Csaba Dalla Zorza's Blog, page 1474
June 24, 2021
«Storm Boy», storia di un bambino che amava i pellicani
L’uno è la versione bambina dell’uomo adulto. L’altro la sua immagine presente. Finn Little, piccolo attore esordiente, e Geoffrey Rush sono stati scelti per interpretare, al cinema, una stessa parte: quella di un ragazzino divenuto padre. Michael Kingley, potente uomo d’affari, è stato un tempo un bambino sensibile, dolce. Dotato di un amore premuroso nei confronti del mondo animale. Ancor piccolo, si è fatto carico del salvataggio, poi dell’accudimento di un pellicano rimasto orfano. E sono le immagini di quel momento, i ricordi del passato a farsi strada nella dimensione dell’ora, costringendo un Kingley ormai anziano a riprendere contatto con una parte recondita di sé.
Kingley, il volto cangiante di Geoffrey Rush e Finn Little, capirà attraverso la rievocazione della propria storia personale quando Mr. Percival, il pellicano allevato con affetto quasi materno, ne abbia influenzato la crescita, lo sviluppo. E, nella pellicola tratta dallo scritto di Colin Thiele, Storm Boy, trasformerà la propria consapevolezza in un’epifania ormai matura, sviluppando una coscienza risolutiva sul futuro della sua famiglia e, insieme, dell’ambiente circostante.
Storm Boy – Il ragazzo che sapeva volare, che nei cinema italiani farà capolino il 24 giugno, è un racconto di formazione, senza tempo né età. Adattamento di un libro scritto nel 1964, ripercorre la storia (fittizia) di un ragazzino, del suo territorio, l’Australia. Ma di quel particolare non fa un limite, qualcosa che nasca e muoia nel suo pezzo di mondo. Storm Boy è l’universalità di sentimenti che non conoscono confini. È empatia, rispetto: una storia senza scadenza, di cui in alto vi mostriamo una clip in esclusiva.
Da Frame le pochette di Vanity Fair, Vogue e GQ all’insegna della bellezza sostenibile
Guardare alla sostenibilità anche quando si tratta di beauty routine è una filosofia che Frame abbraccia appieno e che, con una nuova iniziativa, sposa alle ormai note pochette firmate Vogue, GQ e Vanity Fair in vendita esclusivamente nello store di piazzale Cadorna 7. Qui, a partire dal 24 giugno, saranno disponibili tre beauty set pensati per l’estate in collaborazione con Agenov.
Agenov è un brand di skincare vegana che propone cosmetici ecosostenibili e cruelty free dove la tecnologia italiana incontra la natura incontaminata della foresta amazzonica. In particolare, la pochette di GQ pensata per l’uomo contiene un olio lenitivo e una saponetta artigianale al burro di Cupuaçu, 100% vegetale, che lascia la pelle incredibilmente morbida e idratata. La pochette firmata Vogue annovera invece prodotti unisex: l’acqua idratante e l’olio viso & corpo pre & doposole con attivatore dell’abbronzatura della linea Tropical Fruits. Mentre la pochette di Vanity Fair, dedicata alla donna, accoglie latte detergente, tonico rivitalizzante e crema 24h della linea Amazonian Ingredients. Coccole deluxe insomma, da regalare o da regalarsi, in una combinazione che coniuga accessori e skincare in un modo del tutto esclusivo.
I set sono disponibili nello store di Frame, aperto dal lunedì al venerdì dalle 11.30 alle 18.30. Per ricevere informazioni o acquistarli online basterà scrivere in direct sul profilo Instagram di Frame
Jacques e Gabriella di Monaco ancora soli con papà Alberto. Dov’è Charlène Wittstock?
I gemellini Jacques e Gabriella di Monaco ancora protagonisti di un evento nel Principato di Monaco. I bambini, sei anni, hanno fatto compagnia a papà Alberto II in occasione delle celebrazioni per San Giovanni, che si sono tenute nella serata di mercoledì 23 giugno. Un momento condiviso con tanti monegaschi, che con loro hanno assistito all’accensione del tradizionale falò. Assente, di nuovo, Charlène Wittstock, che il prossimo 1 luglio festeggerà i suoi dieci anni di matrimonio con Alberto.
La principessa non si vede in pubblico dallo scorso gennaio, quando con la famiglia aveva festeggiato Santa Devota, patrona del Principato, e in molti cominciano a chiedersi cosa stia succedendo. Le ragioni dell’assenza prolungata risalgono allo scorso marzo, quando Charlène era partita per il Sudafrica, suo Paese di origine, dove è stata impegnata con un’Associazione per la salvaguarda dei rinoceronti, ancora vittime di bracconaggio.
Anche Alberto e i gemelli hanno trascorso qualche giorno con lei, raggiungendola per il quinto compleanno della nipote Aiva, come raccontano alcune foto pubblicate sul suo account Instagram, ma poi della principessa si sono perse le tracce.
Stando ad alcune indiscrezioni, Charlène non sarebbe stata bene. «Ha contratto un’infezione otorinolaringoiatrica che le impedisce di viaggiare», hanno poi confermato da Palazzo, senza aggiungere ulteriori dettagli.
Un problema che va ad aggiungersi ai già tanti gossip sulla coppia. Il 2021 era iniziato con la notizia di un’altra figlia illegittima per Alberto, la terza, dopo Jazmine Grace, nata nel 1992, e Alexandre Coste, classe 2003. Le voci si rincorrono dalla scorsa estate, quando per la prima volta si era iniziato a parlare di una ragazza nata nel 2004 dalla storia fugace tra Alberto II e una donna brasiliana, allora appena 19enne, e che oggi vive in Italia.
Charlène, però, si è sempre mostrata più che comprensiva con il passato del marito: «Quando mio marito ha dei problemi ne parla con me. Gli dico spesso: “Qualunque cosa accada sono dalla tua parte al mille per cento. Ti starò accanto qualunque cosa tu faccia, nei momenti buoni e in quelli difficili», il suo commento sulla questione a Point de Vue, nel corso di una rara intervista rilasciata a inizio anno.
La sua assenza, insomma, non sarebbe una fuga né un addio, solo un momento difficile. In attesa di rivederla, pensano i figli a monopolizzare le attenzioni. Due vere e proprie royal star, specie Gabriella, che saluta come una star di Hollywood (nella gallery in alto le prove inconfutabili). Ci ricorda qualcuno…
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Benetton: arriva la Varsity Jacket firmata da Ghali
Colori a contrasto, patch intrisi di simboli e immancabili riferimenti allo streetwear. Questi gli ingredienti salienti della prima varsity jacket di Benetton ideata da Ghali. L’iconica giacca in stile college americano, nata nel 1865 come uniforme della squadra di baseball di Harvard, è stata infatti interpretata dall’artista in modo ironico e irriverente, e impreziosita con chiari richiami alle proprie origini.
Dalla scritta «Welcome to the Grand Boulevard» ricamata a filo sul fronte, allo stendardo «Boulevard Story» sul retro, passando per numeri e lettere, sono tanti i riferimenti alla propria vita e carriera che il cantante ha promesso di svelare via social. La G Varsity, indossata dallo stesso cantante nel video di lancio del suo nuovo singolo, sarà disponibile dal 24 giugno solo on line in un’edizione limitata di ventidue pezzi autografata dallo stesso Ghali.
Per tutti gli altri, la giacca entrerà a far parte di United Colors of Ghali, la capsule collection – che comprende anche t-shirt, jogger, felpe e accessori – firmata dall’artista e ispirata ai valori di integrazione e multiculturalità in vendita a partire da settembre.
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«Ti devi fidare delle mani degli altri», firmato Pinguini Tattici Nucleari
Chi TOUCH acconsente.
Ti devi fidare delle mani degli altri
Touch è il nome di una canzone dei Daft Punk e Paul Williams. A un certo punto dice touch, you’ve almost convinced me I’m real. Forse è proprio così che scopriamo di essere reali: venendo toccati. Appena nati ci prendono subito in braccio. Da piccoli ci vengono dati dei colpetti sulla schiena per farci digerire, ci puliscono la bocca e ci danno la mano mentre impariamo a camminare. Poi arrivano i “batti il cinque” con gli amici, le carezze e i baci degli innamorati, le strette di mano al lavoro. Il contatto non è solo quello umano: c’è anche quello con le “cose”. Un musicista che suona il suo strumento, un chirurgo che maneggia gli utensili del mestiere o anche solo un ragazzino che impara a utilizzare uno smartphone. Siamo esseri toccanti, prima ancora di esseri pensanti.
Lasciatemi dire una cosa: il lato migliore della mia professione è il live. Come dice la stessa parola, quando si fa un “live” ci si sente davvero vivi. A un concerto si mischiano migliaia di odori, sapori, storie e respiri. Si dà vita a qualcosa di unico. Ricordo ancora la prima volta in cui mi lanciai sul pubblico durante un’esibizione, a Bologna (in gergo si dice stage diving).

La sensazione di avere decine di mani che ti sorreggono in aria è fantastica. Ti senti in cima al mondo, e vorresti restare lì per sempre. Certo, ci vuole un po’ di coraggio: non sai mai se ti prenderanno. Ti devi fidare delle mani degli altri. Mentre sei lì che ti stai per buttare, ci sarà una vocina nella tua testa che ti intimerà di non farlo, e sarai tu a dover rispondere: “E invece sì”.
È proprio per questo che chi “touch, acconsente”. Negli ultimi mesi abbiamo avuto un po’ di problemi coi contatti tra diversi esseri umani, che hanno causato grande dolore. È stato un po’ come cadere a terra in uno stage diving. Ma questa piccola grande cosa che si chiama umanità è come una rockstar, e qualche graffio non le impedirà certo di buttarsi di nuovo sul pubblico. Al prossimo concerto.
* Touch!è il tema del 2022 di Smemoranda. Toccare per conoscere. Toccare per trasmettere. Toccare per amore si legge nell’introduzione di Gino&Michele. Oltre ai Pinguini Tattici Nucleari sono tantissimi i contributor che hanno raccontato, ognuno a suo modo, quanta voglia c’è di tornare a incontrarsi dal vivo con gli amici, nello sport, nei concerti, ma anche quanto il touch di uno schermo digitale sia stato importante per rimanere in contatto in questi mesi difficili. Da Ermal Meta a Alessandro Bastoni, da Cara a Samuel Heron Costa… e poi Claudio Bisio, Luciano Ligabue, Lorenzo Jovanotti, Gino Strada.
Sangiovanni e Giulia: «La prima cosa bella»
Questo articolo è pubblicato sul numero 26-27 di Vanity Fair in edicola fino al 6 luglio 2021
L’estate, quando non hai neanche vent’anni, somiglia a Giulia stretta a sé nel suo bomber leggero, capelli al vento, su un pattino rosso in riva al mare di Fregene, che mentre in spiaggia si fa sera e sopra di noi atterrano e decollano aerei, nel loro rombo alza gli occhi al cielo, si distrae e sospira: «Che voglia di volare».
E l’estate è anche Sangiovanni che supera gli ombrelloni e ci raggiunge, talento timido, eroe romantico in camicia bianca di lino, l’eleganza della purezza perfino in infradito, che ora sta tra la sua ragazza e l’orizzonte, e nell’unicità a cui tiene sgretola ogni artificio: «Guardale, le asimmetrie. Non sono stupende? Voglio tenermi tutto. Le imperfezioni: il neo sulla guancia, i segni della dermatite sulle mani, le bollicine che mi puntellano la fronte».
«Davvero è il fidanzato mio, questo?». «Che bambina che sei, che vocina che hai: sei così bella». Ultime creature di Maria De Filippi, lei corpo, lui voce, vincitori di Amici – fenomeni più puliti e veri di quest’anno strambo (non è un caso che sul ragazzo punta le proprie fiches una casa discografica diamante come la Sugar Music di Filippo Sugar) bagnati dai colori degli elementi, il celeste dell’acqua, il giallo del sole, il bianco del sale –, sono il poster simbolo di una giovinezza limpida di corpi e cuore. Le ombre stanno scomparendo, e mentre in sottofondo vanno musica francese (Flou di Angèle) e americana (Mystery of Love di Sufjan Stevens), tormentoni, hit, alte rotazioni, e il profumo delle creme solari si prende l’aria di giugno, ma come ogni attimo non dura che un attimo, lui gioca: «Ti regalo la mia presenza, ti va?». «Con scadenza? Senza scadenza, dai». «È impossibile».
Parliamo d’amore.
G: «Mai provato, fino a lui: un po’ come stare sulle giostre, i seggiolini volanti. Che ti manca quasi l’aria, non hai niente sotto ai piedi e un po’ hai paura, un po’ ti lasci andare».
S: «Giulia che un giorno ha iniziato a volermi bene prima che a desiderarmi. Io che la guardo e penso: riempie tutti gli spazi vuoti che avevo».
Le vostre origini?
S: «Piccolo paesino in provincia di Vicenza, chiuso. Famiglia di lavoratori, fratelli molto più grandi di me, cresciuto in fretta. Adolescenza in casa, in discoteca non vado. Una ragazza alla volta. Genitori che si ritrovano a dover avere a che fare con la mia diversità di respiro, di ideali, di pensieri. Ragiono in un altro modo, a scuola, che non è il mio ambiente, sono sempre in un’altra dimensione. Estroverso, creativo, gli insegnanti non mi capiscono, cercano in me solo l’ennesimo alunno che stia seduto e ascolti come un pupazzo, invece di accendermi non fanno che spegnermi. Inizio a convincermi che la cultura si fa vivendo. Una sera in Toscana non so dove rifugiarmi dopo una discussione dei miei: trovo riparo in un foglio bianco, in una canzone che parla di un’entità che mi chiama nella notte e grazie a lei posso stare meglio. La cura: nella scrittura, nella musica».
G: «Mamma è di Barcellona, così per metà lo sono anche io: viaggio con lei da che sono nella sua pancia, già appena nata mi fa addormentare con le canzoni arabe, Jovanotti, Michael Bublé. A tre anni in un ristorante una pista da ballo mi rapisce. M’iscrivono a danza classica, ma mi attrae l’hip-pop. “Rovina il fisico”, niente da fare. Ricordo che piangevo nel vedere la mia mamma allontanarsi».
Altre difficoltà incontrate?
G: «Il primo colpo me lo danno le mie due amiche del cuore. Il pomeriggio ho gli allenamenti – “Che fai, non esci con noi? Mica è normale”. Poi un ragazzino per cui mi sono presa una cotta, i suoi amici. Tutti quanti insieme. A prendermi in giro su piccole cose. Come sono fatta. La peluria, il mono-ciglio, i denti
storti, le gengive irregolari. “Ridi sempre”, mi dicono. “Sei forse pazza?”. Io mi metto a piangere
in bagno per non farmi vedere. Mia madre abbassa il finestrino sui miei occhi rossi, quando
viene a prendermi da scuola per portarmi a danza. Una sofferenza grande grande che si calma solo quando allaccio le scarpe da ginnastica, e inizio a ballare. Me li sento ancora, gli occhi rossi, quando mi criticano. Ho cercato di chiuderla, ma forse la cicatrice è ancora aperta».
S: «La risata “insana” di Giulia. Il mio smalto “da frocio”. Come la mia maglia rosa. I suoi piedi
“storti e orribili”. Che effetto fanno? Mi intriga capire che cosa ha nel cervello quello che mi
sta di fronte per pensare una roba del genere. Mi chiedo proprio: “Che cosa può esserti successo?
Che problemi hai tu?”. Poi me ne frego abbastanza, non dò troppa importanza ai giudizi sterili, non li reputo intellettualmente onesti e li lascio da parte. Ma non tutti hanno la forza per lottare contro questo, e i desideri di essere quel che ci si sente spesso vengono interrotti, spezzati, soppressi, e una società fatta di persone che vorrebbero essere qualcosa ma non lo diventano per paura la fa anche, paura, oltre a essere un gran peccato».
Che soluzioni intravedete?
S: «Leggi più inclusive per chi è considerato diverso e sbagliato, quando ognuno è solo normale e speciale nella propria unicità. Penso alle minoranze di popoli dentro un altro popolo, alle discriminazioni razziali e all’esclusione sociale, a chi giudica ancora il mondo LGBTQ+, alle persone con problemi mentali, ai disabili, agli altri che come noi fanno lavori non usuali. Prevederei qualche pena, una multa per chi non accetta gli altri a causa di una certa chiusura. Non saprei come risolverla altrimenti».
G: «Provare a non dargli importanza. Ridere. Non sono mai stata tra le migliori in sala, e tante mamme si lamentavano perché la direttrice mi metteva in prima fila nei saggi, di lato magari, ma in prima fila. Mi ci metteva perché, con più passione che talento, sorridevo sempre, non avevo un bel collo del piede, la gamba alta e tutte quelle doti che servono per la danza classica ma neanche i visi lunghi e la faccia triste di chi invece le aveva. Anche quando dentro soffrivo, fuori ridevo tantissimo».
Com’è la Generazione Z, la vostra?
S: «Velocissima. E per la rottura di questi schemi mentali. Dice: sono un uomo e metto lo smalto perché non trovo nessuna differenza con una donna che se lo mette, perché mi piace esteticamente, e per la risposta più banale ma importante di tutte: perché mi fa stare bene. Come amare un uomo per chi ama un uomo: lo fa stare bene. Come chi sceglie di avere un figlio o no: lo fa stare bene».
G: «Come mai, il tentativo d’essere quel che si ama». Siete in un’età che è il regno delle prime volte.
S: «Quella di essere indipendente, responsabile al cento per cento della mia vita, senza farmi aiutare dai miei: è la prima volta che vedo così tante persone, che ci parlo, che provo determinate emozioni tutte insieme».
G: «La prima volta che mi sono innamorata. La prima volta che sono uscita dalla sfera e ho rivelato cosa significa essere una bambina e ritrovarsi una giacca tagliuzzata con le forbici da un gruppo che ti deride e odia».
Com’è stato il primo bacio?
G: «Un giorno che lo sapevo preso dalle preoccupazioni, in camera a riposare, mi sono sdraiata accanto a lui e ci siamo guardati, avvicinati sempre di più, ho sentito in pancia un solletico, e mentre le labbra si toccavano piano piano mi sono come sollevata da terra».
S: «Dai, non era proprio un bacio, era quasi a stampo, come tra due bambini».
E fare l’amore, la prima volta?
G: «Essere una cosa sola, in tutti i sensi. Lo immagino, ma non è ancora successo. Paura, credo. Di provare dolore, rimanerci male. Forse basterebbe solo chiudere gli occhi».
S: «Si può fare anche senza toccarsi, standosi vicino, parlandosi. Fare l’amore è il giusto pane per il sentimento che si prova, è il carbone nella fornace, che alimenta il fuoco. Molto più fondante la prima discussione, lo trovo un passaggio più costruttivo, il resto verrà. Altra storia è il sesso: godere semplice, superficiale, disimpegnato com’è il divertimento. Io sono più per fare l’amore. Il sesso, ahimè, non riesco».
Truccarsi.
S: «Non amo le maschere che nascondono segni che vengono considerati imperfezioni, difetti, i piccoli particolari diversi che rendono interessanti le persone. Sembra un gioco a vincere ma è a perdere, nell’omologazione».
G: «Prima di lui, mai senza correttore, rimmel: non mi sono mai piaciuta e avevo difficoltà anche nel sostenermi allo specchio. Ora esco dalla doccia e mi dico “ok, sono io, così è”».
I corpi.
S: «Oggi è ancora un peccato mostrarli. Ancora non sembra normale che il corpo di un uomo possa mescolarsi a quello di un altro. Mi danno del gay come fosse negativo, a insulto».
G: «Scheletrica, mettevo la felpa per non farlo vedere. Mia madre preoccupata mi diceva: se non mangi, dovremo fare le punture. Lo faceva per farmi spaventare. O forse era vero».
Che cosa desiderate?
S: «Posso e voglio essere un esempio di verità. Non esiste un tipo di uomo maschio e di donna femmina, qualcuno di sbagliato, inferiore, inadatto, invece conta essere vari».
G: «Io vorrei fare la differenza. E un po’ sta succedendo già. Un’infinità di donne dopo che ho raccontato la mia esperienza si sono mostrate nei loro difetti inconfessabili, e non pensano più a cambiarsi, non sono più l’ossessione di loro stesse, non credono più a chi insiste: “Hai un puntino blu in fronte”, non vedono più la perfezione come obiettivo, che ci si resta solo fregate, visto che non esiste».
L’estate.
S: «Stagione meno affettuosa dell’inverno che culla: è larga, aperta, dà aria, spazio e nessun confine nelle onde, nella linea che separa cielo e mare».
G: «L’estate è correre verso il bagnasciuga senza che più nessuno ti tocchi nella libertà di essere senza timori».
S: «Farsi inafferrabili come l’orizzonte. Una terra diversa, nuova, che cambia. Un altro tipo di ragazza, di ragazzo. Niente mai in meno rispetto a quelli di ieri».
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Foto: JOSEPH CARDO
Servizio: GAIA FRASCHINI
Festival di Cannes 2021: a Marco Bellocchio la Palma d’Onore
In attesa di vedere Esterno Notte, la serie tv su Aldo Moro realizzata per la Rai con Aldo Gifuni, Margherita Buy e Toni Servillo, Marco Bellocchio si prepara a ricevere, il prossimo 16 luglio, la Palma d’Onore al Festival di Cannes, una dei più importanti riconoscimenti assegnati durante la manifestazione. «I premi servono per andare avanti, per rendere leggermente più facile il nostro lavoro. Sono contento della mia vita, di tutto quello che mi è successo, questo riconoscimento rappresenta qualcosa di speciale. Non ho mai ricevuto un premio a Cannes, se non nel 1980 per Michel Piccoli e Anouk Aimée, i due protagonisti del mio film Salto nel vuoto» ha commentato a caldo Bellocchio dieci anni dopo il Leone alla Carriera ritirato a Venezia.
https://twitter.com/Festival_Cannes/s...«Non è una ricompensa o un recupero, non ho mai pensato a un regista per i posteri, non sono uno che si lamenta, ho avuto 7-8 David di Donatello, non sono un disperato, sono stato anche notevolmente premiato, questa è una cosa abbastanza eccezionale». Nei suoi 74 anni di vita, il Festival di Cannes ha assegnato la Palma d’Onore soltanto altre cinque volte: a Clint Eastwood, ad Agnés Varda, a Francis Ford Coppola, a Bernardo Bertolucci e a Manoel de Oliveira. «È un regista, un autore e un poeta, siamo orgogliosi di onorarlo» ha detto il direttore artistico del Festival Thierry Frémaux, che quest’anno ha deciso di puntare su un’edizione molto indie rinunciando ai grandi blockbuster hollywoodiani.
LEGGI ANCHE«Esterno, Notte», Marco Bellocchio dirigerà una serie tv su Aldo MoroSu Bellocchio si è pronunciato anche il presidente della rassegna Pierre Lescure: «Ha sempre messo in discussione le istituzioni, le tradizioni, la storia personale e collettiva. In ciascuna delle sue opere, quasi involontariamente, o almeno nel modo più naturale possibile, rivoluziona l’ordine costituito». Nella sua lunga carriera, Marco Bellocchio ha firmato la regia di oltre 25 film, decine di documentari, corti e lavori per la tv. Tra i titoli più famosi ricordiamo I pugni in tasca (1965), L’ora di religione (2002), Buongiorno notte (2003) e l’ultimo, Il Traditore (2019), con Pierfrancesco Favino, premiato a Venezia con la Coppa Volpi, nel ruolo di Tommaso Buscetta.
LEGGI ANCHEMarco Bellocchio, spigoloso, coraggioso, anticonformistaLEGGI ANCHEFestival di Cannes 2021: dal ritorno di Nanni Moretti alla Palma d'Oro a Jodie FosterLEGGI ANCHEMarco Bellocchio sale in cattedra: la «lectio» del regista allo IulmEmma e Loredana Bertè: «Che sogno incredibile», ecco il backstage dell’incontro
Le treccine, il sorriso, il rock e la voglia di unire le forze per realizzare finalmente qualcosa insieme. In occasione delle riprese di Che sogno incredibile, una delle hit più focose e ascoltate dell’estate, Emma e Loredana Bertè si incontrano e danno vita a una collaborazione inedita, capace di trasmettere al pubblico tutta la potenza e la sinergia di due artiste che, tanto sul palco quanto fuori, non si sono mai risparmiate.
Il backstage del loro primo incontro è disponibile in esclusiva su Apple Music, ma Vanity Fair ne anticipa qui sopra un estratto, svelando tutta l’emozione di Emma e di Loredana di ritrovarsi insieme: «Questo non è il classico pezzo estivo. Questa canzone per me è un pezzo di storia, la mia. Sono onorata e orgogliosa di sganciare questo missile insieme alla mia mamma rock» ha detto Emma al momento dell’uscita del brano, lo scorso 4 giugno. «Dopo tanti anni, per la prima volta, una collaborazione su un inedito con la bimba rock» ha, poi, rincarato Loredana Bertè: il loro «sogno incredibile» lo hanno già realizzato e adesso spetta al pubblico il compito di viverlo e di portarlo avanti.
[image error]Emma all'Arena di Verona: la festa dei 10 anni di carriera[image error]Emma all'Arena di Verona: la festa dei 10 anni di carriera[image error]Emma all'Arena di Verona: la festa dei 10 anni di carriera[image error]Emma all'Arena di Verona: la festa dei 10 anni di carriera[image error]Emma all'Arena di Verona: la festa dei 10 anni di carriera[image error]Emma all'Arena di Verona: la festa dei 10 anni di carriera LEGGI ANCHEEmma Marrone, il primo singolo con «mamma rock» Loredana Bertè«Pezzo di cuore», la prima volta di Emma Marrone e Alessandra Amoroso
«Verso»: arte ed educazione per affrontare le urgenze giovanili
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, centro per l’arte contemporanea di Torino, dà il via a «Verso», un progetto curato e prodotto con l’Assessorato alle Politiche Giovanili della Regione Piemonte, nell’ambito del Fondo nazionale per le politiche giovanili.
Dedicata ai giovani tra i 15 e i 29 anni, l’iniziativa, che mira a coinvolgere oltre 100.000 partecipanti, si articolerà in una serie di mostre, workshop, incontri, visite volte a unire la sfera artistica e curatoriale a quella educativa. Tre le principali aree di indagine su questioni oggi quanto mai urgenti: il tema dell’autonomia e della realizzazione delle generazioni più giovani, della loro partecipazione alla vita sociale e politica, della prevenzione e problematizzazione delle «nuove dipendenze», diretto effetto di specifiche dinamiche delle nostre società.
Come suggerisce il titolo stesso, Verso è una preposizione che rappresenta e produce una posizione nei confronti di questi argomenti, indica un’inclinazione e un movimento tesi a qualcosa, richiama una dimensione performativa, ma anche poetica e linguistica. Il progetto, che si estenderà fino al mese di luglio 2022, mira a identificare nella giovane generazione il proprio interlocutore privilegiato, costituito da soggetti che saranno coinvolti nella attività in quanto produttori e destinatari. Un progetto che si snoda in stagioni tematiche che approfondiscono prospettive sugli argomenti generali, costruendo grammatiche e posture collettive e strumenti per affrontare le urgenze giovanili da un punto di vista politico.
Tra le aree di ricerca sarà analizzato il linguaggio, assunto come dispositivo di produzione di opinione e soggettività, l’assemblea come luogo di confronto democratico, il ragionamento politico come arena di messa in discussione del reale, la tecnologia come ambito di costruzione del sé, lo spazio urbano come scenario di emancipazioni e conquista di diritti.
Ogni stagione di Verso affronterà i temi attraverso diverse azioni che costituiranno dispositivi di produzione di conoscenza dialogici e plurali: una mostra collettiva (la prima mostra, Burning Speech, è presentata dal 24 giugno al 10 ottobre 2021) con artiste e artisti italiani e internazionali; un public programme che coinvolge differenti istituzioni e soggetti formativi attivi nella regione; un programma educativo costituito da workshop, visite e laboratori in mostra e gruppi di ricerca. Il programma si concluderà a luglio 2022 con un campo intensivo, un’esperienza formativa e aggregativa che vedrà la partecipazione di associazioni giovanili e movimenti attivisti, provenienti da Italia ed Europa.
Lo scenario dove accadono queste attività è lo spazio espositivo, nel quale un display architettonico in evoluzione, commissionato allo studio di architetti Orizzontale, crea un ambiente progressivo che invita i pubblici ad abitarlo e usarlo, capitolo dopo capitolo. La partecipazione a tutte le attività proposte sarà gratuita. Inoltre, cinquanta giovani lavoreranno nel progetto producendo contenuti e collaborando alle iniziative a fronte di un’equa retribuzione e del riconoscimento della loro professionalità.
«La prima cosa che dobbiamo dare ai giovani, specialmente in anni complessi come quelli che stiamo attraversando, è la capacità di orientarsi nel mondo che li circonda. Per farlo, ragazzi e ragazze devono essere dotati di strumenti di lettura del presente. È in questa direzione che va un progetto come Verso – afferma l’assessore regionale alle Politiche Giovanili Fabrizio Ricca -. L’arte, da sempre, è una forma di espressione umana che legge, anticipa il presente e fornisce a chi le si avvicina una capacità di interpretazione che una volta acquisita può essere traslata in ambienti diversi tra loro. Come istituzione siamo molto felici di supportare questa serie di laboratori che vedranno tanti giovani iniziare un percorso di approfondimento che diventerà parte fondante del loro bagaglio culturale.»
«Fin dal titolo, Verso indica una direzione, un movimento che inizia nel presente e si proietta in avanti, in sintonia con le giovani generazioni. Concepito a partire dalla lunga esperienza della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo nel campo dell’educazione e della curatela e dalla sua attenzione ai nuovi pubblici, Verso è un grande laboratorio. Con le sue mostre, i workshop, i talks, le visite e i contenuti digitali, sperimenta nuove forme di coinvolgimento, concretizzando la nostra idea di museo: uno spazio della scoperta e della conoscenza, un luogo capace di favorire le espressioni individuali e il discorso pubblico» ha commentato Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Presidente Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Avril Lavigne, bellezza immutabile dopo quasi due decenni
All’epoca di Britney e Xtina, Paris Hilton e Lindsay Lohan, le ragazze più alternative avevano solo un’icona di riferimento per stile e beauty look: Avril Lavigne. Dal Canada con furore, la popstar allora teenager, regina degli occhi bistrati di nero come lo smalto sulle unghie corte, i capelli liscissimi e biondi, ha la bellezza angelica di una cheerleader ma l‘attitude assolutamente punk.
Quasi due decenni dopo guardiamo il suo Instagram e viviamo un déja vù. Avril Lavigne, 37 anni a settembre, è identica a quando imperversava con le sue hit nei video di MTV. Al suo debutto su TikTok la cantante ha lanciato, infatti, un video in lip sync sulle note di uno dei suoi più grandi successi, Sk8ter Boi (visualizzato subito da 12 milioni di utenti) che anche condiviso con i suoi follower di Instagram. Insieme a lei lo stuntman e celebre skater Tony Hawk. Ed è subito 2002.
https://www.youtube.com/watch?v=TIy3n...La cosa che strabilia è vedere la popstar uguale alla versione di sé diciassettenne, tanto che tre milioni di tiktokers hanno sottolineato la sua perfetta forma fisica definendola Queen of not aging. La pelle è luminosa e compatta, segnale che la skincare di Avril è top. E poi, i lunghissimi capelli lisci e biondissimi, la cravatta sopra la T-shirt, lo smalto nero e, naturalmente, massicce quantità di matita ed eyeliner nero a sottolineare gli occhi chiari, il suo beauty look si allinea perfettamente al revival degli anni ’00 che stiamo vivendo. Uniche differenze riscontrate con l’Avril di inizio millennio la nuance più chiara per la chioma, qualche tatuaggio e ciglia più lunghe ed evidenti.
Avril Lavigne, che l’anno prossimo riceverà una stella sulla Walk of Fame, ha vissuto anni difficili in cui ha combattuto con la malattia di Lyme, una patologia debilitante che nelle fasi più acute l’ha costretta a letto per mesi senza potersi alzare. Nonostante questo sembra che abbia bevuto alla fontana dell’eterna giovinezza. Nuovo album, stesso look?
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