Emanuela Navone's Blog, page 12
June 15, 2021
I ferri del mestiere

Come qualsiasi professionista ha degli strumenti che gli servono per il suo lavoro (scalpello, pennello, trapano, zappa, bisturi), anche un editor che si rispetti deve avere sulla sua scrivania alcuni “ferri”.
Che siano risorse online o cartacee, sono indispensabili per entrare a pieno nel fantastico mondo delle parole.
[image error]Pexels.com","created_timestamp":"0","copyright":"","focal_length":"0","iso":"0","shutter_speed":"0","title":"sticky notes on board","orientation":"0"}" data-image-title="pexels-photo-3782235" data-image-description="" data-medium-file="https://i1.wp.com/www.emanuelanavone...." data-large-file="https://i1.wp.com/www.emanuelanavone...." loading="lazy" width="1170" height="780" src="https://i1.wp.com/www.emanuelanavone...." alt="sticky notes on board" class="wp-image-7121" srcset="https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 1880w, https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 300w, https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 1024w, https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 768w, https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 1536w, https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 600w" sizes="(max-width: 1170px) 100vw, 1170px" data-recalc-dims="1" />Photo by Polina Zimmerman on Pexels.comLa cassetta degli attrezziOgni editor ne ha una in cui inserisce tutto ciò che possa tornargli utile, ed è sempre attento a pulire i propri attrezzi e a far attenzione che non passino di moda. E ne inserisce sempre di nuovi, perché l’editing è un lavoro in divenire in cui non sei mai arrivato.
Possiamo immaginare questa cassetta come una grande scatola (virtuale, ma anche fisica) dove alla base stanno tutti quegli strumenti fondamentali che, appunto, non devono mai mancare.
Vediamoli uno per uno.
Una buona grammaticaChi ha detto che l’italiano è morto?
Be’, sui social questo sembra, e ogni giorno che passa c’è sempre qualche congiuntivo che muore o qualche virgola strozzata, ma l’Editor (e uso la maiuscola non a caso) ha la sua grammatica e ogni qualvolta si sente in difficoltà (perché, ripetiamo, l’editor non è mai arrivato, e inoltre una lacuna non è nulla da tirarsi i capelli) la sfoglia per risolvere il dubbio.
Le grammatiche scolastiche sono un buon rimedio casalingo, ma consiglio un testo più corposo che risolva qualsiasi dubbio e che non sia solo per la scuola (ahimè queste grammatiche lasciano da parte molte questioni più sottili). Eviterei anche le edizioni pocket: sono piccole, non può starci tutto.
Io consiglio le grammatiche di Zanichelli e di Utet: sono testi per universitari e professionisti e servono molto. Infatti vengono inseriti anche capitoli dedicati a fonetica, morfologia, sintassi.
Per chi volesse approfondire, poi consiglio un testo molto esaustivo e interessante di Michele Prandi, “Le regole e le scelte“. È un testo di linguistica, ma è molto scorrevole e offre un approccio direi originale sull’italiano.
Se vuoi limitare le spese, c’è anche la “versione digitale” della grammatica italiana, scartabellando su Google, ma ti consiglio di investire su un testo scritto di qualità: online si trova di tutto e di più e non si sa mai se chi scrive ha la giusta conoscenza (avendo in precedenza appurato se quanto scrive è vero) o no.
Un manuale di punteggiaturaMi riallaccio al periodo precedente e ti consiglio, anche in questo caso, di acquistare un manuale cartaceo.
Su stretto consiglio della mia docente di linguistica, il libriccino “Prontuario di punteggiatura” di Bice Mortara Garavelli pur essendo piccolo è davvero esaustivo.
Ogni segno di interpunzione è analizzato nei minimi dettagli, e il manuale offre anche uno sguardo meno “grammarnazi” e più linguistico, poiché può anche capitare di dover disattendere una regola in favore della prosodia.
Il dizionario della lingua italianaUtilissimo soprattutto in caso di scelte lessicali che sembrano scorrette o dell’utilizzo di sinonimi (che magari proprio sinonimi non sono), ma anche per cercare qualche parola che non si conosce (succede, eh, il dizionario ha quasi tremila pagine!).
Se vuoi investire su un tomo fisico (e uso la parola “tomo” non a caso!) ti consiglio lo Zanichelli. È completo di tutto e all’interno delle pagine inserisce anche schemi interessanti di approfondimenti, soprattutto circa la questione della quasi-sinonimia.
Il difetto di un dizionario cartaceo è che ogni anno si rinnova, quindi magari tra quattro, cinque anni dovrai acquistare una versione aggiornata.
Online, invece, utilissimo è il Treccani.
Il dizionario dei sinonimi e dei contrariPersonalmente lo uso poco, e per la questione che in italiano non c’è mai una perfetta sinonimia, ma se ti dovesse servire puoi sempre fare riferimento al Treccani di cui ti parlavo prima, poiché nella barra di ricerca è possibile anche scegliere l’opzione “sinonimi” di una data parola.
Attenzione, comunque, a non abusarne: se cado è un conto, se capitombolo un altro. Se stramazzo un altro ancora.
Il dizionario delle collocazioniMeno “famoso”, ma una volta che lo conosci non te ne puoi separare.
Hai presente tutte quelle accoppiate verbo+sostantivo che ti sembrano strane all’occhio? O tutte quelle parole che dicono tutto ma non dicono nulla?
Il dizionario delle collocazioni ti aiuta ad avere un lessico più ricercato senza cadere nel barocchismo. Per ogni sostantivo (di uso frequente, è un volume “piccolo” rispetto a un dizionario della lingua italiana) vengono inseriti tutti i verbi+complemento che a esso si legano, come anche gli aggettivi, le costruzioni, gli avverbi, il soggetto+verbo…
Insomma, un vero breviario!
Il dizionario delle collocazioni di Zanichelli è a mio avviso il migliore. A essere sincera non ho trovato siti internet così ben fatti come questo libro di (sole) seicento pagine.
Il manuale di stileCome si scrivono i numeri sopra 100? Come si usano le maiuscole per determinati nomi? Come si usano le abbreviazioni, i simboli, le note?
Domande che sono sicura ti sarai già fatto mille volte.
Su internet è un minestrone, lo so perché prima di trovare il manuale giusto ho girato in lungo e in largo. Alla fine, ancora una volta Zanichelli mi è venuta in aiuto con il suo “Il nuovo manuale di stile“.
Un volumetto utilissimo che, oltre a risolvere qualsiasi dubbio su maiuscole, minuscole, corsivi ecc., offre anche un esaustivo compendio sulla grammatica e sulle regole di impaginazione e di revisione.
Un must, insomma.
[image error]Pexels.com","created_timestamp":"0","copyright":"","focal_length":"0","iso":"0","shutter_speed":"0","title":"mug with coffee and strawberry on opened books","orientation":"0"}" data-image-title="pexels-photo-6858603" data-image-description="" data-medium-file="https://i0.wp.com/www.emanuelanavone...." data-large-file="https://i0.wp.com/www.emanuelanavone...." loading="lazy" width="975" height="1300" src="https://i0.wp.com/www.emanuelanavone...." alt="mug with coffee and strawberry on opened books" class="wp-image-7122 size-full" srcset="https://i0.wp.com/www.emanuelanavone.... 975w, https://i0.wp.com/www.emanuelanavone.... 225w, https://i0.wp.com/www.emanuelanavone.... 768w" sizes="(max-width: 975px) 100vw, 975px" data-recalc-dims="1" />Questi sono solo alcuni degli strumenti utili all’Editor nel suo lavoro di tutti i giorni. Ce ne sono anche altri, a un livello più alto della nostra cassetta degli attrezzi. Ma ne riparleremo. Per il momento corri a spulciare questi, sono sicura ti saranno molto utili!
L'articolo I ferri del mestiere proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
May 8, 2021
I vostri racconti #1

In tanti hanno accolto l’estro creativo scaturito dal mio precedente post (che trovi qui), e mi hanno dato il consenso a pubblicare il loro racconto.
Ecco il primo, di Lorenzo Malagola (con cui ho avuto il piacere di collaborare l’anno scorso nella revisione di un libro che spero prima o poi verrà pubblicato).
L’insegna in ferro del Quattro Soli dondola appesa a due neri catenacci, dipinta dal caleidoscopio di luci che attraversano la vetrata colorata della locanda. Una pinta di scura servita con abbondante schiuma è quello che ci vuole per ristorarsi dopo aver speso il pomeriggio in auto da Dublino a Tulsk.
Arthur ordina un altro giro e poi resta in piedi al bancone a concordare con il proprietario il pagamento della stanza per la notte. Seduto al tavolo a guardare un gruppetto di anziani che giocano a freccette, Bors beve a grossi sorsi, mandandoli giù pesanti come fossero gli ultimi della sua vita. I due cinquantenni sono partiti quasi per scherzo, un viaggio nell’Irlanda immaginaria per lasciarsi alle spalle la tangibilità del lavoro e i problemi famigliari.
Stanchi e ubriachi, pagano il conto e salgono le strette scale di legno sorreggendosi l’uno all’altro. Prima di addormentarsi, Arthur borbotta qualcosa a bassa voce.
«La vita è stata ingrata con te. Lo so bene. Hai fatto tante rinunce. Ma ne verrà fuori qualcosa di buono. Vedrai. Segui la tua strada e ci arriverai. Seguila. Sì. Tu seguila e vedrai.»
Le parole arrivano a Bors come sospinte senza peso e spengono la luce nei suoi occhi.
Il mattino è così fosco che il sole pare scomparso. La locanda è deserta e così pure la strada che attraversa il villaggio. Bors si guarda attorno smarrito, chiedendosi se la sbronza della sera prima gli abbia annebbiato la ragione. Dopo aver seguito il marciapiede fino alla chiesetta al confine del paese, si volta indietro e si rende conto di essere solo. Arthur, il proprietario del locale, gli anziani che giocavano a freccette, gli abitanti, tutti scomparsi. Anche l’auto presa a noleggio e quelle parcheggiate di fronte alle case non ci sono più. Da quando è uscito dalla locanda il silenzio è stato l’unico suo compagno.
Un cavallo bruca tra l’erba rada del piccolo cimitero di fianco alla chiesa. Bors nota che l’animale appare deperito, quasi consumato dal tempo e della fame, le costole in evidenza e il manto macchiato dalla malattia. Seduta su di una lapide di pietra annerita come la pece, una ragazzina singhiozza raccogliendo le lacrime con le mani e asciugandole sulla gonna leggera.
«Scusami! Posso aiutarti? Cosa ti è successo? »
Bors scavalca il basso muretto che circonda il cimitero e le si avvicina a piccoli passi, il corpo proteso in un gesto di soccorso.
«Hai bisogno? Sai dove sono andati tutti?»
Il cavallo si allontana trascinandosi oltre la nebbia. La ragazzina smette di piangere e solleva lo sguardo sull’uomo, due occhi di carbone spento che sconvolgono il pensiero. Bors fa qualche passo indietro senza più il fiato per parlare. Il braccio della sconosciuta si tende a indicare un punto all’orizzonte, laggiù oltre lo scheletro di alcuni alberi in mezzo alla bruma. L’uomo si incammina sospinto da una forza antica che non riesce a comprendere.
Il sentiero non è impervio, radura dopo radura, senza alba né tramonto, senza sonno né appetito. Bors non ha quasi più memoria di quale fosse la sua vita precedente e ormai non gli interessa più. Lungo il tragitto non ha mai incontrato nessuno e se ora accadesse ne resterebbe così sorpreso da fuggire a nascondersi. Ogni tanto il cavallo affamato compare in lontananza a brucar via l’erba dall’orizzonte, e poi in un attimo galoppa oltre. Bors allora si incammina in quella direzione, fidandosi del pallido destriero.
Forse sono trascorsi quaranta giorni dall’inizio del viaggio o forse quarant’anni, quando Bors raggiunge gli alberi spogli indicati dalla ragazzina cieca. Sopra di essi la foschia si dirada e una luce fragorosa prende vita dai rami. Le radici si contorcono a delineare l’ingresso di una piccola grotta, scavata nella roccia bianca che emerge dal terreno. L’interno della bassa galleria è completamente buio e dopo averla percorsa tutta avanzando a tentoni, Bors riemerge sotto il cielo della notte più limpida che abbia mai visto. In mezzo al prato e al profumo di erba selvatica si erge la lapide scura del piccolo cimitero da cui ha avuto inizio il pellegrinaggio.
La ragazza singhiozza in piedi di fronte all’iscrizione che ora appare chiaramente visibile alla luce di miliardi di stelle.
Qui giace la Verità.
Solo a chi ha attraversato il cancello
è concesso di scavare nel profondo
di trovare dentro di sé la forza
per conoscerla e donarla
La volta celeste ha ruotato tre volte, quando Bors termina di scavare sotto la lapide a mani nude e può finalmente accarezzare il legno della scatola liscia come la seta. La sua compagna cieca e il debole cavallo sono rimasti a fissarlo in silenzio per tutto il tempo, in una immobile aura di speranza. La sottile iscrizione sul dorso della scatola si fa destino. Dopo averla letta Bors si porta la mano al petto e non sente battere il cuore.
Piangete e Gioite
Siete morti, Ora vivete
L’esplosione è catastrofica e divora tutto quello che incontra. I suoi due compagni di viaggio saettano verso l’eternità come radiose stelle cadenti, mentre lui rimane appeso a quelle parole.
Si sveglia di colpo con gli occhi lucidi e il cuscino bagnato dalle lacrime. Arthur sta ancora russando debolmente nel letto a fianco. Non c’è più tempo da perdere.
«Svegliati, Arthur! Dobbiamo tornare a casa!»
L’uomo non è ancora del tutto sobrio e rantola in un lamento di disapprovazione.
«Che c’è? Cosa stai dicendo, Bors? Ti sei alzato male?»
«Ho trovato quello che cercavo! Andiamo.»
Il sole è quasi al tramonto quando arriva al maneggio. È più di un anno che non torna a casa. Non aveva intenzione di tornarci. Il lavoro lo ha tenuto lontano dagli affetti e ormai pensava che senza vincoli tutto sarebbe stato più semplice. Stava morendo, questa è la verità. Non può ancora perdonare la moglie per tutti i loro litigi e forse non ci riuscirà mai, ma può perdonare sé stesso.
Eliana sta montando in sella alla sua amata Khloe. Quando scorge Bors, gli occhi le si illuminano e lo raggiunge al galoppo.
«Papà. Sei tornato!»
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April 24, 2021
Esercizio di scrittura creativa #1

Oggi inauguro una nuova rubrica tutta incentrata su di te!
Infatti, si tratta di piccoli esercizi di scrittura creativa che potrai sfruttare per allenarti, per divertirti e, perché no, per scacciare un eventuale (e antipatico) blocco dello scrittore.
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Per calcolare le 1000 parole ti è sufficiente conteggiarle con il programma di scrittura che usi, Open Office o Word.
Scrivere un racconto non è facile, lo so, ed è proprio per questo che te lo propongo
Alcuni consigli:
Anche se è un racconto, deve comunque avere un inizio, uno svolgimento e una conclusione.
Non soffermarti troppo su dettagli, descrizioni. Serve azione.
Come ha detto Stephen King, non sempre occorre spiegare tutto, e soprattutto in un racconto. Puoi lasciare tranquillamente che sia il lettore a trarre le sue conclusioni.
Per spronarti, ti lascio anche una breve traccia, che puoi seguire oppure no.
Due amici vanno in vacanza in una cittadina e fanno baldoria in un pub. Il giorno dopo, il protagonista si sveglia e non trova più il compagno. Va a cercarlo e scopre che la città è deserta, trova solo una donna, che sta piangendo.
Puoi anche inviarmi il racconto, se vuoi, e se vorrai lo pubblicherò qui sul sito, fermo restando che la proprietà rimane tua e ne potrai fare quello che vuoi.Buona scrittura!L'articolo Esercizio di scrittura creativa #1 proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
March 29, 2021
“Nell’ombra delle donne” di Simona Polimene: RECENSIONE

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March 6, 2021
Pillole di punteggiatura: 5 errori da non fare
Una buona scrittura si vede soprattutto dall’assenza di errori di punteggiatura.
Molte regole sono più “modulate” nei testi creativi, laddove si gioca con le parole, però è bene conoscerle prima di infrangerle.
[image error]Pexels.com","created_timestamp":"0","copyright":"","focal_length":"0","iso":"0","shutter_speed":"0","title":"crop person solving equations on paper","orientation":"0"}" data-image-title="pexels-photo-6238030" data-image-description="" data-medium-file="https://i2.wp.com/www.emanuelanavone...." data-large-file="https://i2.wp.com/www.emanuelanavone...." loading="lazy" width="1170" height="780" src="https://i2.wp.com/www.emanuelanavone...." alt="crop person solving equations on paper" class="wp-image-7086" srcset="https://i2.wp.com/www.emanuelanavone.... 1880w, https://i2.wp.com/www.emanuelanavone.... 300w, https://i2.wp.com/www.emanuelanavone.... 1024w, https://i2.wp.com/www.emanuelanavone.... 768w, https://i2.wp.com/www.emanuelanavone.... 1536w, https://i2.wp.com/www.emanuelanavone.... 600w" sizes="(max-width: 1170px) 100vw, 1170px" data-recalc-dims="1" />Photo by Gabby K on Pexels.comIl punto: sempre a capo?Il punto a capo segnala lo stacco tra ciò che c’è scritto prima e quanto verrà scritto dopo, perché si cambia argomento o perché viene affrontato un aspetto diverso del medesimo.
Errore è, quindi, andare sempre a capo, ogni volta che si usa il punto.
Esempio tratto da “Il piacere di scrivere” (Cignetti e Fornara, Carocci):
Un altro aspetto che la televisione porta a livello linguistico che il “rinchiudere” l’uomo in uno stato di isolamento.
Infatti, mentre guardiamo i programmi televisivi, difficilmente discutiamo con chi è intorno a noi.
In questo caso è opportuno unire i due paragrafi, perché il secondo è la spiegazione del primo (viene spiegato perché l’uomo si “isola” guardando la televisione).
Errore al contrario: non andare a capo durante i dialoghi.
Come ben sai, a ogni dialogo occorre andare a capo per segnalare che chi sta parlando è B e non A. Non farlo potrebbe confondere il lettore, che rischia di non saper più distinguere “chi dice cosa”.
Attenzione! Se il dialogo di A è interrotto da un inciso, non si va a capo. La confusione rischierebbe di essere ancora maggiore e il lettore potrebbe attribuire il dialogo all’interlocutore B anziché all’A.
La virgola: incisi, apposizioni, vocativiLa virgola racchiude un inciso o un’apposizione e delimita o racchiude vocativi.
Alcuni esempi:
«Mario, dovresti passare dal meccanico.»
«Ascoltami, Mario, e non interrompermi!»
Mario Rossi, noto regista veneziano, si è appena sposato.
I ragazzi, di cui ho piena fiducia, mi sosterranno.
Togliere la virgola ai primi tre esempi è un errore:
*«Mario dovresti passare dal meccanico.»
*«Ascoltami Mario e non interrompermi!»
*Mario Rossi noto regista veneziano si è appena sposato.
Il quarto caso ha una sfumatura leggermente diversa. Se racchiudo tra due virgole l’inciso, voglio dire che tutti i ragazzi mi sosterranno. Diversamente mi riferisco soltanto a quelli di cui ho piena fiducia. Attenzione, quindi. Una virgola mancante può anche cambiare radicalmente il senso della frase!
Punto interrogativo?????? Punto esclamativo!!!!!!!Come ho già scritto in un precedente articolo sui punti interrogativi ed esclamativi, un abuso (eccessivo) di questi due segni di punteggiatura non va bene.
Sebbene per ragioni di espressività spesso venga ammesso un doppio punto esclamativo o un doppio punto interrogativo, è sempre meglio non approfittarne.
Anche perché l’eccessiva sorpresa (!!!!) e una domanda fatta con enfasi (????) possono essere tranquillamente scritte mostrando emozioni e azioni del personaggio.
Le virgolette alte doppie
Mario era arrabbiato. «Adesso basta!!!!!»
Mario diede un pugno sul tavolo. «Adesso basta!»
«È arrivato Luigi???» domandò Mario con ansia.
Mario afferrò Fiorella per le spalle e la scosse. «È arrivato Luigi?»
Oltre a essere usate nei dialoghi (anche se in italiano vi è la predilezione per le caporali), le virgolette inglesi vengono anche usate per dare rilievo a una parola o a un’espressione.
Sempre da “Il piacere di scrivere”, ecco un esempio:
La “guerra” tra chi difende il punto e virgola e chi ne predica la scomparsa è incominciata.
Errore è abusarne, perché il testo diventa pesante, come anche la lettura (troppe virgolette, magari ravvicinate, infastidiscono la vista).
La “guerra” tra chi “difende” il punto e virgola e chi ne “predica” la “scomparsa” è incominciata.
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February 20, 2021
Come inserire i numeri di pagina

Inserire i numeri di pagina nel proprio manoscritto è fondamentale, se verrà stampato.
Farlo con Microsoft Word è davvero semplice, ma occorre fare attenzione ad alcune cose.
Per prima cosa…… occorre sapere dove andare per inserire i numeri di pagina.
Nelle versioni più recenti di Word basta che navighi sul menu Inserisci, e poi Numeri di pagina, come in questa immagine.

Navigando nel menu a tendina troverai diverse opzioni: in basso, in alto, nel margine o nella posizione corrente. Word offre anche una varia tipologia di formati, anche più grafici, come grazie o forme all’interno delle quali è inserito il numero. Dipende da te, anche se se il tuo testo è un romanzo rimarrei nel classico numero allineato al centro, destra o sinistra.
In fondo trovi invece qualche opzione più avanzata:

Puoi scegliere il formato del numero (1, 2, 3… a, b, c…) e se includere o meno il numero del capitolo. Anche questo dipende da te.
Interessante la sezione “numerazione pagine”. Puoi decidere se far cominciare la numerazione dalla sezione precedente oppure cominciare da, ad esempio, 2, a seguire.
E qui entra in gioco un elemento fondamentale per avere una numerazione corretta: le sezioni.
Le sezioni e le interruzioni di sezioneUtilizzare correttamente le interruzioni di sezione è importantissimo: non solo perché ogni blocco del testo (ad esempio titolo, capitoli, indice, colophon e pagine bianche) sarà diviso e diventerà un blocco a sé (utile per intestazione e piè di pagina), ma in caso tu abbia bisogno di non numerare certe pagine, come il titolo, le bianche, il colophon, si rivela fondamentale.
Infatti, usando le semplici interruzioni di pagina o andando a capo ogni volta, ti sarai accorto subito che se rimuovi il numero di pagina da una bianca, automaticamente li rimuove in tutte le pagine.
Questo perché se non dividi il testo in sezioni Word ne considererà una soltanto, e applicherà le modifiche a ogni blocco, o pagina, come se fosse una sezione unica.
Dividendo i blocchi in sezioni, invece, puoi modificarne ciascuna senza che le altre vengano modificate.
Prima di entrare nella pratica, però, vediamo dove trovare le interruzioni di sezione. Non è visibile a una prima occhiata, infatti.

Devi andare su Layot e poi cliccare sul menu a tendina “Interruzioni”. Da lì scegli “pagina successiva”. Le altre opzioni lasciale stare per il momento, visto che per lavorare con i numeri di pagina anche questo metodo è funzionale.
Come vedi in questa immagine, inserendo l’interruzione di sezione il testo andrà in un’altra pagina, come per l’interruzione di pagina.

Tuttavia, aprendo il pannello di Intestazione e piè di pagina (basta cliccare due volte sul fondo o in cima alla pagina) noterai come adesso siano due le sezioni:

Le due pagine adesso sono due sezioni (due blocchi) divise, e quindi potrai lavorare in autonomia. Prima, però, devi assicurarti di togliere la spunta a “collega a precedente”, sennò lo stesso lavoro che fai ad esempio sulla sezione 2 verrà applicato alla 1.
Ti basterà cliccarci sopra e la casellina diventerà grigio chiaro (se attiva, come nell’immagine, è grigio scuro).
Inserire i numeri di pagina nelle interruzioni di sezioneCi sono molti metodi per inserire i numeri di pagina usando le interruzioni di sezione, però ti mostro il mio, che forse è leggermente più lungo però funzionale al cento percento.
Per prima cosa, inserisci i numeri di pagina seguendo la procedura che hai letto sopra. Automaticamente Word li mette su ognuna. Andando col cursore sulle pagine che intendi lasciare bianche (dopo aver scollegato ogni sezione, seguendo anche questa volta la procedura di cui sopra), seleziona il numero e cancellalo. I numeri di pagina rimarranno soltanto in quelle che vorrai tu.
All’inizio so che ti sembrerà una procedura difficile, soprattutto ricordare tutti i passaggi, ma man mano che prendi l’abitudine diventerà automatico e ti farà risparmiare un sacco di tempo!Se vuoi leggere altri trucchetti di Word, clicca in basso!Clicca qui!L'articolo Come inserire i numeri di pagina proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
February 13, 2021
Pillole di scrittura: tre errori da non fare assolutamente

Per raggiungere la piena padronanza del proprio stile non servono né anni né una vita intera: lo scrittore migliora e si affina riga dopo riga, pagina dopo pagina, e peccherebbe di saccenteria se si dicesse che ormai è “arrivato”.
Lo stile di ciascuno è… lo stile di ciascuno. È personale e guai a volergliene imporre un altro.
Però (perché un “però” c’è sempre), alcuni accorgimenti sono molto utili, per migliorare e per affinare… e per imparare.
Tre errori da evitare assolutamenteScrivendo spesso incappiamo in alcuni errori grossolani e gravi (soprattutto). Pecchiamo di arroganza, forse, oppure non abbiamo voglia di attivare qualche sinapsi in più. Fatto sta che quando rileggiamo ci diciamo: “Ma davvero ho scritto ‘sta roba? Proprio io?” Eppure, è così.
Ci sono tanti modi per migliorare la propria scrittura, piccolissimi dettagli da rifinire per ottenere un prodotto pulito (e qui ne troverai qualcuno), ma per prima cosa occorre evitare alcuni errori.
Eccone tre, per iniziare a vedere se anche tu ci “incappi”.
Chi parla? Pronto?Hai presente leggere un testo dove mancano totalmente i soggetti? Ecco, questo errore va evitato… o forse potrei dire evirato.
Scrivendo, è logico che tu abbia in testa chi dice cosa, e può venirti spontaneo non inserire i soggetti, vuoi che sia durante la narrazione oppure nei dialoghi.
Domandati però: chi legge capirà?
Solito esempio tratto dagli errori del punto di vista:
«Non credevo che se ne fossero andati via tutti», mormorò Diego mentre frugava nella tasca alla ricerca dell’accendino.
Monica gli porse il suo. «Non se ne sono andati». Aspirò il fumo della sigaretta. «Sono morti».
«Morti?», domandò.
«Sì», rispose.
Osservò il cielo. In lontananza nubi pesanti come macigni sembravano stringere il mare in una morsa. «Sarà meglio che vada», sussurrò. Si incamminò a passo svelto verso il portoncino di legno marcio.
Se chi chiede “Morti?” possiamo intuire che sia Diego e a rispondere “Sì” sia Monica, chi è che osserva il cielo e dice “Sarà meglio che vada?” Monica o Diego?
Se il contesto non ci dà alcuna informazione (ad esempio nelle frasi precedenti potrebbe esservi scritto che Diego ha fretta, e quindi potrebbe essere lui a dire “Sarà meglio che vada”), è necessario inserire un soggetto. In ogni caso, anche se comunque possiamo intuirlo dal contesto, è sempre meglio inserire il soggetto: il lettore non vuole intuire, vuole capire.
La giostra dei tempi verbaliI tempi verbali (come il famigerato congiuntivo) sono ostici per molti scrittori.
Presente, passato prossimo, remoto, trapassato, imperfetto… a volte è davvero un bel minestrone.
Che tu voglia scrivere al presente o al remoto (queste, e solo queste, sono le uniche due opzioni), non puoi esimerti dal conoscere come funziona la concordanza con gli altri tempi verbali (che sì, ti toccheranno!).
Se scrivo al presente (Mario va a scuola), per narrare di eventi accaduti prima userò il passato prossimo (Mario va a scuola, ma ieri è stato a casa). Raramente un trapassato prossimo (… ma ieri era stato a casa: crea un distanziamento temporale che è troppo… distanziato), ancor più raramente un remoto (… ma ieri stette a casa).
Spesso seppur viene usato il presente si può scegliere il trapassato prossimo se si narrano di eventi più lontani nel tempo, ma lo farei con parsimonia e preferirei il passato prossimo, con cui il presente fluisce meglio.
Se scrivo con il remoto, per narrare di eventi passati userò il trapassato prossimo: Mario andò a scuola, il giorno prima era rimasto a casa (e non “ieri”, che è un marcatore temporale che col remoto funziona male). Più raro è il trapassato remoto (… il giorno prima fu rimasto a casa).
Sempre al remoto, se descrivo, userò l’imperfetto: Mario andò a scuola, il giorno prima era rimasto a casa. La via era deserta. Stessa cosa se parlo di un’azione che continua: Mario andò a scuola, il giorno prima era rimasto a casa. La via era deserta e fu una fortuna, visto che piangeva da quando aveva messo piede fuori casa.
Trovi qui uno specchietto utile sulla concordanza dei tempi, anche per il congiuntivo.
Rise, sorrise e sospiròConsiglio più rivolto allo stile che alla grammatica, però pur sempre un errore.
Nel suo “The Word-Loss Diet“, Rayne Hall esemplifica bene quello che sto per dirti, anche se il suo libro è più dedicato a snellire il testo da termini pesanti (una bella dieta, come recita il titolo).
Mario sospirò. Luigi sospirò. Mario sorrise a Luigi, poi sospirò. Risero, sospirarono. Si sorrisero. E sospirarono.
Ridere, sorridere e sospirare sono i tre verbi fra i più usati dagli scrittori, soprattutto nei dialoghi. Poi ci sono annuire, ridere, scuotere la testa, sbuffare…
Ora, è sempre bene rendere vivo un dialogo non tanto usando espressioni facciali o movimenti, quanto facendo interagire il personaggio con ciò che lo circonda.
Brevissimo esempio.
Mario guardò Luigi e gli sorrise. “Ce l’ho fatta. Adesso possiamo stare tranquilli.”
Luigi lo guardò a sua volta. “Sei sicuro?” Sospirò. “Davvero è finita?”
Mario annuì. “Fidati di me. Ho mai sbagliato?”
L’altro rise. “Mai, se devo essere sincero.”
Questi due personaggi stanno non solo parlando sospesi nel “nulla” (in inglese viene chiamato talking heads), ma stanno facendo abbondante uso di verbi che ogni scrittore dovrebbe usare con più che parsimonia, se non proprio limitare a due o tre volte.
Forse quello che sto dicendo ti sembrerà eretico. Non devo più far ridere, sorridere o sospirare un mio personaggio? No. Ma anche sì.
Mi spiego meglio: una volta che i tuoi personaggi interagiranno con l’ambiente, ti renderai conto che tutti questi verbi-cliché non serviranno (praticamente) più.
Mario sorrise mentre si sedeva al tavolo. “Ce l’ho fatta. Adesso possiamo stare tranquilli.”
Luigi era in piedi. Lo guardava mordendosi il labbro. “Sei sicuro?” Si lasciò cadere sulla sedia. “Davvero è finita?”
Mario alzò una mano per chiamare il cameriere. “Fidati di me. Ho mai sbagliato?”
L’altro iniziò a giocherellare con il porta tovagliolini. “Mai, se devo essere sincero.”

I tuoi primi passi nel mondo dell’autopubblicazione!
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January 30, 2021
L’editing si può insegnare?

È da un po’ che mi sto ponendo questa domanda: l’editing si può insegnare?
Vedendo i numerosi corsi che spuntano come funghi (soprattutto da quanto l’Italia ha cominciato a entrare e uscire dai vari lockdown) sembrerebbe di sì.
Ma in che modo?
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Agli esordi del mio percorso in editoria sono stata affiancata sia da chi mi spiegava cosa fare e come, sia da chi mi diceva “fallo”. Addirittura, una delle mie primissime esperienze di editing è stata learning by doing: mi hanno piazzato un testo davanti e mi hanno detto: “Correggilo”.
Come in tutte le discipline, è fondamentale conoscere le basi teoriche, ma soprattutto lavorare, lavorare, lavorare. È un po’ come guidare una macchina: la teoria serve, certo (anche perché se non conosci il codice della strada…), ma solo una buona pratica ti aiuterà a mantenere l’auto in strada.
Per l’editing può essere la stessa cosa: la teoria serve, ma la pratica è fondamentale.
Occorre quindi imparare studiando E facendo.
E qui veniamo al nostro nocciolo: se l’editing si può insegnare (perché si può e lo si insegna), qual è il metodo giusto?
Ci sono metodi e metodiCome per qualsiasi disciplina pratica (e direi che l’editing è molto pratico), ogni insegnante ha il proprio metodo di insegnamento.
Purtroppo però spesso ho notato che la tendenza è a fornire un apparato teorico zeppo di nozioni (forse per dar sfoggio delle proprie conoscenze?) e tralasciare l’aspetto pratico. Ancora più spesso ho notato un approccio unidirezionale: l’insegnante verso l’alunno, e non viceversa. Il primo dà sì esercizi al secondo, ma non dà alcun feedback.
Ecco, soffermiamoci un momento sulla nozione di feedback.
Per ogni disciplina pratica è l’elemento chiave.
Posso svolgere qualsiasi tipo di esercizio, ma se il docente non mi dà un riscontro, non mi dice se sto facendo bene o male, come posso apprendere la pratica?
Questo succede anche con la traduzione: spesso i compiti consegnati dagli apprendisti traduttori non vengono corretti, o ne vengono corretti due-tre a campione, e una delle tante motivazioni addotte è che “non c’è una traduzione corretta perché ognuno interpreta il testo secondo il proprio orientamento”.
Questo è vero, ma solo in parte, perché io posso interpretare un testo sulla base di quello che sento e di quello che ipotizzo l’autore abbia voluto dire e in che modo, a chi e in quale contesto, ma posso comunque sbagliare traducente, o peggio eseguire un’interlineare che traduzione non è.
Possiamo “traslare” tutto ciò nell’editing. È vero che ogni editor corregge il testo secondo la sua interpretazione (ossia secondo quanto, in base a nozioni ed esperienza, ritiene giusto o migliorabile), e se mandi un testo a dieci editor stai certo che tutti e dieci te lo restituiranno con correzioni diverse, ma cosa succede se l’aspirante editor non vede certe cose, non sente certe cose e sbaglia interpretazione?
È compito del docente, tramite continui feedback, instradare l’aspirante editor così che, una volta pronto a lavorare autonomamente, non cada in errori grossolani, sia troppo superficiale o, al contrario, troppo invasivo.
La teoria serve, la pratica anche, ma pure (e soprattutto) una relazione bidirezionale insegnante-discente.
È su queste basi che ho cercato di costruire un corso sull’editing che sia soprattutto un dialogo fra editor e aspirante editor, e che sto finalizzando in questi giorni. Se anche tu vuoi approcciarti in modo pratico a questa professione, compila il form qui sotto per essere tra i primi a ricevere notizie su quando il corso/laboratorio verrà attivato! Inoltre, riceverai un omaggio su come muoverti nel mondo dell’autopubblicazione. (function() { window.mc4wp = window.mc4wp || { listeners: [], forms: { on: function(evt, cb) { window.mc4wp.listeners.push( { event : evt, callback: cb } ); } } }})();
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January 23, 2021
Perché scrivere un racconto?

Ce lo domandiamo in tanti. Perché racconto e non romanzo?
Che cosa c’è alla base di questa scelta?
Me lo sono chiesto e ho cercato di rispondere.
Adoro i raccontiSono una cultrice di racconti ormai da anni. Amo le raccolte di racconti quasi di più che leggere un romanzo. Mi piacciono i racconti brevi e lunghi, senza preferenze, a patto che siano entrambi ben elaborati.
Tanti scrittori pensano che scrivere un racconto sia una bazzecola. Molti snobbano proprio questa forma narrativa. Altri la ritengono troppo difficile e preferiscono “passare” a un romanzo.
Do ragione a tutti tranne a chi dice che il racconto sia una bazzecola.
Certo che non lo è. Anzi, forse è più difficile scrivere un racconto che un romanzo.
Non ci credi?
Trovare il giusto compromessoScrivere un racconto (breve o lungo) è trovare il giusto compromesso tra cosa dire e cosa non dire.
È un racconto, non un romanzo, perciò per forza di cose numerose informazioni dovranno essere accantonate. In altre parole, in ogni racconto occorre trovare ciò che è importante da dire (per la storia, per il lettore), e lasciar perdere tutte quelle informazioni “corollarie” che in un romanzo andrebbero bene, ma in un racconto no.
E già questa è una difficoltà.
Cosa tenere? Cosa lasciare? Cosa serve alla storia e al lettore? Cosa serve a me, e quindi non agli altri?
Già rispondere a queste domande potrebbe portare via un po’ di tempo. Ma una volta avute le risposte capirai se la tua idea può portare a un racconto o a un romanzo.
Due esempi tratti dalla mia esperienza per farti capire meglio. Odio omaggiarmi troppo, ma ahimè a volte è essenziale.
Sto lavorando a una raccolta di racconti tematica (e già questo aprirebbe un ulteriore articolo, ma ne riparleremo) e l’anno scorso avevo intenzione di inserire anche quello che poi è diventato “L’uomo con il berretto rosso”. Non l’ho fatto, e poi è uscito il romanzo. Semplicemente, la storia doveva essere scritta con tempi lunghi di narrazione e non ridursi a una trentina di pagine. Avrebbe perso il giusto “pathos” e non era quello che volevo.
Al contrario, sempre parlando della mia raccolta, ho da poco deciso di inserire quello che da anni voleva essere un romanzo, ma dopo averlo preso e lasciato ho capito qual era il suo problema: la storia merita di essere letta velocemente, senza soffermarsi troppo su psicologie e descrizioni, perché ciò che conta è l’impatto. Da qui la “riduzione”.
Questi due esempi pratici aprono le porte a un tema fondamentale: spesso è la storia, come la idei e come la scrivi a dirti se deve essere racconto o romanzo. È difficile e soprattutto deleterio voler forzare una storia, è come voler indossare un paio di pantaloni troppo stretti o troppo larghi: i primi, se riescono a salire fino alle cosce, ti soffocano e potrebbero rivelare antipatici rotolini, i secondi cadono perché non hanno appigli.
Ma perché dovrei scrivere un racconto?In effetti, come al solito mi sono dilungata (sono prolissa anche nello scrivere). In realtà, però, tra le righe trovi già la risposta alla tua domanda: è la storia a dirtelo.
Certo, non parlo di contest o concorsi che richiedono espressamente racconti e che in un certo senso ti “costringono” a scriverne uno; parlo di quando hai quell’idea e devi capire come elaborarla.
Ahimè, spesso purtroppo la storia ti dice a stesura iniziata cosa vuole diventare, e ti tocca tagliare o rimpinguare (ne so qualcosa), ma è sempre meglio correre ai ripari prima con qualche giornata di modifica che fare i conti dopo con critiche o peggio.Se sei incuriosito e ti va di leggere una raccolta di racconti, fai un salto al link qui sotto: troverai Energeia, la prima raccolta di racconti scritta dagli autori di Policromia e fruibile liberamente (sì, proprio così, non hai nulla da pagare). Chissà, potresti trovare ispirazione!
Clicca qui!L'articolo Perché scrivere un racconto? proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
January 5, 2021
Perché ci piace l’head hopping

Letteralmente “saltare da una testa all’altra”, è uno degli errori più frequenti del punto di vista.
Lo scrittore, credendo di far bene, e forse spinto da incertezza, vuole mostrare a tutti i costi ogni pensiero di ogni personaggio… nello stesso tempo.
Risultato: un minestrone in cui non si capisce più niente.
[image error]Pexels.com","created_timestamp":"0","copyright":"","focal_length":"0","iso":"0","shutter_speed":"0","title":"yelling formal man watching news on laptop","orientation":"0"}" data-image-title="pexels-photo-3760778" data-image-description="" data-medium-file="https://i1.wp.com/www.emanuelanavone...." data-large-file="https://i1.wp.com/www.emanuelanavone...." loading="lazy" width="1170" height="780" src="https://i1.wp.com/www.emanuelanavone...." alt="yelling formal man watching news on laptop" class="wp-image-7027" srcset="https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 1880w, https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 300w, https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 1024w, https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 768w, https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 1536w, https://i1.wp.com/www.emanuelanavone.... 600w" sizes="(max-width: 1170px) 100vw, 1170px" data-recalc-dims="1" />Photo by Andrea Piacquadio on Pexels.com
Teste che saltano
Immagina questo passaggio.
«Non ti aspettavo così presto» disse Fiorella. Guardava suo marito con la coda dell’occhio, attentissima non farsi notare. E soprattutto a celare l’espressione colpevole che sentiva dipinta sul volto.
Attila posò il borsone sul divano. A Fiorella non piaceva, preferiva che lo lasciasse per terra, ma diamine, quella sera non ne aveva proprio voglia. E sì, quel nervosismo che lo aveva accompagnato tutto il giorno faceva sì che cercasse una qualsiasi scusa per litigare.
«Non avevo voglia di fermarmi in palestra. Il lavoro mi ha distrutto.»
Fiorella continuava a guardarlo di sottecchi. Qualcosa non le tornava. «Avevo inteso che facessi soltanto mezza giornata.»
Attila si stava dirigendo in cucina. Si fermò. Era vero, diavolo. Si era completamente scordato di quella frottola. Si grattò la testa. «Sì, ma… Ettore mi ha chiesto di fermarmi. Sai, il nuovo progetto…»
In quel momento arrivò Ezio. Eccoli lì, i suoi genitori. Ancora una volta pronti a saltarsi addosso… ma non per passione. Fremevano cercando inutilmente di trattenersi. Chissà cos’altro era successo.
A primo acchito, non sembrerebbe esservi alcun errore (tralascia stile e refusi, l’ho scritto di getto). Tuttavia, un editor più attento noterà che l’errore c’è eccome, ed è uno dei più difficili da risolvere.
In effetti, tra gli errori del punto di vista, l’head hopping è uno dei più ostici.
In sostanza, mostrando i pensieri di ogni personaggio presente sulla scena, e soprattutto mostrando la scena da diverse prospettive, c’è il rischio che non solo il lettore vada in confusione, ma che non si capisca più chi è il personaggio portante.
Saltare da una testa all’altra impedisce una visione lineare e potrebbe causare difficoltà nella lettura. Se inizio una scena in cui c’è Fiorella, ipotizzo che quella scena sia vista tutta attraverso i suoi occhi. E invece poi salto ad Attila, e poi ancora a Ezio… Pensa se è così per un romanzo di 300 pagine!
Inoltre, voler mostrare a tutti i costi tutti i pensieri di ogni personaggio sulla scena potrebbe anche significare svelare tutto, anche qualcosa che magari era meglio celare per lasciare suspense.
Nonostante qualsiasi editor e scuola di scrittura creativa dica espressamente di evitare l’head hopping, è uno degli errori più frequenti che trovo e che so che continuerò a trovare.
Ma perché ci piace così tanto?
L’autore che salta da una testa all’altra non ammetterà mai questo errore (sì, lo so per esperienza).
Tra le varie scuse (oltre a “non so cosa sia” e l’usatissima “ma così non mostro bene i sentimenti dei miei personaggi), c’è quella di stare utilizzando il narratore onnisciente.
Il confine tra onniscienza e head hopping è davvero sottile, lo ammetto.
Trovare un modo per spiegare questa differenza senza perdersi in salamelecchi è complicato, ma per fortuna ho letto un bellissimo (ed esaustivo) articolo che schiarirà un po’ le idee.
Jami Gold infatti parla di voce.
È la voce l’elemento portante, che segna la differenza fra onnisciente e head hopping. L’onnisciente riporta sì i pensieri dei vari personaggi, ma lo fa in modo asettico, esterno, quasi fosse un computer: “The story is told in the author/non-character narrator/eye-of-God’s voice”.
Al contrario, una terza persona (a meno che il narratore non sia esterno e sappia meno dei personaggi stessi) è ancorata al singolo personaggio e parlerà con la sua voce.
Ecco un esempio.
Narratore esterno. Fiorella non sapeva cosa dire, né come comportarsi. Diamine, che ci faceva Attila lì con quella faccia da cane bastonato? E così presto… Meno male che Benito se ne era andato prima del previsto. Sennò come spiegare la sua presenza lì? Ecco, adesso Attila sorrideva. Perché diavolo sorrideva?
Onnisciente. Fiorella non sapeva cosa dire, né come comportarsi. Il fatto che Attila fosse tornato così presto e avesse un’espressione avvilita non giocava a suo favore. Meno male che Benito se ne era andato prima del previsto. Come avrebbe spiegato la sua presenza lì, in caso contrario? Suo marito sorrise, e quel sorriso canalizzò la sua attenzione.
Head hopping. Fiorella non sapeva cosa dire, né come comportarsi. Diamine, che ci faceva Attila lì con quella faccia da cane bastonato? E così presto… Meno male che Benito se ne era andato prima del previsto. Sennò come spiegare la sua presenza lì? Attila sorrise. Forse così si sarebbe tolto dall’impaccio e soprattutto avrebbe evitato l’ennesimo litigio. Che però non è che gli fosse sgradito. Anzi, forse avrebbe scaricato la tensione…
Una volta bene in mente la differenza, saltare da una testa all’altra sarà impossibile.
Quello che consiglio ai miei autori è di legare ogni scena a un punto di vista, e uno soltanto, così da evitare questo spiacevole errore. Ed evitare così, in sede di editing, di dover rivedere intere scene e legarle a un solo punto di vista. Processo lungo e faticoso, e anche antipatico.
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