Andrea Viscusi's Blog: Unknown to Millions, page 35
May 15, 2017
Doctor Who 10x05 - Oxygen
Nelle serie tv si tende spesso a sottovalutare l'autore che scrive i singoli episodi, soprattutto per le serie più moderne che costituiscono una storia unica divisa in più capitoli, dove l'apporto alla scrittura è dato soprattutto dall'autore principale. Nelle serie invece con episodi più indipendenti tra loro, come possono essere quelle investigative o il qui presente
Doctor Who
, il contributo di uno specifico autore può spesso essere determinante, ricordiamo ad esempio come Steven Moffat prima di diventare lo showrunner ha scritto alcuni degli episodi più memorabili della serie rinnovata fin dalla stagione uno (The Empty Child, Blink, Silence in the Library). Abbiamo avuto un caso recente di un autore che ha dimostrato per due volte (nella stagione otto e dieci) di avere le idee un po' confuse, mentre invece Jamie Mathieson è un nome che sembra associarsi a episodi di qualità, se non altro solidi e coerenti dal punto di vista della scrittura e con qualche twist azzeccato.
Con Oxygen abbiamo la prima avventura spaziale di Bill, che finora era stata nel passato e nel futuro, ma sempre con i piedi solidamente per terra (al più sott'acqua). Il Dottore si lascia prendere dalla nostalgia dello Spazio e porta la nuova companion e Nardole con sé su una stazione mineraria semiabbandonata. Lo sfruttamento del personale su questa stazione è tale da far pagare ai lavoratori anche l'ossigeno, presente in scorte limitate e di cui molto presto anche il trio di nuovi arrivati ha bisogno (Nardole dovrebbe essere un mezzo androide ma a quanto pare conserva ancora diverse funzioni fisiologiche). A complicare le cose c'è il fatto che i 36 operai asfissiati finora non se ne stanno morti come dovrebbero, ma seguono i sopravvissuti cercando di terminare anche loro. L'impressione è quella di un'orda di zombie, spiegata dagli automatismi delle tute spazial in grado di muoversi da sole, anche con il loro occupante inerte.
L'episodio è ben costruito perché riesce a creare in maniera impeccabile la sua tensione. Qualcuno nel team di DW si è accorto di quanto Peter Capaldi renda bene nei monologhi, e così la puntata inizia con una sua lezione tenuta all'unversità proprio sui rischi dell'esposizione al vuoto dello spazio. Un infodump che si rivela utile quando mezza puntata dopo, è Bill (che aveva seguito la lezione) a trovarsi nella situazione di dover attraversare l'esterno della stazione spaziale senza protezioni. Sono attimi intensissimi: si sa quello che può succedere e non c'è modo di evitarlo, il Dottore cerca di ricordarle cosa fare per aumentare le possibilità di sopravvivenza, i sensi si offuscano, e tutto finisce nel buio. Naturalmente Bill non muore, ma ci va di nuovo vicina poco dopo, quando il Dottore sembra abbandonarla agli zombie-tute (il modo in cui Bill sopravvive a questo è forse l'unico dettaglio un po' stonato e incoerente con quanto visto prima). Il Dottore alla fine riesce a fermare la minaccia dando agli aggressori quello che vogliono, in una scena che ricorda il finale di Mummy on the Orient Express sempre di Mathieson.
Ma la vittoria non è indolore. Il Dottore ha sofferto una perdita non da poco ed è rimasto cieco. E se un in un primo momento le cure disponibili sul Tardis sembrano risolvere il problema, si scopre che in realtà non è così, la vista non è tornata. È molto raro che le azioni di un episodio si ripercuotano sui successivi, in genere anche se c'è un generico "progresso" della storia (soprattutto nelle relazioni tra i personaggi e negli elementi che vengono aggiunti all'arco narrativo della stagione), ogni puntata è un capitolo a sé e all'inizio di quella successiva le condizioni di partenza si resettano. Non stavolta. Naturalmente la speculazione si apre sul fatto che il Dottore possa rimanere cieco per tutto il resto della stagione oppure se sfutterà la rigenerazione per tornare a vedere. La mia teoria è che tenterà una rigenerazione "parziale" per ripristinare la vista, ma questo avvierà il processo che lo porterà inevitabilmente al cambiamento, e che sarà costretto a tenere sotto controllo nel corso degli episodi rimanenti.
Oxygen è un ottimo episodio (finora il migliore della stagione dieci) perché per la prima volta il pericolo si percepisce in modo serio. Merito non solo della scrittura, ma anche di regia e montaggio, che sottolineano con precisione i momenti più intensi. Voto: 8/10
Con Oxygen abbiamo la prima avventura spaziale di Bill, che finora era stata nel passato e nel futuro, ma sempre con i piedi solidamente per terra (al più sott'acqua). Il Dottore si lascia prendere dalla nostalgia dello Spazio e porta la nuova companion e Nardole con sé su una stazione mineraria semiabbandonata. Lo sfruttamento del personale su questa stazione è tale da far pagare ai lavoratori anche l'ossigeno, presente in scorte limitate e di cui molto presto anche il trio di nuovi arrivati ha bisogno (Nardole dovrebbe essere un mezzo androide ma a quanto pare conserva ancora diverse funzioni fisiologiche). A complicare le cose c'è il fatto che i 36 operai asfissiati finora non se ne stanno morti come dovrebbero, ma seguono i sopravvissuti cercando di terminare anche loro. L'impressione è quella di un'orda di zombie, spiegata dagli automatismi delle tute spazial in grado di muoversi da sole, anche con il loro occupante inerte.L'episodio è ben costruito perché riesce a creare in maniera impeccabile la sua tensione. Qualcuno nel team di DW si è accorto di quanto Peter Capaldi renda bene nei monologhi, e così la puntata inizia con una sua lezione tenuta all'unversità proprio sui rischi dell'esposizione al vuoto dello spazio. Un infodump che si rivela utile quando mezza puntata dopo, è Bill (che aveva seguito la lezione) a trovarsi nella situazione di dover attraversare l'esterno della stazione spaziale senza protezioni. Sono attimi intensissimi: si sa quello che può succedere e non c'è modo di evitarlo, il Dottore cerca di ricordarle cosa fare per aumentare le possibilità di sopravvivenza, i sensi si offuscano, e tutto finisce nel buio. Naturalmente Bill non muore, ma ci va di nuovo vicina poco dopo, quando il Dottore sembra abbandonarla agli zombie-tute (il modo in cui Bill sopravvive a questo è forse l'unico dettaglio un po' stonato e incoerente con quanto visto prima). Il Dottore alla fine riesce a fermare la minaccia dando agli aggressori quello che vogliono, in una scena che ricorda il finale di Mummy on the Orient Express sempre di Mathieson.
Ma la vittoria non è indolore. Il Dottore ha sofferto una perdita non da poco ed è rimasto cieco. E se un in un primo momento le cure disponibili sul Tardis sembrano risolvere il problema, si scopre che in realtà non è così, la vista non è tornata. È molto raro che le azioni di un episodio si ripercuotano sui successivi, in genere anche se c'è un generico "progresso" della storia (soprattutto nelle relazioni tra i personaggi e negli elementi che vengono aggiunti all'arco narrativo della stagione), ogni puntata è un capitolo a sé e all'inizio di quella successiva le condizioni di partenza si resettano. Non stavolta. Naturalmente la speculazione si apre sul fatto che il Dottore possa rimanere cieco per tutto il resto della stagione oppure se sfutterà la rigenerazione per tornare a vedere. La mia teoria è che tenterà una rigenerazione "parziale" per ripristinare la vista, ma questo avvierà il processo che lo porterà inevitabilmente al cambiamento, e che sarà costretto a tenere sotto controllo nel corso degli episodi rimanenti.
Oxygen è un ottimo episodio (finora il migliore della stagione dieci) perché per la prima volta il pericolo si percepisce in modo serio. Merito non solo della scrittura, ma anche di regia e montaggio, che sottolineano con precisione i momenti più intensi. Voto: 8/10
Published on May 15, 2017 10:29
May 11, 2017
Ultimi acquisti - Aprile 2017
È un dato di fatto ormai che i miei acquisti musicali si sono notevolmente ridotti da un anno a questa parte, infatti gli ultimi risalivano a ottobre. Certo il portafoglio ringrazia, ma lo stimolo che arrivava ogni due-tre mesi da nuova musica è qualcosa che a tratti mi manca. Cerchiamo se non altro di compensare con la qualità.
Tra i nuovi acquisti c'è un album di cui ho già parlato, perché mi ha sorpreso oltre ogni aspettativa.
Voyage de la planète
di Marc Romboy è un disco che unisce in maniera sublime due generi apparentemente antitetici, musica classica ed elettronica, con una chiave tematica gustosamente fantascientifica. Non serve aggiungere altro a quanto già ampiamente espresso nel post dedicato, quindi rimando a quello.
Altro album di cui non mi rimane molto da parlare è Live dei Moderat. Si tratta come intuibile di una versione live dei pezzi del gruppo, registrato durante il tour del 2016 tra Berlino e Milano. Non contiene solo pezzi tratte dall'ultimo album III (di cui ho parlato qualche mese fa) ma anche dei due precedenti. Si trovano così le interpretazioni sul palco di pezzi diventati classici come A New Error e Bad Kingdom, così come le nuove aggiunte come Reminder e Intruder. Di scarsa consolazione per chi avrebbe potuto essere presente, ma comunque coinvolgente.
Passiamo alle novità anche se ci manteniamo sui nomi familiari di questo blog. Fritz Kalkbrenner si è visto spesso da queste parte, sia parlando dei suoi album che per l'inclusione in diversi miei dj set. Il suo lavoro
Grand Départ
è uscito verso la fine del 2016 e l'ho recuperato solo adesso. Tredici pezzi techno-folk come ci ha abituato da anni, col suo stile particolare e riconoscibile. Niente di stravolgente per la verità, un buon equilibrio tra tracce strumentali e lyrics e l'aggiunta di qualche strumento che contribuisce a rendere l'atmosfera per lo più malinconica di questo viaggio. Affidabile come sempre.
Nicolas Jaar è probabilmente quanto di più hipster troverete su questo blog in termini musicali. La sua house/downtempo avvolgente piace molto in certi ambienti, e devo dire che per molti versi piace anche a me. Pezzi lenti dari ritmi semplici con qualche incursione tribal, testi basilari e mai invadenti, attenzione ai suoni. Sirens, uscito anch'esso verso la fine del 2016, è un album tutto sommato di ascolto non così facile, con le sue poche tracce alcune delle quali al confine con l'ambient più astratta. Si percepisce però un criterio e un progetto, e l'impronta dell'autore, per quanto non assimilabile da tutti, è ben presente.
Infine torniamo da uno dei miei patroni favoriti della techno propriamente detta, il polacco Jacek Sienkiewicz, che ha fatto uscire
Hideland
l'anno scorso. Sienkiewicz è uno che non cede ai cormpromessi delle tendenze, la sua è una techno dritta, essenziale nella struttura ma complessa nella realizzazione. Pezzi psichedelici e ripetitivi, ma nonostante questo mai monotoni o uguali a se stessi, impossibili da ridurre a minimi termini. Siamo ovviamente dalle parti che i profani commentano con "ma è tutto così?", ma chi sa cogliere le sfumature può apprezzare la perenne asimmetricità e circolarità di ogni traccia. Non lo consiglio a chi è digiuno di techno old school.
Tra i nuovi acquisti c'è un album di cui ho già parlato, perché mi ha sorpreso oltre ogni aspettativa.
Voyage de la planète
di Marc Romboy è un disco che unisce in maniera sublime due generi apparentemente antitetici, musica classica ed elettronica, con una chiave tematica gustosamente fantascientifica. Non serve aggiungere altro a quanto già ampiamente espresso nel post dedicato, quindi rimando a quello.
Altro album di cui non mi rimane molto da parlare è Live dei Moderat. Si tratta come intuibile di una versione live dei pezzi del gruppo, registrato durante il tour del 2016 tra Berlino e Milano. Non contiene solo pezzi tratte dall'ultimo album III (di cui ho parlato qualche mese fa) ma anche dei due precedenti. Si trovano così le interpretazioni sul palco di pezzi diventati classici come A New Error e Bad Kingdom, così come le nuove aggiunte come Reminder e Intruder. Di scarsa consolazione per chi avrebbe potuto essere presente, ma comunque coinvolgente.
Passiamo alle novità anche se ci manteniamo sui nomi familiari di questo blog. Fritz Kalkbrenner si è visto spesso da queste parte, sia parlando dei suoi album che per l'inclusione in diversi miei dj set. Il suo lavoro
Grand Départ
è uscito verso la fine del 2016 e l'ho recuperato solo adesso. Tredici pezzi techno-folk come ci ha abituato da anni, col suo stile particolare e riconoscibile. Niente di stravolgente per la verità, un buon equilibrio tra tracce strumentali e lyrics e l'aggiunta di qualche strumento che contribuisce a rendere l'atmosfera per lo più malinconica di questo viaggio. Affidabile come sempre.
Nicolas Jaar è probabilmente quanto di più hipster troverete su questo blog in termini musicali. La sua house/downtempo avvolgente piace molto in certi ambienti, e devo dire che per molti versi piace anche a me. Pezzi lenti dari ritmi semplici con qualche incursione tribal, testi basilari e mai invadenti, attenzione ai suoni. Sirens, uscito anch'esso verso la fine del 2016, è un album tutto sommato di ascolto non così facile, con le sue poche tracce alcune delle quali al confine con l'ambient più astratta. Si percepisce però un criterio e un progetto, e l'impronta dell'autore, per quanto non assimilabile da tutti, è ben presente.
Infine torniamo da uno dei miei patroni favoriti della techno propriamente detta, il polacco Jacek Sienkiewicz, che ha fatto uscire
Hideland
l'anno scorso. Sienkiewicz è uno che non cede ai cormpromessi delle tendenze, la sua è una techno dritta, essenziale nella struttura ma complessa nella realizzazione. Pezzi psichedelici e ripetitivi, ma nonostante questo mai monotoni o uguali a se stessi, impossibili da ridurre a minimi termini. Siamo ovviamente dalle parti che i profani commentano con "ma è tutto così?", ma chi sa cogliere le sfumature può apprezzare la perenne asimmetricità e circolarità di ogni traccia. Non lo consiglio a chi è digiuno di techno old school.
Published on May 11, 2017 01:40
May 9, 2017
Doctor Who 10x04 - Knock Knock
Ogni tanto Doctor Who si concede di giocare con alcuni trope di altri generi come l'horror e reinterpretarli i chiavi fanascientifica, o quantomeno whoviana. Gli esempi più recenti sono la mummia e il mostro sotto il letto della stagione otto, ma ce ne sono molti altri sia nella serie moderna che in quella classica. In questo episodio torniamo a visitare una "casa stregata", cliché che a sua volta era stato rivisitato nella stagione sette nell'episodio Hide, anche se in quel caso si trattava esplicitamente di una casa infestata da un fantasma, mentre stavolta si parla più di un edificio sinistro in cui accadono strane cose.
Knock Knock nonostante si basi sulle assi scricchiolanti si regge bene nella prima parte. Bill e i suoi compagni di studi si trasferiscono nella nuova casa, incomprensibilmente economica per le dimensioni, e subito notano le varie stranezze, dai rumori all'inquietante proprietario. La tensione cresce bene fino a quando si arriva al punto in cui la casa sembra viva e dotata di una sua volontà di intrappolare gli occupanti, e alcune scene possono effettivamente far salire qualche brivido a chiunque abbia mai sentito suoni inspiegabili nel cuore della notte. La tensione però si smonta come maionese impazzita quando viene rivelata l'origine delle stranezze: non è un'entità-casa, ma la presenza di milioni di tarli (presumibilmente alieni) che infestano e anzi costituiscono la casa stessa. Insetti sotto il controllo del proprietario, che ha a sua volta un segreto più grande, e una ragione più profonda per la necessità di consumare un gruppo di ragazzi ogni vent'anni.
Diciamo pure che si arriva alla fine di Knock Knock soddisfatti è grazie soprattutto alle interpretazioni degli attori. In primo luogo il landlord, l'attore brittanico David Suchet (famoso soprattutto per il personaggio di Poirot nella longeva serie omonima) che riesce a rendere alla perfezione i diversi ruoli e atteggiamenti del suo personaggio: la sequenza più intensa dell'intero episodio funziona solo grazie a lui. Per Capaldi non c'è bisogno di ulteriori conferme, e la nuova companion continua a confermare la sua efficacia e alchimia con il Dottore. Ma bravi, pur nel loro ruolo marginale e per forza di cose macchiettistico, anche gli altri coinquilini. Gli attori rendono quindi l'episodio gradevole, perché se ci si fermasse a riflettere sulla storia, assurdità e incongruenze sarebbero troppo pesanti, insieme a qualche scelta di design poco originale (di creature-albero ne abbiamo già viste diverse, a partire dalla stagione uno fino a uno speciale natalizio di Matt Smith).
Non so se è un caso o un tema volutamente ricorrente, ma finora tutti gli episodi di questa stagione si basavano su un cattivo-che-non-è-davvero-cattivo, vuoi per necessità di compagnia, vuoi per un errore di interpretazione, o perché prigioniero o perché ha spinto all'estremo la sua necessità di proteggere qualcuno di caro. Forse è un po' nella natura del Doctor Who moderno fornire villain che non sono del tutto negativi, ma in questi primi quattro episodi della stagione dieci il trend è decisamente marcato.
Da notare il breve accenno del Dottore ai Time Lord e alla rigenerazione, argomento che sembra pungerlo, come se già sapesse che la sua fine è vicina: noi lo sappiamo per ragione off-universe, ma quali indizi potrebbe avere lui? Nel finale si torna anche alla stanza sigillata sotto l'università, e si scopre che in effetti il Dottore può accedervi, e dentro c'è effettivamente qualcuno con cui conversa. I sospetti si concentrano sempre di più sul Master, ma sembra quasi troppo scontato.
Knock Knock rimane un episodio tipico di DW, con qualche buona idea e una realizzazione non del tutto all'altezza, che si salva soprattutto per un paio di momenti molto forti. Due-tre episodi così di fila sono sostenibili, dopodiché si spera in una scossa un po' più forte per mantenere alta l'attenzione. Voto: 6.5/10
Knock Knock nonostante si basi sulle assi scricchiolanti si regge bene nella prima parte. Bill e i suoi compagni di studi si trasferiscono nella nuova casa, incomprensibilmente economica per le dimensioni, e subito notano le varie stranezze, dai rumori all'inquietante proprietario. La tensione cresce bene fino a quando si arriva al punto in cui la casa sembra viva e dotata di una sua volontà di intrappolare gli occupanti, e alcune scene possono effettivamente far salire qualche brivido a chiunque abbia mai sentito suoni inspiegabili nel cuore della notte. La tensione però si smonta come maionese impazzita quando viene rivelata l'origine delle stranezze: non è un'entità-casa, ma la presenza di milioni di tarli (presumibilmente alieni) che infestano e anzi costituiscono la casa stessa. Insetti sotto il controllo del proprietario, che ha a sua volta un segreto più grande, e una ragione più profonda per la necessità di consumare un gruppo di ragazzi ogni vent'anni.Diciamo pure che si arriva alla fine di Knock Knock soddisfatti è grazie soprattutto alle interpretazioni degli attori. In primo luogo il landlord, l'attore brittanico David Suchet (famoso soprattutto per il personaggio di Poirot nella longeva serie omonima) che riesce a rendere alla perfezione i diversi ruoli e atteggiamenti del suo personaggio: la sequenza più intensa dell'intero episodio funziona solo grazie a lui. Per Capaldi non c'è bisogno di ulteriori conferme, e la nuova companion continua a confermare la sua efficacia e alchimia con il Dottore. Ma bravi, pur nel loro ruolo marginale e per forza di cose macchiettistico, anche gli altri coinquilini. Gli attori rendono quindi l'episodio gradevole, perché se ci si fermasse a riflettere sulla storia, assurdità e incongruenze sarebbero troppo pesanti, insieme a qualche scelta di design poco originale (di creature-albero ne abbiamo già viste diverse, a partire dalla stagione uno fino a uno speciale natalizio di Matt Smith).
Non so se è un caso o un tema volutamente ricorrente, ma finora tutti gli episodi di questa stagione si basavano su un cattivo-che-non-è-davvero-cattivo, vuoi per necessità di compagnia, vuoi per un errore di interpretazione, o perché prigioniero o perché ha spinto all'estremo la sua necessità di proteggere qualcuno di caro. Forse è un po' nella natura del Doctor Who moderno fornire villain che non sono del tutto negativi, ma in questi primi quattro episodi della stagione dieci il trend è decisamente marcato.
Da notare il breve accenno del Dottore ai Time Lord e alla rigenerazione, argomento che sembra pungerlo, come se già sapesse che la sua fine è vicina: noi lo sappiamo per ragione off-universe, ma quali indizi potrebbe avere lui? Nel finale si torna anche alla stanza sigillata sotto l'università, e si scopre che in effetti il Dottore può accedervi, e dentro c'è effettivamente qualcuno con cui conversa. I sospetti si concentrano sempre di più sul Master, ma sembra quasi troppo scontato.
Knock Knock rimane un episodio tipico di DW, con qualche buona idea e una realizzazione non del tutto all'altezza, che si salva soprattutto per un paio di momenti molto forti. Due-tre episodi così di fila sono sostenibili, dopodiché si spera in una scossa un po' più forte per mantenere alta l'attenzione. Voto: 6.5/10
Published on May 09, 2017 11:19
May 3, 2017
Rapporto letture - Aprile 2017
Magro bottino il mese scorso, visto che ho completato un unico libro. Anche se, in effetti, si tratta di un volume che contiene quattro romanzi insieme.
Sto parlando di Tschai, il libro uscito nel 2006 (cioè ce l'ho da più di dieci anni in casa e non l'avevo ancora toccato) nella collana Urania "Le grandi saghe", durata lo spazio di 3-4 numeri. Il libro contiene i quattro romanzi di Jack Vance ambientati sul pianeta Tschai, partendo dal naufragio di Adam Reith fino alla sua fuga. Una saga di un gustoso planetary romance che pochi altri autori erano in grado di scrivere a questi livelli, piena di avventura, esplorazione, passione, colpi di scena e nemici sempre più letali. Sapevo a cosa andavo incontro e ho cercato apposta qualcosa con questo livello di leggerezza, sempre con l'intenzione di disintossicarmi dalla hard sf dopo l'impegnativa lettura di
Seveneves
. Tschai fa bene il suo lavoro, fornire evasione e sense of wonder al lettore, anche se soffre di un paio di difetti minori dovuti forse all'epoca e alla storia editoriale delle opere. Abbiamo innanzitutto un protagonista infallibile: forte, astuto, coraggioso, esperto in molte discipline. Da solo riesce a sovvertire più di un regime in vigore su un pianeta alieno, e questo nonostante non avesse nessuna preparazione particolare oltre a quella di membro dell'equipaggio dell'astronave naufragata. Peraltro di lui non si sa quasi nulla, in quattro romanzi non si trova mai il tempo per raccontare qualcosa del suo passato e della sua vita sulla Terra. In secondo luogo, ho notato un certo atteggiamento nei confronti dei personaggi femminili che oggi farebbe rabbrividire. Quando ancora è immobilizzato e ostaggio di una tribù nomade, Adam Reith si concede di afferrare una donna e baciarla. La poveretta poco dopo verrà uccisa, ma Reith non imparerà la lezione e in seguito avrà comportamenti simili con tutte le altre donne che gli capitano a tiro, e dal tono usato dell'autore si capisce che questo atteggiamento è pienamente lecito. Infine c'è una certa tendenza in ogni storia a concludersi bruscamente, trovando una soluzione al problema in corso nello spazio di poche pagine. Quella più clamorosa è proprio la fuga finale dal pianeta, quando finalmente Reith riesce a ottenere un'astronave funzionante, e la sua partenza dal pianeta che ha occupato quattro romanzi si svolge letteralmente in mezza pagina, a poche righe di distanza dal confronto finale col nemico di turno. Per la verità mi sarei aspettato un finale diverso, come una grande rivoluzione degli umani di Tschai (che si capisce essere stati importati come schiavi dalla Terra millenni prima) guidata da Reith, invece il prodigioso cavaliere si accontenta di fare retromarcia e tornarsene alle comodità del suo pianeta natale. In fondo, chi può biasimarlo? Voto: 7/10A essere onesto, devo ammettere che ho preso in mano un altro libro ad aprile. Dico "preso in mano" perché in effetti, dopo qualche giorno di lettura, l'ho abbandonato. Una cosa che a mia memoria non avevo mai fatto, ma stavolta dopo le prime 100 pagine non mi sono sentito di andare avanti, sia la storia che la scrittura erano di livello davvero basso. Non avendolo completato non posso commentarlo, e preferisco così, per non dover dare spazio al facile fuoco di fila su materiale scadente che è la linfa vitale di tanti altri recensori.
Sto parlando di Tschai, il libro uscito nel 2006 (cioè ce l'ho da più di dieci anni in casa e non l'avevo ancora toccato) nella collana Urania "Le grandi saghe", durata lo spazio di 3-4 numeri. Il libro contiene i quattro romanzi di Jack Vance ambientati sul pianeta Tschai, partendo dal naufragio di Adam Reith fino alla sua fuga. Una saga di un gustoso planetary romance che pochi altri autori erano in grado di scrivere a questi livelli, piena di avventura, esplorazione, passione, colpi di scena e nemici sempre più letali. Sapevo a cosa andavo incontro e ho cercato apposta qualcosa con questo livello di leggerezza, sempre con l'intenzione di disintossicarmi dalla hard sf dopo l'impegnativa lettura di
Seveneves
. Tschai fa bene il suo lavoro, fornire evasione e sense of wonder al lettore, anche se soffre di un paio di difetti minori dovuti forse all'epoca e alla storia editoriale delle opere. Abbiamo innanzitutto un protagonista infallibile: forte, astuto, coraggioso, esperto in molte discipline. Da solo riesce a sovvertire più di un regime in vigore su un pianeta alieno, e questo nonostante non avesse nessuna preparazione particolare oltre a quella di membro dell'equipaggio dell'astronave naufragata. Peraltro di lui non si sa quasi nulla, in quattro romanzi non si trova mai il tempo per raccontare qualcosa del suo passato e della sua vita sulla Terra. In secondo luogo, ho notato un certo atteggiamento nei confronti dei personaggi femminili che oggi farebbe rabbrividire. Quando ancora è immobilizzato e ostaggio di una tribù nomade, Adam Reith si concede di afferrare una donna e baciarla. La poveretta poco dopo verrà uccisa, ma Reith non imparerà la lezione e in seguito avrà comportamenti simili con tutte le altre donne che gli capitano a tiro, e dal tono usato dell'autore si capisce che questo atteggiamento è pienamente lecito. Infine c'è una certa tendenza in ogni storia a concludersi bruscamente, trovando una soluzione al problema in corso nello spazio di poche pagine. Quella più clamorosa è proprio la fuga finale dal pianeta, quando finalmente Reith riesce a ottenere un'astronave funzionante, e la sua partenza dal pianeta che ha occupato quattro romanzi si svolge letteralmente in mezza pagina, a poche righe di distanza dal confronto finale col nemico di turno. Per la verità mi sarei aspettato un finale diverso, come una grande rivoluzione degli umani di Tschai (che si capisce essere stati importati come schiavi dalla Terra millenni prima) guidata da Reith, invece il prodigioso cavaliere si accontenta di fare retromarcia e tornarsene alle comodità del suo pianeta natale. In fondo, chi può biasimarlo? Voto: 7/10A essere onesto, devo ammettere che ho preso in mano un altro libro ad aprile. Dico "preso in mano" perché in effetti, dopo qualche giorno di lettura, l'ho abbandonato. Una cosa che a mia memoria non avevo mai fatto, ma stavolta dopo le prime 100 pagine non mi sono sentito di andare avanti, sia la storia che la scrittura erano di livello davvero basso. Non avendolo completato non posso commentarlo, e preferisco così, per non dover dare spazio al facile fuoco di fila su materiale scadente che è la linfa vitale di tanti altri recensori.
Published on May 03, 2017 23:13
Raporto letture - Aprile 2017
Magro bottino il mese scorso, visto che ho completato un unico libro. Anche se, in effetti, si tratta di un volume che contiene quattro romanzi insieme.
Sto parlando di Tschai, il libro uscito nel 2006 (cioè ce l'ho da più di dieci anni in casa e non l'avevo ancora toccato) nella collana Urania "Le grandi saghe", durata lo spazio di 3-4 numeri. Il libro contiene i quattro romanzi di Jack Vance ambientati sul pianeta Tschai, partendo dal naufragio di Adam Reith fino alla sua fuga. Una saga di un gustoso planetary romance che pochi altri autori erano in grado di scrivere a questi livelli, piena di avventura, esplorazione, passione, colpi di scena e nemici sempre più letali. Sapevo a cosa andavo incontro e ho cercato apposta qualcosa con questo livello di leggerezza, sempre con l'intenzione di disintossicarmi dalla hard sf dopo l'impegnativa lettura di
Seveneves
. Tschai fa bene il suo lavoro, fornire evasione e sense of wonder al lettore, anche se soffre di un paio di difetti minori dovuti forse all'epoca e alla storia editoriale delle opere. Abbiamo innanzitutto un protagonista infallibile: forte, astuto, coraggioso, esperto in molte discipline. Da solo riesce a sovvertire più di un regime in vigore su un pianeta alieno, e questo nonostante non avesse nessuna preparazione particolare oltre a quella di membro dell'equipaggio dell'astronave naufragata. Peraltro di lui non si sa quasi nulla, in quattro romanzi non si trova mai il tempo per raccontare qualcosa del suo passato e della sua vita sulla Terra. In secondo luogo, ho notato un certo atteggiamento nei confronti dei personaggi femminili che oggi farebbe rabbrividire. Quando ancora è immobilizzato e ostaggio di una tribù nomade, Adam Reith si concede di afferrare una donna e baciarla. La poveretta poco dopo verrà uccisa, ma Reith non imparerà la lezione e in seguito avrà comportamenti simili con tutte le altre donne che gli capitano a tiro, e dal tono usato dell'autore si capisce che questo atteggiamento è pienamente lecito. Infine c'è una certa tendenza in ogni storia a concludersi bruscamente, trovando una soluzione al problema in corso nello spazio di poche pagine. Quella più clamorosa è proprio la fuga finale dal pianeta, quando finalmente Reith riesce a ottenere un'astronave funzionante, e la sua partenza dal pianeta che ha occupato quattro romanzi si svolge letteralmente in mezza pagina, a poche righe di distanza dal confronto finale col nemico di turno. Per la verità mi sarei aspettato un finale diverso, come una grande rivoluzione degli umani di Tschai (che si capisce essere stati importati come schiavi dalla Terra millenni prima) guidata da Reith, invece il prodigioso cavaliere si accontenta di fare retromarcia e tornarsene alle comodità del suo pianeta natale. In fondo, chi può biasimarlo? Voto: 7/10 A essere onesto, devo ammettere che ho preso in mano un altro libro ad aprile. Dico "preso in mano" perché in effetti, dopo qualche giorno di lettura, l'ho abbandonato. Una cosa che a mia memoria non avevo mai fatto, ma stavolta dopo le prime 100 pagine non mi sono sentito di andare avanti, sia la storia che la scrittura erano di livello davvero basso. Non avendolo completato non posso commentarlo, e preferisco così, per non dover dare spazio al facile fuoco di fila su materiale scadente che è la linfa vitale di tanti altri recensori.
Sto parlando di Tschai, il libro uscito nel 2006 (cioè ce l'ho da più di dieci anni in casa e non l'avevo ancora toccato) nella collana Urania "Le grandi saghe", durata lo spazio di 3-4 numeri. Il libro contiene i quattro romanzi di Jack Vance ambientati sul pianeta Tschai, partendo dal naufragio di Adam Reith fino alla sua fuga. Una saga di un gustoso planetary romance che pochi altri autori erano in grado di scrivere a questi livelli, piena di avventura, esplorazione, passione, colpi di scena e nemici sempre più letali. Sapevo a cosa andavo incontro e ho cercato apposta qualcosa con questo livello di leggerezza, sempre con l'intenzione di disintossicarmi dalla hard sf dopo l'impegnativa lettura di
Seveneves
. Tschai fa bene il suo lavoro, fornire evasione e sense of wonder al lettore, anche se soffre di un paio di difetti minori dovuti forse all'epoca e alla storia editoriale delle opere. Abbiamo innanzitutto un protagonista infallibile: forte, astuto, coraggioso, esperto in molte discipline. Da solo riesce a sovvertire più di un regime in vigore su un pianeta alieno, e questo nonostante non avesse nessuna preparazione particolare oltre a quella di membro dell'equipaggio dell'astronave naufragata. Peraltro di lui non si sa quasi nulla, in quattro romanzi non si trova mai il tempo per raccontare qualcosa del suo passato e della sua vita sulla Terra. In secondo luogo, ho notato un certo atteggiamento nei confronti dei personaggi femminili che oggi farebbe rabbrividire. Quando ancora è immobilizzato e ostaggio di una tribù nomade, Adam Reith si concede di afferrare una donna e baciarla. La poveretta poco dopo verrà uccisa, ma Reith non imparerà la lezione e in seguito avrà comportamenti simili con tutte le altre donne che gli capitano a tiro, e dal tono usato dell'autore si capisce che questo atteggiamento è pienamente lecito. Infine c'è una certa tendenza in ogni storia a concludersi bruscamente, trovando una soluzione al problema in corso nello spazio di poche pagine. Quella più clamorosa è proprio la fuga finale dal pianeta, quando finalmente Reith riesce a ottenere un'astronave funzionante, e la sua partenza dal pianeta che ha occupato quattro romanzi si svolge letteralmente in mezza pagina, a poche righe di distanza dal confronto finale col nemico di turno. Per la verità mi sarei aspettato un finale diverso, come una grande rivoluzione degli umani di Tschai (che si capisce essere stati importati come schiavi dalla Terra millenni prima) guidata da Reith, invece il prodigioso cavaliere si accontenta di fare retromarcia e tornarsene alle comodità del suo pianeta natale. In fondo, chi può biasimarlo? Voto: 7/10 A essere onesto, devo ammettere che ho preso in mano un altro libro ad aprile. Dico "preso in mano" perché in effetti, dopo qualche giorno di lettura, l'ho abbandonato. Una cosa che a mia memoria non avevo mai fatto, ma stavolta dopo le prime 100 pagine non mi sono sentito di andare avanti, sia la storia che la scrittura erano di livello davvero basso. Non avendolo completato non posso commentarlo, e preferisco così, per non dover dare spazio al facile fuoco di fila su materiale scadente che è la linfa vitale di tanti altri recensori.
Published on May 03, 2017 23:13
May 1, 2017
Doctor Who 10x03 - Thin Ice
Già nel finale di Smile avevamo visto la nuova coppia Dottore-Bill comparire per uno dei soliti errori (forse non del tutto involontari) del Tardis in un'epoca diversa da quella da prevista, e guarda caso l'approdo è avvenuto nella Londra del diciannovesimo secolo, che deve essere evidentemente un nodo spaziotemporale molto potente visto che almeno una volta su dieci il Tardis si materializza da quelle parti. Nello specifico l'anno è il 1814, nel bel mezzo dell'ultima Frost Fair (di cui ignoravo totalmente l'esistenza), ovvero un festival tenuto occasionalmente sul Tamigi congelato. E come il titolo suggerisce, è proprio il ghiaccio, o meglio quello che si nasconde al di sotto, a rappresentare la minaccia dell'episodio.
Dal punto di vista della trama, Thin Ice riprende lo schema frequente del mostro trattenuto contro la sua volonta da malvagi schiavisti umani che approfittano delle sue capacità. Nel corso del Doctor Who moderno questo trope si è ripetuto più e più volte, la più recente nell'episodio Time Heist della stagione 8, ma come già si diceva nel commento della puntata precedente, è difficile poter mantenere l'originalità come criterio guida di una serie tanto longeva. Per cui cerchiamo di ricavare quanto di megio dallo svolgimento della storia piuttosto che dalla sua premessa.
In realtà spremendo il succo di questo episodio si torna di nuovo allo sviluppo del rapporto tra il Dottore e la nuova companion. Il primo viaggio nel passato è l'occasione per Bill di imparare alcune nozioni sul viaggio nel tempo, partendo dalla solita domanda "cosa succede se schiaccio una farfalla?" La preoccupazione di Bill di poter influenzare gli eventi futuri è risolta dal Dottore facendole notare che le sue scelte hanno sempre conseguenze sul futuro, il che è un'ottima risposta considerando che le regole del viaggio nel tempo in DW non sono mai state definite e si prestano a diverse interpretazioni a seconda delle necessità del caso.
Ma questa è anche la prima volta che Bill inizia ad avere qualche dubbio sulla moralita del Dottore. Quando lui afferma di non poter fare niente per salvare il bambino sprofondato nel ghiaccio, lei ne rimane sconvolta e delusa. Capisce che il suo insegnante non è l'eroe perfetto che credeva, e arriva a chiedergli direttamente se ha mai ucciso qualcuno. La risposta evasiva del Dottore è sufficiente a farle capire che il suo professore è un personaggio più oscuro di quanto appaia. Poco dopo però il Dottore ha l'occasione di riscattarsi, con un discorso ispirato sulla natura umana che ripristina la fiducia di Bill. Nel finale dell'episodio poi, è di nuovo il Dottore a passarle la palla, con una dinamica simile a quella vista in Kill the Moon : quando si arriva a scegliere tra liberare la creatura e mettere in pericolo gli abitanti di Londra, la scelta viene passata alla ragazza. Dopo averlo accusato di non dare valore alla vita umana, Bill deve quindi compiere la stessa valutazione, e decidere quale sia la cosa giusta da fare, secondo parametri più ampi di quelli in cui era abituata a ragionare. Il dilemma morale dura poco e naturalmente si risolve per il meglio, ma è comunque una riproposizione efficace delle responsabilità che comporta il ruolo di companion del Dottore.
L'episodio si sofferma anche brevemente su tematiche antirazziste, all'inizio notando quanti abitanti non-bianchi siano presenti nella Londra del 1814 (non so quanto questo sia accurato, ma funziona nel modo in cui viene proposto) e con la reazione ai commenti sprezzanti del cattivo di turno. Dopo l'attenzione data a una protagonista lesbica, qualcuno potrà storcere il naso pensando che anche Doctor Who si sia lasciato trascinare nel circolo dei Social Justice Warriors per attirare consensi, ma a mio avviso questi elementi di politically correct sono gestiti in modo abbastana delicato, senza appesantire la storia, quindi ben venga se si riesce a lanciare in modo incidentale qualche messaggio di tolleranza.
L'ultima nota relativa a questo episodio è la scena finale, in cui un Nardole ancora ligio al suo dovere parla alla stanza sigillata dal cui interno qualcuno inizia a bussare. Si inizia quindi a delinare la possibilità che il Dottore stia sorvegliando qualcuno di importante, e le ipotesi più convincenti sono quelle del Master o del Primo Dottore (che si vocifera comparirà nello speciale natalizio, interpretato da David Bradley che già lo aveva impersonato in An Adventure in Space and Time ). Thin Ice alla fine rimane un episodio piacevole, certo non memorabile, il cui punto di forza è ancora l'evoluzione del rapporto con la nuova compagna di viaggio. Voto: 6.5/10
Dal punto di vista della trama, Thin Ice riprende lo schema frequente del mostro trattenuto contro la sua volonta da malvagi schiavisti umani che approfittano delle sue capacità. Nel corso del Doctor Who moderno questo trope si è ripetuto più e più volte, la più recente nell'episodio Time Heist della stagione 8, ma come già si diceva nel commento della puntata precedente, è difficile poter mantenere l'originalità come criterio guida di una serie tanto longeva. Per cui cerchiamo di ricavare quanto di megio dallo svolgimento della storia piuttosto che dalla sua premessa.In realtà spremendo il succo di questo episodio si torna di nuovo allo sviluppo del rapporto tra il Dottore e la nuova companion. Il primo viaggio nel passato è l'occasione per Bill di imparare alcune nozioni sul viaggio nel tempo, partendo dalla solita domanda "cosa succede se schiaccio una farfalla?" La preoccupazione di Bill di poter influenzare gli eventi futuri è risolta dal Dottore facendole notare che le sue scelte hanno sempre conseguenze sul futuro, il che è un'ottima risposta considerando che le regole del viaggio nel tempo in DW non sono mai state definite e si prestano a diverse interpretazioni a seconda delle necessità del caso.
Ma questa è anche la prima volta che Bill inizia ad avere qualche dubbio sulla moralita del Dottore. Quando lui afferma di non poter fare niente per salvare il bambino sprofondato nel ghiaccio, lei ne rimane sconvolta e delusa. Capisce che il suo insegnante non è l'eroe perfetto che credeva, e arriva a chiedergli direttamente se ha mai ucciso qualcuno. La risposta evasiva del Dottore è sufficiente a farle capire che il suo professore è un personaggio più oscuro di quanto appaia. Poco dopo però il Dottore ha l'occasione di riscattarsi, con un discorso ispirato sulla natura umana che ripristina la fiducia di Bill. Nel finale dell'episodio poi, è di nuovo il Dottore a passarle la palla, con una dinamica simile a quella vista in Kill the Moon : quando si arriva a scegliere tra liberare la creatura e mettere in pericolo gli abitanti di Londra, la scelta viene passata alla ragazza. Dopo averlo accusato di non dare valore alla vita umana, Bill deve quindi compiere la stessa valutazione, e decidere quale sia la cosa giusta da fare, secondo parametri più ampi di quelli in cui era abituata a ragionare. Il dilemma morale dura poco e naturalmente si risolve per il meglio, ma è comunque una riproposizione efficace delle responsabilità che comporta il ruolo di companion del Dottore.
L'episodio si sofferma anche brevemente su tematiche antirazziste, all'inizio notando quanti abitanti non-bianchi siano presenti nella Londra del 1814 (non so quanto questo sia accurato, ma funziona nel modo in cui viene proposto) e con la reazione ai commenti sprezzanti del cattivo di turno. Dopo l'attenzione data a una protagonista lesbica, qualcuno potrà storcere il naso pensando che anche Doctor Who si sia lasciato trascinare nel circolo dei Social Justice Warriors per attirare consensi, ma a mio avviso questi elementi di politically correct sono gestiti in modo abbastana delicato, senza appesantire la storia, quindi ben venga se si riesce a lanciare in modo incidentale qualche messaggio di tolleranza.
L'ultima nota relativa a questo episodio è la scena finale, in cui un Nardole ancora ligio al suo dovere parla alla stanza sigillata dal cui interno qualcuno inizia a bussare. Si inizia quindi a delinare la possibilità che il Dottore stia sorvegliando qualcuno di importante, e le ipotesi più convincenti sono quelle del Master o del Primo Dottore (che si vocifera comparirà nello speciale natalizio, interpretato da David Bradley che già lo aveva impersonato in An Adventure in Space and Time ). Thin Ice alla fine rimane un episodio piacevole, certo non memorabile, il cui punto di forza è ancora l'evoluzione del rapporto con la nuova compagna di viaggio. Voto: 6.5/10
Published on May 01, 2017 02:36
April 26, 2017
Coppi Night 23/04/2017 - Capitan America: Civil War
Era da tempo che non capitava al Coppi Club un onesto film di supereroi, e la cosa non mi creava troppo disturbo, visto che in genere ho difficoltà a godere di questi blockbuster apprezzati dai più. Stavolta mi sono lasciato convincere, anche perché da quanto si diceva in giro, pare che questo Civil War sia davvero spettacolare. Considerati i precedenti, sono partito con aspettative pari a zero, e i primi minuti del film mi hanno confermato che non mi sarei divertito.
In seguito però le cose si sono riassestate, quando è iniziato a emergere il conflitto che è il nucleo di base della storia, e che viene ben incarnato dalla scelta di Capitan America: continuare sulle proprie scelte, quando sei sicuro di essere nel giusto, anche se tutto il mondo ti va contro. Certo, si tratta di una condotta pericolosamente affine al fanatismo, ma chi se non Capitan America può esprimere le migliori virtù di moralità, buon senso, giustizia?
Devo ammettere quindi che una volta entrati nel tema di base della storia, il film non è male come credevo. Alcune sequenze sono in effetti molto spettacolari (la fuga con l'elicottero, la famigerata battaglia dell'aeroporto) e da questo punto di vista il lavoro fatto è di ottimo livello, probabilmente eccellente se visto sullo schermo del cinema. Rimane sempre il problema (endemico dei film Marvel) che il villain di turno non sia all'altezza degli eroi, in questo caso con un cattivo che attua lo stesso piano di Loki nel primo film (controllare uno del gruppo e metterlo contro gli altri) e che di fatto invece di attaccare gli Avengers fa in modo che combattano tra loro.
E soprattutto per me rimane l'irritante incapacità di definire e circoscrivere i poteri di alcuni dei supereroi. In particolare Scarlett Witch, che è pure la causa scatenate di tutti i casini e Visione. La prima in Age of Ultron sembrava una sorta di regina degli incubi, ora invece è diventata una supertelecineta che riesce a contenere le esplosioni, dissipare il gas, sparare dalle mani e volare: quindi, cosa fa? Stesso vale per Visione, che può passare attraverso gli oggetti, ma non si sa perché, mi sembra un potere molto arbitrario per un androide. Torna poi l'incoerenza di base di Ant-Man, che viene presentato nel suo film come capace di modificare le sue dimensioni mantenendo la massa, il che gli renderebbe impossibile volare a cavallo di una freccia. E infine Spiderman, per quanto piacevole nelle sequenze di combattimento si dimostra forse fin troppo forte (sostiene con le braccia un ponte di cemento che lo sta schiacciando!) per essere un ragazzino con la tuta che spara ragnatele.
Quindi ok, non ho sofferto quando avrei creduto, ma ho dovuto ingoiare più volte il magone che queste incoerenze ripetute mi facevano salire a ogni occasione. Non basta per me a redimere l'intero confuso MCU, ma sono più comprensivo verso chi afferma di apprezzarlo.
In seguito però le cose si sono riassestate, quando è iniziato a emergere il conflitto che è il nucleo di base della storia, e che viene ben incarnato dalla scelta di Capitan America: continuare sulle proprie scelte, quando sei sicuro di essere nel giusto, anche se tutto il mondo ti va contro. Certo, si tratta di una condotta pericolosamente affine al fanatismo, ma chi se non Capitan America può esprimere le migliori virtù di moralità, buon senso, giustizia?
Devo ammettere quindi che una volta entrati nel tema di base della storia, il film non è male come credevo. Alcune sequenze sono in effetti molto spettacolari (la fuga con l'elicottero, la famigerata battaglia dell'aeroporto) e da questo punto di vista il lavoro fatto è di ottimo livello, probabilmente eccellente se visto sullo schermo del cinema. Rimane sempre il problema (endemico dei film Marvel) che il villain di turno non sia all'altezza degli eroi, in questo caso con un cattivo che attua lo stesso piano di Loki nel primo film (controllare uno del gruppo e metterlo contro gli altri) e che di fatto invece di attaccare gli Avengers fa in modo che combattano tra loro.
E soprattutto per me rimane l'irritante incapacità di definire e circoscrivere i poteri di alcuni dei supereroi. In particolare Scarlett Witch, che è pure la causa scatenate di tutti i casini e Visione. La prima in Age of Ultron sembrava una sorta di regina degli incubi, ora invece è diventata una supertelecineta che riesce a contenere le esplosioni, dissipare il gas, sparare dalle mani e volare: quindi, cosa fa? Stesso vale per Visione, che può passare attraverso gli oggetti, ma non si sa perché, mi sembra un potere molto arbitrario per un androide. Torna poi l'incoerenza di base di Ant-Man, che viene presentato nel suo film come capace di modificare le sue dimensioni mantenendo la massa, il che gli renderebbe impossibile volare a cavallo di una freccia. E infine Spiderman, per quanto piacevole nelle sequenze di combattimento si dimostra forse fin troppo forte (sostiene con le braccia un ponte di cemento che lo sta schiacciando!) per essere un ragazzino con la tuta che spara ragnatele.Quindi ok, non ho sofferto quando avrei creduto, ma ho dovuto ingoiare più volte il magone che queste incoerenze ripetute mi facevano salire a ogni occasione. Non basta per me a redimere l'intero confuso MCU, ma sono più comprensivo verso chi afferma di apprezzarlo.
Published on April 26, 2017 23:06
April 24, 2017
Doctor Who 10x02 - Smile
Dopo aver conosciuto la nuova companion e appreso che il Dottore si è impegnato a tenere sotto controllo una stanza sigillata sotto l'università (qui mi ero perso qualche battuta nell'episodio precedente, infatti nel mio commento dicevo che non si era ancora intuito quale fosse l'arco narrativo di questa stagione, ma è già abbastanza chiaro che sarà proprio quella stanza segreta), siamo pronti per la prima avventura off-world della stagione 10. Come spesso accade, è il Dottore stesso a chiedere alla nuova compagna di viaggio dove vuole andare: passato o futuro? La scelta è per il futuro, e il Tardis porta i due su un pianeta non identificato che costituisce una delle prime colonie umane al di fuori della Terra. Troviamo qui i temibili emojibot, piccoli e goffi robottoni con facce da emoji che rilevano lo stato d'animo degli umani. Questi sono in realtà solo l'interfaccia dei veri occupanti robotici della colonia, stormi di nanobot che di fatto costituiscono la struttura stessa della città deserta. Qualcosa è andato storto e i robot uccidono gli umani che si dimostrano infelici, così quando il Dottore e Bill scoprono cosa è successo sono costretti a fuggire con il sorriso. Salvo poi tornare per sistemare le cose.
Di Smile va detto innanzitutto non brilla per originalità. Più o meno tutti gli elementi della storia si possono ritrovare sia in episodi precedenti di Doctor Who che in altre opere anche piuttosto note. I robot con faccia-emoticon si vedono ad esempio nel film Moon di Duncan Jones, mentre gli omicidi compiuti dai nanobot volanti si sono visti di recente in Black Mirror, nell'ultimo episodio finora trasmesso Hated in the Nation. Anche l'obbligo di sorriso non è così strabiliante, perché di dittature della felicità se ne vedono spesso nella fantascienza. Infine, il nemico che in realtà non è cattivo ma soltanto incompreso è talmente frequente in DW (basta andare all'episodio della settimana scorsa) che davvero, qualche volta sarebbe bello avere un villain che è semplicemente e genuinamente stronzo. Ma in fondo l'originalità è merce davvero rara, in particolare per una serie iniziata cinquant'anni fa, e non è comunque garanzia di successo.
Lasciando quindi da parte l'originalità come criterio di valutazione, la puntata presenta comunque qualche inceppamento. I primi due atti riescono a creare tensione (per quanto sia possibile farlo attraverso gli emoji): si passa da identificare la minaccia a decidere come eliminarla. È nella parte finale che le cose si fanno confuse e contraddittorie. Quando si scopre che sul pianeta sono già presenti i coloni e questi si armano subito per distruggere i robot, il Dottore è costretto a intervenire e lo fa con un colpo di cacciavite sonico, semplicemente resettando i robot così che possano reimparare da capo la convivenza con gli umani. Anzi, è a questi ultimi che raccomanda "teneteveli buoni, perché i veri padroni di questo mondo sono loro". Francamente, se io fossi stato uno di quei coloni appena decriogenizzato e mi avvessero detto di farmi amico i robot idioti che hanno ammazzato la mia famiglia perché non sapevano come rapportarsi con il dolore... beh, insomma, qualche dubbio su come quel vecchio pazzo con la giacca ha gestito la faccenda mi rimarrebbe. Non è la prima volta che DW si scontra con un problema simile, costruendo con abilità una situazione complessa che si risolve poi in modo banale e poco soddisfacente. Con la variante che, in questo caso, mi pare sia la prima volta in cui la soluzione non è a vantaggio degli umani!
La parte più interessante dell'episodio è forse il modo in cui si sta costruendo la relazione tra il Dottore e Bill. La nuova companion si dimostra ancora curiosa ma abbastanza umile, piena di domande, quasi come un'allieva in gita con il professore. Probabilmente lei stessa non sa ancora come considerare il Dottore, infatti in questa puntata solleva l'ipotesi che sia un poliziotto che va in giro a sistemare le cose. Da parte sua il Dottore sembra anche piuttosto protettivo, in più di un'occasione suggerisce a Bill di rimanere al sicuro mentre lui si occupa dei problemi. La breve presenza di Nardole conferma invece il cambio di ruolo dell'assistente, che adesso sembra comportarsi quasi come "la coscienza" del Dottore, ricordandogli i suoi doveri.
Pesando i vari elementi, Smile non si può ritenere un episodio di buon livello, e riesce a salvarsi forse solo per la presenza di Capaldi e Mackie e il modo in cui va definendosi la loro chimica. Fosse stato un episodio della passata stagione con una companion stagionata come Clara avrebbe perso anche quell'attrattiva, e ci saremmo probabilmente trovati con un pastrocchio come In the Forest of the Night , che guardacaso è dello stesso autore. Quindi per sicurezza direi che è il caso di smettere di farglieli scrivere, ok? Voto: 5/10
Di Smile va detto innanzitutto non brilla per originalità. Più o meno tutti gli elementi della storia si possono ritrovare sia in episodi precedenti di Doctor Who che in altre opere anche piuttosto note. I robot con faccia-emoticon si vedono ad esempio nel film Moon di Duncan Jones, mentre gli omicidi compiuti dai nanobot volanti si sono visti di recente in Black Mirror, nell'ultimo episodio finora trasmesso Hated in the Nation. Anche l'obbligo di sorriso non è così strabiliante, perché di dittature della felicità se ne vedono spesso nella fantascienza. Infine, il nemico che in realtà non è cattivo ma soltanto incompreso è talmente frequente in DW (basta andare all'episodio della settimana scorsa) che davvero, qualche volta sarebbe bello avere un villain che è semplicemente e genuinamente stronzo. Ma in fondo l'originalità è merce davvero rara, in particolare per una serie iniziata cinquant'anni fa, e non è comunque garanzia di successo.Lasciando quindi da parte l'originalità come criterio di valutazione, la puntata presenta comunque qualche inceppamento. I primi due atti riescono a creare tensione (per quanto sia possibile farlo attraverso gli emoji): si passa da identificare la minaccia a decidere come eliminarla. È nella parte finale che le cose si fanno confuse e contraddittorie. Quando si scopre che sul pianeta sono già presenti i coloni e questi si armano subito per distruggere i robot, il Dottore è costretto a intervenire e lo fa con un colpo di cacciavite sonico, semplicemente resettando i robot così che possano reimparare da capo la convivenza con gli umani. Anzi, è a questi ultimi che raccomanda "teneteveli buoni, perché i veri padroni di questo mondo sono loro". Francamente, se io fossi stato uno di quei coloni appena decriogenizzato e mi avvessero detto di farmi amico i robot idioti che hanno ammazzato la mia famiglia perché non sapevano come rapportarsi con il dolore... beh, insomma, qualche dubbio su come quel vecchio pazzo con la giacca ha gestito la faccenda mi rimarrebbe. Non è la prima volta che DW si scontra con un problema simile, costruendo con abilità una situazione complessa che si risolve poi in modo banale e poco soddisfacente. Con la variante che, in questo caso, mi pare sia la prima volta in cui la soluzione non è a vantaggio degli umani!
La parte più interessante dell'episodio è forse il modo in cui si sta costruendo la relazione tra il Dottore e Bill. La nuova companion si dimostra ancora curiosa ma abbastanza umile, piena di domande, quasi come un'allieva in gita con il professore. Probabilmente lei stessa non sa ancora come considerare il Dottore, infatti in questa puntata solleva l'ipotesi che sia un poliziotto che va in giro a sistemare le cose. Da parte sua il Dottore sembra anche piuttosto protettivo, in più di un'occasione suggerisce a Bill di rimanere al sicuro mentre lui si occupa dei problemi. La breve presenza di Nardole conferma invece il cambio di ruolo dell'assistente, che adesso sembra comportarsi quasi come "la coscienza" del Dottore, ricordandogli i suoi doveri.
Pesando i vari elementi, Smile non si può ritenere un episodio di buon livello, e riesce a salvarsi forse solo per la presenza di Capaldi e Mackie e il modo in cui va definendosi la loro chimica. Fosse stato un episodio della passata stagione con una companion stagionata come Clara avrebbe perso anche quell'attrattiva, e ci saremmo probabilmente trovati con un pastrocchio come In the Forest of the Night , che guardacaso è dello stesso autore. Quindi per sicurezza direi che è il caso di smettere di farglieli scrivere, ok? Voto: 5/10
Published on April 24, 2017 11:06
April 22, 2017
Marc Romboy - Voyage de la planète
Molte volte quando mi capita di discutere con altre persone dei miei gusti musicali (cosa che con gli anni ho imparato a evitare, così come per i gusti letterari, ma ogni tanto succede) mi trovo a dovermi "difendere" dalle accuse di inmusicalità dell'elettronica. In genere la posizione dell'interlocutore è piuttosto superficiale, e si basa sull'assunto "musica = canzone", al che mi permetto di sottolineare come certa musica elettronica abbia dei fortissimi punti di contatti con la musica classica, quella che per convenzione siamo abituati a considerare come l'essenza stessa della musica (anche su questo ci sarebbe da discutere, ma approfitto volentieri del preconcetto nell'ambito di tali dibattiti). La centralità della struttura, la gestione degli "strumenti", l'attenzione richiesta dall'ascoltatore sono a mio avviso paragonabili, se penso ad esempio ai pezzi di Villalobos, Minilogue, Ellen Allien. Questo senza andare a scomodare quegli artisti che si sono dedicati a composizione di concerti veri e propri, come il Krieg und Frieden di Apparat o Chronicles of Possibile Worlds di Jeff Mills.
Ma a partire da oggi se dovessi fare un esempio universale e inconfutabile di come musica classica ed elettronica sono sorelle (o quantomeno cugine), citerei immediatamente
Voyage de la planète
, l'album appena uscito di Marc Romboy.
Questo viaggio planetario è stato appositamente concepito come un'opera di raccordo tra la musica classica da orchestra e la sua controparte contemporanea, con una serie di tracce in cui la complementarità tra gli strumenti da orchestra e apparecchi elettronici è palese e assolutamente naturale, quasi scontata. Serve a mostrare a tutti gli ascoltatori che è sempre stato così, e forse sono stati loro a non aver mai prestato abbastanza attenzione.
Violino, piano, sintetizzatori, fiati, xilofoni, drum machine e tutti gli altri si affiancano con tanta leggerezza che è davvero difficile capire quando si sta ascoltando uno strumento suonato o uno sintetizzato. In questo senso, forse sono io che cerco connessioni anche dove non ci sono, ma credo si possa individuare un risultato per certi versi simile a quello ottenuto da Vale & The Varlet in Believer, di cui ho parlato poco tempo fa. Si tratta dello stesso approccio ma applicato a partire dalla direzione opposta, un equilibrio diverso ma equivalente. In realtà tutta la musica qui contenuta è composta ed eseguita dallo stesso Marc Romboy, ma l'insieme si presta perfettamente a un'esecuzione live con orchestra, occasione che è stata subito colta, e i cui risultati sono davvero straordinari. Stiamo parlando di cose come questa:
Ma come dice il titolo, Voyage de la planète è anche un viaggio, e in questo senso dimostra anche tutto il suo debito all'immaginario fantascientifico. Qualche indizio di questa tendenza tematica di Marc Romboy l'avevamo già avuto nella sua collaborazione con Stephan Bodzin alla realizzazione del progetto Luna , una vasta raccolta di pezzi dedicati ognuno a un satellite del Sistema Solare. Voyage de la planète riprende un approccio simile ed elabora invece un tributo all'esplorazione di nuovi mondi e modi di pensare, che emergono dai suoni, dalle atmosfere, dalle sequenze, dai cambi di registro. Il tutto è reso ancora più evidente dai titoli dei pezzi: l'apertura è riservata a Jules Verne, ma a seguire abbiamo L'univers étrange, L'univers parallèle, La machine du temps, La lune et l'étoile, Nocturne. Ogni traccia rappresenta una variazione del tema di fondo, e interpreta con un diverso rapporto di forze questa unione dei concetti musicali classici e moderni.
Con questa opera Marc Romboy entra di diritto nella mia personale cerchia di punti di riferimento. Da dj solo "interessante" salta di prepotenza diversi gradini e diventa qualcosa di più, un artista capace di mostrare il mondo che già conosciamo in una luce diversa. Può sembrare una formula esagerata per quello che è in fin dei conti soltanto un album di dieci tracce, ma non la uso con leggerezza. Esiste il talento, esiste la bravura e l'esperienza, ed esiste anche il genio. Qui ho il sospetto che ci troviamo dalle parti di quest'ultimo. Ma sono sempre disponibile a scoprire di nuovo, di più e di meglio, a compiere altri viaggi verso altri pianeti.
Ma a partire da oggi se dovessi fare un esempio universale e inconfutabile di come musica classica ed elettronica sono sorelle (o quantomeno cugine), citerei immediatamente
Voyage de la planète
, l'album appena uscito di Marc Romboy.Questo viaggio planetario è stato appositamente concepito come un'opera di raccordo tra la musica classica da orchestra e la sua controparte contemporanea, con una serie di tracce in cui la complementarità tra gli strumenti da orchestra e apparecchi elettronici è palese e assolutamente naturale, quasi scontata. Serve a mostrare a tutti gli ascoltatori che è sempre stato così, e forse sono stati loro a non aver mai prestato abbastanza attenzione.
Violino, piano, sintetizzatori, fiati, xilofoni, drum machine e tutti gli altri si affiancano con tanta leggerezza che è davvero difficile capire quando si sta ascoltando uno strumento suonato o uno sintetizzato. In questo senso, forse sono io che cerco connessioni anche dove non ci sono, ma credo si possa individuare un risultato per certi versi simile a quello ottenuto da Vale & The Varlet in Believer, di cui ho parlato poco tempo fa. Si tratta dello stesso approccio ma applicato a partire dalla direzione opposta, un equilibrio diverso ma equivalente. In realtà tutta la musica qui contenuta è composta ed eseguita dallo stesso Marc Romboy, ma l'insieme si presta perfettamente a un'esecuzione live con orchestra, occasione che è stata subito colta, e i cui risultati sono davvero straordinari. Stiamo parlando di cose come questa:
Ma come dice il titolo, Voyage de la planète è anche un viaggio, e in questo senso dimostra anche tutto il suo debito all'immaginario fantascientifico. Qualche indizio di questa tendenza tematica di Marc Romboy l'avevamo già avuto nella sua collaborazione con Stephan Bodzin alla realizzazione del progetto Luna , una vasta raccolta di pezzi dedicati ognuno a un satellite del Sistema Solare. Voyage de la planète riprende un approccio simile ed elabora invece un tributo all'esplorazione di nuovi mondi e modi di pensare, che emergono dai suoni, dalle atmosfere, dalle sequenze, dai cambi di registro. Il tutto è reso ancora più evidente dai titoli dei pezzi: l'apertura è riservata a Jules Verne, ma a seguire abbiamo L'univers étrange, L'univers parallèle, La machine du temps, La lune et l'étoile, Nocturne. Ogni traccia rappresenta una variazione del tema di fondo, e interpreta con un diverso rapporto di forze questa unione dei concetti musicali classici e moderni.
Con questa opera Marc Romboy entra di diritto nella mia personale cerchia di punti di riferimento. Da dj solo "interessante" salta di prepotenza diversi gradini e diventa qualcosa di più, un artista capace di mostrare il mondo che già conosciamo in una luce diversa. Può sembrare una formula esagerata per quello che è in fin dei conti soltanto un album di dieci tracce, ma non la uso con leggerezza. Esiste il talento, esiste la bravura e l'esperienza, ed esiste anche il genio. Qui ho il sospetto che ci troviamo dalle parti di quest'ultimo. Ma sono sempre disponibile a scoprire di nuovo, di più e di meglio, a compiere altri viaggi verso altri pianeti.
Published on April 22, 2017 01:56
April 17, 2017
Doctor Who 10x01 - The Pilot
Dopo un lungo digiuno da
Doctor Who
interrotto solo da un richiamino sotto Natale, si riparte finalmente con la stagione 10, che segnerà un punto di svolta nella serie in quanto è già noto che sarà l'ultima con l'attuale incarnazione del Dottore e sotto la guida di Steven Moffat, che ha condotto lo show per cinque stagioni e attraverso il cinquantesimo anniversario.
Probabilmente c'è un significato che va oltre lo schermo nel titolo di questo episodio, che è in un certo senso il pilot di una serie che prova a ripartire. Riparte perché abbiamo una nuova companion, quindi l'occasione di fornire un nuovo punto di vista sulla vicenda del Time Lord, e riparte perché con la stagione nove e gli speciali successivi si sono chiusi alcuni degli archi narrativi che avevano trattenuto il Dottore negli ultimi anni: la ricerca di Gallifrey, la relazione morbosa con Clara Oswald, l'ultima (lunga) notte con River Song. Quello che incontriamo all'inizio della stagione dieci è un Dottore dal basso profilo, che si è limitato negli ultimi decenni a fare il professore universitario. "Non faccio più queste cose" dice "ho promesse da mantenere." Sappiamo bene che qualcosa lo porterà fuori dal suo isolamento, e d'altra parte ci aveva già provato in passato a tornare nell'ombra (vedi la fine della stagione 6), ma è chiaro che non gli è possibile.
Conosciamo anche Bill, e appare fin da subito come qualcosa di fresco e leggero. Molti fan si erano lamentati che ultimamente tutti gli accompagnatori del Dottore fossero in qualche modo "le persone più speciali dell'universo", e l'apice di questa tendenza si è raggiunto proprio con Clara, che da personaggio ricorrente in tutta la storia del Dottore è diventata per lui così importante da dover essere dimenticata. Bill invece, almeno per quanto possiamo vedere, è una ragazza normale. Non si presenta come straordinariamente brillante o coraggiosa, è curiosa ma anche spaventata, si rendo conto di trovarsi di fronte a eventi più grandi di lei. È anche lesbica, come già si sapeva, tratto che in The Pilot assuma una sua importanza, ma lo fa con naturalezza, come dovrebbe sempre essere per l'orientamente sessuale di un personaggio (cosa che non si può dire ad esempio del rapporto omo-interspecifico tra la siluriana Vastra e la sua assistente, che fin troppe volte viene sottolineato). L'altro companion occasionale Nardole, per cui avevo espresso già parecchi dubbi in precedenza, non si è dimostrato irritante quanto avrei pensato, anzi ridotta la componente macchiettistica il suo ruolo di spalla del Dottore potrebbe avere un senso, soprattutto se come è plausibile Bill non avrà il tempo (e la predisposizione) per diventare una Vicedottoressa come è stato per molte companion recenti.
La storia di The Pilot è un monster of the week abbastanza blando, una minaccia non così terribile ma abbastanza misteriosa, che il Dottore stesso non riesce a comprendere del tutto. Non c'è un vero senso di minaccia e non è in ballo la salvezza dell'umanità, il che per un episodio che è tutto sommato una series premiere va più che bene. Per la verità ci sono un paio di elementi che sembrano provenire di peso da storie precedenti: l'astronave in cerca di pilota (The Lodger, stagione 5) e le creature grondanti acqua (The Waters of Mars, uno degli speciali dopo la stagione 4). Forse si sarebbero potute trovare soluzioni estetiche diverse per non richiamare troppo le puntate passate, ma la storia fa del suo meglio per distanziarsi da queste. E anzi, per quanto accennata, la storia della ragazza che si sente fuori posto, forse a causa di una piccola imperfezione che si porta dietro da sempre, riesce ad apparire credibile e attirare empatia. Il mostro che non è davvero cattivo ma solo incompreso è un cliché ricorrente, anche in DW stesso, e può funzionare o apparire patetico: stavolta funziona.
Un'altra cosa che si può notare sotto la superficie della storia sono i numerosi particolari riferiti al passato di Doctor Who, e in particolare alla serie classica degli anni 60-80. I vecchi cacciaviti sonici (in uso dal Terzo Dottore in poi), l'incursione nella guerra tra Dalek e Movellan (visti in Destiny of the Daleks, una storia del Quarto Dottore) e soprattutto la fotografia di Susan, la nipote del Dottore che ha iniziato a viaggiare con lui tanto tempo prima, proprio nei primi episodi della serie del 1963. È da tempo che si vocifera una comparsa di Susan, e forse quel momento è arrivato, considerando che finora nella serie moderna è stata giusto citata un paio di volte ma mai nemmeno mostrata. L'impressione anzi è che quest'ultima stagione di Peter Capaldi si ricongiunga in qualche modo a quelle di William Hartnell, vista anche la presenza del primo design dei cyberman, che sono i responsabili della rigenerazione del Primo Dottore.
È ancora presto per poter dire dove punterà questa decima stagione e qual possa essere l'arco narrativo che quasi sempre si snoda lungo i vari episodi, ma alcuni indizi si possono già raccogliere. Susan, la "promessa" del Dottore, l'imminente arrivo di ben due versioni del Master... vedremo cosa ne viene fuori. Rimane il fatto che The Pilot si è dimostrato un ottimo inizio di stagione, con una bassa posta ma un'efficace gestione dei nuovi personaggi e della componente emotiva. D'altra parte si viene da una stagione nove che nonostante un paio di scivoloni è stata di livello davvero alto. E speriamo di aver sentito davvero per l'ultima volta il tema di Clara. Voto: 7/10
Probabilmente c'è un significato che va oltre lo schermo nel titolo di questo episodio, che è in un certo senso il pilot di una serie che prova a ripartire. Riparte perché abbiamo una nuova companion, quindi l'occasione di fornire un nuovo punto di vista sulla vicenda del Time Lord, e riparte perché con la stagione nove e gli speciali successivi si sono chiusi alcuni degli archi narrativi che avevano trattenuto il Dottore negli ultimi anni: la ricerca di Gallifrey, la relazione morbosa con Clara Oswald, l'ultima (lunga) notte con River Song. Quello che incontriamo all'inizio della stagione dieci è un Dottore dal basso profilo, che si è limitato negli ultimi decenni a fare il professore universitario. "Non faccio più queste cose" dice "ho promesse da mantenere." Sappiamo bene che qualcosa lo porterà fuori dal suo isolamento, e d'altra parte ci aveva già provato in passato a tornare nell'ombra (vedi la fine della stagione 6), ma è chiaro che non gli è possibile.Conosciamo anche Bill, e appare fin da subito come qualcosa di fresco e leggero. Molti fan si erano lamentati che ultimamente tutti gli accompagnatori del Dottore fossero in qualche modo "le persone più speciali dell'universo", e l'apice di questa tendenza si è raggiunto proprio con Clara, che da personaggio ricorrente in tutta la storia del Dottore è diventata per lui così importante da dover essere dimenticata. Bill invece, almeno per quanto possiamo vedere, è una ragazza normale. Non si presenta come straordinariamente brillante o coraggiosa, è curiosa ma anche spaventata, si rendo conto di trovarsi di fronte a eventi più grandi di lei. È anche lesbica, come già si sapeva, tratto che in The Pilot assuma una sua importanza, ma lo fa con naturalezza, come dovrebbe sempre essere per l'orientamente sessuale di un personaggio (cosa che non si può dire ad esempio del rapporto omo-interspecifico tra la siluriana Vastra e la sua assistente, che fin troppe volte viene sottolineato). L'altro companion occasionale Nardole, per cui avevo espresso già parecchi dubbi in precedenza, non si è dimostrato irritante quanto avrei pensato, anzi ridotta la componente macchiettistica il suo ruolo di spalla del Dottore potrebbe avere un senso, soprattutto se come è plausibile Bill non avrà il tempo (e la predisposizione) per diventare una Vicedottoressa come è stato per molte companion recenti.
La storia di The Pilot è un monster of the week abbastanza blando, una minaccia non così terribile ma abbastanza misteriosa, che il Dottore stesso non riesce a comprendere del tutto. Non c'è un vero senso di minaccia e non è in ballo la salvezza dell'umanità, il che per un episodio che è tutto sommato una series premiere va più che bene. Per la verità ci sono un paio di elementi che sembrano provenire di peso da storie precedenti: l'astronave in cerca di pilota (The Lodger, stagione 5) e le creature grondanti acqua (The Waters of Mars, uno degli speciali dopo la stagione 4). Forse si sarebbero potute trovare soluzioni estetiche diverse per non richiamare troppo le puntate passate, ma la storia fa del suo meglio per distanziarsi da queste. E anzi, per quanto accennata, la storia della ragazza che si sente fuori posto, forse a causa di una piccola imperfezione che si porta dietro da sempre, riesce ad apparire credibile e attirare empatia. Il mostro che non è davvero cattivo ma solo incompreso è un cliché ricorrente, anche in DW stesso, e può funzionare o apparire patetico: stavolta funziona.
Un'altra cosa che si può notare sotto la superficie della storia sono i numerosi particolari riferiti al passato di Doctor Who, e in particolare alla serie classica degli anni 60-80. I vecchi cacciaviti sonici (in uso dal Terzo Dottore in poi), l'incursione nella guerra tra Dalek e Movellan (visti in Destiny of the Daleks, una storia del Quarto Dottore) e soprattutto la fotografia di Susan, la nipote del Dottore che ha iniziato a viaggiare con lui tanto tempo prima, proprio nei primi episodi della serie del 1963. È da tempo che si vocifera una comparsa di Susan, e forse quel momento è arrivato, considerando che finora nella serie moderna è stata giusto citata un paio di volte ma mai nemmeno mostrata. L'impressione anzi è che quest'ultima stagione di Peter Capaldi si ricongiunga in qualche modo a quelle di William Hartnell, vista anche la presenza del primo design dei cyberman, che sono i responsabili della rigenerazione del Primo Dottore.
È ancora presto per poter dire dove punterà questa decima stagione e qual possa essere l'arco narrativo che quasi sempre si snoda lungo i vari episodi, ma alcuni indizi si possono già raccogliere. Susan, la "promessa" del Dottore, l'imminente arrivo di ben due versioni del Master... vedremo cosa ne viene fuori. Rimane il fatto che The Pilot si è dimostrato un ottimo inizio di stagione, con una bassa posta ma un'efficace gestione dei nuovi personaggi e della componente emotiva. D'altra parte si viene da una stagione nove che nonostante un paio di scivoloni è stata di livello davvero alto. E speriamo di aver sentito davvero per l'ultima volta il tema di Clara. Voto: 7/10
Published on April 17, 2017 01:41
Unknown to Millions
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