Emanuela Navone's Blog, page 20

March 14, 2020

#iorestoacasaeleggo: le mie iniziative e quelle di Policromia

#iorestoacasaeleggo: le mie iniziative e quelle di Policromia






In questi giorni di crisi e di incertezza, voglio dare anche il mio contributo, regalandoti qualche ora di spensieratezza.





Ecco che cosa ho pensato per te!









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Published on March 14, 2020 03:00

March 11, 2020

Piccoli autori crescono: intervista a Marina Atzeni

Piccoli autori crescono: intervista a Marina Atzeni






Altra autrice della scuderia di Policromia, altra storia che ho voluto condividere con tutti voi.









Ciao! Innanzitutto parlaci di te. Vogliamo conoscere la Marina persona e poi la Marina autrice.





Ciao a tutti! Che dire? Sono una sarda giunta in
Liguria per seguire l’amore della mia vita. Sono laureata in Beni culturali e
Storia e società e il mio sogno era diventare un’archivista. Purtroppo però la
situazione italiana nel mondo dei beni culturali è critica, e allora dopo varie
peripezie ho deciso di voltare pagina e dedicarmi all’altro mio amore: i libri.
Sono diventata correttore di bozze e ora sto terminando un master per diventare
editor. Come autrice, beh, sono ancora una neonata. Ho sempre scritto: qualche
poesia, pensieri, canzoni (anche in inglese), ma non ho mai fatto leggere
niente a nessuno perché mi vergognavo. Ora invece ho deciso di mettermi in
gioco: sarà la scelta giusta?





Cosa ti ha spinto a scrivere?





Oltre alla passione, credo che scrivere sia
fondamentale come “sfogo”. Sono una sportiva per cui ritengo che il corpo debba
sempre essere alimentato da una linfa adrenalinica che aiuti a scaricare le
tensioni e lo stress. Ecco, la scrittura, al pari dello sport, dà questa linfa.





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Il tuo primo romanzo, “Le occasioni perdute“, tratta di una malattia inguaribile, un tema molto forte. Com’è nata la volontà di parlare proprio di questo?





(In teoria sulla malattia ho inventato alla grande, ho preso solo qualche spunto da una malattia di un ragazzo che ho conosciuto durante l’università).





È iniziato tutto in un periodo un po’ buio della mia
vita, non mi sentivo soddisfatta e avevo necessità di far fuoriuscire ciò che
sentivo dentro. Una mattina ho immaginato di avere tra le mani un libro, scritto
da me, che parlava dello sfogo di una ragazza con dei problemi. Non volevo
niente di autobiografico (non amo parlare di me), ma allo stesso tempo sentivo
la necessità di far fuoriuscire ciò che mi opprimeva. Ecco com’è nata Elena e
la sua storia.





Perché hai scelto la forma del diario, preferendola ad altre?





La forma del diario è stata scelta proprio per il
motivo che ho detto prima. Credo sia la formula narrativa più adatta quando hai
bisogno di parlare con qualcuno, anche se per vie traverse.





Il tuo è un libro che commuove e che non lascia indifferenti. L’hai scritto con questa consapevolezza oppure ti è venuta… così?





Quando ho iniziato a scriverlo ho pensato che una
storia simile avrebbe potuto far commuovere. Ma trattandosi di una protagonista
adolescente, pensavo che il tutto potesse essere “alleggerito” dal suo modo di
parlare e di ragionare, tipico di una sedicenne. Alla fine invece forse è stato
più forte del previsto.





Come autrice emergente, cosa ti senti di dire a un aspirante scrittore? Cosa gli consiglieresti?





Credo che per un’amante della scrittura sia fondamentale il concetto del “buttarsi”, ma sul morbido. Cosa significa? Ecco, trovo corretto il fatto di mettersi in gioco, del resto anche io l’ho fatto e con tutte le paure del caso; ma è fondamentale farlo con coscienza: per cui al bando gli improvvisati. Se si pubblica, seppure in self, si deve farlo a seguito di un bel lavoro di editing e correzione di bozze effettuato da professionisti. Purtroppo troppo spesso leggo libri di emergenti con errori (orrori) così evidenti che sono controproducenti per l’autore stesso. Meno presunzione e più cultura.





Cosa ne pensi del panorama editoriale italiano?





Riallacciandomi alla risposta precedente, trovo che
oggi ci sia troppa roba sul fuoco. Chiaramente è corretto ci sia la libertà di
scrivere per tutti (se no anche io non avrei pubblicato), ma come detto prima
bisogna farlo con coscienza. Siccome sono un’emergente e non, che ne so,
Manzoni, allora mi posso permettere di scrivere male e pubblicare a casaccio?
No. Questo non è diffondere la cultura.





Domanda secca: casa editrice o self-publishing?





Voto per le Case editrici, rigorosamente non a
pagamento. Il self è positivo, ma è diventata un po’ una piaga che ha reso il
mondo editoriale un mondo eccessivamente aperto. Trovo più professionale il
canale della casa editrice, che sia seria ovviamente ed effettui tutti i
passaggi della filiera: dalla selezione con criterio, alla correzione, al
marketing. Ne giova sia la stessa CE sia, e soprattutto, l’autore emergente.





Cosa dovrebbe fare uno scrittore emergente per farsi conoscere?





Bella domanda. Vorrei saperlo anche io (risata isterica). Di sicuro nel mondo di oggi i social aiutano tanto: condividere la propria opera, parlarne nei blog o comunque farsi pubblicità è fondamentale. Purtroppo però siamo talmente tanti che credo che la via dei social sia un’arma a doppio taglio: ti fai pubblicità, certo, ma per scalare le classifiche serve altro. Devo solo capire cosa (oltre a scrivere sicuramente meglio!).





Cosa bolle in pentola… novità che vuoi raccontarci?





Ho iniziato a scrivere un secondo romanzo, diverso dal primo, ma con una tematica altrettanto importante. Non svelo ancora nulla perché sono scaramantica. Non so quando uscirà perché essendo al nono mese di gravidanza la mia testa è un po’ in bolla, e scrivere (cose sensate) mi viene assai in salita. L’ispirazione però c’è, per cui: tempo al tempo e torneremo più forti di prima!


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Published on March 11, 2020 03:20

March 7, 2020

Ma noi siamo qui: le prime uscite del 2020 di Policromia

Ma noi siamo qui: le prime uscite del 2020 di Policromia






Image by KatinkavomWolfenmond from Pixabay





In questi mesi di incertezze e in cui l’Italia è sotto la morsa di una forte crisi, e in cui abbiamo tutti paura, Policromia va avanti.





Nel nostro piccolo, cerchiamo di continuare come se nulla fosse, sperando che i nostri libri possano aiutare non dico a dimenticare, ma a passare qualche ora in serenità.









Uno: uccidili prima che loro uccidano te



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Questo superbo survival thriller mi è piaciuto sin da quando Ilaria mi aveva inviato la bozza in redazione, molti mesi orsono.





Certo, molti di voi storceranno il naso dicendo che sa di già sentito (ma ormai lo dicono di tutti i libri, lamentando la scarsa originalità… peccato sia quella che vende!), e lamentando anche che è un thriller e quindi di genere e quindi perché diamine lo avete pubblicato?





Tutto vero, ma se leggerete questo romanzo capirete perché è in Policromia.





È la forza di una donna l’elemento trainante, la forza di una donna sola contro tutto e tutti.





Come vedrai, questo sarà il leit-motiv di altri romanzi che abbiamo pubblicato e che pubblicheremo nei prossimi mesi.





Policromia è diventata d’un tratto una collana femminista? No, ma è giusto dare la giusta (perdona la ripetizione) voce a chi spesso è considerato il sesso debole, e nelle storie rappresenta spesso la vittima.









Due: l’inizio della leggenda



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Forse vi ricorderete de Il bacio del mare, uscito l’anno scorso.





Ebbene: anche questo volume fa parte della trilogia, che uscirà tra qualche mese sotto il nome de La vendetta del signor Nirak.





La particolarità di questa trilogia è che ogni libro può essere letto indipendentemente dagli altri e in qualsiasi ordine; ciò che li accomuna è il maniero di Castel Marina e una leggenda che va oltre i luoghi e i tempi.





In questo romanzo Maria Cristina Pizzuto ci racconta com’è nata la leggenda, lasciandoci immergere in atmosfere a tratti bucoliche e a tratti gotiche; e come per tutti i suoi romanzi, non mancherà l’elemento di fatalità, il fato, che come sempre giocherà con le vite dei protagonisti.









Tre: può una donna indifesa salvare se stessa e chi ama?



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E rieccolo, il tema della donna sola di fronte a tutto e tutti.





Ve l’ho detto, sarà il fil rouge di molti libri della collana.





Non per questo avrete di fronte storie tutte uguali. Per niente.





Questo primissimo romanzo di Maria Fonte Fucci tratta un tema molto attuale: il femminicidio, e tutto ciò che ne consegue.





Cosa succede, infatti, a una famiglia vittima di tale violenza? Cosa deve fare per andare avanti, nonostante tutto?





E cosa succede se il diavolo, il mostro, fosse di nuovo tra loro?





Accadde e accade.





Ma questa volta non resterai più in silenzio.









Quattro: cigni neri



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Seconda raccolta di racconti per Policromia (la prima è questa), e devo dire di essere soddisfatta del lavoro che ho fatto insieme all’autore.





Un lavoro durato mesi, ma penso ne sia valsa la pena: questi sedici racconti sono piume di un cigno nero; di un cigno diverso dagli altri e maestoso proprio per questa sua diversità.





Racconti di vita vissuta, di persona come me e come voi, di persone che devono affrontare la quotidianità e i problemi che incontrano lungo la strada.





Storie vere, soprattutto.





La cui penna vi colpirà l’anima.










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Published on March 07, 2020 23:00

March 3, 2020

Vita da blogger: intervista a Debora Pelizzari

Vita da blogger: intervista a Debora Pelizzari






La blogosfera, e soprattutto la blogosfera letteraria, è amplissima.





Occorre quindi fare un certo discernimento, e soprattutto l’autore che voglia promuoversi deve sapere dove andare a cercare.





Oggi faccio una chiacchierata con Debora Pelizzari di All in my world Debbyna, come me media partner del Collettivo Scrittori Uniti.





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Ciao, Debora, e grazie per aver deciso di dedicarmi qualche minuto del tuo tempo

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Published on March 03, 2020 23:00

February 29, 2020

Piccoli autori crescono: intervista a Maria Cristina Pizzuto

Piccoli autori crescono: intervista a Maria Cristina Pizzuto






Conosco la Pizzuto da ormai un anno, ma se devo dirti la verità non mi è mai passato per la testa di intervistarla, chissà perché.





È tempo di rimediare.









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Perché scrivi? C’è uno scopo preciso o solo perché “ti piace”?





Scrivo perché sento l’esigenza di dover tirare fuori delle emozioni che altrimenti rimarrebbero chiuse in me.  È un mezzo di comunicazione attraverso metafore e similitudini, attraverso le storie di altri per urlare al mondo ciò che sento. Per far arrivare dei messaggi che altrimenti sarebbe impossibile recapitare. Voglio che il mondo capisca che sta prendendo una via che non porta a niente, è come se ogni libro voglia far squillare un piccolo campanello nelle coscienze di ognuno, per poter riflettere e svegliarsi. Magari non totalmente, magari anche solo attraverso le emozioni dei protagonista, ma vorrei che i miei scritti possano arrivare in qualche modo al cuore delle persone e creare uno scompiglio, anche minimo. Magari rimarrà nell’inconscio, ma al momento giusto questa punzecchiatura uscirà e forse il cuore potrà battere di nuovo in maniera diversa, più positiva e soprattutto più consapevole.





Se infatti ci fai caso, ogni libro ha una morale, una riflessione più o meno intensa.





“Boccioli di rose” vuole far comprendere meglio l’anoressia e essere di aiuto non solo alla persona che sta subendo la malattia, ma anche a chi la circonda. “Le acque del sonno eterno” non solo vuole enfatizzare la bellezza della natura e di quanto sia potente nella sua forza devastante se imbrigliata, ma anche indirettamente la superbia dell’uomo. Egli gioca a suo piacimento con la natura e per suoi egoismi la lascia al secondo posto nelle sue decisioni. Ma arrivati a un certo punto la natura si ribellerà, non perché voglia vendetta ma semplicemente perché cerca un equilibrio perduto…. causando disastri e morti che si sarebbero potute evitare. Da qui l’appello ai politici o a tutti coloro che hanno in mano le sorti delle popolazioni e della terra: attenti alle vostre scelte, perché se si basano solo sull’aspetto politico – economico porterete il mondo all’autodistruzione!





Poi vi è la
trilogia di Castel Marina distinta anche in tre libretti singoli, per poter
arrivare a persone che altrimenti non avrebbero neanche preso in considerazione
la raccolta completa, che si intitolerà “La vendetta del Sig. Nirak”, in quanto
thriller.





In questo modo i due libri più romantici, “Il segreto di Castel Marina” e “Il bacio del mare”, con le loro storie d’amore possono scalfire i cuori induriti della società, riportando a galla il vero amore, quello eterno che dura per sempre, sconfiggendo anche la morte. Una piccola riflessione ne “Il segreto di Castel Marina” si deve anche fare per le regole ferree dell’alta borghesia, razzista e per alcuni versi ignobile, per i miei gusti, poiché siamo tutti uguali a prescindere dal ceto sociale e dalle razze a cui apparteniamo. In mezzo a questi due libri vi è poi “La leggenda di Castel Marina”, che darà a “La vendetta del Sig. Nirak” quel tocco thriller, ma che prende in considerazione quanto possa essere labile la mente umana quando va a stimolare le paure più profonde insite in noi. Questo è voler porre l’attenzione a come possa vivere una mente ossessionata dalla paura e dal bisogno, non solo di un aiuto esterno ma anche di trovare un coraggio interno di cui non si sapeva di avere.





Infine la serie di Castel Marina, si chiuderà con “La perla della speranza”, dove verranno prese in considerazione diverse tematiche sociali, attuali anche nei nostri giorni.





Il bello di questi libri è che una persona li può leggere sempre come storie, senza fare un lavoro di discernimento all’interno di sé stesso; questo dipenderà dal lettore e dalla sua volontà di utilizzare occhi diversi nella lettura dei miei libri.





Anche “Una santa mancata” è nato con questo obiettivo, ma su un piano prettamente spirituale: risvegliare coscienze attraverso le virtù umane, facendo parallelismi anche con i giorni nostri. A differenza degli altri, questo è un saggio, mentre gli altri sono veri e propri romanzi, più o meno fiabeschi, più o meno fantasy…





Forse è per questa
peculiarità che la Collana Policromia ha voluto prendere in considerazione i
miei scritti… in quanto “FUORI DAL CORO”.





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Sei davvero un’autrice prolifica! Nel giro di qualche mese hai sfornato ben tre romanzi, seguiti gli scorsi mesi dal quarto e dal quinto. E tutti di genere diverso! È difficile, allora, domandarti cosa ti piaccia scrivere, ma lo faccio ugualmente. Cosa ti piace scrivere? C’è un genere ben definito?





No, come ben hai detto non ho un genere particolare, poiché la mia scrittura è dettata dal cuore e dall’urgenza di quel momento. La modalità di scrittura dipende solo da come penso possa arrivare prima nel cuore del lettore il messaggio che vorrei dare.





Ho sfornato diversi libri in modo ravvicinato solo perché  ho cominciato a scrivere da quando avevo 13 anni, e i manoscritti sono rimasti chiusi nel cassetto fino al 2018/2019, quando mi sono decisa a pubblicarli.





Sperò però di non fermarmi e poter far uscire al pubblico tutte le mie composizioni, anche quelle più strambe, e nel frattempo continuare a scrivere, nella speranza che possano piacere al pubblico lì fuori…





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Parliamo della tua ultima fatica: “Il segreto di Castel Marina”. So che fa parte di una saga (anche se i libri possono essere letti separatamente) di cui è presente pure “Il bacio del mare”, uscito la scorsa primavera. “Il segreto di Castel Marina” unisce elementi fantastici e adolescenziali creando un giusto mix che può piacere a grandi e piccoli. Cosa ti ha spinto a scriverlo?





Il suo fautore, per così dire, è stato proprio “Il bacio del mare”. In realtà è nato in primis questo libro, ma una volta pubblicato l’ho reputato incompleto, come se mancasse qualcosa, e così sono nati i libri precedenti a quest’ultimo. Volevo far comprendere meglio al lettore il perché di alcuni particolari, che nel “Il bacio del mare” sembrano essere in secondo piano, quando in realtà accomunano la trilogia in un modo consequenziale e cronologico.





Alcuni li reputano delle fiabe, altri dei racconti, e questa interscambiabilità non fa altro che farmi piacere ancora di più questa strana trilogia, che si può leggere sia singola che in raccolta. È bello per me pensare che questi due libri possano anche essere letti a dei bambini, proprio per il loro carattere romantico, anche se la fine non si addice al “vissero tutti felici e contenti” tanto attesa dalle fiabe. Ma è qui che entra in gioco la trilogia della “La vendetta del Sig. Nirak”, adatta sicuramente a un pubblico adulto e a quei ragazzi che hanno sviluppato il piacere dell’horror (per via de “La leggenda di Castel Marina”, di cui fa parte). Ma sarà solo con l’ultimo libro, “La perla della speranza”, che si conoscerà realmente la fine di tutta la storia. Quindi quello che dai singoli libri sembra un finale palese, in realtà la vera conclusione si ha soltanto con questo libro: un vero colpo di scena!





Ritornando ai due libri della domanda, già pubblicati, c’è il mio gusto personale sia per il romantico che per il mistero. Quest’ultimo tratto lo uso spesso per creare nel lettore un po’ di suspense, in modo che le pagine possano scorrere velocemente e intrigarlo di più.





Per ultimo mi piace pensare che i miei libri possono essere adattati a più generi di lettori, per questo vario spesso anche lo stile di scrittura, per poter soddisfare un pubblico più vasto e vario, anche se a non tutti può piacere questa mia iniziativa.





Scrivere trilogie o saghe è sempre difficile, bisogna tirare le fila ed evitare di perdere informazioni per strada. Perché hai scelto questa via? Cosa dà in più una saga rispetto al singolo libro e autoconclusivo?





Come già anticipato i libri singoli possono essere letti da più generi di lettori diversi, mentre la trilogia in sé ha una cerchia più limitata per via della caratteristica thriller, non piacevole a tutti.





Questa saga è comunque particolare, in quanto ogni libro è funzionale a sé stesso, con un inizio e una fine. Inoltre ognuno ha una morale insita diversa da gli altri della serie, a differenza di quelle che si trovano in commercio in cui uno è dipendente dall’altro. Il perché di questa mia scelta dovrebbe essere ormai noto, ma la cosa più particolare è che, se letta, tutta la saga si avrà una fine del tutto inaspettata, molto diversa da quello che si penserà leggendo i libri singoli.





Questa
tipologia di narrazione è molto più gestibile in un futuro, secondo me, se si
dovessero fare dei film, poiché ogni uscita richiama la precedente attirando
l’attenzione non solo su un lettore che leggerà i libri al completo, ma anche
per un’eventuale visione a puntate.





In definitiva, per rispondere appieno alla tua domanda, penso che una serie possa invogliare il lettore a saperne di più, e quindi agisce sfruttando la curiosità dei destinatari.





La tua primissima uscita è stata “Boccioli di rose – diario di un’anoressica”. Un diario-saggio in cui esplori i meandri dell’anoressia. Una bella sfida in cui ti sei messa in gioco in prima persona. Ci racconti di questa scelta coraggiosa?





Certo. Il fine è sempre il solito: aiutare a distanza anche senza la mia presenza fisica. Mettendomi a nudo ho cercato di far entrare il lettore nel personaggio per empatia.  Grazie a questa caratteristica ho maturato la speranza che possa essere di aiuto non solo per la persona che sta vivendo l’anoressia, per potersi comprendere meglio, per capire cosa stia succedendo al suo corpo e alla sua mente, come si vedesse in “oggettiva”, ma anche ai familiari e amici che la circondano, in modo da far comprendere il tunnel in cui vive la persona malata. È ovvio che ognuno in base al proprio carattere vive le esperienze in modo diverso, dunque la via della guarigione che io ho seguito potrebbe non essere la strada per qualcun altro, ma perché non provarci? Piuttosto che rimanere in una sorta di limbo, dove non si sa da dove iniziare e dove ci si distrugge con le proprie mani, perché non offrire un’alternativa? Poi sta alla persona accettare un aiuto o meno, ma attraverso questo scritto spero di averle dato un la per prendere la strada verso la guarigione. Una strada lunga e difficile; ma da qualcosa bisognerà pur in iniziare, no?





Come reputi  il panorama letterario italiano?





C’è molta confusione in giro, non solo perché le persone sono state saggiamente confuse dai media e dalla società, ma anche perché ci sono veramente troppi libri con sempre meno lettori, soprattutto sul cartaceo, che a mio parere è il mezzo più bello per poter assaporare un libro. Ora vanno di moda i libri di cucina, di gossip, di moda, a sfondo erotico e riviste. Sono “emarginati” quei libri che parlando di cose un po’ più importanti; diciamo che fanno parte di una nicchia e quindi di difficile vendita, soprattutto per persone che non hanno ancora un nome importante e conosciuto.





C’è anche da dire che ultimamente sono anche un po’ isolata dal mondo e che posso pure sbagliarmi, però è così che i miei occhi vedono il panorama letterario in questo momento: superficiale!





Un autore emergente cosa dovrebbe fare per emergere?





Questa
è una domanda di cui nessuno ha risposta. Magari l’avessi anche io, a quest’ora
non sarei qui.





I
mezzi di comunicazione che sto usando per dar visibilità ai miei libri sono
Facebook, Instagram, Youtube dove faccio dei trailer per ogni mio libro
pubblicato, interviste e recensioni.





Ma vedo che pur utilizzando tutti questi mezzi sono ancora “piccola” e non vedo ancora la possibilità di poter veramente emergere. Forse sto sbagliando qualcosa, forse non ho i giusti agganci, però non mi perdo d’animo e vado avanti: prima o poi qualcosa succederà.





Quando scrivi? C’è qualche particolare vezzo legato alla tua scrittura? Aneddoti?





La mia scrittura nasce dalle emozioni, dal cuore. In quel momento scrivo di getto, come se le parole sgorgassero da qualcosa dentro di me e non da un processo razionale. Poi in un  secondo tempo, nella lettura, sistemo quelle parti che altrimenti sarebbero incomprensibili per il lettore.





Mi piace usare descrizioni e dettagli per ricreare l’ambiente visto dagli occhi del protagonista, un po’ come se bisognasse essere all’interno del libro per poterlo comprendere appieno. Detto così sembra che sia difficile leggere i miei libri, ma è solo apparenza perché tendo a usare una scrittura abbastanza semplice, a volte quasi fanciullesca, e questo spero che renda la comprensione più immediata.





Adoro però scrivere con metafore e similitudini, cosa che nei romanzi stride un po’ e più volte me l’hanno sottolineato in maniera negativa. Ma solo in questo modo posso rendere compartecipe il lettore con me, con quello che proviamo io e i protagonisti della storia.





E per finire… cosa bolle in pentola? Progetti che ci vuoi svelare?





Vorrei dirvi i tanti progetti che ho in mente, forse troppi e mai realizzabili, ma voglio comunque provarci, anche se le risorse che ho a disposizione sono molto limitate. Vorrei che la saga di Castel Marina possa uscire dall’Italia e trovare pubblico anche all’estero. Per questo stavo pensando a una traduzione in inglese.





“Boccioli di Rose” e “Una santa mancata” vorrei che trovassero la giusta collocazione nel mondo e arrivino alle persone che hanno bisogno di una chiave di svolta nelle loro vite.





Ho ancora qualcosa da pubblicare, ma non ho ancora trovato una casa editrice disposta a mettervi mano. Sono due libri per me importantissimi. Una è una raccolta di poesie, più di un centinaio e scritte tra i tredici e i venticinque anni, l’altro è un romanzo a cui ho dedicato dieci anni della mia vita per cercare fonti e assemblarlo. Questo rappresenta me stessa e il mio lavoro di una vita: la sintesi della vita e della morte in tutte le sue sfaccettature contemplando diverse discipline sia scientifiche che non. Sarà un appello per gli studiosi, perché da questo libro possano prendere spunto per nuove teorie. Ma non fatevi ingannare perché questo libro può essere letto in tre chiavi di lettura differenti, e come gli altri è semplicemente un romanzo: un viaggio nel passato e nel futuro alla scoperta della vita e della morte. Su questo libro vorrei particolarmente che venisse creato un film, semplicemente per la portata di materiale che vi è all’interno in bilico, tra l’irreale e il reale. Il suddetto libro è stato già creato con splendide immagini, proprio come se si stesse vedendo un film. Questa è quella che io chiamo la mia opera d’arte.





E intanto, nella mia vita quotidiana continuo a scrivere, fintanto che mi vengano idee. Il libro che attualmente è in fase di evoluzione è una narrazione su come i campi di concentramento annullassero la dignità umana. Ovviamente sarà un fantasy, ma su ispirazione della guerra nazista.





Spero con tutto il cuore che questi libri possano piacere e interessare, appunto perché spazio da generi e contesti completamente diversi l’uno dall’altro. Una penna “FUORI DAL CORO”  che vorrebbe farne parte per dare una piuma di speranza all’umanità intera.


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Published on February 29, 2020 23:00

February 25, 2020

Minzione notturna

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Le Brevissime è la rubrica dedicata ai miei racconti brevi o brevissimi. Stralci di deliri, sogni, incubi; o racconti creati per gioco.






Minzione notturna






Francesco si svegliò di scatto. Madido di sudore, aprì gli occhi. Si guardò in giro, come per accertarsi di essere lì, nel suo letto, al sicuro.
Aveva freddo. Le coperte erano accatastate tutte in fondo. Si sedette, stropicciandosi gli occhi. La radiosveglia segnava le due di notte passate.
Per un bel po’ non avrebbe ripreso sonno. Non dopo quello che aveva sognato. Li vedeva ancora. Mille occhietti che lo fissavano, piccole mani che lo pizzicavano ovunque, corpi pelosi che gli cadevano addosso.
Santo cielo, sembrava così reale.
Francesco si guardò in giro, certo che li avrebbe visti. Invece si trovò a fissare l’oscurità tagliati dai sottili raggi di luna che calpestavano le imposte.
Doveva andare in bagno. E doveva attraversare un corridoio buio, e che ne sapeva che loro non fossero lì ad aspettarlo, pronti ad afferrarlo?
Scacciò dalla testa quel pensiero e costrinse gli arti a muoversi. Cautamente, attraversò la stanza, cercando di fare meno rumore possibile.
Aveva paura di svegliare sua sorella, nella camera accanto? O temeva che loro lo sentissero?
Aprì la porta della stanza e rimase a indugiare per qualche minuto. Era quasi certo che al primo passo che avesse fatto avrebbe calpestato corpi pelosi e pulsanti.
Aveva freddo e sudava, e diamine, doveva proprio andare in bagno.
Ci impiegò cinque buoni minuti, nei quali si fermò a ogni singolo rumore, temendo che lo stessero spiando e ridessero.
Si chiuse la porta alle spalle con uno scatto e corse al water. Abbassandosi gli slip, tirò un sospiro di sollievo.
E se fossero stati nascosti dentro il water, pronti a saltare fuori?
Quel pensiero lo bloccò. Si sentì un pezzo di legno. Non riusciva a muoversi, la vescica andata in sciopero.
Però lo sapeva. Appena fosse tornato a letto, avrebbe avuto di nuovo l’urgente bisogno di liberarsi.
Erano loro. Si prendevano gioco di lui. Fottuti bastardi.
Tentò di concentrarsi. Pensò a tutte le cose possibili che gli venissero in mente, perfino a quegli stupidi personaggi dei cartoni animati che suo fratello guardava sempre.
Passò un po’ di tempo. Quando Francesco ebbe per la terza volta ripensato a tutto ciò che la sua mente poteva offrirgli (eccetto loro), qualcosa al suo interno si sbloccò, e la vescica si decise a funzionare.
Sorrise, sollevato, evitando di guardare la coppa del water; se avesse visto qualcosa che anche solo lontanamente fosse stato simile a un paio di occhi, avrebbe urlato, svegliando tutti.
Fece per rimettersi l’arnese dentro le mutande quando due mani gli si piantarono sulla schiena. Francesco represse l’urlo che gli era salito in gola, dicendosi che erano mani troppo grosse per appartenere a loro, e si girò piano.
Suo fratello Michele stava di fronte a lui, stretto nel suo pigiama a fiori che la sorella gli aveva comprato e che Francesco giudicava orribile. Michele aveva una faccia sconvolta, più del solito.
«Dannazione, Michi, mi hai fatto prendere uno spavento. Dico, ma sei scemo?» lo aggredì Francesco.
L’altro lo fissò, i grandi occhi che parevano uscire dalle orbite. «Li hai sentiti, li hai sentiti anche tu, vero?» mormorò, e cominciò a mangiarsi le unghie, come faceva sempre quando era spaventato.
«Sentito cosa, Michi?»
«Sono sotto il letto, si appendono alle finestre e mi guardano e ridono e io… non riesco a dormire.»
«Non c’è nulla, Michi, né sotto il letto né sulle finestre.»
Francesco cercava di tranquillizzare il fratello, ma non era poi così sicuro. Li aveva solo sognati? O li aveva sentiti anche lui?
Michele si strinse nel pigiama colorato. «No, ci sono, mi fanno paura e se provo a dormire mi vengono sopra e mi pizzicano ovunque.»
Era quasi sull’orlo delle lacrime, e Francesco pensò bene di evitare che si mettesse a frignare nel bel mezzo della notte.
«Vuoi venire in camera mia?» gli chiese a malincuore.
Michele tirò su con il naso e annuì. Allungò la mano. Francesco sbuffò.
«Per favore» lo supplicò il fratello.
Che cosa gli costava, in fondo? Francesco lo prese per mano e si avviarono verso la camera da letto.
Negli angoli, mille occhi erano puntati verso di loro.


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Published on February 25, 2020 23:00

February 22, 2020

5 libri horror che devi (assolutamente) leggere

5 libri horror che devi (assolutamente) leggere






Image by blackrabbitkdj from Pixabay





Se anche tu sei come me appassionato di letteratura dell’orrore…





E sei stufo di finti romanzetti da paura come vanno di moda oggi…





Bene: qui ne ho cinque che devi assolutamente leggere!









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La letteratura horror: quella come si deve



Mi piace leggere romanzi da paura da quando ero piccola, e ne ho letti un bel po’, sia più soft, per ragazzi, sia più forti.





Oggi te ne voglio consigliare cinque che non devono mancare nella tua libreria.





Attenzione! Non sto parlando né di romanzi vampireschi o splatter o survival, ma di vera letteratura del terrore a opera di grandi classici e maestri del genere.





Buona lettura!





1) L’esorcista (W. P. Blatty)



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Se il film nella sua versione integrale ti ha turbato, ebbene, il libro lo farà ancor di più.





Anche il più striminzito dettaglio ha il potere di impressionare, nella penna di Blatty.





Un libro forte, difficile da digerire a tratti perché molto crudo.





Però un amante dell’horror non può esimersi dal leggerlo; magari in camera sua e di notte.





Del medesimo autore consiglio anche “Il traghettatore”; più breve, meno spaventoso ma bello ugualmente.





2) L’orrore sotto il tumulo (H. P. Lovecraft)



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Uno dei romanzi brevi più affascinanti e inquietanti del visionario Lovecraft.





Se vuoi tuffarti in un abisso di irrazionalità e raggiungere le sfere più celate di ogni animo umano, be’, sei nei posto giusto.





Non mancano ovviamente velati (ma poco poco) richiami al mito di Chtulu e agli Antichi.





Sempre del medesimo autore e nuovamente romanzo breve, ti consiglio anche “Le montagne della follia”.





Folli e irrazionali entrambi i titoli.





Ma memorabili per ogni amante dell’horror.





3) Antiche immagini (R. Campbell)



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L’orrore come non te lo aspetteresti mai.





Non so se conosci questo autore molto prolifico di letteratura dell’orrore, e se non lo conosci corri a comprare qualche suo libro.





Questo è il mio preferito, letto quando ancora ero adolescente e che ha lasciato ancor ora strascichi di turbamento.





In Campbell l’orrore va di pari passo con l’ordinario… e forse è proprio questo a renderlo ancora più spaventevole.





4) Shining (S. King)



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Ovviamente in questa brevissima lista di libri da leggere non poteva mancare il mio amato Re e ti dirò: ho faticato a scegliere il libro giusto da consigliarti, visto che sono belli tutti.





Il film da cui è tratto “Shining” è bello, ma fidati che il romanzo lo è molto di più, e decisamente più terrificante.





Te lo presento con la vecchia copertina e il vecchio titolo, tra l’altro una rarità per i fan di King!





5) I salici (A. Blackwood)



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Letto recentemente, questo racconto lungo è al pari degli altri che ti ho presentato un inno all’orrore.





Può un banale viaggio trasformarsi in una lotta allo sopravvivenza, in una lotta contro creature che si nascondono oltre il velo?





Evidentemente sì.





Da leggere in riva al fiume… o sotto un salice.


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Published on February 22, 2020 23:00

February 18, 2020

10 librerie + 1 creativissime

10 librerie + 1 creativissime






Image by Steve Buissinne from Pixabay





Chi di voi non ha mai sognato di avere in casa una libreria bellissima e soprattutto creativa?





Oppure fuori dall’ordinario?





Ebbene, ne ho trovate 10 + 1 davvero fenomenali.









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10 + 1 librerie originali



Sono di materiale riciclato oppure no, e a volte non sono vere e proprie librerie come le intendiamo noi.





Ciò che le accomuna tutte è il desiderio di creatività e di andare oltre l’ordinario.





Le ho trovate girovagando su internet, a parte una che è frutto tutto della sottoscritta, e voglio condividerle con te.





Perché la lettura è anche piacere per gli occhi.





1) Tubi per tutti i gusti



[image error]Fonte: aliexpress



Può una tubatura ospitare dei libri?





Evidentemente sì, e la libreria in questa foto ne ha tutto il diritto.





Molto originale, anche se a mio avviso, e non essendo esperta in interior desing, stonerebbe un poco con mobilio più classico.





2) Geografia, che passione!



[image error]Fontr: anumorgan



E se invece unissimo l’utile al dilettevole?





Ecco una libreria a forma di Stati Uniti d’America.





Bellissima e originale, e molto creativa anche per la disposizione dei libri all’interno dei vari scaffali.





E magari ci verrebbe in mente di collocare un libro in Louisiana perché ambientato lì, oppure metterne uno nel Maine perché l’autore è di quelle parti…





3) Curiosa… da morire



[image error]Fonte: BookBub



Un plauso a chi ha avuto l’idea di usare… una bara come libreria.





Troppo inquietante, dici?





Be’, ma per una collezione di libri horror sarebbe proprio l’ideale!





4) Mi siedo e leggo



[image error]Fonte: Bored Panda



Di certo questa libreria ci fa risparmiare spazio, visto che è una poltrona.





Però chi non la vorrebbe in casa sua?





Ed è utile per i più pigri! Invece di alzarti e cercare un libro, basta allungare una mano…





5) Chiama la polizia… dei libri



[image error]Fonte: Diamond Interiors



Curiosissima idea di usare il gabbiotto per chiamare la polizia come modo per i libri.





Be’, invece del classico scaffale di metallo o di legno, ne avremmo uno personalizzato, non c’è che dire.





Occhio ad avvisare gli amici, però: magari credono davvero si tratti di una cabina telefonica, e ne approfittano per denunciare quando hai rubato quella fetta di torta…





6) A prova di modernità



[image error]Interior Design Paradise



Libreria modernissima che funge anche da poltrona, visti i due cuscini, anche se non la vedo poi così comoda.





Mi piace molto l’idea di una libreria rotonda, di modo da posizionare i libri in maniera creativa sui vari scaffali.





Sono così messi bene che non vorrei nemmeno leggerli!





7) A prova di modernità #2



[image error]Fonte: Pinterest



Vedeteci quello che volete, una lettera o la chioma bionda di un famoso presidente americano.





In ogni caso anche questa libreria, come quella precedente, è molto originale sia come forma sia come disposizione dei libri sugli scaffali.





Se poi anche questi sono messi alla rinfusa, come nella foto (perdonami, non l’ho trovata grande!), ne esce qualcosa di molto ma molto creativo.





8) Un albero di libri



[image error]Fonte: Pinterest



Prendi un ramo secco ma resistente, sistemalo e dipingilo… ecco una libreria davvero originale.





Non so te, ma mi farò qualche giro nel bosco…





9) Inclinato è bello



[image error]Fonte: Architecture Design



Altra chicca di originalità: uno scaffale che piano piano si inclina verso il muro.





Lo vorrei anche io, e per rimanere in terra italica, a forma di torre pendente.





10) Siamo zen



[image error]Fonte: Rebloggy



Se sei un tipo spirituale e molto zen, questa libreria fa al caso tuo.





Ovviamente piena di libri sulla meditazione.





10 + 1: la mia libreria



Non potrà di certo competere con quelle viste poc’anzi, ma anche la mia libreria, dai, è un po’ originale, ammettilo.





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Tutto materiale riciclato e ridipinto a mano, giusto per gli interessati.





E non è nemmeno ancora finita! Conto di raggiungere il soffitto, prima o poi.





I libri più in alto… pazienza, li lascerò lì.


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Published on February 18, 2020 23:00

February 15, 2020

Siamo una squadra BELLISSIMI (e perché ci leggono tutti)

Siamo una squadra BELLISSIMI (e perché ci leggono tutti)






Image by Shelley Shang from Pixabay





Ormai siamo tutti belli, bravi e buoni: siamo i migliori in tutto quello che facciamo, siamo dei veri e propri cavalieri senza macchia e senza paura!





Ma siamo anche molto, moooolto, noiosi.





Però ci leggono tutti.









[image error]Image by Gerd Altmann from Pixabay



C’è Tilde, e c’è Lucio



Tilde è bellissima: forme al punto giusto, capelli morbidissimi, occhi da favola, labbra carnose e dita sottili e affusolate. Ed è bravissima, buonissima e simpaticissima.





E poi c’è Lucio: fisico statuario, sguardo magnetico, occhi che inchiodano. È ombroso, cupo, a tratti odioso, ma scartandolo come un cioccolatino scopriamo che ha un cuore morbido come i Lindor, e appena il suo lato romantico esce, diventa un cavaliere di altri tempi, l’eroe che tutte le donzelle adorano e vorrebbero. E pure lui, ovviamente, è bravissimo in tutto.





Che barba, che noia; che noia, che barba!





Eppure la maggior parte dei libri (non tutti; e per fortuna, direi!) contiene personaggi di questo tipo.





Tutti bellissimi bravissimi buonissimi e qualsiasi altro “issimi” la tua fantasia riesca a partorire.





A questo punto c’è da chiedersi se qualcosa non va, perché guardandomi in giro (io, non so te) non vedo tutti ‘sti gran manzi e manze. E di bravi e buoni ne ho trovati ben pochi.





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Realtà e verosimiglianza



Una corrente del romanzo barocco francese riguardava le histoires comiques. Il “far ridere” c’entrava molto poco, poiché erano quasi tutti romanzi i cui protagonisti erano la gente comune. Addirittura uno dei capisaldi di questa corrente, Charles Sorel, ha inaugurato una sorta di crociata contro altri autori, appartenenti al roman pastoral, perché ritenuti troppo inverosimili.





Nel suo “Le berger extravagant“, Sorel scimmiotta i romanzi pastorali: il protagonista ne è così ossessionato da voler diventare anche lui un pastore… stravagante, poiché i pastori del roman pastoral hanno di questo termine solo il nome: sono infatti nobili che vivono in campagna ma si comportano da nobili, preferendo parlare di amore e altre virtù anziché badare alle greggi (che peraltro, chissà perché, non hanno poi tutto questo bisogno di aiuto).





Già all’epoca si dibatteva su cosa fosse la verosimiglianza, e sul rapporto che intercorreva tra cosa piacesse al pubblico, che spesso non era verosimile (come i romanzi pastorali), e il fatto che uno scrittore dovesse raccontare la realtà così com’è.





Molto più avanti nei secoli, alcune correnti letterarie hanno preferito quest’ultimo aspetto, raccontando di personaggi di tutti i giorni, belli e brutti che fossero. È il caso del verismo italiano e del naturalismo francese, i cui scrittori più conosciuti sono Verga da una parte e Zola dall’altra.





In effetti i protagonisti de “I Malavoglia” o del progetto Rougon-Maquart zoliano è gente qualunque, ha pregi ma soprattutto difetti; sono insomma persone comuni che troviamo dappertutto e nelle quali talvolta ci identifichiamo.





Per venire alla contemporaneità, e tirando in ballo come al solito uno degli scrittori che apprezzo di più, anche i personaggi dei romanzi di King sono spesso gente di tutti i giorni, che potresti anche incontrare all’angolo di una strada (magari non tutti, ché se incontri It non credo sia piacevole…)





La domanda viene quindi spontanea: perché, visto che si è cercato e si cerca ancora di scrivere di personaggi in cui il lettore può immedesimarsi, e di scrivere di personaggi “comuni”, c’è questa tendenza a tornare indietro; ossia a parlare di uomini e donne bellissimi e bravissimi? E perché dovresti farlo tu nei tuoi libri?





Postilla: per tornare indietro non intendo un’involuzione ma l’atto di scrivere di personaggi tipici della letteratura classica o anche medioevale, quando ancora l’eroe bello e l’eroina bella facevano struggere migliaia di lettori.





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Quello che piace ai lettori



Evidentemente, se questi romanzi carichi di testosterone e bellezze da fare invidia alle migliori top model vanno così tanto è perché ai lettori piacciono.





Personalmente, come avrai ben capito, a me non aggradano molto, preferisco leggere di sfigati e sfigate perché mi ci immedesimo meglio.





Infatti una delle maggiori critiche che il mio romanzo, “Io sono l’usignolo“, ha avuto è stata al protagonista: inetto, insopportabile, odioso e qualsiasi altro aggettivo dispregiativo presente sul vocabolario.





E sì, io preferisco personaggi di questo tipo; non solo leggerli ma anche crearli.





Tanti altri lettori sono come me, e in scrittura creativa tutti i personaggi belli bravi e buoni hanno talvolta un nome: Mary Sue e Gary Stu.





Trattasi di protagonisti scritti per compiacere soprattutto l’autore, dalle caratteristiche inverosimili e, per rimanere nel tema dell’articolo di oggi, perfetti. Troppo perfetti.





Tuttavia piacciono.





Forse perché la realtà che ci circonda è così schifosa che per qualche ora preferiamo immergerci in atmosfere da favola, costellate di bellezze maschili e femminili e dai nobili intenti.





O forse chissà.





Importa poco, in verità, perché questi romanzi sono tra quelli più letti, soprattutto in self-publishing, e in un certo senso trainano l’editoria.





Ma quindi cosa faccio?



Mi lascio trascinare dai cliché e scrivo ciò che piace al mercato?





Oppure cerco di distaccarmi, magari scrivendo di personaggi che piacciono poco o che addirittura risulterebbero fastidiosi?





Un bell’enigma, e sarebbe un’epopea parlarne qui.





Scrivere per i lettore o per se stessi?





Sicuramente approfondirò l’argomento più avanti, ma qui ti basti sapere una cosa.





Scrivi quello che senti, quello che la tua storia di dice di scrivere.





Né più né meno.





Se piace o no, alla fine che importa?


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Published on February 15, 2020 23:00

February 11, 2020

5 cose che forse non sai del mio primo romanzo

5 cose che forse non sai del mio primo romanzo






Image by Comfreak from Pixabay





In tanti mi hanno chiesto e chiedono curiosità sulla mia fatica, “Io sono l’usignolo”.





Perché allora non darti qualche informazione in più?





Magari, se non lo hai ancora letto, potresti esserne incuriosito, chissà.









[image error]Image by PublicDomainPictures from Pixabay



Una storia durata anni



Io scrivo in modo discontinuo, lo ammetto e non me ne vergogno.





A parte il tempo a disposizione, che quello lo trovi se davvero vuoi fare qualcosa, quando “entro in letargo” (come amo definire i periodi di stallo creativo) è perché sento che non è il momento giusto perché la storia prosegua, e se lo facesse non andrebbe come e dove vorrei.





Per questo le mie storie hanno una lunga gestazione, che può durare mesi se non anni.





È il caso de “Io sono l’usignolo”, visto che le prime bozze le ho scritte verso il 2010.





Per forza di cose dietro questo romanzo ci saranno molti retroscena. Alcuni li tengo per me (meglio!), altri li condividerò adesso.





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1) Prima era un horror



Sì, ‘sto benedetto romanzo è iniziato come un horror, e pure la trama era nettamente diversa.





Certo, di base è sempre stata la stessa: il protagonista si trasferisce con la famiglia in un paese e lì trova dei segreti che la sua cocciutaggine spinge a voler scoperchiare a tutti i costi, con conseguenze non sempre rosee (affatto).





Tuttavia la primissima bozza era di una storia horror, e pure molto breve, con il protagonista (che non era italiano, non si chiamava Rubino ma Matthew) che faceva una fine davvero poco dignitosa.





L’antagonista invece non è mai cambiato: l’usignolo, all’anagrafe Florian Chevalier. Pure lui, però, per adeguarsi all’horror, era molto diverso rispetto a quello del romanzo definitivo, forse nemmeno vivo nel vero senso del termine.





Poi la storia è entrata in un letargo durato anni, e quando l’ho rispolverata ho scoperto che grondava acqua. Da qui i vari aggiustamenti.





2) Tutti i luoghi esistono davvero



Scrivi di quello che conosci: un mantra che avrai sentito e letto ovunque, e che a volte serve davvero.





Per “Io sono l’usignolo” mi serviva un piccolo paese con gente chiusa e diffidente, quindi perché inventarlo se già lo conosco?





Tutti i luoghi che hai letto, o leggerai, esistono davvero; solo, ho cambiato loro i nomi.





Perché, mi chiedi? Perché conosco chi ci abita e so che pieno di sé com’è si sarebbe offeso… e di certo non mi andava di creare guerre tra paesi, visto che ci sono già!





Inoltre un tocco di invenzione mi piaceva, visto che l’ambientazione esisteva già.





Chicca solo per te: ecco monte Fermo, o monte Fato, che compare nella storia.





[image error] http://fav.me/d85pttb



3) Ha avuto ben tre copertine diverse



Di solito quando creo, o faccio creare, la copertina di miei libri non la cambio più, perché sento che è quella giusta.





Chissà per quale motivo, ma per “Io sono l’usignolo” non è stato così.





La prima mi ispirava poco e l’ho cambiata. La seconda è rimasta per un annetto e mezzo, poi mi sembrava poco incisiva e fuorviante (anche se, come dice mia madre, chi legge il libro capisce il senso del fiammifero) e l’ho cambiata di nuovo, affidandola all’illustratrice Alice Pasotti.





Ecco l’evoluzione!





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Chissà che non cambi di nuovo idea, ma spero vivamente di no!





4) Ho cambiato svariate volte il PDV



Sicuramente è già capitato anche a te.





Scrivi e scrivi e scrivi, ma qualcosa non torna. E non è la trama, e non sono neppure i vari intrecci o sottotrame che dir si voglia.





È il punto di vista (PDV) a essere sbagliato.





Magari inizi in prima persona e poi a metà ti accorgi che la storia non dà il senso di pathos che avresti voluto. Oppure usi un PDV unico per un solo personaggio ma anche qui ti accorgi che se ne inserissi un altro la storia ne gioverebbe… e così via.





La vecchissima bozza de “Io sono l’usignolo” era, proprio perché la storia sarebbe dovuta essere corta, con narratore onnisciente.





Non vado molto d’accordo con questa focalizzazione, quindi una volta ripreso il romanzo ho cambiato, affidandomi alla mia cara terza persona, narratore interno.





E niente, proseguendo nella stesura ho capito che nemmeno la terza persona suonava bene.





Mi serviva un protagonista che fosse davvero dentro la storia, che la vedesse con i suoi occhi e solo con quelli.





Da qui la scelta dell’io narrante, e ammetto che mi è piaciuta fin da subito, e ho sentito subito “mio” il caro (e criticato) Rubino.





E no, non ho foto sue, mi spiace! Ma di certo non è un manzo o un wrestler o qualcun altro tirato a lucido

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Published on February 11, 2020 23:00