Costanza Miriano's Blog, page 7

October 10, 2024

Il programma del Sesto Capitolo del Monastero WiFi

 

di Costanza Miriano

Allora, innanzitutto sia chiaro che quasi nessuno che io conosca è un indefesso e rigoroso digiunatore, e credo neanche tra i sacerdoti, tranne qualche rara eccezione. Quindi siamo tutti invitati all’incontro del 9 novembre a San Pietro sul digiuno, nessuno è fuori luogo, nessuno si senta giudicato, a nessuno verrà messo chissà quale giogo sul collo. Andiamo tutti per ascoltare e cercare di capire come vivere l’ascesi, se può aiutarci in qualche modo nel nostro cammino di fede.

Al di là delle battute sul pane e salame, sulla fatica di rinunciare a qualcosa, sulle tecniche di aggiramento dell’ostacolo (il famigerato frullato di salsiccia, perché i liquidi secondo alcuni non lo romperebbero), al di là delle fatiche, le acidità di stomaco, il riso in bianco e tutto quello di cui si può discutere, penso che al centro del tema ci sia l’annuncio che il digiuno non è certo qualcosa che tu dai a Dio, ma un’opportunità, un aiuto che Lui offre a noi per entrare in una relazione più intima, per dare qualche badilata all’uomo vecchio e far crescere un po’ l’uomo che dice un sì vero a Dio. Dire sì a Dio con il corpo è molto più che dirlo solo a parole. È, inoltre, chiedere a Dio di essere per noi quello che a volte è il cibo: consolazione, gratificazione, riposo.

Il digiuno non è un valore in sé, ma è un modo per dire al Signore “cambiami, cambia questa situazione che ti presento, cambia il mio cuore”. Il digiuno ci ricorda che siamo – tutti – dipendenti sempre da qualcosa, e ci toglie il cibo per dare più spazio alla fame di Dio. Soprattutto, il digiuno restituisce il centuplo di quello che toglie.

Per capire e ascoltare queste e molte, moltissime altre cose sul tema, siamo invitati a San Pietro il 9 novembre, dalle 9 alle 16.30 (si comincia con l’adorazione e la prima catechesi sarà alle 9.45) dove dei sacerdoti molto diversi fra di loro, voci di tante anime diverse della Chiesa (provenienti da movimenti, appartenenti a ordini religiosi, preti diocesani e monaci) ci aiuteranno a capire se e come usare anche questo mezzo per stare attaccati a Cristo. Per questo, perché crediamo nel bene che le parole che ascolteremo potranno fare a tante anime, vi chiediamo non solo di iscrivervi (abbiamo bisogno di sapere quante sedie mettere e come organizzarci) ma anche di passare parola, di avvisare i vostri parroci, di chiedere magari di affiggere la locandina in fondo alla vostra parrocchia (o anche ad altre, per i più volenterosi che abbiano voglia di muoversi). Stampiamo a manetta, affiggiamo, tappezziamo.

Aggiungo che abbiamo mandato delle mail per chiedere conferma agli iscritti di chi venisse comunque, nonostante la scarsità di treni dal nord quel giorno (alcune delle risposte sono finite nello spam, controllatelo) e quasi tutti hanno confermato; in molti hanno fatto salti mortali per venire. Pullman, macchine, canoe, deltaplani, pattini…. Vi siete inventati di tutto pur di esserci e questo è bellissimo, e ci ricorda che forse noi romani dovremmo darci una mossa, vincere la pigrizia, iscriverci (i romani lo fanno tutti all’ultimo momento, je possino) ed esserci. Chi invece pensa di non farcela, si disiscriva, per favore.

Ringraziamo quelli che stanno già versando aiuti per coprire le spese vive legate all’evento, che ci sono, nonostante la basilica ci venga data gratis (chissà quanto costerebbe davvero affittare la chiesa più importante del mondo): illuminazione, amplificazione, viaggi e alloggi dei relatori eccetera. Contiamo sulle offerte che vorrete lasciare ai nostri ragazzi sul sagrato, ma se per caso qualcuno volesse proteggere le coronarie di Monica e non farla aspettare fino all’ultimo per vedere se quanto avremo raccolto sarà sufficiente (noi firmiamo allegramente i preventivi!) può sempre fare una piccola offerta sul conto (le coordinate bancarie (IBAN) del conto intestato a MONASTERO WI FI sono: IT70C0303201400010000709065  BIC/SWIFT:BACRIT22GEN). La partecipazione invece è ovviamente gratuita. Se avanzerà qualcosa, lo useremo per pagare le spese del ritiro dei sacerdoti di gennaio, per i sacerdoti che fanno un po’ fatica a pagare, e poi il resto ai poveri, come abbiamo sempre fatto.

Questa è la locandina con la quale potete infestare le caselle mail, le chat e anche le porte delle chiese. A brevissimo quella con gli orari definitivi.

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Published on October 10, 2024 05:08

October 4, 2024

Lo scambio della Pace #monasteroWiFi Roma

Lunedì 7 ottobre al Battistero di San Giovanni in Laterano  Padre Maurizio Botta concluderà il ciclo di catechesi sull’Eucaristia con un incontro su un aspetto sul quale forse non ci fermiamo spesso: lo scambio della pace. Non credo che parlerà dei dilemmi che sembrano avere afflitto alcuni pastori di recente (dare o non dare la mano? Guardarsi negli occhi? Fare un cenno?). Penso che andrà alla sostanza, e cioè che il segno che apparteniamo a Cristo è quando siamo in comunione, pur essendo gente che se non avesse Cristo in comune si detesterebbe… non lo so, vado là per ascoltare.

Alle 20.30 spuntino aperto a tutti, alle 21 catechesi (si entra sempre dalla sbarra della Lateranense, si può parcheggiare, parola d’ordine Monastero wifi) .Intanto vi regaliamo questo mazzo di fiori che profuma di bontà e bellezza: la catechesi che madre Laura Brambilla ha tenuto davanti alle signore del Don Guanella e a noi.

***

9 settembre 2024

Monastero WiFi Roma ospite del Casa S.Maria della Provvidenza, casa femminile del Don Guanella

Catechesi di Sr. Laura Brambilla.

 

Buona sera a tutti, sono Laura, una consacrata delle Flammae Cordis, un piccolo germoglio nato qualche anno fa nel solco del carisma oratoriano, quindi di San Filippo Neri.

Sono qui per motivi di amicizia e “corrispondenza d’amorosi sensi”.

Costanza mi aveva parlato dell’incontro fatto con voi del don Guanella, di come ci venisse volentieri, di quanto fosse entusiasta di queste nuove amicizie e mi aveva già fatto venire voglia di venire a conoscervi. Poi mi ha chiamata per chiedermi questo incontro proprio mentre io stavo finendo di leggere il suo ultimo libro (benedetto il giorno che abbiamo sbagliato), che mi aveva donato tante risate insieme ad un bel nutrimento spirituale, molto sostanzioso e quindi ero proprio nel picco della gratitudine per poter dire di no (nonostante la mia ritrosia a parlare in pubblico…).

Infine – ciliegina sulla torta – quest’estate ho trascorso una settimana in montagna proprio nei luoghi natali di don Luigi Guanella, precisamente nella casa alpina che porta il suo nome a Gualdera, il paese a 1600 metri dove il padre possedeva un podere e dove il bambino Luigi portava gli animali al pascolo.

Io non conoscevo granchè di questo santo, ma in quest’occasione ho potuto visitare la sua casa a Franciscio, la parrocchia in cui è stato battezzato e ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana e soprattutto appunto a Gualdera il luogo dove si era rifugiato il giorno della sua prima Comunione per stare un po’ raccolto e dove (racconta lui) ha vissuto un’esperienza fortissima e dolcissima di unione a Dio e ha avuto anche una visione della Madonna che gli mostrò tutto quello che avrebbe fatto per i poveri. Un luogo speciale (di una bellezza incredibile tra l’altro: dolcissimi prati e colli e altipiani di pascoli) dove si fissò nel giovanissimo Luigi la centralità dell’Eucarestia nella sua vita.

Ho letto poi alcune pagine autobiografiche e dei suoi primi figli (fondò come sapete la famiglia religiosa dei Servi della Carità) in cui emerge con tutta evidenza questo suo essere “come ferro alla calamita” come abbiamo intitolato anche questo incontro.

“Aperta una casa, non si acquietava sino a quando col permesso dell’Ordinario locale Gesù sacramentato non vi dimorasse” dice uno dei suoi primi figli e biografi.

Quando don Luigi Guanella entrava in un paese a visitare uno dei suoi Istituti, prima d’ogni altra cosa visitava il Santissimo sacramento; quando voleva por mano alla fondazione d’una delle sue mirabili Opere, primo suo pensiero era una chiesa, un tabernacolo attorno al quale raccogliere i suoi poveri.

“Pane e Signore” era quello che voleva dare ai poveri, già prima della fondazione della sua Opera nei paesi in cui fu mandato come giovane prete si trasformarono presto in luoghi di orazione e di carità.

“Circondate di mura Savogno, e ne avrete un convento” dicevano…

“Il mondo sarà salvo, quando molti fra i cristiani, unendosi a Gesù nel gran Sacramento, pregheranno con viva fede Iddio buono, che assiste la sua Chiesa e vi provvede in ogni tempo”.

Eucarestia principalmente nel Sacrificio della Messa e poi nell’Adorazione al Santissimo Sacramento.

Il tabernacolo era il rifugio dove non solo effondeva il suo amore, ma dove andava a deporre le sue difficoltà, a trovarne soluzione e conforto.

Promuoveva la Comunione frequente e l’Adorazione non solo dei suoi religiosi ma anche degli ospiti delle sue case.

Se approfondiamo la vita di tutti i Santi della Carità, vediamo che in tutti è centrale l’Eucarestia… pensate a don Bosco, a don Orione, al Cottolengo, a Madre Teresa per citarne solo alcuni… Per tutti loro, dalla vita eucaristica, dal cibarsi di Dio ed essere trasformato, deificato nasceva il flusso della Carità senza limiti…

Quando leggiamo le vite e le opere dei santi, è bene avere come sfondo la Lettera agli Ebrei: “considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede” (e non le opere, perché non tutti siamo chiamati a essere don Guanella, ad esempio, ma tutti – ognuno nella SUA vita – può vivere in modo “eucaristico”).

Allora ho pensato che sarebbe stato bello proprio in questo luogo tracciare alcune linee eucaristiche (con l’aiuto proprio della devozione eucaristica del don Guanella, ma anche del magistero petrino di papa Francesco e di papa Benedetto e di qualche altro autore spirituale) che ci aiutino a comprendere meglio e poi a vivere il legame tra Eucarestia e Carità.

Cose molte semplici e che conosciamo già, ma che – ribadite e ricordate – ci possono aiutare ad alimentare il fervore, il desiderio, la sete di Gesù Eucaristico. D’altra parte, ri-cor-dare vuol dire ridare al cuore, sede della nostra volontà, delle nostre scelte, dei nostri desideri più profondi.

 

Nell’Eucarestia c’è lo stesso movimento trinitario

Don Luigi Guanella parlava di Gesù sacramentato come della presenza reale di Dio nel sacramento del suo amore, che fa maturare opere di bene, educando alla gloria di Dio e al bene delle anime. Come un fiume di grazia, infatti, Cristo trasforma i fedeli conformandoli a Sé, e lo stesso don Luigi -se lo scrive- doveva sentirsi confermato nelle virtù teologali da Colui che -in Sacramento- definisce fonte inesauribile delle virtù.

Ci si accosta dunque al Cuore amante di Gesù, al Cristo benedetto che entra delizioso nel tabernacolo dei poveri cuori dei fedeli, apportandone delizie ed espandendone molte grazie, parla del Sacro Cuore eucaristico di Gesù, della fusione di noi stessi in Dio.

Poi però scrive anche che “i Figli del Sacro Cuore quando adorano il Santissimo Sacramento danno speciale sfogo all’amore e alla confidenza, perché l’Eucaristia è il Padre comune; essi stanno alla sua presenza affettuosamente, come figli dinanzi al Padre, per trovarvi e gustarvi compiacenze sante. Ed ancora esorta le suore a stringersi in adorazione come figlie intorno all’ottimo Padre. Qui lascia intravedere la ricchezza del suo pensiero intorno all’Eucaristia ‘Padre comune’ che in alcuni passi definisce Dio-Uomo agonizzante, appronta un confronto fra la figura del padre terreno con quella di Gesù per tratteggiare la figura del Padre agonizzante.

Da questa personalizzazione dell’amore di Dio Padre, don Guanella fa scattare la necessità di una risposta personale; infatti ritiene che la risposta all’amore di Dio richieda un ardente colloquio adorante con Gesù sacramentato, in cui si esprime la volontà di cooperare con il Padre, per conoscere sempre più e sempre meglio la sua volontà, per amarlo con tutte le forze, per identificarsi con i sentimenti del suo Cuore divino del Figlio e per far giungere a tanti l’amore di quel Cuore santissimo.

Don Guanella afferma che l’Eucaristia è il Padre comune, il buon Sacro Cuore di Gesù Cristo. Nel suo pensiero, la figura del Sacro Cuore di Gesù è una delle principali manifestazioni della paternità di Dio, una immagine ricca di valore evocativo: il Cuore di Cristo è un “vesuvio di fiamme”, fiamme dell’amore del Padre, per le quali agli uomini non resta che slanciarsi nel mare di fiamme del Cuore divino di Gesù.

Inoltre ci si rende conto che don Guanella pensava ad una vera e propria trasformazione operata da Gesù nel discepolo con l’azione dello Spirito, parlando dell’Eucaristia, spesso don Guanella si riferisce alla trasformazione della propria esistenza e alle virtù infuse; così, implicitamente, rimanda alla presenza e all’azione dello Spirito.

In che modo possiamo dunque riassumere la vita trinitaria che viviamo nella Comunione?

Unendomi a sé, Gesù mi dona la sua prerogativa divina di essere Figlio. L’Unigenito dà all’anima sposa soprattutto quello che gli è proprio, cioè il suo essere Figlio. L’unica cosa che differisce tra il Padre e il Figlio è proprio il fatto che uno è Padre e l’altro è Figlio. Ebbene, Gesù mi dona proprio questa Sua proprietà, che ha solo Lui e mi può dare solo Lui: quella di essere figlio, il che significa che io divengo, come Gesù, totale rapporto con il Padre, perché sono uno con il Cristo: ecco perché il Sacramento porta alla perfezione. L’adozione filiale è la piena vita trinitaria. Divengo sposo del Cristo e figlio del Padre. Egli mi fa vivere lo stesso rapporto che ha con il Padre! [don Divo e p. Serafino]

 

 

Rapporto essenziale Parola e Eucarestia

Ascoltiamo ora Papa Francesco: “Quello che vediamo quando ci raduniamo per celebrare l’Eucarestia, la Messa, ci fa già intuire che cosa stiamo per vivere. Al centro dello spazio destinato alla celebrazione si trova l’altare, che è una mensa, ricoperta da una tovaglia, e questo ci fa pensare ad un banchetto. Sulla mensa c’è una croce, a indicare che su quell’altare si offre il Sacrificio di Cristo: è lui il cibo spirituale che lì si riceve, sotto i segni del pane e del vino. Accanto alla mensa c’è l’ambone, cioè il luogo da cui si proclama la Parola di Dio: e questo indica che lì ci si raduna per ascoltare il Signore che parla mediante le Sacre Scritture, e dunque il cibo che si riceve è anche la sua Parola. Parola e Pane nella Messa diventano un tutt’uno, come nell’ultima Cena, quando tutte le parole di Gesù, tutti i segni che aveva fatto si condensarono nel gesto di spezzare il pane e di offrire il calice, anticipo del Sacrificio della croce, e in quelle parole: Prendete, mangiate, questo è il mio corpo; Prendete, bevete, questo è il mio sangue.”

Mi pare di poter dire che quando celebriamo l’Eucarestia, quando riceviamo Gesù nella Santa Comunione, ma anche quando siamo in Adorazione del Santissimo Sacramento, tutta la Parola di Dio ci può aiutare a entrare, a vivere il Mistero dell’Amore di Dio, “masticando” dei versetti del Vangelo: rimanete nel mio Amore, chi rimane in Me porta molto frutto, senza di me non potete fare niente, venite a Me voi tutti affaticati e oppressi, chi mangia di Me vivrà per Me…. Il Padre ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio… Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore… In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli… Rimanete nel mio amore… Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena… Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici…

Se è vero che anche solo stare davanti al Tabernacolo, come davanti ad un Sole che scalda, purifica, illumina ci trasforma e ci unisce a Sé, a volte accedere alle parole dei Salmi o del Vangelo ad esempio e ruminarle mentre adoriamo e lodiamo il Signore ce le fa comprendere e vivere sempre meglio… Tornando al nostro don Guanella, lui ad esempio consigliava di recitare anche la Liturgia delle Ore possibilmente davanti al Tabernacolo.

 

Messa = Sacrificio del Calvario

Il brano che abbiamo letto prima del Santo Padre Francesco continua così: “Il gesto di Gesù compiuto nell’ultima Cena è l’estremo ringraziamento al Padre per il suo amore, per la sua misericordia. Ringraziamento in greco si dice eucaristia. E per questo il sacramento si chiama Eucarestia: è il supremo ringraziamento al Padre, che ci ha amato tanto da darci il suo Figlio per amore. Ecco perché il termine Eucarestia riassume tutto quel gesto, che è gesto di Dio e dell’uomo insieme, gesto di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Dunque la celebrazione eucaristica è ben più di un semplice banchetto: è proprio il memoriale della Pasqua di Gesù, il mistero centrale della salvezza. Memoriale non significa solo un ricordo, un semplice ricordo, ma vuol dire che ogni volta che celebriamo questo sacramento partecipiamo al mistero della passione, morte e resurrezione di Cristo. L’Eucarestia costituisce il vertice dell’azione di salvezza di Dio: il Signore Gesù, facendosi pane spezzato per noi, riversa infatti su di noi tutta la sua misericordia e il suo amore, così da rinnovare il nostro cuore, la nostra esistenza e il nostro modo di relazionarci con lui e con i fratelli. È per questo che comunemente, quando ci si accosta a questo sacramento, si dice di ricevere la Comunione, di fare la Comunione: questo significa che nella potenza dello Spirito Santo, la partecipazione alla mensa eucaristica ci conforma in modo unico e profondo a Cristo, facendoci pregustare già da ora la piena comunione con il Padre che caratterizzerà il banchetto celeste, dove con tutti i santi avremo la gioia di contemplare Dio faccia a faccia.

Qualche anno prima a Colonia Benedetto XVI aveva parlato ai giovani della “celebrazione eucaristica come di quell'”ora” di Gesù di cui parla il Vangelo di Giovanni. Mediante l’Eucaristia questa sua “ora” diventa la nostra ora, presenza sua in mezzo a noi. Insieme con i discepoli Egli celebrò la cena pasquale d’Israele, il memoriale dell’azione liberatrice di Dio che aveva guidato Israele dalla schiavitù alla libertà. Gesù segue i riti d’Israele. Recita sul pane la preghiera di lode e di benedizione. Poi però avviene una cosa nuova. Egli ringrazia Dio non soltanto per le grandi opere del passato; lo ringrazia per la propria esaltazione che si realizzerà mediante la Croce e la Risurrezione, parlando ai discepoli anche con parole che contengono la somma della Legge e dei Profeti: “Questo è il mio Corpo dato in sacrificio per voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue”. E così distribuisce il pane e il calice, e insieme dà loro il compito di ridire e rifare sempre di nuovo in sua memoria quello che sta dicendo e facendo in quel momento.

Che cosa sta succedendo? Come Gesù può distribuire il suo Corpo e il suo Sangue? Facendo del pane il suo Corpo e del vino il suo Sangue, Egli anticipa la sua morte, l’accetta nel suo intimo e la trasforma in un’azione di amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale – la crocifissione -, dall’interno diventa un atto di un amore che si dona totalmente. È questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28). Già da sempre tutti gli uomini in qualche modo aspettano nel loro cuore un cambiamento, una trasformazione del mondo. Ora questo è l’atto centrale di trasformazione che solo è in grado di rinnovare veramente il mondo: la violenza si trasforma in amore e quindi la morte in vita. Poiché questo atto tramuta la morte in amore, la morte come tale è già dal suo interno superata, è già presente in essa la risurrezione. La morte è, per così dire, intimamente ferita, così che non può più essere lei l’ultima parola. È questa, per usare un’immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere – la vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo. Tutti gli altri cambiamenti rimangono superficiali e non salvano. Per questo parliamo di redenzione: quello che dal più intimo era necessario è avvenuto, e noi possiamo entrare in questo dinamismo. Gesù può distribuire il suo Corpo, perché realmente dona se stesso.

Questa prima fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte in vita trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l’unico pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo una cosa sola. L’adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del mondo.

 

 

Chiesa- Comunione. Dall’Eucarestia nasce anche la cattolicità della Chiesa

Scrive don Guanella: “In questo divin Sacramento è il sole celeste che illumina e riscalda. In questo divin Sacramento è il fuoco della divina carità, entro il quale cuoce la massa di pasta, il popolo cristiano, che è per uscirne pane eletto che si presenta sulla mensa tanto del povero come del ricco”, come pane degno di essere presentato dinanzi a Dio, agli uomini e agli angeli. Infatti, come in forno, l’Eucaristia cuoce la massa, il popolo dei fedeli (la Chiesa), perché divenga popolo eletto degno di presentarsi davanti a Dio, agli uomini e agli angeli. E si intuisce che si tratta di un pane che ‘si spezza’, ‘si mangia’, ‘sazia la fame’… tanto del povero quanto quella del ricco.

Qui l’Eucaristia sembra abbracciare la cattolicità della Chiesa: dentro di essa c’è posto per tutti, per il povero e per il ricco, visto che dentro il ‘forno’ dell’Eucaristia c’è posto per la massa, nessuno escluso (neanche i più derelitti). La dignità del pane risiede nell’ardore di carità che, sgorgando dal focolare amoroso del Cuore eucaristico di Cristo, anima la Chiesa e ‘cuoce’ i suoi membri, trasformandoli in popolo eletto. Il cristiano deve “cuocere il pane del proprio cuore nel forno dell’Eucaristia”!

Cristo-Eucaristia realizza la trasformazione dell’uomo, l’identificazione con Lui e con il Padre. L’Eucaristia diventa allora “il sole che scalda la terra e dà vita ad ogni cosa”, il cibo che dà forza a tutto il nostro essere. Lungo il cammino della vita, Gesù-Eucaristia é il pane che dà vita!

 

Apostoli della carità eucaristica

In una Circolare scritta ai Servi della Carità nel 1913 si legge un brano illuminante sul rapporto tra vita eucaristica e vita di carità e si esplicita il rapporto che intercorre tra Eucaristia e servizio ai poveri. “Cerchiamo di fare vita nostra la vita del sacro Cuore eucaristico, ben persuasi che dobbiamo riempire il nostro cuore dello spirito di fede e di carità, se vogliamo poter giovare all’anima nostra e ai gravi bisogni che ne circondano, a sollievo di tante miserie corporali e spirituali del prossimo.”

Da quelle parole si deduce che per don Guanella il rapporto con Cristo è descritto come una osmosi di vita, per mezzo della quale vengono trasfuse da Cristo le virtù della fede e della carità; a partire da una tale osmosi che si realizza nella comunione eucaristica, si ha un autentico giovamento per sé e per il mondo. A Lui si rivolge sempre con tono umile ed affettivo. Il Cristo datosi tutto per amore esige una risposta di amore: una libera, generosa e fedele cooperazione all’azione salvifica per la redenzione del mondo.

Cercando di far propria la vita del sacro Cuore, secondo don Guanella, è possibile dare ai poveri: “Pane e Signore”, un binomio inscindibile tradotto anche dall’espressione analoga: ‘dare sollievo di tante miserie corporali e spirituali’.

Al Sacro Cuore eucaristico va richiesta la carità esimia perché, con il cuore e i sentimenti di Cristo, si riesca ad essere apostoli e vittime. Essere vittima è espressione della partecipazione intima allo stato di Cristo presente nell’Eucaristia, è la condizione misteriosa di colui che è chiamato, come san Paolo, a completare ciò che manca alla passione del Cristo.

Si intuisce che don Luigi, nel Sacrificio di Cristo, si riscopre vittima anch’esso: vittima di gratitudine, di amore e di dolore, come tra l’altro scriveva già alle sue suore e poi anche ai preti. In don Guanella questa capacità di farsi vittima per amore è la logica conseguenza dell’amorosa contemplazione del sacrificio di Cristo, Vittima del Calvario, e del desiderio di contribuire con Lui alla redenzione dei fratelli.

L’apostolato di don Luigi è il risultato del suo stare intorno al focolare della divina carità, che è il Santissimo Sacramento; là egli emula il fervore degli angeli, perché la sua vita ‘esploda’ in uno slancio apostolico capace di infiammare il mondo intero di carità: “La divina Eucaristia è il sole che illumina, che riscalda, che fa fruttificare la terra. ’Io sono venuto -dice Gesù Cristo- a portare il fuoco della carità e che voglio io, se non che questo fuoco si accenda nel cuore degli uomini”. Al fuoco della carità don Guanella intende rispondere con altrettanta carità infuocata, per questo motivo esorta le sue suore in adorazione a rispondere amorevolmente a Gesù: “Amatelo, amatelo assai voi pure Gesù ed esso, […] vi farà degne di lui. […] Il fuoco divino disceso dal cielo, che avvampa e non consuma, e vi accenderà dell’amor suo”, perché Egli, “carità per essenza, lega i cuori all’amore di Dio, all’amore per il prossimo”.

Anche don Luigi si sente legato a Dio, afferrato dal suo amore, la Carità di Cristo lo chiama, e allo stesso tempo si sente legato all’amore del prossimo. E allora può dirsi a pieno titolo apostolo della carità eucaristica.

 

Agnello: potenza vera e forza terribile

Gesù nell’Eucarestia è il massimo segno di povertà, di debolezza, è l’Agnello immolato. Teniamo a mente le 2 immagini principali di Gesù- Agnello: quella di S. Giovanni Battista che vede Gesù venire a farsi battezzare e lo chiama appunto l’Agnello di Dio e quella dell’Apocalisse, in cui l’Agnello è sì sgozzato ma in piedi, nella Gloria.

Allora tiriamo le somme di quanto detto per spunti, per delineare quale vita meravigliosa sia vivere da agnelli nell’Agnello, da figli nel Figlio, accettando la logica di Dio.

Da p. Serafino: “La teologia della debolezza non è la teologia dei deboli, ma è la teologia dei forti. Gesù ha detto: A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra e questo rimane vero. Dal corpo di Gesù usciva una tale potenza che risanava coloro che lo toccavano con fede e questo rimane vero…. Ma allora Gesù è potente o no? Gesù è potente, ma la sua è potenza di amore. E l’amore è spogliamento, dono di sé. Gesù è superlativamente potente nell’amore, perché l’Agnello scardina tutto il sistema. Un re agnello non si era mai visto, ecco la novità di Gesù, la novità della regalità di Cristo… L’Agnello subisce la violenza, perché il male si sfoga su di lui, è bene che si sfoghi sull’agnello perché solo sfogandosi può perdere la sua forza. Solo così il lupo potrà trasformarsi in agnello, come è successo diverse volte nella storia della Chiesa. La mitezza innocente, perseguitata ma che continua ad amare ha una forza devastante.”

Gesù ci vuole attirare in questa logica divina, lo vogliamo?

Con Lui si diventa prima carta assorbente e poi canale di Grazia: prima si assorbe il male, annullandolo o per lo meno riducendolo, poi si diventa canale, cioè strumento di Grazia.

Un ultimo accenno alla sofferenza innocente, in quest’ottica dell’Agnello.

Il famoso filosofo francese Emmanuel Mounier aveva una figlia gravemente affetta da encefalopatite progressiva. All’inizio fece fatica ad accettare il suo stato, ma poi intraprese un cammino di fede e di comprensione. Mentre era in guerra scrisse una lettera alla moglie invitandola ad accostarsi alla figlia come ci si avvicina al Santissimo Sacramento, al Signore, facendo una genuflessione ogni volta che passava davanti al lettino della piccola…. La sofferenza innocente è la rivelazione suprema di Dio… Non è cattiveria, sadismo: nessuno vuole la sofferenza per la sofferenza. Si desidera la salvezza, ma la salvezza passa di lì.

Quindi la Carità che sgorga dall’Eucarestia e ci fa traboccare d’Amore, in questi luoghi si trasforma in Adorazione vera di Gesù anche in queste nostre sorelle.

 

FONTI:

Udienze generali del 5 e 12 febbraio 2014 di Papa Francesco

Omelia Spianata di Marienfeld – Colonia Domenica, 21 agosto 2005 di Benedetto XVI

“Meditazioni sull’Eucaristia. La forza della debolezza”, di padre Serafino Tognetti

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Published on October 04, 2024 14:07

September 17, 2024

Sulla strada che porta al 9 novembre @monasteroWiFi

di Costanza Miriano

Allora, innanzitutto volevamo dire ai non romani che pensavano di venire a Roma in treno il 9 novembre per il capitolo generale di San Pietro di organizzarsi con mezzi alternativi: aerei, bus, macchine, monopattini, pedalò, deltaplano, biga, qualunque cosa, perché salvo imprevisti (nei quali ancora speriamo!) pare che le vendite dei treni non saranno sbloccate per quel fine settimana. A causa dei tanti lavori finanziati dal PNRR le linee dell’alta velocità saranno quasi sicuramente interessate da lavori proprio in quel fine settimana.

Chissà, forse i capi delle Rete Ferroviaria avranno pensato: “scegliamo un fine settimana a basso tasso di turismo, quello prima è il ponte dei morti, e poi si entra in un momento di bassa stagione prima di Natale”. Non so, ci sarà una spiegazione razionale. Per quanto mi riguarda, mi pare ovvio che sia il gran cornuto a opporsi al fatto che troppa gente venga a sentir parlare di digiuno. D’altra parte nel Vangelo Gesù dice che “certi demoni non si allontanano che con la preghiera e il digiuno”, e quindi lui usa le armi che ha per far fallire questo incontro, per evitare che qualcuno in più cominci a digiunare, o che chi lo fa si rafforzi nel suo proposito.

Io penso che col digiuno ci si giochi qualcosa di molto importante per la nostra vita spirituale, e per il combattimento che possiamo e dobbiamo fare per salvare le persone che abbiamo a cuore, per esempio i nostri figli. Quando vediamo che qualcuno è assediato (e tutti lo siamo, dice Pietro: Il vostro nemico, il diavolocome leone ruggente va in giro, cercando chi divorare) il digiuno è l’arma più potente, l’unica con la preghiera dice Gesù, che abbiamo fra le mani. Non so voi ma io non ne sento parlare tanto spesso, neppure in chiesa.

Effettivamente anche io ne parlo poco. Innanzitutto perché sono una schiappa nel farlo, e mi vergogno a nominare il digiuno perché non vorrei che qualcuno pensasse il contrario (che se magari riesco a farlo per mezz’ora mi sono già giocata la mia ricompensa essendomene vantata, quindi ho sofferto ed è stato tutto inutile!). Poi, secondariamente, non ne parlo anche perché la gente ti prende per pazzo. Minimo minimo pensa che sia per dimagrire, quando, ahimè, essendo a base di pane non è proprio indicatissimo a quel fine. Insomma, evito di aprire conversazioni in merito.

Però qualche giorno fa lo ho fatto. A Fiumicino, tornando da Asti, la mia valigia non si è presentata sul nastro del ritiro bagagli. Non metto mai la mia agenda in stiva, perché senza di lei io non so davvero cosa devo fare della mia vita, se andare a Livorno o a Biella o a Verona e quando, non so quando scadono le assicurazioni, le denunce Inpgi, i contributi Casagit, le visite mediche dei figli, quando devo cambiare le lenti, quando mi sono confessata, che orario di lavoro devo fare, non so i compleanni le cene le revisioni auto, non so nulla della mia vita. Io scrivo e dimentico. Quando non ho visto arrivare la mia valigia mi è preso il panico, e dopo oltre un’ora di attesa sono scoppiata a piangere (al telefono, con mio marito, il quale non ha mai posseduto un’agenda, al massimo una lista della spesa in tasca, però ha me che faccio per tre agende; comunque si è mostrato molto comprensivo). In questo stato di prostrazione, dopo avere detto un rosario nell’attesa, mi sono arresa e sono andata al banco lost and found. C’era una signora molto gentile che parlava del figlio (signora, si consoli, con questi primi freddi tutti noi genitori diciamo “mettiti su qualcosa” e tutti i figli fanno spallucce e poi tornano raffreddati, è previsto dal contratto genitore base), e a un certo punto mi sembrava si rivolgesse a me. Così le ho fatto vedere il rosario che avevo nel taschino anteriore del giubbotto: è l’unica arma che abbiamo, le ho detto. E lei, dallo stesso taschino anteriore, però questa volta della camicia, ha estratto anche lei un rosario. “Lo so!” – mi ha risposto. “Allora rimane una sola cosa più potente di quella: il digiuno”. Lo so, sarò sembrata pazza, avevo dormito dalle 2 alle 4.40 per essere all’aeroporto di Torino alle 5.20, avevo appena pianto per la valigia smarrita, chissà che faccia avessi, però la signora mi ha ascoltata come se fossi normale. E così l’ho invitata per il 9 novembre a San Pietro. Poi sono tornata al nastro, disponendomi ad aspettare per quattro ore l’arrivo del volo successivo da Torino che, si sperava, mi avrebbe riportato la valigia. Mi siedo al nastro (che non riportava neanche più sul display Torino, ma Barcellona e Stoccolma) e chi ti vedo arrivare, tra i bagagli spagnoli e svedesi? La mia agognata valigia era tornata. Ho concluso che, ovviamente, Dio si era servito di una valigia caricata in ritardo per toccare il cuore della sua figlia che lavora al banco Lost and found. E sono sicura che nonostante la difficoltà dei treni chi dovrà essere acchiappato, in qualche modo arriverà. So che in tanti stanno prenotando l’aereo (scriveteci per tutte le informazioni logistiche, comunque c’è una navetta e anche un comodissimo trenino per san Pietro da Fiumicino), organizzando pullman e macchine di amici. Noi intanto cercheremo di iniziare più tardi possibile, in modo da aspettare tutti, e stiamo cercando di snellire le procedure di ingresso in Basilica.

Ricordo anche che dal 7 all’11 gennaio ci sarà il ritiro per i sacerdoti, in un posto stupendo al Celio, sul tema: “virili e casti, il dono del celibato”. Anche quest’anno non chiederemo una quota ai partecipanti, ma un’offerta libera perché sappiamo quante difficoltà ci siano per loro. Ringraziamo dunque chi potrà contribuire per aiutare questi uomini così preziosi che danno la vita perché noi possiamo incontrare Dio. Vi chiediamo di spargere la voce tra i vostri parroci o i sacerdoti che conoscete e che pensiate possano averne bisogno o desiderio. La quarantina di sacerdoti che hanno partecipato l’anno scorso sono stati unanimi nel dire che è stata davvero una grazia, un’occasione di amicizia, conforto, confronto, crescita di cui siamo grati a Dio e a tutti quelli che con il loro contributo l’hanno resa possibile.

QUESTO è il link per l’iscrizione.

QUI per tutte le informazioni del Sesto Capitolo Generale del Monastero Wi-Fi

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Published on September 17, 2024 13:59

September 3, 2024

La famiglia Gennero, un annuncio di risurrezione

di Costanza Miriano

C’è una famiglia bellissima che ha un’azienda agricola in provincia di Cuneo. Ci sono cinque figli, una femmina e poi quattro maschi. I due maschi più grandi, Francesco e Davide Gennero, aiutano il padre nell’azienda. Francesco, 25 anni, ha fatto un’esperienza in un altro impiego ma comunque aiuta la famiglia, Davide, 22, invece lavora sempre col padre, è fidanzato e sta per sposarsi. Un giorno di fine estate vanno a lavorare il mais contenuto nel silos, Francesco respira delle esalazioni e si sente male. Un fratello più piccolo dà l’allarme; Davide non ci pensa un secondo, sale velocemente la scala esterna del silos, si lancia a salvare il fratello, ma col fiato grosso per la salita veloce respira anche lui le esalazioni, e muore sul colpo. Francesco viene ricoverato, ma dopo giorni di terapia intensiva muore anche lui.

La famiglia già dal primo giorno, col figlio ricoverato, comincia a pregare, con tutto il paese intorno. Una folla di persone, tutti nel grande cortile dell’azienda, piena di gente che prega, composta, addolorata ma in pace. I genitori, Claudio e Daniela, con il cuore distrutto non dicono una parola contro Dio e contro questa storia dolorosissima e incomprensibile. Hanno le spalle coperte da anni di Cammino neocatecumenale e possono dire, con una luce che non è di questo mondo, negli occhi: sia fatta la volontà di Dio. Viene celebrato il funerale nel cortile, con 24 sacerdoti e centinaia di persone. Il dolore c’è, ed è straziante. Per loro e per i fratelli rimasti, fratelli di questi due ragazzi meravigliosi, ciascuno a modo suo. Diversi ma entrambi pieni di vita e di sogni, saldi nella fede. Due fratelli che pregavano e facevano un cammino di fede molto serio, pieni di energia e allegria.

E niente, volevo raccontarlo perché dobbiamo ricordarlo, prima di tutto a noi stessi, che “c’è del buono in questo mondo”, ce n’è tantissimo. Negli occhi dei genitori, occhi saldi e certi della vita eterna, c’è un annuncio di risurrezione. Se loro sono in piedi, vivi, se loro non maledicono Dio e la loro storia, le possibilità sono solo due: o questi genitori sono drogati pesantemente, o Dio esiste, davvero. Perché puoi raccontartela un giorno, una settimana, un mese, ma non puoi rimanere saldo nella fede per quattro anni, se non è lo Spirito Santo a tenerti in piedi.

Grazie a Davide e Francesco, grazie ai loro genitori e ai fratelli, perché ci ricordano che allora è tutto vero, quello in cui crediamo. E grazie ai loro fratelli di comunità che li avvolgono di un amore incredibile, grazie a tutto il paese che non ha mollato la famiglia e che la stringe in un abbraccio di amicizia.

 

 

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Published on September 03, 2024 13:07

August 30, 2024

Una nuova stagione di appuntamenti e incontri

di Costanza Miriano

È ancora così caldo che oggi quando sono entrata nel negozio del mio pusher di Prati – quello che mi fornisce il cioccolatino Chococaviar 80% fondente che mangio ogni sera, rigorosamente uno al giorno – il commesso non ha neanche aspettato che chiedessi, non si è neanche girato a guardarmi: “so’ finiti. Troppo caldo”, perché il commesso romano risparmia energie, per definizione.

È caldo ma il calendario parla chiaro: domenica sarà settembre, è tempo di cambiare agenda, srotolare il foglio dei buoni propositi, programmare l’anno che viene. Allora vorrei ricordare alcune delle tantissime cose che partiranno o riprenderanno a breve.

Le parrocchie si staranno anche svuotando, ma in compenso le occasioni di incontro, catechesi nutrimento, comunione sono tantissime, almeno a Roma: il rischio che vedo io, almeno per me, è quello dell’overdose, dell’eccesso di “nutrimento”. Il rischio è che alla fine non assimili niente e ti appesantisci. Sarò un’obesa spirituale? Quindi è bene scegliere bene, e mantenere gli impegni presi. A questo proposito, come manuale spirituale, consiglio Come una piccola creatura, di padre Giuseppe Forlai e anche, dello stesso autore, La preghiera di Gesù.

Allora, innanzitutto ricordo il 9 novembre il Capitolo generale del Monastero wifi che quest’anno ci insegnerà alcune fondamentali cose sul digiuno, più fondamentali del solito perché è un fatto che nessuno nella Chiesa ne parla mai (a parte chi è stato a Medjugorje), eppure il Vangelo dice che certi demoni non si allontanano che con la preghiera e il digiuno, e non la pone come opzione facoltativa per chi vuole essere discepolo di Gesù, che digiunava. Cliccando qui il LINK per l’iscrizione.

Ricordiamo che Trenitalia non ha ancora messo in vendita i biglietti per quel fine settimana, in cui sono previsti lavori straordinari sulla rete, e che appena saranno aperte le vendite avviseremo qui, sui social e col passaparola, il telefono senza fili, i piccioni viaggiatori eccetera. È evidente che quello del piano di sotto – nemico numero uno di chi digiuna – sta cercando di impedirci di arrivare, ma sono sicura che arriveremo tutti lo stesso, con qualsiasi mezzo.

Annuncio poi per i sacerdoti un nuovo ritiro, che l’anno scorso è stato un piccolo miracolo di grazia per oltre 40 sacerdoti. Quest’anno si terrà dal 7 all’11 gennaio, in un luogo bellissimo al Celio.

Il tema di quest’anno sarà VIRILI E CASTI, il dono del celibato. Invitiamo tutti voi a fare la proposta al vostro parroco, credo che sia un’occasione molto bella di nutrimento spirituale, di riposo, di amicizia fra sacerdoti: almeno questo ci hanno raccontato l’anno scorso, perché noi che abbiamo organizzato ovviamente non abbiamo partecipato in nessun modo. Abbiamo potuto offrire, grazie alla generosità di una monaca wifi, anche un giro per Roma, anche se quest’anno forse potrebbe essere fatto a piedi, visto che i sacerdoti si troveranno tutto il giorno nel cuore antico della Roma più bella, tra Colosseo, Fori Imperiali, Palatino… Aggiungo ancora solo una cosa – seguiranno altri post con il programma dettagliato – che l’anno scorso grazie alle offerte dei monaci wifi abbiamo potuto non chiedere una quota di partecipazione ai sacerdoti, che come sappiamo (contrariamente alla vulgata) non navigano nell’oro. Chi ha potuto ha contribuito con una offerta anonima, ognuno secondo le proprie possibilità.

Per tutti i romani dal primo lunedì di ottobre il Monastero wifi romano – gemello di altri oltre 20 monasteri in altrettante città italianei dettagli sul nostro sito (https://www.monasterowi-fi.it/) – continuerà come da anni a riunirsi il primo lunedì di ogni mese al Battistero di san Giovanni in Laterano, grazie al lavoro di Silvia e all’assistenza costante di Padre Pierluca Bancale, sempre presente per le confessioni. Alle 20.30 spuntino e chiacchiere, alle 21 catechesi sul tema lanciato dal capitolo di san Pietro (fino a novembre proseguiamo con l’eucaristia). A settembre, invece, ci vedremo il 9 alle 19.30 al Don Guanella (i dettagli nella nostra chat) per fare compagnia alle 170 ragazze disabili ospiti.

Tra le tante iniziative per gli sposi (riprendono gli incontri a Chiesa Nuova e quelli al Laterano), ricordo che come ogni anno padre Maurizio Botta propone un ciclo di nove incontri per fidanzati, anche non promessi sposi ma solo in discernimento, aperto anche a tutti gli under 30 che desiderano capire cosa significhi sposarsi in Chiesa (è bellissimo, fidatevi!). Qui tutte le date, si parte da gennaio

Una novità sarà invece il percorso proposto da Padre Nicola Commisso, dal titolo Manco le basi, da leggere però rigorosamente alla Mario Brega, con due b: manco le bbasi. Un ciclo di introduzione alla fede che si terrà un giorno al mese, di mercoledì (si parte dall’11 settembre) al Battistero di San Giovanni in Laterano. Per i lontani (portate amici scettici, indifferenti, anticlericali, buddisti, atei, quelli che “io credo in Dio ma la Chiesa”, quelli che “voi pregate ma intanto i migranti” e chiunque abbia voglia di ascoltare e interrogarsi con cuore leale) ma anche per quelli che pensano di sapere e forse non sanno, e per quelli che sanno ma desiderano rimettere in ordine le idee (io), e farlo con l’aiuto dell’intelligenza e l’arguzia di padre Nicola.

 

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Published on August 30, 2024 05:53

August 22, 2024

Combattere per la salvezza eterna ma anche per la salvezza qui e ora

di Costanza Miriano

“A volte c’è più fede in una bestemmia che nella vostra indifferenza” – disse una volta un mio professore al liceo. Saltai sulla sedia. Ero parecchio combattiva allora, e l’affermazione mi parve blasfema, immagino che contestai la cosa con la mano vigorosamente alzata. Adesso però capisco in che senso la dicesse, e sono d’accordo. “C’è una sorta di fede – spiegava – in un contadino che, per esempio inveisce contro Dio perché una grandinata gli ha rovinato il raccolto. È la fede di chi sa che la sua vita è precaria e dipende in tutto da un Altro”.

Non vorrei semplificare troppo, ma mi chiedo se l’attuale senso di generale indifferenza nei confronti di Dio possa dipendere anche da questo, complessivamente: viviamo in una fetta di mondo in cui siamo garantiti nei bisogni fondamentali. Tutti noi sappiamo che domani mangeremo sicuramente qualcosa, ci sarà un cuscino su cui posare la testa, e che se ci viene anche solo un mal di testa potremo prendere un analgesico. Abbiamo le assicurazioni, visite mediche a piacimento, abbiamo la pensione e insomma in generale una certezza di vita impensabile nei secoli scorsi. Non è certo un male, anzi, ma può diventare un inganno: può farci credere di non dipendere da nessuno e niente. Certo, quella del contadino che inveisce per la grandinata magari è solo una religiosità naturale, però può essere una disposizione alla fede. Il benessere e la sicurezza invece tendono a farci dimenticare che la vita è un combattimento per la salvezza, un combattimento così grave e drammatico che Dio stesso si è fatto uomo ed è morto sulla croce per darci la possibilità di vincerlo. Combattimento per la salvezza eterna ma anche per la salvezza qui e ora.

“Per il tuo nome, Signore, fammi vivere” – diceva il salmo delle Lodi di stamane “liberami dall’angoscia, per la tua giustizia. Non nascondermi il tuo volto perché non sia come chi scende nella fossa. Al mattino fammi sentire la tua grazia, perché in te confido”. Dipendiamo da Dio a ogni respiro dell’anima, per questo la preghiera più urgente è quell’”O Dio vieni a salvarmi” con cui cominciamo la liturgia delle ore e il rosario. Mi pare che lo scriva padre Giuseppe Forlai (nel suo stupendo “Come una piccola creatura”, una preziosa guida alla vita spirituale; non lo ho qui con me, ma cito a memoria) è quella che riassume tutti i salmi e tutte le preghiere. Chiediamo a Dio che venga a salvarci, e che venga presto, perché nell’uomo ogni cellula chiede salvezza, e in ogni momento, non solo nell’ora della morte. Nei giorni in cui faccio più fatica a pregare (tutti?) e comincio il rosario duecento volte, mi ritrovo a pregarla in continuazione. O Dio. Vieni. A salvarmi. L’avrò già detto? Va beh, nel dubbio lo dico ancora. È stato bellissimo quando ho letto che questa è la sintesi di ogni preghiera, perché a volte io mi fermo lì, e la mente subito si distrae.

L’uomo che si sente sicuro materialmente rischia di ingannarsi, e di credere di farcela da solo. Non è un caso che nelle epoche e nelle zone di apparente maggiore sicurezza dilaghi l’ansia e ogni sorta di malattia del cuore, che magari si cerca di curare come se fosse un problema mentale. Come se l’uomo potesse saziarsi il cuore senza Dio.

Per me è questa la grande tentazione collettiva di questa epoca, anche nella Chiesa, anche per tanti consacrati, anche a livelli alti, nelle gerarchie. Anzi, a volte mi viene il dubbio di vedere due chiese (uso la c minuscola perché una delle due di sicuro non è vera). Temo che un bel po’ di battezzati, ma anche sacerdoti (e anche vescovi e cardinali direi) pensino che Gesù sia una bella figura, ma non che sia Dio, cioè che la venuta del suo regno sia il fine della nostra vita e la ragione dell’esistenza della Chiesa. Il suo regno prima di tutto nei nostri cuori, e poi in tutto il mondo. C’è una parte di Chiesa che pensa che l’uomo sia capace di vero bene anche senza che questo venga da una relazione con Dio. Questo credo sia l’errore più grande e più diffuso, ma a un livello davvero endemico. Altro che questione dell’omosessualità, ecologia, clima, destra e sinistra, principi non negoziabili e questioni liturgiche. Il vero tema per me è questo.

Stare alla presenza di Dio è il sommo bene, ed è l’unica felicità possibile. L’uomo da solo non è capace di fare il bene, non è che siamo posti davanti alla scelta tra bene e male, e il bene è Dio e noi lo scegliamo. No. Le cose non stanno così. Lo schema è: qui c’è il male, che ti rende infelice, qui c’è il bene, che ti rende felice, ma al quale da solo e con le tue forze non riesci ad aderire. Unisciti a me – che con il battesimo sono dentro di te – e io in te compirò il bene.

Quante volte sentiamo predicare così? Io non spessissimo, eppure è ciò che annuncia la Chiesa, ed è una cosa troppo, troppo importante per la nostra vita. Al centro di tutto c’è il nostro rapporto con Dio, e fuori da questo non è possibile per noi fare il bene. Se non desideri la volontà di Dio non puoi essere felice, manca sempre qualcosa. Infatti – ho scoperto, forse voi già lo sapete – il numero del demonio è 666 perché non arriva mai al 7 che è la pienezza. So che questo modo di considerare Dio è considerato fondamentalista, eppure è ciò che la Chiesa (che non è la gerarchia ma la comunione dei santi, sempre vivi e sempre contemporanei) annuncia da sempre.

Cercare Dio con tenacia, ricordando che da quello dipende tutto, è al centro del cuore di ogni monaco, e anche di noi monaci wi-fi. Al nemico questo non piace, e prova in tutti i modi a distrarci da quello che ci rende felici. Ma noi sappiamo quali sono le armi: Gesù dice che certi demoni non si allontanano che con la preghiera e il digiuno. Parleremo anche di questo il 9 novembre a San Pietro, nel cuore della Chiesa, che conferma la nostra fede, sempre, perché le porte degli inferi non prevarranno.

Per chi non si è ancora iscritto:

QUESTO è il link per l’iscrizione

 

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Published on August 22, 2024 16:00

July 19, 2024

FAME E SETE DI DIO : 6° capitolo generale del Monastero Wi-Fi – 9 novembre 2024

di Costanza Miriano

Siccome in tanti stanno chiedendo (immagino per prenotare il viaggio), confermiamo che l’appuntamento per il prossimo capitolo generale del Monastero WiFi sarà nella Basilica di san Pietro sabato 9 novembre. Confermiamo anche che il tema sarà “fame e sete di Dio”.

Ma perché?

Forse la cosa più importante che sperimento nei miei stentati, rabberciati, sempre rimandati e più possibile evitati digiuni è che privarti del cibo ti fa ricordare di Dio. Ricordare parecchio. Ricordare in senso etimologico, cioè ti rimette al centro del cuore la presenza di Dio.

Quando ti manca il cibo, infatti, non riesci a pensare a molto altro, almeno così è per me, e quindi quasi ogni secondo ti devi ricordare perché, per chi lo stai facendo (insomma: chi te lo ha fatto fare). Ovviamente ci sono tante altre cose che il digiuno fa per noi, e lo prova il fatto che Gesù digiuni, Lui che non aveva certo bisogno di ricordarsi di Dio; in più, il Vangelo ne parla spesso: sono ragioni ancora più serie per provare a prenderlo in considerazione, a capire se il digiuno può fare qualcosa per noi (non siamo certo noi che facciamo un favore a Dio), e in che modo possiamo provare a declinarlo nella nostra vita. Anche perché ci sono cose che solo il digiuno può fare, per esempio scacciare certi demoni, come dice il Vangelo.

E quindi siamo tutti invitati a San Pietro il 9 novembre per il sesto capitolo generale del Monastero wifi per una giornata di preghiera e catechesi sul tema, una giornata – lo ricordo per chi non ne avesse mai sentito parlare – che si svolge dalla mattina al pomeriggio, aperta a tutti, ovviamente gratuita e per la quale non è richiesto nessun requisito o preparazione.

QUESTO è il link per l’iscrizione.

Organizzatevi, prendete ferie, convincete coniugi, arruolate baby sitter, prenotate parrucchieri, cancellate impegni, mettete una croce sul calendario.

Si comincia con le Lodi e si finisce con l’adorazione, al centro della giornata c’è la Messa, e per il resto ascolteremo catechesi sul tema, iniziando dalla fame di Dio che ognuno di noi ha impressa nel cuore, perché siamo fatti per Dio, e il nostro cuore è inquieto fino a che non riposa in Lui. È a partire da questa fame che prende senso il digiuno (nelle sue varie forme) per noi cristiani; lo spiega benissimo il Catechismo della Chiesa Cattolica: digiunare porta a umiliarsi pentirsi convertirsi supplicare, è sempre in relazione, e non è questione di essere persone forti, ma di essere persone in un rapporto vivo con Dio, persone che cercano di lasciare spazio a Dio perché agisca nella loro vita. Il modello è Gesù, e quindi vedremo come lui ha digiunato, e come ha risposto a satana che gli ha proposto di far diventare le pietre pane; vedremo che la Parola nutre più del pane (mi piacerebbe esserne più convinta quando vorrei azzannare qualsiasi cosa commestibile, anche scaduta da poco o almeno non velenosa e leggere il Vangelo mi consola pochissimo). Riceveremo consigli pratici sui vari modi in cui si può digiunare (anche un pasto a porzioni ridotte, per esempio, può essere una forma) e su altre forme di mortificazione non solo sul fronte alimentare. Ci sarà anche una bella catechesi sul fatto che rinunciare a qualcosa può insegnarci a frenare la voracità anche nei rapporti: l’altro non è uno che deve soddisfare la mia fame, uno da cui prendere vita, ma qualcuno da amare. E infine il punto di arrivo: l’attesa dello Sposo che toglie ogni fame.

Non scrivo qui la scaletta dettagliata perché dobbiamo ancora definire uno dei temi, e aspettiamo anche che don Fabio Rosini come in altre occasioni – lo sappiamo, è impegnatissimo – sciolga la riserva (aveva un altro impegno, ma da confermare). Però posso dire che come sempre abbiamo cercato di dare spazio a voci diverse e molte di esse sono nuove, e per questo con grande rammarico abbiamo dovuto fare a meno di qualcuno: la Chiesa trabocca di ricchezze, ognuna unica (qualcuna pure un po’ troppo creativa, ma quelle non le ascolteremo, almeno non quel giorno a san Pietro). Intanto però possiamo dire che saranno dei nostri, in ordine rigorosamente alfabetico, don Gianluca Attanasio, padre Maurizio Botta, don Francesco Buono, don Luca Civardi, don Matteo Nistri, padre Marco Pavan, padre Serafino Tognetti, don Daniele Troiani, don Gabriele Vecchione. La messa sarà celebrata dal padrone di casa, il Card. Mauro Gambetti.

La cosa difficile, comunque, non è trovare sacerdoti in gamba e bravi a predicare: siamo circondati di talmente tanta bellezza e ricchezza… la cosa difficile è dover fare a meno di qualcuno, e scegliere cercando di rispettare il più possibile le diverse sensibilità delle persone che verranno da tutta Italia, ognuno con la sua storia, la strada percorsa.

Mancano quattro mesi esatti al 9 novembre ma vi consigliamo di prenotare appena potete il viaggio e se volete anche l’alloggio. Cercando con un po’ di pazienza si trovano anche sistemazioni convenienti, soprattutto se ci si accontenta di sistemazioni spartane tipo in istituti religiosi, e forse a novembre possiamo sperare in un po’ di bassa stagione per i prezzi, però pensiamoci per tempo! La prima catechesi comunque non sarà prestissimo, per permettere anche a chi arriva col treno o con l’aereo il mattino stesso (senza bisogno di prendere un alloggio) di non perdersi nulla. Se invece riuscite a dormire una notte a Roma, o prima o dopo, cercheremo anche di organizzare un momento per abbracciarci, minimo la messa della domenica mattina, il giorno dopo.

Come sempre chi ha qualche problema economico serio ma vuole venire lo stesso ci scriva, cercheremo di aiutarlo economicamente nella massima riservatezza, e ovviamente chi invece vuole darci una mano a pagare qualche biglietto a chi non può permetterselo ci può scrivere o fare un’offerta. Tutto quello che arriverà sarà usato per pagare le spese vive (luci, riprese etc) e i viaggi dei relatori, eventualmente aiutare chi vuole venire e, se resta ancora qualcosa, andrà ai poveri, non ci terremo niente (se non ti svuoti le casse, Dio non può provvedere).

Chiediamo infine a chi conoscesse qualche bel posto non troppo costoso per dormire di segnalarcelo (magari dopo avere prenotato per sé) in modo che possiamo passare la dritta ai tanti che ce ne chiedono. Chi non può venire, ci aiuti comunque a far girare la notizia, e chi viene porti almeno un amico, la prima carità che possiamo fare a qualcuno è aiutarlo nel cammino di fede.

 

 

 

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Published on July 19, 2024 04:04

July 4, 2024

L’Eucarestia nella quotidianita #monasteroWiFiRoma

E alla fine dopo tante catechesi del lunedi sull’eucaristia del Monastero Wi-Fi di Roma, abbiamo chiuso il nostro anno di incontri con the real thing, la messa celebrata. Pubblichiamo qui l’omelia di padre Mario Piatti: sono i suoi appunti e quindi non ci sono le battute e le divagazioni che ha fatto (meritavano anche quelle!) ma l’occasione di avere tutto pronto senza l’eroico lavoro dei trascrittori era troppo ghiotta. Appuntamento al 9 settembre, quando l’incontro sarà al Don Guanella, per coinvolgere le ospiti della struttura; poi avremo padre Maurizio Botta al Battistero il 7 ottobre, e il 9 novembre siamo tutti invitati a San Pietro!*** Omelia di padre Mario Piatti Battistero di San Giovanni in Laterano, 1 luglio 2024 Siamo giunti al termine di questo percorso (che proseguirà ancora per un paio di incontri a settembre) nel quale si sono riscoperte –almeno in parte: il mistero ci supera sempre– la ricchezza e la bellezza della celebrazione eucaristica, della adorazione, del “permanere” di Cristo nella Chiesa, attraverso la sua Parola, il suo Corpo e il suo Sangue, la Carità (Ignazio di Antiochia scriveva «Il sangue di Cristo è la carità» Ai Tralliani VIII,2; «Con la croce nella sua passione il Signore vi chiama, essendo voi sue membra. Il capo non può nascere, separatamente, senza le membra poiché Dio ci ha promesso l’unità, che è Egli stesso» Ai Tralliani XI,2.)

Quante cose si sono ascoltate, imparate o “ripassate” (come fa a scuola): c’è sempre qualcosa di nuovo o qualcosa di antico ridetto dallo Spirito al nostro cuore, in modo nuovo. E lo Spirito che suggerisce, che affascina, che introduce nel mistero di Cristo (un inciso: per “deformazione professionale” noi sacerdoti facciamo più fatica ad ascoltare, crediamo di sapere già tutto; eppure, se scopriamo che Dio sta interpellando ciascuno di noi, che per ciascuno ha un “accento” originale, unico, allora il cuore si fa attento e si fanno delle scoperte impreviste e preziose. Dio ha una parola per ogni suo figlio; Dio ha uno sguardo e un cenno di amore per ciascuno).

Al termine di questo ciclo di catechesi, vogliamo vivere il mistero che abbiamo meditato, adorato, amato: vogliamo calarlo nella nostra quotidianità. Nelle “cose di Dio” è necessario passare sempre dalla riflessione alla vita: tutto ci è stato detto e donato perché diventi in noi vita, vita nuova, vita da risorti. La nostra fede non è relegata a scaffali di biblioteche (seppure, naturalmente, l’intelligenza della fede, l’approfondimento delle verità rivelate siano necessari per il nostro cammino) e neppure a simposi, convegni, programmazioni pastorali ecc.: tutti (o quasi tutti) elementi importanti, se ci conducono alla conversione del cuore, se ci fanno penetrare nel Cuore di Cristo, se ci aiutano ad amare ancora di più i nostri fratelli e le nostre sorelle, compagni del cammino, coeredi del medesimo destino.

Ogni celebrazione ci fa ripercorrere il Mistero Pasquale non come una rievocazione, come fosse sfogliare le foto di famiglia, con la struggente nostalgia di un passato ormai trascorso.

Fin dalle origini la Chiesa ha colto il valore “memoriale” delle parole e degli eventi di Cristo, assegnando un significato nuovo all’ascolto delle Scritture e alla celebrazione dei “Misteri”.

Cristo è contemporaneo alla vita, all’oggi, al presente, di ciascuno di noi: è contemporaneo a ogni istante della nostra esistenza. La Messa è “il top” di questa irruzione costante del Signore nelle vicende dell’uomo. La Messa ci riconduce al Mistero Pasquale che si compie oggi, qui, per me. Per noi.

Si compie questa sera, in questa situazione storica – universale e personale, a questo punto del percorso di ciascuno – in una “congiuntura” di eventi, di circostanze, di sentimenti, di affetti che si realizza solo ora: hic et nunc.

Questa rete infinita di relazioni, di gioie e di dolori, di desideri, di ansie, di speranze e di preoccupazioni, è bagnata, ancora una volta, dal Sangue di Cristo, che ridona un significato nuovo a tutto.

Ogni Messa è la Cena del Signore, condivisa con i suoi discepoli, con noi; ogni Messa è la preghiera di Cristo, la sua invocazione al Padre; il suo arresto, la sua umiliazione, i flagelli le spine, il Calvario, l’odio e la violenza che lo investono e lo travolgono; la Croce e la Morte, 1’abbandono nelle mani del Padre e l’estrema intercessione per noiche spesso – come i suoi crocifissori – neppure sappiamo quello che facciamo.

E poi 1’alba della Risurrezione, dell’ottavo giorno (richiamata dalla pianta ottagonale di tanti edifici sacri, compreso il Battistero di San Giovanni), del giorno della Nuova Creazione, del quale siamo tutti partecipi, la cui luce pervade la nostra vita e vorrebbe giungere fino alle “estreme periferie” del nostro cuore.

Gesù passa, beneficando, risanando, guarendo. Ma poi accetta la Volontà del Padre, offrendo totalmente se stesso nella sua Passione, nella apparente “inattività” della Croce, dove è inerme, ormai inoffensivo, incapace di muoversi e di chinarsi sulle tante povertà umane.

Eppure, e proprio quel Mistero di apparente “inutilità” che ci salva, che ci ricompone, che riassetta i frammenti delle nostre esistenze caotiche e contraddittorie, perché siamo aspersi da quel Sangue e ritroviamo tutta la bellezza e la fecondità della nostra origine e del nostro destino.

Il Mistero della Croce, il silenzio dell’offerta, le parole di intercessione che salgono al Padre, ci fanno riconsiderare la vita, l’efficienza, la produttività delle nostre azioni.

Che valore hanno, agli occhi del Signore, la preghiera e la riparazione che quotidianamente salgono al Cielo dalla (spesso) incompresa Vita claustrale, dove ogni giorno si impetra grazia, misericordia, perdono, per la Chiesa e per il mondo intero?

Quanti nostri fratelli e quante sorelle offrono se stessi – unendosi al Sacrificio

Eucaristico – dagli altari delle loro croci domestiche, dal letto di una infermità, da fatiche abbracciate per amore di Dio e del prossimo?

Venendo a noi: che cosa vale, che cosa è importante della nostra vita, che cosa

“produce” il bene? Quanto sono preziose le “pause” quotidiane, il raccogliersi, pur brevemente, dinanzi al Signore! Quanto è preziosa l’adorazione, il sostare qualche istante, nelle nostre Chiese, elevando il cuore e la mente a Dio!

L’Eucaristia ci educa a ridisegnare i confini della vita secondo il Cuore di Dio, unendo la nostra esistenza alla vita di Cristo (gesto significato sacramentalmente nelle poche gocce d’acqua, aggiunte al calice del vino, che diverrà Sangue di Salvezza, “carità” di Dio offerta per noi), perché attraverso le prove quotidiane partecipiamo, già qui in terra, alla gioia infinita della Gloria, della Risurrezione di Cristo.

Riscoprire la valenza positiva, determinante della preghiera – e della preghiera “per eccellenza”, la celebrazione eucaristica – non sminuisce affatto il valore delle nostre azioni, del lavoro, dei rapporti affettivi, ecclesiali, sociali. Anzi, permette di acquisirne ancor più il senso, infondendo nella monotonia di ogni giorno il torrente impetuoso della Grazia, la luce di Cristo Risorto: “Grigiore della vita quotidiana, quanti tesori sono nascosti in te!” (così scriveva Suor Faustina K.).

Un’antica laude medioevale – attribuita a Jacopone da Todi – diceva:

Troppo perde il tempo chi ben non t’ama, dolc’amor Jesi.t sovr’ogni amore… Amor, chi t’ama non sta ozioso, tanto li par dolze deTe gustare; ma tutto sor vive desideroso come te possa stretto più amare… ” (dal Laudario di Cortona – sec XIID.

Troppo perdiamo il nostro tempo – il prezioso, unico, irripetibile, tempo della nostra vita – se non amiamo il Signore, se non lo cerchiamo sempre, se non gli permettiamo di dilagare dentro la nostra esistenza, se non rendiamo “eucaristiche” le nostre giornate.

Qualche secolo dopo, il grande apostolo di Roma, San Filippo Neri, con altre parole ridiceva la medesima cosa: “Chi vuol altro che Cristo non sa quel che domanda “. Per Lui solo vale la pena di vivere, di soffrire, di amare, di gioire, di faticare; la sua amicizia vale più di tutti i tesori della terra, 1’affetto del suo Cuore riempie l’anima più di ogni legame, pur sano e santo.

Diceva Giovanni Paolo II ai giovani (Messaggio per la XV Giornata Mondiale – 29 giugno 1999):

Non volgetevi perciò ad altri se non a Gesù. Non cercate altrove ciò che solo Lui può donarvi, giacche «in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati»»”(At 4, t2).

E nell’Omelia di Tor Vergata (20 agosto 2000, nn. 3-4) affermava:

Voi pensate alla vostra scelta affettiva, e immagino che siate d’accordo: ciò che veramente conta nella vita è la persona con la quale si decide di condividerla. Attenti, però! Ogni persona umana è inevitabilmente limitata: anche nel matrimonio più riuscito, non si può non mettere in conto una certa misura di delusione… non c’è in questo la conferma di quanto abbiamo ascoltato dall’apostolo Pietro? Ogni essere umano, prima o poi, si ritrova ad esclamare con lui: «Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». Solo Gesù di Nazaret… è in grado di soddisfare le aspirazioni più profonde del cuore mano“.

E ancora:

L’Eucaristia è il sacramento della presenza di Cristo che si dona a noi perché ci ama. Egli ama ciascuno di noi in maniera personale ed unica nella vita concreta di ogni giorno: nella famiglio, tra gli amici, nello studio e nel lavoro, nel riposo e nello svago. Ci ama quando riempie di freschezza le giornate della nostra esistenza e anche quando, nell’ora del dolore, permette che la prova si abbatta su di noi: anche attraverso le prove più dure, infatti, Egli ci fa sentire la sua voce. Sì, cari amici, Cristo ci ama e ci ama sempre! Ci ama anche quando lo deludiamo, quando non corrispondiamo alle sue attese nei nostri confronti. Egli non ci chiude mai le braccia della sua misericordia“.

Solo Lui continua ad amarci, anche quando lo deludiamo (cioè più o meno sempre…).

Concludiamo con un riferimento necessario, mai “convenzionale”, a Colei che ha il solo e unico desiderio di condurci al Figlio.

Maria Santissima, “Donna Eucaristica”, ha vissuto in pienezza, da Madre, il rapporto con Cristo, conformandosi in tutto a Gesù: nei pensieri, nel Cuore, nella volontà, nei sentimenti, nelle attese, nelle scelte. In tutto si è associata al Figlio, condividendone i “Misteri”, della Gioia, della Luce, del Dolore e della Gloria.

In fondo si può anche pensare che nella celebrazione eucaristica rivivano e riprendano “spessore” e consistenza i Misteri che meditiamo nel Rosario: così, ogni Messa riattualizza anche il percorso della Vergine Maria, alla sequela di Cristo, dedita interamente alla Persona del Figlio e “alla sua Opera”, che siamo poi noi..

I Santi ci insegnano che a ogni celebrazione è presente la Madre, che Ella ci accompagna all’ascolto della Parola e all’incontro sacramentale con Cristo; ci prepara a riceverlo, ci educa a ringraziarlo, ci aiuta a introdurlo nella nostra giornata; favorisce e incrementa in noi e tra noi il tessuto della carità fraterna.

I “luoghi di Maria” sono tutti “luoghi eucaristici”. Dove Lei appare, rinasce e rifiorisce la Chiesa. Amarla, pregarla, implorarla perché ci sostenga maternamente è un atto doveroso.

 

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Published on July 04, 2024 09:53

July 1, 2024

La messa: la continuazione del Calvario. #monasteroWiFiRoma

Questa sera, prima della pausa estiva (che sarà solo ad agosto) ci vediamo alla messa che celebrerà padre Mario Piatti alle 21 al Battistero di San Giovanni in Laterano, per “mettere in pratica” tutte le catechesi ascoltate in questo anno (ne avremo ancora a settembre e ottobre, poi si passerà al digiuno col Capitolo generale a San Pietro il 9 novembre). Siete tutti invitati. A seguire, spuntino di saluto, potete portare qualcosa o anche solo mangiare.A seguire l’intera trascrizione della catechesi tenuta il primo lunedì di giugno da padre Nicola Commisso sulla messa, ispirata alle catechesi di Fulton Sheen.Ringrazio la stupenda Silvia e la squadra di trascrittori che si è avvicendata in questi anni: Alessio, Ambra, Anastasia, Benedetto e Francesca,ClaudEmanuela, Federica, Flaminia, Francesca, Giovanna, Grazia, Laura, Luisa, Maurizio, Raffaella, Sabrina e Silvia.

 

MONASTERO WI-FI

3 Giugno 2024, Battistero di S.Giovanni in Laterano

Catechesi di p.Nicola Commisso C.O.

La S.Messa come “un dramma in tre atti “del venerabile Fulton Sheen

 

Iniziamo con un’Ave Maria, affidiamo alla Madonna questo incontro:

Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.”

San Filippo Neri, prega per noi.

Allora inizio facendo una confessione, nel senso che quando Federica mi ha chiamato per chiedermi se volevo fare questo incontro… era poco fa insomma… lì per lì ho detto, secondo come dice San Francesco di Sales “non rifiutare nulla, non chiedere nulla”. Non avevo un motivo per rifiutare, non l’ho chiesto, però ho detto: “perché no!”, non ho un motivo per dire di no! Però dentro di me ho detto: “sì ma mo’ che me invento?!…che cosa je dico a questi!?…da dove parto?”. Poi lo Spirito Santo mi ha ricordato quella preghiera che io credo fosse di Newman, non saprei più ritrovarla, ma che sostanzialmente diceva: “Dio mi salvi da quell’originalità a tutti i costi “cioè dal voler essere a tutti i costi originale.

Per noi preti questo è fondamentale perché, insomma, un prete corre poi il rischio di diventare la prima donna che deve dire quella cosa che nessuno ha mai detto prima di lui. Ecco invece sulla scia di Newman ho detto ma perché devo inventarmi qualcosa? …copio!

Cioè nella Chiesa Cattolica si può copiare. Io copio a mani basse, ve lo dico spudoratamente. Tutto quello che dirò… penso che nulla è veramente mio…è copiato da un venerabile Vescovo Americano che si chiama Fulton Sheen, che è venerabile e speriamo che sarà canonizzato presto come Beato, e che incontrai tempo fa in merito alla Santa Messa.

Ora, innanzitutto la Santa Messa di sé non è propriamente un “tema”, cioè un argomento.

Diceva San Pio da Pietrelcina che “Il mondo può stare anche senza il sole, ma non senza la Santa Messa”.

E quando i suoi figli spirituali gli chiesero: “Padre, che benefici riceviamo ascoltando la Messa?”, lui rispose: “Non si possono enumerare. Li vedrete in Paradiso”.

Ecco allora ho pensato di proporvi questa riflessione di Fulton Sheen perché ci dà la possibilità, almeno a me la dà e spero che la dia anche a voi, di entrare un po’ di più in questo dono immenso che ci ha fatto il Signore attraverso questo sacramento, il sacramento dell’Eucarestia nella Santa Messa.

Lui in una di quelle sue conferenze (fu uno dei primi Vescovi che fece queste conferenze pubbliche in televisione) spiegava che molti, specie i giovani (ma penso un po’ tutti quelli che non sono molto avvezzi con la vita dello Spirito) non vogliono andare a Messa perché – dicono – la Messa è noiosa…cioè dicono…che ci vado a fare a Messa!? Non mi dà nulla!

E forse questo vale anche per molti cristiani di oggi. Nel senso che c’è qualcuno che non va, che va saltuariamente o c’è qualcuno che va però c’è sempre un po’, come dire, un po’ di forzatura, un po’ di controvoglia. Vado a Messa sì ma come vado dal dottore, come vado a pagare la bolletta alla posta, come vado a pranzo da suoceri. Cioè quelle cose della vita che dici …mmm… non è proprio il massimo della vita però vanno fatte, fanno parte dell’esistenza me le faccio andare giù.

Ecco, Fulton Sheen spiegava che questo può accadere… perché?

Perché nella Messa io non metto nulla di mio. Spieghiamoci meglio.

Mettiamo che uno è appassionato del football americano e ti chiede di vedere con lui il Superbowl, che è la finale del campionato (quindi una cosa che, per chi è appassionato di football, è una cosa stupenda). Lui è tutto lì eccitato davanti alla tv, sono le due di notte, le tre di notte (perché lì le fanno a quell’ora) e lui è tutto eccitato e ti dice: “Guarda! Non è meraviglioso?!”.

E tu stai lì, molto meno eccitato, cercando di non addormentarti, cercando di fargli compagnia ma dentro di te desiderando solo profondamente di andare a dormire. Perché capita questo? Perché tu non sai nulla di football, tu non stai capendo nulla di quello che vedi alla televisione. Vedi gente che si ammassa e sguscia, che corre…insomma, se non ci metti niente di tuo quella roba non ti dà niente.

O ancora… perché tanta gente non va all’opera? Pensa che l’opera sia una cosa… oddio…cioè…insopportabile! …con questa gente che canta e non si capisce niente!…due ore interminabili…perché?

Perché se non sai nulla di musica è ovvio che a te quella roba sembra noiosa. Non ci metti nulla di tuo e non ti dà niente. E questo vale per ogni realtà che resta fuori di te…cioè magari è accanto a te ma non ci metti niente di tuo.

Ora, supponiamo che, all’improvviso, veniate catapultati ad Atene, sulla collina dell’Areopago: capireste dove vi trovate? Beh dipende….qualcuno direbbe: “Cavolo…cioè qui stiamo dove Socrate ha fatto quel suo  meraviglioso discorso prima di morì…qui stiamo dove San Paolo ha fatto quel meraviglioso discorso sulla Resurrezione di Cristo”. Altri diranno: “Ma che semo venuti a fa’! Ce stanno quattro colonne… A Roma se le tirano dietro e semo dovuti arrivà fino ad Atene”. Perché? Perché se non sai nulla della Grecia, della storia per te quel luogo non vale nulla! …se non ci metti niente di tuo quella roba non ti dà niente.

Insomma, se non ho mai fatto un sacrificio o comunque non mi sono mai sforzato, non ho mai cercato, non ho mai chiesto di capire qual è il significato della Messa, per me la Messa non sarà veramente qualcosa di mio, non sarà qualcosa che potrà mai appassionarmi nella Vita: sarà tutt’al più un biglietto da pagare, una tassa da pagare al buon Dio, a volte migliore, a volte peggiore che però non avrà mai veramente da cambiarmi la vita.

Ora, piccola parentesi, perché uno poi, quando abituato nei pochi anni di sacerdozio (sono cinque anni che sono prete), quando uno parla c’è subito la “puntualizzazione”, poi soprattutto sui social quando commentiamo tutto…c’è la puntualizzazione su tutto quello che uno dice )

Allora non sto dicendo che la Messa va compresa totalmente, lo so benissimo che la Messa è un mistero, un mistero che supera me, che supera voi, che non può entrare nella mia testa e nella vostra.

È un mistero bellissimo che si dipana tra gesti, suoni, odori, parole – tutta la meraviglia della liturgia – che può ferirti il cuore anche se non sei mai entrato in chiesa. Però anche fosse, quella ferita non basta.

Non basta se voglio veramente arrivare a quel mistero che stiamo celebrando e per gustare quella bellezza che mi ha ferito il cuore, ci vuole un minimo di conoscenza, un minimo di pedagogia.

E allora, in poche parole, Fulton Sheen cercava di “spiegare “cos’è la Messa.
È spingersi fino al Calvario e afferrare con le vostre mani la croce di Cristo, con Cristo inchiodato sopra, e piantarla qui, oggi. Cioè ogni volta che si celebra una messa, noi prendiamo la croce e la piantiamo a Parigi, la piantiamo a Tokyo, la piantiamo a New York, la piantiamo a Roma. Ed è proprio questo che è la messa: la continuazione del Calvario.

Cioè dici che questo mistero che è accaduto più di 2000 anni fa in Palestina starebbe accadendo adesso se noi ci mettessimo a celebrare una messa con Cristo inchiodato.

Ma per potervi prendere parte, dovete portare le vostre piccole croci. Il Signore ha detto: “Prendete ogni giorno la vostra croce e seguitemi”. Ognuno ha la sua croce. Ecco, noi nella Messa prendiamo tutte queste nostre piccole croci e le piantiamo accanto alla grande croce di Cristo; le mettiamo tutte insieme sotto di lui, in quella celebrazione che sta avvenendo in questo momento perché stiamo piantando la croce di Cristo qui a Roma: questa è la Messa.

E parlando della seconda parte della Messa, sapete che la Liturgia si divide in Liturgia della Parola e Liturgia Eucaristica, parlando della Liturgia Eucaristica, Fulton Sheen spiegava la Messa quale un dramma in tre atti: una grande rappresentazione teatrale.

Supponiamo che quattro o cinque secoli prima di Cristo fosse messa in scena una tragedia. […] Ebbene, immaginiamo che quella tragedia fosse messa in scena una sola volta: voi, presenti in quel teatro, commossi dopo avervi assistito, non avreste detto: “Che peccato! Tutti, nel mondo, dovrebbero vederlo! Come si potrebbe replicare?”.

Beh, anzitutto fondando delle compagnie teatrali: nuovi attori, stessi testi, stesso spettacolo, ma mettendolo in scena il dramma su diversi palcoscenici del mondo.

Applicate ora tutto questo alla morte del Signore: un dramma che è stato messo in scena una sola volta. E tuttavia, durante l’Ultima cena, il Signore ha detto: “Farò in modo che questo dramma possa essere rappresentato in tutto il mondo, perché possa purificare i cuori e purgare le anime”. Così, ha fondato delle compagnie teatrali, cioè ha detto ai suoi apostoli, ai suoi sacerdoti: “Fate questo! Ripetetelo!”.  Stesso copione, stesso intento: solo i palcoscenici sono diversi».

E questo dramma consiste in tre atti.

Nel primo atto voi offrite voi stessi a Cristo. Atto primo.

Nel secondo atto, voi morite. Morite con Cristo.

Terzo atto. Essendo morti con lui, ricevete una nuova vita.

Quindi, nel primo atto offrite voi stessi al momento dell’offertorio.

Nel secondo, la consacrazione, morite con Cristo

Nel terzo, con la santa comunione, risorgete a vita nuova.

Questo è il cuore della Messa, questo è il dono immenso che il Signore Gesù ci ha lasciato per godere della sua salvezza e vedete, se io non capisco questo – se io proprio non lo so – non godrò di questa salvezza, per lo meno non farò mai veramente esperienza del regno dei cieli già presente in questa vita.

Perché grazie a Dio i frutti della Messa non sono direttamente proporzionali al nostro impegno se no saremmo rovinati! Soprattutto per l’impegno del prete. Cioè anche se io faccio schifo, dato che Dio è buono, se io celebro la messa veramente vi do il corpo di Cristo. Se invece il corpo di Cristo dipendesse dalla mia santità allora staremmo veramente male. Grazie a Dio mi vuole bene e me lo da lo stesso anche se durante la consacrazione io sto pensando ai problemi calcistici della squadra del cuore!

Però se io non lo so non potrò mai veramente sperimentarlo.

Nessuno me lo ha mai detto, ma i frutti della messa li sperimenta pure chi non va mai a messa, ma che per quanto potevano hanno accolto il Signore.

Però noi che siam qui e voi che vi siete beccati questa catechesi non potete dire di non saperlo, non potete fare gli gnorri e dire: “no, io non lo sapevo “oramai lo sapete, magari facevate meglio a non venire, ma oramai siete venuti.

Cioè se da domani quando andate a messa non gustate questa roba qui è anche un po’ colpa vostra, dai su!  Io da quando me lo hanno detto, quando l’ho saputo, l’ho visto, ho detto: “ma perché non me l’hanno spiegato prima?! “Cioè anche un bambino lo capisce, adesso che ve lo spiego, lo capite, non ci vuole una laurea in teologia per capire questa roba.

 

Allora vediamo un po’: PRIMO ATTO.

Nel primo atto dice Fulton Sheen noi offriamo noi stessi. Cosa vuol dire? Come si offre noi stessi? Quale è il momento? È il momento dell’offertorio. Se vi è mai capitato di andare a messa – penso di sì – sapete cosa è l’offertorio. Ecco l’offertorio solitamente è una specie di intervallo, come al cinema, la gente lo vive come una sorta di intervallo.

Dopo le letture più o meno lunghe e più o meno lette bene e dopo soprattutto l’omelia breve, la gente è stremata, è distrutta già e si accascia sul banco.

Dice: qualche attimo di riposo, siamo stati in una barca a volte meravigliosa a volte un po’ minacciante, un po’ stressante e così ti lasci andare su questo banco mentre solitamente una musica suona e ti culla dolcemente. Qualcuno si addormenta anche e il vicino cerca di svegliarlo e il prete fa delle robe sull’altare.

La gente dice: “non so che sta a fare… prima o poi finirà”, nel mentre si riposa e tutto questo sarebbe anche buono se non ci fosse quella fastidiosa seccatura di gente che passa a chiedere soldi. Allora vi risvegliate e andate a cercare quella monetina di bronzo da un centesimo – ritirata ormai pure dal commercio –  che però ti dà il diritto di dire ho contribuito anche io, ho fatto la mia parte, quindi vai a casa sereno. Dai su, ti sei svuotato le tasche brutalmente, vai a casa sereno… dai, ma veramente?

Questo per noi è l’offertorio?

Invece di quelli che passano col cestino non potrebbe passare quello del cinema con le bomboniere?

Ravviviamo questa messa! Io sto facendo una caricatura, ma è così!

Se nessuno, capite, se nessuno mi ha mai detto che cosa devo fare in quel momento ma è normale una specie di pausa!

Allora dice Fulton Sheen : “Quando conduci una messa Gesù guarda dal cielo e dice: “Non posso morire un’altra volta in questa natura che ho ricevuto da Maria: questa natura è ormai glorificata però tu Pietro; tu Paolo; tu Maria; tu Costanza… Volete darmi la vostra natura umana? Offritemi voi stessi e io morirò in voi; passate anche voi attraverso le stesse tappe per cui sono passato io”.

Cos’è l’offertorio? È il grande invito –  gran risposta, perché dalla liturgia della parola inizia la nostra risposta –  a CRISTIFICARSI, cioè a diventare un altro Cristo, (non vale solo per san Francesco – spoiler). Anche tu sei chiamato a diventare un altro Cristo e anche tu però sei libero di dire di no. Infatti molte anime dicono di no e come entrano alla messa così riescono: uguale, tale e quale!

E guardate che questa cosa dell’offertorio è fondamentale, perché? Perché senza offerta non c’è santa messa. Cioè sembra “assurdo”, data la onnipotenza di Dio, ma è così: Dio ha vincolato questa ripresentazione del sacrificio della croce alla materia.  Se voi non mi date pane e vino, la messa io non la posso fare. Dice ammazza che prete da quattro soldi però… se non c’è pane e vino non c’è la messa: no non c’è la messa! È così bisogna avere pane e vino: senza offerta non c’è consacrazione e non c’è messa. Ma che significa questo? Che se tu non offri senza la tua personale offerta non c’è per te santa messa, tu non stai celebrando messa, stai assistendo, come quando vai all’opera, come quando vai al cinema, ma la tua vita non c’entra niente con quello che stai facendo lì.

E allora perché tante volte la mia offerta manca?

Sicuramente per ignoranza, perché nessuno me lo ha mai detto, ma anche soprattutto per paura –  diciamocelo – perché alla fine abbiamo paura di immischiarci con Dio.

Dio, sì, però, Signore, io qua tu là … un po’ come quando vai allo zoo. Siete mai andati allo zoo?  Posto meraviglioso anche se sempre più pericoloso nel senso antimoderno. Tu vai a vedere il leone, che animale stupendo! Tu vai lì lo vedi con la sua criniera che volteggia, ruggisce, bello, bellissimo, sì! Però perché sta dietro un vetro, dietro la gabbia… Se ti dicono:

“Ti piace il leone? “

“Guarda lo amo “

“Ma vuoi venire dentro la gabbia te lo faccio vedere da vicino? “

“No grazie, anche no! Sto bene qui, tanto carino, ma io di qua lui di là.”

Ecco se questo vale per il leone… ma con Dio, che è il vero Leone di Giuda, l’unico vero indomabile, è così: a volte lo stesso Dio ti stravolge la vita molto più del leone, tu lo sai, Dio sbrana quella vita piccola, falsa, ridicola che costruiamo, la sbrana perché Lui ci vuole bene, non la lascia così com’è.

Dio te li butta giù i castellini fatti con le carte, come quando eri bambino e davi fastidio agli altri bambini. Te li butta giù i castelli di sabbia il buon Dio.

Dio ti sbrana, perché è un vero leone, indomabile. E allora uno, che sa questa cosa, a volte dice: “va bene tutto – messa, confessione, preghiera – però restiamo ad una certa distanza, Signore”; cioè, questa cosa qui, questa me la tengo, Signore: questa passioncella, questa relazione, questo desiderio, questa paura… dietro il vetro: io qua, tu là (così io non vedo, Signore).

Come non citare qui quelle parole veramente ruggenti, con le quali San Giovanni Paolo II, il 22 Aprile del ’78, apriva il suo pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! […] Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa! “Non abbiate paura fratelli e sorelle. Dio non vuole togliervi nulla della vita che non sia stupido, che non vi faccia male, che non vi stia intristendo. Non abbiate paura, dategliela questa vita! E allora veramente tu puoi dire di sì, presentare la tua vita a Cristo e dirgli: “voglio essere una sola cosa con te nella tua grande opera di salvezza”.

E allora tu che fai, in quel momento? Tu prendi la tua vita – la tua vita umana che, diciamocelo francamente, umanamente (solo umanamente) che conta? Vale come “il due di coppe quando regna bastoni”, come si dice a Roma – e la offri a Cristo.

Perché invece questa vita, questo miscuglio di polvere umana con la data di scadenza, che sta già scadendo, se io la do a Dio, conta eccome!

Io posso dare la mia vita reale, solo quella mia, come quando mi confesso, che la gente confessa i peccati degli altri. Io posso dare solo la mia vita reale a Dio, non quella ideale, non quella di mio figlio: la vita di quella domenica lì, la vita di quella settimana lì, di quel giorno lì, così com’è: vita stanca, affaticata, felice, con dei desideri, delle paure, delle speranze, delle rabbie, delle angosce, dei dolori, ecc.

Nel Vangelo di Luca, al capitolo 11, si legge che un fariseo invita a pranzo Gesù (Gesù è sempre invitato a pranzo). E questo fariseo si stupisce di come Gesù non faccia le sue abluzioni – cioè tutte quelle purificazioni con l’acqua che erano di norma per gli ebrei (e sono di norma ancora oggi). E Gesù coglie l’occasione per spiegare qual è la vera purificazione: “voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno, non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro “(Lc 11,39-41).

“Date in elemosina quello che c’è dentro “significa offrirsi a Gesù nella nostra verità di creature ferite, dando un nome ai nostri desideri e alle proprie voglie e non voglie (qualunque essi siano); invece di reprimerle autogiudicandoci oppure di assecondarle idolatrandoci (sono le uniche due cose proposte dal mondo: o un moralismo o un perbenismo esasperato).

Sei sposato e sei tentato? Sii te stesso!  NO
Non puoi dire di no a questa tentazione:  vai a letto con chi ti pare! NO
C’hai questa cosa che vuoi dire di cattivo? E devi dirla, se no sei falso! NO
Insulta le persone, sii vero! NO!

Noi queste cose possiamo dirle a Gesù e darle a Gesù, affinché il Signore Crocifisso le trasfiguri mediante la sua redenzione. E offrire in quel momento che è la preghiera (perché tutta la messa è una preghiera), dire in quel momento: cosa devo fare? Devo pregare!

E che vuol dire pregare? Offrire a Gesù quello che c’ho dentro.

Gesù non ho voglia di…

Gesù ho voglia di…

Gesù sono geloso di…

Gesù ho dolore a…

Gesù sono invidioso di…

Gesù non sopporto…

Gesù sono deluso da…

Gesù vorrei tanto fare…

Vi sembrano cose ridicole?

Ma di questo è fatto il 90% della nostra vita. Poi ci sono i voli pindarici della santità, delle missioni, delle cose. Sì vabbè, ma tu arrivi a messa che questi sono il 90% dei tuoi pensieri. Però tu, che non lo sai (perché hai paura), non li dai a Gesù. Confessare a Gesù le proprie voglie o non voglie…

Confessare a Gesù le proprie voglie o non voglie, le proprie passioni o pulsioni – e così offrirsi nella verità è l’unica via possibile per la nostra cristificazione: come nella santa messa, lo Spirito Santo scende e consacra solo ciò che offriamo (se offro dieci ostie, dieci particole, lo Spirito Santo consacra 10 ostie. È matematico); ciò che teniamo per noi per paura, orgoglio o superficialità, resta nostro e quindi non consacrato, quindi non redento.

 

Ecco l’importanza dell’offertorio.

Dunque, noi ci offriamo. E come ci offriamo?

La Santa Messa lo fa attraverso il pane e il vino. Attraverso la presenza, innanzitutto, ma anche attraverso dei simboli, il pane e il vino.

Quando il pane e il vino sono portati all’altare, voi, se volete, venite portati all’altare: siete sulla patena e siete nel calice, sotto la forma del pane e del vino.

Tra l’altro anche quella famosa raccolta in denaro in questo senso diventa simbolo, la raccolta delle offerte così diventa simbolo: sarebbe un po’ scomodo che ognuno arrivasse a messa con la propria pagnotta e il proprio quartino de vino…la propria pagnotta, la propria rosetta. “Mi consacri questo?”…ma “non si po’fa”, non sarebbe molto pratico e allora quella offerta in denaro nasce dal dire “io non porto niente, ma do un’offerta in denaro”, che vale quel pane e quel vino che vengono offerti qui sull’altare. Quello è il senso capite? Non è la spilorceria che devo offrire.

Offro quel denaro che è servito per comprare quelle ostie e quel vino che poi mangerò. Quello è il senso, capite?! È un contributo simbolico che nasce dal portare qualcosa di molto più profondo, che è la mia vita.

Dunque, ora voi siete sull’altare.

Questa è la fine del primo atto.

Quindi nell’offertorio cosa si fa?

Si prega e si offre quello che in quel momento ho nel cuore, nella verità. Questa cosa fa paura perché, tante volte, nemmeno a noi stessi vogliamo confessare certi pensieri. E invece che liberazione offrirli a Gesù! e sapere che Gesù li sa già!

Don Fabio Rosini fa sempre un esempio bellissimo chiedendo di immaginare di mettere una macchina sulla testa di ognuno di voi per proiettare tutti i pensieri avuti nell’ultima settimana. Si possono vedere? No, non si possono vedere. Non perché siete strani, ma perché non si possono vedere quelli di nessuno. Dio li vede sempre e ti vuole bene, ma allora non te li tenere, ma offrili.

La S.Messa significa fare esperienza

1) dell’amore di Dio e

2) della redenzione di Dio su quella roba lì che hai offerto.

 

Veniamo adesso al SECONDO ATTO.

Morite. Bellissimo. Accettate di morire. Siete crocifissi.

Non possiamo vivere per Cristo se non moriamo alla nostra natura umana, terrena. Siamo alla consacrazione: il momento in cui il Signore sta rappresentando la sua morte.

Fate attenzione ai gesti e alle parole. Come rappresentiamo questa morte? Noi rappresentiamo nuovamente questa morte consacrando separatamente il pane e il vino. Separatamente.

Il prete, sull’altare, non dice: “Questi sono il mio corpo e il mio sangue?”. Potrebbe dirlo, famo prima. Se sbrighiamo. Forse sarebbe più normale, ma invece no. Perché non lo dice?

Non lo dice perché prima dice, sul pane: “Questo è il mio corpo”; poi, sul vino, dice: “Questo è il mio sangue”.

Perché li separa?

Questa consacrazione separata del pane e del vino è come uno strappo. Sta separando, ancora una volta simbolicamente, il sangue dal corpo del Signore, perché è così che è morto sulla croce. La consacrazione, quindi, è il momento in cui torniamo a rappresentare, in modo incruento, come dice la liturgia, sacramentalmente la morte di Cristo.

Però, se avete fatto bene l’offertorio, ora voi siete con Lui!

E anche voi siete chiamati a morire con Lui. E allora anche voi dovete morire con Lui. A cosa? A tutti quei pensiere, ma, sostanzialmente, al peccato.

Che cos’è il peccato? È la nostra bruttezza.

Quando voi fate una cosa bella, un pranzo, una gita, un viaggio e l’avete organizzato, voi, i 4 amici di una vita, la famiglia della vita e uno dei 4 non può. Poco prima si romper una gamba e non può venire. Vi viene da dire spontaneamente “Che peccato!”, “Ma che peccato che non ci sia anche lui!”, “Peccato che questa bellezza, in cui avevamo creduto, non c’è. “

Quello è il peccato. Il peccato è che tu, che sei una cosa bella, non diventi bello. Che peccato che Dio ti ha chiamato a una vita bella e tu ti incarti, te intrippi e ti chiudi nei soliti peccati, nelle solite cose, i soliti vizi. La superbia, la lussuria, l’ira, l’invidia, la gola, l’accidia, l’avarizia sono le nostre bruttezze. Sono i peccati, ossia sono i tentativi malati di accogliere una vita, dove la via non c’è e che ci rende brutti, ci rende tristi.

Questo è lo scopo della vita! Cioè questo è lo scopo della vita cristiana: redimere noi stessi in unione con Cristo; applicare i Suoi meriti alle nostre anime essendo come Lui in tutte le cose, anche nella Sua morte di Croce.

Egli è passato nella Sua consacrazione sulla Croce affinché noi, oggi, in ogni messa, possiamo passare attraverso le nostre consacrazioni.

Diceva Fulton Sheen: “Non c’è niente di più tragico al mondo che il dolore sprecato. Pensate a quanta sofferenza c’è negli ospedali, tra i poveri, tra le persone in lutto. Pensate a quanta di quella sofferenza va sprecata! Quante di quelle anime crocifisse – persone sole, sofferenti, abbandonate stanno dicendo, insieme a nostro Signore, al momento della consacrazione, “Questo è il mio corpo. Prendilo

Sofferenza sprecata! Quanta della nostra sofferenza va “sprecata”?
O meglio… può andare sprecata, perché Dio recupera tutto!

Sapete cosa potremmo dire in quel momento?

È ancora Fulton Sheen in una bellissima preghiera: “Dono me stesso a Dio. Ecco il mio corpo. Prendilo. Ecco il mio sangue. Prendilo. Ecco la mia anima, la mia volontà, la mia forza, i miei beni, la mia ricchezza – tutto quello che ho. È tuo. Prendilo! Consacralo! Offrilo! Offrilo insieme a te al Padre Celeste affinché Egli, guardando verso questo grande sacrificio, possa vedere solamente Te, il Suo Figlio Amato, nel quale Egli si è compiaciuto. Trasforma il povero pane della mia vita nella Tua vita divina; fa fermentare il vino della mia inutile vita nel Tuo divino Spirito; unisci il mio cuore spezzato al Tuo cuore; cambia la mia croce in un crocifisso. Non permettere che le mie solitudini, i miei dolori e i miei lutti vadano sprecati. Raccogli i frammenti, e come la goccia d’acqua è assorbita nel vino durante l’Offertorio della Messa, fa che la mia vita sia assorbita nella Tua; fa che la mia piccola croce sia intrecciata alla Tua grande Croce, affinché io possa ottenere le gioie della felicità eterna in unione con Te.

Consacra le difficoltà della mia vita, le quali non sarebbero ripagate se non fossero unite a Te; transustanziami”, che vuol dire: voi sapete che noi cattolici crediamo nella transustanziazione, cioè: quello non è più pane, sebbene mantenga quell’apparenza sensibile, mantenga il fatto che se lo magni sembra pane, non è più pane, è completamente un’altra sostanza. Ecco, lui dice: “fai così anche di me!”

Io sembro me, ma non son più io!

Transustanziami, affinché, come il pane è divenuto il Tuo Corpo e come il vino è divenuto il tuo Sangue, anche io possa essere completamente Tuo.

Non mi importa se le specie rimangono, oppure, se, come il pane e il vino, appaio agli occhi terreni lo stesso di prima. La mia posizione sociale, i miei compiti ordinari, il mio lavoro, la mia famiglia – tutte queste cose sono le specie della mia vita che possono rimanere immutate; ma la sostanza della mia vita, la mia anima, la mia mente, la mia volontà, il mio cuore – transustanziali, trasformali totalmente al Tuo servizio, affinché attraverso di me tutti possano conoscere la dolcezza dell’amore di Cristo

Questa è la consacrazione, questa è la potenza della Santa Messa.

Quindi, se voi accettate quest’invito a morire con Gesù, voi morite con Gesù!

Siete morti con Cristo, atto secondo.

Eppure, nessuno muore con Cristo senza ricevere una vita nuova.

 

E veniamo alla comunione, ATTO TERZO

Una delle ultime parole di Gesù in croce è stata: Ho sete!”.

Non era sete di acqua, né tantomeno di una bevanda rinfrescante, era un altro tipo di sete quella che lo torturava. Egli era assetato dei cuori degli uomini.

Pensate che Madre Teresa di Calcutta volle scrivere “Ho sete “in ogni casa che apriva in ogni parte del mondo e diceva: “E’ una frase molto più profonda che se avesse detto “vi amo”

Finché non saprete che Gesù ha sete di voi, vi sarà impossibile sapere quello che lui vuole essere per voi; né quello che vuole che voi siate per lui”.

Furono dunque molto più che semplici parole, fu un grido di comunione. Lo stesso grido che pervade tutta la Scrittura, già dal giardino dell’Eden quando l’uomo, dopo averla fatta grossa, si nascose da Dio. E Dio lo cercò, chiedendogli: “Dove sei?”, “Dove sei”

Domanda che fa ad ognuno di noi: “ Dove ti nascondi? Piantala , piantala!”

Piantala, nei ruoli, nelle cose, nelle maschere. “Dove sei? “Capite? Non è …la polizia, che te viene a cercà a casa, è un Padre, ti sta cercando, Dio ti cerca come un assetato cerca la sua acqua.

Dice ancora Fulton Sheen: “Egli è assetato dell’uomo nella Redenzione, e non c’è amore più grande del Suo, perché ha donato la sua vita per i suoi amici. Fu l’ultimo appello alla Comunione prima che calasse il sipario sul Grande Dramma della Sua vita terrena. Tutti gli innumerevoli amori dei genitori per i figli, degli sposi per le spose, anche se fossero riuniti in un unico grande amore, sarebbero solo la più piccola parte dell’amore di Dio per l’uomo, espresso in quel grido: “Ho sete!”.

Tutti gli innumerevoli amori dei genitori per i figli, degli sposi per le spose, anche se fossero riuniti in un unico grande amore sarebbero solo la più piccola parte di quell’amore di Dio per l’uomo, espresso in quel grido: “Ho sete! “

La Comunione che cosa è allora? E’ rispondere con tutti noi stessi a questo desiderio di Gesù.

Un desiderio ardente, come diceva ai suoi nell’ultima cena: “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi”.

Cioè noi siamo desiderati ardentemente da Dio, capite?

Dio, a volte, lo immaginiamo un po’ pacioccone, fermo, Dio è un innamorato ardente.

Ci interessa? Ci interessa che in tutta la giornata Dio ha desiderato te?

Ci interessa? O eri tutto preoccupato dal messaggino, di quella cosa che dovevi sentire, di quella cosa che doveva andare bene, della promozione, dei soldi. Ci interessa?

Nella Comunione io mi scopro amato da un amante che mi ama con ardente desiderio.

Quando chiesero a Padre Pio “padre, che cosa è la Santa Comunione?”, lui rispose: “è tutta la misericordia interna ed esterna, tutto un amplesso; pregate pure che Gesù si faccia sentire sensibilmente”.

“Tutto un amplesso “dice Padre Pio. Cioè la Comunione è un amplesso. Capite di cosa stiamo parlando? Abbiamo detto che dopo essere morti con Cristo nella Consacrazione, noi riceviamo una nuova vita nella Comunione, la vita divina. Ed è vero!

Noi viviamo della stessa vita di Dio. E questo è già il cuore della vita cristiana. La vita cristiana non è uno sforzo di vivere bene, perché se ti sforzi di vivere bene, dopo un po’, più che il bene ti viene l’ernia. Questo provoca lo sforzo, l’ernia.

La vita cristiana è essere innestati dentro una nuova sorgente di bene.

Non so dirlo meglio di come lo diceva Benedetto XVI: “La vera novità del comandamento nuovo non può consistere nell’elevatezza della prestazione morale, ma nel nuovo fondamento dell’essere che ci viene donato. La novità può derivare solo dal dono della Comunione con Cristo, del vivere in Lui. L’agire di Gesù diventa nostro perché e Lui stesso che agisce in noi.”

Di fronte alle circostanze che mi fanno perdere la speranza, io non mi sforzo di sperare, non mi metto davanti allo specchio e dico “dai, dai, ce la facciamo!”; non faccio il mantra, non funziona, non funziona questa roba qui. Cosa faccio? Porto nella Santa Messa la mia disperazione, porto nella Santa Messa il mio desiderio di sperare, di affidarmi a Dio, di credere in Lui, di credere che Lui è Padre, che Gesù entri in me, che speri sempre più in me, e Lui lo farà, Lui lo farà.

Però, c’è un aspetto della Comunione, siamo in chiusura, al quale pensiamo raramente.

La Comunione implica non solo ricevere la vita divina, ma implica anche dare a Dio la vita umana. Ogni amore è reciproco, il vero amore non può essere unilaterale, per sua natura richiede reciprocità.

E allora Fulton ci dice, senza mezzi termini, che “se tutto quello che abbiamo fatto nella nostra vita è stato andare alla Comunione a ricevere la vita divina, per prenderla e non lasciare nulla indietro, siamo solo dei parassiti sul corpo mistico di Cristo”, sanguisughe, parassiti, gente che riceve, e riceve, e riceve e non dà nulla indietro, la logica dell’aspirapolvere: io mi sveglio la mattina, sono vuoto, penso alla mia natura, cosa faccio? Vado in giro cercando di capire chi può riempirmi; allora vado dalle persone, mi prendo un po’ di vita da te, un po’ di vita da te, poi finite tutti perché siete limitati e quindi, poi, io vi insulto dicendo: è colpa tua, tu dovevi darmi la vita!

No, poveraccio, è un essere umano come te, non può darti la vita.

Ecco la Comunione non è solo ricevere, sebbene questa sorgente, grazie a Dio, non finisce, è quella di Dio, per questo io posso attingere: è una reciprocità e Fulton Sheen usa una immagine stupenda, dice: “abbiamo mai pensato a Cristo mentre riceve la Comunione da noi? “Cioè, io do la Comunione a Gesù? Gesù riceve la Comunione da me!

Noi andiamo all’altare, diciamo di ricevere la Comunione; il problema è che molti di noi si fermano lì: ricevono la Comunione, ma non fanno la Comunione. C’è una bella differenza.

La Comunione implica non solo il ricevere, ma anche il donare.

Cosa mai potremmo donare noi a Dio?

Il Suo desiderio di noi, il desiderio di Gesù; e se non abbiamo il desiderio di Gesù, il desiderio di avere desiderio di Gesù. E quindi di vivere, come cantiamo alla fine della preghiera consacratoria, per Cristo, con Cristo e in Cristo. Cioè, va bene vivere per Lui, ma ancora meglio insieme a Lui; ma volete mettere vivere in Lui? Dentro di Lui? Essendo una cosa sola con Lui? Con una carne sola?

Godendo, come diceva San Pio, dell’unico e vero amplesso a cui tutti gli amplessi segretamente tendono. Questo è.

San Filippo neri, in uno dei suoi pochissimi scritti, diceva: “Amo e non posso non amarvi quando resto cotanto vinto dal desio, che ‘l mio nel vostro e ‘l vostro nel mio; anzi ch’io ‘n voi, voi ‘n me ci andiam cangiando”.

Teologicamente sarebbe condannato, ma l’immagine della poesia è vera, cioè io e Dio siamo come due amanti, che nel loro amore reciproco si cambiano; cioè crescono progressivamente, nel loro amore: capite, Dio, come ama me non ama voi; non so come ama voi, ma ama personalmente ciascuno di voi, se gli date la possibilità.

I regali che fa a me, non li fa a voi, perché magari un regalo che fa a me, a voi fa schifo; il modo con cui parla a me non parla a voi, io non so in che modo parla a voi, ma lasciatemi parlare, vi ha già ricambiati questa relazione personale con Dio.

Ogni amore brama all’unità, e anche il nostro modo di parlare, no, se ci pensate, a volte rivela quanto noi vorremmo essere dentro le persone che amiamo, vorremmo averle dentro di noi.

Cioè noi diciamo che una persona è “squisita”, te la vuoi magnà, squisita, la vorresti assaggiare, cioè questo termine, no, oppure dici “ti vorrei mangiare di baci”; c’è questo modo che richiama che, quando ad una persona gli vuoi veramente bene, a volte il corpo ti sembra che non basta, che “cozza”, che tu la vorresti dentro a te.

E allora pensate che, se alcune persone sono capaci di suscitare in noi questo moto di tenerezza, di affetto, di comunione, pensate come dev’essere vivere uniti al Cuore Divino.

Diceva Fulton Sheen : “Se il cuore umano può così tanto appassionare, esaltare, mandarci in estasi, allora cosa potrebbe fare il grande Cuore di Cristo; o se la scintilla è così luminosa, come dev’essere la fiamma”.

Perché l’Amore non dovrebbe essere amato, perché ogni volta che Egli dice “Ho sete “gli diamo aceto e fiele?

Questo è davvero il grande mistero di fronte al quale piangere lacrime di pentimento.

Tra poco saremo, per grazia, davanti a questo Amore, saremo davanti a Gesù vivo nell’Eucaristia, a questo Amore che arde per noi, che ci ha cercato per tutta la giornata, è tutta la vita che ci cerca, perché non lo amiamo?

Perché noi non Lo amiamo? Perché l’Amore non è amato?

Perché non l’amiamo Gesù? Cosa dovrebbe fare Gesù per lasciarsi amare da noi?

Che cosa ci ha fatto, perché non l’amiamo?  Perché non l’amiamo.

Non ho un’altra soluzione, non sforzandoci, non è uno sforzo, però piangere è la soluzione.

Che vuol dire piangere? Non vuol dire che ci mettiamo tutti a piangere.

C’è chi piange, e chi piange dentro, ma piangere lacrime di commozione, come faceva Padre Filippo; e concludo con le sue giaculatorie, che ci insegnano la vera pietà, affettiva, affettiva, non una fede da burocrati, una fede affettiva,  che piange, che parte dal cuore e lì torna per abitarvi eternamente, e che dica a Gesù, piangendo:

“Quando ti amerò con filiale amore Gesù mio?

Gesù mio, io ti vorrei amare, Gesù mio non ti fidare di me;  

Gesù mio io te l’ho detto, se Tu non mi aiuti non farò mai del bene.

Signore mio, io vorrei imparare la strada per andare in cielo.

Io non ti ho mai amato Gesù mio, eppure ti vorrei tanto amare,

Io Ti voglio amare Gesù mio, ma non trovo la via,

io Ti vorrei trovare Gesù mio, ma non trovo la via,

io non ti amerò mai Gesù mio, se Tu non mi aiuti.

Troncate tutti gli impedimenti, se mi volete Gesù mio

Io Ti cerco e non Ti trovo Gesù mio, vieni Tu da me.”

 

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Published on July 01, 2024 03:23

June 21, 2024

Marciare per la Vita per fare la nostra parte

di Costanza Miriano

Lo so, il caldo è scoraggiante. Quella voce che ti dice “ma chi te lo fa fare?”, e te lo dice un po’ sempre quando decidi di manifestare qualcosa, col caldo si rinforza, ti sussurra che siamo immersi in una cultura della morte, che le manifestazioni non servono a niente, che gli altri hanno in squadra tutto il mondo della cultura, dell’intrattenimento, della musica e dei social, tutto tutto, e quindi che possiamo fare noi irrilevanti, ininfluenti, neanche tantissimi marciatori per la vita, domani a Roma alle 14 con quest’aria irrespirabile?

Se marciamo possiamo rispondere alla nostra coscienza: ho cercato di fare tutto quello che ho potuto, senza badare al risultato. Ho provato a essere presente ovunque si sia levata una voce in difesa di un bambino, dentro o fuori dal grembo materno. Non ho fatto distinguo, non ho dato patenti di purezza o ortodossia. Ogni volta che ho potuto, che qualcuno ha organizzato qualcosa, ci sono stato. Ho provato a far presente questo tema anche nell’ambito pubblico. E quando ho potuto fare qualcosa di concreto, ho cercato di farlo. Se in America non ci fossero state milioni di persone che per anni non hanno smesso di crederci, andando all’oceanica March for life a Washington, la sentenza Roe vs Wade non sarebbe stata ribaltata, il vento non sarebbe cambiato. E sappiamo che quello che avviene in America dopo un po’ avviene anche da noi. Quindi è possibile.

Domani, quando il sonno, la pigrizia, i panni da stirare, la cena da organizzare combatteranno contro il mio senso del dovere, penserò al mio amico che viene in treno dal Piemonte, e si fa il ritorno con un  flixbus, solo perché ci possa essere una bandierina in più lungo le strade di Roma. È l’amico che mi scrive di notte amareggiato dalle dichiarazioni di certi sedicenti cattolici che dicono che l’aborto sicuro è un valore. Certo, meglio un morto che due, questo è sicuro, ma non è meglio aiutare le donne a non commettere volontariamente questo atto mortale (per il bambino)? Che poi, perché questa sottolineatura sul “sicuro”. E dove sarebbe, ci chiediamo, in Europa l’aborto non sicuro? Credo che sia l’unica prestazione sanitaria che viene sempre e dico sempre (compreso il tempo del covid in cui anche gli screening dei tumori erano sospesi) erogato tempestivamente e gratis. Sempre. Che bisogno c’è di reclamare l’inserimento dell’aborto tra i diritti della Costituzione Europea se non c’è in realtà nessun pericolo che tale pratica non venga eseguita?

La verità è che chi lavora per la modifica in tal senso della Costituzione vuole cambiare ancora di più la mentalità: l’aborto per la nostra legislazione è una pratica medica concessa in caso di grave pericolo della madre. E invece nella realtà è successo qualcosa di molto diverso. Da evento estremo ed eccezionale è diventato evento comune e fatto con incredibile frequenza (tra chirurgico e chimico credo proprio che abbiamo superato i sette milioni di bambini eliminati). Da qui il passo successivo è farlo diventare un diritto, una conquista da festeggiare con gioia, non una tragica evenienza.

Dobbiamo esserci domani, dobbiamo invertire la rotta del pensiero comune, incepparlo. Dobbiamo almeno mettere il seme del dubbio anche nel dibattito pubblico, oltre che nei nostri piccoli giri di amici e conoscenti. È vero, se sto a casa io il risultato non cambia. E forse non cambia neanche se ci stiamo tutti. Però noi non possiamo sapere quando il vento soffierà da un’altra direzione. Perché succederà, come sta succedendo in America. E quel giorno noi potremo dire di avere fatto la nostra parte.

 

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Published on June 21, 2024 04:19

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Costanza Miriano
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