Alessio Brugnoli's Blog, page 271
January 21, 2014
Sempre sull’ibridazione
Per riprendere il discorso sulle polemiche relative alla fantascienza italiana, do visibilità a un intervento del buon Pier Luigi Manieri, scrittore e saggista, tra l’altro autore di una monografia su Carpenter che è stata testo fondamentale del corso di cinematografia dell’Università di Torino
Ciao Alessio, a parte che “ibridazione” mi dà i brividi più dei generi
catastrofici /contagi/esperimenti genetici – nelle nostre “speculazioni”- modo più elegante per definire il nostro amabile cazzeggio – ci ritroviamo a concordare sul fatto che si codifica, classifica, tenta di formalizzare eccessivamente. E spesso senza alcun bisogno o richiesta. Faccio un esempio, ho difficoltà a pensare che quando Michael Garrison creò Wild Wild West, avesse in mente lo steampunk, mi pare più verosimile che abbia voluto mettere in scena qualcosa di veramente nuovo, western + spionaggio + fantascienza. Ma anche così, siamo nella direzione giusta o stiamo nuovamente catalogando?
Quali sono i confini dell’uno e dell’altro? E volendolo considerare “steampunk ante litteram” essendo in anticipo di 20 anni rispetto agli anni 80 dove il “genere” – e ci risiamo – raggiunse forma definitiva, ciò non determina un altro spazio di confronto circa l’anacronismo del medesimo ambito letterario? Guardando a noi stessi, Il Decamerone è certamente opera fondamentale del patrimonio letterario mondiale, ma in termini generali è la vicenda di un manipolo di sopravvissuti ad un’epidemia su scala planetaria. Che facciamo, lo ricollochiamo tra la narrativa di genere fantastico e nella fattispecie, di sottogenere post-apocalittico? Insomma, non valgono forse di più le intenzioni dell’autore che non le esigenze di ragionare per associazioni d’idee? Lo strano caso del dott. Jekyll e Mr. Hyde come va inteso? E Il Ritratto di Dorian Gray? Alan Moore ha offerto la sua personale visione o può esser accolta e assimilata come oggettiva? E il Faust di Goethe?
January 20, 2014
Fantaliguria
Do visibilità a un bel progetto di Claudio Asciuti e segnalatami da Giampietro Stocco che si ricollega bene alla battaglia che sto combattendo per lo sviluppo di una narrativa fantastica ambientata in Italia.
Tenterò, tempo permettendo, di partecipare al progetto, anche se, per mia ignoranza, la Liguria oltre Genova per me è terra incognita..
L’idea di un’antologia incentrata sulla narrativa fantastica ligure può sembrare, sotto un certo profilo, perlomeno strana; si tratta di una regione non certo aperta a nuovo, e nessuna delle sue città ha mostrato interesse particolare per il fantastico o la fantascienza, come è stato per altre; al contrario una fiorente industria di noir e gialli ha cominciato a svilupparsi negli ultimi decenni creando un’ampia scuderia, per numero se non per qualità, di scrittori.
E in Liguria invece vive, e ben nascosta. una lunghissima tradizione fantastica. A Genova vi fu un bienno in cui Salgari visse e lavorò per l’editore Donath, tedesco di discendenza ma ivi operante, per cui diresse in seguito Per terra e per mare, una delle riviste in cui all’avventura si mescolava la protofantascienza e il fantastico. E se andassimo a rovistare nella letteratura “alta” troveremmo diversi esempi di autori di materiali fantastici: a cominciare dal primo giallista italiano, Alessandro Varaldo, un imperiese, che nel 1913 pubblicò Mio zio il diavolo che contiene parecchi spunti fantastici, a Egisto Roggero che con Nao-ne (1928) scrive la propria utopia naturista.
In anni più recenti basti pensare poi al più “antico” autore di fantascienza ligure, Remo Guerrini, che esordì con il racconto L’ultimo (1964); in seguito, sebbene con minor presenze rispetto ad altre grandi città, si è sviluppato un certo numero di autori di letteratura di genere fantastica e/o fantascientifica, tenuti a battesimo dalla rivista La Bancarella di Gualtiero Schiaffino; a partire dalla fine gli anni Settanta una serie di presenze collettive: fanzine come Crash, e Kadath, gruppi di performer come Il collettivo delle Ombre, il gruppo genovese di Un’ambigua utopia, a Pietra Ligure associazioni come il SY-3 e il Japanese Film Center, o iniziative come l’UFO che ha organizzato la rassegna Fantastica/mente: una realtà costante, una fluttuazione di gente e di lavoro.
Da ciò l’idea di proseguire con mettendo a confronto un insieme eterogeneo di scrittori auctoni che accompagnati da scrittori di altre regioni ma interessati al progetto pensassero la Liguria come un territorio teatro di materiali fantastici. La condizione imprescindibile è che i racconti siano significativamente ambientati in Liguria o che trattino temi connessi; il che non significa fare del folklore ad ogni costo, come succede spesso con i “gialli” di ambientazione ligure, a cui bastano un po’di caruggi, focaccia e vin bianco per fare atmosfera, ma lavorare in base ad una riconoscibilità locale non di superficie.
Un racconto marino, ad esempio, va bene se l’ambiente è riconoscibile (e non sostituibile) con analogo panorama marino in cui la spiaggia è la nostra spiaggia di ciottoli e con scogliere aguzze, e non la grande e ampia spiaggiata del litorale, poniamo, romagnolo o ostiense; così come un racconto ambientato sui monti si deve manifestare nella forma del monte appenninico, con relativa orografia e fauna, e non quello alpino con nevi eterne, camosci e morene. Così un racconto cittadino ha senso quando si ambienta in una città che è perfettamente riconoscibile per città ligure, e che non può essere di conseguenza intercambiabile: sebbene si alzino in senso verticale dalla costa ai monti, Genova, Trieste e Napoli sono simili ma non necessariamente rappresentabili nel medesimo modo; ciò che si vive (e si racconta) in una non può essere raccontato nell’altra. Motivo per cui l’ambientazione non è fine a sè stessa: la riconoscibilità è veicolata proprio dal fatto di attingere in qualche modo all’orizzonte geografico e culturale, alla psicologia dei luoghi e delle persone, a quei possibili spunti che il territorio offre: dal ciclo delle sedute ultrafaniche di Millesimo ai fantasmi di Portofino; dalle apparizioni del fantasma della monaca di Rapallo, al misterioso buranco savonese; dal caso di abduction di Fortunato Zanfretta, alla base UFO sul monte Verugoli di La Spezia, e così via…
Il risultato ottimale sarebbe quello di coprire tutto l’arco della Liguria, in modo da avere racconti ambientati in diversi territori; Genova che sarà di certo la più gettonata, La Spezia o Imperia o Savona, la riviera di ponente e levante, gli Appennini liguri e i confini con quelli emiliani, l’area della “Lunezia”, le Cinque Terre, il Beigua e così via; ambientazione che si scontra con uno dei problemi insolubili della narrativa fantastica italiana, abituata ai mondi americani ma sopratutto inglesi. In effetti riuscire a immaginare una trama in territorio nazionale non è operazione molto semplice, immaginarla in uno circoscritto come una regione ancora peggio, ma è proprio quel che ci permetterà di mantenere un’identità. Che i racconti parlino, bene o male, della Liguria, che la sua raffigurazione sia sia vera o falsa, moderna o antica, impressionista o calligrafica ha scarsa importanza; basta che abbia una insostituibilità, cioè una connotazione per cui ciò che avviene è tale perchè siamo in Liguria o si riconosce come tale e non possa essere sostituita con altra regione.
L’antologia, inoltre, è di “narrativa fantastica”, e il concetto è inteso nel modo più ampio, riconoscendo dignità di stampa a tutte le suddivisioni del fantastico, dal fantasy alla fantasia eroica, dal gotico al weird, passando attraverso il nero e l’horror; viene esclusa la fantascienza.
Per ciò che riguarda il testo, di una lunghezza non superiore alle venti cartelle standard. vi è massima libertà espressiva; il limite temporale è previsto per la fine di giugno, in modo di poter lavorare durante l’estate a mettere in forma l’antologia così che sia pronta per la stampa a settembre-ottobre. Ogni autore dovrà poi spedire una breve bio-bibliografia aggiornata della lunghezza massima di una ventina di righe, che sarà poi cura della redazione rendere omogenee.
L’antologia verrà introdotta dal curatore, che avrà cura di spiegare ai lettori il lavoro e di presentare gli autori; Stefano Roffo scriverà una breve postfazione resocontando l’esperienza: l’editore De Ferrari pubblicherà il testo in formato cartaceo e e-book.
Claudio Asciuti
gennaio 2014
Ibridazione che brutta parola !
Discussione che è saltata fuori di nuovo, grazie al buon Dario Tonani che su Facebook ha scritto
Certe polemiche sulla fantascienza italiana non finiscono mai di stupirmi. Leggo – contrariandomi anche un po’ – che gli autori nostrani sarebbero troppo legati a trame pulp & noir, ai techno-detective, alla cupezza degli ambienti, al postapocalittico. Pur essendo chiaro a tutti che la SF da sola in Italia fa tremenda fatica a stare in piedi, si chiede agli autori di non curarsene e di evitare come la peste le ibridazioni o magari di sterzare verso territori più fecondi. Risultato? Non so, fate un po’ voi…
Ciò ha generato una discussione che, per miei limiti culturali e intellettuali, ho difficoltà a seguire. A naso, condivido tutte le perplessità di Dario.
Dal mio punto punto di vista, assai banale, esiste la Narrazione, il raccontare storie secondo un limitato insieme di strutture, classificate in illo tempore dal buonanima di Propp.
Strutture che possono essere mischiate o complicate, ma che sempre quelle rimangono.
Il genere è una costruzione a posteriori, a volte di secoli, nata dai tentativi soggetti di alcuni, chiamiamoli critici o intellettuali, che hanno sezionato la Narrazione in sottoinsiemi, identificandoli secondo quelli che per loro erano elementi comuni.
Suddivisione che poi viene, per abitudine o utilità, canonizzata, ma non è detto sia stabile nel Tempo.
Quindi discutere se una cosa è fantascienza o no, se ci deve essere più pulp e meno postapocalisse, la vedo cosa sterile. Tra qualche secolo, magari le opere che consideriamo di sci-fi saranno classificate in tutt’altro modo: per cui è meglio concentrare le nostre riflessione, più che sull’identità, sul fatto che le storie funzionino o no e sappiano comunicare qualcosa…
January 16, 2014
Altra recensione su Hydropunk
Benché la giornata sia piena, sono riuscito a trovare un attimo per dare giusta visibilità ad una recensione su goodreads di Hydropunk, scritta dal buon Finrod
Ho apprezzato questa antologia molto di più della precedente, “Deinos”, che era stata curata da Mr. Giobblin, e dove avevo trovato troppo simili le trame dei vari racconti.
In ogni caso anche in questo caso c’è un elemento di unione, e tutti i racconti sono ambientati in un XX secolo dove le acque hanno sommerso o stanno sommergendo la terraferma, e al loro seguito sono arrivate creature misteriose e molto pericolose.
I miei racconti preferiti sono “Sotto Pressione” di Falciani, “Nuovo Mondo” di Trevisan, “Scogliere” di Brugnoli e poco più in basso “L’arcipelago di Ulisse” di Geta, ma a dire il vero mi sono piaciuti tutti (beh, quasi… forse un paio non molto) e l’antologia merita assolutamente la lettura, è gratis ma la qualità è migliore di tanti eBook commerciali.
Condivido il giudizio sull’ottimo lavoro di Mr. Giobblin di cui è ammirevole sia l’impegno, sia la passione che mette nel curare le antologie e sono lusingato dal giudizio positivo su Scogliere (Finrod, che ti è piaciuto in particolare). Tra l’altro, essendo quel racconto poco più che un abbozzo, in futuro mi piacerebbe ampliarlo, trasformandolo in qualcosa di più compiuto..
January 15, 2014
Aspettando il tram
Nel mezzo del cammin di nostra vita
così narrava un vecchio e trito poeta
che tanto mi annoiava nei lenti giorni
che mi arenavo pigro nella scuola
Senza accorgermi di nulla improvvisa
giunta è l’età di cui si lamentava
così mi ritrovo al freddo aspettando
un tram sferragliante nell’alba stanca
di recitare ogni giorno commedie
che non fan più sorridere nessuno
Tarda la luce nel bar del cinese
con un vecchio travestito che aspetta
nella città che nasce caffè e sogni
Barboni incerti frugano rifiuti
grigi e inerti come in un quadro di Munch
gridando silenziosi nella luce.
Ora attendo il futuro spaventato
più dall’indifferenza quotidiana
che dall’aspettare la morte in vita
Campi di concentramento austroungarici
Uno degli argomenti meno noti della Prima Guerra Mondiale è quello relativo ai campi di concentramento dell’Impero Austroungarico.
Non quelli in cui erano internati i nostri soldati che pure se la passavano molto male, sia l’ostilità dovuta a quello che gli Imperi Centrali consideravano un tradimento da parte di Roma, alla fame, per il blocco atlantico Austria e Germania non avevano cibo per i loro cittadini, pensiamo per i prigionieri di guerra, e per una delle solite iniziative di Cadorna che vietò alla Croce Rossa di assisterli.
Molti si salvarono dalla morte per inedia per il buon cuore di Maria Sofia di Baviera, vedova di Franceschiello e ultima regina del Regno delle due Sicilie.
Chissà cosa passava nella testa dei nostri soldati, nel trovarsi davanti un’anziana signora che parlava la loro lingua con uno strano accento tedesco-napoletano e che chiedeva notizie soprattutto dei paesi del Sud e che in ogni pacco pieno di cibo metteva sigari e bonbon
Tra l’altro, i prigionieri austro ungarici in Italia, se la passavano lievemente meglio. Trascurando i casi dell’Asinara, dove la nostra solita disorganizzazione non fu in grado di fronteggiare l’emergenza sanitaria causata dalla ritirata serba, e di Altamura, dove l’epidemia di spagnola fece indifferentemente strage di italiani e di austriaci, i prigionieri di guerra austriacidiverse tutele: utilizzati nel lavoro coatto, nell’agricoltura e nei lavori pubblici, come la costruzione della ferrovia Roma Lido, il loro l’orario di lavoro non doveva superare le 10 ore e veniva considerato lavorativo il tempo di trasferimento da e per gli alloggiamenti.
Riposavano durante i giorni festivi e per il lavoro svolto la paga doveva essere corrispondente a quella percepita dagli operai civili che svolgevano nello stesso luogo la stessa mansione (secondo un’altra fonte, però era pari alla diaria dei nostri soldati, ossia 5 lire).
I campi di concentramento austroungarici erano destinati a civili: non gli Italiani, i Reichitalianer, che allo scoppio delle ostilità furono accompagnati alle frontiere senza troppo patemi d’animo, ma i Volkitalianer, i cittadini austroungarici italofoni che molto spesso erano sudditi degli Asburgo da 500 anni, più di ungheresi, slavi e boemi e che erano alieni da qualsiasi forma di irredentismo.
I lager per italofoni e ladini furono: Wagna, Mitterndorf, Pottendorf, Tapiosuli, Katzenau, Gollersdorf, Fischa, Talerhof, Mistelbach, Braunau Am Inn, Beutschbrod, Traunstein, Gmund e Liebnitz ed altri.
Complessivamente i reclusi, in maggioranza donne e bambini, si stima siano stati circa 185.000, anche se altri, partendo da una stima di De Gasperi, parlano di cifre ben più alto.
Lager in cui era vietato l’accesso alla Croce Rossa e in cui il tasso di mortalità era pari al 20%. Un crimine compiuto da uno stato contro i suoi stessi cittadini: la cosa buffa è che l’averne accennato ha provocato reazione inconsulte da parte di europeisti convinti, che mi hanno accusato di demonizzazione del nemico, come se la memoria fosse un reato.
Secondo me, molto dipende dal cosiddetto “Effetto Sissi”: la mitizzazione dell’Impero Austroungarico, trasformato in immagine e profezia dell’UE.
Non è proprio così: l’Austro Ungheria, nonostante i suoi meriti amministrativi e culturali, era uno stato con forti disparità economiche e sociali (per esempio in Boemia e a Vienna il tasso di analfabetismo era al 2%, in Ungheria al 33%, in Dalmazia al 63%) flagellato dall’odio etnico, in cui si applicava una sorta di apartheid nei confronti di alcuni popoli e guidato da una classe dirigente razzista, antisemita e pronta a scaricare le tensioni interne all’esterno, tramite la guerra.
Grazie al cielo, nonostante le mie perplessità e i suoi difetti, l’UE non è così…
January 14, 2014
Cardiopatici
Roma non è solo La Grande Bellezza o i maiali che pascolano per strada: è un universo ricco di sfumature e contrasti. Proprio questa la rende sorgente di infinite ricerche e sperimentazioni, humus di numerose avanguardie.
Una di queste è il movimento poetico dei cardiopatici. Se i connettivisti, eredi di Schopenhauer, vanno oltre il velo di Maya per concentrarsi sul noumeno caotico, che trascende Morale e Ragione, i cardipatici affermano l’inconoscibilità della natura profonda delle cose, per concentrarsi sulla loro crudele apparenze.
E ciò si concretizza nelle seguenti scelte stilistiche:
1) Lo spontaneismo creativo che porta a rompere qualsiasi distinzione tra prosa e poesia
2) Il linguaggio concreto, duro, per rappresentare le contraddizioni della nostra condizione umana.
3) L’iperrealismo, che non trascende la realtà, come quello pittorico, ma mostra il vuoto della doxa.
4) I temi urbani che come in Sironi, rappresentano una metafora della tragedia esistenziale, con la fatica e la solitudine di vivere.
5) Il vivere la scrittura con tutto il corpo, nella dimensione nietzscheana dell’Amor Fati. Non possiamo essere nulla più della nostra carne contingente, allora diamole infinito valore.
Così nasce una poesia dura e concreta che molto ricorda alcune sperimentazioni del Futurismo…
Prime segnalazioni 2014
Riprendo la vecchia tradizione di segnalare cose per me interessanti. La prima è l’uscita del nuovo numero della rivista connettivista Next, in cui, tra le tante cose interessanti, vi è un mio articolo sul Loverismo, nel tentativo di trovare un filo conduttore tra le diverse avanguardie che stanno animando la scena culturale italiana.
A mio avviso, nella loro differenza di stili, obiettivi e linguaggi, una cosa accumuna entrambe le avanguardie: andare oltre l’apparenza, scoprendo la struttura tragica del Reale, per trascenderla nella creazione.
Per chi volesse saperne di più sul Loverismo, consiglio di visitare la personale di Silvia Faieta al Centro Elsa Morante, di cui evidenzio il catalogo on line
Infine, udite, udite, è uscita la prima recensione di Hydropunk. Se dovessi dare retta alla tradizioni, dovrei coprire di contumelie l’autore del post.
In verità ha perfettamente ragione: il racconto è stato scritto in fretta in furia e mai revisionato… Ed è stata una gran sorpresa e soddisfazione, nonostante fosse poco più di un abbozzo, trovarlo nell’antologia.
January 13, 2014
CORPUS NON ANIMUM CONFLIGETIS Stella “littlepoints…” Venturo – solo show
Inaugurazione 16 Gennaio – h.18
Dal 16 Gennaio all’1 Febbraio 2014 – GALLERIASTUDIO 44
Corpus non Animum Confligetis
Dal latino: colpirete il corpo, non le idee.
Costruirsi in testa una fortezza inespugnabile ma con tante finestre, per avere luce dentro e poter guardare fuori.
“Un’arte fatta di tratti semplici che ci fanno rivivere lo stupore che da bambini provavamo davanti al Mondo e arricchiscono la Realtà con la poesia del Sogno, distillando la parte migliore di noi.
Un’arte in cui il paradosso non svolge il ruolo di maestro di sospetto, ma di fiaccola di libertà, capace di insegnarci a guardare il quotidiano sotto aspetti differenti, evidenziando gli infiniti, fantastici universi nascosti dietro il Banale che, per pigrizia o abitudine, preferiamo ignorare.” [Togaci Arte]
Stella “littlepoints…” Venturo è nata a Roma nel 1981. Dopo essersi diplomata alla Scuola Internazionale di Comics come illustratrice, si dedica alla pittura acrilica su legno, senza escludere lavori in digitale, tele, incisioni su linoleum, inchiostri e acquarelli.
littlepoints… (si scrive: minuscolo, tutto attaccato e con i puntini), ha tre piccoli punti sotto l’occhio che si disegna tutti i giorni.
Attualmente vive a Genova dove continua a disegnare su un tavolo nuovo.
Come illustratrice e grafica collabora con diverse realtà editoriali (Carta, Banlieue, Cadillac Magazine, Zero, Quaderni dei Teatri di Roma, VoiciLaBombe).::::::::
GALLERIASTUDIO 44 – Vico Colalanza 12r – Genova
Orario di apertura: da giovedì a sabato ore 16 – 19
mail: galleria_studio44@yahoo.it
Natività con i Santi Lorenzo e Francesco
Quando scendo a Palermo, torno sempre a dare un’occhiata all’oratorio di San Lorenzo, sia per la gentilezza dei ragazzi che la custodiscono, sia per godermi il trionfo degli stucchi del grande e sottovalutato Serpotta.
Ogni volta che guardo sull’altare, mi viene una rabbia, nel vedere l’immagine che sostituisce il quadro di Caravaggio
Natività con i Santi Lorenzo e Francesco
rubato decenni fa dalla Mafia e mia più ritrovato: secondo vari pentiti finì addirittura distrutto in una porcilaia
Giovan Pietro Bellori, insieme ad altri biografi dei secoli passati, aveva sostenuto che la natività di Palermo era stato commissionato nel 1609 dalla Compagnia dei Bardigli e dei Cordiglieri, ipotizzando un presunto soggiorno palermitano del pittore.
Lo studioso Giovanni Mendola, in un libro pubblicato dalla Kalòs, la cui attività nell’esplorare e valorizzare l’arte siciliana non è mai troppo elogiata, invece nega questa ipotesi
Non esistono documenti che attestano tale commessa, nè la presenza in città del Merisi: di fatto, dato il suo caratteraccio e la tendenza a mettersi nei guai, difficilmente sarebbe passato inosservato.
Inoltre, dal confronto con i quadri eseguiti in Sicilia nello stesso anno a Messina e Siracusa si notano differenze stilistiche, anche se bisogna vedere quante di queste dipendano dalla volontà del committente, una confraternita abbastanza conservatrice, e dai limiti della riproduzione fotografica
Mendola formula così alternativa l’ipotesi che questo quadro sia stato dipinto nel periodo romano e dunque intorno al 1600 su commissione del commerciante Fabio Nuti che negli successivi donò l’opere all’oratorio palermitano, terminato nel 1595 sul sito di una “chiesa dedicata a San Lorenzo antichissima” concessa ai confratelli nel 1569.
Da un documento evidenziato da Mendola, appare come Muti il 5 aprile del 1600, mentre l’artista era impelagato tra la Cappella Cerasi e la Cappella Contarelli, commissioni a Caravaggio un dipinto di palmi 12 per 7 o 8, misure sostanzialmente coicidenti con quelle del quadro di Palermo.
Per di più, per evitare strane iniziative da parte del Caravaggio, Nuti consegnò al pittore un disegno a cui attenersi.
Il quadro citato appare terminato il 20 novembre del 1600. Tuttavia il tema dell’opera non appare specificato…
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