Csaba Dalla Zorza's Blog, page 1470

June 28, 2021

Reformer Pilates con vista, il primo talk Vanity Fair Trainer in collaborazione con Virgin Active

Ambientato sulla terrazza panoramica del club Virgin Active di corso Como a Milano, il talk «Reformer Pilates con vista», realizzato in collaborazione con Virgin Active, apre il calendario di appuntamenti di Vanity Fair Trainer, la nuova piattaforma digitale dedicata all’alimentazione, alla bellezza, alla salute del corpo e della mente.

Il Reformer Pilates è una pratica olistica basata sull’utilizzo del Reformer, un macchinario con cinghie e corde dall’intensità regolabile fissate su una piattaforma mobile, che migliora la consapevolezza del proprio corpo e lo tonifica in modo armonico. Ideato da Joseph Pilates, il metodo unisce esercizi a basso impatto, che si ispirano alla ginnastica funzionale, allo yoga e alla danza, per rafforzare i muscoli, aumentare la flessibilità e trovare l’equilibrio. Un allenamento che va oltre il corpo e che con la sua positività coinvolge anche la mente per raggiungere una sensazione di benessere globale.

La nuova concezione di fitness experience proposta dai Club Virgin Active supera anche gli spazi fisici ed è pensata per promuovere il movimento e i suoi benefici in ogni momento e in ogni luogo. Nel talk, Mihaela Rusu, Group Trainer Virgin Active, spiega tutti i segreti del Reformer Pilates. Racconta come si svolge una lezione, quali sono gli esercizi che aumentano la resistenza muscolare e allungano la figura, e quali sono le discipline che si possono abbinare per un allenamento ancora più completo. Parla, inoltre, del potere anti-age del Reformer Pilates, perché un corpo flessibile, è un corpo più giovane.

Seguite il talk il 29 giugno alle ore 18 sulla piattaforma Vanity Fair Trainer.

 

 

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Published on June 28, 2021 02:21

Generazione TikTok: Andrea Giuffrida e Federica Copernico alias i Trip’N’Roll

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1- Ciao! Presentatevi per noi!
Siamo Andrea Giuffrida e Federica Copernico, i Trip’N’Roll. Il 7 ottobre 2017 abbiamo mollato tutto e siamo partiti per fare il giro del mondo, zaino in spalla e con un budget di 15 euro al giorno a testa per mangiare, dormire e anche effettuare tutti gli spostamenti. È stata dura, ma allo stesso tempo è stata l’esperienza che ci ha cambiato la vita. Il nostro viaggio è durato 1013 giorni, durante i quali non siamo mai tornati a casa e abbiamo attraversato 33 Paesi. Abbiamo imparato a vivere con poco, a stare insieme 24 ore su 24, e che siamo tutti più fortunati di quanto pensiamo.

2- Come esprimete la vostra creatività su TikTok?
Creiamo video in cui raccontiamo ciò che abbiamo vissuto e imparato durante il nostro giro del mondo, diamo consigli per viaggiare low-cost e ispiriamo le persone a realizzare i propri sogni. Ovviamente non manca mai del sano umorismo di coppia, dopo 5 anni sempre insieme… concedetecelo!

3- Qual è il video che vi siete più divertito a fare?
Il video in cui spieghiamo che lavoro facciamo. Per molti è ancora impensabile vivere viaggiando o fare un lavoro differente da quelli tradizionali. Quando le persone scoprono la nostra storia pensano che siamo ricchi o figli di papà: ci fa piacere dimostrargli il contrario attraverso i nostri video e le nostre foto sui social.


@trip.n.rollCome fate ad essere sempre ##inviaggio ? ##lavorodeldomani ##travelcouple ##imparacontiktok ##neipertee – 1G: @trip.n.roll♬ She Share Story (for Vlog) – 山口夕依

4- Quali sono i vostri effetti preferiti?
Il Green Screen è uno dei nostri preferiti.

5- Musica: italiana o straniera?
Il nostro nome, Trip’N’Roll, nasce proprio dal nostro amore per il rock, rigorosamente in lingua straniera!

6- Cosa guardate su TikTok: avete degli account preferiti?
Quando abbiamo voglia di staccare la spina e ridere guardiamo i video del @lostressato e del suo fidanzato @justcallmepino che in realtà si chiama Jonathan, e già questo ci fa stra ridere!

7-Mi date un consiglio per fare video fighi?
Il bello di TikTok è che tutti possono avere successo anche con un video amatoriale, non conta l’editing perfetto ma l’emozione che vuoi trasmettere o ciò che puoi insegnare. Il nostro consiglio è di restare sempre se stessi e soprattutto di divertirsi, perché si percepisce nei contenuti se ami quello che fai.


@trip.n.rollLo sapevi che si può ##viaggiaregratis ? ##imparacontiktok ##tiraccontolitalia ##travelcouple ##neipertee – 1G: @trip.n.roll♬ She Share Story (for Vlog) – 山口夕依

8- Da dove prendete ispirazioni per i vostri video?
Dalle domande che ci pongono quotidianamente le persone che ci seguono, ascoltiamo i loro dubbi e cerchiamo di dare una risposta con i nostri video TikTok (ad esempio “Come si fa a viaggiare con 15 euro al giorno?” oppure “4 cose fondamentali da mettere nello zaino”, ecc.).

9- Una cosa che non sanno di voi?
Che Federica non mangia piccante ed è sopravvissuta per 3 mesi al cibo indiano e che Andrea non ama prendere l’aereo.

10- Qual è il vostro sogno nel cassetto?
Dopo aver realizzato il giro del mondo, continuare a vivere della nostra passione e costruire la vita che abbiamo sempre sognato: VIVERE VIAGGIANDO!

11- Cosa rappresenta per voi TikTok?
TikTok è la piattaforma più divertente di tutte, che ci fa ridere di più in assoluto e ci fa anche imparare tante cose nuove. Adoriamo navigare nei PER TE ritrovandoci a ridere fino allo sfinimento. Diversamente dagli altri social e piattaforme, è l’unico in cui gli utenti non fingono di avere una vita perfetta, anzi si divertono un mondo a non prendersi sul serio.


@trip.n.roll4 cose importanti da portare ##inviaggio ! ##travelcouple ##imparacontiktok ##neipertee – 1G: @trip.n.roll♬ She Share Story (for Vlog) – 山口夕依

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Published on June 28, 2021 02:13

Orlando, 18enne suicida: «Umiliato perché gay. Era oppresso non depresso»

Si è tolto la vita domenica scorsa, intorno alle 14,30. Orlando Merenda, appena diciottenne, si è gettato sotto un treno, a Torino, tra la stazione Lingotto e quella di Moncalieri. La Procura di Torino ha aperto un fascicolo per i reati di omofobia e bullismo e gli agenti della Polfer hanno già interrogato gli insegnanti dell’istituto professionale che Orlando frequentava per diventare barman e cameriere, ma anche i compagni di classe e gli amici. Alcuni di loro hanno spiegato: «Lo prendevano in giro perché era omosessuale».

«Mi aveva confessato di aver paura di alcune persone. Non mi ha spiegato chi fossero, non ha fatto nomi. Era preoccupato. Diceva che mettevano in dubbio la sua omosessualità», ha spiegato il fratello Mario a La Stampa. «Mi aveva confessato di aver paura di alcune persone. Non mi ha spiegato chi fossero, non ha fatto nomi. Era preoccupato. Diceva che mettevano in dubbio la sua omosessualità».

Mamma Anna, però, vuole andare a fondo. «Adesso ho un altro compito. Trovare i colpevoli e non mi darò pace finché non uscirà la verità. La mia lotta ora ha la priorità», ha spiegato in un video pubblicato su Facebook. «Stiamo cercando la verità. Mio figlio non è mai stato solo. Non ho mai pensato a un gesto estremo, non di sua volontà, non era una persona che pensava di togliersi la vita anzi sapeva che arrivato a 18 anni avrebbe potuto fare le sue scelte. Oggi credo sia stato ingannato, deriso e umiliato, con un carattere così fragile. Era libero e doveva essere libero di essere e fare quel che voleva, invece temo che subisse senza parlare e raccontarci».

Orlando non le aveva mai parlato esplicitamente della sua omosessualità. «Perché non serviva», ha spiegato la madre parlando al Corriere. «Io ero la sua mamma e l’ho capito prima che lo capisse lui. Un giorno stava per affrontare l’argomento e gli ho detto che non mi doveva spiegazioni. Che tutto quello che lo faceva felice avrebbe fatto felice anche me». Orlando, spiega la mamma, «non era depresso, era oppresso. C’è una bella differenza. E io voglio andare a fondo di questa storia, voglio la verità».

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Published on June 28, 2021 01:58

Storia di Mamadou, che ha rischiato la vita per aiutare altri migranti

Kouassi Pli Adama Mamadou, per gli amici «Mama», è nato il 10 ottobre del 1983 a Dame, in un villaggio a est della Costa d’Avorio. Nel 2005 ha lasciato il suo Paese per raggiungere l’Italia, dove vive dal 2008. Oggi lavora come mediatore interculturale e offre aiuto a chi, come lui, è arrivato da lontano in cerca di un futuro. Ed è proprio perché dalla disperazione è riuscito a ripartire che Mamadou ha scelto di restituire l’aiuto che qualcuno gli ha offerto. I suoi occhi, da dietro lo schermo di un Pc, raccontano storie incredibili già senza parlare.

Com’è iniziato il viaggio per l’Italia?
«Su un gommone insieme ad altre 69 persone dalla Libia, dove ho vissuto per tre anni lavorando come muratore, mestiere che ho imparato lì. In Costa D’avorio ero uno studente di lingue all’Università di Cocody (Abidjan)».

Che cosa ha studiato di preciso?
«Francese, inglese e tedesco fino al 2001, poi una guerra civile ha colpito il mio Paese. Molti sono dovuti fuggire verso il Ghana, e anche io mi sono rifugiato lì nel 2005 insieme alla mia famiglia».

Che cos’è successo poi?
«Io e mio cugino abbiamo deciso di partire per la Libia insieme a un gruppo di ghanesi. Non potevamo tornare in Costa D’Avorio perché c’erano i ribelli. Abbiamo dovuto lasciare il nostro Paese senza avvisare i genitori: da un giorno all’altro ho abbandonato la mia famiglia, gli amici e anche gli studi a cui tenevo molto. E poi una grande passione…».

Quale?
«Ero il capitano della squadra di calcio del mio villaggio. Giocavo anche nella Liga serie B ghanese, nella Aduana Football in Nkrakwanta, a 30 chilometri da casa mia».

A proposito di casa, i suoi genitori che cosa fanno?
«Sono contadini, hanno piantagioni di cacao e caffè. Ho lavorato per molti anni con loro: ogni giorno, finita la scuola, li raggiungevo in campagna».

Del viaggio verso la speranza Mamadou ricorda soprattutto la traversata del deserto: tre settimane per arrivare in Libia, partendo dal Ghana nel 2005, e attraverso il Burkina Faso è poi arrivato nel Niger, dove è rimasto per altre due settimane. Da qui l’orrore ha assunto sembianze più concrete.

«Ho bevuto la mia urina per sopravvivere, ho visto donne violentate per pagare gli autisti e uomini picchiati a morte se rifiutavano di dare soldi. Quando sono arrivato in Libia ho lavorato nell’edilizia: ho dormito per mesi nelle case abbandonate o in costruzione, dove banditi e polizia venivano a rubarci i pochi soldi che avevamo messo da parte o i telefonini».

Che cos’è successo dopo?
«Nel 2008 sono stato catturato dalla polizia e sono rimasto in prigione per 40 giorni: mi hanno maltrattato fino alle botte, ma mio cugino ha poi pagato 400 dollari per la mia liberazione. Ho capito che la Libia non era un posto sicuro e mi sono preso il rischio di affrontare il viaggio in mare».

Che cosa l’ha portata a mettere in gioco la vita un’altra volta?
«Dopo tutto questo calvario mi era rimasto solo il sogno di arrivare in Europa, a costo di qualunque cosa. Sognavo semplicemente una vita migliore. Così, tramite un intermediario ho conosciuto un libico: ho pagato ma l’intermediario ghanese è scappato con i soldi e sono dovuto tornare a Tripoli e lavorare ancora per poter ritentare». 

È stata la volta buona?
«Sì. Mi sono imbarcato per l’Italia il 7 novembre 2008. Ma dopo tre notti e tre giorni in mare il gommone si è spaccato in due: una donna con il suo bimbo e un altro uomo sono affogati, stavamo così stretti ed eravamo così stanchi che non abbiamo potuto aiutarli. È stato tragico».

E poi?
«Stavamo aspettando il nostro turno per morire, quando all’improvviso dei pescatori ci hanno visti e hanno chiamato la Guarda Costiera di Lampedusa. Due ore dopo ci hanno salvati e alla fine siamo sbarcati in 66».

La prima cosa che ha pensato?
«Sono salvo e sono in Europa».

Dopo sono intervenuti i servizi sociali?
«Da Lampedusa sono stato trasferito in un centro di accoglienza a Roma. Come succede spesso, la mia domanda di asilo è stata respinta e mi sono ritrovato a dormire per strada, a Tor Vergata. Un amico mi ha poi proposto di andare a Napoli, così a ottobre 2009 ho accettato e mi sono ritrovato a Castel Volturno».

È in questo periodo che Mamadou incontra l’attivismo. Il 10 ottobre 2009 partecipa alla prima manifestazione organizzata dal Movimento dei Migranti e Rifugiati di Caserta: con loro rimane per tre giorni nelle strade di Roma a chiedere l’ottenimento del permesso di soggiorno.

«È con questo documento che smettiamo di essere invisibili e possiamo lottare contro il ricatto della fame e dello sfruttamento. Mi sono legato subito al Movimento per lottare contro ogni forma di razzismo e contro la camorra».

Com’è organizzato?
«Il cuore di tutto è il Centro Sociale “Ex Canapificio”, la cosa bella è che viene gestito da migranti e italiani».

Il Centro Sociale nasce a Caserta nel 1995 come associazione di volontariato per difendere i diritti degli sfruttati e dei più vulnerabili, e contrastare la devastazione ambientale. Nel 2002 nasce il Movimento auto-organizzato dei Migranti e Rifugiati che è riuscito a ottenere la regolarizzazione di circa 20.000 persone compreso irrimpatriabili.
Il loro intervento si è col tempo esteso fino all’intera «Castel Volturno Area», facendo rete con diverse realtà laiche e religiose. Dal 2007 il Centro gestisce il progetto Sai (Sistema di accoglienza e integrazione previsto dal D.L. 130/2020) del Comune di Caserta, con un modello di accoglienza diffusa in piccoli appartamenti, per un numero di richiedenti asilo e rifugiati che da cinque è arrivato oggi a 200 persone accolte.
In questo la città ha beneficiato di un indotto sociale e culturale nonché economico senza precedenti (40 assunzioni, 23 appartamenti affittati, scuole guida, supermercati, sostegno ai piccoli produttori locali per la fornitura di ortofrutta…).

«Negli anni, con loro, ho fatto un percorso di vera inclusione», prosegue Mamadou. «Ho insegnato volontariamente in un laboratorio di francese e inglese per bambini, sono stato autista del Piedibus (un progetto di accompagnamento casa-scuola-casa a piedi, rivolto ai bambini delle scuole elementari della città di Caserta), sono uno dei volontari che si prende cura di spazi verdi che gestiamo insieme ai cittadini di quartieri popolari che abbiamo sottratto allo spaccio e all’abbandono. Inoltre, parlando molte lingue sono stato di aiuto ad altri immigrati nel fare un percorso di inserimento lavorativo e abitativo, permettendo loro di vivere la città come cittadini». 

È passato dal chiedere aiuto all’offrirlo.
«Noi chiamiamo questo “inclusione bilaterale”: costruire con il contributo di ognuno una città multietnica dove realizzare una vera integrazione con il territorio che abitiamo».

Quindi, ricapitolando, oggi di che cosa si occupa?
«Lavoro come mediatore interculturale (parlo circa 13 lingue), vicecoordinatore di un progetto di inclusione del Centro, e sono il portavoce del Movimento dei Migranti e Rifugiati di Caserta». 

E prima di conoscere il Movimento?
«A Cancello, in provincia di Caserta, ho fatto il coltivatore di tabacco dalle 6:00 alle 19:00 per una paga giornaliera di 20 euro. Per anni ho fatto il nomade tra le campagne del sud: d’estate in Puglia a raccogliere pomodori, d’inverno a Rosarno a raccogliere arance e mandarini: 3 euro per una cassa di pomodori, 1 euro per le arance».

Si è costruito una famiglia?
«Sì, ho due figli, una bella casa e un lavoro precario ma dignitoso».

E la sua seconda famiglia?
«Col Movimento continuiamo a lottare insieme a tante associazioni e reti nazionali, come il “Forum per cambiare l’ordine delle Cose” e “EuropAsilo”. Scendiamo in piazza da 19 anni con costanza, unità e determinazione».

I vostri nemici?
«L’intolleranza e l’odio verso chi scappa da guerra o povertà, sentimenti molto diffusi negli ultimi anni, complice una classe politica che soffia sul fuoco».

Che cosa rivendicate?
«Il diritto a regolarizzarci, a uscire dall’invisibilità che ci conduce dritti nelle mani della camorra e dello sfruttamento più buio».

Qual è il progetto attuale più importante?
«Si chiama “Paradosso all’italiana”. A ottobre abbiamo festeggiato le modifiche dei Decreti Sicurezza: i richiedenti asilo possono ora restare nei progetti di accoglienza Sai e tornare a fare il percorso di inclusione della buona accoglienza che i Decreti stavano smantellando».

Non la sento soddisfatto, però.
«Abbiamo di recente concluso un monitoraggio scoprendo che questa legge non viene rispettata. Le questure e le Commissioni territoriali per il riconoscimento del diritto di asilo non applicano le modifiche dei Decreti Sicurezza, cioè non rilasciano il permesso di soggiorno per motivi speciali. Sono migliaia gli immigrati che restano in un limbo pericoloso, smarriti e sfruttati, perciò dovremo ancora combattere». 

La storia di Mamadou è una storia di riscatto: le sue parole raccontano un percorso che ha attraversato dolore, solitudine e fatica, ma che oggi profuma di bellezza, tra progetti speranzosi e ideali condivisi. La presenza di una forte rete civica per l’accoglienza ha permesso di rilanciare attività cittadine preziose alle quali partecipano circa 350 persone ogni settimana, tra cittadini e attivisti di ogni età, genere e provenienza, finanziate attraverso bandi pubblici e privati, Fondazioni ed Enti, campagne di donazioni dal basso e 5×1000.
Dall’inizio della pandemia il Centro Sociale è stato anche tra i promotori delle reti «Caserta Solidale» e «Castel Volturno Solidale», con le quali sono stati assistiti migliaia di cittadini nella consegna a domicilio di farmaci, alimenti e bombole di ossigeno, così come nella prenotazione della vaccinazione, attivando anche una linea di ascolto e supporto psicologico.
Come spesso accade alle favole, però, arriva un momento in cui qualcosa si mette di traverso e i sorrisi si spengono. Per vent’anni la sede del Centro è stata l’ex canapificio di Caserta (da qui il nome), di proprietà della Regione, ovvero un ampio capannone di 2.000 metri quadri. Nel marzo del 2019, un sequestro per motivi di sicurezza, dovuti a decenni di mancata manutenzione strutturale, ha chiuso le porte dello storico spazio, lasciando l’associazione senza sede in una città che, negli ultimi anni, ha visto la progressiva chiusura (per sgomberi, sequestri o crolli) di tutti i luoghi socioculturali pubblici.

Mamadou, perché il Centro Sociale deve continuare a vivere? Che cosa ha rappresentato per lei e migliaia di persone in cerca di un futuro?
«Il Centro è la casa degli invisibili, degli ultimi, dei dimenticati. Rappresenta le storie di chi ha potuto ricostruirsi una vita, è un punto di riferimento. Io non ero nessuno, uno tra milioni, ma grazie ai compagni e alle compagne sono diventato di nuovo Mamadou, e come me tanti altri hanno ritrovato loro stessi nel confronto e nella condivisione di ideali e di speranza. Ecco perché abbiamo bisogno di una sede, per permettere ad altri dopo di me di ritrovarsi e insieme costruire un domani migliore».

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Published on June 28, 2021 01:36

June 27, 2021

Terence Hill, l’addio a Don Matteo: «Più tempo per la mia famiglia. Orgoglioso che arrivi Raoul Bova»

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Era il 7 gennaio 2000 quando su Rai Uno andarono in onda i primi due episodi di Don Matteo, la celebre fiction con protagonista Terence Hill. Oggi, dopo 21 anni e oltre 250 puntate, l’attore veneziano – al secolo Mario Girotti – si appresta a lasciare il posto al collega Raoul Bova: «Non è previsto un focus sulla mia uscita di scena», spiega Hill al Corriere della Sera, «non ci saranno lacrime e abbracci».

«Raoul arriva nel quinto episodio e, in seguito, si scoprirà il legame che lo unisce a Don Matteo, che lo sceglie come suo successore», aggiunge. «Poi si svelerà anche la causa della mia sparizione». Ma al di là della fiction, ci sono ben altre motivazioni che hanno spinto Hill a dire basta: «Avevo voglia di dedicare più tempo alla mia vita privata, adesso voglio fare un lungo viaggio con la mia famiglia».

«Voglio andare in America, poi finalmente il prossimo maggio ho intenzione di fare il cammino di Santiago». L’attore 82enne spende inoltre complimenti per Bova, che in un certo senso ne raccoglierà l’eredità, diventando il personaggio principale: «È perfetto per quel ruolo, l’ho visto recitare in varie parti ed è bravissimo. Non ha bisogno dei miei consigli per rendere credibile il suo prete francescano».

«Ha tanto entusiasmo, una dote rara nella categoria attoriale, un valore aggiunto: a volte il nostro lavoro si riduce a semplice routine», conclude Hill. «Tra l’altro io e lui siamo accomunati anche dalla passione per il nuoto, da ragazzo ho persino vinto una medaglia di bronzo nei 100 rana. Abbiamo entrambi conosciuto la disciplina sportiva e ciò aiuta ad affrontare ruoli spiritualmente impegnati».

Per restare in tema, un perfetto passaggio di testimone.

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Published on June 27, 2021 03:46

Proposta di matrimonio per la super modella Taylor Hill in un angolo romantico d’Italia

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Vacanze italiane indimenticabili per Taylor Hill. La super modella americana, angelo di Victoria’s Secret corteggiata dai principali marchi di moda, ha ricevuto la sorpresa più bella durante la sua fuga mediterranea: il fidanzato Daniel Fryer si è inginocchiato ai suoi piedi e, scintillante anello alla mano, le ha chiesto di sposarla. La risposta, neanche a dirlo, è stato un entusiasta «Sì, lo voglio».

Taylor Hill e Daniel Fryer si frequentano da un anno e qualche mese, paparazzati per la prima volta in atteggiamenti romantici a febbraio del 2020, dopo che la top model aveva chiuso a dicembre 2019 la sua lunga relazione con Michael Stephen Shank. Fryer è un imprenditore super smart con base a Londra. Ed è innamorato pazzo di Taylor Hill.

Non è da meno la modella, visibilmente al settimo cielo. Su Instagram, accanto alle foto di rito del momento della proposta, Taylor ha scritto «Sei il mio migliore amico, la mia anima gemella. Ti amerò per sempre». Aggiungendo la data della proposta (25/06/21) e regalando ai fan un primo piano del suo splendido anello di diamanti.

Congratulazioni!

 

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Published on June 27, 2021 02:26

Wiliam, l’attacco a Meghan Markle (e il gesto di pace della regina Elisabetta)

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«Il modo in cui quella donna ha trattato il mio staff è stato spietato». Così William d’Inghilterra avrebbe parlato di Meghan Markle, subito dopo il funerale del principe Filippo. Il condizionale è d’obbligo, anche se il biografo Robert Lacey, autore del libro «Battle of Brothers», si dice sicuro della sua fonte: «Purtroppo tra il futuro re e il fratello Harry non c’è stata alcuna riconciliazione», scrive sul Daily Mail, «i rapporti restano molto tesi».

Stando alla ricostruzione, la rabbiosa frase dell’erede al trono sarebbe uscita quando qualcuno stava provando a fargli capire che alcune difficoltà con la cognata possono capitare a tutti. «D’altronde nell’intervista a Oprah Winfrey sono volate accuse troppo pesanti», puntualizza l’esperto, tornando sull’ultimo incontro tra i fratelli, lo scorso aprile. «Lontani dalle telecamere hanno ricominciato a litigare, è esplosa la rabbia e sono state dette parole forti».

Pensare che fuori dalla cappella di San Giorgio, subito dopo l’ultimo saluto al nonno, il clima tra William e Harry sembrava più disteso. Grazie anche all’intervento di Kate Middleton, ovviamente, che ha agevolato il confronto giocando il ruolo di mediatrice. Tra l’altro la duchessa di Cambridge, all’interno di casa Windsor, non è la sola a voler allentare quanto prima la tensione: anche la regina, infatti, ha mandato il suo messaggio di pace.

Secondo gli insider del Daily Mail, infatti, la sovrana avrebbe già inviato i Sussex al Giubileo di Platino che si svolgerà il prossimo giugno. Saranno giorni di festa nel Regno Unito, in cui si festeggeranno i 96 anni di Sua Maestà, di cui 70 sul trono. La speranza di Elisabetta è di far arrivare a Londra anche i nipotini Archie e Lilibet, per una grande festa di famiglia che metta la parola fine alle polemiche e apra un nuovo capitolo di relativa serenità.

«Resta da capire se i Sussex, per il Trooping the Colour, avranno accesso al balcone di Buckingham Palace», si chiede il tabloid. Francamente è difficile pensarli da un’altra parte: titoli o non titoli, loro saranno sempre parte della royal family. E questo, Elisabetta, lo ha già ripetuto più volte.

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Published on June 27, 2021 01:30

Nicturia: quando ci si sveglia ogni notte per andare in bagno

[image error]Fai una doccia calda prima di andare a letto[image error]Immergi il viso in acqua molto fredda[image error]Alzati e fai qualcosa per dieci minuti[image error]Profumate la stanza di lavanda[image error]Ascoltate la musica[image error]Nascondi l'orologio[image error]Rinfresca la stanza[image error]Spegnete le luci[image error]Bevete del latte caldo[image error]Do it

Avere il sonno interrotto dalla necessità di urinare (il termine medico è nicturia) è una delle cause più comuni di perdita di sonno, specialmente con l’avanzare dell’età. Quasi i due terzi degli adulti tra i 55 e gli 84 anni affrontano questo problema per più notti ogni settimana.

Chi ne soffre lievemente tende in genere a svegliarsi due volte a notte, ma nei casi più gravi, si può arrivare a interrompere il sonno fino a cinque o sei volte a notte. Il risultato è una significativa perdita di sonno con conseguente affaticamento diurno.

LE CAUSE DELLA NICTURIA

La nicturia diventa più comune con l’età, in parte a causa dei normali cambiamenti. Inoltre, è da considerare che le persone anziane hanno maggiori probabilità di avere problemi medici che colpiscono la vescica.
Altre possibili cause includono il diabete, l’infezione del tratto urinario, gli effetti collaterali di alcuni farmaci. Anche il consumo di molti liquidi. poche ore prima di andare a dormire può contribuire a questo problema, in particolare se le bevande contengono alcol o caffeina.

COME SI RISOLVE

Ci sono principalmente tre modi per trattare questo problema:

1.correggere eventuali problemi di salute sottostanti. Quasi sempre, il primo passo è cercare di identificare qualsiasi causa medica per la minzione notturna frequente e correggerla.

2. correggere l’approccio comportamentale: per esempio, iniziare a ridurre quanto si beve nelle due ore prima di andare a dormire, può essere d’aiuto.

3. iniziare un trattamento con farmaci.  Se la nicturia non migliora, il medico può prescrivere farmaci per trattare una vescica iperattiva. Esistono diverse scelte disponibili e uno specialista può certamente suggerire la soluzione più adatta al caso.

 

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Published on June 27, 2021 00:26

June 26, 2021

Sexting: chi manda messaggi sessualmente espliciti ha più probabilità di essere narcisista  

Vi piace fare sexting? Se la risposta è sì, sono in arrivo brutte notizie per voi. Secondo un nuovo studio, infatti, coloro che mandando messaggi, fotografie o video sessualmente espliciti con il proprio telefono a un partner, tendono ad avere una personalità ostili e comportamenti antisociali

Un team di ricercatori internazionali ha esaminato i tratti comuni del carattere delle persone a cui piacere mandare messaggi hot, e ha scoperto che coloro che erano fan del sexting e lo facevano con continuità avevano maggiori probabilità di avere due dei tratti che compongono la cosiddetta Dark Triad.

Il termine Dark Triad, che in italiano significa Triade Oscura, è un costrutto, coniato dai ricercatori Delroy L. Paulhus e Kevin M. Williams nel 2002, che si riferisce a un trio specifico di tratti negativi della personalità, generalmente considerati come predittori di psicopatologie e comportamenti antisociali. Stiamo parlando di narcisismo, machiavellismo e psicopatia.

Conosciamo tutti abbastanza bene cosa vuol dire narcisismo, di solito lo associamo a coloro che hanno un ego spropositato e una mancanza di empatia. Il machiavellismo, invece, si riferisce tipicamente a persone che manipolano e sfruttano gli altri. E secondo il nuovo studio, questi due tratti negativi della personalità sono tipici di chi fa sexting

La ricerca, condotta da psicologi dell’Università La Sapienza di Roma e ricercatori dell’Università di Huddersfield nel Regno Unito, e pubblicata dal Multidisciplinary Digital Publishing Institute, ha intervistato oltre 6.000 partecipanti, di età compresa tra 13 e 30 anni, in 11 paesi (Italia compresa). 

Secondo le ultime statistiche a riguardo, un adolescente su quattro fa sexting, e in ogni caso le probabilità di inviare e ricevere messaggi sessualmente espliciti aumentavano con l’aumentare dell’età. Una conclusione che «dà credito all’idea che il sexting giovanile possa essere una componente emergente e potenzialmente normale del comportamento e dello sviluppo sessuale».

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Lo confermano anche i ricercatori dell’Università La Sapienza: «Il sexting è un fenomeno sempre più comune tra adolescenti e giovani adulti. Ma pochissimi studi hanno preso in esame il ruolo dei fattori disadattivi della personalità nel sexting. La presente ricerca ha fornito prove empiriche che diversi comportamenti durante il sexting sono previsti in due dei tratti della personalità della Triade Oscura».

Il sexting di per sé è legale se avviene tra adulti consenzienti (di età superiore ai 18 anni). Ma come con qualsiasi comportamento sessuale, è possibile che venga superata una linea pericolosa quando si ricevono sexts non richiesti e non consensuali.

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In questa ricerca, l’atto del sexting è stato diviso in tre categorie principali: il sexting sperimentale, cioè quello tipico tra due parti consenzienti; il sexting rischioso, ovvero sexting fatto sotto l’influenza di alcool o droghe, o con partner che sono estranei; e infine il sexting aggravato, che è sexting coercitivo o condivisione di messaggi senza il proprio consenso.

Dopo un’analisi approfondita delle risposte degli intervistati, hanno detto: «In generale, si può fare una distinzione approssimativa per quanto riguarda gli aspetti positivi (cioè il sexting sperimentale) e gli aspetti negativi del sexting (cioè il sexting aggravato o rischioso)». 

Proprio analizzando queste ultime due categorie, i ricercatori hanno dimostrato che le persone a cui piaceva inviare messaggi sessualmente molto espliciti e foto di nudi in modo rischioso o aggravato hanno ottenuto punteggi più alti nella misurazione dei tratti della personalità come narcisismo e machiavellismo. Il che significa che avevano maggiori probabilità di essere astuti manipolatori, di essere narcisisti e avere un grande ego. 

Lo studio ha inoltre rilevato alcune differenze di genere, dimostrando che gli uomini avevano «più probabilità di essere coinvolti in entrambe le forme di sexting rischioso e sexting aggravato». Il primo era tipico degli intervistati più adulti, mentre il sexting aggravato era più diffuso nei gruppi di età più giovani, il che è di grande preoccupazione considerando che il sexting aggravato è associato a comportamenti non consensuali e pressioni sui partner. 

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Published on June 26, 2021 23:26

Le cose da fare quando toglieremo le mascherine all’aperto

Da lunedì 28 giugno nelle regioni in zona bianca – da quel giorno tutte – si potrà fare a meno della mascherina per le attività all’aperto. Il Comitato tecnico-scientifico ha dato parere positivo e il ministero della Salute ha confermato: «Sarà superato l’obbligo, sempre nel rispetto delle indicazioni precauzionali del Cts» ha detto il responsabile Roberto Speranza. Tutto questo nonostante la diffusione della variante Delta, assai più contagiosa delle precedenti e che alcune stime danno in Italia fra il 7 e oltre il 20% delle infezioni totali delle ultime settimane. Non bisogna fare allarmismo ma è fondamentale ricordare che, così come le mascherine non sono corazze impenetrabili, anche il contesto all’aperto non risolve magicamente ogni pericolo: un conto è togliere la mascherina seguendo alcune misure e mantenendo le distanze, un altro è discutere con tante persone e per ore faccia a faccia.

Lo aveva d’altronde anticipato Mario Draghi, mettendo fine a un dibattito che in molti paesi europei non è stato poi così sentito: come abbiamo visto, in molti luoghi l’obbligo è già stato superato da giorni, lo sarà presto o addirittura non è mai stato introdotto. Gli scienziati sono d’accordo sulla bassissima circolazione del virus quando si sta all’aperto e dunque hanno dato il via libera. Un decreto nel fine settimana, dopo il nuovo monitoraggio dello scorso venerdì, certificherà il passaggio. Discorso diverso, e più spinoso, quello sull’ultimo fronte appeso: le discoteche.

C’è anche qualcuno che non è d’accordo. Paolo Villani, professore di Igiene e direttore del dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive alla Sapienza ha spiegato al Corriere della Sera che se è vero che le probabilità di infettarsi all’aperto sono minori rispetto ai luoghi chiusi, non è possibile quantificare con esattezza quanto il rischio si abbassi. «Dipende da quali sono gli spazi aperti e dal livello di circolazione del virus» ha spiegato Villani, confrontando varie situazioni e ad esempio riferendosi agli stabilimenti balneari, dove col distanziamento tra lettini ci si può rilassare. «Per essere contagiati occorre avere mediamente un contatto stretto con una persona infetta per almeno 15 minuti. Ma in qualsiasi occasione all’aperto potresti dover indossare la mascherina anche se non era programmato. Quando sei in fila per prendere un gelato, o per uno spettacolo teatrale oppure per fare il vaccino in un hub. Morale: la mascherina non può e non deve essere dimenticata, dovrebbe continuare a essere vista come un oggetto da portarsi dietro automaticamente, quando usciamo di casa in quanto non avremo mai la certezza di non imbatterci in un assembramento in cui sarà necessario calzarla».

Vediamo quali sono le regole che rimangono e i consigli per non rischiare, neanche all’aperto.

1.Anzitutto la zona bianca: la mascherina si potrà eliminare all’aperto solo nelle regioni con un’incidenza inferiore ai 50 casi settimanali per 100mila abitanti. Difficilmente la situazione peggiorerà nelle prossime settimane ma la diffusione delle varianti, in particolare della Delta, suggerisce cautela. Via le mascherine solo dove il rischio è minimo.

2.La mascherina va sempre portata con sé. Era e deve rimanere un accessorio quotidiano da non dimenticare quando si esce di casa. Dovremo infatti indossarla in caso di assembramenti, su cui però occorre essere molto chiari: non serve andare allo stadio. Anche la fila dal gelataio, la spesa al mercato, la passeggiata in una fiera o mercatino affollato o all’esterno di un negozio è di fatto un assembramento: in quel caso, meglio indossarla. Così come ovunque non sia possibile rimanere a distanza di sicurezza dalle altre persone.

3.Nei negozi, ovviamente, la mascherina andrà sempre indossata. Così come all’interno dei centri commerciali. Di fatto, per i luoghi chiusi non cambia assolutamente nulla. E non si potrà transigere su alcuna violazione. Nei bar e nei ristoranti rimangono in vigore le regole approvate: la mascherina si potrà togliere solo quando si è seduti al tavolo. Se ci si alza per altro, va indossata. Il personale dovrà tenerla sempre, anche se lavora in spazi all’aperto perché ovviamente si trova a operare in assembramenti continui.

4.Non si contano, anche sui social, le lamentele delle persone per chi non rispetta l’obbligo a bordo dei treni e degli aerei. Su quei mezzi, così come su traghetti e altri mezzi di trasporto, come gli impianti di risalita, le protezioni rimangono obbligatorie considerando la capienza praticamente totale per tutti i mezzi (solo i treni sono all’80%). Stesso discorso per i mezzi pubblici: alla fermata, se non c’è troppa gente in attesa, la mascherina si può togliere. Ma va rimessa se le persone sono molte e ovviamente prima di salire a bordo, tenendola per l’intera durata del tragitto.

5.Per i vaccinati non dovrebbero esserci differenze, almeno per ora: secondo il presidente del Cts, Franco Locatelli, si può valutare di toglierla al chiuso solo se tutti i presenti sono immunizzati. Se c’è anche una sola persona che non ha completato il ciclo vaccinale, va sempre tenuta. Ma è improbabile che qualcosa del genere sia inserito nel decreto del fine settimana.

6.Fondamentale mantenere sempre almeno un metro di distanza gli uni dagli altri, curare l’igiene delle mani e appunto portare sempre con sé il dispositivo, conservato in modo adeguato e senza maltrattarlo, appenderlo alle braccia o metterlo a contatto con superfici: l’ideale è una bustina di plastica o di carta.

7.Secondo il Comitato, l’uso resterebbe «raccomandato fortemente» nei soggetti fragili e immunodepressi «e a coloro che stanno loro accanto». Così come negli ambienti sanitari.

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Published on June 26, 2021 22:45

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Csaba Dalla Zorza
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