dedicato all’evento. In fondo troverai l’elenco di tutti i blogger partecipanti **
Fin dalla sua prima comparsa, l’Oscuro non ha fatto che generare panico e caos. Entità malefica incredibilmente potente, ha provocato eventi catastrofici capaci di radere al suolo città intere e spezzare migliaia di vite innocenti.
Gli unici in grado di sconfiggerlo, a quanto scritto in una profezia, potrebbero essere cinque ragazzini, Sloane, Matt, Ines, Esther e Albie, i Prescelti. Prelevati dalle loro case da un’agenzia governativa, vengono sottoposti a un training durissimo in cui viene insegnato loro l’uso della magia, indispensabile per affrontare la missione che li attende. La lotta con l’Oscuro prosegue per anni, ma alla fine ne escono vincitori.
Tutto il mondo a questo punto può tornare piano piano alla normalità… tutti tranne loro, soprattutto Sloane, che più dei compagni fatica a rimettersi in sesto. I segreti che nasconde non solo la tengono agganciata al passato ma la allontanano inevitabilmente dalle sole quattro persone al mondo in grado di capirla.
Subito dopo la celebrazione del decimo anniversario della gloriosa vittoria sull’Oscuro che vede ancora una volta riuniti i cinque Prescelti, accade l’impensabile: uno di loro muore. E quando i restanti quattro si riuniscono per celebrarne il funerale, fanno una tremenda scoperta: hanno commesso il grave errore di sottovalutare l’Oscuro. Il suo obiettivo finale, infatti, è sempre stato molto più grande di quanto loro, il governo e persino la profezia avessero previsto, e questa volta resistergli potrebbe costare a Sloane e ai suoi compagni molto più di ciò che hanno ancora da dare…
Ammetto di non aver mai letto nulla di Veronica Roth, nonostante il vasto successo che ha avuto con i precedenti libri. Però questo mi ha colpita fin da subito per la sua trama originale.
Infatti, appena inizi a leggerlo, ti senti sovrastato da un certo disorientamento: il libro sembra cominciare dalla fine. L’Oscuro, questa persona di cui non si sa nulla, almeno all’inizio, è stato sconfitto. Il Bene ha prevalso sul Male.
E già da lì ti domandi: e dove vuole andare a parare l’autrice?
Percorriamo allora la storia dei cinque Prescelti, cinque ragazzi che sono stati tolti, si fa per dire, alle famiglie dal governo per combattere le minacce dell’Oscuro, e di come stanno vivendo il momento di pace dopo la sua sconfitta.
Per un romanzo, questo è davvero originale, è come se partissimo dalla fine, e devo ammettere che durante i primi capitoli sono rimasta un po’ spiazzata, cercando di capire se mi fossi persa qualcosa (addirittura cercando se ci fosse stato un capitolo precedente, lo giuro!).
In realtà, scopriamo ben presto che quanto successo prima con l’Oscuro (di cui apprendiamo qui e là con brevi ma calzanti flashback) è solo un granello si sabbia di quanto ci aspetterà continuando a leggere il romanzo.
E così insieme a Sloane, Matt ed Esther veniamo catapultati in una realtà alternativa chiamata Genetrix in cui la magia è la quotidianità e chiunque ne fa uso grazie all’ausilio di strumenti chiamati sifoni: possono essere bracciali, orecchini, collari, placche, ma permettono di canalizzare la magia e utilizzarla a proprio piacimento.
So già cosa ti chiederai: ma questo cosa c’entra con l’Oscuro e il plot principale?
In effetti me lo sono chiesto anche io. Almeno all’inizio. Poi piano piano ho capito, e tutti i nodi sono venuti al pettine quando sono giunta alla fine.
Be’, se tutti i romanzi della Roth sono così… cavolo, devo correre in libreria a comprarli! “The Ones” ha una trama magistralmente architettata, e forse la confusione è proprio voluta dall’autrice, che tiene con il fiato sospeso fino alla fine, e non c’è verso di farle svelare nulla fino a che non lo vuole.
Un romanzo intenso, con dei personaggi davvero ben caratterizzati, a partire dalla protagonista Sloane, il classico esempio di eroina piena di difetti che spesso subisce gli eventi anziché generarli. Ma proprio per questo piace.
Consiglio a tutti “The Ones”, soprattutto per la trama originale: leggilo, non te ne pentirai!
Classificazione: 4 su 5.
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Review Party: Il portale degli obelischi (N. K. Jemisin)
** Questa recensione fa parte del review party dedicato all’evento. In fondo trovi tutte le date e l’elenco dei blogger partecipanti **
La Stagione della fine si fa sempre più buia, mentre la civiltà sprofonda in una notte senza termine.
Essun ha trovato un luogo dove rifugiarsi, ma soprattutto ha trovato Alabaster, sorprendentemente ancora vivo; ha inoltre scoperto che è stato lui, ormai in procinto di trasformarsi in pietra, a provocare la frattura nel continente e a scatenare una Stagione che forse non terminerà mai.
E ora Alabaster ha una richiesta da farle: deve usare il suo potere per chiamare un obelisco. Agendo così, però, segnerà per sempre il destino del continente Immoto.
Nel frattempo, molto lontano, anche Nassun, la figlia perduta di Essun, è forse approdata in un luogo dove sentirsi a casa, dove coltivare la sua straordinaria dote di orogenia, per diventare sempre più potente. Ma anche Nassun dovrà compiere scelte decisive, in grado di mutare il futuro del mondo intero.
In ogni trilogia, il secondo volume è sempre quello più difficile.
Sì, perché deve iniziare a gettare le basi per la conclusione, e al contempo non trascinarsi troppo, con il rischio di annoiare il lettore.
Ho letto tanti secondi volumi di trilogie che dicevano poco e niente, rimandando il “grosso” al terzo e conclusivo.
Non è il caso de “Il portale degli obelischi”.
Se devo essere sincera, quando ho iniziato a leggere questo libro avevo paura. Sì, paura.
Paura che non fosse all’altezza di quella perla che è stato il primo. Con i romanzi di tipo fantasy-distopico sono molto esigente (dopo vent’anni che ne leggo è anche normale!), e temevo che “Il portale degli obelischi” non mi piacesse chissà che.
Per fortuna mi sbagliavo.
Certo, manca la sensazione di “meraviglia” scaturita dal primo, da un mondo in cui ci immergiamo e non conosciamo, però la bravura dell’autrice a creare una trama dal ritmo incalzante ha fatto sì che arrivassi alla fine senza nemmeno rendermene conto.
Della serie: ma è già finito? E ora?
In questo secondo volume riprendiamo le fila di dove si era fermato il primo, ossia con l’incontro tra Essun e Alabaster e lo scioglimento di alcuni nodi che erano rimasti sospesi in “La quinta stagione”. Ma ripercorriamo anche la vita di Nassun, figlia di Essun, da dopo che il padre ha ucciso il fratellino e l’ha portata via con sé.
Tieni bene a mente il nome di Nassun, perché secondo me avrà molta importanza nel capitolo conclusivo della serie (che tra l’altro bramo di leggere come un viandante che brama acqua nel deserto).
Un nome che è comparso spesso nel primo volume, ma solo in questo finalmente riusciamo a darvi un volto. E non so se a molti piacerà, perché Nassun è una personalità molto complessa, forse più della madre, e anche lei cela in sé un’oscurità che preme per tornare a galla.
Com’era successo nel primo volume, la mia attenzione è stata canalizzata in Alabaster che, diamine, adoro davvero, e quando è successo… ah, non posso dire nulla perché entrerei nello spoiler, ma immagina me seduta sulla sdraio con lo sguardo fisso per l’ineluttabilità di quanto avvenuto e per l’impossibilità di entrare nel libro e fare qualcosa. Spero di aver reso l’idea; in caso contrario mi capirai se leggerai il libro.
La serie della Terra spezzata mi ha preso tantissimo, e se hai letto la recensione del primo volume penso tu te ne sia accorto. Sono romanzi che anche quando non li leggi pensi a cosa succederà, a cosa è già successo, a come si devono essere sentiti i personaggi. Vivi con loro, insomma. Soffri, gioisci, ti arrabbi.
E questo grazie anche alla superba penna della Jemisin, che con la sua scrittura trascinante ti ipnotizza e non ti lascia più andare.
Il problema è che la mia ipnosi sta proseguendo per conto suo da un po’ di giorni.
Mi toccherà aspettare che esca il terzo volume per uscirci, forse, anche se non credo.
Una parte di me vive ormai nell’Immoto.
Classificazione: 5 su 5.
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July 21, 2020
Come rivedere l’architettura narrativa in fase di editing
Come rivedere l’architettura narrativa in fase di editing
Talvolta è necessario intervenire sull’architettura narrativa prima di passare a un intervento di editing sul testo.
Sì, perché se una storia presenta delle serie lacune, potrebbe compromettere tutto l’impianto narrativo.
Oggi vedremo quali.
[image error]Emanuela Navone Editor Freelance.
July 18, 2020
Autori meritevoli (o che vendono soltanto di più?)
Autori meritevoli (o che vendono soltanto di più?)
Ormai lo leggiamo ovunque: pubblichiamo, promuoviamo, recensiamo, aiutiamo, diamo spazio ad autori meritevoli.
Il che sarebbe un bene, perché anche nella scrittura ciò che conta (dovrebbe contare) è il merito.
Ma è davvero così?
[image error]Foto di Hans Braxmeier da Pixabay
L’autore meritevole
Se mi segui da un po’, sai che la mia lettura del mondo editoriale è spesso controcorrente e talvolta critica.
Però quello che voglio con il mio blog è non solo smascherare certe furberie, ma anche far capire che, sebbene te la vogliano mettere sul piatto d’argento (facciamo anche d’oro), non è che sia così tutto rose e fiori.
Prendiamo oggi la definizione di “autore meritevole”.
Se sento questo nome mi vengono subito in mente i grandi autori della narrativa (italiana e straniera), persone del calibro di Manzoni, Fitzgerald, Maupassant, Cervantes, Dickens, e così via.
E poi ci sono tanti altri scrittori meno famosi o semisconosciuti che però meritano (appunto) questa etichetta perché hanno dimostrato e dimostrano di saperci fare con la penna (scorri le mie recensioni per scoprire quali sono).
Ciò che accomuna un bravo scrittore, quindi meritevole, è perciò la capacità di generare emozioni (anche negative) nel lettore, la potenza con la quale riesce a mandare un messaggio, la bravura con cui dispone in fila le parole.
Insomma, un autore che merita di essere definito tale.
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L’autore che vende
Peccato che spesso purtroppo non sia così.
Bastano davvero pochi esempi poiché tu capisca che per molti l’autore meritevole non è perché è bravo ma perché vende.
Molti blogger, giornalisti, quelli che ormai vengono definiti opinion leader preferiscono recensire autori conosciuti, famosissimi, appoggiati da case editrici di un certo livello. Sdegnano il resto. Non ho nulla contro, per carità, ma è un dato di fatto: su richiesta di una segnalazione o recensione da parte di una grande CE ci sono 49 commenti, che scendono a 5-6, se siamo fortunati, per piccoli autori o editori.
Un autore esordiente o che ha già nel suo pacchetto più libri è forse meno meritevole di scrittori famosi solo perché in pochi lo conoscono? Direi proprio di no, e lo stesso vale per piccole CE che faticano a farsi conoscere.
Su che basi un ufficio stampa (serio, eh, non come certi) o gruppi che aiutano gli autori scelgono un libro anziché un altro? In base al suo contenuto, a com’è scritto, o a quanti like prende l’autore su Instagram, Facebook e così di seguito?
Un libro viene promosso perché merita o perché l’autore ha conoscenze e garantisce visibilità anche (e soprattutto) a chi lo promuove?
Sono domande scomode, lo so, ma è giusto porsele, soprattutto perché se effettivamente non è il merito l’unità di misura ma è altro (vendite, forza sui social, conoscenze, amicizie), allora piccoli autori che conoscono in pochi ma che sono davvero bravi difficilmente riusciranno a emergere.
E il panorama editoriale sarà sempre appannaggio di quei due o tre soliti (che spesso non so nemmeno cosa scrivano: letteratura? Pensando alle sfumature di grigio mi vengono numerosi dubbi).
Il mio richiamo è quindi sempre lo stesso: cerchiamo di dare una mano a scrittori bravi ma sconosciuti, non fermiamoci se non hanno nessuno alle spalle o se la CE da cui provengono è piccola. Potremmo perdere delle perle che difficilmente si ripresenteranno.
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July 14, 2020
Ho finito il libro! E adesso?
Ho finito il libro! E adesso?
Quando finalmente arrivi all’ultima pagina del tuo libro, è come se un peso rotolasse giù dalle spalle, a volte, e altre ti senti immerso in una frenesia tale che vorresti gridarlo ai mille mondi.
Solo che purtroppo non è la fine… ma l’inizio.
Sì, perché il vero lavoro da fare arriva adesso.
[image error]© Emanuela Navone
La fine numero uno
Quando termini il romanzo in prima stesura, la chiamerei fine numero uno.
Sì, perché non è una vera fine in sé. Sebbene completo (più o meno), il tuo testo ha ancora bisogno di qualche aggiustamento, ancora prima di lasciarlo “decantare” e di correggerlo, o di inviarlo a beta reader o all’editor.
Molti sono tentati di lanciarsi e tentare la pubblicazione o l’invio a un editore, bypassando quella che è la parte principale della vita di un libro: la revisione.
E la revisione, anch’essa, è composta di varie fasi.
Innanzitutto, la pre-revisione. Ossia intervenire sul testo per risolvere tutti quei problemi che la stessa revisione metterebbe in luce.
Vediamoli uno per uno.
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I nodi
Per quanto la storia sia completa, per quanto tu l’abbia progettata in lungo e in largo, c’è sempre qualcosa da sciogliere. Un nodo da districare.
Magari è un dialogo che non porta da nessuna parte, oppure una situazione che non hai spiegato, o ancora una scena che scrivendo ti sembrava importante ma poi si è persa per strada.
Tutto questo potrebbe portare confusione e spronare a chiedersi: “E quindi?”
Devi pertanto riflettere sulla storia e cercare tutte le lacune, e da lì sistemarle, di modo che A conduca a B e B a C, e così via.
Attenzione: non sto dicendo di spiegare ogni passaggio come se il lettore fosse un bambino, ma di far capire, anche con una semplice frase, tutti quegli elementi che nella tua testa sono chiari, ma nebulosi per chi leggerà (editor, beta reader, anche un amico).
È un passaggio complesso, ma va fatto per eliminare quel sentore di “non ho capito” che renderà difficile la comprensione della storia.
Incipit ed excipit
L’inizio e la fine di un libro non vengono mai bene alla prima. Sia perché hai fretta di iniziare e di finire, sia perché rileggendo trovi qualche stonatura.
Incipit ed excipit troppo veloci non vanno bene, perché okay l’inizio in media res, però un po’ di “setting” ci deve stare: far capire chi, cosa, quando e perché. Se tutto è troppo veloce il lettore si perde subito per strada. Stessa cosa per l’excipit: se corre troppo verso la fine, il lettore rimarrà confuso e con un senso di mancanza.
Se incipit ed excipit sono troppo lenti, non va bene nemmeno. Una storia che parte lenta potrebbe annoiare, e una risoluzione che non finisce più può portare chi legge a chiudere il libro e dire: “Tanto ormai è finito, è inutile che continui a leggere perché non mi sta dicendo altro”.
Questo è il problema che ho riscontrato ad esempio nel mio libro “Io sono l’usignolo“, in cui i beta reader mi avevano avvisata che inizio e fine si trascinavano troppo.
Di solito io rimetto mano completamente sull’incipit, e lo riscrivo, mentre per la fine cerco di tirare le fila senza dilungarmi troppo.
Riscrivere inizio e fine può non piacere, ma anche questo va fatto. Tieni presente che nell’incipit devi quantomeno definire la situazione iniziale, e nell’excipit concludere il cerchio senza che nulla sia lasciato per strada (i nodi di cui parlavo prima).
Taglia e inserisci
Quando scrivi… scrivi.
Peccato che molto di quello che scrivi non serve a nulla. Magari a te piace, ma per la storia non significa nulla.
Sempre durante la stesura de “Io sono l’usignolo”, una beta reader mi ha fatto presente che un intero paragrafo non diceva nulla: non portava avanti la storia e soprattutto l’appesantiva. In effetti, rileggendolo attentamente, mi sono resa conto che aveva ragione: a me la scena piaceva, ma non conduceva da nessuna parte. Così l’ho tagliata.
Per agevolare il lavoro di chi leggerà il tuo testo, è però sempre bene farlo da soli, senza che siano gli altri a dirti cosa non va, perciò anche in questo caso una rilettura accurata di ogni scena ti farà capire se funziona e soprattutto se è davvero necessaria.
Può accadere anche l’opposto: una scena troppo veloce che non mostra quanto davvero volevi mostrare. Può essere un dialogo, un momento intimista (pensieri del protagonista, considerazioni), anche una scena d’azione o di emozione.
Te ne rendi subito conto se è troppo veloce: arrivato alla fine non solo ti manca il respiro, ma anche qualche pezzo. In questo caso basta integrare oppure riscrivere da capo.
Questo è quello che chiamo lavoro di pre-revisione, e quando termini sei arrivato alla fine numero 2. Adesso puoi lasciar decantare il testo per un po’, e solo dopo riprenderlo in mano per la revisione o inviarlo a un editor o a un beta reader. Io consiglio sempre di rileggerlo prima di mandarlo in correzione, perché è possibile che anche con la pre-revisione qualcosa sia stato dimenticato.
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July 11, 2020
Lucia Anita Iuliano presenta il suo libro “Una parola per le mamme”
Un libro, quello di Lucia, che tocca le corde più profonde dell’animo umano. Suonerà banale, ma appena lo leggerai capirai di cosa ti sto parlando.
“Una parola per le mamme” è il racconto autobiografico di una lotta contro un nemico invisibile e letale: la depressione post-partum.
Con un pizzico di ironia che nasconde la crudezza, Lucia ci conduce attraverso i corridoi della sua esistenza, in un dramma che non vuole solo essere la testimonianza di chi dalla depressione è riuscito a uscire, ma anche un aiuto per tutti coloro che invece ne sono ancora dentro.
In questa video intervista l’autrice ci racconta di com’è nata la storia, e del progetto @mammamiacheviaggio, un blog (ma non solo!) con lo scopo di dar voce alle donne che purtroppo spesso non ce l’hanno.
Il libro è disponibile in formato cartaceo e digitale su tutti gli store online e ordinabile in libreria attraverso il circuito Libri Diffusi.
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July 7, 2020
Di recensioni e ragnatele nella…
Di recensioni e ragnatele nella…
Dopo la bufera e altro (non è una poesia) che si è tirato addosso l’ufficio stampa Il Taccuino, è bene fare una riflessione, ancora una volta, sulle recensioni negative.
Una riflessione che va a toccare due pilastri di qualsiasi Nazione democratica: la libertà di parola e il reato di ingiuria e diffamazione.
[image error]Foto di My pictures are CC0. When doing composings: da Pixabay
Era un giorno come altri…
… o forse solo sembrava.
In effetti le premesse erano le solite di tante altre occasioni: una blogger riceve un libro, non le piace e lo dice apertamente (senza peraltro usare toni forti).
Sarebbe potuta finire così, come tante altre volte, invece ecco la bufera: l’ufficio stampa che evidentemente aveva mandato il libro alla blogger per una recensione, inizia una sequela di offese del tipo: “sindrome da troppe ragnatele nella f**a”, “blog minuscoli che si credono la Rai” e altro che qui non sto a raccontare ma che l’articolo di Open riassume. C’è poi la marcia indietro di questo supposto ufficio stampa, che però si tira addosso altra bufera (sempre Open ha smascherato alcuni comportamenti che sembrano sospetti)… e la storia non sembra finire qui!
Se non fosse che ho (ahimè) avuto una brutta esperienza con questo ufficio stampa, di cui parlerò a breve (il tempo di riunire il materiale a disposizione), questo episodio mi sarebbe passato sopra come tanti altri di maleducazione di cui il web pullula. Invece ho seguito e sto seguendo (con evidente soddisfazione) la vicenda, e voglio dire la mia su un comportamento che purtroppo non è isolato all’affaire Il Taccuino.
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Sempre qui siamo
A ‘ste benedette recensioni.
A volte mi sembra davvero che per molti sia questione di vita o di morte.
In un post avevo già parlato di come si dovrebbe reagire di fronte a una recensione negativa, e di certo non era contemplato riempire di ingiurie una povera blogger che ha cercato con tutto il tatto possibile di dire che il libro non le è piaciuto (e puoi ben rendertene conto anche tu qui), tra l’altro non dalla casa editrice e tanto meno dall’unica che potesse sentirsi tirata in ballo, ossia l’autrice, ma da un ufficio stampa che dovrebbe solo mettere in relazione autori e recensori, organizzare interviste, presentazioni o altro.
Che questi tizi fossero maleducati lo avevo capito io ben prima di questo putiferio, e che loro avessero la tendenza a offendere era successo ben prima della recensione negativa (alla risposta di un autore di non essere interessato perché per 1000-1500 euro avrebbe voluto una promozione di un anno anziché 4-5 mesi ribadivano: “Certo magari anche un pompino”).
Date le premesse, risulta allora lecito domandarsi se effettivamente c’è libertà di parola per chi collabora con autori, uffici stampa o case editrici.
Perché se io ricevo un libro da recensire e non mi piace, e lo scrivo e vengo subissata di infamie c’è qualcosa che non va.
Come a dire: io ti mando il libro (digitale o cartaceo che sia), ma tu recensiscilo bene. Sennò me**a.
Purtroppo Il Taccuino ha fatto emergere qualcosa che esisteva già da anni
Ossia che è bello ricoprire di sterco chi non apprezza il tuo libro. E magari (come ha fatto Il Taccuino) difendersi dicendo: “Tu hai avuto la libertà di dire quello che pensi, e l’ho avuta pure io”. Non rendendosi conto che quelle più che libertà sono offese passabili di denuncia.
Anche a me è successo qualche volta di autori inalberati che non hanno apprezzato le mie recensioni, arrivando a chiedermi di cancellarle perché ledevano la loro immagine (che non ho fatto), e basta andare su Facebook per leggere di scrittori inviperiti perché qualcuno ha parlato male del loro libro.
E attenzione! Sto parlando di recensioni o opinioni negative che non vogliono offendere ma semplicemente hanno espresso il proprio parere nei limiti del rispetto altrui.
Quindi mi domando: perché chiedere ai blogger di recensire un libro se c’è sempre il rischio che non piaccia e che la recensione sia negativa? Per ricoprirle poi di ingiurie? E che figura ci fanno? Evidentemente a questo non si pensa.
Se io leggo un libro che andrò a recensire, parlerò di tutto. Anche se non mi è piaciuto (basta vedere la mia ultima recensione), e non mi importa se qualcuno ci rimarrà male, perché non ho offeso nessuno ma solo espresso il mio parere. E come me molti altri.
Le recensioni negative sono la bestia di ogni scrittore, ma se sono propositive e costruttive non bisogna alterarsi o, peggio, rasentare la denuncia. Basta un semplice: “grazie”, e la storia finisce lì.
Evidentemente invece bisogna fare “gli spessi” (espressione che usavamo in gioventù per dire “fare la voce grossa”) e divertirsi a offendere, senza sapere (o senza volerlo sapere) che ormai sul web quello che scrivi rimane.
O forse questi del Taccuino sono così pieni di loro (e parrebbe) da poter tranquillamente insultare una blogger perché, testuali parole “hobbista di poco conto che non è nemmeno una giornalista professionista”. Della serie: se la recensione l’avesse scritta La Repubblica mi sarei calato le braghe. Sperando solo che questa vicenda dia il buon esempio e che non sproni altri leoni da tastiera a emulazioni. Ma si sa: la notte leoni, la mattina co…
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July 4, 2020
Vendere i libri di tutti o solo il proprio?
Vendere i libri di tutti o solo il proprio?
Da un anno e mezzo partecipo a fiere del libro come autrice, e da un po’ di anni come lettrice, e ho visto diversi approcci da chi è dietro allo stand.
Mi è sorta quindi una riflessione spontanea: qual è la strategia migliore, sia per l’autore che per il lettore?
[image error]Foto di PatheMathos da Pixabay
Vendere un libro…
… non è affatto semplice. Anche (e soprattutto) durante una fiera. Basti pensare al Salone del Libro: quanti stand ci sono? Quanti libri in ogni stand? Qual è la percentuale che un lettore acquisti proprio il tuo?
Molto bassa, fidati di chi un po’ di esperienza l’ha fatta.
Bisogna invogliare, incuriosire: volantini, roll-up, segnalibri… Insomma tutto quanto possa far fermare il lettore e fargli pensare: “Mi sembra interessante.” Ci sono anche tecniche più aggressive, al limite della maleducazione, e purtroppo non sono pochi gli autori a farlo. A volte vendono, altre no.
Ma qual è la strategia migliore? E come si comportano gli editori e autori? E i lettori?
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I lettori
Normalmente i lettori sono di due tipi: quelli che “spaziano” in uno stand e leggono le varie quarte di copertina, scegliendo in base ai loro gusti, e quelli che si fanno consigliare, magari dall’autore stesso. In quest’ultimo caso, eviterei comunque comportamenti troppo aggressivi.
Da lettrice, spesso ho le idee molto chiare e so da subito quali stand visitare e quali saltare, e a volte parto con la precisa idea di quel libro da acquistare.
Altrettanto spesso ciondolo e cincischio tra uno stand e l’altro, aspettando che mi arrivi l’ispirazione.
Raramente acquisto un libro se qualche autore me lo consiglia in modo aggressivo.
A titolo di esempio, citerò nuovamente la “disavventura” che ho avuto l’anno scorso al Salone di Torino in cui un simpatico autore mi ha praticamente placcata e quasi costretta ad acquistare il suo libro. Sono sgusciata via nemmeno ci fosse stata una vipera, e sono rimasta così basita che purtroppo non sono nemmeno riuscita a visitare lo stand.
Ecco, eviterei comportamenti di questo tipo, che sono deleteri soprattutto per l’autore, che dà un’immagine di sé più da maleducato che da professionista (e a volte sembra che faccia l’elemosina).
Però se un autore si pone bene, mi incuriosisce e si dimostra non troppo autocelebrativo, potrei essere invogliata ad acquistare il suo libro.
Gli autori
Gli autori tendono a voler vendere il proprio libro. Quasi tutti si comportano così.
Tanti cercano invece di spronare alla vendita di tutti i libri, quindi anche dei colleghi.
Ogni strategia ha dei pro e dei contro, e pure delle motivazioni ben precise.
Egoisticamente parlando, se sono un autore e sono presente in fiera, perché dovrei lasciare che il possibile cliente me lo rubi un altro autore? Io sono lì per vendere il mio, di libro, non quello degli altri.
In maniera più pragmatica, è anche un calcolo di costi-benefici. Ho pagato una quota per partecipare allo stand (anche minima, ma sono soldi sborsati), e ho avuto anche delle spese per spostarmi sin lì (a meno che non fosse a due passi da casa): auto, treno, l’eventuale hotel se sto più giorni. È normale che tenda a voler vendere il mio libro, anche solo per rientrare nelle spese.
Purtroppo, se ci troviamo in uno stand con più autori, tutti nella nostra situazione, agire così è poco carino per chi come noi ha avuto delle spese. E se tutti fanno così lo stand rischia di diventare un’arena tipo Hunger Games, creando malumori che compromettono la fiera.
Incentivare ad acquistare i libri di tutti è invece una soluzione “par condicio” che accontenta tutti, ma che per il singolo autore può anche non portare ad alcun beneficio, ma non è detto, perché se io promuovo i libri di tutti, e gli altri fanno uguale, i libri di tutti vengono venduti, e non solo di alcuni.
L’ideale sarebbe che ciascun autore allo stand (o anche l’editore) si prenda una parte di libri e promuova solo quelli, così che ogni libro abbia la giusta visibilità. Io autrice A promuovo i libri di Mario, Luigi e Toad. Autore B invece promuove i libri di Bowser, Yoshi e Donkey Kong. Macchinoso da elaborare? Forse, soprattutto se i libri sono tanti, ma così i rischi di vendere solo un certo romanzo, o al contrario, di non vendere quel libro si ridurrebbero di molto.
Per concludere, ogni casa editrice adotta la strategia che crede migliore, e tutte sono vincenti, a patto di evitare atteggiamenti troppo aggressivi o, al contrario, troppo “lassisti”, che non invoglino cioè il lettore a fermarsi al proprio stand.
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L'articolo Vendere i libri di tutti o solo il proprio? proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.


