Costanza Miriano's Blog, page 2

August 18, 2025

Verso il VII Capitolo Generale del Monastero Wi-Fi del 20 settembre

di Costanza Miriano

Abito nei pressi di una porta santa, quella di San Giovanni (pochi minuti di corsa, una quindicina a piedi) e lavoro a pochi metri da un’altra porta santa, la più importante di tutte, cioè quella di San Pietro. Quando mi capita di andare a messa a San Giovanni, per esempio (a san Pietro non capita: troppa fila), qualche volta sono tentata di passare sotto quella “speciale”, tanto mi confesso spesso, faccio la comunione, che mi costa dire le preghiere previste, e mettere via un’altra indulgenza? Poi mi chiedo: ma che significato ha? Dio non sta mica lì col pallottoliere, non credo che la mia anima avrebbe benefici da una cosa simile. Il punto centrale, il cuore della questione non è tanto il varcare la porta, quanto l’avere la grazia di capire cosa è il peccato, quali sono i suoi effetti su di noi, come ci tolga le forze e faccia seccare i nostri frutti, come il male ci blocchi, ci rattristi, e quindi, solo allora, chiedere perdono con questa consapevolezza della nostra povertà, del bisogno. Disporci alla grazia, appartenere a Colui che ci salva.

Sinceramente, vedendo le facce della gente che percorre via della Conciliazione per il tratto finale prima della porta, e mi capita tutti i giorni, vedo tanti che sembrano pregare, ma anche tanti che sono un po’ tipo carovana in gita. Per non parlare del fatto che, essendoci porte sante in tutte le diocesi di tutto il mondo, ed essendo le condizioni per “passarle” più che a buon mercato (in saldo, direi), viene spontanea una domanda: ha senso prendere un treno (o un aereo o un bus o la macchina) il 20 settembre, venire fino a Roma, organizzarsi per andare in zona Ostiense, poi spostarsi dalla Basilica di San Paolo fino a quella di San Pietro, per ottenere una cosa che si potrebbe ottenere in modo più facile nella propria città, oppure, per i romani, in qualsiasi momento?

Per me sì (e anche già per molte altre persone, e le iscrizioni continuano), perché quello che faremo il 20 settembre è un pellegrinaggio, sì, ma anche un giorno di comunione tra fratelli, e un giorno di ascolto e preghiera. e infine, sì, un Giubileo.

Un pellegrinaggio da una tomba all’altra dei due uomini che con Cristo hanno cambiato la faccia della terra, duemila anni fa, e che continuano a vegliare sulla Chiesa, l’apostolo delle genti e il primo Papa. Passeremo anche sul punto preciso in cui i due si sono salutati per l’ultima volta, prima di andare al martirio (io mi commuovo ogni volta, e ogni volta cerco di immaginare come si siano sentiti).

Anche in nome di questo sarà una giornata di comunione tra fratelli, per ricordarci che in cielo si va in cordata: tutti abbiamo bisogno di compagni che ci aiutino a tenere lo sguardo dove deve stare, che preghino per noi e con noi. Ci guardiamo l’uno con l’altro e ci aiutiamo a fare discernimento, ci aiutiamo nel giudizio, ci incoraggiamo (e ci cazziamo, volendo, quando serve). Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che “c’è” per noi, e il Monastero wi-fi, come minuscolissima parte della Chiesa, sta contribuendo a creare reti di comunione, amicizie, relazioni, scambio di linfa e nutrimento ma anche semplicemente contatti, aiuti.

Sarà un giorno di ascolto, perché nella Basilica di San Paolo, dopo la preghiera delle lodi, ascolteremo l’abate Mauro Giuseppe Lepori e don Riccardo Cendamo che ci aiuteranno a disporre il cuore al cammino, ci diranno cosa significa varcare la porta santa, e soprattutto ci ricorderanno che la vera porta per la salvezza è Cristo.

Sarà un giorno di cammino, perché dopo le catechesi partiremo alla volta di San Pietro: sono sette chilometri, non sarà certo come arrivare a piedi dal cuore dell’Europa, però è un tratto in cui pregheremo insieme e ascolteremo una riflessione di padre Maurizio Botta.

Sarà un giorno di preghiera, perché il cuore sarà raccolto e orante (tutti i “sei dimagrita” e i “come stai” vanno anticipati o posticipati a dopo la messa, se possibile), e perché nel tratto finale da Castel Sant’Angelo ci prepareremo con i salmi ad aprire i cuori alla grazia.

E sarà un giorno di preghiera soprattutto perché dopo il passaggio della porta, alle 15.30, ci sarà la Messa tutta per noi (ma aperta a tutti), sull’altare della Confessione di San Pietro.

Abbiamo scritto al Santo Padre, per cercare di raccontargli che popolo avrà in casa quel giorno, e ci sentiamo straordinariamente in sintonia con il suo desiderio, sparire perché in noi viva Cristo, essere uomini e donne secondo il suo cuore.

E sì, certo, sarà un Giubileo, un giorno in cui non solo ci verranno rimessi tutti i peccati, ma in cui anche le pene temporali, cioè le conseguenze del male che abbiamo fatto, verranno rimesse totalmente. E speriamo che a quel punto avremo almeno vagamente compreso cosa significa per la nostra vita, e sapremo renderlo un nuovo inizio.

Piccole informazioni tecniche: vi chiediamo di iscrivervi (è gratis) per poter avvisare le forze dell’ordine che ci accompagneranno, disporre le sedie, preparare i pacchetti per voi. Vi chiediamo di farlo anche se pensate di partecipare solo a una parte della giornata. Ricordiamo che a san Paolo finiamo alle 11.30 mentre la Messa sarà alle 15.30, quindi chi non se la sente di camminare (un’ora e mezzo a buon passo, due a passo chiacchiera) può anche prendere i mezzi o un taxi: nonostante Roma non sia una città facile per gli spostamenti c’è tutto il tempo di farlo.

Come sempre si possono chiedere preghiere per le nostre intenzioni a preghiere.monasterowifi@gmail.com : verranno trascritte e deposte sulla tomba del primo Papa.

Le basiliche non ci chiedono di pagare l’affitto (e voi ditemi quale altra “organizzazione” del mondo presta due monumenti stratosferici come quelli senza farsi pagare! Manco l’asilo sotto casa vi dà una saletta gratis per la festa dei figli), però purtroppo ci sono delle spese vive (straordinari del personale, consumi energetici, disposizione delle sedie) e anche l’amplificazione durante il cammino ha dei costi: è necessaria visto che saremo un bel serpentone, e non sarebbe possibile dire nemmeno un’Ave Maria sincronizzati senza affittare dei “ripetitori”. Se per caso qualcuno volesse contribuire prima può farlo con un bonifico (va bene tutto, anche 10 euro!) oppure può donare qualcosa direttamente quel giorno.

Manca poco più di un mese (33 giorni da domani, il tempo della preparazione alla consacrazione a Maria secondo il Montfort, la butto là….) e forse potremmo davvero cercare di rendere questo momento un nuovo inizio per noi, perché come diceva padre Emidio, i santi non sono persone speciali, sono persone vive, disposte a cambiare.

 

QUI LA LOCANDINA IN PDF

 

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Published on August 18, 2025 07:53

August 5, 2025

Questi giovani quando sentono il profumo della Verità, lo riconoscono

di Costanza Miriano

Con le immagini di Tor Vergata ancora negli occhi, pensavo di potercela fare, piena di entusiasmo e di gioia (un milione di ragazzi in adorazione del Santissimo, e un Papa in ginocchio per un tempo interminabile in un silenzio surreale sono una scorta di gioia non dico infinita, ma parecchio duratura sì). E così ho aperto quella porta. Sono entrata in camera delle figlie adolescenti, partite.

E niente, non avrei dovuto. Si è reso necessario l’intervento dei corpi scelti, gli Incursori della Marina, per trovare le scrivanie sepolte da oggetti stratificati, provenienti da diverse epoche della loro esistenza (come hanno fatto, che pulisco sempre?). Pur avendo avuto una vita finora a dire il vero non ancora lunghissima, sono riuscite ad accumulare una quantità sorprendente di detriti e cose inutili, arrotolate intrecciate impolverate sgangherate inceppate macchiate. Il primo pensiero è stato: quando tornano le accoppo.

Il secondo pensiero è stato: sono una schiappa di madre, manco le basi ho insegnato. Poi prima che arrivassi allo step successivo (mollo tutto e apro un chiringuito) un plin dal telefono. Apro, è il messaggio della proprietaria della scrivania appena espugnata: mi ha mandato la foto di due disabili che vivono nel centro in cui è andata a fare volontariato, dall’altra parte del mondo. Due poverissimi, adagiati su dei lettini da mare, che si sorridono l’uno con l’altra manco fossero in un Resort (e invece sono in un istituto). Mi chiedo come possa essere che la stessa persona che fatica a buttare un fazzoletto sporco delle medie (reperito oggi in fondo a uno zaino), colei che non conosce la tortuosa strada che conduce le magliette nel cesto dei panni da lavare, quel triangolo delle Bermude da cui gli indumenti riemergono lavati e stirati in modo a lei inspiegabile e misterioso, quella stessa fanciulla abbia avuto la forza di attraversare il mondo e andare a condividere per un tempo neanche troppo breve la sorte degli ultimi fra gli ultimi, tra disagi, fatiche, caldo e non dico fame, ma quasi. Anche i suoi fratelli stanno facendo la stessa cosa, da un’altra parte (per sparpagliare in una più vasta area del mondo le mie ansie che gli succeda qualcosa). Perché allora se chiedo loro di fare qualcosa in casa io si fingono tutti svenuti?

Una conferma a quella che credo essere la risposta l’ho avuta oggi vedendo la veglia del Cammino Neocatecumenale a Tor Vergata, dove al termine di una catechesi in cui Kiko ha spiegato la differenza tra vivere per sé e vivere per Cristo, un fiume di ragazzi si è alzato per dire il suo sì a Dio, per prendere seriamente in considerazione la propria vocazione, chiedendo a Dio: cosa vuoi che io faccia? Dicono che sono stati più di diecimila. Non so, credo sia stato difficile contarli, ma erano davvero un fiume che non finiva più. Chissà, qualcuno si sarà fatto prendere dall’emozione, qualcuno esaminerà la sua vocazione e deciderà di consacrarsi, qualcun altro sceglierà il matrimonio, qualcuno forse non si deciderà, ma comunque oggi si sono resi disponibili, hanno detto un sì importante.

Ecco, credo che tutti gli sproloqui sui giovani, su questa generazione fragile, violenta, insicura, distratta, capace solo di relazioni virtuali, dimentichino da una cosa: i giovani vogliono cose alte, vogliono l’avventura, vogliono giocarsi tutto, vogliono spendersi per qualcosa di grosso. Hanno un radar per le cose finte, e quelle vere le vogliono mettere alla prova. Quando sentono il profumo della Verità, lo riconoscono. Dicono che sono tutti annoiati. Certo, si annoiano quando non incontrano parole vere, quando non proponiamo obiettivi alti, quando abbassiamo l’asticella. Siamo noi adulti il problema educativo. È la scuola che fa sconti il problema, è la società che abbassa le attese, sono gli educatori e i genitori che non fanno proposte attraenti e sfidanti. Sempre a proteggerli, a giustificarli, a stare loro col fiato sul collo.

I volti dei ragazzi alla Veglia del Papa parlavano di un’attesa di grandezza, i volti di quelli che oggi dopo le parole di Kiko hanno detto sì, mi voglio giocare la vita per qualcosa che vale, provano che i ragazzi sono così, non sono migliori né peggiori di quelli di altre generazioni: ogni giovane vita che si apre al futuro cerca il senso, cioè cerca Cristo, e se lo incontra, se ne intuisce il profumo, allora è pronta a tutto. Noi adulti possiamo solo cercare di favorire questo incontro, di proporre esperienze in cui speriamo che l’incontro avvenga. Poi, per quanto ci riguarda, ovviamente possiamo mostrare che anche noi continuiamo a cercarlo, nella nostra vita, che mettiamo il rapporto con Lui sopra tutto il resto: sopra le sicurezze borghesi, le nostre priorità. Se quello che per noi conta davvero è mammona, la dea cananea della sicurezza, come facciamo a dire ai nostri figli di rischiare?

Se invece Cristo è il metro di giudizio, se vedono che sappiamo passare sopra a un torto subito, o anche a un’antipatia, se vedono che per non perdere l’amicizia con Lui siamo pronti a perdere qualcosa di nostro, allora magari si chiederanno chi ce lo fa fare… forse gli viene voglia di conoscerlo.

Poi ovviamente ci possono essere momenti (o anni) in cui tutto quello che diciamo o proponiamo di base “fa un po’ schifo”, solo perché lo diciamo noi: quello è il momento in cui ci rimane una sola cosa da fare, che però è la più grande: stare in panchina e pregare per loro.  ne approfitto per ricordare che proprio per aiutarci gli uni con gli altri a pregare insieme, fare cordata e crescere insieme nella vita spirituale è nato il Monastero wifi: il prossimo appuntamento, lo ricordo, sarà un cammino tra le tombe dei due apostoli Pietro e Paolo, sul tema Cristo è la Porta (e di porte sante se ne potranno varcare ben due). A breve tutti i dettagli, vi preghiamo di iscrivervi QUI perché siamo già una marea e stiamo cercando di predisporre tutto nel modo migliore…

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Published on August 05, 2025 01:53

August 4, 2025

Cari “scienziati” Dio c’è, con o senza Sindone

di Costanza Miriano

Esce l’ennesimo studio che pretende di dimostrare che la Sindone è un falso. Volevo dire agli scienziati di non disturbarsi troppo, perché se il fine è dimostrare che questa storia di un Dio fatto uomo per noi, morto e risorto sarebbe tutta una balla, non vale la pena. Non perdete tempo.

Per me come per tantissimi altri in tutto il mondo, Dio è più certo di questa sedia su cui siedo ora, sono più sicura che esiste Lui, del fatto che esista io. Si è manifestato così tante volte nella mia vita, che non c’è proprio alcun margine di dubbio. Ma non in modo superficiale, non ha accontentato i miei fioretti e le mie stupide richieste; ha proprio fatto nuova la mia vita tante volte, mi ha perdonata, fatta rinascere, mi ha nutrita, ha riannodato fili, ha guidato le vicende nelle svolte importanti, ha compiuto opere che sono andate ben oltre i miei progetti e intenti, ha fatto vivere le ossa, ha spianato montagne, ha riempito valli, mi ha dato il centuplo per ogni mezza briciola che ci ho messo io, ha scritto una storia sulle mie debolezze e fatiche.

Quindi, studiosi della Sindone, concentrate i vostri sforzi su qualcosa di più utile (la ritenzione idrica, per esempio).

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Published on August 04, 2025 10:22

July 29, 2025

Eutanasia: in Italia non manca la legge, manca la compagnia

di Costanza Miriano

In Italia non c’è nessun vuoto normativo. Esistono le cure palliative, abbiamo un Sistema Sanitario che si prende cura di tutti, direi abbastanza al confronto con altri paesi, e si prende cura anche di chi non può pagare e dei più deboli (aborto a parte); nel nostro paese già attualmente, ovviamente, si possono rifiutare le cure e si può rifiutare l’accanimento terapeutico. Semplicemente, in Italia è vietato l’omicidio (aborto a parte). Non c’è nessun vuoto normativo, ma più esattamente c’è una parte politica che spinge per l’eutanasia, e c’è un ‘altra parte che, si spera, resisterà. Anche perché almeno in parte è stata eletta con i voti dei cattolici, per i quali l’omicidio non è mai ammissibile. Non ci sono paletti da mettere, non c’è male minore da scegliere. C’è una sola risposta possibile a questo pressing radicale ed è:

NO.

Questo dice il Catechismo questo è il sentire comune nella base dei cattolici, e sarebbe bello se per una volta le gerarchie ascoltassero i fedeli e fossero più amiche del Magistero della Chiesa che di Emma Bonino. Ovviamente i radicali, figli di questo mondo e più scaltri dei figli della luce, sanno come giocare le loro carte. Usano il sentimentalismo, nemico della ragione, e giocano con la pietà mescolando le carte. Individuano dei casi estremi che possano scuotere le coscienze meno solidamente e rettamente formate, e li elevano a paradigma, quando invece sono, appunto, casi estremi. Una volta usati per sfondare, come cavalli di Troia, non serviranno più. Così si è presa la storia di Laura Santi una donna sofferente, che peraltro all’ultimo ha chiesto al marito “vuoi che rimanga ancora?”, e lui le ha risposto “no”. Lui dice che lo ha fatto per farla sentire libera. Ma io che sono una donna sono certa che “vuoi che rimanga ancora?” significasse “dimmi di no, dimmi che mi sarai vicino anche se sono pesante e faticosa, anche se sono malata; dimmi che mi vuoi ancora, dammi speranza, dimmi che la mia vita ha un valore anche se soffro, se ho tanti limiti, se limito anche te”. E invece il marito ha detto no. Non giudico il linguaggio segreto di una coppia, erano due militanti, “sbattezzati” e fortemente caratterizzati da una posizione ideologica, forse il loro legame era fondato su questa precisa idea di come deve essere la vita, non so. Certo Laura ha avuto bisogno di sentirsi sola, isolata dagli amici e lasciata sola dal marito, per decidere di suicidarsi.

Se si fa una legge che lo permetta, addio paletti. Lo abbiamo visto con la legge 40, con le unioni civili e prima con la 194. Il legislatore mette paletti, i giudici si allargano. Cambierà la mentalità, e come è successo nei paesi in cui ci sono leggi sul suicidio assistito, la domanda “vuoi morire adesso?” diventerà una domanda di routine. Cambierà la mentalità, e le persone che tentate dalla solitudine e dalla sofferenza si arrenderanno aumenteranno dell’800%, come è successo nei paesi in cui le leggi sono state approvate. In tanti penseranno di dover togliere il disturbo, per smettere di essere un peso ai loro cari.

A tutti coloro che dovranno votare, ma anche a chi affronta una malattia, vorrei chiedere di leggere invece una storia diversa. Si chiama Imparare a morire per vivere. L’ha scritta Xavi Argemì, che è un ragazzo spagnolo di 29 anni. Quando ne ha 3 gli viene diagnosticata una malattia, la Duchenne, che progressivamente lo immobilizzerà, sempre di più, limitando le sue facoltà: prima qualche difficoltà nel correre, poi nel camminare, infine dolori anche nello stare seduto, muovere le mani, parlare. Alla fine della sua vita non potrà fare più nulla, neanche parlare, sarà molto più impedito di tante persone che in condizioni meno drammatiche hanno deciso di uccidersi, eppure riesce a comunicare con i suoi otto fratelli, i genitori, i tantissimi amici che vengono a imparare da lui. Perché Xavì ha capito dei segreti che potrebbero rendere felici tutti noi, e che ha reso la sua vita bella anche se difficile, fino alla fine naturale. Poco prima di morire, essendo appena riuscito a laurearsi, scrive che non vede l’ora di cominciare finalmente a lavorare (come programmatore). Mai una parola di autocompatimento, sempre uno sguardo lucido e intelligente sulla vita. Certo, avere una vita spirituale lo ha aiutato, così come l’avere una famiglia solida e numerosa. E certo non tutti hanno queste due ricchezze, ma questa è l’unica risposta a chi vive il dramma della malattia. Fare rete, fare compagnia, ma anche andare a ricevere dalle persone che sono così provate. Lo scrive Xavi, dicendo, più o meno: io supero l’imbarazzo che mi dà il dover essere aiutato cercando di ricordarmi che permetto a queste persone di fare del bene, di essere altruiste. Accetto con umiltà il loro aiuto. E grazie a tanti aiuti può gustare piccole cose che rendono la sua vita, dice, meravigliosa, proprio perché mai date per scontate.

“Tutto è progressivo, tutto accade poco a poco. Per voi che non avete una malattia come questa la mia situazione  può sembrare statica, ma per me la realtà cambia ogni giorno. Il mio corpo si è andato atrofizzando giorno dopo giorno, di questo non c’è dubbio. Il mio spirito invece a poco a poco, in modo progressivo, ha guadagnato in flessibilità, accettando di più. …ogni giorno devo accettare che nelle ore che mi aspettano non potrò giocare a calcio, andare al bar con gli amici o in bici in montagna coi cugini, o fare un viaggio in Australia, o mangiare senza aiuto. È necessario accettare tutte le limitazioni, tutti i giorni: quelle che ho già dai giorni precedenti e quelle che quel giorno magari mi aggrediranno. Ma è quando accetto che sono più libero. Rimango altrettanto limitato, ho gli stessi problemi… beh non so se chiamare problemi il fatto di non potermi muovere o non poter mangiare. Tutto questo non posso risolverlo, allora è meglio non definirlo problema. Se non accetti che ci sono cose che non puoi risolvere, ti crei due problemi, la malattia stessa e la bolla che ti crei in testa. Se accetti, hai solo la malattia. Le cose che non posso fare diventano circostanze, e le cose per cui posso ancora lottare sono problemi: i problemi posso affrontarli… Un atteggiamento che mi ha aiutato è stato ringraziare per quello che ho, piuttosto che lamentarmi per quello che non ho… non posso muovermi, e lo accetto di nuovo ogni giorno”.

Xavi ha fatto un sacco di esperienze interessanti nella sua vita, oltre alla laurea: tantissime amicizie, e anche esperienze, concerti, partite di calcio, incontri molto significativi, grazie a una famiglia piena di energia e vitalità.

Come scrive don Vincent Nagle nella sua prefazione, questa è un’opera piena di luce, che conferma quello che il sacerdote, che di “lavoro” accompagna persone che non possono guarire dalle loro malattie, ha visto nelle vite di coloro che riescono comunque a trovare meravigliosa la loro difficile vita. “Xavi ha disegnato una vita mirabilmente libera e non ricattata… ha imparato a guardare il limite, la morte in compagnia”.

È precisamente questo ciò che chiedono coloro che stanno di fronte alla morte: una compagnia piena di amore. Solo questo. Una compagnia rispettosa e delicata ma piena di amore. È stato questo che ha fatto la differenza tra la vita di Xavi e quella di chi si ammazza. Questo, e l’Amicizia con la A maiuscola, il Compagno più grande, a cui Xavi fa un cenno solo nelle ultime pagine, con delicatezza e rispetto. In punta di piedi davanti al mistero che è stata, per lui prima di tutto, la sua stessa vita.

 

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Published on July 29, 2025 01:26

June 29, 2025

Da San Paolo a San Pietro il VII Capitolo Generale del Monastero Wi-Fi

di Costanza Miriano

Oggi è il giorno in cui faccio pace con Roma, il giorno in cui quasi amo le reti arancioni che circondano buche per anni, il traffico, lo sporco, la confusione, le strisce di plastica che impediscono il parcheggio perché arriva l’ambasciatore del Tuvalu e che spuntano come funghi appena ti giri, le ore necessarie a fare qualsiasi cosa, la disorganizzazione e, ogni tanto, quell’euforia incredula quando trovi un posto sulle strisce bianche proprio davanti a dove devi andare, e ti guardi intorno con fare circospetto, in attesa dell’asteroide che decreterà la fine della vita sulla terra, perché non c’è altra spiegazione a un evento tanto eccezionale. Oggi però festeggiamo i santi patroni della città, i santi Pietro e Paolo, e allora mi ricordo del privilegio che abbiamo noi che possiamo andare a trovarli senza dover fare ore di viaggio.

Qui abbiamo le tombe, e qui ancora risiede fisicamente l’eredità dei due grandi apostoli, del capo della Chiesa e di colui che ha percorso tutto il mondo per portare la gente a Cristo. Sulle loro tombe, sul colle Vaticano e sulla via Ostiense, si fonda tutto ciò in cui crediamo, qui possiamo toccare con mano la prova che la fede non è un parto della nostra fantasia, ma una Verità per la quale tantissimi fratelli hanno dato il sangue, tutto insieme, i martiri, o una goccia per giorno, i cristiani che hanno cercato di essere fedeli. Qualcosa per cui ancora oggi si continua a morire, come ha ricordato stamane Leone XIV.

Mi sembra dunque il giorno giusto per ricordarci che il 20 settembre faremo insieme un piccolo pellegrinaggio aperto a tutti proprio dalla Basilica di san Paolo a quella di san Pietro, le due basiliche che – come ha detto proprio oggi il Papa – ci raccontano ancora oggi che Dio sceglie ciò che è scartato e lo rende grande e glorioso, proprio come Cristo, la pietra scartata, è diventata testata d’angolo.

Il 20 settembre andremo sulle tombe di dei due più grandi Apostoli di cui “Il Nuovo Testamento non nasconde gli errori, le contraddizioni, i peccati” e il pellegrinaggio è per “scoprire – dice Leone XIV – che anche noi come loro possiamo vivere di conversione in conversione. Perché il Risorto, più di una volta, è andato a prenderli per rimetterli sul suo cammino. E la loro grandezza è stata modellata dal perdono”.

Anche per noi, in qualunque punto del cammino di fede ci troviamo, con l’entusiasmo degli inizi o con la stanchezza di chi deve riconoscere che è sempre alle prese con lo stesso combattimento, quel giorno è pronto un grande perdono, se lo chiediamo. Perché cominceremo al mattino con due catechesi proprio sul perdono, e su Cristo che è la vera porta santa passando la quale si cambia il cuore, o meglio, si chiede che Dio ce lo cambi. Poi cammineremo per circa 7 chilometri (un’oretta e mezza a passo molto tranquillo) tutti insieme lungo il Tevere pregando e ascoltando ancora parole che ci aiutino a preparare il cuore. Infine passeremo la porta santa di san Pietro e sulla sua tomba parteciperemo alla messa.

Abbiamo pensato gli impegni collocati nella parte centrale della giornata, in modo che chi non vuole o non può dormire a Roma possa farcela ad arrivare da quasi tutte le città di Italia. Sarà sufficiente arrivare a san Paolo alle 10 anche se noi cominceremo prima con la preghiera di “attesa”, e si potrà ripartire da san Pietro alle 16.30, tagliando corto con i saluti (ma per chi potrà fermarsi ci saranno anche quelli).

Il link per l’iscrizione è QUI

per scaricare la LOCANDINA QUI

Vi chiediamo di iscrivervi per tempo in modo da allertare con la massima precisione coloro che ci scorteranno – ovviamente sono già allertati, ma più riusciamo a essere precisi sui numeri, più l’evento avrà possibilità di riuscire in modo ordinato e tranquillo – e da predisporre le sedie nella Basilica di partenza e in quella di arrivo, e anche, per il cammino, di un’amplificazione adeguata. Si può partecipare anche solo in parte, per esempio solo a San Paolo (anche quella porta è Santa!), o solo a san Pietro, magari unendovi da via della Conciliazione per il passaggio della porta e la messa. Oppure si può essere presenti nelle due basiliche, ma invece del cammino a piedi si può prendere un taxi, la metro, l’autobus, la macchina: ci sono persone che non se la sentono di camminare e va benissimo lo stesso, ognuno sa quello che può o preferisce fare. Per chi volesse contribuire, anche solo con 5 o 10 euro, per coprire le spese che quest’anno saranno doppie, l’Iban del conto intestato a MONASTERO WI FI è sempre il solito:

IT70C0303201400010000709065

BIC/SWIFT:BACRIT22GEN

Oppure, per tenerci allenate le coronarie, potrete donare direttamente quel giorno, così fino alla fine saremo costretti a fidarci della Provvidenza, che è sempre un bell’esercizio.

Quel giorno sarà possibile confessarsi, ma se si riesce ad arrivare confessati è anche meglio; magari anche con un piccolo cammino preparatorio alle spalle, sappiamo che più le facciamo  magari preparati, la grazia di Dio agirà con più forza se le avremo un po’ spianato la strada. Di sicuro questi sei anni sono stati una lunga catechesi di preparazione: il primo anno abbiamo riflettuto su come mettere a tema la vita spirituale, e avere un piano; il secondo abbiamo ascoltato catechesi sulla Parola di Dio, il terzo sulla preghiera, il quarto sulla confessione, il quinto sull’eucaristia, il sesto sul digiuno. In tante città italiane sono nate piccole comunità di persone di buona volontà che hanno ascoltato catechesi su questi temi. Siamo pronti per chiedere un cuore nuovo!

 

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Published on June 29, 2025 12:08

June 9, 2025

Al Don Guanella con il Monastero WiFi Roma

Oggi alle 19.30 con gli amici del Monastero wi-fi e con TUTTI quelli che volessero unirsi ci vediamo al Don Guanella (in via della Nocetta, 23) per ballare con le signore ospiti della struttura, e fare con loro uno spuntino. A seguire meditazione di padre Pier Luca Bancale e rosario. Vi aspettiamo: per quanto mi riguarda temo che sarà il picco della mia vita mondana di quest’anno.

Qui sotto la trascrizione l’ultima catechesi del Monastero WiFi Roma.

***

MONASTERO WI-FI   Battistero di S.Giovanni in Laterano 5 maggio 2025

Catechesi don Graham Bell

“Un farmaco per l’anima: riscoprire il digiuno nella vita cristiana”

Cari fratelli e sorelle mi presento: sono don Graham Bell, un sacerdote della diocesi di Roma. Sono di origine scozzese anche se abito a Roma e lavoro a Roma dal 1987. Questa sera mi è stato chiesto di parlare sul tema del digiuno. Ho inteso questo momento più come una chiacchierata che non come una lezione formale. Penso che questo sia meglio, anche perché tante delle cose che dico si trovano facilmente in internet.

Dico subito che il digiuno copre tanti aspetti della vita della Chiesa.

 

Non tratterò qui questa sera, per esempio, il digiuno monastico, quello è un capitolo a parte. Chi fosse interessato al digiuno monastico può trovare quello che secondo me è il testo migliore in proposito che è stato scritto diversi decenni fa da un monaco benedettino francese di nome – se non vado errato – Adalbert de Voguè: lui ha scritto il testo Aimer les jeune che è stato tradotto in inglese To love fasting. Purtroppo questo volume non è disponibile, almeno, stando alle mie ricerche, non è disponibile in lingua italiana.

Ho cercato di interessare qualche editore italiano in vista della sua pubblicazione anche qui, ma senza successo. Quindi non tratterò il tema del digiuno monastico: è un capitolo a parte ed è molto complesso. Però tornerò su questo argomento. Non tratterò neanche del digiuno in ambito ortodosso/chiese orientali cattoliche. È un discorso a parte ed è molto più complesso, mi sembra, rispetto a quello che è il digiuno della chiesa latina, della chiesa occidentale.

Allora entriamo subito nel merito, in questo senso

Ehm, io lavoro a ciò che si chiama ora il Dicastero per l’Evangelizzazione, nella sezione che è per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione del mondo.

Voi sapete che sotto Papa Francesco c’è stata una riforma della Curia Romana, per cui ciò che era il Pontificio Consiglio per la Promozione delle Nuove Evangelizzazioni è confluito in questo nuovo Dicastero per l’Evangelizzazione ed è confluito nello stesso dicastero l’ex Propaganda Fide, la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

 

Allora ogni mercoledì delle ceneri e ogni venerdì santo (venerdì Santo no perché siamo già in vacanza, il Vaticano è già chiuso il venerdì santo), ogni mercoledì delle ceneri c’è una diatriba tra il mio pro prefetto, che è monsignor Fisichella, e il sottoscritto perché abbiamo modi diversi di guardare in digiuno.

Monsignor Fisichella dice che il digiuno è non mangiare nulla. Io invece ho una visione, che mi piace chiamare più cattolica, nel senso che il digiuno è un pasto normale e due piccole refezioni. Allora in questa diatriba che coinvolge tutto il personale io faccio la parte dell’avvocato del diavolo perché, in realtà, anch’io sono del parere di monsignor Fisichella: se è il digiuno, visto che lo abbiamo ridotto a due giorni all’anno, bisogna farlo bene!

Però la visione cattolica, la visione della Chiesa, anche fino a Vaticano II, è diversa perché il digiuno è essenzialmente un pasto con due piccole refezioni che non devono abbondare a un pasto. E questo fa pensare, fa pensare veramente.

Comincio anche con un altro aneddoto ed è di una mia parrocchiana. I

Io ero in parrocchia a Roma all’inizio del mio ministero e ho fatto amicizia con due sorelle fiorentine. Loro erano oriunde ovviamente di Firenze, ma della zona di Rifredi, la parrocchia di Santo Stefano in Pane – credo che si chiami –  e loro erano discepole di un sacerdote molto famoso, molto conosciuto a Firenze, anche se lui veniva da Bologna. Ed è il sacerdote – adesso il nome mi sfugge – che ha fondato l’opera Madonnina del Grappa, perché lui era stato un cappellano durante la prima guerra mondiale, aveva visto tante sofferenze e aveva cercato di aiutare soprattutto gli orfani che erano stati creati da questo conflitto.

E quindi la sua opera, che permane fino ad oggi, era l’opera Madonnina del Grappa. E lui era il noto…, ecco don Giulio Facibeni! E don Giulio Facibeni era molto, molto conosciuto a Firenze-

Allora loro mi raccontavano (qui siamo negli anni ‘20 anni ‘30) che siccome per accedere all’Eucarestia, per fare la comunione, si doveva essere a digiuno dalla mezzanotte precedente, mi raccontavano che la mamma portava queste due sorelline a messa la mattina alle cinque. E questa cosa mi ha profondamente colpito perché mi interessano molto – devo dire – le questioni che confrontano il nostro cattolicesimo con quello delle generazioni precedenti.

 

Per esempio uno dei motivi a prescindere dalla filologia, a prescindere di ciò che si guadagna con “non abbandonare” rispetto a “non indurre in tentazione” – secondo me un bel nulla, anzi qualcosa è peggiorata! – ma mi preoccupo perché ancora una volta si è voluto introdurre un elemento che rende il nostro cattolicesimo diverso rispetto a quello dei nostri nonni.

E questo, a mio modestissimo parere, non è da fare tanto; non è da aprire questo divario tra generazioni; ma queste qui sono opinioni, uno può essere d’accordo, meno d’accordo e via discorrendo.

 

Comunque, tornando al digiuno, pensate a questo: gente che si alzava la mattina alle cinque per andare a Messa a digiuno per assumere l’Eucarestia.  E don Giulio Facibeni amava dire: “Le mie donnette delle cinque della mattina mi capiscono, sono quelle che mi capiscono di più.”

 

A prescindere da questo, è per noi allucinante: cosa ci chiede oggi la Chiesa in merito al digiuno?

Quanto al digiuno formale, penitenziale, ci è stato chiesto di digiunare e astenersi dalle carni, Mercoledì delle Ceneri e Venerdì Santo; in più, chi sta a Roma, deve astenersi dalle carni ogni venerdì di Quaresima. Stop.

Come siamo arrivati a questo?

Allora già Pio XII aveva molto attenuato le regole quanto al digiuno eucaristico e quindi non è che la cosa inizia con il Vaticano secondo.

E si passa mi pare a tre ore prima della Messa, che poi è diventato un’ora prima della Comunione.

Paolo VI ha cercato di fare una riforma in merito e lui ha pubblicato, mi pare la costituzione che si chiama Paenitemini, che troverete sul sito Vaticano. Questo ha dato vita a quei quattro canoni del codice del diritto canonico del 1983 che riguarda il digiuno.

Poi la chiesa italiana è intervenuta anche con un documento al riguardo, già diversi anni fa; resta il fatto che siamo qui, un’ora prima della Comunione e questo, devo dire, non è molto rispettato: io ho perso il conteggio del numero delle volte che vado a celebrare la Messa, in altre parrocchie rispetto alle solite, e mi viene subito offerto, quando arrivo, un caffè; ciò non sarebbe da fare se si vuole rispettare la regola.

 

Mercoledì delle Ceneri e Venerdì Santo: siamo arrivati a questo.

Come mai siamo arrivati a questo?

Penso perché, come tante cose nella vita della chiesa, e nella vita dell’uomo in quanto tale, le cose, se non sono spiegate, ripetute e rinvigorite, si fanno per inerzia e penso che così sia stato per il digiuno della Chiesa; cioè, si faceva così, aveva un po’ perso il senso e nessuno capiva più cosa significava; era diventato più lettera che spirito e questo è sempre un pericolo.

Ed ecco perché vorrei, questa sera, cominciare parlando del discorso della fede. Vedete, io penso che dobbiamo sempre avere come punto di partenza, come credenti, il discorso sulla fede.

Noi oggi abbiamo una visione della fede che è molto noziologica; noi pensiamo la fede in categorie epistemologiche; la fede è quello che non è certezza.

Si, è vero che fa parte della vita, però non è la certezza; è sempre una cosa inferiore alla certezza, questa è una visione un po’ cartesiana che, in qualche modo, tocca tutto l’occidente. Per la sacra scrittura, per l’antico e per il nuovo testamento questa visione è molto lontana circa la fede; per l’uomo biblico la fede è proprio riposare la propria esistenza su Dio.

E, per quanto riguarda il nuovo testamento, riposare la propria esistenza su Gesù di Nazareth; è molto vitale, cioè la nostra esistenza dipende da Dio; la nostra esistenza dipende da Gesù di Nazareth.

E ovviamente, in quanto creature, uno dei nostri desideri più accesi è quello di essere vicini a Dio; noi abbiamo un cuore che brama di essere vicino a Dio. E il digiuno, cari fratelli e sorelle, a mio avviso, è proprio questo: è il modo di sentire Dio vicino. Allora, in questo deve essere coniugato, a mio avviso, con altre forme, altre pratiche che rendono più vicini a Dio, o che rendono Dio più vicino a noi.

Per esempio, non vedo molto sensato parlare del digiuno senza parlare del silenzio. Forse il silenzio è ancora più importante del digiuno perché è nel silenzio che noi ascoltiamo la voce di Dio. Per ascoltare Dio ci deve essere silenzio.  Una delle cose che più mi addolora, come prete, è quando si viene in chiesa e le persone parlano. In questa chiesa, come nella maggior parte delle nostre chiese, c’è il santissimo Sacramento, c’è Gesù; se noi crediamo che Gesù è veramente presente nel sacramento, il parlare, il pour parler, è fuori luogo. Le nostre chiese devono essere i luoghi del silenzio, perché è il luogo in cui Dio ci parla.

 

Quindi, il silenzio, secondo me, se li digiuno è importante il silenzio è altrettanto importante. Ovviamente non possiamo parlare del silenzio e del digiuno senza parlare anche della preghiera, perché la preghiera è quella che che in qualche modo accende la nostra fede, la tiene viva in qualche modo online, così per usare un’immagine che viene dall’informatica.

Quindi queste sono tutte cose importanti: il digiuno non può essere separato da quelle che sono le altre pratiche, quelle che sono le altre usanze che ci uniscono a Dio, ma ritengo che il digiuno sia molto importante per motivi che sono ovvi.

Noi viviamo in un mondo che è un mondo di abbondanza ed è anche il mondo in cui si spreca una quantità industriale di cibo.

E paradossalmente è un mondo in cui tanti muoiono di fame. O tanti subiscono la fame.

Non so se voi come me, in tutte le zone in cui abbiamo un grande supermercato, si vedono le persone che passano e che guardano nel cassonetto del supermercato cercando cibo. Il supermercato non so ora, forse con la gestione precedente, previene questo cospargendo il cibo di varechina in modo che il cibo non poteva essere preso.

Questa cosa ci penso, mi lascia molto inquieto, ma non so se ricordate come erano negli anni 70 e 80 le politiche agricole della comunità europea. Per cui c’era il lago del vino, c’era la montagna del burro. C’era la comunità europea che credo che acquistava gli agrumi in Sicilia per buttarli dentro una grande caverna proprio per distruggerli, perché non potevano stare sul mercato, perché si poteva produrre fino ad una certa quantità di cibo e non oltre.

Per motivi di mercato, di equilibrio di mercato. E quindi noi viviamo veramente dell’abbondanza.

Noi, per la maggior parte di noi, la stragrande maggioranza che vuole cibo, apre il frigorifero, e lo trova. E non è così per tutti. Chi conosce il mondo dei banchi alimentari sa che ci sono persone per cui il cibo è una conquista quotidiana.

Per cui, il digiuno è importante anche sotto questo profilo.

Ma il digiuno, cioè questo non saziarsi questo rendersi conto che tutto dipende da Dio. Tutto dipende da Dio è il modo direi per compiere quelle che i teologi chiamano una kenosi. Per i teologi la Kenosi vuol dire svuotamento più o meno in greco. Per i teologi, la Kenosi si compie quando Gesù, quando il figlio di Dio diventa uomo. Si compie uno svuotamento, si compie un abbassamento del figlio di Dio che diventa uomo.

Penso che anche nella sequela di Cristo è molto importante questa Kenosi.

Questo autovuotarsi questo stare davanti a Dio nudi e crudi come in qualche modo siamo stati creati e sentirci dipendenti da Dio.

 

Ma come realizzare questo in un mondo, che il mondo attuale, il mondo in cui viviamo noi come realizzare questo?

Allora. è molto strano che la chiesa ha dimenticato il digiuno, parla poco del digiuno, proprio quando il mondo secolare l’ha trovato.

Perché chi minimamente è attento sa dei grandi proclami che si fanno a favore di questo digiuno ad intermittenza, fino ad arrivare alcuni ad un solo pasto al giorno consumato entro un’ora: quindi 23 ore di digiuno e un’ora e di in cui è concesso di mangiare. Così il mondo ha riscoperto il fasting.

 

In mezzo a noi vivono tanti musulmani….Ramadan. E il Ramadan ormai colpisce i Mass media molto più che la Quaresima.

 

Quale deve essere il nostro approccio al digiuno?

Secondo me è molto importante riacquisire il senso del venerdì come giorno di penitenza.

È forse anche questo il motivo per cui il digiuno è venuto meno nella Chiesa. Perché abbiamo perso il senso di fare penitenza.

Quindi quello che propongo io è che si potrebbe recuperare il discorso a partire dal venerdì. Il venerdì perché è il giorno della passione del Signore, in cui si commemora la Passione di Gesù. Questo potrebbe essere un primo passo in avanti, riscoprire il senso del venerdì e cominciare il digiuno proprio in quel giorno e come si fa allora? C’è la radicalità di Mons. Fisichella e c’è poi il lassismo di Don Bell.

Si potrebbe in qualche modo forse prendere quello che è l’esempio dei fratelli musulmani. In qualche modo, in questo senso, i mussulmani non mangiano durante il giorno quando è Ramadan, ma quando cade il sole possono mangiare. Questo potrebbe magari aiutare anche noi in questo senso, magari soprattutto per chi non è abituato, mangiare niente e fare tutto un giorno diventa per chi non è abituato, diventa difficile.

C’è il calo glicemico, una cosa l’altra, il nervosismo di qua, di là di su, di giù ; ma nel fatto che uno sa che può prendere un poco dopo il tramonto, nel nostro caso non dobbiamo formalizzarci in questo, ma la sera si può prendere qualcosa, questo potrebbe aiutarci.

 

Apro una parentesi, i devoti di Medjugorie, i seguaci della Madonna di Medjugorie , digiunano due volte la settimana, ma è un digiuno particolare, perché loro digiunano con il solo pane, e non è quantificato.

E si, loro mangiano il pane, in quel giorno pane ed acqua, ognuno si regola come vuole. Anche questo potrebbe essere un primo approccio.

 

Ma cari fratelli e sorelle, nella vita spirituale i passi da gigante non sono consigliati, perché i passi da gigante significa di solito fare il passo più lungo della gamba, e significa che la nostra impresa, nonostante le buone intenzioni, va in fumo, perché non abbiamo la costanza per questo.

Bisogna iniziare con piccoli passi ; quindi,  i seguaci della Madonna di Medjugorie digiunano come nella chiesa antica, il mercoledì e il venerdì;  io consiglio di cominciare con il venerdì e di fare questa prassi per molte settimane, per molte settimane, per più di un anno, prima di aggiungere altro.

Questo potrebbe essere un piccolo senso per riscoprire nella nostra vita da cristiani un discorso di penitenza, penitenza per i nostri peccati, penitenza per i peccati del mondo.

 

Ci sono tanti modi di vivere la forma della penitenza .

Dobbiamo pentirci, dobbiamo pentirci, quindi penso che il digiuno è da riscoprire, ma in una chiave di penitenza; e in una chiave di dispiacere per i nostri peccati, e in una chiave di dispiacere per i peccati del mondo, e di voler in qualche modo riparare.

Vedete, il cristiano, davanti a forme che sono quelle del peccato e delle sue conseguenze, non dobbiamo mai essere passivi davanti a queste forme.

Il cristiano deve essere attivo in questo, chiedendo perdono per i propri peccati, ma anche per quelli altrui.

In questo modo la nostra sequela Christi, il nostro seguire il Signore, diventa veramente un’azione, com’è stata un’azione la Rivelazione che Gesù di Nazareth fa della Sua vita.

Perché la Rivelazione che Dio ci dà in Gesù Cristo, chiamiamola Rivelazione, chiamiamolo il Vangelo, chiamiamolo la Buona Novella, questa Rivelazione avviene nella persona di Gesù di Nazareth, ed avviene in un determinato modo : avviene tramite le Sue parole ed avviene tramite le Sue gesta, le Sue azioni ; ed è l’incrocio, questo rapporto circolare tra azioni e parole che fanno emergere il senso delle cose. Le parole di Gesù trovano senso nelle Sue azioni e le azioni di Gesù trovano senso nelle Sue parole, così dev’essere anche per noi, perché alla Rivelazione corrisponde la fede.

La fede significa ricevere la Rivelazione, e credere in ciò che è stato rivelato: che Gesù di Nazareth è il Figlio di Dio fatto uomo, l’inviato del Padre nel mondo.   Questo soprattutto è ciò che è la fede.

 

Anche per quanto riguarda la penitenza noi dobbiamo realizzare questo, con le parole e con le azioni, quindi certamente con il chiedere perdono dei nostri peccati, ma anche con l’azione, che è, per esempio, il digiuno.

E la sobrietà della nostra vita per quanto riguarda la tavola, deve trovare conferma nella sobrietà del nostro tenore di vita e del nostro linguaggio.

 

Le due cose vanno insieme, se non c’è questa interdipendenza perdiamo di credibilità davanti al Signore, ma anche davanti al mondo.

Credere solo a parole lascia il tempo che trova, ma nello stesso momento non ci può essere una fede fatta solo di azioni. Tu vai in chiesa, io curo i poveri.

Questa dicotomia (che) non funziona, non funziona perché non è la logica che Cristo ci ha lasciato.

La logica di Cristo è una logica per cui azioni e parole sono interdipendenti, e l’uno e l’altro devono trovare il loro fondamento uno nell’altro.

Non so se mi spiego molto bene dal punto di vista della lingua italiana. Quindi io come sacerdote, anch’io  guardo sul mondo,  anch’io guardo sulla Chiesa e penso che, se vogliamo recuperare , vedet , vivere il Cristianesimo nella Chiesa è una fatica. Io sono sempre molto guardingo per quanto riguarda le persone che sono nostalgiche per i tempi “d’oro” , per questo motivo : non so se vi è mai capitato di andare qui, appena fuori Roma, a Tivoli, a vedere questi bei giardini, piantati da non so quale cardinale tanti secoli fa, e che sono tenuti veramente molto bene.

Villa d’Este: esattamente. Uno vede questi giardini e come cambino secondo le stagioni: ma richiede una fatica immane!

Perché ci vuole una flotta di giardinieri che stanno lì a seminare, a tagliare, a fare tutte queste cose. Così è con le nostre anime e così è con la Chiesa: appena noi ci giriamo dall’altra parte, o ci richiudiamo nella nostra pigrizia, cosa succede? La natura riprende il suo.

Se Villa d’Este dovesse soltanto chiudere per un mese, cosa sarebbe?

Così è anche nella Chiesa.

 

Ecco perché questo è un altro dei motivi per cui il digiuno è venuto meno. Perché non era più spiegato in termini del rapporto con il Signore.

Era visto più come dei canoni da codice di diritto canonico.

Ma noi non siamo una religione della legge.

La legge è importante; io ho imparato questo. Io ho studiato teologia, non tanto diritto canonico. E i teologi guardano il diritto canonico con profondo disprezzo.

E’ stato soltanto quando ho ricevuto l’incarico amministrativo, che ho capito l’importanza del diritto canonico.

Perché dove non c’è diritto, c’è sopruso e c’è mafia: onestamente questa è la mia diretta esperienza. Il diritto ci vuole: guai se non ci fosse!

Ma noi non siamo una religione del diritto.

Noi siamo una religione della grazia (e ed è ciò che conta): la grazia che è veramente capace di cambiare i cuori.

Per cui questa sarebbe la mia piccola proposta, che si articola in due cose.

La prima: il digiuno è in giorno di venerdì, per tutto l’anno.

Ovviamente non nell’ottava di Pasqua e non nell’ottava di Natale: ci vuole un po’ di buon senso, ma penso che potrebbe essere una strada da percorrere e vediamo i risultati.

Ora un secondo elemento in questo potrebbe essere quello di diventare più consapevoli del digiuno eucaristico. E allora, chi vuole essere più coraggioso, chi vuole essere, sono scelte anche molto personali, però occorre almeno rispettare ciò che la Chiesa ci dà come il minimo: cioè, un’ora prima della comunione, non prendere i cibi, sapendo che stiamo per ricevere il Signore.

 

Però, come vi ho detto prima, queste azioni hanno senso, hanno valore soltanto se rientrano in quello che è la globalità della nostra “sequela Christi”, del nostro essere a seguito di Gesù di Nazaret, per cui vanno coniugate con altre cose. Ho parlato del silenzio che ritengo sia fondamentale, ma ci sono altre cose.

Ne nomino una sola: nel mondo ortodosso e del cristianesimo orientale in generale, anche quello cattolico, è molto importante non una grande devozione, ma ciò che si chiama la preghiera di Gesù. E’ questa preghiera che loro recitano e cioè è il modo per corrispondere a quel comando che c’è nell’apostolo Paolo, quando Paolo ci dice di pregare incessantemente.

 

Nel cristianesimo orientale soprattutto, ma è vissuto da qualcuno anche in Occidente, si vive questo comando con la preghiera di Gesù, che sarebbe della sua forma più completa: “Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, abbi pietà di me peccatore”. E lo ripetono centinaia, migliaia di volte, centinaia di migliaia di volte, invocando il nome di Gesù, che è il solo nome in cui si può avere la salvezza. E questo è un altro elemento che si potrebbe abbinare al digiuno (venerdì e prima dell’eucaristia, per esempio).

 

Ovviamente ognuno di noi deve seguire un buon maestro spirituale, deve avere un occhio attento alla tradizione spirituale della Chiesa.

Soprattutto, per chi è principiante, non bisogna mettere troppa carne sul fuoco: nella vita spirituale occorrono pochi passi, un po’ alla volta, molto lentamente, molto lentamente.

Perché il cuore ha bisogno di tanto tempo prima di cambiare.

Io faccio sempre questa immagine quando sono il confessionale, faccio sempre il confronto con queste grandi navi che solcano gli oceani, queste che portano containers, portano il gasolio, quelle che per cambiare direzione hanno bisogno di chilometri prima che riescano a farlo. Così è per l’uomo. L’uomo ha bisogno di tanto tempo.

 

E ci sono degli esempi fra i santi: San Paolo, Sant’Ignazio di Loyola, santi che sono stati fulminati dalla Grazia; ma di solito Dio non ci fulmina, Dio preme sull’acceleratore delle grazie attuali e ci chiama. Ecco perché abbiamo bisogno di silenzio: perché se non c’è il silenzio non Lo si sente. Ecco perché dobbiamo bramare il silenzio: perché Dio nel silenzio ci parla.

 

Oh, come vorrei veramente che le nostre chiese fossero veramente luoghi innanzitutto di silenzio: belli, certamente, ma anche silenziosi. E come mi dispiace che nella vita diciamo del cristianesimo vissuto in comune (io sono un sacerdote diocesano quindi per me sono importanti i seminari, ma anche nelle case dei religiosi) è stato veramente un peccato aver perso la tradizione del grande silenzio, quando dopo la compieta fino al giorno dopo non si parlava se non per stretta necessità.

Quindi questo periodo, ovviamente tutta la notte fino al giorno dopo con la liturgia delle ore, che ora chiamiamo ufficio delle letture, come le lodi prima erano il mattutino e le lodi. Quel periodo era sacro e veniva chiamato il grande silenzio.

Penso che queste sono pratiche che dobbiamo recuperare. Anche in famiglia, ovviamente d’accordo. Mettendo d’accordo anche i figli, ovviamente.

Ma anche in famiglia si può andare a questi momenti di silenzio. Perché nel silenzio, cari fratelli e sorelle, Dio ci parla. È il terreno più fertile che esiste.

Il terreno più fertile. E ora, dopo aver detto queste quattro cose, io sono disponibile se voi avete delle domande, prima ancora di cominciare Adorazione e Compieta.

Forse posso dire una cosa prima, che non ho trattato: il digiuno nella chiesa orientale. Non lo ho trattato perché è altamente complesso. Mentre per noi in occidente si ha il digiuno e l’astenersi dalle carni, in l’oriente è molto più complicato, riguarda l’olio e diversi giorni, hanno le loro tradizioni.

Per chi vuole approfondire trova dei siti magnifici Internet su questo.

 

[domanda che non si sente] La rivelazione è una cosa complessa. Di solito i cattolici distinguono innanzitutto fra la rivelazione naturale e quella soprannaturale. La rivelazione naturale è essenzialmente il creato. E il creato diventa in qualche modo il palcoscenico su cui Dio agisce.

 

La prima rivelazione che Dio fa di sé è il creato.

Voi che conoscete la storia della chiesa, sapete cosa arriva ad affermare il Concilio Ecumenico Vaticano I, siamo negli anni 1869 1870, famoso per la definizione dell’infallibilità papale.

Io dico sempre che la Chiesa che accelera il Concilio Vaticano I era la Chiesa alla ricerca di certezze. La Chiesa dei nostri tempi, del Concilio Vaticano II, ma anche dopo, è la Chiesa alla ricerca della rilevanza e non l’ha ancora trovata.

 

Il Concilio Vaticano I dice che l’uomo può, non deve, conoscere l’esistenza di Dio a partire dal mondo creato, perché il creatore ha lasciato nella creazione la sua impronta.

E quale sarebbe?

Per esempio, il diritto naturale, la regolarità delle leggi delle fisiche, e via discorrendo.

 

La rivelazione soprannaturale è quella che viene sul palcoscenico della creazione e si divide in diversi momenti: c’è la rivelazione storica, quando Israele attraverso un processo graduale diventa il popolo scelto di Dio e quindi tutto il discorso dalle alleanze precedenti, il discorso di Noè, l’arca di Noè, l’arcobaleno, e via discorrendo.

Tutto questo culmina sul Monte Sinai con il patto che Dio stabilisce con Mosè. È quello il momento culminante della rivelazione storica: Israele diventa popolo scelto di Dio. Questa Israele che conosce Dio non tramite ragionamenti metafisici o cose di questo tipo. No, Israele riconosce Dio tramite ciò che Dio fa della sua storia.

Ecco perché la rivelazione storica, la liberazione dell’Egitto, e via discorrendo.

 

A seguito di quello, abbiamo ciò che i teologi chiamano la rivelazione profetica perché Israele sì è diventato popolo eletto di Dio, ma disubbidisce di continuo. E quindi Dio deve richiamare Israele a un dovere dell’alleanza, perché l’alleanza non è soltanto Israele che si fa bello davanti agli altri popoli perché è il popolo scelto. Israele deve rispettare ciò che sono le esigenze profonde di questa alleanza, quindi una società più giusta, la tutela della vedova, dell’orfano. Queste sono cose di cui sono pieni i libri profetici dell’Antico Testamento.

 

Un salto di qualità si ha con ciò che i teologi cattolici chiamano la rivelazione cristica e questa è la rivelazione che avviene nella persona di Gesù.

 

Allora nell’Antico Testamento c’è la logica: Dio prende un contenuto e lo mette sulle labbra del profeta e il profeta lo deve diffondere tra i destinatari di questa rivelazione. Andate a leggere i racconti vocazionali dei grandi profeti, con Dio che prende il carbone ardente e lo mette in bocca al profeta.

Nel nuovo testamento questo cambia tutto perché Dio contenuto e profeta sono la stessa cosa, si uniscono in Gesù di Nazareth perché lui è figlio di Dio, lui è profezia del Padre eterno, è lui che deve rivelare il Padre.

 

Quindi in Gesù Cristo rivelazione e rivelatore coincidono: non c’è più differenza, perché questa è la rivelazione definitiva che Dio dà agli uomini e Gesù Cristo, soprattutto con il momento della croce, spacca la storia in due. Tutto quello che lo precede prepara la sua venuta, tutto quello che viene dopo è il tempo della decisione.

I teologi usano questa bellissima espressione in italiano, che io non riesco mai a tradurre, per definire questo momento della storia tra la morte di Gesù in croce e il ritorno glorioso alla fine dei tempi. Lo chiamano il periodo che esiste tra “i già e i non ancora”: fra i già della prima venuta e i non ancora del suo ritorno glorioso e questo è il tempo della decisione in cui siamo chiamati a credere!

Ed è drammatico questo nostro momento della storia: se noi avessimo vissuto con Gesù, noi avremmo avuto la nostra religiosità che sarebbe stata caratterizzata dall’attesa del Messia.

La nostra religiosità, come i cattolici del XXI secolo, non è caratterizzato dall’attesa del Messia. Il Messia è venuto e sappiamo che tornerà alla fine dei tempi.

La nostra religiosità è caratterizzata dal momento della decisione. Siamo chiamati a deciderci o a favore o contro perché una terza via non è data.

Gesù Cristo è la via o l’accetti o non lo accetti, non c’è tanto più da dire su questo perché lui è la rivelazione definitiva del Padre.

L’altro giorno abbiamo festeggiato Sant’Atanasio, questo grande vescovo. Siamo in piena crisi, siamo nel IV secolo grosso modo anche se lui credo sia nato un po’ prima. Atanasio è esiliato per volontà dell’imperatore. Perché tutte le vicende sono legate al presbitero che si chiamava Ario e che negava che il Padre e il figlio fossero uguali. Questa è la vita veramente del IV secolo: una cosa che dobbiamo tutti studiare e meditare.

Ma voi sapete che nel IV secolo la maggior parte dei vescovi erano eretici e che la fede cattolica è sopravvissuta grazie ai laici? ecco queste sono cose che fanno molto la storia.

È una stupenda cura quando pensiamo che i nostri tempi sono questi sono quest’altro e guarda come vanno le cose, aprire qualche libro di storia!

Se uno si accorge che è stato molto peggio prima, può essere di grande conforto in alcuni momenti che la bella logica è che Dio, nella sua grande infinita bontà sorride a noi uomini e comincia subito a scrivere dritto sulle nostre righe storte fin da subito.

Per cui pregare il Padre è pregare il Figlio.

Allora nella liturgia preghiamo Padre, Figlio e Spirito Santo.

Ci possono essere alcuni momenti in cui è più adatto pregare il Padre sorgente di tutto e la preghiera cristiana è soprattutto rivolta al figlio. Questo è il cuore della rivelazione. Perché l’uomo non è in grado e non sarebbe stato in grado di dedurre questo contenuto che Dio è trino.

La mente umana non è in grado di dedurre questo contenuto.

Questo è una cosa che Dio solo poteva rivelare e lo ha rivelato in Gesù Cristo. Ecco perché il nostro credo a questa struttura tripartitica Padre-Figlio e Spirito Santo, perché questo è il contenuto centrale della rivelazione, va sviluppata anche in altri modi.

Per esempio quando pensiamo alla società, quando pensiamo alla famiglia, non è a caso cioè, guardando a Dio, come una comunità di persone nell’unica divina natura, non è a caso che il cristianesimo ha sempre visto nella famiglia e nel vivere sociale il riflesso di questo mistero di Dio.

Siamo andati un po’ troppo lontano forse dal digiuno …

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Published on June 09, 2025 06:13

May 15, 2025

Antoni Gaudí: un uomo a servizio di Dio – IL VIDEO

QUI il video dell’incontro del 6 maggio 2025 a Roma, al Teatro Gianelli con Chiara Curti, un’italiana esperta di Gaudì che collabora con i lavori della Sagrada Familia a Barcellona, e Benedetta Bondesan, esperta di arte e della spiritualità di san Filippo Neri, a cui Antoni Gaudí si sentiva particolarmente vicino.

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Published on May 15, 2025 09:06

May 14, 2025

La crisi che aleggia nella Chiesa è crisi  di fede, prima che di pastorale

Riceviamo da don Ugo BorghelloCara Costanza, ho letto il tuo articolo sul  blog e mi trovi pienamente concorde. Ho letto anche il testo che riassume il libro, Il Concilio Vaticano II spiegato ai miei figli,  di Luca Del Pozzo, che dice cose più che opportune. Tuttavia si constata che ogni intervento valido rimane inefficace, travolto dalla cultura imperante che diffonde il secolarismo, penetrato abbondantemente nella Chiesa. Nel mio libro “Abitare la comunione. La grazia del Regno e la nostra corrispondenza”  (Ed. Ares, Milano) dico alcune cose che possono essere importanti.Il problema del “cuore” riguarda tutti: ognuno cerca “amore” (senso della vita!) presso un immagine sociale che configura una chiesa segreta, una appartenenza primaria che condiziona l’uso dell’intelligenza al punto che tutti ragionano a partire da un pregiudizio ideologico che li rende del tutto impermeabili alla catechesi cristiana. Convincere un relativista è difficile come convincere un musulmano. Non esiste il soggettivismo.  Il secolarismo non è fatto di individui che pensano con la loro testa e agiscono come vogliono, ma da imperativi collettivi che creano aree di conformismo. Solo una conversione ad una appartenenza cristiana rende efficace la formazione al Vangelo. Ma questa conversione richiede un atto generativo, una scelta vocazionale di seguire Cristo come chi si sposa: pronto a tutto.

Il mio libro si basa sulla frase di Gesù: “chiunque non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo”. Se domando ad un cristiano “tu hai rinunciato a tutto per seguire Gesù?” 99 su 100 mi dicono di no; ed io devo dire loro che non sono cristiani, sono pagani. Altrimenti Gesù direbbe fandonie.
Per definirsi cristiano non basta il battesimo ricevuto da bambini e mai attualizzato nella scelta cosciente e libera. Con la stessa parola si comprendono battezzati non credenti in Dio, credenti  non praticanti, praticanti a livello socio-sacrale e ben pochi nella fede viva del Vangelo.Si è sempre pensato che rinunciare a tutto sia privarsi di tante cose, con i voti religiosi, mentre è come sposarsi: pronti a tutto, alla buona e alla cattiva sorte. Vale per tutti i battezzati in qualunque condizione di vita. Non aver colto la sponsalità della Croce (la Croce non è privazione ma sposarsi!) ha tolto il Vangelo dal mondo comune, per lasciarlo ai conventi. Giocarsi la vita è il passaggio per la porta stretta ma poi il giogo diventa soave e leggero: inizia l’avventura cristiana insieme ai fratelli, in una Chiesa che mi chiede la vita e me la dà a livello di Pentecoste, a livello carismatico: amore vero.

Oggi ci sono realtà carismatiche che chiedono la vita e offrono una comunione trinitaria, ben diverse da una appartenenza alle parrocchie, di stampo soltanto sacrale o sociale. I fondatori sono molto efficaci: generano al Vangelo moltissimi fedeli.  Chiara Amirante, per fare solo un esempio, genera “Cavalieri della Luce” a centinaia di migliaia traendoli fuori in gran parte dalla droga! I vescovi e i sacerdoti diocesani sono piuttosto sterili, amministrano il sacro, la dimensione religiosa, che è importante ma non è il Vangelo. La dimensione religiosa l’hanno tutti, anche gli atei, a ben vedere. Il Vangelo è dono inaudito. Il futuro del cristianesimo in Occidente dipenderà da una Chiesa che diventa tutta carismatica (ci sono i carismi particolari, come Padre Pio,, ma i Fondatori rinnovano Il Carisma di Pentecoste, necessario per vivere il battesimo come incorporazione a Cristo in una Chiesa viva). Il Vangelo dei fondatori non è diverso da quello delle diocesi!

Sto preparando una traduzione inglese del libro con un altro titolo: “Chi può dirsi cristiano?” con il sottotitolo: “Chiunque non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo”.  Il Vangelo instaura il Regno, che è più di un matrimonio e ha le categorie del matrimonio. “Chi ama suo padre e sua madre, sua moglie e i suoi figli più di me non è degno di me”. Ma a metà un matrimonio è un disastro, e da solo non si può fare.  Il Vangelo a metà delle parrocchie (in genere) è una pena. I giovani pensano che ad essere cristiani ci sia da rimetterci molte cose umane. Gesù merita  giocarsi la vita, anche perché insieme ai fratelli veri è una bellissima avventura. E si ritrova la piena umanità. L’ascetismo non è cristiano (diverso dall’ascesi): Gesù toglie ogni proibizione sui cibi, non fa voto di nazireato come il Battista. “Non ha mai disprezzato nulla di ciò che Dio ha creato”: piena umanità, bellissima. Come diceva Biffi: se si pensa al cielo anche i tortellini sono più buoni. Non si edulcora la Croce, non si tratta di buonismo, ma la si umanizza oltremodo: sposarsi non è da buonisti, è molto impegnativo, ma è molto umano!

La catechesi riporta il Vangelo, ma non entra nel cuore di chi ha il cuore altrove. I ragazzi hanno il cuore nel gruppo di coetanei, fanno il catechismo della cresima e poi disertano la Chiesa. E così le esortazioni, i sinodi, le encicliche, i libri, le prediche, non cambiano nessuno: è l’appartenenza primaria, quella che definisce il “cuore”, che cambia la vita. Prima occorre generare alla comunione carismatica e poi si cresce con la formazione. La crisi che aleggia nella Chiesa è crisi  di fede, prima che di pastorale. Non si distingue il Vangelo dalla dimensione religiosa comune a tutti Non si possono negare i sacramenti, ma io farei una eccezione per la cresima, visto che intanto già con il battesimo si dà lo Spirito Santo. Io darei la cresima solo a chi fa una scelta vocazionale in una cammino di santità possibile ovunque tre cristiani si considerino tali.

Leggendo il libro ne viene fuori una proposta evangelizzatrice per la Chiesa istituzionale. Da quando si sono distinti due cristianesimi, quello dei precetti e quello dei consigli evangelici (distinzione del tutto improvvida!) i vescovi si sono dedicati ai precetti, al Vecchio Testamento, appena abbellito da riti eucaristici ben poco mistagogici. Non ci sono due cristianesimi. Non si tratta di imitare i movimenti carismatici, ma di far diventare carismatica la Chiesa istituzionale. Un Vangelo che non chiede la vita non è Vangelo, non offre nulla che possa prendere il cuore degli uomini.

Cara Costanza, in genere non disturbo con i miei pensieri. ma il dramma di un mondo sempre più secolarizzato e di una Chiesa che non si sa dove vuole andare è talmente grande che mi sono permesso questo sfogo con te.  Preghiamo per il nuovo Papa e per la sorte del Vangelo nel mondo.

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Published on May 14, 2025 01:53

May 12, 2025

Cristo è respiro vitale

di Costanza Miriano

“La mia preghiera preferita? C’è una preghiera nella messa che il sacerdote non dice ad alta voce.

“Che io non mi separi mai da te”. Questa è la preghiera che mi ripeto durante la giornata. Un giorno senza eucaristia sarebbe difficile, molto difficile”.

Ascolto l’intervista che la mia collega di Rai Vaticano ha fatto all’allora Card. Prevost e il mio cuore sussulta.

Mi sento a casa. A dare la vita per mia madre, la Chiesa, c’è un padre che vuole solo sparire, perché si manifesti sempre di più Cristo, come ha detto nella sua prima omelia da Leone XIV. Questa è l’essenza del cristianesimo, essere immagine di un Altro. L’opposto di ciò che chiede per sé l’uomo contemporaneo: essere sé stesso, determinarsi in tutto (compresa l’identità). È precisamente questo che prende assolutamente inconciliabile il cristianesimo con l’epoca moderna, nonostante tutti i tentativi.

Credo che sia la risposta a quello che secondo me è una sorta di scisma taciuto e sotterraneo che c’è nella Chiesa: una parte importante, anche delle gerarchie, per non parlare dei semplici battezzati, crede che l’uomo sia da sé capace di bene. E che la salvezza sia possibile anche attraverso altre vie, e di conseguenza che quella cristiana sia una delle proposte.

Capisco l’esigenza di non far sentire nessuno respinto, nella speranza che mettendo tra parentesi la centralità della croce di Cristo, del suo corpo e sangue dati per noi per renderci simili a lui, si avvicini più gente. Il problema è che se togli lui, se lui non è più al centro, la proposta cristiana perde tutta la sua attrattiva, diventa irrilevante. Credo che sia in gran parte qui la spiegazione della progressiva perdita di “numeri”.

Mano a mano il benessere sempre più diffuso ha fatto sentire le persone meno bisognose di una rassicurazione dall’alto, quella che in passato rendeva la religiosità molto più diffusa però anche molto simile a un atteggiamento pagano di ricerca di sicurezza e protezione. Oggi chi rimane nella Chiesa non è l’uomo comune che cerca rassicurazione, ma chi intuisce la bellezza e la potenza di un’altra vita qui e nell’eternità. Il problema è che spesso arriva in chiesa e si deve sentir parlare di cose che potrebbe ascoltare in qualsiasi altro posto in cui la gente di buona volontà si confronta sui problemi del mondo. Cristo è bene accetto, per carità, almeno in chiesa questo sì, ma non è il respiro vitale, come ha detto Leone XIV in una stupenda omelia trovata in rete, da Cardinale.

La vera fede è questo, è un’altra cosa da quella che crede il mondo. È grazia offerta a tutti i battezzati, sì, ma è anche adesione a un cammino di trasformazione personale. A coloro che sono stati battezzati ha dato il potere di diventare figli di Dio. “Il Potere di”, non qualcosa di automatico.

Gli accenti delle prime uscite pubbliche di questo Papa mi rassicurano in tal senso. Ha deciso di mettere l’accento su ciò che più è urgente che la Chiesa oggi dica al mondo. Se la Chiesa è una mamma che prende in braccio ora l’uno ora l’altro dei suoi figli, io ora mi sento presa in braccio. È il mio turno. Semplicemente così, senza polemiche. Senza giudicare se fosse giusto o sbagliato prendere in braccio altri e se fosse il modo giusto di farlo. Adesso gioisco e basta.

 

 

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Published on May 12, 2025 06:17

May 9, 2025

Omelia di di Sua Santità Leone XIV nella Santa Messa con i Cardinali elettori

Alle ore 11.00 di questa mattina, nella Cappella Sistina, il Santo Padre Leone XIV presiede da Pontefice la sua prima Celebrazione Eucaristica con i Cardinali elettori. Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia dopo la proclamazione del Vangelo.

«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Con queste parole Pietro, interrogato dal Maestro, assieme agli altri discepoli, circa la sua fede in Lui, esprime in sintesi il patrimonio che da duemila anni la Chiesa, attraverso la successione apostolica, custodisce, approfondisce e trasmette.
Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, cioè l’unico Salvatore e il rivelatore del volto del Padre.
In Lui Dio, per rendersi vicino e accessibile agli uomini, si è rivelato a noi negli occhi fiduciosi di un bambino, nella mente vivace di un giovane, nei lineamenti maturi di un uomo (cfr CONC. VAT. II, Cost. Past. Gaudium et spes, 22), fino ad apparire ai suoi, dopo la risurrezione, con il suo corpo glorioso. Ci ha mostrato così un modello di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla
promessa di un destino eterno che invece supera ogni nostro limite e capacità.

Pietro, nella sua risposta, coglie tutte e due queste cose: il dono di Dio e il cammino da percorrere per lasciarsene trasformare, dimensioni inscindibili della salvezza, affidate alla Chiesa perché le annunci per il bene del genere umano. Affidate a noi, da Lui scelti prima che ci formassimo nel grembo materno (cfr Ger 1,5), rigenerati nell’acqua del Battesimo e, al di là dei nostri limiti e senza nostro merito, condotti qui e di qui inviati, perché il Vangelo sia annunciato ad ogni creatura (cfr Mc 16,15).

In particolare poi Dio, chiamandomi attraverso il vostro voto a succedere al Primo degli Apostoli, questo tesoro lo affida a me perché, col suo aiuto, ne sia fedele amministratore (cfr 1Cor 4,2) a favore di tutto il Corpo mistico della Chiesa; così che Essa sia sempre più città posta sul monte (cfr Ap 21,10), arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo. E ciò non tanto grazie alla magnificenza delle sue strutture o per la grandiosità delle sue
costruzioni – come i monumenti in cui ci troviamo –, quanto attraverso la santità dei suoi membri, di quel «popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (1Pt 2,9).

Tuttavia, a monte della conversazione in cui Pietro fa la sua professione di fede, c’è anche un’altra domanda: «La gente – chiede Gesù –, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Non è una questione banale, anzi riguarda un aspetto importante del nostro ministero: la realtà in cui viviamo, con i suoi limiti e le sue potenzialità, le sue domande e le sue convinzioni.
«La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Pensando alla scena su cui stiamo riflettendo, potremmo trovare a questa domanda due possibili risposte, che delineano altrettanti atteggiamenti.
C’è prima di tutto la risposta del mondo. Matteo sottolinea che la conversazione fra Gesù e i suoi circa la sua identità avviene nella bellissima cittadina di Cesarea di Filippo, ricca di palazzi lussuosi, incastonata in uno scenario naturale incantevole, alle falde dell’Hermon, ma anche sede di circoli di potere crudeli e teatro di tradimenti e di infedeltà. Questa immagine ci parla di un mondo che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso, che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire. E così, quando la sua presenza diventerà fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, questo “mondo” non esiterà a respingerlo e a eliminarlo.

C’è poi l’altra possibile risposta alla domanda di Gesù: quella della gente comune. Per loro il Nazareno non è un “ciarlatano”: è un uomo retto, uno che ha coraggio, che parla bene e che dice cose giuste, come altri grandi profeti della storia di Israele. Per questo lo seguono, almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti. Però lo considerano solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la Passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi.
Colpisce, di questi due atteggiamenti, la loro attualità. Essi incarnano infatti idee che potremmo ritrovare facilmente – magari espresse con un linguaggio diverso, ma identiche nella sostanza – sulla bocca di molti uomini e donne del nostro tempo.

Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco.

Anche oggi non mancano poi i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto.

Questo è il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato Papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Gesù Salvatore. Perciò, anche per noi, è essenziale ripetere: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). È essenziale farlo prima di tutto nel nostro rapporto personale con Lui, nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione. Ma poi anche, come Chiesa, vivendo insieme la nostra appartenenza al Signore e portandone a tutti la Buona Notizia (cfr CONC. VAT. II, Cost. Dogm. Lumen gentium, 1).

Dico questo prima di tutto per me, come Successore di Pietro, mentre inizio la mia missione di Vescovo della Chiesa che è in Roma, chiamata a presiedere nella carità la Chiesa universale, secondo la celebre espressione di Sant’Ignazio di Antiochia (cfr Lettera ai Romani, Saluto). Egli, condotto in catene verso questa città, luogo del suo imminente sacrificio, scriveva ai cristiani che vi si trovavano: «Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo» (Lettera ai Romani, IV, 1). Si riferiva all’essere divorato dalle belve nel circo – e così avvenne –, ma le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità
di conoscerlo e amarlo. Dio mi dia questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria Madre della Chiesa.

 

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Published on May 09, 2025 03:27

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Costanza Miriano
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