Emanuela Navone's Blog, page 19
April 21, 2020
Se nessuno ti conosce, nessuno ti legge
Se nessuno ti conosce, nessuno ti legge
Ci ho pensato molto prima di scrivere questo post, perché so che sarà polemico e scatenerà un sacco di diverbi.
Ma, da buona voce fuori dal coro, bisogna che ti dica che non tutto è rose e fiori come vogliono farti credere.
In realtà, il mondo della scrittura è un’arena.
[image error]Image by RENE RAUSCHENBERGER from Pixabay
Siamo tutti amici? No!
In un vecchio post scrivevo sui tanti motivi per cui non dovresti entrare nel mondo dell’editoria.
E uno di questi è proprio ciò di cui ti parlerò oggi.
Se nessuno ti conosce, nessuno ti legge.
Suonerà banale, ma scavando tirerai fuori un bel po’ di terra, e alla fine il cumulo sarà bello alto.
Non basta rispondere, come molti faranno: “Nessuno mi conosce? Allora mi farò conoscere!”
Perché è estremamente difficile, lungo e purtroppo spesso non dà alcun frutto.
Soprattutto nell’era sociale in cui ci troviamo adesso.
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Amici, supporter, nemici, hater…
Nel Web-Globo c’è di tutto e di più.
E sebbene per noi scrittori e aspiranti ciò renda le cose più facili da un certo punto di vista, dall’altro rischiamo ogni giorno di incontrare personcine che magari nemmeno conosciamo, ma che si divertono a darci fastidio.
Le cattive recensioni; su Amazon, sui social o da qualsiasi altra parte.
Magari qualcuno denigra te e il tuo lavoro senza che nemmeno tu sappia chi sia; forse questa persona lo fa semplicemente perché si diverte a essere il classico leone da tastiera.
Ma ci sono anche schiere (e dico schiere!) di gente che lavorano in modi più sottili, senza colpirti direttamente, e che fanno più male del resto.
Con il risultato che, senza nemmeno capire come mai, ti ritrovi sempre più solo.
[image error]Image by Pam Patterson from Pixabay
Il pubblico è tutto
Affermazione verissima per televisione, cinema e altri mezzo di intrattenimento, ma ancor più vera sui social.
Il pubblico lavora per te, ma anche contro di te.
Un esempio su tutti: i contest.
‘Ste benedette gare che prevedono l’interazione con il pubblico: più hai like e più hai possibilità di vincere.
Sarebbe carino se ogni persona che partecipa (persona, non autore) desse un apprezzamento a ciò che legge perché le piace. Vorrebbe anche dire che quanto hai scritto merita una chance.
Sarebbe, ma non è.
Perché arriva l’Esercito dei Supporter al soldo di uno o più autori che sbaraglia gli altri, con 498 like, 100 condivisioni e 97 commenti… e se il contest (o concorso che sia) si basava su quello… e tu hai 10 like, 1 commento e 2 condivisioni… be’, ciaone.
E magari la tua opera è ben scritta e quella dell’Autore con Suppoter no (capita, fidati), ma se vince chi ha più pubblico…
Ed ecco che la frase “se sei sconosciuto, nessuno ti legge” acquista un significato molto diverso: “Se nessuno ti supporta, nessuno ti legge”.
Per non parlare di casi in cui l’Esercito di Supporter diventa Legione degli Hater e lavora non per l’autore, ma contro gli altri scrittori. Sì, capita anche questo.
Sono meccanismi sottili, davvero sottili, ma hanno la forza di un vulcano in eruzione.
E in un’era sociale come la nostra, riducono in cenere tanti piccoli autori che magari speravano che con solo la loro opera di qualità potessero andare avanti.
E allora che fare?
Ho conosciuto tanti autori che hanno smesso di scrivere perché, nonostante gli sforzi, non riuscivano a emergere. Altri che si sono dati da fare e continuano, pur non ottenendo grandi risultati.
Purtroppo, è semplice essere solo, o diventarlo, ed è difficilissimo farsi conoscere.
Perché non tutti giocano un fair play, come abbiamo visto, ma sono scorretti, scorrettissimi, irrecuperabili.
Quindi, oltre alle difficoltà che tutti gli scrittori emergenti hanno di emergere, ti tocca pure batterti contro questi soggetti che alla prima mossa sbagliata te la piazzano nel didietro, e chi si è visto si è visto.
Non voglio sbolognarti la solita frase fatta del tipo tieni duro perché prima o poi ce la farai, tanto lo sappiamo entrambi che purtroppo spesso non è così, né dirti di giocare sporco anche tu (sarebbe comunque la giusta soluzione, per certi sensi).
Parti dal basso, come tutti, e magari inizia a tessere relazioni qua e là, senza forzature (ossia: ti prego metti il like là che c’è il mio libro dopo che il contatto Pinco Pallo ha accettato la tua richiesta di amicizia), cercando contatti seri e professionali. È già una buona base di partenza.
I furbetti sono dappertutto (ed è per questo che gran parte della produzione letteraria italiana di oggi è spazzatura), basta saperli riconoscere.
E perché no? Se è il caso, smascherarli.
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April 14, 2020
Le 5 cover fantasy più belle (secondo me)
Le 5 cover fantasy più belle (secondo me)
Anche l’occhio vuole la sua parte, affermazione più che vera per quanto riguarda i libri.
Quante volte ti è capitato di essere attirato da un romanzo solo per la sua copertina?
Ecco le 5 cover fantasy che mi sono piaciute di più in questi anni!
[image error]Image by Iván Tamás from Pixabay
Se dico copertina fantasy…
… la prima cosa che mi viene in mente sono immagini che evocano mondi meravigliosi, fantastici, al di là di ogni immaginazione.
In effetti, sappiamo che la copertina è uno dei primi elementi che un lettore guarda, pertanto deve attirare l’attenzione.
E questo vale ancora di più per un libro fantasy, che deve avere tutte le carte in regola per condurre il lettore in un luogo mai visto prima.
Deve incuriosire, sì, ma deve essere anche… epica? Forse è esagerato, ma è il termine giusto.
Leggo fantasy da quando ero adolescente, e tante copertine mi sono passate sotto gli occhi.
Queste cinque sono le mie preferite in assoluto.
1) La saga Splintered
[image error]Foto: Library In My Mind
A parte la scelta (molto discutibile) della trasposizione italiana dei titoli, per fortuna le copertine sono rimaste quelle originali, e devo dire che sono state loro, per prime, ad aver attirato la mia attenzione.
La scelta, poi, di inserire tre personaggi della saga nelle tre copertine è stata azzeccatissima, anche perché rispecchiano fedelmente le caratteristiche fisiche che ciascun personaggio ha nella storia.
Cosa non da poco, visto che talvolta i personaggi in copertina c’entrano poco o nulla con quelli all’interno del romanzo…
2) La trilogia della Terra Spezzata
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Anche in questo caso l’edizione italiana ha mantenuto la grafica originale (cosa che ad esempio mi pare non abbia fatto l’edizione francese, ahimè!), e pure i titoli si avvicinano di molto a quelli originali (almeno il primo e il secondo; il terzo deve ancora uscire).
Cover a parte, a mio avviso questa trilogia è davvero promettente, a partire dal primo volume, che l’anno scorso ho letteralmente divorato.
3) La duologia Six of Crows
[image error]Immagine: Chiara in Bookland
Molto belle le due copertine, un po’ meno la storia, che non ho trovato così appassionante, mentre invece erano state proprio le copertine ad avermi attratto.
Di nuovo, l’edizione italiana ha mantenuto la grafica originale, e pure i titoli.
4) Le Cronache di Narnia
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Letto tantissimo tempo addietro, di questa saga mi era piaciuta soprattutto la copertina (la storia ha invece avuto alti e bassi).
Spulciando su Google ho anche trovato “variazioni” all’originale, anch’esse interessanti (alcune molto retrò!).
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5) Il Signore degli Anelli
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Sì, questa copertina è tutt’altro che epica, e non è nemmeno tra le ultime e svariate grafiche che la trilogia di Tolkien ha, ma per me possiede un valore quasi affettivo: mi regalò questo romanzo, con questa copertina, il mio defunto zio quasi vent’anni fa, dopo che me ne fui innamorata in una cartolibreria, e da allora lo tengo come una reliquia.
Certo, come dicevo prima la trilogia di Tolkien ha altre copertine e ben più belle, ma questa nella sua semplicità per me è la migliore.
Ti lascia intuire un nuovo mondo, con quella casetta sullo sfondo, ma altro non dice, e sta a te fidarti ed entrare nella Terra di Mezzo (e uscirne; forse).
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April 11, 2020
Fiera virtuale del fantasy 2020
Le fiere fisiche ormai possiamo sognarcele, almeno per adesso, ma c’è chi ha avuto l’idea di fare quelle virtuali.
Ebbene sì, il Collettivo Scrittori Uniti, di cui faccio parte come Media Partner, ha in serbo per te numerose fiere virtuali a tema.
Sabato 19 aprile si parte con quella del fantasy!
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Ovviamente ti stai già domandando come funzionerà una fiera virtuale, visto che mai si è vista.
Niente paura, però! La fiera virtuale targata Collettivo Scrittori Uniti sarà proprio come una fiera fisica, dove potrai interagire con gli autori e acquistare i libro libri (e questo è il pezzo forte) a un prezzo davvero scontatissimo.
La fiera avrà luogo in un evento Facebook dedicato che inserirò appena disponibile, dalle 10 alle 19 di sabato 19 aprile.
Parteciperanno ben 25 autori (le cui copertine le vedi nell’immagine di apertura articolo) di qualsiasi sottogenere fantasy che ti venga in mente, quindi ce ne sarà davvero per tutti i gusti, tra cui la sottoscritta con il fantasy “Cronache di Charma“, che venderò a 7 euro compresa la spedizione.
Madrina della fiera sarà Stefania Sottile dell’associazione Universo Fantasy.
Ma come si svolgerà la fiera?
Ogni autore presenterà il suo libro in un video insieme a Claudio Secci, fondatore e membro del direttivo CSU, e Stefania Sottile, madrina della fiera. Un’intervista a tre in cui verranno svelati i segreti più arcani (visto che siamo in tema fantasy) di ogni romanzo.
Ogni lettore potrà poi interagire con l’autore, fargli domande e chissà cos’altro, e ovviamente, se interessato, acquistare il libro a un prezzo davvero economico, che l’autore spedirà non appena l’emergenza Coronavirus ci darà respiro.
C’è anche la possibilità, per gli autori che possono, di vendere il loro e-book a un prezzo di super favore. Nel mio caso, ad esempio, venderò Charma a soli 99 centesimi.
Nel corso di tutta la giornata vi saranno anche delle dirette di approfondimenti, dei giochi e delle vere e proprie sessioni di reading.
Se vuoi vivere una giornata diversa all’insegna della lettura, quella di sabato prossimo è un’occasione unica.
Quindi rimani sintonizzato sui miei social e su quelli del Collettivo Scrittori Uniti per avere altre informazioni e per iscriverti all’evento quando sarà disponibile!
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April 7, 2020
Come scrivere una descrizione accattivante: i personaggi
Come scrivere una descrizione accattivante: i personaggi
In un mondo che predilige ormai messaggi di alto impatto visivo, anche la scrittura ha dovuto adattarsi.
Il lettore ama sempre più spesso immagini vivide e visive, che gli restino in mente.
Ma come rendere accattivante una descrizione?
[image error]Image by Sasin Tipchai from Pixabay
Personaggi = anima del romanzo
Non starò troppo a dilungarmi sul perché dovresti costruire personaggi reali e verosimili, ne ho parlato diffusamente in molti miei articoli (che puoi vedere qui).
Una volta creati, i personaggi, che siano protagonisti o comparse o altro, devono sapersi muovere nella scena e agire in base al loro carattere.
Il miglior modo per rendere interessanti i tuoi personaggi è farli muovere e parlare, e fare in modo che da lì emerga la loro personalità, piuttosto che usare generiche informazioni astratte.
E quando si tratta di descriverli?
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Descrizioni statiche e descrizioni mostrate
Anche in questo caso, è impossibile parlare senza tirare in ballo il famoso show, don’t tell.
Non dico sia uno dei cardini della scrittura creativa moderna, ma senza dubbio è uno degli aspetti basilari da conoscere.
Anche per le descrizioni.
Pensa ai libri che hai letto. Di quanti ricordi la descrizione di un personaggio? E di quanti te la sei dimenticata appena arrivato alla fine?
La differenza tra ricordare e dimenticare sta nella capacità dello scrittore di rendere vivo il suo personaggio con descrizioni e dettagli che rimangano impressi nella mente del lettore.
Giocherà allora sull’originalità e l’impatto visivo, anziché limitarsi a descrivere genericamente le fattezze di un personaggio.
Un esempio di descrizioni visive e molto funzionali l’ho trovato in un vecchio romanzo di Vassalli, “La chimera”: oltre ad avere una penna ironica ma delicata, l’autore riesce a giocare su piccoli particolari, a volte quasi irrisori, ma che fanno risaltare, e ricordare, ogni singolo personaggio, che sia primario o di contorno.
Ecco ad esempio come ci viene presentato monsignor Cavagna, a detta di tutti “l’oca bianca più che burro” (e ora vedremo il perché):
… perché il poveretto, che veniva da una zona del novarese ricchissima di oche, sembrava lui stesso un’oca, anzi un ocone smisurato, nell’andatura e nella voce e nella struttura fisica; aveva infatti un gran sedere, spalle strette e una testolina da bambino su un lungo collo che muoveva camminando, come per curiosare ai due lati della strada.
Descrizione a mio avviso suggestiva che ci fa subito capire come il Cavagna sia una persona goffa e dinoccolata. Ma avrebbe avuto tutt’altro risultato scrivere semplicemente che “egli pareva un’oca da quanto era goffo”.
Del vescovo Bascapè, uno dei personaggi principali del romanzo, ci vengono dati di volta in volta alcuni indizi del suo carattere, a partire da quando egli stesso si definisce un “cadavere” fino a quando, dato lo stress degli avvenimenti, non rischia di diventarlo davvero.
In questo passaggio ci viene mostrato un particolare del vescovo, a mio avviso più importante di qualsiasi altra descrizione lunga e noiosa:
… avrebbe anche potuto essere una mano femminile, se le nocche non fossero state così grandi e se non ci fossero stati tutti quei peli, neri e lucidi come seta, che ne infioravano il dorso, spingendosi giù giù sino alla seconda falange delle dita.
Non solo aspetto fisico ma anche atteggiamenti.
Ecco le caratteristiche principali del frate Manini:
«Spiega dunque di che si tratta » , disse il frate; protendendosi verso la ragazza con un interesse forse eccessivo per quella domanda, ma spontaneo e nient’affatto caricaturale. Manini era così. Qualsiasi cosa dicesse, ed a chiunque, i suoi grandi occhi grigioazzurri si spalancavano o s’incupivano nel pallore del viso, le ciglia battevano a tempo, minime righe d’espressione si formavano o si spianavano.
E per finire, come scrivevo prima, alle descrizioni viene reso onore anche per quanto riguarda comparse e personaggi del tutto secondari, che compariranno una volta e basta.
È il caso del capo dei lanzi e di un testimone al processo di Antonia. Nel primo caso, esemplare la descrizione mostrata piuttosto che raccontata di una persona di alta statura.
Li comandava un autentico gigante, con grandi baffi e grandi basette del colore della stoppa: così alto che, per entrare nell’Osteria della Lanterna doveva piegare la testa e anche la schiena; e poi ancora, una volta dentro, doveva camminare piegato per non dare di capo contro le travi del soffitto.
… si presentò davanti all’inquisitore un omiciattolo così basso, che di là dal tavolo se ne vedeva solo il viso. Un viso da folletto: una gran fronte prominente, due occhi dilatati, pochi ciuffi di pelo risso sulla nuca e tutt’attorno alle guance; pochi denti, in una gran bocca vuota. Un tic nervoso, a intervalli regolari, muoveva la parte destra di quel viso, imprimendovi una sorta di smorfia.
Qual è quindi una descrizione perfetta?
In realtà LA descrizione perfetta non esiste.
E questo sempre per il solito motivo che ogni storia ha le sue esigenze: in alcune puoi non descrivere nulla che la trama funziona ugualmente, altre perderebbero vitalità qualora mancasse quel tocco di colore in più.
Non esistono misure estreme come la totale assenza di descrizioni o le descrizioni a tutti i costi: sei libero di fare quello che credi, sempre nel rispetto del tuo romanzo, dei suoi bisogni.
È logico che se stai scrivendo la scena d’azione di un thriller carico di suspense, interrompere la narrazione per descrivere com’è vestito il killer spezza la tensione (e infastidisce il lettore). Diverso il caso per i fantasy, laddove viene sempre lasciato un certo margine nelle descrizioni, e questo proprio per arricchire l’ambientazione.
In ogni caso, è sempre meglio focalizzare l’attenzione su descrizioni mostrate anziché statiche (ossia raccontate).
Dire che Maria è bellissima e minuta non mostra nulla, dire che tutti si voltano quando Maria passa, anche se è così piccola che sulla metro rischiano di schiacciarla, è un’altra.
Ecco allora alcuni consigli su come vivacizzare le tue descrizioni
1* Focalizzati sui dettagli anziché sull’immagine globale. Ci sono tantissime persone bionde, cos’ha di diverso il tuo personaggio? Forse quella ciocca bianca proprio sulla fronte? O magari li porta perennemente sul viso per coprire le orecchie a sventola?
2* Il lettore si chiederà sempre il motivo dei tuoi giudizi, quindi cerca di motivarli da subito. In altre parole, non generalizzare. È facile scrivere che Mario è bellissimo, ma per quale motivo? E per chi? Per il narratore, per il protagonista, per qualcun altro? E soprattutto: come è bellissimo?
3* Non dare nulla per scontato: tu puoi sapere, nella tua mente, perché Maria si veste in modo strano, ma il lettore no. Spiega quindi ogni affermazione. O meglio: mostrala.
4* E sì: mostra, non raccontare! Non limitarti a descrizioni piatte, generiche, che non rivelano nulla, ma cerca di far capire attraverso le azioni com’è un personaggio. Come nell’esempio precedente, il capo dei lanzi così alto che deve stare chinato nell’osteria per non rischiare di dare una capocciata sul soffitto.
Le descrizioni fanno parte della storia, l’arricchiscono, ma solo se scritte bene.
In altre parole, ogni descrizioni deve richiamare un’immagine nel lettore; in caso contrario, continuerà a leggere senza memorizzare, e spesso se ne sarà dimenticato qualche minuto dopo.
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April 4, 2020
Solidarietà digitale (2): un altro capitolo in regalo per te!
L’emergenza che ci vede vittime purtroppo non passa…
… e nemmeno la mia voglia di regalarti qualcos’altro di utile!
Ecco un altro capitolo del mio manuale “Prontuario di editing” pronto per te
March 31, 2020
Come rendere la tua scrittura più incisiva (parte prima)
Come rendere la tua scrittura più incisiva (parte prima)
Il problema che hanno molti autori, soprattutto emergenti, è di non riuscire a esprimere al meglio quanto hanno dentro.
Il più delle volte è la fatica di tradurre su carta i propri pensieri, che si risolve in frasi difficili da leggere e da digerire.
In questa prima parte di una breve guida, ti mostro come rendere la tua scrittura più incisiva.
[image error] Photo by Arnel Hasanovic on Unsplash
Cappellino introduttivo
Essere più incisivi non lo diventi in due ore, e nemmeno in due anni. È un processo che dura tutta una vita, ma che presuppone la tua voglia di metterti in gioco.
In altre parole, se ti senti “già arrivato” e ritieni di sapere tutto quello che c’è da sapere, allora questo articolo non fa per te… e non so nemmeno se lo sia la scrittura, perché tutti (e inserisco anche me come creativa e editor) hanno sempre qualcosa da migliorare, anche lo scrittore più bravo e famoso (che non sempre è la medesima persona).
Se invece ritieni di voler apprendere qualcosa in più, anche una sola minuzia, armati di penna e blocchetto e inizia a prendere appunti!
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Mentre
La congiunzione “mentre” indica l’avvio di un’azione che si sta svolgendo in parallelo a un’altra: mentre stavo mangiando, Mario entrò in cucina; mentre Maria cuce, suo figlio gattona; eccetera.
Usatissimo in scrittura, ma a volte troppo, e un periodo rischia di diventare pesante da digerire.
Si alzò tremante dal pavimento su cui era rimasto accasciato per quelle che erano parse ore, mentre le immagini scorrevano ancora vivide davanti a sé. Appoggiò il palmo sudato alla parete e, mentre si guardava intorno per capire dove si trovasse, dove si trovasse effettivamente, una fitta gli trapassò il cranio.
Questo periodo di per sé scorre, ma è poco coinvolgente. Tentiamo di migliorarlo e darvi maggiore incisività.
Si alzò tremante dal pavimento su cui era rimasto accasciato per quelle che erano parse ore. Le immagini scorrevano ancora vivide davanti a sé. Appoggiò il palmo sudato alla parete e si guardò intorno per capire dove si trovasse, dove si trovasse effettivamente. In quel momento, una fitta gli trapassò il cranio.
Decisamente meglio, ma si potrebbe fare di più, ovviamente mostrando anziché raccontare, ma non è questo il momento di parlare di show, don’t tell.
In ogni caso, aver rimosso le due congiunzioni ha alleggerito il periodo, che senza risulta molto più agevole e bello da leggere.
Certo, ora non devi metterti a epurare ogni testo di tutti i “mentre” che trovi, però laddove ti sembra che le frasi siano pesanti e poco incisive ti conviene fare una rilettura, magari ad alta voce. È un esercizio davvero utile.
Gerundio
Il modo gerundio indica un’azione da compiere: scendendo dalle scale, Mario inciampò; avendo mangiato tanto a pranzo, per cena Luigi si preparò una minestrina.
Come ci dice anche Treccani, il gerundio viene usato poco in lingua italiana: preferiamo coordinate o subordinate che rendono la lettura più agevole.
Tuttavia questo non vuol dire bandirlo dalle tue storie; devi solo stare attento ed evitare… gerundi multi-tasking, come dice il blog Racconti vaganti.
In altre parole, spesso c’è la tendenza a usare il gerundio per descrivere un’azione compiuta in contemporanea a un’altra… ma che in realtà non potrebbe avvenire.
Paolo entrò di corsa, gridò, prese la pistola sparando al killer.
Ovviamente, prima prende la pisola, poi spara, non può farlo in contemporanea!
Paolo entrò di corsa, gridò, prese la pistola e sparò al killer.
Ogni volta che usi il gerundio, fai attenzione a che le azioni descritte possano essere compiute nel medesimo tempo: Mario può passeggiare guardando le vetrine, ma non può scendere le scale aprendo la porta.
Frasi lunghe
Questo dipende un po’ dal tuo stile: magari sei un tipo da frasi brevi, secche, oppure preferisci intervallarle da virgole e altri segni di interpunzione.
Se rientri nell’ultimo caso, anche qui ti consiglio una lettura ad alta voce per evitare che il discorso si perda per strada e che il lettore arrivi al punto finale e non ricordi più cos’aveva letto all’inizio. Un po’ come me quando studiavo diritto e le lunghissime sentenze.
Tutto ciò che un tempo era verde e carico di vita, ora inerte era accasciato al suolo, ciò che rimaneva di quella bellissima terra lentamente ardeva, corroso dal fuoco maledetto, e dopo il fuoco giunse l’acqua, che lavò e curò le ferite, e infine la candida neve, che coprì il terreno ormai spoglio; la neve divenne ghiaccio, mentre il cielo si copriva di oscure nuvole; il mare fremeva, agitato, come se preavvisasse l’arrivo di qualcosa, profondi tuoni squarciavano di tanto in tanto l’atmosfera.
Adattamento de Cronache di Charma #1 (la cui sottoscritta malauguratamente ne ha la paternità)
Sebbene l’intero periodo sia leggibile, è poco scorrevole e arrivi alla fine senza fiato. Meglio spezzettarlo in frasi più brevi.
Tutto ciò che un tempo era verde e carico di vita, ora inerte era accasciato al suolo. Ciò che rimaneva di quella bellissima terra lentamente ardeva, corroso dal fuoco maledetto. Dopo il fuoco giunse l’acqua, che lavò e curò le ferite, e infine la candida neve, che coprì il terreno ormai spoglio. La neve divenne ghiaccio, mentre il cielo si copriva di oscure nuvole. Il mare fremeva, agitato, come se preavvisasse l’arrivo di qualcosa. Profondi tuoni squarciavano di tanto in tanto l’atmosfera.
Ripetizioni di medesimi concetti
Si sa, come autore emergente hai il timore panico che il lettore non capisca o non ricordi quanto già hai scritto, e così cerchi ogni volta di ripetere concetti ed eventi all’infinito…
… con la conseguenza che non solo il lettore capisce, ma si infastidisce pure.
Egli era stanco, incapace di muoversi, in balìa degli eventi. Immobile come pietra, gli arti non rispondevano più ai comandi, era incapace di muoversi.
Un rigiro di parole per scrivere che il nostro protagonista non può muoversi.
Se scrivi che gli arti non rispondono più ai comandi, è superfluo aggiungere che è incapace di muoversi: l’hai detto già prima!
Capita anche di ripetere eventi narrati in precedenza, come una sorta di “mini riassunto delle puntate precedenti”:
Mario posò il cellulare sul comodino, si tolse la maglia sporca di terra e fece una veloce doccia. Quando tornò in stanza, prese il telefonino, precedentemente appoggiato sul comodino, e chiamò Peach.
Se scrivi prima che posa il cellulare sul comodino, dopo non ha senso ripeterlo, perché il lettore se lo ricorda.
Come ricorda anche qualcosa avvenuto dieci pagine addietro (almeno, se sta attento!).
Pagina 13: Mario posò il cellulare sul comodino, si tolse la maglia sporca di terra e fece una veloce doccia. Quando tornò in stanza, prese il telefonino, e chiamò Peach.
Pagina 24: Peach arrivò trafelata alla casa di Mario. Lui l’aspettava seduto sul sofà, il viso pallido alla luce dell’abat-jour. L’aveva chiamata in precedenza, dopo essersi fatto una doccia.
Riassunto della puntata precedente? No, grazie!
Se hai raccontato e mostrato bene tutto, il lettore attento lo ricorderà senza che tu debba ricordarglielo.
Questi quattro esempi sono brevi ma spero utili per aiutarti a rendere la tua scrittura più incisiva.
Nella prossima parte di questa guida ne scoprirai altri, quindi tieniti forte: il viaggio nelle pieghe della scrittura è appena iniziato!
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L'articolo Come rendere la tua scrittura più incisiva (parte prima) proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
March 28, 2020
Solidarietà digitale: un capitolo del mio manuale in regalo!
Visto che siamo tutti confinati in casa, cosa c’è di meglio di un buon libro?
E di un libro che ti aiuta a migliorare la tua scrittura?
Ebbene, oggi ho deciso di regalarti un capitolo del mio Prontuario di editing.
Buona lettura!
Mostrare e raccontare
Se hai letto uno dei tanti manuali di scrittura
creativa, avrai memorizzato questa regola: “Show, don’t tell!”
Annosa questione, quella del “mostra, non raccontare”. C’è chi si batte per show e chi per tell, come una guerra nucleare o una lunga guerra fredda.
Ma che cosa sono di preciso show e
tell?
Show significa mostrare, tell
raccontare.
Nella scrittura creativa, mostrare
qualcosa vuol dire rendere visiva un’immagine, una descrizione; vuol dire
esternare i personaggi e le loro emozioni come se fossero in carne e ossa.
Raccontare, invece, è riportare le informazioni su carta, così come sono.
Non è un errore mostrare come non
lo è raccontare: bisogna capire quando è necessario mostrare qualcosa e quando,
invece, raccontarla.
In questo capitolo ti elencherò i
casi in cui devi mostrare e non raccontare.
1. Controlla se hai mostrato le descrizioni
Le descrizioni piatte, fini a se
stesse, non piacciono molto, ne abbiamo già parlato nella sezione a loro
dedicata. Una descrizione deve essere fisica, deve contenere elementi dinamici,
dettagli e, soprattutto, deve essere visiva. Il lettore la legge ma la vede
anche davanti a sé. In questo caso si parla di mostrare.
Come ha scritto Cechov: “Non dirmi che la luna splende, mostrami il riflesso della sua luce nel vetro infranto”.
Non è semplice mostrare una descrizione, spesso sei spronato dal tarlo che ti costringe a scrivere, scrivere, scrivere e non presti troppa attenzione a quello che getti sulla carta — o sul PC. È normale che le tue descrizioni siano più raccontate.
Ti ho già fatto qualche esempio di
descrizioni piatte. Permettimi adesso ti mostrarti (appunto!) delle descrizioni
fisiche, visive.
La prima stanza emana un odore che non ha nome nel linguaggio, e che bisognerebbe chiamare odor di pensione: tanfo di rinchiuso, di muffa, di rancido; fa rabbrividire, è umido all’olfatto, penetra attraverso gli indumenti; ha il sentore di un locale in cui si sia mangiato; puzza di gabinetto, di cucina, d’ospizio di vecchi.
Questa è una descrizione tratta da
“Papà Goriot” di Honoré De Balzac. Fa atmosfera, non ti sembra di sentire gli
odori che permeano la stanza?
Prova a raccontarla:
La prima stanza ha un odore di chiuso, un misto tra odore di gabinetto, di cucine e di ospizio.
La descrizione è più snella, ma
rende meno l’idea di com’è davvero la stanza.
Proseguendo nella narrazione, viene
presentata la vedova Vauquer:
Essa cammina strascicando le ciabatte grinzose. Il viso vecchiotto, tondo, in mezzo al quale s’erge un naso a becco di pappagallo, le manine paffute, la persona grassoccia come un topo di chiesa, il seno troppo colmo e ballonzolante.
Diversa atmosfera avrebbe creato
una descrizione raccontata:
Essa cammina strascicando le ciabatte. Ha un viso rotondo e il corpo grassoccio.
Il romanzo moderno è meno infarcito
di descrizioni: si privilegia la velocità e l’azione rispetto a scene
descrittive. In ogni caso, se c’è bisogno di descrizione, conviene sempre
mostrarla.
Cerca di attingere ai cinque sensi per immergere il lettore nella tua storia.
Controlla i momenti descrittivi del
tuo romanzo: sono troppo raccontati e andrebbero modificati per creare
atmosfera? Se sì, riformulali.
2. Mostra le scene d’azione
Il mostrare non si trova solo nelle
descrizioni.
Intere scene possono essere scritte
mostrando che cosa sta succedendo, qual è la reazione e quali sono i sentimenti
e le emozioni dei personaggi.
Il mostrato è necessario per le
scene dove c’è suspense, forti emozioni, insomma, per tutte quelle scene dove è
necessario attirare il lettore.
Le scene d’azione vanno mostrate.
Se due personaggi stanno combattendo fra loro, non scrivere:
Mario lanciò una freccia contro Luigi, che la schivò e rispose con un affondo di spada.
O peggio:
Mario e Luigi combatterono un duello all’ultimo sangue.
Sono scene che non danno nulla. Devi
essere più preciso.
Prendi come esempio le scene
d’azione dei tuoi romanzi preferiti: come si svolgono? In poche righe o in
molti paragrafi?
La scena d’azione deve essere più dettagliata
e, se possibile, concitata, per dare un senso di attesa e ansia al lettore, che
dovrà domandarsi: chi vincerà? Come andrà a finire?
Come esempio ti riporto una scena
di battaglia tratta da “Il dio del deserto” di Wilbur Smith, a mio avviso un
maestro nelle scene d’azione.
Feci partire il mio dardo un attimo prima che l’arabo scoccasse il suo. Lo colpii alla gola giusto in tempo per rovinargli il tiro. La sua freccia mancò Zaras e lui piombò in ginocchio, ghermendo la mia che gli spuntava dalla gola, il sangue brillante che gli zampillava dalla bocca spalancata.
Imperterrito, uno dei suoi compagni si avventò contro Zaras e, con la scimitarra tenuta ben alta, cercò di colpirlo alla testa. Con la spada Zaras gli spinse di lato la lama e poi sfruttò lo slancio dell’arabo per tranciargli il braccio all’altezza del gomito, di netto. L’uomo gridò e barcollò all’indietro, stringendosi il moncherino. Inciampò sul beduino inginocchiato, con la mia freccia conficcata nella gola. Caddero a terra insieme, in un groviglio di arti, ostacolando la carica dei compagni.
Controlla le scene d’azione del tuo
libro. Sono mostrate e specifiche? O sei caduto nella banalità?
3. Mostra le scene di suspense
Come l’azione, anche la suspense va
mostrata. Pensa ai libri horror: non c’è quel senso di apprensione che ti fa
voltare le pagine ma che, allo stesso tempo, ti vorrebbe impedire di farlo per
non scoprire qualcosa di spiacevole? Ecco, una buona scena di suspense dovrebbe
essere così.
Le scene di suspense vanno
allungate fino a quanto è possibile, proprio per instillare nel lettore un
senso di timore, ansia.
Di recente ho letto “Intensity” di
Dean Koontz. Lui è un maestro nell’allungare la suspense e nel farti girare le
pagine per sapere come andrà avanti. Una scena di un minuto dura anche dieci
pagine; il ritmo concitato e convulso viene attenuato dalle emozioni dei
personaggi. Un mix tra velocità e lentezza.
Nel corridoio i passi si fermarono. Una porta si aprì.
Senza dubbio, era assurdo attribuire un sentimento di rabbia al semplice gesto di spalancare una porta. Il rumore secco del pomello che veniva girato, il raschio del chiavistello, il cigolio dei cardini non oliati… erano solo rumori, né calmi né irati, né colpevoli né innocenti, poteva averli provocati sia un prete sia un ladro. E tuttavia lei sapeva che si trattava di movimenti compiuti con rabbia.
Sdraiata sullo stomaco, strisciò sotto il letto, i piedi contro la testiera. Si trattava di un mobile di elegante fattura, dai solidi piedi torniti e fortunatamente piuttosto alti. Un paio di centimetri di spazio in meno e non le sarebbe stato possibile usarlo come nascondiglio.
Di nuovo rumore di passi nel corridoio.
Un’altra porta si aprì. Quella della camera per gli ospiti. Esattamente di fronte ai piedi del letto.
Qualcuno accese la luce.
Chyna era sdraiata con la testa girata di lato, l’orecchio destro premuto contro la moquette. Sbirciando da sotto il letto, riusciva a vedere gli stivali neri dell’uomo e le gambe dei blue jeans dal polpaccio in giù.
[…]
Un vago dubbio, frutto della tendenza all’autoanalisi che affligge tutti gli studenti di psicologia, le attraversò rapido la mente. Se l’uomo fermo sull’uscio era qualcuno che aveva tutti i diritti di stare in quella casa… Paul Templeton o il fratello di Laura, Jack, quello che viveva con la moglie nel villino del custode… e se era avvenuto qualcosa di grave che giustificasse quel suo irrompere nella camera senza prima bussare, nel momento in cui fosse uscita strisciando da sotto il letto, Chyna avrebbe fatto la figura della sciocca, se non addirittura dell’isterica.
Ma in quel momento, proprio davanti agli stivali neri, sulla moquette giallo scuro cadde una goccia rossa… poi un’altra, e un’altra ancora. Plop… plop… plop. Sangue. Le prime due vennero assorbite dallo spesso tessuto sintetico. La terza rimase in superficie, scintillante come un rubino.
Chyna sapeva che il sangue non apparteneva allo sconosciuto. Cercò di non pensare allo strumento affilato dal quale le gocce erano cadute.
L’uomo avanzò nella stanza, spostandosi a destra rispetto a Chyna e lei dovette girare gli occhi per riuscire a seguirlo.
La scena va ancora avanti per molto
con questo ritmo. E il lettore è in balìa della penna di Koontz.
Non preoccuparti di allungare di
qualche riga le tue scene di suspense: se fatte bene, coinvolgeranno il
lettore. È meglio una scena lunga e dettagliata di una corta che passa
inosservata.
Controlla le scene dove c’è
suspense. È spiegata bene? È mostrata
bene?
4. Mostra le scene con forti emozioni
Anche le scene con forti emozioni
vanno mostrate e dettagliate. Per forti emozioni non intendo solo paura, morte,
ma anche, ad esempio, l’amore.
Quanti bei libri ho letto, dove
l’amore è un sentimento che si erge con prepotenza tra i personaggi quasi a
diventare protagonista!
Se nel tuo romanzo l’amore tra due
personaggi è forte o cambia radicalmente il loro modo di porsi, devi farlo
capire al lettore. Devi mostrare come questo sentimento abbia soggiogato i tuoi
protagonisti.
Mario ama Michela. Michela ama Mario.
Una bella equazione, sì. Ma è
banale. Come Mario ama Michela? E come Michela ama Mario? Come l’amore si è
imposto sulle loro vite?
Anche le scene erotiche vanno
mostrate. E con questo non intendo scrivere passo dopo passo quello che succede
tra Mario e Michela. Ci vuole sempre stile. Romanzi erotici con scene di sesso
rozze, con termini scurrili e poco carini non sono belle da leggere ― a meno che la narrazione non sia in prima persona
e il protagonista uno scaricatore di porto, ma comunque bisogna sempre rimanere
nel limite.
Come esempio ti riporto la prima
volta tra Marcus e Penelope, nel romanzo di Amabile Giusti, “Tentare di non
amarti”.
Marcus tirò fuori un preservativo da un cassetto. Lo scartò coi denti, velocemente. Fece per indossarlo, ma Penny lo fermò.
«Posso farlo io?» gli domandò.
In quale parte di me stessa era nascosta questa creatura spudorata? Da quale romanzo, film o telenovela ho imparato tanta impudenza?
Lui annuì, e lei vide la sua gola che si contraeva deglutendo, come se guardasse accadere qualcosa di nuovo e di misterioso, anche se doveva essere la milionesima volta. Penny cercò di trattenere il tremore delle sue mani maldestre. Cercò di non sembrare una stupida, una che non lo ha fatto mai. Non lo aveva fatto mai, e si sentiva un po’ stupida, ma fu più brava del previsto.
Poi tornò a stendersi. Marcus la baciò ancora, baciava così bene che avrebbe potuto arrivare all’orgasmo solo con la sua lingua intrecciata alla propria. Quindi le strinse i fianchi, sollevandola un poco, ed entrò nel suo corpo.
Dopo un istante il piacere scomparve, sostituito da un dolore tagliente. Fu come se le avessero ferito la pelle con una lama di metallo arroventato. Avrebbe avuto tutto il diritto di urlargli: “Fermati, aspetta, fai piano, sono fatta di vetro”.
Però non lo disse. Emise solo un piccolo grido, che poteva essere scambiato per un verso appagato, e frenò le lacrime.
Marcus prese a muoversi con l’impeto di un uomo che non sta penetrando una vergine. Viaggiava dentro di lei, avanti e indietro, come un ariete inesorabile, e allo stesso tempo la baciava, le leccava la gola, le stringeva il seno, le serrava le cosce per farla inarcare. Penny teneva gli occhi aperti per vederlo: le sue braccia, il suo petto, il suo addome incollato al proprio, la sua chiave vivissima che la apriva per la prima volta nella vita.
5. Limita l’uso di aggettivi e avverbi
La sovrabbondanza di aggettivi e
avverbi è tipica di un linguaggio raccontato che, però, non sempre riesce a
catturare il lettore.
Faccio un breve esempio:
Quando Luca entrò in casa, trovò suo padre che lo attendeva sulla soglia della cucina, arrabbiato.
«Quante volte ti ho detto che non devi marinare la scuola?» gridò, furibondo.
Arrabbiato e furibondo sono due
aggettivi che sì, ci dicono che il padre di Luca è arrabbiato, ma non ci
trasmettono altro. In che modo il padre di Luca è arrabbiato? È arrabbiato
tanto o è arrabbiato poco?
È necessaria qualche piccola
modifica:
Quando Luca entrò in casa, trovò suo padre che lo attendeva sulla soglia della cucina con le braccia incrociate. «Quante volte ti ho detto che non devi marinare la scuola?» gridò.
In questo caso, all’aggettivo
“arrabbiato” ho sostituito con un’azione del padre di Luca: ha le braccia
incrociate. In questo modo viene resa di più l’idea del suo atteggiamento.
Inoltre l’aggettivo “furibondo” è superfluo, essendoci già il verbo “gridare”,
che dà già l’idea di una persona alterata.
Si può fare di più e di meglio,
ovviamente, mostrando come il padre è
arrabbiato.
E se invece di scrivere che lo
aspetta sulla soglia della cucina a braccia incrociate mettessimo che gli dà un
bello schiaffone?
La prima cosa che Luca sentì appena entrò in casa furono le cinque dita di suo padre che gli colpivano la faccia e i calli che gli sfregiavano la pelle come le setole dure e secche di un pennello.
Non devi estirpare ogni aggettivo
dal tuo libro; è bene, però, nei casi in cui è possibile, sostituire
l’aggettivo con una frase più visiva.
La stessa cosa si può (e si deve!)
fare per gli avverbi. In qualsiasi manuale di scrittura creativa troverai una
vera e propria crociata contro gli avverbi. Stephen King è perentorio: “Io
credo che la via per l’inferno sia lastricata di avverbi e sono pronto a salire
sui tetti per gridarlo a tutti”.
In effetti l’uso abbondante di
avverbi appesantisce la narrazione, come noterai in questo esempio:
Mario uscì di casa e osservò attentamente il marciapiede davanti a lui. Non c’era nessuno. Iniziò a camminare lentamente, guardandosi intorno. Il vento gli accarezzava dolcemente i capelli.
Questo capoverso è
noioso e non ci racconta nulla. Inoltre due avverbi sono superflui:
attentamente e dolcemente. Osservare dà già l’idea di guardare con attenzione,
e accarezzare dà già l’idea di dolcezza.
Anche modificando la
frase come nell’esempio che viene, non cambia molto:
Mario uscì di casa e osservò con attenzione il marciapiede davanti a lui. Non c’era nessuno. Iniziò a camminare con lentezza, guardandosi intorno. Il vento gli accarezzava con dolcezza i capelli.
Okay, hai tolto gli avverbi, e allora? Il capoverso resta noioso. Prova a renderlo più incisivo.
Mario uscì di casa. Voltò la testa a destra e a
sinistra, i piedi ancorati al gradino non volevano saperne di muoversi. Il
marciapiede era una solitaria lingua grigia che si allungava e spariva nella
nebbia di quel mattino di novembre. Mario mosse prima un piede, poi l’altro, le
suole che sfioravano l’asfalto come se avessero paura di toccarlo. I suoi occhi
scrutavano alla ricerca di un qualsiasi movimento sospetto. Il vento gli
accarezzava i capelli.
Controlla aggettivi e avverbi della
tua storia: sono superflui? Puoi riscrivere la frase diversamente? Non avere
paura di modificare interi paragrafi o allungarli: se questo ti serve a rendere
il tuo libro più visivo, più d’impatto, più mostrato,
ben venga!
6. Che cosa devi fare
Analizza ogni
descrizione. È piatta? Non evoca nulla? Riscrivila per darvi più fisicità.Controlla le
scene d’azione. Sono dettagliate? Invogliano il lettore a domandarsi: “Che cosa
succederà?”Controlla le
scene di suspense. Sono lunghe a sufficienza? La tensione si sente?Controlla le
scene con forti emozioni, come amore, sesso. Sono scritte bene? Trasmettono
qualcosa al lettore?Cerca ogni
aggettivo e ogni avverbio. Puoi sostituirli con un termine, una frase più
incisivi? In quel caso eliminali.
L'articolo Solidarietà digitale: un capitolo del mio manuale in regalo! proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
March 25, 2020
Come raccontare la paura (pillole di scrittura creativa, parte prima)
Come raccontare la paura (pillole di scrittura creativa, parte prima)
La paura è una delle tante emozioni che prima o poi ti capiterà di raccontare nelle tue storie, che siano d’orrore o di altro genere.
In effetti, l’atto di essere spaventato può capitare tutti i giorni, anche per un nonnulla.
Ma come raccontare quel sentimento che ti blocca sulla porta e ti mozza il respiro in gola senza cadere nel banale?
[image error]Image by Peter H from Pixabay
Mostrare è quasi d’obbligo
Quando si raccontano le emozioni, mostrarle è quasi d’obbligo. In caso contrario non riusciresti a rendere chiara l’immagine che hai in mente.
La scrittura è tanto raccontato, ma pure tanto mostrato.
In tanti casi prevale il “tell”, in altri il “show” è fondamentale per evitare di cadere in luoghi comuni oppure non riuscire a trasmettere le emozioni che hai in testa.
Ma come mostrare in maniera efficace un’emozione? E come mostrare un’emozione come la paura?
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Paura mentale e fisica
La paura si mostra in ognuno di noi in stati mentali e fisici; anzi, posso dire che è qualcosa che parte da dentro di noi e si proietta all’esterno, come qualcosa che voglia uscire e che, quando lo fa, coinvolge il nostro corpo.
Ad esempio, a volte mi capita di bloccarmi sulla porta, al buio, e in preda a chissà cosa non riuscire a muovermi. Il fiato mi si blocca nel petto e vorrei urlare, ma non riesco.
Una sensazione che forse qualcuno di voi ha già sperimentato, dovuta a quel terrore del buio insito in ognuno di noi.
Un conto è provarlo, però, e un conto è raccontarlo agli altri, ai lettori.
Il rischio che si corre è di essere troppo generici, attingendo ad aggettivi e verbi e a stati d’animo banali che sì, possono dire quanto siamo spaventati, ma non lo mostrano.
E l’emozione, in questo caso la paura, rimane sulla carta, quando dovrebbe entrare nel lettore, trasmettergli le medesime immagini e sensazioni che il protagonista sta vivendo.
Qualche esempio.
Non so dirle che cosa accadde esattamente e nemmeno con le parole più straordinarie potrei rendere l’idea di quello che provai. So che il mio cuore si fermò e che la gola si strinse automaticamente. Con un movimento istintivo mi rannicchiai contro la testiera del letto, fissando quell’orrore. Il movimento rimise in funzione il mio cuore e il sudore cominciò a colarmi da tutti i pori.
Thurnley Abbey, Percival Landon
In questo breve passaggio di un bellissimo classico dell’orrore, c’è tutta la paura fisica del protagonista. Egli anticipa l’ascoltatore che non potrà rendere l’idea di che cos’ha provato, ma con due frasi riesce a mostrare la paura che lo ha avvolta quando ha visto “l’orrore” (in questo passaggio non ancora descritto, ma già rende l’idea). Il cuore si ferma, la gola si stringe, il corpo si rannicchia contro il letto, e ciò fa sì che il cuore riprende a battere e il sudore coli da tutti i pori.
Nel passaggio che segue, invece, l’orrore ha raggiunto l’apice e il protagonista è ormai avvinto dalla follia. Ti chiedo scusa perché è un riadattamento della versione originale, quindi non storcere il naso 
March 22, 2020
Come (non) mandare il tuo libro a un editore
Come (non) mandare il tuo libro a un editore
Oggi ti parlerò di come NON comportarti con un editore.
Regole non scritte e nemmeno dette, e forse neanche sono regole, però un bon ton esiste comunque, e va seguito.
O forse è meglio capire cosa non fare, e il resto verrà da sé.
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Case editrici che vai, regole che trovi
Di norma, ogni casa editrice ha una serie di regole che devi rispettare prima di inviare il manoscritto: il formato preferito, eventuali formattazioni, il tipo di file richiesto (.doc, .docx, .pdf, formato cartaceo…), e così via.
Tanti editori hanno anche un calendario in cui accettano proposte, scaduto il quale non puoi più inviare nulla.
Capita anche che una casa editrice non dica niente.
Quale che sia la situazione, devi seguire alcune regole, quantomeno di bon ton, per porti nel miglior modo possibile; magari il tuo libro poi non lo pubblicano lo stesso, ma presentarsi bene è già un biglietto da visita.
Cosa non fare, quindi?
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Non seguire le regole
Be’, la prima cosa da non fare è non seguire le regole.
Se una casa editrice chiede il testo in formato esclusivamente PDF, o se lo chiede formattato Times New Roman corpo 12, perché inviarglielo in formato .odt, Comic Sans corpo 15?
A parte il poco senso, dimostra che non hai letto le loro norme editoriali, e già solo per questo potrebbero rifiutartelo.
Ad esempio, nella collana che gestisco di PubMe, Policromia, chiedo espressamente una sinossi comprensiva di finale e il solo primo capitolo. E mi arrivano romanzi interi, a volte senza sinossi.
Non sono così fiscale da rifiutare in toto questi romanzi, anche se come vedrai continuando a leggere lo sono per altri aspetti, però ciò mi indispettisce.
Se un editore dà delle regole, vuol dire che c’è un motivo, e non perché piace a lui. Magari in redazione hanno più dimestichezza a leggere un libro su Word che in PDF, che so io.
Sincerati quindi di seguire attentamente tutte le loro disposizioni.
Inviare i manoscritti quando le selezioni sono chiuse
Le selezioni sono chiuse: cos’altro ci sarebbe da dire?
Se l’editore non accetta altri manoscritti, magari perché deve smaltire i precedenti, non li accetta. Punto.
Inutile mandarli perché li cestinano sicuramente.
Non presentarsi
Le proposte più memorabili sono quando in redazione arriva la mail con solamente l’allegato contenente il manoscritto.
Non una parola di presentazione, nemmeno una frase!
Cestinati senza nemmeno leggerli.
Non dico che devi raccontare la tua vita da quando sei nato, ma almeno una breve presentazione che faccia capire all’editore chi sei, e magari perché hai scritto questo libro?
Non presentare il tuo libro
Perché il tuo editore dovrebbe leggere il tuo libro e non un altro?
Sì, lo capirà leggendo il manoscritto, ma se lo invogli ne sarà ancora più incentivato.
Oltre alla tua presentazione, è bene inserire anche qualcosa sul tuo libro che induca alla curiosità.
Ovviamente evitando autocelebrazioni del tipo “ho scritto questo libro perché mi reputo un bravo scrittore e la mia storia sarà senza dubbio il prossimo caso editoriale”.
Io sono portata a cestinarli, anche perché nella maggior parte dei casi questo supposto caso editoriale è stracolmo di orrori grammaticali.
Non mandare la sinossi
Ritornando all’esempio di prima: autori che inviano il proprio libro senza presentarsi… e che non inviano nemmeno la sinossi.
La sinossi è il biglietto da visita del tuo libro, e quindi devi inviarla! E se ti chiedono comprensiva di finale, inviala con il finale, senza aver paura di svelare.
L’editore dovrà comunque leggere il tuo libro dall’inizio alla fine, e se ha una scaletta degli avvenimenti, compreso il finale, potrà farlo più agevolmente; e chissà che non sia proprio il finale a indurlo a pubblicarti!
C’è poi il caso di chi manda la sinossi e il finale del libro… e basta. Sì, è capitato anche questo. Devo dirti com’è andata?
Un breve cappello sulla sinossi.
Non è questo il luogo in cui scrivere come dovrebbe essere, perché prenderei tantissimo spazio, però ti basti sapere che deve raccontare il tuo romanzo e indurre alla curiosità. E non deve contenere elementi superflui o che nel libro non ci sono… solo perché magari l’editore sarà più incuriosito. Né devi scrivere che hai optato per un punto di vista rispetto a un altro e il motivo, o le tue scelte stilistiche. L’editore vuole conoscere la tua storia, e basta.
Inviare un testo graficamente orribile
Poniamo il caso che un editore non dia delle norme da seguire, e sei tu a scegliere come mandare il manoscritto.
Certamente hai piena libertà di formattare il tuo testo come più gradisci, ma anche quello è un biglietto da visita.
Mandarlo tutto in corsivo, o in grassetto, o con interlinea 40 solo perché così sembra più lungo, o peggio mandarlo con font improponibili (come calligrafici e compagnia), fa davvero un brutto vedere.
Quando lo formatti, pensa anche a chi dovrà leggerlo: non usare font strani e metti una grandezza che sia facilmente leggibile, soprattutto se mandi PDF, che non sono modificabili. Se puoi, usa un allineamento e una spaziatura paragrafi uniforme.
Un testo scritto in monotype corsiva corpo 8 sfido chiunque a leggerlo! E pure un testo un po’ allineato a destra e un po’ a sinistra, e pure un po’ giustificato, con spaziatura caratteri prima strettissima e poi laaaarga.
Inviare un testo senza averlo riletto
Tanti fanno economia nella rilettura perché, presi dalla foga di voler pubblicare il proprio libro, appena lo terminano lo mandano in casa editrice così com’è, senza nemmeno rileggerlo.
E vai di refusi, sviste, tripli quadrupli quintipli spazi e a capo ad minchiam!
Per non parlare degli errori di sintassi e grammaticali, che “li lascio perché tanto poi c’è l’editore che li corregge”.
Stamattina ho cestinato quattro manoscritti solo perché scritti coi piedi. Questo è il paletto che metto nella mia collana: il testo può essere bellissimo e interessante, ma se scritto male, con errori anche di prima elementare, non lo prendo nemmeno in considerazione.
Ormai tutti i software di scrittura, come Word, Open Office e Pages hanno la correzione automatica degli errori, e ti sottolineano con un bel rosso le parole scritte male ed eventuali errori grammaticali. Le versioni più recenti di Word avvisano anche di errori di sintassi. Quindi già solo per quello la gran parte degli strafalcioni dovresti toglierla tranquillamente.
Chi non lo fa non ha riletto il suo testo (ho orrore solo a pensare che non sa perché i suoi errori siano tali, o che crede che sia Word ad aver sbagliato).
Come scrivevo all’inizio, magari il tuo libro non lo pubblicano lo stesso, ma se segui questi pochi accorgimenti, hai di certo qualche chance in più. Basta poco, davvero. Ed è meglio spendere un’oretta in più a rivedere il proprio libro e a seguire le norme di ogni CE che aspettare in un esito che mai arriverà, o che sarà negativo.
C’è poi chi si autopubblica dopo il quarantesimo rifiuto perché “l’editore non ha capito l’importanza del mio romanzo per il panorama editoriale”… ma questa è un’altra storia.
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L'articolo Come (non) mandare il tuo libro a un editore proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
March 18, 2020
Stravolgere un libro: sì o no?
Stravolgere un libro: sì o no?
Dilemma impervio e antipatico, come tanti altri che riguardano il rapporto scrittore-editor.
Tuttavia a volte si rende necessario; sì, necessario stravolgere un libro.
Ma perché? E perché in certi casi non conviene?
[image error]Image by Steve Buissinne from Pixabay
Un matrimonio che s’ha da finire…
… quello tra editor e scrittore.
O forse dovrei meglio dire: tra editor e libro che dovrà correggere.
Immagine strana, ne convengo, e forse anche un poco paradossale.
Eppure, succede.
Magari proprio a te che stai leggendo, magari hai inviato un libro a un editor privato o a una casa editrice, e te lo rimandano completamente stravolto.
Sì, stravolto è il termine giusto.
Stravolto nella scrittura, stravolto nella trama, nei personaggi…
E tu ti metti le mani nei capelli e ti chiedi: perché, perché, PERCHÉ?
Il divorzio, come immagino, è alle porte; o comunque poco oltre.
Cerchiamo però di capire perché un editor, o un team di editor, dovrebbe cambiare dalla A alla Z il tuo libro.
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Trama o scrittura…
… a volte hanno bisogno di una bella ripulita.
Magari il tuo stile è eccessivamente prolisso e quindi necessita di una severa rilettura volta a rimodulare frasi e periodi poco chiari e difficili (come in questo caso), oppure sei troppo ridondante e quindi eccessivamente pesante con periodoni colmi zeppi pregni di aggettivi avverbi e chi più ne ha più ne metta.
In italiano tendiamo a complicarci le cose (me compresa), e per dire una frase di due parole ne usiamo quattro o cinque. “Allo scopo di” diventa un tranquillo “per”, e così via.
È normale, quindi, che se scrivi in questo modo il tuo romanzo venga ripulito e alcuni punti riscritti in maniera più semplice. Deve avere impatto e, soprattutto, essere leggibile dal futuro lettore.
La trama è un altro punto debole. Ci potrebbero essere passaggi o scene che non servono a niente, se non a confondere, che l’editor rimuove; o, al contrario, passaggi che andrebbero approfonditi, e l’editor integra mettendoci del suo (o chiedendo a te di farlo).
Chiedere un lavoro di editing e vedersi rispedito il manoscritto con ben poche correzioni significa due cose: o il tuo libro davvero non ne ha bisogno (e succede, fidati!), oppure l’editor non ha fatto bene il suo lavoro. O ancora, hai beccato una casa editrice poco seria (e ce ne sono).
Ma cosa succede quando le modifiche che ti hanno apportato al libro… come dire… non c’entrano nulla e soprattutto non servono a nulla?
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Editor egocentrici e case editrici ancor di più
Anni fa, quando mi sono approcciata per la prima volta a questo bel lavoro, ovviamente ho divorato subito tantissimi manuali di scrittura creativa.
Tra i tanti, me ne è balzato all’occhio uno, molto ben fatto, tra l’altro, che proponeva anche alcuni esercizi di editing, dal testo originale a quello corretto, e poi pubblicato.
Be’, la differenza era enorme. Il testo, certo, scorreva meglio nella versione editata, ma col senno di poi mi ritrovo a pensare che forse gli editor avessero, come si suol dire, fatto il passo più lungo della gamba.
Io appartengo a quella categoria di redattori che cerca di mantenere quanto possibile lo stile dello scrittore, e se ci metto del mio tento di mascherarmi dietro il sipario, evitando finché posso termini o modi di formulare una frase tipicamente miei.
L’idea di riscrivere da capo un paragrafo senza motivo se non quello di renderlo migliore agli occhi (e alla vanità) di chi corregge, la trovo aberrante ancora oggi.
Diciamocelo: l’editing non è una gara tra lo scrittore e l’editor per vedere chi è più bravo.
Per non parlare poi di chi aggiunge personaggi e altro di testa sua e senza alcuna motivazione (o motivazione sensata)!
Come mi disse uno scrittore a cui era successo proprio questo, “siamo nell’editing o nel ghostwriting?”
In effetti, il confine è molto labile.
Ovviamente, se la storia lo necessita (e la storia, o trama, ricordiamolo, è sempre la protagonista), è fondamentale inserire qualcosa di più, anche un personaggio (che è un inserimento pesante, poiché si presuppone abbia un ruolo importante, sennò perché inserirlo?).
Se non serve, però, lasciamo a casa l’ego e torniamo umili.
Un breve esempio per chiarire meglio questo passaggio.
Hai iniziato la storia parlando di Mario, il protagonista. Proseguendo introduci anche altri personaggi, come Luigi, che alla fine avrà un ruolo molto importante. Purtroppo Luigi viene considerato poco o niente, e il suo ruolo importante “stona” con il poco peso che ha nella narrazione. L’editor potrebbe chiederti di approfondire Luigi, magari con dei flashback sulla sua vita o inserendo scene con il suo punto di vista. È normale, e la storia ne gioverebbe.
Se invece ci sono già i personaggi giusti, Mario, Luigi, Wario, Toad e la bella Peach, e tutti sono funzionali alla storia (e soprattutto non ne servono altri), inserire Koopa Troopa stravolgerebbe tutto.
È come se nel mio romanzo “Io sono l’usignolo” l’editor avesse voluto aggiungere un personaggio in più, un’amica di Rachele, oppure avesse voluto approfondire la vita di Riccardo, che ha un ruolo marginale e di solo “supporto” al protagonista Rubino.
Occorre quindi distinguere tra revisioni necessarie e revisioni che non servono a nulla, come dicevo prima, se non ad aumentare l’ego dell’editor.
In caso contrario c’è davvero il rischio di sconfinare in un ghostwriting, magari nemmeno voluto.
L'articolo Stravolgere un libro: sì o no? proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.


