Costanza Miriano's Blog, page 4
March 25, 2025
Il bianco Fuoco del vero Amore. Un passo sulla purezza, sulla castità e sulla verginità
Sabato 29 Marzo 2025, ore 16:00 . Il quinto dei Cinque Passi al Mistero 2024-25
Cari amici,
siamo lieti di invitarvi a partecipare al quinto ed ultimo dei Cinque Passi al Mistero di quest’anno! Il tema della purezza, della castità e della verginità è delicato e importante.
Vi aspettiamo Sabato 29 Marzo 2025 alle ore 16:00 alla Chiesa Nuova (Chiesa di Santa Maria in Vallicella, piazza della Chiesa Nuova).
L’incontro verrà registrato e trasmesso in differita Mercoledì 2 Aprile 2025 alle ore 21:00 sul canale YouTube di Oratorium. Iscrivetevi al canale per essere sempre avvertiti e aggiornati.
Non mancate!
padre Maurizio
#5Passi #Oratorium #PadreMaurizioBotta
A questo link troverete TUTTI i Passi di questi diciassette anni già suddivisi per macro-temi. Vi auguriamo un buon ascolto!
I “Cinque passi al Mistero”, sono un ciclo di catechesi per giovani e adulti, che si svolge ormai da dieci anni presso la parrocchia S. Maria in Vallicella – Chiesa Nuova di Roma
Lo spirito è volutamente quello di mettersi in dialogo con le persone che si sentono più lontane dalla Chiesa, offrendo loro una spiegazione pacata di quelle che sono le ragioni della fede su vari argomenti.
Sono i giovani dell’Oratorio a segnalare i temi di frontiera, quelli più “caldi” e che magari tengono più lontane le persone.
Il metodo è sempre lo stesso: una introduzione di mezz’ora esatta, a cui seguono le domande scritte presentate in forma anonima ed estratte a caso.
Si rinnova così una tradizione nata fin dal XVII secolo. I discepoli di San Filippo Neri, infatti, si confrontavano con la società e con la cultura dell’epoca, mostrando la validità della prospettiva della fede a coloro che erano aperti a comprenderla, in un’epoca nella quale già si manifestavano gli albori dell’età moderna.
Oggi abbiamo lo stesso atteggiamento.
I nostri incontri sono basati sul dialogo, e sulla possibilità di porre qualsiasi domanda tesa a capire meglio il pensiero della Chiesa. L’elemento dell’improvvisazione, del non preparare tutto, si ritrova anche nei sermoni di S. Filippo e nasce dall’atteggiamento spirituale di fidarsi della parola di Gesù: quando vi trascineranno nei tribunali – e questo tipo di incontri aperti un po’ lo sono – non preparate prima la vostra difesa perché sarà lo Spirito a suggerirvi cosa dire.
S. Filippo insegna a fidarsi di Gesù come un amico e un faro che illumina il cammino, senza paura di andare “disarmati” a spiegare le proprie ragioni.
Sappiamo che c’è una grande sete di confronto.
E non è facile trovare spazi costituiti da un terzo di catechesi e due terzi di domande né persone disposte a mettersi in gioco senza sapere su cosa si verrà chiamati a rispondere.
Cerchiamo sempre di usare la ragione come strumento di dialogo che accomuna chi crede e chi non crede.
La Fede non umilia mai la ragione e rendere ragione della speranza che è in noi, come insegna la Parola, è l’unico mezzo per spegnere il livore che ostacola proprio l’uso di quella ragione in nome della quale si vuole mettere da parte la fede.
March 17, 2025
Al mio posto
Uno dei miei disturbi psichiatrici più evidenti è che io vorrei molestare praticamente ogni donna che incontro, per sapere quale particolare e irripetibile soluzione ha dato al rebus della sua vita. Specialmente se lavora e ha figli, ma non solo, ogni donna oggi ha dovuto cercare un equilibrio o almeno un modo di sopravvivere, ha dovuto gestire l’impegno sul lavoro, i sensi di colpa, capire quando era giusto dire no a una riunione perché c’era il saggio di danza, e quando la riunione era così decisiva per il suo lavoro e quindi per la stabilità familiare che ha dovuto dire no al saggio. Ogni donna con figli – ma anche senza, ogni donna che tiene alle relazioni, quindi direi ogni donna – ha dovuto fare un numero infinito di scelte nella vita, a volte aiutata da un marito alleato, a volte meno; a volte ha potuto contare su dei nonni, su delle meravigliose tate, su strutture buone a portata di mano; a volte invece ha avuto nonni lontani, pochi soldi per gli aiuti, dei capi pochissimo sensibili alle fatiche del lavoro di cura (che non è solo quello per i figli). Si è addormentata alle conferenze, si è dimenticata il cartoncino da portare a scuola per il lavoretto, ha finto di sapere cose che non aveva neanche sentito nominare quando incontrava le mamme fuori di scuola.
Venerdì 21 marzo ci incontreremo alla Casa della donna nuova, in via dei Bresciani 12, con Elisabetta Buscarini, che in un libro ha raccontato le soluzioni che ha cercato lei. Elisabetta è stata medico e mamma di quattro figli, che alla fine è diventata primario (di gastroenterologia), ma nel cammino per arrivarci ha fatto come tutte noi ogni sorta di equilibrismo. Oggi, da nonna di otto, ha deciso di mettere in circolazione quello che ha imparato nei suoi combattimenti e fatiche, dai suoi errori e dalle cose che farebbe diversamente, perché nel nostro paese c’è tantissimo lavoro da fare su questo fronte. Non per niente, siamo il paese che fa meno figli al mondo, e abbiamo delle politiche di tutela delle madri lavoratrici, soprattutto se precarie, ridicole, e degli assegni a sostegno delle famiglie che certo non permettono a quasi nessuna madre di stare a casa, almeno negli anni dei bambini piccolissimi. Ogni dibattito pubblico sul tema verte su come permettere alle madri di essere più lavoratrici, e mai alle lavoratrici di essere più madri. Part time, congedi, flessibilità dovrebbero essere assolutamente a discrezione della madre, cosa che sarebbe ovvia se si imponesse e diventasse condiviso l’assunto che una madre che si prende cura del figlio fa bene a tutta la collettività.
Insomma, a partire dal libro della mia amica Elisabetta, una delle persone che stimo di più in assoluto, condivideremo le nostre esperienze, le fatiche, i dubbi, sapendo che nessuna di noi ha la soluzione perfetta in tasca, e nessuna di noi può giudicare la soluzione che ha trovato l’altra, sapendo che davvero ogni storia è unica. Siete tutte invitate!!!
March 14, 2025
Via Crucis al Palatino #MonasteroWiFi Roma

di Costanza Miriano
Il mio, il nostro caro padre Emidio, diceva spesso che, sebbene la passione di Cristo sia il centro della nostra fede, sia strano che la Chiesa ce la proponga solamente la domenica delle Palme, e il venerdì santo. Mano a mano che mi affeziono alla Via Crucis, capisco cosa intendesse. Ovviamente il problema non è della Chiesa, che ogni giorno nel sacrificio eucaristico ci ricorda la morte e la risurrezione di Gesù. Il problema è della nostra fede.
La Passione di Gesù è la grande rimossa, la tentazione è sempre quella di credere in un Dio che ti manda le cose per il verso giusto, un problem solver, una specie di amuleto o portafortuna. Magari buono, sì, “Gesù era una persona tanto buona”, su questo è difficile trovare qualcuno, anche ateo, che sia in disaccordo. Quindi, se è tanto buono, se noi ci comportiamo bene con lui anche lui lo farà con noi, e ci farà andare bene tutte le nostre cose. Invece davanti al mistero del dolore – il suo immenso e i nostri, più o meno grandi – i conti non ci tornano. Come mai Dio, l’onnipotente, è finito sulla croce? E come mai a quella persona disonesta ed egoista va tutto alla grande, mentre a quello così generoso e leale ne sono successe di tutti i colori?
È ovvio che se riuscissi a spiegare il mistero dei misteri sarei dottore della Chiesa, invece non sono dottore, e non so manco se sono degna di essere della Chiesa (nel senso che mi piacerebbe essere più coerente come cattolica). Però conservo questa raccomandazione come una delle parti più preziose dell’eredità di Padre Emidio. Diceva che chi vuole diventare santo dovrebbe meditare più spesso che può la Via Crucis.
Meditare spesso la Via Crucis e una via per somigliare davvero al Gesù vero, non a quello dei santini zuccherosi o dei consigli del parrucchiere. Assomigliare a Gesù ci permette di accogliere la croce non come una sfiga o un errore di programma, ma come un regalo che Dio ci fa per entrare in intimità con Lui. Per questo e molto altro ci tenevamo a organizzare anche una Via Crucis del monastero wi-fi, cioè per chi di solito viene agli incontri del primo lunedì del mese, ma ovviamente apertissima a tutti. E abbiamo la grazia di poterla fare in un luogo unico al mondo.
Anche quest’anno grazie all’aiuto di padre Pier Luca Bancale (e di Federica e Silvia) abbiamo organizzato unaVia Crucis a Roma, 24 marzo 2025 alle 21:00a San Bonaventura al Palatino.Lungo la strada che porta al convento, nel cuore del Palatino, ci sono le 14 stazioni della Via Crucis, i frati del convento ci lasceranno concludere in chiesa .
Proprio nel convento di San Bonaventura al Palatino ha studiato, è vissuto ed è morto nel 1751 San Leonardo di Porto Maurizio, il propagatore della Via Crucis così come la conosciamo, si tratta quindi di un tracciato molto particolare.
Al convento si arriva solo a piedi salendo dal Colosseo lungo la via Sacra verso l’Arco di Tito, poco prima dell’Arco sulla sinistra parte via di San Bonaventura (è indicata). Porteremo delle candele che speriamo bastino per tutti , ma per essere sicuri, se l’avete, portatela da casa.
Per arrivare con i mezzi pubblici vanno bene tutte le linee che arrivano al Colosseo, per chi arriva in auto mettete in preventivo una camminata di 10-15 minuti parcheggiando nei pressi di Caracalla (in particolare via di Valle delle Camene), la zona di fronte a San Gregorio al Celio, Circo Massimo o le strade intorno a via Claudia (alle otto di sera non è impossibile).
March 4, 2025
Le Sette Chiese: 16-17 Maggio 2025
March 2, 2025
MonasteroWifi Roma: continuano le catechesi sul digiuno
Il Monastero romano continua il suo cammino, ogni primo lunedì del mese, da anni…
Siamo convinti che ascoltare l’annuncio della Parola di Dio con costanza sia qualcosa che lascia tracce profonde e ci cambia piano piano, più di quanto siamo consapevoli.E fa anche di noi una comunità.A questo proposito, condividiamo un video che tanti di voi avranno già visto, ma nel dubbio…Ecco la testimonianza della nostra Silvia Polselli, infaticabile organizzatrice degli appuntamenti romani.A novembre, mentre a San Pietro era in corso il nostro Capitolo generale, quelli di Tv2000 ci hanno chiesto di spiegare cosa fosse il Monastero WiFi. Io ho chiesto a Silvia di immolarsi per noi, ed ecco cosa ne è venuto fuori. Una testimonianza stupenda, nel corso della quale ha raccontato cose che neanche noi suoi amici (e credo neppure i familiari) sapevamo. La sua testimonianza ha provocato un’onda lunga di bene e di bellezza che l’hanno sorpresa (ma non ha sorpreso noi che conosciamo la sua biondaggine premurosa, generosa, efficiente, piena di bontà).Qui il link (dall’inizio al minuto 24.45)L’anno della preghiera – 10.11.2024 – Play2000Domani invece al battistero sarà don Riccardo Cendamo a parlarci di quello che ci fa davvero vivere.A seguire la trascrizione della catechesi del 3 febbraio 2025 di don Gianfranco Lunardon.
***
Digiuno, la dieta del pellegrinoBattistero di San Giovani inLaterano, catechesi del 3 febbraio 2025 di don Gianfranco Lunardon.
Carissimi fratelli e sorelle,
in alcuni casi, quando ho da comporre una catechesi su temi particolari, mi prefiggo di riflettere non solo su come bisogna intendere la virtù o l’aspetto in oggetto, ma anche di verificare se vi siano dei possibili fraintendimenti e – nella misura in cui mi è dato e ne sono capace – chiarire gli equivoci.
Anche a proposito del digiuno, cercherò quindi di contemplare la bontà di quella che in tutti i sensi dev’essere un’opera della fede e di parlare dei digiuni “sbagliati” nei quali noi stessi possiamo incorrere.
Vorrei partire da questi ultimi con l’obiettivo di fornire qualche elemento un po’ più originale rispetto al solito: non aspettatevi da me il classico “il nostro digiuno non dev’essere una dieta…”, o, se volete, consentitemi una battuta con una frase di Franz Kafka quando, in una sua opera proprio intitolata “Un artista del digiuno”, scrisse: “disse il digiunatore “non sono mai riuscito a trovare il cibo che mi piacesse. Se l’avessi trovato, credimi, avrei fatto meno storie e mi sarei abbuffato proprio come te e tutti gli altri”.
Ecco, spero che i nostri digiuni non siano mai stati né diete né simili alla condizione descritta…
Diamo quindi inizio alle riflessioni con un brano che forse conosciamo, sebbene, allo stesso tempo, immagino non sia fra i più famosi, e che si trova nel Primo libro di Samuele al capitolo 14.
Il contesto è quello di una battaglia contro i Filistei e ora vi presento i versetti a cui penso (14,20-31) dei quali vi prego di prestare attenzione perché toccheremo diversi loro aspetti:
20Saul e la gente che era con lui alzarono grida e mossero all’attacco, ed ecco trovarono che la spada dell’uno si rivolgeva contro l’altro, in una confusione molto grande. 21Anche quegli Ebrei che erano con i Filistei da qualche tempo e che erano saliti con loro all’accampamento, cominciarono anch’essi a stare dalla parte degli Israeliti che erano con Saul e Giònata. 22Inoltre anche tutti gli Israeliti che si erano nascosti sulle montagne di Èfraim, quando seppero che i Filistei erano in fuga, si unirono con loro nella battaglia. 23Così il Signore in quel giorno salvò Israele e la battaglia si estese fino a Bet-Aven. 24Gli uomini d’Israele erano sfiniti in quel giorno, ma Saul fece giurare a tutto il popolo: “Maledetto chiunque toccherà cibo prima di sera, prima che io mi sia vendicato dei miei nemici”. E nessuno del popolo gustò cibo. 25Tutta la gente passò per una selva, dove c’erano favi di miele sul suolo. 26Il popolo passò per la selva, ed ecco si vedeva colare il miele, ma nessuno stese la mano e la portò alla bocca, perché il popolo temeva il giuramento. 27Ma Giònata non aveva saputo che suo padre aveva fatto giurare il popolo, quindi allungò la punta del bastone che teneva in mano e la intinse nel favo di miele, poi riportò la mano alla bocca e i suoi occhi si rischiararono. 28Uno fra la gente intervenne dicendo: “Tuo padre ha fatto fare questo solenne giuramento al popolo: “Maledetto chiunque toccherà cibo quest’oggi!”, sebbene il popolo fosse sfinito”. 29Rispose Giònata: “Mio padre ha rovinato il paese! Guardate come si sono rischiarati i miei occhi perché ho gustato un po’ di questo miele. 30Magari il popolo avesse mangiato oggi del bottino dei nemici che ha trovato. Quanto maggiore sarebbe stata ora la sconfitta dei Filistei!”. 31In quel giorno essi batterono i Filistei da Micmas fino ad Àialon e il popolo era sfinito. 32Il popolo si gettò sulla preda e presero pecore, buoi e vitelli e li macellarono per terra e li mangiarono con il sangue. 33La cosa fu annunciata a Saul: “Ecco, il popolo pecca contro il Signore, mangiando con il sangue”.
La storia in verità non finisce qui e anche il resto della vicenda offrirebbe altri spunti, ma dobbiamo necessariamente fermarci perché è una citazione già di per sé molto lunga.
Proviamo a riflettere su qualche aspetto.
Un digiuno che a quanto pare non è particolarmente gradito è il digiuno stupido. Senza precorrere altri elementi che declinerò nel corso dell’incontro, una prima riflessione possiamo porla su alcuni sfinimenti che possiamo autoinfliggerci e che non vengono dalla volontà di Dio, bensì dalla nostra concezione religiosa, che ci fa fare più di testa nostra che altro.
Dio aveva indicato a Saul il Suo sostegno e la battaglia stava già quindi esprimendo la volontà del Signore, ma Saul è ancorato al suo schema. A uomini stanchi si impone quindi un irrazionale digiuno, che non ha alcuna ragion d’essere ed era l’ultima cosa da chiedere a combattenti sfiniti.
Per incarnare nella nostra vita questo primo punto potremmo quindi dirci: attenzione a cercare di digiunare anche quando non è il momento.
Io stesso ho imparato questa lezione nei miei primi periodi da frate, quando decisi di non fare colazione per tutta la Quaresima e dovevo però poi recarmi in Facoltà tutti i giorni… Se poi non seguivo bene certe lezioni perché o avevo il mal di testa o mi ero giustamente stancato, non era certo per mezzo del Signore… Non che – credo – fossi animato da superbia o altro, ma proprio come Gionata avrei potuto capire che con un minimo di equilibrio in più, “quanto maggiore sarebbe stata ora la sconfitta dei Filistei!” (o, se volete, la concentrazione in classe…)!
Questa è anche la chiave di lettura di un difficile brano che sembrerebbe quasi porre Gesù in contraddizione con altri suoi richiami al digiuno e che, per opportunità, traggo dal Vangelo secondo Luca (Lc 5,33-35):
33Allora gli dissero: “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!”. 34Gesù rispose loro: “Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? 35Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno”.
Per capire questa indicazione, mi servo solo di un’immagine: con il digiuno individuale si cercava di espiare una colpa, accompagnare un voto, compiere una penitenza, elevare una preghiera, ecc. e per i farisei il digiuno aveva addirittura anche un senso collettivo: proteggere la terra e il bene del popolo (pensate che l’accusa di violare il digiuno, quindi, aveva anche il sapore di violare un dovere nazionale del popolo di Dio…!).
Tuttavia, in occasione delle nozze c’era addirittura il dovere di interrompere il digiuno, perché le nozze simboleggiavano la storia di Dio con il Suo popolo! Da qui il “potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?”. Non a caso, solo con Gesù crocifisso e risorto, allora, nel tempo della Chiesa, il digiuno avrebbe avuto un senso ben superiore rispetto a quello che prima aveva ed è questa la luce che illumina il nostro digiuno.
Ecco proprio quello che si diceva prima in altre parole: lo stesso digiuno deve essere letto all’interno della volontà di Dio e nella giusta mentalità e disciplina e non come un capriccio dove ci si sforza di imporsi una pratica con cui si mira a conquistarsi la santità con le proprie energie.
E non dimentichiamoci un altro aspetto del brano precedente, quello di Saul, che ora amplifico ed estremizzo per accennare ad un’altra possibile sottigliezza spirituale.
Se ci avete poi fatto caso, infatti, il popolo, proprio perché sottoposto – direi persino “schiacciato” – dal digiuno imposto dal re, comincia a peccare.
Premesso che non esiste peccato che non sia colpa dell’uomo, è anche vero che certe situazioni possono essere favorite dal male che ci circonda o – come in questo caso – dagli errori altrui o dalla nostra debolezza.
E qui vi presento un macabro particolare che alcuni dantisti (la minoranza, ma ve ne sono stati a ogni modo diversi) fecero emergere da un famoso verso di Dante nel 23° canto dell’inferno, relativo al conte Ugolino: Poscia, più che ‘l dolor, poté il digiuno.
Questi è imprigionato assieme ai suoi figli a morire di fame e, di fatto, sembra che il verso riveli che decretare la morte del conte non fu il dolore per l’atroce perdita della prole (vi risparmio i versi strappalacrime di Dante), bensì la fame.
Ma un’altra interpretazione – come vi dicevo – invece vorrebbe che il conte, spinto dalla fame, finì per cibarsi dei cadaveri dei figli.
Vi chiedo scusa per avervi dato ad immaginare una simile scena, però vorrei far germogliare da essa un altro particolare per la nostra vita spirituale: come il conte, in quel caso stremato dalla fame, sarebbe giunto a compiere ciò che mai avrebbe fatto, così noi, in tono chiaramente minore, qualora viviamo male il digiuno, non inquadrandolo nella volontà di Dio (come poi cercheremo di dire), allora potremmo scaricare il bisogno della fame su altri aspetti, peccando altrove, in altro modo!
Un secondo digiuno “sbagliato” è quello, certamente più famoso, denunciato da Gesù in un celebre passo che traiamo dal Vangelo secondo Matteo (3,16-18):
16E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 17Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, 18perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
È senza dubbio facile aderire alla superficie di questo brano e chiederci se sotto sotto, quando rinunciamo ai pasti, non nutriamo la segreta speranza che qualcuno possa adularci per l’intensità dei nostri digiuni…
…un pochino più complesso è riflettere se le nostre opere non siano in realtà occasioni per accrescere il nostro orgoglio. E mi spiegherò ancor meglio attraverso un esempio evangelico (Lc 18,9-14):
9Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10“Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”.
Guardando più da vicino la preghiera del fariseo, notiamo come il greco ⸂πρὸς ἑαυτὸν ταῦτα⸃ προσηύχετο possa tranquillamente essere tradotto con “pregava rivolto verso se stesso”. All’atto pratico, tutte le sue opere buone non erano rivolte al Signore quanto a se stesso.
Capiamo benissimo che il digiuno, opera di per sé buona, può favorire un compiacimento di noi stessi e noi possiamo invaghirci della nostra capacità di offrirci al Signore (che poi, appunto, non è nemmeno tale) e non più di Lui.
Pensate che – e in questo caso non applico alcuna forzatura, ma vi presento un autentico argomento biblico – questo è un pericolo di cui probabilmente Gesù metteva in guarda San Pietro in occasione della pesca sulle sponde del lago di Tiberiade.
Ricordate quando, pescarono i 153 grossi pesci (Gv 21)?
Ebbene, pochi versetti dopo troviamo scritto: 15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”
Il particolare che non può cogliersi in italiano sta in quel “costoro”, che in greco è τούτων.
Il punto è che se si prende di per sé questo pronome dimostrativo, non è possibile asserire se è un maschile o un neutro (il genitivo plurale è uguale per entrambi), ed è probabilmente preferibile intenderlo come neutro (la frase completa, infatti, è: Σίμων ⸀Ἰωάννου, ἀγαπᾷς με πλέον τούτων;).
…e allora, direte voi?
Scommetto che quando abbiamo ascoltato quel versetto l’abbiamo sempre interpretato come un “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più degli apostoli [oppure, di quanto facciano gli altri apostoli]?”. Ma se è un neutro, quel COSTORO non sono più gli apostoli, bensì sono…….i pesci!
E quindi la prima domanda è: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più delle opere stesse che compi?”.
Perché noi possiamo davvero innamorarci delle opere che compiamo – digiuni compresi, per non uscire fuori tema – e non più del Signore che cerchiamo con quell’opera che fin dall’inizio ho precisato dev’essere un’opera della fede!
E allora veniamo finalmente a parlare del digiuno bello, di quello gradito al Signore e che ci eleva, rispondendo quindi a quell’invito di sant’Alfonso Maria de’ Liguori che ci chiedeva di fare bene il bene.
Per capire un aspetto principale del digiuno, vorrei – sempre per dare quel tocco di originalità che spero non guasti – partire dalla…liturgia.
Durante la messa, infatti, sappiamo bene come in determinati momenti occorre che l’ascolto e/o le preghiere che eleviamo siano accompagnati anche da movimenti del corpo. Il segno della Croce, eventualmente battersi il petto durante il Confiteor, il sedersi durante le letture, l’alzarsi alla proclamazione del Vangelo, il guardare l’Ostia quando il sacerdote la mostra durante la Consacrazione, l’inginocchiarsi subito dopo, eccetera…
Cosa succede quindi? Che tutta la persona prega.
Con il digiuno c’è anzitutto questo presupposto: dev’essere un aspetto dell’offerta della nostra dimensione corporale al Signore, da compiersi non nella superbia di chi si crede capace di essere un supereroe con questa pratica, ma nella dinamica della preghiera, e vuole essere corrispondenza all’amore di Dio e della partecipazione alle sofferenze di Cristo.
Proviamo anzitutto a ragionare così: i cristiani sono coloro che, per definizione, sono “di Cristo”, e quindi, come avrebbe detto Ap 17,4, “seguono l’Agnello dovunque vada”. Noi abbiamo avuto la possibilità di rispondere all’amore di Dio e di partecipare alla vita di Gesù, e allora vogliamo seguirLo e il nostro digiuno vuole inserirsi nella Sua offerta al Padre.
Credo di intuire a questo punto una perplessità: “ma ciò significa forse che il digiuno di Gesù non era sufficiente e c’è bisogno anche del nostro?”.
Prima di ogni altra precisazione teorica, spero che la nostra visione di cristianesimo non sia sempre così prammatica. Non solo non mi sognerei mai di dire questo, ma è mio desiderio – perciò – ricordare come ogni opera della fede (in questo senso il digiuno) vada vissuta nella carità, carità intesa come virtù teologale, ed essa (a detta specialmente del sommo san Tommaso d’Aquino) è vis unitiva.
Chi di noi ha sperimentato l’amore, sono certo abbia sentito nel suo cuore un forte desiderio di compenetrazione nella persona amata, un voler essere una cosa sola in tutti i sensi, alle volte persino con un certo grado di irrazionalità.
Ebbene, questo aspetto che mi sto sforzando di descrivere può riassumersi in questo modo: digiuniamo perché Gesù ha digiunato e dato che ci ha ricordato in più passi del Vangelo che è utile farlo, allora noi Lo ascoltiamo e Lo obbediamo, con il primo intento – con tutti i distinguo possibili tra il valore delle esperienze nostre e la Sua – di voler ricordare il suo digiuno nel deserto ed essergli accanto.
E sotto questo aspetto si potrebbe dire anche un’altra cosa…
Ricordiamoci infatti quello che dice San Paolo e che forse, in questa sede, può aver bisogno di una piccola precisazione: “Ora, io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).
Il termine con cui sono indicati i patimenti è θλίψεων (ovviamente è un genitivo), che non è mai usato per indicare le sofferenze di Gesù nella Sua Passione, quindi l’idea è che si tratta dei patimenti di Cristo nell’Apostolo, perché san Paolo vive nella sua carne il peso delle sofferenze legate all’annuncio del Vangelo. Dopotutto lo stesso Gesù che si rivelò a san Paolo sulla via di Damasco gli chiese perché questi Lo perseguitasse (“Saulo, Saulo, perché MI perseguiti?” At 9,5), perché la sofferenza e la persecuzione dei cristiani è in questo senso anche di Gesù, proprio come Egli si è identificato nei carcerati, affamati, assetati, etc.
Quindi non è che manca qualcosa ai patimenti di Cristo nel senso che a Gesù è mancato qualcosa nella Sua vita terrena, ma che questi patimenti di Gesù perdureranno, fino alla fine dei tempi, come direbbe così lo stesso san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi: “è necessario che Egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte” (1Cor 15,26).
…tutta ‘sta roba per dire che noi vogliamo vivere in Cristo anche queste nostre offerte di cui parliamo, in comunione con Lui.
Andiamo avanti e cerchiamo di riflettere su altri elementi utili per ben digiunare.
Non dimentichiamoci che proprio in quanto esseri umani, se è vero quanto detto prima, che abbiamo un’anima, uno spirito e un corpo, è anche vero che dobbiamo fare i conti con la nostra struttura psicologica. Perché con l’opera del digiuno noi possiamo anche avere una panoramica su quest’ultima e, nella misura in cui siamo in grado di compierlo, aprire gli occhi anche su alcuni aspetti altrimenti nascosti.
A tal proposito, senza che sia io a spiegarlo, vi riporto le parole che una volta, un biblista, di nome don Claudio Doglio, proferì in un’omelia:
Il digiuno rispecchia la capacità di autocontrollo che abbiamo, perché il mangiare non è solo una faccenda fisica: dietro al mangiare c’è la nostra psicologia. Esistono parecchie malattie legate al cibo – non questione di digestione – ma proprio questioni psicologiche che rifiutano il cibo o ricercano troppo cibo. Dietro al mangiare c’è il nostro cuore inquieto, problematico, desideroso di più e il cibo diventa un surrogato. Astenerci dal cibo è un esercizio per imparare ad astenerci da ciò che è male. Non è fine a se stesso, non è importante né virtuoso non mangiare qualche tipo di cibo semplicemente per avere la soddisfazione di dire che ho rispettato tale regola; diventa invece uno strumento per controllare la nostra persona, i nostri atteggiamenti, per moderare certi squilibri e tante esagerazioni.
Ripensiamo quindi ora un po’ alla saggezza contenuta in quella omelia e “mastichiamone” il testo: “astenerci dal cibo è un esercizio per imparare ad astenerci da ciò che è male”.
Cioè, non è solo questione di rinunciare ad una pietanza in sé per sé! Oggi sempre più spesso quando si parla di digiuno puntualmente partono i discorsi “digiuno significa digiunare dalle parole oziose, dai nostri vizi, da certe abitudini…”.
Tutto giusto! Ci mancherebbe altro! Ma se il nostro obiettivo è proprio parlare del digiuno corporale, allora rendiamoci veramente conto che non è semplicemente saltare un pasto, ma, nella fede, voler cercare la comunione con Gesù che ha offerto se stesso anche con questa privazione per vivere la solidarietà con gli uomini e – da parte nostra – fortificare la nostra capacità di resistere alle tentazioni!
Vedete, c’erano due confratelli anziani – due fratelli, davvero tenerissimi! – i quali osservavano diligentemente il digiuno per tutta la giornata prevista, ma a mezzanotte e un minuto scendevano in refettorio per mangiare…!
Chiaramente ripenso a loro con dolcezza e col sorriso e senza formulare neppure il minimo giudizio, però a me pare che quel digiuno fosse vissuto un pochino come un peso sulle spalle e non troppo come un’opera puramente ascetica che mira alla compartecipazione delle sofferenze del Signore…
Fatto storico, certo, che vi ho condiviso per scherzare, ma anche per esortarci a riflettere sul se quel digiuno che pratichiamo, da compiersi ordinariamente in tempi stabiliti e in modi stabiliti, odori veramente di offerta al Signore e volontà di fortificarci, oppure più come un fardello che suona come un “uomo per il sabato”, anziché il contrario.
Poco prima, inoltre, don Doglio aveva detto: “Dietro al mangiare c’è il nostro cuore inquieto, problematico, desideroso di più e il cibo diventa un surrogato”.
Questo aspetto lo coniugo con un questo versetto che…non troverete nelle vostre bibbie, ma che in alcune tradizioni testuali occidentali è riportato sia nel Vangelo secondo Matteo che in quello di Marco (citerò quest’ultimo: Mc 9,29): in occasione di un esorcismo, alla domanda sul perché i discepoli non fossero riusciti a scacciare i demoni, Gesù disse “Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera” e, come dicevo, in alcuni manoscritti si aggiunge, “e con il digiuno”, dato che nella Chiesa primitiva il digiuno aveva un significato anti-demoniaco.
Il digiuno ci permette, anche se non ci apparirebbe così a prima vista, di allenarci a combattere l’esigenza del “tutto e subito”, a quel senso di sazietà che è cessazione, in un certo senso, della sensazione del desiderare.
Per essere più chiaro, vi propongo – e capirete subito che intendo dire – un’immagine: quando san Giovanni Battista battezzava, lui di fatto immergeva il penitente COMPLETAMENTE nell’acqua, con la mano sopra la sua testa. Spiritualmente parlando, il tutto aveva questo significato: come io sott’acqua cerco disperatamente l’aria (mettetevi nei panni di chi ha una mano sulla testa sott’acqua…), così io devo cercare il Signore.
Applicatelo in tono minore al digiuno, e ne scoprirete un piacevole esercizio spirituale. Come io desidero la pietanza, così (anzi, ben più!) devo cercare il Signore nella mia vita!
Per tornare al versetto citato poc’anzi – e chiudere immediatamente il discorso –, il demonio ha proprio questo unico obiettivo di farci allentare la presa, non farci vivere in tutto la nostra dimensione filiale col Padre.
Vedete come dall’aspetto psicologico sono ritornato allo spirituale? Perché tutto dev’essere preso in considerazione ma per convogliarlo in quella direzione! Dopotutto san Paolo così scriveva agli Efesini (6,10-18):
10Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. 11Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. 12La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
13Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. 14State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; 15i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. 16Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; 17prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. 18In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi.
E come pare, occorre quindi vivere la disciplina cristiana proprio per essere nelle condizioni di meglio affrontare gli attacchi del demonio…
L’ultimo consiglio che posso offrire è coniugare la buona volontà con il metodo.
Potremmo prendere un esempio dalla letteratura, al pensiero di cosa accadde al personaggio calviniano di Zeno a proposito della sua ultima sigaretta…
Quante volte anche nelle confessioni, vi si arriva con tanta buona volontà, ma senza uno straccio di metodo e si continua a ricadere sempre nelle stesse colpe? Ognuno di noi ha degli aspetti più difficili da sradicare (il cosiddetto peccato abituale…), ma l’obiettivo, lì, è mettersi nella grazia di Dio e cercare con l’intelligenza di ingegnarsi un metodo, una via da percorrere…
Col digiuno, in semplicità, stessa cosa: cerchiamo di capire come siamo fatti, avendo sempre, contemporaneamente, l’idea di non volerci accomodare troppo. Non facciamo tutto all’improvviso, se non siamo abituati, ma poniamoci un obiettivo, restiamo saldi nell’idea che fatto bene ci darà più di quello che crediamo, e alla fame che – possibilmente – busserà alla nostra porta in continuazione, reagiamo in modo ARMONICO, sapendo che faceva parte della scelta fatta e che quella sensazione è proprio quella che stavamo in un certo senso cercando. Per essere con Gesù. Anche così.
Dietro la redazione di san Luca, traspare anche la discussione sulle comunità cristiane e le pratiche giudaiche… Vedi se è il caso di dirlo nella catechesi…
February 19, 2025
Aperte le iscrizioni al Settimo Capitolo Generale del MonasteroWiFi da San Paolo a San Pietro
di Costanza Miriano
Mancano sette mesi alla nuova vita che possiamo cominciare, ottenendo la cancellazione di tutti, tutti i peccati passati, e la cancellazione delle pene che dovremmo scontare. Cioè ovviamente possiamo cominciare una nuova vita anche prima, chiedendo l’indulgenza, passando la porta santa e seguendo tutte le indicazioni che la Chiesa ci offre per poter accedere a questo tesoro straordinario (pentimento, distacco dal peccato, confessione, comunione, preghiera secondo le intenzioni del Papa).
Però il 20 settembre lo faremo tutti insieme, in comunione di cuore e di anima e di intenti, in cordata, con la promessa di pregare gli uni per gli altri e di sostenerci nel nuovo cammino che inizierà. E dove due o tre sono uniti nel suo nome c’è Lui proprio!
Io personalmente ho già passato la porta santa (la mia preferita, quella di san Giovanni in Laterano, che per me è un po’ casa) il 3 gennaio, nel giorno del santo nome di Gesù, una delle mie feste preferite, e devo dire che la grazia è piovuta sulla mia vita. La grazia spirituale, dico, nessuna vincita al superenalotto, niente rughe scomparse o improvviso miglioramento del ritmo di corsa; nessun figlio che vince il Pulitzer o ottiene qualche altro tipo di successo (come la capisco io, la madre di Giacomo e Giovanni, che chiede i posti migliori per i suoi figli…). No, no, proprio la grazia vera, quella che riempie il cuore di entusiasmo (giusto ieri un’amica mi ricordava che l’etimologia di entusiasmo è appunto “nell’essenza di Dio”, en theou ousia, grazie madre Luisa!), che ti fa fare la ola da sola al pensiero che Dio ti ama come il più tenero dei padri, la grazia che ti permette di dare del tu a Dio, che è una roba di una grandezza inaudita.
Ovviamente dal 3 gennaio a oggi ho fatto in tempo a fare quasi tutti i peccati, escluso l’abigeato direi, quindi non vedo l’ora di darmi un’altra possibilità il 20 settembre, e chissà che non sia l’ultima (ci sarò al prossimo Giubileo?). Sappiamo che l’indulgenza si può ottenere anche tante volte, e io credo che lo farò di nuovo anche prima: da un lato non voglio esagerare, come se non mi fidassi della misericordia di Dio, o come se sminuissi la portata del regalo che ricevo, dall’altro penso che Dio sia contento se noi ci prendiamo i suoi regali con abbondanza, come un padre è contento quando i figli scartano i regali sotto l’albero gridando di contentezza (per questo se non ritorneremo come bambini…).
La gratitudine è il vero nome della felicità: quando impariamo a essere grati di quello che c’è, del reale, di quello che abbiamo ricevuto, a dire grazie sinceramente, lo sguardo cambia, smette di ascoltare l’accusatore che ci parla male di Dio, della nostra vita, della nostra storia, delle persone che abbiamo intorno. Ecco, il Giubileo è l’apice di questo grazie: Dio perdona e cancella e dimentica tutto, non è giusto con noi, è generoso e basta, regala tutto, se il nostro cuore è sinceramente pentito, e ci apre gli occhi alla grazia di essere vivi e di poterlo chiamare per nome, di essere con lui.
Niente, tutto questo era per dire che le iscrizioni sono aperte (qui il link: ), per ricordarvi che potete già prendere i biglietti del treno, chiedere ferie, arruolare nonni o babysitter, organizzarvi insomma. Abbiamo pensato la giornata in modo che non sia necessario, nella maggior parte dei casi, dormire a Roma. Si può arrivare a Termini o Fiumicino e arrivare con i mezzi in tempo per l’inizio, più o meno da tutta Italia: la basilica di San Paolo è vicinissima alla metro B, e allo stesso modo si può ripartire da San Pietro, a 10 minuti di cammino dalla metro A.
Per tutte le domande, c’è come sempre la nostra mail capitolo.monasterowifi@gmail.com , per tutto il supporto logistico che dovesse servirvi.
Ricordiamo che ci prepareremo nella Basilica di san Paolo con una preghiera iniziale, e poi con una o due catechesi che ci aiutino a disporre il cuore nel modo migliore, e poi partiremo a piedi alla volta di San Pietro, dove varcheremo la soglia della Porta Santa (possibilmente concentrati sulla grandezza di quello che sta succedendo e senza fare foto!) e poi ci sarà la messa celebrata proprio per noi.
Il cammino, secondo le mappe, è di un’ora e mezza, ma probabilmente dovendo attraversare le strade e scendere e salire scale in un gruppetto abbastanza nutrito, immaginiamo, ci metteremo un po’ di più, ma ci saranno persone che ci aiuteranno a fermare il traffico. Le scale le faremo perché dove è possibile cammineremo lungo gli argini del Tevere, in modo da stare lontani dalle macchine (nessuno di noi deve essere acciaccato, non prima di passare la Porta Santa almeno). Noi dovremo solo pensare a camminare e pregare (stiamo organizzando in modo da riuscire a farlo tutti insieme, sincronizzati).
Come sempre, è tutto gratuito: l’iscrizione serve solo per comunicare i numeri alle autorità e preparare le sedie e tutto quello che servirà per accoglierci. (Se poi invece qualcuno vuol donare, sapete che tutto viene usato o per il Capitolo o per il ritiro dei nostri amati sacerdoti, quest’anno oltre 40 hanno beneficiato della vostra generosità).
Io direi di sbancare il cielo, e venire in tanti a ottenere questa grazia, a cominciare una nuova vita, a riprendere più spedito il cammino verso il cielo; lo so, cammineremo forse anche tra le radici, qualche marciapiede un po’ sconnesso (ma la tortura che ci è stata inflitta con le decine di cantieri negli ultimi mesi devo dire che ha portato dei frutti) e qualche rifiuto, ma dentro tanta bellezza, e con intorno tanti amici. Non è così anche la nostra vita, un cammino tra la bellezza e la bruttezza, che diventa lieto se va verso Dio, con i fratelli?
February 13, 2025
Il Settimo Capitolo Generale del MonasteroWiFi: da San Paolo a San Pietro per chiedere l’indulgenza
di Costanza Miriano
“Ecco, ora è giunto il momento opportuno, ecco, ora è il giorno della salvezza”, scrive san Paolo, è l’anno di grazia, non possiamo lasciar cadere questo regalo. Siamo tutti invitati al prossimo capitolo generale del Monastero wi-fi il 20 settembre a Roma, per varcare tutti insieme la Porta Santa.
Riceveremo il regalo più grande che si possa chiedere, è l’anno della liberazione. Noi busseremo alla Porta, perché quando Gesù busserà alla nostra ci trovi pronti: “egli – scrive sant’Ambrogio – bussa alla tua porta quando il suo capo è madido di rugiada notturna. Ascolta, egli bussa. Ascolta, egli ha voglia di entrare. Aprimi, sorella mia amata, mia colomba, mia bellissima… Egli si degna di visitare chi si trova nelle angustie e nelle tentazioni, perché non vuole che qualcuno soccomba sotto il peso schiacciante delle angustie. Se tu dormi e non è sveglio il tuo cuore egli se ne va ancor prima di bussare. Se il tuo cuore è sveglio, e chiede che gli sia aperta la porta.”
Gesù è la porta, ma noi dobbiamo tenere il cuore sveglio, riconoscere il regalo che riceviamo con il passaggio della Porta Santa. L’indulgenza è la cancellazione delle pene temporali per i peccati compiuti. Quando confessiamo un peccato, rimane comunque il dovere di riparare le colpe, e le conseguenze di quello che abbiamo fatto le dobbiamo sostenere sulle nostre spalle. Invece l’indulgenza cancella la pena temporale, quella che dovremmo riparare su questa terra (con preghiera, penitenza, carità) o in purgatorio, dove ci purificheremo per poter godere della visione di Dio.
L’indulgenza ci purifica, cancella il male passato. Come dice sant’Ilario: “ecco dunque la prigionia ormai distrutta del popolo di Dio, quando si aprono gli occhi dell’intelligenza, quando si rilassano nel riposo i cuori infranti dai peccati, quando è annunziato un anno di grazia del Signore… quando nulla del passato è più imputato a colpa”.
Siamo grati dunque a Dio perché il prossimo 20 settembre potremo vivere tutti insieme questo momento di grazia incredibile che ci darà un cuore nuovo, potrà fare nuova tutta la nostra vita.
A dire la verità, quando abbiamo provato a chiedere una delle quattro Basiliche Papali romane per poter organizzare il nostro ormai “solito” capitolo generale e nessuna delle quattro era disponibile per tutta la giornata a causa del Giubileo, ci è sembrato un impedimento.
Ma come mi ricordava solo qualche giorno fa un’amica, “ogni impedimento è un giovamento”.
E così ha preso forma sotto i nostri occhi un programma, senza che lo pensassimo noi, suggerito dalle circostanze, o meglio dalla Provvidenza. Siccome la Basilica di san Paolo era disponibile la mattina del 20 settembre, e quella di San Pietro lo era nel pomeriggio, ci siamo adattati, e il risultato è un programma bellissimo.
A San Paolo fuori le Mura ci ritroveremo per disporre il nostro cuore all’ascolto con la preghiera, e poi ascolteremo dei sacerdoti che ci aiuteranno a capire cosa significa il Giubileo, cosa riceviamo con l’indulgenza. Con lo sguardo diretto verso la meta della Porta Santa, partiremo a piedi verso San Pietro: cammineremo pregando, senza chiacchierare, cercando di tenere il cuore desto e in attesa. Arriveremo – dopo un cammino di un’ora e mezzo secondo google maps – tutti insieme a San Pietro, e lì passeremo la Porta Santa, poi ci sarà la messa.
Il tutto comincerà in tarda mattinata e finirà nel pomeriggio (intorno alle 16.30) in modo che si possa venire a Roma da tutti i punti d’Italia in giornata, senza la necessità di dormire a Roma (visti i costi proibitivi che in questo anno hanno raggiunto alberghi e simili).
Cerchiamo di alzare la media del primo Giubileo, quello del 1300, quando secondo una mistica del tardo medioevo – non ricordo quale, a dire il vero – solo tre persone ottennero davvero l’indulgenza perché avevano davvero consegnato i loro peccati con cuore contrito. Cerchiamo di aiutarci l’uno con l’altro a non buttare via questa occasione. Una nuova vita, un cuore nuovo non capita tutti i giorni di riceverlo!
February 11, 2025
Sto benissimo, soffro molto – Cinque Passi al Mistero
Cari amici, Nel quarto appuntamento dei Cinque Passi al Mistero 2024-2025, si affronterà il tema della malinconia e della tristezza.
Sabato 15 Febbraio 2025, ore 16:00
“STO BENISSIMO, SOFFRO MOLTO. Quel (sottile) amore per la tristezza”
Il quarto dei Cinque Passi al Mistero 2024-25
“La malinconia non è una colpa morale! Un conto è il fatto che la malinconia c’è e che ci sono persone più o meno inclini ad essa, altra cosa è assecondare questa bestia immonda e addirittura nutrirla fino a renderla obesa per non rinunciare al gusto di rivendicare e di sentirsi vittima”
Vi aspettiamo Sabato 15 Febbraio 2025 alle ore 16:00 alla Chiesa Nuova (Chiesa di Santa Maria in Vallicella, piazza della Chiesa Nuova).
L’incontro verrà registrato e trasmesso in differita Mercoledì 19 Febbraio alle ore 21:00 sul canale YouTube di Oratorium.
Non mancate!
padre Maurizio Botta
A questo link troverete TUTTI i Passi di questi diciassette anni già suddivisi per macro-temi. Buon ascolto!
January 12, 2025
Riprendono gli incontri del lunedì del MonasteroWifi Roma
Riprendono a Roma gli incontri del primo lunedì del mese (in realtà questo è il secondo, ma il primo lunedì era l’Epifania). Ci vediamo, per chi vuole, per un momento conviviale alle 20,30, Poi alle 21 al Battistero di san Giovanni in Laterano avremo con noi don Gianfranco Lunardon per una catechesi su “digiuno dieta del pellegrino”. Informazione fondamentale, si può parcheggiare nel parcheggio della Lateranense (parola d’ordine per la gendarmeria “Monastero Wi-Fi)!
Ovviamente l’incontro è apertissimo a tutti.
Qui sotto la trascrizione dell’ultima catechesi di dicembre.
***
DIGIUNO E SPERANZAMonastero WiFi, Battistero di S.Giovanni in Laterano
Catechesi Don Carlo Lorenzo Rossetti, lunedì 3 dicembre 2024
Preghiamo: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Signore ti ringraziamo e ti benediciamo di tutti i tuoi doni, della grazia di stare qui questa sera, della grazia particolare di poter condividere le cose della fede insieme ad amici, sorelle, fratelli, in questo tempo che è appena iniziato dell’Avvento e anche nell’imminenza di questo Anno Santo di grazia che tu ci doni. Donaci lo Spirito di Verità, d’Intelligenza, di Consiglio, di Sapienza, affinché possiamo approfondire le realtà della fede che tu ci proponi attraverso tuo Figlio Gesù. Te lo chiediamo nel Suo nome, Lui che è alla Tua destra e intercede per noi e vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen”
Bene. Allora, io non so se devo ringraziare Costanza perché mi ha dato un tema, il “digiuno”, che è uno degli ultimi ai quali avrei mai pensato di dover dedicare una serata con fratelli e sorelle.
Quando ho visto ”digiuno”… poi dopo meno male che ha detto: ”Che tema vorresti collegare con il digiuno?”.
Allora siccome c’è il Giubileo della speranza, vi parlerò di digiuno e speranza o se volete un titolo un po’ alternativo sarebbe “Digiuno no, digiuno sì. Il digiuno cristiano tra il già e il non ancora.”
Vi spiego subito il perché.
In tutte le religioni del mondo si parla di digiuno. Nell’ebraismo, se leggete il libro di Tobia, le tre opere che dice Gesù, preghiera, elemosina e digiuno, le dice tali e quali Tobia nell’Antico Testamento. L’Islam, sapete benissimo, ha ripreso queste tre opere di giustizia, di verità, che sono appunto la preghiera, l’elemosina e il digiuno. Ma poi tutte le altre religioni orientali stimano moltissimo il digiuno, che ha poi delle motivazioni diverse.
Voi sapete che nell’Antico Testamento ci sono degli esempi straordinari di digiuno che sono proprio i due dialoganti di Gesù sul monte Tabor, Mosè e Elia. Tutti e due hanno fatto questa esperienza di quaranta giorni di digiuno come segno di attesa della parola di Dio, di purificazione.
Poi nell’Antico Testamento il digiuno è sempre collegato con la penitenza, allora il digiuno viene anche connesso con il rivestirsi di ceneri, rivestirsi di sacco, in modo da esprimere anche fisicamente la penitenza.
Ci sono anche dei Re piuttosto malvagi che però, presi da penitenza, si sono messi a digiunare, a cospargersi di cenere e Dio ha gradito questo come segno di penitenza.
Gesù, subito dopo il battesimo, compie questo gesto di quaranta giorni e quaranta notti nel deserto, dove lui sarà il vero Israele a combattere contro il nemico e combattendo anche proprio con il digiuno per manifestare, e questa è la sua parola, che “l’uomo non vive solo di pane ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.”
Però la cosa interessante e un po’ intrigante su questo tema del digiuno, è che in uno dei primissimi dialoghi che Gesù ha con i discepoli di Giovanni Battista, Gesù si dimostra molto innovatore nei riguardi del digiuno.
Io mi ricordo di un anziano professore gesuita, Jean Galot, era anche un consultore di Giovanni Paolo II, che diceva: ”Non bisogna digiunare, un cristiano non digiuna, lo dice Gesù, non si digiuna, lo sposo è con noi e non si può digiunare, non si deve digiunare”. Questo diceva Jean Galot, professore. E in effetti dice questo Gesù e noi dobbiamo avere anche questa avvertenza.
Questo ci consola un po’ perché io vi dico subito appunto che è un tema ostico un po’ per tutti in particolare per me. Chi mi conosce sa che sono una buona forchetta e mi piace dire come dice Tertulliano ,che era un uomo molto irascibile e che ha dovuto scrivere un trattato sulla pazienza. Tertulliano disse: ”E’ come chiedere ad un malato di parlare della salute”.
Capito? Quindi, va bene, prendete quello che il Signore vi ispirerà.
Allora Gesù risponde a questa domanda:“Perché i discepoli di Giovanni, noi e i discepoli dei farisei digiunano e i tuoi discepoli non digiunano?” e Gesù risponde queste parole che noi conosciamo bene e dice: “Possono forse gli invitati alle nozze digiunare mentre lo sposo è con loro? No, finché lo sposo è con loro non possono digiunare. Ma verranno giorni in cui lo sposo sarà tolto loro e in quel tempo, in quel momento, loro digiuneranno”.
Ecco questo è ambivalenza del digiuno in regime cristiano.
Io vi dico subito che dobbiamo stare attenti all’originalità del digiuno nel cristianesimo.
Cioè noi non digiuniamo come i mussulmani o come gli ebrei, come le altre religioni. C’è una cosa tipica del digiuno Cristiano: alcune cose le dice, per chi volesse approfondire queste cose, un documento dei Vescovi italiani, un documento un po’ vecchiotto del ’94. La CEI ha scritto un documento, invitando i cristiani a riscoprire il digiuno, è molto interessante. E dice appunto che c’è un’originalità del digiuno cristiano e allora io posso dire questo: il digiuno cristiano è preso tra un già e quindi digiuno no, e un non ancora e quindi digiuno Si.
Il cristiano non digiuna, festeggia, e poi il cristiano digiuna e sperimenta anche nel corpo questa privazione, questa mancanza, questa ascesi, questa sete, questo non mi basta, questa speranza.
E se volete le due parole, digiuno No, le potete legale a una virtù teologale, che si chiama la FEDE.
A me piace dire che la Fede è la regina, la fede è una virtù regale, è una virtù che dà forza.
Chi è che vince il mondo? La nostra fede.
C’è una dimensione di Vittoria nella Fede, la fede è gioiosa, la fede è libera, la fede è pacifica, perché la fede è consapevole di una ricchezza straordinaria.
Che cose vuol dire credere? Significa accettare l’amore di Dio.
Voi tutti avete ricevuto questa immaginetta e l’avete riconosciuta. L’avevamo fatta dare a migliaia di copie. Ve lo presento, non so se avete riconosciuto questo volto, questo volto è il volto del Cristo di San Damiano, è un Crocifisso. E se vedete qui, si vede che il costato di Gesù è trafitto, quindi Gesù è morto sulla croce.
Perché gli hanno fatto la ferita dopo la morte? Per sincerarsi che fosse veramente morto.
Eppure se guardate gli occhi, gli occhi sono grandi, aperti e sono sereni. Come quelli di un PANTOCRATOR, “mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”.
E poi se vedete lo sguardo di Maria, Maddalena e Giovanni, accanto alla Croce non è uno sguardo di tristezza, ma c’è già il sorriso della Pasqua. Come dire questo è già esattamente, quello che dice l’Apocalisse: “Vidi sul trono in piedi l’agnello immolato”.
Cristo, morto e crocifisso e risorto per noi. Questo non è realistico, ma è vero.
Sappiate che la verità e più grande della realtà che noi vediamo, perché la verità è la realtà come la vede Dio, e quando Dio vede Gesù, Gesù crocifisso, subito lo vede come suo figlio, e lo ama infinitamente e lo vede e lo riconosce come suo figlio che lui genera nella risurrezione.
Bene questa non è una fotografia del Venerdì Santo
E’ paradossale, i francescani dopo hanno poi diffuso solo il Cristo sofferente.
Qui siamo nel 12° sec ed e tipicamente italiano e trovo geniale, perché questa non è una rappresentazione del Crocifisso e basta, ma è un annuncio pasquale. E’ la morte e risurrezione.
La morte di Gesù è la vittoria sul peccato, la risurrezione è vittoria sulla morte fisica.
Per questo mi piace moltissimo questa immagine, per dire che cosa? Per dire che noi, e questo è il primo aspetto di questa piccola catechesi, noi non possiamo essere tristi, non possiamo digiunare, non possiamo essere con il muso da quaresima, così come dice anche il Papa: ”NON ESISTE UN CRISTIANO TRISTE.”
Poi, dopo ne parleremo, esiste il cristiano che piange, che è afflitto. Ma è un’altra cosa e guardate è impressionante: nella nostra fede c’è tutto!
Io sono cattolico καθολικός, che abbraccia il Tutto. Nella nostra fede c’è spazio per la totalità.
Anche dell’esperienza umana, ma la prima esperienza, io vi dico, ricordatevi questo: DIGIUNO NO! Perché? Perché ci è dato lo Sposo, è arrivato il Messia che già nell’antico Testamento i profeti annunciavano: “La tua terra non sarà più desolata, tu ti chiamerai amata, mio compiacimento, sposata da Dio”.
E nell’Antico Testamento, è il Signore, Jahvè, che è lo Sposo di Israele.
Tuo Sposo e tuo Creatore, in Ezechiele, anche, questa storia di amore di Dio verso il suo popolo, storia di intimità. E quando Gesù si presenta come lo Sposo, qui già c’è un’affermazione potentissima della sua identità.
In quest’anno 2025 ricorderemo il Concilio di Nicea: “Dio vero da Dio vero, generato, non creato” veramente Dio, ma dicendo che Gesù con questa affermazione dice “Io sono lo Sposo” lui sta prendendo il posto di Dio nell’Antico Testamento. È colui che rappresenta veramente l’amore di Dio per il suo popolo, un amore totale. E questo amore totale implica una comunione, infatti tutto nel Nuovo Testamento, i Vangeli Sinottici riportano questo loghion, questa frase, finché lo sposo è con loro non possono digiunare.
E poi San Giovanni, scrive tutta una teologia nuziale su Cristo che è lo Sposo.
L’amico dello Sposo, Giovanni Battista, si rallegra solo a sentire la sua voce. Io sono contento, lui deve crescere, lui è lo Sposo. E Giovanni Battista che immagina in tutta la chiesa, e questo indice puntato verso lo Sposo “è lui lo Sposo, l’Agnello di Dio, il Salvatore”.
Poi San Paolo dice ai Corinzi “io come apostolo vi presento come una fidanzata al Signore Gesù che è il vostro sposo. E poi avete il culmine, che è la lettera agli Efesini, dove San Paolo dice questa cosa stupenda, che voi conoscete bene, qualche volta si legge durante le celebrazioni matrimoniali, “Mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la chiesa”.
E cosa fa Cristo verso la sua Chiesa? La nutre, la cura e poi le fa come un lifting per eliminare da lei ogni sorta di ruga e di macchia, per presentarsela pura santa e immacolata.
Questo significa che la Chiesa, finché siamo su questa terra sarà sempre un pochino bruttina, purtroppo, e tutto quanto nella Chiesa “semper reformanda”, La Sposa di Cristo. E c’è questa dimensione di escatologia, e alla fine ci sarà la pienezza di questa sposa: quando Cristo vedrà la sua sposa, ecco la sposa dell’Agnello, vestita di lino puro bianco, che sono le opere di tutti santi, ed è pronta per le nozze : “Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello.”
Quindi prima cosa, amici, ricordatevi, lo Sposo è venuto, e noi non possiamo fare finta di niente.
Il cristianesimo ci dice che Cristo porta nel mondo la pienezza della Sapienza e la pienezza del culto divino.
Nell’antico testamento, a proposito del pane e del vino, avete due immagini forti, che vi ricordo: la prima è dal Libro dei Proverbi, al capitolo 9, dove si dice: “La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue colonne, ha ucciso gli animali, ha preparato il vino, ha imbandito la tavola, ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città: “chi è inesperto venga qui”. E a chi è privo di senno essa dice: “venite, mangiate il mio pane, bevete il mio vino”. Mangiate il mio pane, bevete il mio vino: banchetto offerto dalla Sapienza con una S maiuscola. “Abbandonate la stoltezza e vivrete”.
E poi c’è un altro momento in cui si parla di pane e vino. Non so se vi ricordate, nell’Antico Testamento si parla di Melchisedek, questo sommo sacerdote che benedice Abramo (quindi è superiore ad Abramo), figura misteriosa, senza genealogia. E questo Melchisedek compie un rito e anziché offrire scannando capri, tori e vitelli, porta solo pane e vino, offre pane e vino.
E c’è un Salmo che dice che il Messia sarà sacerdote al modo di Melchisedek, e questo Messia porterà un banchetto, e il profeta Isaia annuncia cosa si festeggerà in questo banchetto. Se leggete il capitolo 25 di Isaia, si dice che il Signore preparerà per tutti i popoli, su questo monte, a Gerusalemme, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati; egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli, eliminerà la morte per sempre.
Ecco quello che si festeggerà in questo banchetto preparato da Dio: l’eliminazione della morte, la vittoria sulla morte. Ecco il nostro Dio: in Lui abbiamo sperato perché ci salvasse, Lui è il Signore in cui abbiamo sperato, rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza.
Ebbene, vedete, Gesù Cristo è la Sapienza incarnata, è il sacerdote al modo di Melchisedek, è questo sposo che viene e che, offrendosi a noi, ci offre il suo corpo e il suo sangue, il suo pane e il suo vino, corpo di obbedienza, sangue di misericordia: “non ho voluto sacrifici nè oblazioni, l’obbedienza mi è gradita”.
E Cristo sulla croce è tutto obbedienza, tutto offerta al Padre e noi, comunicando al pane consacrato, comunichiamo a questa obbedienza di Cristo e, bevendo il calice del sangue di Cristo, ci abbeveriamo alla misericordia della nuova alleanza.
E allora Cristo è questa Sapienza che ci offre il vero pane e il vero vino, la sua obbedienza è la sua misericordia. E i cristiani celebrano questo: tutte le messe, tutte le eucaristie sono un grido di gioia.
Cosa facciamo durante la S.Messa?
Lo dice San Paolo: “Noi, comunicando al corpo di Cristo, al sangue di Cristo, noi annunciamo la sua morte, finché Egli venga”.
Annunciamo che questa morte di questo Gesù, morto sulla croce, è l’unica cosa che rimane in eterno.
Tutto passa, ma questo amore, questo affidarsi di Gesù al Padre, questo suo avere misericordia dei peccatori (“Padre perdonali”), questo è il culto gradito a Dio: obbedienza e misericordia.
E Cristo ci ha dato il suo pane, il suo vino, perché noi possiamo entrare in comunione con Lui ed essere un solo spirito con il Signore Gesù.
Allora, vedete, per un cristiano questo è l’anticipo del paradiso!
Che cos’è il paradiso? Paradiso è comunione intima con Dio, comunione con gli altri e noi, in quanto cristiani. Non esiste un cristiano triste, perché il cristiano è colui che ha trovato la salvezza, ha trovato la perla preziosa e può andare in giro, deve andare in giro, a comunicarlo agli altri: “Rallegratevi con me ho trovato la perla preziosa, ho trovato il tesoro nascosto che è Gesù Cristo, che è la sua grazia, il suo spirito e quindi, se siamo nella festa, non possiamo digiunare”
Allora perché siamo qui? Perché dobbiamo parlare anche dell’altro aspetto che forse vi dispiace un po’, a me da un po’ … sì … però è bello, son contento di parlarvi di questo perché mi ha fatto scoprire tante cose che è bello scoprire.
Perché il cristiano così come è pieno di gioia per una salvezza trovata – e questa è la fede – c’è un altro aspetto che è l’aspetto – se volete – che LA FEDE CI RADICA o ci fa posare i piedi sulla roccia.
Emunàh in ebraico – riconoscete la parola amán – significa la capacità di dire: è così, è solido, è forte, come un uomo che mette i piedi su una roccia. Bene, questa è la fede!
La fede è una dimensione di saldezza, granitica, certa, però la nostra fede non è solo … io dico sempre che fede e speranza sono due sorelle: una è molto conservatrice l’altra, più progressista, è la speranza.
Noi siamo molto in pace – ecco vedete la fede ci da la pace – se tu hai fede tu sei così sazio di Dio, sei così grato al Signore che non hai più paura e sei un po’ come il bambino del salmo “nulla mi manca”, come un bambino svezzato sul petto della mamma.
C’è questo nella nostra esperienza e dobbiamo averlo e dobbiamo gridarlo di gioia.
E’ l’esperienza della Pasqua, l’esperienza della gioia condivisa, l’esperienza della – dicevano i mistici e lo dicono sempre – inabitazione trinitaria, che Dio abita dentro di te, lo Spirito Santo che ti convince che Dio è Padre per te come lo è per Gesù e questo è l’inizio del paradiso: che tu possa dire a Dio papà, padre, padre mio. Questa è la gioia più grande che ci sia.
La fede ci mette in questa certezza, questa forza, ma nello stesso tempo è la stessa fede che poi diventa speranza. La fede ci fa guardare indietro, ci fa guardare il Golgota, ci fa guardare l’atto di amore di Cristo, ci fa guardare il sepolcro vuoto, ci fa credere che c’è la Risurrezione.
Che a questo Gesù, Dio Padre ha detto tu sei mio Figlio, io oggi ti genero e ti do la vita eterna. Tu sei mio Figlio, tu non puoi rimanere nella tomba, il tuo amore non è degno di diventare polvere.
Mi piace molto una frase di Origene che dice che è giusto dire al peccatore, ad Adamo, tu sei polvere e in polvere ritornerai, ma quando Dio padre ha visto il nuovo Adamo, ha visto questo amore, ha detto un’altra cosa, ha detto tu sei cielo e in cielo verrai, tu sei mio figlio.
E Dio Padre ha glorificato Gesù e noi siamo il popolo della gloria, il popolo dell’Amen, dell’Alleluia, “E’ risorto, è veramente risorto” e quindi il popolo della Pasqua e al centro della nostra fede c’è la Pasqua, lo Sposo che è venuto, l’incarnazione, Gesù Cristo che ci ha insegnato la Verità.
Mi piacerebbe tanto parlare di questo ma non c’è tempo. E che ci da?
Le cose più grandi che noi possiamo avere. Queste tre cose che sono: essere figli di Dio, essere santi nell’amore, essere gloriosi nella resurrezione. Qui sulla terra già nella speranza.
A me piace chiedere a proposito di speranza tu da 1 a 100 quanto credi che ci sia il Paradiso?
Da 1 a 100. Cento? Di più? Braviiiiii!!!!! Ah vedo che siamo cristiani!
Sono stato scandalizzato di vedere una cartina sulla fede nell’aldilà in Europa ed era micidiale: 48, 50, 51, 34 in Francia, nei posti così … si salvava la Turchia: 91.
Ragazzi ma per un cristiano – daccordo? – la fede diceva San Tommaso è incoatio vitae eternae in nobis, è l’inizio della vita eterna dentro di noi. Allora vedete noi siamo salvati, siamo messi su questa roccia della nostra salvezza che è Gesù Cristo e che ci da un modo nuovo di essere.
Però, ecco, la fede guarda indietro, ma la speranza ci fa guardare in avanti ed è qui che scatta la dimensione anche del nuovo digiuno.
Verrà un tempo in cui il loro maestro, lo sposo, sarà loro sottratto e in quel momento loro digiuneranno.
Cosa significa? Qual è questo momento in cui lo sposo è sottratto?
Potremo dire che sono due aspetti…è sottratto a causa degli uomini perché Gesù viene arrestato, viene consegnato, viene tradito da Giuda, viene arrestato dai capi del popolo, viene consegnato ai Romani e subisce il processo, subisce la tortura, la flagellazione, lo scherno, l’incoronazione di spine, la flagellazione,…poi, la Passione, la morte, la sepoltura, la discesa agli inferi… “colpirò il Pastore e il gregge sarà disperso”” Questo è l’essere sottratto di Cristo e in quel momento loro, i discepoli, digiuneranno.
Voi sapete che nella prima Chiesa una delle cose che più colpiva i pagani era il grande digiuno pasquale che facevano i cristiani…dal Venerdì Santo, dal venerdì alle 3 del pomeriggio, fino all’alba della domenica, tutto il tempo della passione, della morte e il Sabato Santo, la discesa di Cristo agli inferi…diceva questa antica omelia che parecchi di voi conoscono…diceva: “Che cosa è avvenuto? (il sabato).
Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio, il Re dorme e la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi”… e poi continua su questa discesa di Cristo nel regno dei morti, che è una discesa anche gloriosa: e questo è il secondo aspetto! Vedete, nella nostra prospettiva, il digiuno è dovuto prima di tutto a questo fatto. Che noi, umanamente, facciamo memoria di questo momento drammatico, in cui Cristo è stato solo, abbandonato da tutti.
E Cristo muore sulla Croce, nella solitudine più totale. Questo grido della Croce: “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?”Non è che sta pregando o sta recitando una preghiera: sta vivendo quella preghiera! Sta sperimentando per amore nostro la sorte dell’uomo abbandonato,del peccatore più grande che ci sia, che sperimenta la solitudine totale e noi in quel momento non possiamo fare festa!i è sottratto lo sposo e allora per tutto il Venerdì Santo e il Sabato Santo i cristiani fanno digiuno…ancora oggi eh…è previsto dalla Chiesa che il digiuno non sia solo venerdì ma è consigliato che si prolunghi anche nel Sabato Santo.
Però questo andare al Padre ha un’altra dimensione anche. Non ha solo questa dimensione drammatica dell’essere condannato, dell’essere messo a morte, ma ha anche questa dimensione del fatto che Gesù ci è sottratto allo sguardo e, come dice il Kerigma di San Pietro negli Atti degli Apostoli, Cristo deve essere mantenuto, custodito in cielo fino alla restaurazione di tutte le cose.
Se qui ci fosse un teologo saprebbe che questa parola “restaurazione” ha suscitato molti problemi perché sapete come si dice in greco? Si dice “apocatastasi” che vuol dire rimessa tutto in ordine. Poi c’è un teologo, un mio caro amico: ho fatto la tesi su di lui poverino…è stato male…Origene d’Alessandria…e lui parlava di questo… ma lo dice la scrittura, parla di questo e lo dice anche l’inno alla Kenosis, ai Filippe… dice che Cristo si è fatto uomo, si è spogliato di tutto e, a causa di questa obbedienza, è morto in croce e per questo Dio lo ha esaltato, lo ha glorificato…e tutti, in cielo, sulla terra e sotto terra, tutti diranno che Lui è il Kyrios, il Signore… e ci sarà questa restaurazione di tutte le cose e tutto riconoscerà.
Abbiamo festeggiato la regalità di Cristo. Tutti si piegheranno e diranno: Lui è il Signore, Lui è la Verità. Questo amore è l’unica cosa che rimane in eterno. Tutto passa, ma questo amore resta, l’Agnello vive e trionfa. Questo ricapitolare tutto in Cristo. Ma per il momento, e qui è il digiuno, vedete, in questo momento noi digiuneremo, perché Cristo è alla destra del Padre. E qui, attenzione, noi siamo abituati a vedere Gesù alla destra del Padre solo nella Sua Maestà, nella Sua Gloria.
E invece, Gesù sicuramente regna, ma non dobbiamo avere una visione trionfalistica del Regno di Gesù. Gesù, in questo momento in cui sto parlando, in cielo sta regnando, ma è anche sacerdote ed è sempre vivo per intercedere a nostro favore. E Cristo continua la sua intercessione.
E c’è ancora un testo impressionante, sempre di Origene, che cita il Levitico. Sta commentando il Levitico, e nel Levitico trova scritto che il sacerdote quando deve compiere il sacerdozio, il sacrificio, deve astenersi dal bere vino e lui lo collega con questa frase che dice Gesù: “Non berrò più del vino finché lo berrò nuovo nel Regno.” E parla del digiuno di Cristo. In cielo Gesù sta digiunando. Strano, sì, dice così.
Vediamo come il nostro Salvatore non beve più vino fino a che non berrà con i Santi, vino nuovo nel Regno di Dio. Egli stesso, in questo momento, è avvocato per i nostri peccati presso il Padre.
Come dichiara Giovanni, Suo intimo, dicendo “se qualcuno ha peccato, abbiamo come avvocato presso il Padre, Gesù Cristo. Come, dunque, potrebbe bere il vino della gioia Colui che è avvocato per i miei peccati, quando io lo rattristo, peccando?”.
Infatti, San Paolo, l’apostolo, lui stesso piange su alcuni che hanno peccato e non hanno fatto penitenza dei loro delitti. Che dire di Lui stesso, che è chiamato Figlio dell’amore, che si è annientato a causa dell’amore che aveva per noi, che non ha cercato il suo vantaggio quando era uguale a Dio, ma ha cercato il nostro bene, e per questo si è come vuotato di sé stesso. Così dunque avendo cercato il nostro bene, ora non ci cercherebbe più, non penserebbe più ai nostri interessi, non soffrirebbe più dei nostri tradimenti, non piangerebbe più sulla nostra perdita… Egli che ha pianto su Gerusalemme, colui che ha preso le nostre ferite e ha sofferto a causa nostra, come il medico delle nostre anime e dei nostri corpi, ora trascurerebbe la corruzione delle nostre piaghe?
Dunque, per noi tutti, Egli sta ora davanti a Dio intercedendo per noi, attende dunque che noi ci convertiamo, che noi imitiamo il Suo esempio, che seguiamo le Sue tracce, per godere allora con noi e bere con noi il vino nel Regno del Padre Suo. Non vuole bere da solo il vino del Regno. Ci aspetta perché ha detto “fino al giorno in cui io lo berrò con voi”. Lo berrà di nuovo più tardi quando tutte le cose gli saranno sottomesse. Ed essendo tutti salvi e distrutta la morte nel peccato non sarà necessario offrire vittime per il peccato.
E poi dice a noi “avrai la gioia quando lascerai questa vita, se sarai stato Santo, ma la tua gioia sarà piena quando non mancherà nessun membro al tuo corpo, perché anche tu attenderai gli altri come fosti atteso tu”. E questo lo ritrovate in San Bernardo, testo bellissimo, si è letto durante la festa di tutti i Santi.
Dice che i Santi ci aspettano in cielo e noi sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano.
Affrettiamoci verso coloro che ci aspettano. I Santi in un certo senso non sono nella pienezza totale della gioia. Questa è un’intuizione che vale la pena di riprendere. E quello che dice anche, guardate, parte in modo molto drammatico, Pascal, Blaise Pascal, che dice “Jésus est en agonie jusqu’à la fin des temps”, Gesù è in agonia fino alla fine dei tempi”.
C’è una dimensione di passione che si prolunga e Cristo soffre a causa delle persecuzioni: “Saulo, Saulo perché mi perseguiti?” d’accordo?
E Cristo intercede per noi, e Cristo vuole la conversione degli uomini, Cristo prega il Padre perché noi ci convertiamo; e i santi, che sono con Lui, regnano con Lui, ma sono sacerdoti con Lui, e anche loro intercedono e aspettano la conversione.
Quindi non abbiamo un’idea troppo statica della Chiesa trionfante. Chiesa trionfante, ma senza trionfalismi, e con molto sacerdozio, con molte intercessioni; e quindi dice Bernardo: “Allora Cristo apparirà come Capo glorioso; e con Lui brilleranno le membra glorificate. Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Noi dobbiamo desiderare questo. Dobbiamo avere fame di gloria, e questa fame è tutt’altro che pericolosa. Il desiderio che Cristo, la nostra vita, si manifesti. “
In fondo perché dobbiamo digiunare? Perché?
Perché noi siamo beati, beati quelli che piangono.
Ho detto non dobbiamo essere tristi, ma dobbiamo piangere.Beati quelli che piangono…
Perché piangiamo?
Che cosa significa questa beatitudine, e beati quelli che piangono è lo stesso verbo che usa Matteo a proposito di “ gli invitati alle nozze non possono “ πενθειν” penzein, il “πενθος” penzos, non possono fare penitenza….. ma c’è una penitenza, c’è un “penzos”, una compunzione, c’è un dolore perché Cristo ancora non è apparso pienamente nella gloria.
Noi siamo pieni di gioia perché Cristo ha vinto la battaglia decisiva, ma siamo pieni di “pemfos”, siamo pieni di digiuno, di speranza, di desiderio; ci manca qualcosa, ci manca la pienezza .
Ci manca, se volete, un’espressione che usano i teologi è “il già è stato già dato”; la vittoria è stata già garantita.
Come in una guerra c’è una battaglia decisiva, chi vince quella battaglia vince la guerra. Però poi la guerra può continuare molto.
Il nemico continua, sappiamo che perderà alla fine, ma noi aspettiamo il giorno della vittoria, il D-day, eh, e questo sarà alla fine, quando Cristo verrà nella gloria, quando la Gerusalemme celeste si manifesterà, e noi piangiamo perché vediamo che ancora molte cose non sono sottomesse a Cristo; che ancora molto male c’è nel mio cuore, nel nostro cuore.
Il Santo piange sui propri peccati, piange sul male che c’è nel mondo, “fiumi di lacrime mi sgorgano dagli occhi perché non osservano la Tua legge Signore”. E noi, quando vediamo queste cose orribili, non c’è bisogno neanche di parlarne, l’attualità ce le dimostra: cose inimmaginabili, guerre, attentati, femminicidi, aborti, matrimoni omoses…. cose allucinanti…. ecco noi piangiamo.
E noi siamo tenuti a combattere. Dice san Paolo . “Io completo in me quello che manca ai patimenti di Cristo, per la Chiesa”.
Cioè la Chiesa ha un compito anche di combattere questa buona battaglia della fede, perché tutto si sottometta a Cristo; e vedete, santa Teresina di Lisieux questo fatto del cielo che non è statico, e non è la pienezza già della gioia, della felicità, ma c’è ancora questa partecipazione con il dolore che c’è nel mondo; diceva Teresina : “Ecco io sento che sto per entrare” qualche mese prima di morire, “io sto per entrare nel riposo, ma soprattutto sento che sta per iniziare la mia missione, la mia missione per far amare il buon Dio come lo amo io, per donare la mia piccola via alle anime; se il buon Dio esaudirà i miei desideri, il mio cielo sarà sulla terra fino alla fine del mondo; si, voglio trascorrere il mio cielo facendo del bene sulla terra.
Non è impossibile, perché gli angeli stessi che vedono Dio, eh, eppure loro ci aiutano, vegliano su di noi. Io non posso divertirmi, non posso riposarmi, finchè ci sono anime da salvare. Ma quando l’angelo avrà detto : “Il tempo non c’è più” allora mi riposerò e potrò godere perché il numero degli eletti sarà completo e tutti saranno entrati nella gioia del riposo”.
E poi aggiunge… e sentite l’eco di san Francesco dice: “Oh quanto poco è amato il buon Dio sulla terra”. Ecco, noi piangiamo per questo.
Diceva san Francesco: “Amor, divino Amor, Amor che non sei amato”. Ecco” dice Teresina, “anche dai sacerdoti e dai religiosi, no, non è amato molto il buon Dio”.
Ecco, e questo ci fa ricordare una cosa anche di Padre Pio. Sapete cosa diceva Padre Pio? Diceva: “Io amo i miei figli spirituali, io li ho rigenerati a Gesù nel dolore e nell’amore e vi assicuro che quando il Signore mi chiamerà, io Gli dirò “ Signore, io resto alla porta del Paradiso; vi entro quando ho visto entrare l’ultimo dei miei figli”.
Ecco, possiamo dire che questo fa Gesù Cristo, con l’ultimo dei peccatori pentiti. Rimane quasi all’ingresso del Paradiso….
Vedete? C’è qualcosa che manca alla pienezza eh?
Addirittura, termino con una citazione del nostro Papa che ha scritto un bellissimo documento sull’Eucarestia, sulla liturgia: “Desiderio desideravi” eh?
“Ho desiderato ardentemente mangiare questa Pasqua con voi”
E, dice il Papa: “a questa Cena, con la C maiuscola, questo banchetto, nessuno si è guadagnato un posto, tutti sono stati invitati, o meglio “attratti” dal desiderio ardente di Gesù: desiderio di mangiare quella Pasqua con loro.”
Lui sa di essere l’agnello di quella Pasqua, sa di essere “la Pasqua”. Questa è l’assoluta novità di quella cena, la sola vera novità della storia, che rende quella cena unica e, per questo, unica e irripetibile.
E poi dice: “il mondo ancora non lo sa, ma tutti sono invitati al banchetto di nozze dell’agnello e per accedervi occorre solo l’abito nuziale della fede che viene dall’ascolto della sua Parola. La chiesa lo confeziona, questo abito nuziale, su misura, con il candore di un tessuto lavato con il sangue dell’agnello e poi, ricordate queste parole: “Non dovremmo avere nemmeno un attimo di riposo, sapendo che ancora non tutti hanno ricevuto l’invito alla cena, o che altri lo hanno dimenticato o smarrito nei sentieri contorti della vita degli uomini”
E per questo il Papa dice: “Ho scelto… ho un sogno di una scelta missionaria, capace di trasformare ogni cosa, il linguaggio, ogni struttura ecclesiale perché diventino un canale per l’evangelizzazione del mondo attuale”
Allora lì capite che c’è un digiuno che esprime questa mancanza di riposo, mancanza di… non possiamo far festa totalmente.
Il cristiano…il popolo che esulta, la festa di Pasqua, la gioia piena, una gioia piena ma, nello stesso tempo, questa gioia straordinaria ci proietta verso una gioia ancora più grande che è quella del cielo, del paradiso e noi sappiamo che tante persone vivono senza questa coscienza, senza questa speranza e questo ci deve motivare a combattere la buona battaglia anche del digiuno: digiunare significa pregare con il corpo, significa tante cose, significa attestare che tu non sei schiavo delle tue passioni.
Vi diranno che il digiuno fa bene alla salute, ma noi abbiamo un altro motivo, molto più profondo, che è questo fatto di unirci a Gesù Cristo nella sua intercessione.
In questo momento Gesù sta regnando e si sta sottomettendo alle cose ma se noi su questa terra non partecipiamo… ecco noi abbiamo la possibilità: sapete cosa fa la speranza? La speranza cristiana… affretta le cose ultime e noi, quanto più ci convertiamo, quanto più preghiamo, quanto più digiuniamo, quanto più facciamo elemosine, quanto più testimoniamo l’amore, tanto più affrettiamo il momento della venuta.
E termino allora con questa cosa: in fondo il digiuno cristiano sta tra queste due cose: tra il “Maran atà” e il “Maranà Ta”! Cosa vuol dire? “Maran” vuol dire Signore, “Maran atà” vuol dire il Signore è venuto e noi lo sappiamo, e lo dobbiamo dire: “il Signore è venuto!”, quello che diciamo nell’Eucarestia. Ecco, questo è il sacramento della salvezza: “il Signore è venuto”. Ma, allo stesso tempo, se pronunciato in un modo diverso: “Maranà” e il vocativo, e significa: Signore, “Tà” vuol dire vieni, imperativo: “Oh Signore, vieni!”, e la Chiesa è questo popolo che deve annunciare.
Se io vi chiedessi: “E’ venuto il Messia?” cosa mi rispondereste?
“Sì”, ecco, sbagliato, bisogna sapere, questo è un terzo della verità: il Messia è venuto, sta venendo e verrà, e non dimentichiamoci mai di questo!
La fede ci dà la certezza che Lui è venuto, la speranza ci dà il desiderio che venga… sempre di più e poi, la carità, che si manifesta anche nell’elemosina, nella testimonianza, nell’evangelizzazione e nel digiuno, come partecipazione alla Passione di Cristo, alla Sua preghiera e alla Sua intercessione.
La carità lo rende presente qui, è il modo migliore per farlo venire, finché ci sia questo. E allora termino con questo. La vita cristiana mette insieme due cose paradossali che sono nella Scrittura: una gioia indicibile e gloriosa, questo dice san Pietro, il conoscere Gesù Cristo ci da’ una gioia indicibile e gloriosa, e anche, nello stesso tempo, noi viviamo questo tempo sulla Terra con timore e tremore.
Ecco, mettiamo insieme queste due cose: una gioia grandissima e anche timore e tremore, significa essere in questo mondo coloro che piangono, che sono affamati di giustizia, che, che non si accontentano della situazione così come è, finché Lui non viene.
D’accordo, allora? Non digiunate quando non dovete digiunare, i cristiani sanno fare questo, sanno fare festa.
Santa Teresa, che un giorno era stata invitata da Filippo II, a pranzo, ed era un po’ sorpreso il re di vedere questa suora che mangiava con grande appetito, e lei risponde: “Maestà, quando è pernice è pernice, quando è digiuno è digiuno, eh?” C’è un tempo per ogni cosa. Sappiate gioire e godere di belle àgapi, pranzi succulenti, agnelli pasquali durante il tempo di Pasqua, durante la Domenica, ma sappiate anche digiunare quando è il momento, cioè ricordarvi che noi siamo anche il popolo, che guarda in avanti, che guarda la pienezza, quando?
Ecco, rallegriamoci ed esultiamo solo in quel momento, diamo a Lui la gloria perché sono giunte le nozze dell’Agnello, la Sua Sposa è preparata.
Le hanno dato una veste di lino puro, splendente (la veste di lino sono le opere di tutti i Santi). Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello.
E ogni Eucarestia fa questo paradosso: ci sazia di gioia stupenda e nello stesso tempo scava in noi un desiderio di una pienezza che ancora non ci è data.
E noi abbiamo dei tempi: l’Avvento potrebbe già un pochino aiutarci ad entrare in questa fame di un surplus, di questa pienezza escatologica, la Quaresima per eccellenza, perchè non è soltanto un digiuno penitenziale, quello soprattutto con il Mercoledi delle Ceneri, ma il grande digiuno del Triduo pasquale esprime proprio questo fatto, che noi attendiamo la piena manifestazione del Signore nella gloria, con tutti i santi, e speriamo di esserci anche noi.
Bene, vi ringrazio, siete stati molto pazienti, facciamo adesso un momento di Adorazione e poi Compieta. E in questo momento di Adorazione io vi consiglio di avere fame, di chiedere al Signore: “Dammi fame del vero Pane, dammi di digiunare dal mondo!”
Alla fine il vero digiuno che fanno i cristiani è il digiuno dal mondo, digiuno dalle cose, dalle parole, dai rumori, dalla mentalità del mondo e soprattutto digiuno dal peccato.
January 7, 2025
Nefarius: gli appuntamenti di gennaio 2025
In molti hanno chiesto altre date e altre città per le proiezioni di NEFARIUS. Eccole:
***
Leggi anche la recensione di NEFARUS dell’Associazione Internazionale Esorcisti
Costanza Miriano's Blog
- Costanza Miriano's profile
- 22 followers
