Costanza Miriano's Blog, page 3
May 8, 2025
Il discorso integrale di Papa LEONE XIV dopo l’elezione
IL DISCORSO INTEGRALE DI PAPA LEONE XIV ALLA LOGGIA DELLA BASILICA DI SAN PIETRO DOPO L’ELEZIONE
La Pace sia con tutti voi.
Fratelli, sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel nostro cuore, le vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra. La pace sia con voi. Questa è la pace di Cristo risorto. Una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio. Dio che ci ama tutti incondizionatamente.
Ancora conserviamo nei nostri orecchi quella voce debole, ma sempre coraggiosa di Papa Francesco che benediva a Roma. Il Papa che benediva Roma dava la sua benedizione al mondo, al mondo intero. Quella mattina del giorno di Pasqua. Consentitemi di dar seguito a quella stessa benedizione.
Dio ci vuole bene. Dio vi ama tutti e il male non prevarrà. Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti, mano nella mano con Dio e tra di noi, andiamo avanti. Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede.
Il mondo ha bisogno della sua luce. L’umanità necessita di lui come il ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore. Aiutateci anche voi, poi, gli uni gli altri, a costruire i ponti con il dialogo, con l’incontro, unendo per essere un solo popolo, sempre in pace. Grazie a Papa Francesco. Voglio ringraziare anche tutti confratelli cardinali che hanno scelto me per essere successore di Pietro.
Camminare insieme a voi come chiesa unita, cercando sempre la pace, la giustizia, cercando sempre lavorare come uomini e donne fedeli a Gesù Cristo, senza paura per proclamare il Vangelo, per essere missionari. Sono un figlio di Sant’Agostino, agostiniano che ha detto: “Con voi sono cristiano e per voi vescovo”.
In questo senso, possiamo tutti camminare insieme verso quella patria che Dio ci ha preparato. Alla chiesa di Roma un saluto speciale. Dobbiamo cercare insieme come essere una chiesa missionaria, una chiesa, una chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta a ricevere come questa piazza con le faccia aperte a tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, la nostra presenza, il dialogo, l’amore.
E se mi permettono anche una parola, un saluto a tutti, in modo particolare a Perù. Un popolo fedele ha accompagnato dal suo Vescovo, ha condiviso la sua fede, tanto, tanto, essendo chiesa fedele di Cristo.
A tutti voi fratelli e sorelle di Roma, di Italia, di tutto il mondo, vogliamo essere una chiesa sinodale, una chiesa che cammina, una chiesa che cerca sempre la pace, cerca sempre la carità, cerca sempre di essere vicino, specialmente a coloro che soffrono.
Oggi il giorno della supplica alla Madonna di Pompei. Nostra madre Maria vuole sempre camminare con noi, stare vicino, aiutarci con la sua intercessione, il suo amore. Allora vorrei pregare insieme a voi. Preghiamo insieme per questa nuova missione, però per tutta la Chiesa, per la pace nel mondo, e chiediamo questa grazia speciale di Maria, nostra madre.
Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.
***
Robert Francis Prevost, 69 anni, statunitense, è il nuovo Papa. Il cardinale nato a Chicago ha scelto il nome di Leone XIV. Prevost, già prefetto del Dicastero per i Vescovi, nominato cardinale da Papa Francesco, ha trascorso molti anni come missionario in Perù prima di essere eletto alla guida degli Agostiniani per due mandati consecutivi.
Motto: In Illo unum uno (Nell’unico Cristo siamo uno)
Stemma: Lo scudo è diviso in due parti. A sinistra il simbolo stilizzato del giglio bianco in campo azzurro indica purezza e innocenza ed è spesso associato alla Vergine Maria. A destra, in campo bianco, il sacro cuore di Gesù – posto sopra un libro chiuso – è trafitto da una freccia.
Messaggio: Prevost, dunque, propone una Chiesa missionaria e mariana, unita, pur nelle diversità, nell’amore a Cristo Salvatore e disposta a soffrire e a impegnare tutta se stessa nel servizio del popolo cristiano. Il motto riprende le parole di Sant’Agostino nel commento al Salmo 127.
May 6, 2025
L’immagine cristiana dell’uomo
di Benedetto XVI (lettera a Livio Melina del gennaio 2020)
A me sembra che si debba innanzitutto riflettere sull’antropologia cristiana come tale e analizzare a questo riguardo la tesi dell’antropocentrismo proposta a suo tempo da Metz, che si rifaceva a Rahner e von Balthasar: “Tutta la teologia in ultima analisi è antropologia”, aveva detto a suo tempo Rahner, motivando questo con il divenire uomo di Dio in Gesù Cristo; per, cui, una volta che Dio stesso è divenuto uomo, non lo si può più considerare da parte nostra a prescindere da questo. Addirittura sono di recente comparse teorie filosofiche secondo le quali l’essere uomo di Dio è inconcepibile già solo dal punto di vista concettuale, cosa che il cristiano nega in base alla sua fede: Dio stesso ha mostrato la possibilità di quello che a noi sembra impossibile e in questo modo ha messo nuovamente in luce la sua grandezza e la grandezza dell’uomo.
Per quel che lo riguarda come tale, l’uomo in base alla Bibbia è definito sopra ogni altra cosa come immagine di Dio (cosa che, per così dire, è un’anticipazione del divenire uomo di Dio). L’essenza di un’immagine consiste nel fatto che essa non è a sé stante, ma rimanda a ciò che è ritratto, ovvero a colui che è ritratto. In questo senso “essere immagine” è un “essere in relazione”. Il concetto di relatio assurge in questo modo a definizione fondamentale dell’uomo. Questo combacia in modo sorprendente con l’idea fondamentale di Dio che, in quanto Trinità, è un intreccio di relazioni e non una sostanza a sé stante. A sua volta, questo combacia in modo non meno sorprendente con le acquisizioni della fisica moderna, per la quale non esiste alcuna sostanza in senso proprio, ma tutto è soltanto relazione.
Se il concetto di relatio come immagine di Dio intende in primo luogo l’uomo in una relazione che va oltre sé stesso, ad un secondo livello è comunque vero e significativo anche che l’uomo è creato come maschio e femmina, e dunque che anche nella sfera umana esiste come essere relazionale.
Si arriva così al matrimonio e alla famiglia, che non sono forme sociali casuali, ma scaturiscono invece, in ultima analisi, dalla natura stessa dell’uomo. A questo punto è quindi possibile sviluppare una teologia, una filosofia e una sociologia del matrimonio e della famiglia che può e deve abbracciare questioni che, per un verso, sono molto concrete ma che, al contempo, sono radicate nella profondità dell’uomo pensato trinitariamente.
2.
Nel suo Libro di esercizi spirituali papa Giovanni Paolo II racconta come nel cattolicesimo polacco ci si preparasse all’irruzione dei russi e, con loro, a quella dell’ateismo marxista. Si supponeva che per attaccare la fede nel Dio creatore si sarebbero serviti soprattutto dell’interpretazione materialista dell’origine e dell’essere del mondo. Ben presto tuttavia si vide che il problema vero e proprio non era questo, ma in ultima analisi il punto era chi sarebbe stato in grado di offrire la migliore immagine dell’uomo. In questo senso mi viene in mente che anche nella disputa tra l’imperatore Manuele il Paleologo (1391) e il persiano, dopo tutte le scaramucce iniziali, si dice che in fin dei conti il punto è chi sia in grado di offrire il nomos migliore (l’immagine migliore dell’uomo). Il musulmano sostiene che il cristianesimo ha un’immagine irreale dell’uomo, con delle pretese che non possono essere adempiute e che proprio per questo esso sarebbe condannato al fallimento. Al contrario, l’imperatore afferma che l’islam, con il suo apparente realismo, esige troppo poco dall’uomo. Questo avrebbe per conseguenza che l’uomo cadrebbe ancora più in basso di quanto già non preveda la sottostima del profeta. L’uomo percepirebbe questo e vorrebbe orientarsi proprio verso ciò che è grande.
In effetti il marxismo non ha risolto in modo soddisfacente la questione dell’immagine dell’uomo. Tanto più sussiste oggi, nel cosiddetto mondo.
In effetti il marxismo non ha risolto in modo soddisfacente la questione dell’immagine dell’uomo. Tanto più sussiste oggi, nel cosiddetto mondo occidentale, il pericolo di imporre ovunque un’antropologia che definisca l’uomo a partire unicamente dai suoi fini materiali privandolo così ultimamente della sua dignità. Le reazioni e il clamore suscitato dagli abusi sessuali da parte di chierici rientrano in fin dei conti in questa disputa sull’immagine dell’uomo: il cristianesimo non sarebbe in grado di condurre gli uomini in alto, ma con le sue pretese irrealistiche, in fondo, li distruggerebbe. La questione della giusta immagine dell’uomo si pone dunque come la questione pratica fondamentale nello scontro fra cristianesimo e anticristo.
Il punto centrale dello scontro, a mio parere, sarà la questione della libertà. La filosofia dell’illuminismo si è imposta con l’idea di libertà. Le parole di Schiller: “L’uomo è creato libero, è libero, foss’anche nato in catene” portano in sé, con la contrapposizione di “creato” e “nato”, un motivo di fondo cristiano. Oggi il riferimento ideale al Creatore ha perso ogni peso. Al posto di esso sta semplicemente il fatto che da sé stesso e per sé stesso l’uomo è totalmente libero e deve essere compreso e spiegato a partire dall’idea di libertà. In questo senso libertà significa totale indeterminatezza priva di contenuto e di direttive. Si è venuta così a creare una curiosa situazione, per cui da un lato, le scienze naturali affermano di avere coperto la completa determinatezza dell’uomo, che naturalmente viene accettata da tutti coloro che credono nella scienza. Al contempo, però, e in completa contraddizione con questo, si continua ad affermare e a praticare la tesi radicale della libertà dell’uomo.
Al contrario, per il cristiano, la libertà dell’uomo è libertà creata. Questo significa che egli porta in sé una finalità che coincide con la sua natura, vale a dire con il suo essere immagine di Dio. La libertà esiste proprio per rendere l’uomo simile a Dio. Perciò la libertà è sempre libertà condivisa nel vivere insieme al resto dell’umanità, e mai il semplice e individualistico “tutto è possibile” e “tutto è lecito”.
Penso che sia in questo contesto, allora, che debba essere affrontata anche la questione della sessualità umana e della sua umanizzazione. L’intero ambito di problematiche relative alla sessualità umana si colloca qui.
3.
Infine va posta la domanda di quale sia concretamente per il cristiano l’immagine dell’uomo. Nel mio vecchio messale ho l’immaginetta ricordo di un mio compagno di studi che un anno prima della sua ordinazione sacerdotale morì a causa di un collasso cardiaco. In questa immaginetta sono riportate alcune parole – tipiche per noi giovani di allora — tratte da una delle sue lettere: «Sul leggio di fronte a me sta l’immagine del cavaliere di Bamberga…», scriveva, accennando ad alcuni tratti caratteristici di quel cavaliere nei quali vedeva delineata la giusta immagine dell’uomo in generale. In effetti, per la nostra generazione, il cavaliere di Bamberga era espressione dell’immagine cristiana dell’uomo. E una figura del pieno medioevo di classica bellezza e dignità che si trova nella cattedrale di Bamberga. Numerose sono le ipotesi su chi possa raffigurare. In ogni caso nel cavaliere traspare un’immagine di dignità e purezza umane, che non può non impressionare. L’immagine di un uomo che ha vinto in sé stesso le forze del male e che senza affettazione è pronto a battersi per il bene. Si potrebbe dire che in questa figura si vede che cosa significa essere fatti a immagine di Dio. Il nostro entusiasmo per questo cavaliere sconosciuto si basava anche sul contrasto che riscontravamo tra quell’immagine e il “San Luigi di gesso” o altre figure kitsch che ci venivano presentate d’ufficio come esemplari. Le figure di gesso, molto diffuse a cavallo tra XIX e XX secolo, per noi rappresentavano una forma ripugnante di pietà e di uomo in generale.
La Chiesa, dopo il crollo dell’epoca dell’Illuminismo, nel XIX secolo era giunta a una nuova vitalità, che si manifestò nella fondazione di un gran numero di Ordini e in un gran numero di santi. Oggi che sperimentiamo la scomparsa di queste comunità religiose, restiamo ammirati davanti a quel grande momento di slancio spirituale che conteneva soprattutto un volgersi ai poveri e ai sofferenti. Al contempo erano sorte nuove forme di pietà: la devozione al Sacro Cuore di Gesù, l’adorazione eucaristica, nuove forme di devozione mariana (l’Immacolata, e così via). Chiese neoromaniche e neogotiche riccamente adornate di statue diedero forma e immagine a questa nuova devozione. Oggi possiamo di nuovo comprendere la grandezza e la purezza che in tale estetica si esprimeva. Ma alla fine della Prima guerra mondiale, con l’atroce durezza che l’aveva caratterizzata, essa era divenuta interiormente inconcepibile. Vi si vedeva ormai solo un rimpicciolimento dell’umano, la fuga dalla realtà nel suo complesso e dunque anche il cattivo gusto e l’umana insufficienza di una parte della pietà del secolo XIX. Si voleva uscire dal ghetto nel quale la Chiesa si era parzialmente rinchiusa: obiettivo era “l’abbattimento dei bastioni” di cui parlava Hans Urs von Balthasar. Quando Romano Guardini affermava che “l’epoca moderna è finita e ce ne rallegriamo”, con “epoca moderna” intendeva una forma di quella pietà nella quale i cattolici nel XIX secolo si erano rinchiusi come in una sorta di fortezza. Ora si voleva stare di nuovo apertamente nel mondo nel suo complesso, con i suoi dolori e le sue gioie, e così facendo vivere nuovamente la fede cristiana nella sua vastità e apertura, libertà e bellezza.
Nei seminari, le due forme di cattolicità che in questo modo andarono sviluppandosi in parte si scontrarono duramente. C’erano i seminaristi, i figli della campagna, che nei seminari minori erano cresciuti nella pietà classica, i quali l’amavano profondamente e la vivevano. E c’era la “Jugendbewegung”, il Movimento liturgico, e così via, che a tutto quello si opponevano energicamente e che volevano edificare un modo di essere cristiani nuovo e fresco. Il cristiano del presente non doveva vivere un’esistenza meschina, timorosa, che si chiudeva al mondo, ma stare apertamente in mezzo al dramma del proprio tempo per ricondurre in questo modo il mondo a Cristo.
In Germania, a dare un’espressione ampiamente condivisa a questa concezione fu Alfons Auer, teologo morale prima a Wurzburg e poi a Tubinga. Egli anticipò il nocciolo della visione di Gaudium et spes, la Costituzione conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, che è espresso esemplarmente nelle parole iniziali del testo: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi […] sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo». Nel mondo, che sarebbe appunto anche il suo mondo, il cristiano sarebbe intrepido e lieto. Che il cristiano non si distingua da questo mondo, ma semplicemente appartenga ad esso, fu accettato gioiosamente ovunque e sempre più determinò lo stile di vita dei cristiani.
Ma taciti dubbi furono peraltro continuamente espressi sulla base della lettera delle Sacre Scritture; ad esempio, di quel passo della Prima lettera di Giovanni dove è scritto: «Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che nel mondo – la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi la superbia della vita – non viene dal Padre, ma viene dal mondo» (1 Gv 2,15s).
All’atmosfera potente, che non solo propugnava un’apertura al mondo ma anche la non distinzione da esso, Hans Urs von Balthasar si oppose con quella chiarezza che aveva ricevuto in dono. Cominciò a farsi strada anche la grande voce del Cardinal Newman. Durante la Seconda guerra mondiale, Ida Friederike Gòrres aveva scritto un libro sul grande cardinale inglese pubblicato solo nel 2004 e che il comune sentire teologico di fatto ancora non ha assimilato. Newman — che nella coscienza comune è prevalentemente ritenuto un pensatore che si colloca al di fuori della classica tradizione cattolica del XIX secolo — qui viene presentato molto più ampiamente che altrove nella sua lotta contro lo spirito della modernità, e così anch’egli appare come antagonista di una pura e semplice approvazione del mondo di oggi.
L’atmosfera, che dopo il Vaticano II si diffuse ampiamente nella cristianità cattolica, fu inizialmente concepita in modo unilaterale come demolizione dei muri, come “abbattimento dei bastioni”, cosicché in alcuni ambienti si temette addirittura la fine del cattolicesimo, ovvero la si attese con gioia. La ferma determinazione di Paolo VI e l’altrettanto chiara, ma gioiosamente aperta, determinazione di Giovanni Paolo II poterono nuovamente assicurare alla Chiesa – umanamente parlando – il suo proprio spazio nella storia successiva. Quando Giovanni Paolo II, che proveniva da un Paese dominato dal marxismo, venne eletto papa, vi furono certamente ambienti che credettero che un papa che proveniva da un Paese socialista dovesse necessariamente essere un papa socialista e perciò che avrebbe portato la conciliazione nel mondo come reductio ad unum di cristianesimo e marxismo. Tutta la stoltezza di questa posizione divenne peraltro ben presto evidente non appena si vide che proprio un papa che proveniva da un mondo socialista conosceva perfettamente l’ingiustizia di esso e poté così contribuire alla svolta sorprendente che si ebbe nel 1989 con la fine del governo marxista in Russia.
Tuttavia divenne sempre più evidente che il tramonto dei regimi marxisti è lungi dall’aver significato la vittoria spirituale del cristianesimo. La mondanità radicale si rivela invece sempre più essere l’autentica visione dominante che sottrae vieppiù al cristianesimo lo spazio per vivere. Sin dall’inizio la modernità comincia con l’appello alla libertà dell’uomo: sin dall’accentuazione da parte di Lutero della libertà del cristiano e sin dall’umanesimo di Erasmo da Rotterdam. Ma solo nel momento storico sconvolto da due guerre mondiali, con il marxismo e il liberalismo che andavano drammaticamente estremizzandosi, si misero in moto due nuovi movimenti che condussero l’idea di libertà a un radicalismo prima di allora inimmaginabile. Infatti, ormai si nega che l’uomo, quale essere libero, sia in qualche modo legato ad una natura che determini lo spazio della sua libertà. L’uomo ormai non ha più una natura ma fa sé stesso. Non esiste più una natura dell’uomo: è egli stesso a decidere cosa egli sia, maschio o femmina. E l’uomo stesso a produrre l’uomo e a decidere così sul destino di un essere che non proviene più dalle mani di un Dio creatore, ma dal laboratorio delle invenzioni umane. L’abolizione del Creatore come abolizione dell’uomo diviene dunque l’autentica minaccia per la fede. Questo è il grande compito che oggi si presenta alla teologia. Essa lo potrà assolvere solo se l’esempio di vita dei cristiani sarà più forte della potenza delle negazioni che ci circondano e che promettono una falsa libertà.
In questo modo, a partire da un altro avvio, siamo giunti di nuovo al punto in cui la questione si era inizialmente presentata. La consapevolezza dell’impossibilità di risolvere a livello puramente teorico un problema di quest’ordine di grandezza non ci dispensa certo dal cercare di prospettarne una soluzione anche a livello di pensiero.
Natura e libertà sembrano in un primo momento contrapporsi in modo inconciliabile: e tuttavia la natura dell’uomo è pensata, cioè è creazione, e come tale non è semplicemente realtà priva di spirito, ma porta essa stessa il Logos in sé. I Padri – in particolare Atanasio di Alessandria – hanno concepito la creazione come coesistenza di sapientia increata e sapientia creata. Qui tocchiamo il mistero di Gesù Cristo, che unisce in sé sapienza creata e increata e, come sapienza incarnata, ci chiama a essere insieme con lui.
In questo modo, però, la natura — che è data all’uomo — diviene una cosa sola con la storia di libertà dell’uomo e porta in sé due momenti fondamentali.
Da un lato ci viene detto che l’essere umano, l’uomo Adamo, ha cominciato male la storia fin dall’inizio, cosicché all’essere uomo, all’umanità di ognuno la storia dà ora in dote un dato originario sbagliato. Il “peccato originale” significa che ogni singola azione è immessa in anticipo su una traccia sbagliata.
A ciò si aggiunge ora però la figura di Gesù Cristo, del nuovo Adamo, che ha pagato in anticipo il riscatto per tutti noi, ponendo così un nuovo inizio nella storia. Questo significa che la “natura” dell’uomo per un verso malata, bisognosa di correzione (spoliata et vulnerata). Questo la pone contrasto con lo spirito, con la libertà, come di continuo sperimentiamo. Ma termini generali essa è anche già redenta. E questo in un duplice senso, perché in generale già è stato fatto abbastanza per tutti i peccati e perché al contempo questa correzione può sempre essere ridonata a ognuno nel sacramento del perdono. Da un lato, la storia dell’uomo è storia di colpe sempre nuove, dall’altro è sempre di nuovo pronta la guarigione. L’uomo è un essere che ha bisogno di guarigione, di perdono. Fa parte del nocciolo dell’immagine cristiana dell’uomo che questo perdono ci sia come realtà e non solamente come un bel sogno. Qui trova la sua giusta collocazione la dottrina dei sacramenti. Diviene chiara la necessità del Battesimo e della Penitenza, dell’Eucaristia e del Sacerdozio, come anche del sacramento del Matrimonio.
A partire da qui può essere allora affrontata concretamente la questione dell’immagine cristiana dell’uomo. E importante innanzitutto la constatazione espressa da san Francesco di Sales: non esiste la immagine cristiana dell’uomo, ma molte possibilità e strade nelle quali si presenta l’immagine dell’uomo: da Pietro a Paolo, da Francesco a Tommaso d’Aquino, da fratel Corrado al cardinale Newman, e così via. Dove è innegabilmente presente un certo accento che parla in favore di una predilezione per i “piccoli”.
Naturalmente sarebbe da considerare in questo contesto anche l’interazione fra Torah e Discorso della Montagna sulla quale ho detto qualcosa nel mio libro su Gesù.
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fonte: La verità dell’amore – Tracce per un cammino edizione Cantagalli (2024)
May 5, 2025
Antoni Gaudí: un uomo a servizio di Dio
May 4, 2025
Incontro di maggio del lunedì del MonasteroWifi Roma, e trascrizione dell’ultimo
Ci vediamo, per chi vuole, per un momento conviviale alle 20,30, Poi alle 21 al Battistero di san Giovanni in Laterano avremo con noi don Graham Bell per una riflessione sul digiuno come farmaco per l’anima.
Informazione fondamentale, si può parcheggiare nel parcheggio della Lateranense (parola d’ordine per la gendarmeria “Monastero Wi-Fi)!
Ovviamente l’incontro è apertissimo a tutti.
Qui sotto la trascrizione dell’ultima catechesi di aprile di don Simone Caleffi
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Monastero WiFi
7 aprile 2025, Battistero di San Giovanni in Laterano
Catechesi “Digiuno e riflessione sulla morte di Gesù” di don Simone Caleffi
Buonasera a tutti, possiamo alzarci in piedi e fare memoria grata della nostra salvezza tracciando su di noi il segno della croce.
Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Chi conosce queste parole può ripetere con me la sequenza d’oro: Sequenza dello Spirito Santo.
Siccome nella locandina di questa sera c’era riportato un versetto biblico Mt 4,4 “Non di solo pane”, ho pensato proprio di partire da questo brano nelle Tentazioni nel deserto di Gesù. Quest’anno abbiamo ascoltato nella prima domenica di Quaresima, quindi quattro domeniche fa, anche se in realtà nella versione di Luca, è l’anno C, io ve lo propongo questa sera nella versione di Matteo.
Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato 40 giorni e 40 notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse” se tu sei il figlio di Dio fa che queste pietre diventino pane ” ma egli rispose “sta scritto: non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Allora il diavolo lo portò nella Città Santa lo pose nel punto più alto del tempio e gli disse “se tu sei il figlio di Dio gettati giù. Sta scritto infatti: ai suoi Angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra.” Gesù gli rispose “sta scritto anche: non metterai alla prova il Signore Dio tuo”. Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse “tutte queste cose io ti darò se gettandoti ai miei piedi mi adorerai”. Allora Gesù gli rispose “vattene Satana, sta scritto infatti: il Signore Dio tuo adorerai, a Lui solo renderai culto”. Allora il diavolo lo lasciò ed ecco degli Angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
A noi non interessa tutto il brano, ma questa sera io vorrei proporvi non delle cose mie, semmai io sono il curatore di questa antologia, di questa selezione, ma vi vorrei semplicemente proporre la parola di Dio, così nuda e cruda potremmo dire, come la troviamo nella scrittura. Solo che siccome noi, anche se ci dipingono così, per citare la famosa frase di un film, siccome noi non siamo una religione del libro, bisogna che questo inchiostro su carta in qualche modo prenda vita.
E questo lo fa proprio nell’assemblea, proprio parlando di per sé, questa non è una assemblea liturgica, non stiamo celebrando né l’Eucaristia, né un altro Sacramento, né la liturgia delle ore, però siamo davanti al Signore, siamo, come dire, un’assemblea, siamo venuti insieme non per delinquere e quindi tutto converge, e tutto ci coinvolge in questa dinamica.
Quindi il Signore è sicuramente presente qui in mezzo a noi e appunto ci parla con la Sua parola che però, ripeto, non è semplicemente l’inchiostro sulla carta che io trovo con questo esemplare, con questa copia della Divina Scrittura, ma è proprio la Parola di Dio che parla nella vita, nel cuore dei fedeli, della Chiesa, che qui vede radunata una sua piccola porzione.
Allora cominciamo dall’inizio: abbiamo iniziato questo incontro con l’invocazione allo Spirito, perché questo brano dice: “Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto”. Anche noi, in modo particolare, se volete, questa sera siamo stati condotti qui dallo Spirito, perché anche se siamo noi che diciamo “ecco stasera ho deciso di andare lì”, in realtà le nostre sono solo risposte positive alla chiamata che Dio ci ha rivolto. Quindi noi anche pensiamo di fare delle cose (ed è vero), ma queste cose le facciamo in risposta a una chiamata che Dio ci ha fatto. Dunque anche noi siamo stati condotti qui dallo Spirito un po’ nel deserto, nel senso che (magari anche soprattutto dopo, facendo l’Adorazione Eucaristica, faremo anche un po’ di silenzio) sicuramente adesso parlo io e voi dovete tacere. Quindi ecco: siamo un po’ in questo deserto, siamo un po’ in questo silenzio. E “lo Spirito condusse Gesù nel deserto, affinché fosse tentato dal diavolo” e anche noi siamo un po’ nel deserto della vita per essere tentati. Ecco perché ogni volta che ci presentiamo al Signore, cioè se siamo fedeli alla parola di Gesù, ripetiamo quelle parole che Lui ci ha insegnato, ci ha detto di dire: non far sì che io entri, che io cada, non abbandonarmi nella tentazione, ma liberaci dal male. Dunque nello spazio di questa vita siamo tentati, anche Gesù.
La differenza fra noi e Cristo è che noi, dopo aver sentito la tentazione, vi abbiamo anche acconsentito. Invece Gesù sente la tentazione ma la respinge.
Ed è quasi comico il versetto due. A me piace molto questa parte, come dire, di riso della scrittura, perché spesso sentiamo, non lo so, che Gesù piange (per esempio alla morte di Lazzaro), ma in realtà con queste parole, che adesso sto per usare io, la scrittura non ci dice mai che Gesù ride. Non ce lo dice mai, proprio così. La scrittura non mette mai in bocca a Gesù, per esempio, la frase “Io sono Dio”, ma noi sappiamo che lo è, e quindi la scrittura non ci dice mai che Gesù ha riso, ma secondo me Gesù ha riso un sacco, secondo me si è divertito proprio tanto.
E allora c’è proprio una parte comica nelle scritture: per esempio pensate quando, ad un certo punto, in quella disputa con i farisei, c’è un maestro della Legge, un Dottore, che chiede a Gesù: “ma dimmi un po’ qual è, secondo te, il primo dei comandamenti…” E Gesù risponde, e alla fine quello, lo scriba, che dice al figlio di Dio: “hai risposto bene, mi sei piaciuto”. Ecco la scrittura è così, è molto divertente: non ci si annoia mai!
Allora il versetto 2 di questo capitolo 4 di Matteo dice: “dopo aver digiunato 40 giorni e 40 notti, alla fine, ebbe fame”. E ti credo! Che cos’è il digiuno?
Non è la dieta, altrimenti io sarei un testimone poco credibile. Ed ecco perché, per esempio, è molto ingiusto da parte di chi non capisce questa realtà magari dire: “ah vabbè, ma il ramadan che fanno i musulmani non è mica una cosa seria, perché non mangiano e non bevono durante il giorno, però poi la notte fanno una bella tavolata!” Ma è esattamente quello il digiuno!
Ripeto: non è una dieta, ma è un digiuno!
Il digiuno è una privazione rituale del cibo, della bevanda, eccetera eccetera
Nel rito ci deve essere un inizio e una fine.
In quel caso, si comincia quando sorge il sole e si finisce quando il sole tramonta. Quindi niente di strano, niente di speciale. Tanto che poi noi, che magari facciamo anche queste critiche, invece la Quaresima normalmente non la facciamo per niente. Io, che vivo con altri preti, che la cucina me la fanno le suore, tutti i giorni dal 5 Marzo scorso, leggo l’inno alla Liturgia delle ore – “e sia parca e frugale la mensa” – e trovo sempre un sacco di ben di Dio da magnà!
Quindi non è passata molto questa cosa, ma vabbè, andiamo avanti: il tentatore gli si avvicinò e gli disse una parolina di sole due lettere, che tornerà (perché quello è il momento fissato, per dirla con una celebre riduzione cinematografica nell’ultima tentazione di Cristo) sotto la croce. Cosa diranno a Gesù sotto la croce? “Se”. E anche qui: “se tu sei figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane…”
Non c’è niente di male. Il diavolo non chiede a Gesù di ammazzare, che so, Erode… ma solo che queste pietre diventino pane.
Eppure Gesù risponde: “no, perché non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Allora la domanda per noi può essere questa: posto che normalmente sulla mensa di casa nostra c’è tutto, quindi siamo a posto, ma abbiamo anche fame di un’altra mensa?
La sollecitudine per la mensa della parola di Dio è per noi il punto di riferimento più grande, più alto della nostra vita?
Mi verrebbe da dire come quel foglietto che, quando ero ragazzo, ho trovato nella mia parrocchia, titolato così: “Gesù: istinto, sogno, fissazione”.
Il desiderio di mangiare la parola di Dio è per noi istinto?
Cioè, dobbiamo prendere una decisione: se sono sposato lo dico a mio marito o a mia moglie; se sono un prete lo dico al padre spirituale o al vescovo; se sono ragazzo lo dico ai miei genitori; quando dobbiamo prendere una decisione, abbiamo questa cosa di dirlo a Dio? E vedere che cosa Lui potrà dirci su quella cosa lì?
Non vorrei essere pessimista, ma mediamente direi no, perché le scelte, come dire, così che si constatano nella società, che mi risulta circa per il 90% battezzata nella chiesa cattolica, ecco, non mi sembrano esattamente sovrapponibili al Vangelo; però magari sbaglio io, poi voi mi dite la vostra.
Istinto.
È per noi sogno?
Anni 60, un reverendo di una comunità evangelica nata dalla riforma protestante, Martin Luther King, pronuncia a Washington quel famosissimo discorso che inizia con le parole “I have a dream”. È per noi valido questo? Cioè portiamo dei sogni?
Il Papa spesso citando il profeta Gioele, lo vedremo anche noi (sempre che abbiamo tempo, perché qui il tempo sempre corre!) dice: “si incontrano i sogni dei vecchi e dei bambini”? Appunto come dice il profeta. I vostri figli avranno visioni? I vostri anziani avranno sogni? O siamo una società, anche noi cristiani, così, un po’ del disincanto; ormai sappiamo tutto, c’è la scienza, ci ha spiegato tutto!
Che ce ne facciamo di un’altra interpretazione della realtà? Sappiamo tutto! O abbiamo ancora dei sogni? Io almeno spero che abbiamo tutti il sogno che nessuno pensi più che per preparare la pace, come dicevano gli antichi romani, bisogna prepararsi alla guerra. Il riarmo dell’Europa purtroppo dice un po’ questo.
Ma, abbiate pazienza, se io devo andare a fare la maratona di New York, per prepararmi, faccio una bella abbuffata di dolci o comincerò magari a camminare un po’? Se noi vogliamo fare la pace dobbiamo disarmare.
Dice la preghiera eucaristica, la seconda, della riconciliazione: la vendetta è disarmata dal perdono.
Ecco, un’altra cosa molto intelligente secondo me, ma che noi facciamo poco, è prestare molta attenzione, non solo alla parola di Dio, ma anche all’eucologia, cioè a quei testi che sono scritti sul Messale romano.
Non è che il prete legge il Vangelo, fa l’omelia, poi tutto il resto non conta niente.
No. Se legge quei testi, vuol dire che devono nutrire la nostra vita. Ecco, quello è un mio sogno; finire la celebrazione dell’Eucarestia e chiedere: cosa dice il Vangelo oggi? E già qualcuno trema!
Figuriamoci se gli dico: volevo sapere se ti ricordi cosa dice la preghiera di colletta di oggi! Che cosa è? Capite che l’ignoranza regna sovrana!
Allora, abbiamo questo istinto della parola di Dio? Abbiamo questo sogno che la parola di Dio ci mette; abbiamo questa fissazione?
C’è tanta gente fissata su tante cose, io poi so che delle cose non le devo neanche dire.
Una volta ospito un prete in casa mi dice “ti posso rubare questa”, era l’etichetta di una bottiglia di the freddo. Gli dico “prego”, forse l’ho guardato con due occhi così e allora lui s’è sentito in obbligo “sai perché faccio la raccolta di etichette di bottiglie.” Non c’è mica niente di male, però dico BHO, ma è fissato.
Ma noi c’abbiamo questa fissazione della parola di Dio?
Perché se ce l’avessimo secondo me e le cose andrebbero un po’ diversamente.
Un esempio, nella scrittura c’è ne sono tanti. Io ho messo un po’ di segni stasera, vediamo. Interroghiamo il profeta Isaia, perché abbiamo aperto il Vangelo di Matteo. Ma non è che il Vangelo arriva a noi calato dall’alto come un marziano su una capsula spaziale. Viene, perché prima c’è stato un primo testamento. Un nuovo Testamento, viene perché……Diamo un’occhiata al primo testamento. Diamo un’occhiata alla parola dei Profeti, sui Profeti, sono coloro che parlano a nome di Dio. Come faccio a parlare a nome di Dio se non ho fame di ascoltare la sua parola. Vediamo cosa dicono i Profeti. Vediamo Isaia, va un po’ per la maggiore. Allora cap 58 e si intitola così, in una edizione che ho io della Bibbia, sapete che nella Bibbia mica ci sono i titoli, però giusto per orientarci. IL DIGIUNO ACCETTO A DIO. Abbiamo detto che non dobbiamo far la dieta, si dobbiamo fare anche quella ma per un altro scopo. Dobbiamo fare il digiuno, in cosa consiste questo digiuno. Ascoltiamo
“Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mi popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati.
Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudici giusti, bramano la vicinanza di Dio: “Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?”
Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai.
Ecco, voi digiunate tra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui.
Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. É forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica?
Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore?
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”.
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio.
Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono.
La tua gente riedificherà le rovine antiche, ricostruirai le fondamenta di trascorse generazioni.
Ti chiameranno riparatore di brecce, e restauratore di strade perché siano popolate. ”
A parte la poesia di questi testi, quindi una bellezza unica. Al di là dell’arte, il senso di cos’è il digiuno. Il digiuno è semplicemente non mangiare?
Anche! Perché se normalmente una cosa la schiviamo vuol dire che è proprio la cosa che va fatta! No? Quindi, siccome noi tendiamo a mangiare, quindi dire: “No, vabbè, il mercoledì delle ceneri facciamo un pasto solo, il venerdì santo, facciamo un pasto solo, già sarebbe un passo avanti! Fra l’altro, cioè, non è neanche facoltativo, no, è obbligatorio! Se abbiamo già compiuto 16 anni e non ancora 60, è obbligatorio. Altrimenti siamo tenuti, no? Fra l’altro, no? Anche qui, è obbligatorio per chi sta in un range di età, non è che allora, automaticamente, per il fatto che io sono più piccolo o sono più grande, allora sono automaticamente escluso. Posso farlo, anche se non vi sono strettamente tenuto, no? Per dire: “la Chiesa raccomanda che si faccia digiuno anche il sabato santo”, ma… non lo fanno manco il venerdì!
Comunque, allora, non è SOLO quello, è ANCHE quello, però, c’è un passo avanti: per esempio, vi ricordate quale Vangelo abbiamo proclamato, appunto, il mercoledì delle ceneri? Quale Vangelo? Elemosina, preghiera e digiuno nel segreto, no? E, in modo particolare, a che cosa ci richiamava quel brano di Matteo 6?
Ok, quindi abbiamo detto… no, ma direi che mettendo insieme queste tre cose che, dette in un altro contesto potrebbero sembrare slegate, ci raccomandava l’unità di quella realtà cultuale, abbiamo detto che il digiuno non è una dieta ma una realtà cultuale. E che culto è? Molto semplice… più a farsi, mi verrebbe da dire, che a dirsi. Se tu, per esempio, non mangi, in quel caso, il mercoledì delle ceneri, anche nelle nostre parrocchie, non so, magari si fa una celebrazione all’ora di cena! No? Cosa dice il parroco normalmente? “Beh, oggi, anziché la cena, facciamo la celebrazione.” Quindi, digiuno, ma non è che digiuno e vado a dormire: digiuno e prego! Cioè, in quel caso la celebrazione della messa, dell’imposizione delle ceneri. E poi, che cosa si fa, a messa, nei giorni festivi soprattutto? Ad un certo punto passa…. Cosa passa? Il cestino, no? Allora i soldi, per dire, che avrei usato per la cena, li dò in elemosina. Quindi abbiamo unito, in un solo atto di culto, tre realtà essenziali che non sono solo quelle della penitenza, in questo caso il digiuno, ma che sono anche: l’elemosina e anche…la preghiera. Perché il digiuno per il digiuno, abbiamo letto qui, non
interessa a nessuno, tantomeno a Dio! Pensate a questa indicazione: “Nel giorno del vostro digiuno, curate i vostri affari!” Allora io sto digiunando per me, appunto come faccio la dieta la faccio per me! Ma se è il digiuno cultuale, allora io sto digiunando per Dio! Allora vuol dire che mi devo… che devo evitare di lavorare per me, e con quel digiuno lavoro per Lui!
Abbiamo letto “mi cercano ogni giorno”, è Dio che parla al suo popolo, come appunto un popolo che pratichi la giustizia. Ma non è vero niente! Questa è— l’ipocrisia che spesso ci portiamo dietro!
“Mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza con me… e intanto fanno i pesi falsi. Le bilance false, opprimono il povero”, oggi si direbbe: “escludono il migrante” ma, sapete com’è, la narrazione è che bisogna proteggere i confini. Bisogna proteggere le persone! Ma che confini! …che, fra l’altro non esistono… cioè li
abbiam messi noi, ma come dice Ghali in una canzone “dal cielo è uguale”, quindi dalla visione di Dio i confini non ci stanno.
“Voi digiunate tra litigi e alterchi”, il papa spesso ci richiama a questo dicendo vietato
lamentarsi tanto più litigare. Voi colpite con pugni iniqui allora, dice Dio, se dovete
digiunare così basta! Non digiunate più come fate oggi perché non è questo che io
voglio.
Allora ripetiamo ancora una volta: cos’è che Dio vuole? Qual è il digiuno che Dio vuole?
“Sciogliere le catene inique” è il giubileo, è l’anno di grazia del Signore.
È quello che stiamo vivendo – speriamo – fra l’altro noi forse manco ce ne rendiamo
conto perché noi viviamo a Roma. Chi vive a Roma vive sempre in Giubileo, ci sono le Basiliche basta che entri c’hai l’indulgenza, ma vengono dal mondo intero e magari
noi…
“Sciogliere le catene inique”, togliere cioè di mezzo l’iniquità; il papa direbbe con
parole moderne “costruire ponti non muri”.
“Togliere i legami del giogo”: quando io soggiogo l’altro. Oggi in modo particolare
viviamo in una società dove spesso e volentieri purtroppo noi maschi soggioghiamo le donne, per esempio. Guardate i femminicidi, no? Da aprile – cominciato da sei giorni -tre, quattro omicidi, non so. Ma vi sembra una cosa normale? Sì, ma queste cose ci son sempre state solo che oggi, sai com’è, con i mezzi si semplificano le comunicazioni… sì anche… però oggi questo problema c’è in un modo endemico. Certo ci sono anche le mogli che ammazzano i mariti o le donne che ammazzano gli uomini ma non è endemico.
Tutte le forme di sfruttamento, ma anche non volute eh, pensate per esempio quando un uomo, un marito dice eh ma io non so, io sono bravo perché io mia moglie la aiuto in casa. Prego???
Cioè perché sarebbe un dovere di tua moglie e tu sei bravo perché tu aiuti tua moglie… no! È un dovere di tutti e due. Quindi se fai il 50% hai fatto metà del tuo dovere. Vedete voi noi manco ce ne accorgiamo perché ormai sono espressioni che usiamo così pensando di dire una cosa anche buona e invece perpetuiamo uno sfruttamento legalizzato. È stato calcolato che solo tra 186 anni, a parità di posto di lavoro e di titolo di studio, le donne in Italia avranno un trattamento economico pari a quello degli uomini. Ma vi sembra una cosa… ma è una roba da matti!
Il digiuno consiste nel dividere il pane con l’affamato.
Promessi sposi: c’è una figura emblematica in quel romanzo di cui il Manzoni dice “Era uno che poteva anche mettersi a servire i poveri che ospitava in casa sua ma non si abbassava a prendere il cibo con loro”.
Soccorrere il povero non è solo lanciargli la moneta, quante volte il papa dice “toccare
la carne del povero, guardarlo negli occhi”. In quel caso cosa doveva fare quello lì – che pure faceva una cosa buona – cioè che aiutava il povero? Non doveva semplicemente servirlo cioè mettersi sotto di lui, ma doveva mettersi a suo pari e quello non lo faceva perché non si giudicava pari al povero. Dividere il pane con l’affamato …
Dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, i senzatetto, vestire chi vedi nudo: le opere di misericordia corporali e spirituali.
Anche quella una invenzione grandissima e per me una riscoperta enorme di questo pontificato. Io ero già prete quando il papa, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, è diventato papa, eppure vi confesso che se uno mi avesse chiesto elencami le opere di misericordia io non avrei saputo dirle, perché erano una cosa che avevamo dimenticato. E invece il papa con questa insistenza ci ha indicato proprio qual è la via che dobbiamo percorrere oggi, fino all’indizione di un Giubileo della Misericordia, fino a quella bolla stupenda che ad un certo punto ha questa frase “La misericordia è l’architrave della chiesa”.
Questo marmo, questi mattoni: ma chi ci aveva mai pensato? Delle scoperte o riscoperte grandiose! “Allora la tua luce risorgerà come l’aurora”: abbiamo tutti bisogno di luce in un mondo di tenebre.
“La tua ferita si rimarginerà presto”: vuol dire che tutti noi siamo feriti, chi di noi non ha bisogno di questa Misericordia? Chi di noi non si porta dentro delle ferite, che possono essere familiari, lavorative. Adesso va di moda dire “c’è chi ha l’autostima sotto i piedi “, c’è anche il contrario, però anche quello non va bene! Tutti abbiamo delle ferite e vuol dire che abbiamo bisogno di guarigione e da chi andiamo a farci guarire? Da maghi, da cartomanti? Dobbiamo andare dal guaritore che è Dio. Dio guarisce mica gli altri.
Come ti guarisce Dio?
Schiocca le dita: avevi un tumore e non lo hai più c’è anche qualche miracolo così ma appunto non è la via ordinaria. Qual è la via ordinaria della guarigione che dona Dio? Se tu fai così allora il male che c’è non lo senti più.
Parlavamo prima di nipoti: perché ai bambini sì raccontano le storie dove ci sono i mostri, i draghi? Per dirgli che nel mondo c’è il Male? No, perché lo sanno già e non c’è bisogno di dirglielo.
Gli si raccontano quelle storie per far vedere loro che anche i draghi possono esser vinti, per far capire loro che il male c’è ma c’è uno che lo vince e questo uno è Dio e noi con lui.
Il digiuno che Dio vuole è praticare la giustizia, allora invocherai il nome del Signore e lo troverai subito lì. “Eccomi!”. Tanti oggi dicono: “ma io prego ma Dio non mi ha esaudito” ma come preghi? Con le mani che grondano di sangue?
Preghi quando hai compiuto ogni giustizia? O pensi che non vale niente?
Sono collegate profondamente preghiera e vita, allora togli di mezzo tutto ciò che è empio…allora la tua luce brillerà tra le tenebre. Sembra di risentire quel prologo di Giovanni ”nelle tenebre del mondo venne la luce che illumina“, la luce viene ma il mondo non accoglie.
A quanti però lo hanno accolto, speriamo noi, ha dato potere di diventare figli di Dio. Che significa figli? Significa uguale al Padre, noi siamo come Dio, che è una mezza eresia. Le eresie sono delle mezze verità: cioè dire per esempio “Gesù è Dio” è un’eresia, dire solo “Gesù è un uomo” è un’eresia, la verità è dire “Gesù è vero Dio è vero uomo”, cioè completamente Dio è completamente uomo. Quella è la verità.
A noi oggi non sembra niente, ma quelli si sono ammazzati in 2000 anni di storia del cristianesimo per definire queste cose. Ecco dire anche “noi siamo Dio dal momento del battesimo“, non per natura chiaramente, ti mandano a fare un TSO.
Quando Gesù disputa con i farisei dice proprio così: scusate voi dite a me che bestemmio perché dico che Dio è mio padre ma non è scritto forse, anche qui ironico, non è scritto forse nella vostra legge?
Gesù se ne tira fuori, lui è l’unico che può farlo. Noi siamo sotto la legge, anche il Papa. Il Papa non è sopra la chiesa che può fare quello che vuole. Il Papà è dentro la chiesa, sotto la legge, ma Gesù no, non è forse scritto nella vostra legge “voi siete dei” e a quello che viene in nome di dio dite bestemmi. Ma ci siete o ci fate?
Spesso, almeno confessioni che sento, le confidenze che raccolgo, quasi nessuno per esempio viene a dire: guarda è proprio un periodo bello, o guarda sto proprio bene. Normalmente dicono: periodo difficile, sono stanco da morire, tutti.
Il motivo c’è- Abbiamo appena letto: “Ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa”. Allora se tu sei stanco non è perché lavori tanto, se tu sei stanco è perché non stai facendo questo, è perché non stai vivendo il giubileo, è perché non stai facendo digiuno. Se lo farai allora sarai come una città nuovamente edificata. Guardate, la parola di Dio è bellissima-
Io vi faccio proprio così un po’ l’invito a prenderla spesso.
Il Papa lo dice no: tenetevi un Vangelino in tasca, se siete sull’autobus aprite, leggete una parola.
In questa terra è il tempo del digiuno. Poi c’è un secondo tempo: la beata eternità. Abbiamo già messo un piede dentro alla beata eternità con il battesimo.
Al momento del battesimo siamo entrati, però adesso dico una parolaccia teologica, è quello lì, è il momento incoativo iniziale. Ci vuole il compimento, quando siamo morti.
Questa per me è una cosa stranissima. Io ho un dubbio, ho il dubbio che noi non ci crediamo alla risurrezione di Cristo e quindi alla nostra. Perché alla fine nessuno vuole mai morire. Tutti si lamentano che sono stanchi, però poi non vogliono mai morire. A 100 anni: “è però se il Signore mi lasciasse ancora un po’.”
Ma io non so, mi sembra di vivere in un mondo di pazzi. Forse sono pazzo io che dico: “ma io non vedo l’ora di morire.” Ma non perché sono stanco della vita: non vedo l’ora di incontrare finalmente, adesso ho i veli, le fette di prosciutto. Finalmente sarà tolto il velo quell’ultimo giorno.
Poi dice: vai non aver fretta tanto c’è tutta l’eternità. Ma io lo aspetto proprio con tanto con tanto desiderio e forse l’aspetto per quello che stavo dicendo, e così finiamo, perché il tempo presente è quello del digiuno, il secondo tempo è quello del divino banchetto.
Sempre Isaia, questa volta 25 :“Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli, la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del Suo popolo farà scomparire da tutta la terra. Poiché il Signore ha parlato, e si dirà in quel giorno Ecco il nostro Dio! In Lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato.
Rallegriamoci, esultiamo per la Sua salvezza, ecc. ecc.”.
É il brano, la prima lettura che ho scelto per il funerale di mia nonna. Ho fatto il funerale anche degli altri, e però, questa nonna qui, era bella grossa, era quella che … lei non faceva altro che far da mangiare, tutto il giorno, tutti i giorni della sua vita, sempre. Io l’ho sempre vista far da mangiare, e mangiare; è campata 90 anni ,quindi proprio ho questa immagine, no.
Quando ho fatto quel funerale, è stata proprio una festa, eravamo tutti molto contenti, perché veramente avevamo, come dire, un po’ già pregustato, attraverso questo suo modo di vivere la vita, quello che poi effettivamente ci toccherà; anche qui non è che vogliamo ridurre il Paradiso ad un banchetto, non è mica questo, no, però esprime l’abbondanza, la pienezza, il godimento; cioè, lo “Shalom” .
Prima abbiamo parlato di pace e gli ebrei, no, hanno questa parola, “Shalom”, che non significa, dice il Vaticano II, assenza di guerra, ma significa pienezza di vita.
Allora ci vogliono un po’ queste due marce, nella nostra vita, che in questi grandi blocchi che l’ho divisa, fra tempo presente e beata eternità.
La possiamo dividere per es. in “giubileo”, no, una volta ogni 25 anni, e poi però altri 24 anni di vita normale, nel senso, con le dovute proporzioni.
Oppure: “quaresima “: ogni anno 40 giorni di penitenza, e però poi 325 giorni invece di esultanza.
Perché un’altra cosa che non mi va giù è un po’ questa qua; secondo me noi non siamo capaci di fare festa, noi ci siamo fatti rubare la festa dagli altri.
Cioè, quelli che, diciamo così, non sono cristiani, che si ubriacano il venerdì sera, il sabato sera, sono molto più bravi di noi a fare festa .
E, dico, e noi?… che siamo appunto l’anima della festa?
Niente, abbiamo disimparato. Ma, perché?
Perché non ci crediamo.
Se noi credessimo veramente nella paternità di Dio, nella Sua infinita misericordia, che siamo Suoi figli, che siamo, siamo Dio; che come Suoi figli ci risuscita a vita eterna, nell’ultimo giorno, ma già a partire da oggi, ma noi saremmo sempre contenti!
Possiamo avere anche mille motivi di tristezza, ma uno solo di gioia che tutti questi motivi li sbaraglia e li fa sciogliere come neve al sole; che qualsiasi cosa ti accada, il Signore è con te.
Ecco, una mia amica che è morta, e così chiudo, in concetto di santità, ha proprio lasciato questa meditazione, che era una meditazione litanica, e la frase che ripeteva sempre era questa: “Il Signore è con te“.
Hai un dolore, e aveva un tumore, “Il Signore è con te”.
Questa cosa, “Il Signore è con te”, che sono poi le parole che Dio, tramite l’angelo,
dice a Maria : “Dominus tecum”,ecco, ripetiamocele tante volte nella nostra giornata; se facciamo fatica a fare digiuno, ripetiamocela mentre cerchiamo di fare il digiuno: “Il Signore è con te”; non di solo pane vive l’uomo, ma nutriti, pasciti di questa Parola, “Il Signore è con te”; mangia questo cibo, vedrai che sarai molto più contento che mangiare due pizzette, perché la pienezza che ti dà la Parola di Dio, nient’altro sulla terra la può eguagliare.
May 1, 2025
Ho bisogno di una Chiesa che mi dica che solo Dio salva
di Costanza Miriano
Io non so che Papa serva alla Chiesa, perché, per quanto mi scocci, devo ammettere che non sono Dio. Che ne so della situazione della Cina, dove sta l’Armenia, come si posiziona la Chiesa rispetto agli equilibri che cambiano, di quale pastorale ci sia bisogno per arrivare al cuore di un ragazzo giapponese o di una madre di famiglia che vive nel Mato Grosso…
L’unica cosa che conosco un po’ – poco perché davvero è un abisso l’uomo – è il mio cuore. E so quello che ha bisogno di ricevere, quello che gli manca quando legge documenti annacquati o ascolta omelie scialbe, parole che potrebbe scegliere indifferentemente un volontario di una qualsiasi associazione, un buon educatore, un editorialista che si autoconvince di essere biblista. Quando ascolta pastori che cercano di dire che alla fin fine la fede è più o meno “una bella proposta di valori” che più o meno sono assimilabili alla giustizia sociale di cui parla il mondo, quando affermano che la fede cattolica può avere il suo posto fra le altre proposte culturali o religiose che soddisfano l’uomo; come se fosse una delle altre, come se non fosse radicalmente irriducibilmente lontana da tutto il resto, come se non fosse l’annuncio di una vita eterna che comincia già da questa vita. Come se la vita secondo il battesimo potesse assomigliare a quella secondo il mondo. Come se non fosse che solo il battesimo ci può dare il potere di diventare figli di Dio. Come se l’uomo potesse salvarsi con la buona condotta, come se ne fosse capace da solo, di buona condotta.
Al mio cuore molto spesso manca – nella comune predicazione e comunicazione, per fortuna con tante, tantissime eccezioni – un annuncio di Verità, (perché non basta sentirla una volta, la conversione del cuore viene da una frequentazione, e dura tutta la vita), parole che lo facciano risuonare, che lo chiamino alla conversione. Che gli dicano che l’oscurità che lo abita, che abita il cuore di tutti, è stata vinta dalla croce di Cristo. Manca l’annuncio di Cristo, unica salvezza dell’uomo, unica risposta al male, a Cristo agnello innocente che ha preso su di sé il male del mondo, che è irresolubile. Cristo è l’unica porta santa.
Da questa posizione discendono i giudizi su tutti i problemi contemporanei, e questi giudizi non possono mai prescindere da Cristo: il resto sono parole vuote, inviti alla bontà, lezioncine sui migranti, l’ecologia, la giustizia sociale. Sono parole vuote perché senza Cristo non risolvi il problema del male che è nel cuore dell’uomo. Le regole ci sono, anzi, ce ne sono di sempre più invasive, la teoria la sappiamo tutti, eppure continuiamo a fare il male. Io non sono buona, figuriamoci, e lo dice anche Gesù di sé stesso, nel Vangelo. “Nessuno è buono se non Dio solo”. Di questo ho bisogno io. Ho bisogno di una Chiesa che mi dica che solo Dio salva, che l’Eucaristia può gradualmente, lentamente, miracolosamente farci Agnello, che solo in una relazione con Lui è vagamente pensabile la possibilità di essere capaci di amare, o meglio, di chiedere a Cristo di amare attraverso noi, cioè di farsi carico del male nostro e degli altri per consegnare tutto a Cristo, che porta il giogo con noi (che poi conviene perché il giogo è per due buoi, ma essendo più grosso di noi è Lui che si prende il peso).
Ho bisogno di una Chiesa che mi aiuti a fare verità sulla mia vita, perché noi siamo ciechi su noi stessi, neanche le conosciamo le nostre magagne, le ferite, i peccati, i limiti. Tutto ciò che sappiamo è che solo Lui le può guarire, e prima ancora sappiamo che solo Lui sa cosa c’è nel cuore dell’uomo.
Non si tratta di essere nostalgici di Giovanni Paolo II e del suo “spalancate le porte a Cristo”, non voglio assolutamente fare piccole polemiche ecclesiali. Dio sa perché ha voluto o comunque permesso che questo annuncio negli ultimi anni cambiasse forma, almeno nella presenza pubblica della Chiesa (e sicuramente nella sua risonanza mediatica). Sicuramente tante persone lontane dalla fede hanno provato simpatia per una Chiesa che non ha fatto sentire nessuno bisognoso di cambiamento. Forse era giusto così, forse serviva ad abbassare le difese di un mondo aggressivamente catechizzato dal suo principe, il maligno. Un giorno si vedrà il disegno della storia, a distanza di tempo e sappiamo che Dio guida la storia. E chi sono io per giudicare degli uomini che lo cercano (è così in verità la citazione completa e tanto abusata in questi anni).
Però supplico i pastori che si prenderanno cura di noi, a cominciare dal prossimo Papa, di uscire dal complesso di inferiorità di una Chiesa che deve sembrare “tutto-friendly”, cioè amichevole con le istanze di tutti (tranne a volte quelle di coloro che sono rimasti nel recinto) per avere qualche speranza di essere ascoltata. Usciamo dal complesso di inferiorità nei confronti del mondo! Siate virili, come diceva santa Caterina, tirate fuori gli attributi, ricordatevi che non dovete sembrare compatibili tipo le cialde del caffè in modo da entrare ovunque, va bene essere fuori misura, va bene essere incompresi se per essere compresi dovete omettere quello che stona. Ricordatevi che siete i centravanti di sfondamento dell’unica squadra che vince sempre, non per le vostre né le nostre qualità ma perché è Dio che ha vinto la morte, l’unico problema irresolubile dell’uomo. Ovviamente se entriamo nella logica del mondo e pensiamo che essere la squadra vincente significhi avere prestigio nel mondo, influenza, considerazione anche solo culturale, occupare posticini, essere accettati, non sentirci sfigati, se è questo che vogliamo allora siamo dei perdenti. Tipo quando segnaliamo con orgoglio che qualche “famoso” – di solito di terza fila – è cattolico: ma chi se ne frega! I grandi secondo la logica di Dio sono altri, e li conosceremo solo in cielo, il cassiere dell’Esselunga, la madre di un disabile, un prete che si lascia mangiare dai suoi, una monaca col cuore ardente, un ingegnere che nel segreto si arrende a Cristo (che ne sappiamo noi delle meraviglie che Dio fa nel segreto dei cuori).
Noi laici vi sosterremo da dietro, ben consapevoli che non si tratta di logiche da scacchiere del mondo: la nostra battaglia infatti, come dice Paolo, non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Non penseremo mica che questa battaglia non entri in Conclave? Se i principati e le potestà si danno tanto da fare per dominare me che non conto niente, figuriamoci se non proveranno a svolazzare nella Cappella Sistina da cui uscirà un uomo tanto importante per il mondo.
Per questo, rilancio l’idea di una suora che mi ha proposto di pregare le 1000 Ave Maria domenica 4 maggio, ma anche un altro dei giorni precedenti il 7, l’inizio del Conclave, per mettere nelle mani di Maria tante frecce, perché possa scegliere lei un suo figlio prediletto da far salire sul soglio. È vero che Dio non ha bisogno di consigli, ma è vero anche che Dio non impone la sua volontà su quella umana, rispetta troppo i suoi figli, e agisce nella misura in cui glielo permettiamo, o, a maggior ragione, chiediamo.
Pregare mille Ave Maria in un giorno è un po’ impegnativo, lo ammetto. Però si riesce, e io ne ho sperimentata l’efficacia in un momento in cui chiedevo una grazia da mission impossible (ed è arrivata). Avevo anche arruolato delle amiche per supportarmi, per spartircele, anche se poi a un soffio dalla mezzanotte ce l’ho fatta. Magari potremmo fare dei gruppetti con gli amici: 100 o 200 per uno, non so. Troviamo un modo, assaltiamo il cielo con la preghiera dei piccoli, degli umili, disarmiamo i Principati delle tenebre. È un momento di combattimento, e dobbiamo trovarci ai nostri posto.
***
Adozione Spirituale di un Cardinale
I monaci e le monache Wi-Fi, spiritualmente uniti a Maria, pregheranno giornalmente lo Spirito Santo, da oggi al giorno dell’elezione del nuovo Papa, per ciascuno dei cardinali elettori, nell’attesa del nuovo successore di Pietro.
April 29, 2025
Il Concilio Vaticano II e la Chiesa del futuro
Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo ampi stralci della Conclusione de Il Concilio Vaticano II spiegato ai miei figli , il nuovo libro di Luca Del Pozzo ora nelle librerie per Cantagalli (720 pp., 28€).

“Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Non una società più giusta, un mondo pacificato e solidale, l’umanità finalmente emancipata dalla sofferenza e dal dolore, un eco-sistema più salubre, no. Ma, appunto, la fede. Alla fine, vedete, tutto ruota attorno a questa domanda di Gesù. E il fatto stesso che l’abbia posta vuol dire che non è affatto scontato che, quando tornerà alla fine dei tempi, ci sarà ancora fede sulla terra. Per questo è una domanda che va presa molto sul serio, e che in ogni epoca interpella la Chiesa costringendola ad interrogarsi sulla coscienza che ha di sé e della sua missione nel mondo. Soprattutto, è una domanda che interpella la Chiesa oggi, tenuto conto della situazione di crisi in cui si trova la quale, come dimostra il dilagare dell’apostasia, è primariamente crisi di fede. Va da sé (o, meglio, dovrebbe andare da sé) che se il problema da cui tutto deriva è la crisi di fede, è da lì che si dovrebbe ripartire. Ora la cosa interessante è che se sulla messa a fuoco della “malattia” c’è (abbastanza) consenso, è quando si passa alla “cura” da intraprendere che, invece, emergono i problemi. Accade infatti che se la parola d’ordine che risuona ovunque è che bisogna tornare ad annunciare il Vangelo, è di tutta evidenza come ci sia una certa confusione su cosa si intenda per evangelizzazione, col rischio di replicare, mutatis mutandis, lo stesso errore dei decenni passati quando la progressiva scristianizzazione della società coincise con uno dei periodi di maggiore e prolungato sforzo missionario da parte della Chiesa…
Da qui la domanda, tanto più impellente ora che si è in attesa degli sviluppi del doppio Sinodo sulla Sinodalità e delle decisioni che dovranno essere prese anche sulla base dei lavori dei gruppi di studio ai quali sono stati affidati i temi più delicati emersi durante il primo round del Sinodo generale: cosa vuole fare la Chiesa del terzo millennio? Adottare come in Germania il “modello Aronne”, abbassando l’asticella del Vangelo alla statura della (poca) fede delle persone per dare al popolo ciò che il popolo chiede semplicemente accogliendo e ascoltando e accompagnando l’umanità nel suo cammino senza disturbare troppo, quasi che essere o non essere cristiani sia tutto sommato indifferente; oppure scegliere il “modello Mosè”, elevando gli uomini alla statura del Vangelo, con ciò adempiendo alla missione che Cristo le ha affidato – “Andate dunque e ammaestrate tulle le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi comandato” (Mt 28,19-20) – ossia evangelizzare il mondo perché il mondo, convertendosi a Cristo, si salvi? Detto in altri termini, vale ancora l’extra ecclesia nulla salus o no? E allora, per dirla con Pascal, bien penser pur bien agir. Tradotto: se la crisi che attanaglia la Chiesa è innanzitutto crisi fede, è di palmare evidenza che la Chiesa non ha altra via davanti a sé che provare a riaccendere la fiamma della fede nel cuore degli uomini. Nella consapevolezza che tanto grave è la situazione, tanto più forte e incisivo dev’essere il rimedio. Essa ha già dove attingere, senza bisogno di inventarsi nulla ed anzi rifuggendo la tentazione, sempre alle porte, di cercare improbabili mediazioni o soluzioni pastorali che rischiano di confondere ciò che è il bene per le persone con quello che gli individui pensano essere il bene per sé stessi o, peggio ancora, con ciò che l’opinione pubblica chiede. Di fronte alla crisi attuale la cura non è fare marcia indietro né vagheggiare balzi in avanti, ma riprendere e attuare il Concilio Vaticano II. Beninteso, quello vero. Cioè quello dei documenti visti nella seconda parte e il cui vero spirito fu illustrato da Karol Wojtyła nel già citato Alle fonti del rinnovamento, dove mise in luce come il rinnovamento conciliare fosse prima di tutto rinnovamento degli atteggiamenti, cioè della persona e non delle strutture. Ma cosa vuol dire, in concreto, attuare il Concilio? Non si tratta di pensare terapie, tattiche o piani, cioè di riflettere sul “come” attuare; si tratta piuttosto di tradurre in comportamenti, atteggiamenti, opere quello che il Concilio ha detto. A partire dall’atteggiamento fondamentale della fede, che il Vaticano II ha posto come carta d’identità dei cristiani nel mondo d’oggi. Fede che, lo abbiamo visto, coerentemente con la sua impostazione filosofica Wojtyła considerava non soltanto adesione dell’intelletto a delle verità, ma abbandono totale in Dio di tutta la persona. Ciò che richiede che le verità di fede si incarnino in uno “stile di vita”, in atteggiamenti che testimonino il modo d’essere cristiani.
Se dunque attuare il Vaticano II vuol dire tradurre in atteggiamenti concreti i suoi insegnamenti, vivere cioè in prima persona il principio dell’“arricchimento della fede” che Wojtyła aveva indicato come postulato di tutto il rinnovamento conciliare, ecco che la risposta alla crisi attuale assume la fisionomia del “resto”; vale a dire un gregge di cristiani adulti che con la loro sola esistenza fanno presente il regno di Dio in mezzo al mondo testimoniando e annunciando il Vangelo di sempre – quello di Gesù Cristo, non quello politicamente corretto predicato oggi – con un linguaggio nuovo, più esistenziale, meno astratto e moralistico, in linea con lo spirito più genuino del Concilio. Naturalmente tutto ciò non è, non sarà indolore. Essere “resto” implica, infatti, entrare in rotta di collisione con la mentalità dominante…
Stando così le cose capite bene come oggi e più ancora domani diventi fondamentale il tema della formazione. Come formare quegli atteggiamenti, primo fra tutti quello della fede, che devono tradurre ciò che il Concilio ha trasmesso circa lo stile, il modo d’essere dei cristiani nel mondo? In altre parole: dove e come formare quel “resto” che dovrà chiamare gli uomini alla fede? E che fisionomia avrà tale Chiesa del futuro (ma che è già presente)? Quale modello di presenza della Chiesa di domani nel mondo? Chiaro che stante il clima di sostanziale neopaganesimo in cui siamo immersi che fa sì che la Chiesa si trovi a dover fare i conti con una realtà simile a quella dei primi secoli, non serviranno certo pannicelli caldi. Una prima indicazione è rintracciabile nei già visti “Appunti” di Benedetto XVI sugli abusi sessuali del clero, laddove scrive: “Nella Chiesa antica, rispetto a una cultura sempre più depravata, fu istituito il catecumenato come spazio di esistenza nel quale quel che era specifico e nuovo del modo di vivere cristiano veniva insegnato e anche salvaguardato rispetto al modo di vivere comune. Penso che anche oggi sia necessario qualcosa di simile a comunità catecumenali affinché la vita cristiana possa affermarsi nella sua peculiarità”. Un’indicazione tanto più significativa, questa di Ratzinger, tenuto conto del fatto, lo accennammo parlando della Sacrosanctum concilium, che è stato proprio il Concilio Vaticano II a ripristinare il catecumenato per adulti…
Un ruolo di assoluto rilievo sempre in vista dell’attuazione del Concilio lo avranno ancora i movimenti e le nuove comunità, i quali pur con tutti i limiti dell’umana debolezza rappresentano tuttora luoghi privilegiati dove maturare una fede adulta. A tal riguardo, è importante sottolineare che è necessario che le parrocchie sappiano valorizzare queste realtà, in particolare lo slancio missionario di cui sono portatrici e che proprio nelle parrocchie è del tutto assente o quasi. Esse, rileva mons. Camisasca, “parlano a coloro che sono già cristiani, ma faticano a raggiungere le persone che hanno perduto la fede o non l’hanno mai avuta. Lo slancio missionario dei movimenti dovrebbe perciò essere accolto e integrarsi con la quotidianità della vita parrocchiale”. Pensare di rievangelizzare un mondo, come quello contemporaneo, compiutamente scristianizzato e secolarizzato con la vecchia pastorale sacramentale, i centri di ascolto, i corsi di teologia biblica, le conferenze dell’esperto di turno e via dicendo, significa aver perso la battaglia prima ancora di cominciare. Più ancora, strettamente correlata con il tema della missione c’è l’esigenza di ripensare l’idea stessa di parrocchia legata ad un territorio, per andare verso un modello di parrocchia “diffusa”, non più legata ad un luogo delimitato bensì calibrata in funzione dei territori esistenziali e delle realtà ecclesiali (gruppi, associazioni, movimenti, comunità, ecc.) che, prese nel loro insieme, costituiscono la comunità parrocchiale a prescindere dalla residenza dei fedeli. Si tratta, insomma, di passare da una concezione verticistica e istituzionale della parrocchia, a sua volta figlia di una ben precisa ecclesiologia, ad una che metta più l’accento sull’aspetto comunitario, fermo restando che c’è bisogno di entrambe le dimensioni. In tal modo verrebbe superata quella visione esclusiva della parrocchia che in passato è stata all’origine non soltanto di contrasti tra le parrocchie e i movimenti, gli ordini religiosi e le nuove comunità, ma anche di situazioni di grave imbarazzo per non dire scandalo. Basti pensare, per fare un esempio, alle famiglie che frequentano da anni una parrocchia diversa da quella territoriale, e che si vedono rifiutare dal parroco fresco di nomina nella parrocchia d’elezione la comunione o la cresima dei loro figli perché, appunto, appartenenti ad altro territorio parrocchiale. Anche basta, grazie…
Accanto a laici seriamente formati ad una fede adulta, non meno importante nel “resto” che dovrà attrarre di nuovo gli uomini a Cristo, sarà avere vescovi e sacerdoti all’altezza della situazione. A partire ovviamente dal vescovo di Roma. Il prossimo papa di George Weigel offre a tal riguardo interessanti spunti di riflessione. Dieci sono gli ambiti identificati dal biografo di Wojtyła rispetto ai quali dovrà misurarsi il futuro Pontefice: si va dalla nuova evangelizzazione, che nell’ottica di Weigel funge da bussola e pietra miliare dell’intero pontificato, al modo di concepire il ministero petrino; dalla necessità di ripensare il rapporto tra dottrina e misericordia all’esigenza di proporre un nuovo umanesimo cristiano; e ancora, il ruolo dei vescovi, dei sacerdoti e dei laici come anche la riforma del Vaticano. Per finire, gli ultimi due capitoli dedicati al tema dell’ecumenismo e del rapporto Chiesa-mondo…
Quanto detto da Weigel in chiusura del suo ritratto del futuro Pontefice vale ovviamente non solo per il papa, e con lui i vescovi, ma anche per i presbiteri della Chiesa di domani. I quali prima di tutto dovranno essere uomini di Dio. “Il prete – ricorda mons. Camisasca – è un uomo di Dio tra gli uomini. Se perde il dialogo con Dio non ha più nulla da dire né da portare agli uomini. Dirà loro le parole di tutti, porterà le soluzioni che qualunque sapiente potrebbe rivelare. Ma non è questo ciò che la gente vuole dal prete, ciò che si attende da lui”42. L’urgenza di avere sacerdoti santi, la cui vita sia profondamente innestata in Dio, e non dei funzionari o preti in carriera o, peggio, dediti ad attività pur lodevoli e meritorie, ma che con il sacerdozio fanno a sportellate, chiama in causa, di nuovo, la questione della formazione. Questione la quale, è bene dirlo fin da subito, è di gran lunga più importante di quella delle vocazioni…
Più che il numero dei sacerdoti conta la qualità della loro vita. Il che, come dicevamo poc’anzi, pone il tema della formazione. E su questo permettetemi di essere diretto: se i seminari continueranno a sfornare preti come buona parte dei preti in circolazione, forse bisognerà cominciare a vedere la crisi delle vocazioni (al netto di quanto detto finora) sotto tutt’altra luce. Intendiamoci, ce ne sono, eccome, di preti santi che, nelle parrocchie o in missione o dove sia, svolgono un lavoro encomiabile dando testimonianza di Cristo; ma si tratta di una minoranza, lodevole quanto si vuole, ma pur sempre una minoranza. E forse non è un caso se uno come Vittorio Messori nella già citata intervista che gli feci, alla domanda se fosse preoccupato per il calo delle vocazioni così rispose: “Per dirla crudamente: sapendo come funzionano e cosa insegnano buona parte dei seminari, ogni prete in più è un problema, se non un pericolo, in più… Se i preti facessero solo le cose che solamente loro possono fare – l’amministrazione dei sacramenti e l’annuncio del Vangelo – non ne occorrerebbero molti. Al resto potremmo (e dovremmo) pensare noi laici”. Della serie: meglio pochi e buoni (ovvio che, se poi i buoni fossero anche tanti, ancora meglio). Formazione, dunque. Tema certamente non facile che ha tante dimensioni e componenti. A partire dalla qualità dei formatori, perché è da essi che dipende la vita di un seminario. Sotto questo profilo ha ragioni da vendere mons. Camisasca quando dice che per la formazione dei futuri presbiteri vanno destinati “i sacerdoti migliori della diocesi… Innanzitutto quelli più felici del loro sacerdozio, quelli più convinti di aver scelto la parte migliore, uomini realizzati che irraggino positività. Non perfetti, che non esistono, e neppure uomini dal carattere angelico, ma uomini capaci di ascoltare, di comprendere la personalità dell’altro, di aiutarlo a vedere se la strada del sacerdozio è ragionevolmente quella a cui Dio lo ha chiamato, oppure no”. Quattro sono gli ambiti dove più che altrove i formatori hanno un ruolo molto importante: il rapporto con la Scrittura, l’amore e la cura per la liturgia, la preghiera e la vita comunitaria…
Ultimo, ma un ultimo, essendo in realtà la questione forse più delicata e per certi aspetti irrisolta: oggi più che mai è fondamentale formare preti non clericali. Che molti dei problemi che affliggono oggi la Chiesa siano dovuti al clericalismo è un dato di fatto inoppugnabile (non però, come abbiamo visto, la pedofilia). Dal che la domanda se e in che misura l’ecclesiologia del Vaticano II sia stata recepita, e più ancora venga insegnata e praticata nei seminari. L’impressione, spiace dirlo, è che la risposta sia alquanto negativa. Nessuno, sia chiaro, mette in discussione il ruolo e l’importanza del clero, non è questo il punto. Con buona pace di chi si trastulla in progetti di riforma lunari, la struttura essenziale e immodificabile della Chiesa è e resta sacramentale, ciò che richiede e implica il ministero ordinato. È però un fatto che la formazione del clero, almeno a certe latitudini, risenta ancora di una impostazione preconciliare, un’impostazione cioè che sembra ignorare che il Vaticano II ha riproposto un’ecclesiologia in cui il ministero ordinato, quantunque differisca – come recita Sacrosanctum concilium – “non solo per grado ma per essenza” da quello comune dei fedeli, va visto e inquadrato nel contesto di una concezione della Chiesa come Corpo di Cristo e popolo di Dio, all’interno della quale ciascun fedele, in virtù del battesimo, partecipa all’unico sacerdozio di Cristo. Il fenomeno in questione poi è tanto più stridente quanto più si consideri che lo si rintraccia anche tra le fila dei sacerdoti provenienti proprio da quei movimenti e nuove comunità dove la ricchezza del rinnovamento conciliare ha dato e continua a dare frutti enormi (tra cui, come si diceva poc’anzi, un gran numero di vocazioni). Come è possibile che ragazzi cresciuti all’interno di quei carismi e in essi sostenuti nel loro percorso vocazionale e formativo (a livello spirituale, ma anche, è bene ricordarlo, a livello materiale), quando poi escono dai seminari e iniziano a svolgere il loro ministero assumono atteggiamenti e modi di fare, appunto, clericali – che cioè riflettono la vecchia e superata ecclesiologia “piramidale” – non di rado accompagnati anche da una immotivata e in alcuni casi quasi ostentata presa di distanza dal carisma di provenienza? Fino ad arrivare alle situazioni da teatro dell’assurdo di quei preti la cui vocazione è sorta all’interno di un dato carisma, e che poi te li ritrovi essi stessi interpreti di quel clericalismo di ritorno che, tra le altre cose, ha sempre osteggiato e continua ad osteggiare proprio i movimenti e le nuove comunità. C’è solo un problema di immaturità e scarso buon senso (quando non si tratti di malcelata superbia) o c’è un problema più serio “a monte”, che riguarda, cioè, la concezione del sacerdozio e del rapporto clero-laicato, quindi la concezione della Chiesa, da cui discende il modo in cui vengono formati i futuri preti e il ruolo che in tale ottica rivestono i seminari? Probabilmente, come spesso succede, la verità sta nel mezzo. In ogni caso, è evidente che da qualche parte si è creato un cortocircuito. Ed è altrettanto evidente che è su quel cortocircuito che bisogna intervenire se si vuole risolvere il problema. Tenendo bene a mente ciò che dice Gesù di sé stesso e della sua missione: “il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).
Siamo arrivati alla conclusione. In tutte le epoche la Chiesa si è confrontata con l’esigenza di rinnovamento. Anche oggi si fa un gran parlare di riforme, della necessità di riformare la Chiesa perché sappia rendere di nuovo appetibile il cristianesimo a un mondo che ha voltato le spalle al Vangelo. Da questo punto di vista, alla domanda di T. S. Eliot se è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità, o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa”, guardando a ciò che accaduto in particolare negli ultimi sessant’anni, a come è cambiata la società e a quello che sta succedendo sotto i nostri occhi, non avrei alcun dubbio a rispondere che è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa. E abbandonando la Chiesa ha abbandonato Dio, ma, attenzione: “non per altri déi, dicono, ma per nessun dio; e questo – nota Eliot – non era mai accaduto prima”. Che poi anche la Chiesa abbia avuto e abbia tuttora la sua parte di responsabilità, posso anche essere d’accordo. Non però, come vuole la vulgata, per le mancanze, le debolezze e i peccati commessi dai suoi figli, quanto piuttosto per il fatto che da un certo momento in poi ha smesso di essere sé stessa, ha messo di parlare agli uomini della morte, del male e del peccato. Ha venduto la sua primogenitura per un piatto di lenticchie. Se proprio dobbiamo trovarne una, questa è stata l’unica e vera responsabilità della Chiesa; e fermo restando che anche così l’apostasia sarebbe arrivata lo stesso. Immagino vi starete chiedendo cosa c’entri tutto ciò con il Concilio. Quello che abbiamo cercato di spiegare in questo libro è stato innanzitutto ciò che il Concilio ha detto, quale è stato il suo significato, in che senso vada inteso il rinnovamento che esso ha promosso; in secondo luogo, come e perché il Vaticano II è la riposta alla crisi di oggi. Dall’attuazione del Concilio è sorta, sta sorgendo la Chiesa di domani. Chiesa che, come aveva lucidamente intravisto Ratzinger non sarà più come prima. Sarà un “resto”, un piccolo gregge che avrà il compito di illuminare con la testimonianza e l’annuncio le tenebre in cui per molti aspetti è immerso il mondo. “La nostra epoca – scrive il card. Sarah – ha bisogno del Vangelo come di una bussola per non perdersi, come di una immobile stella polare nel firmamento che indichi la direzione della Terra Promessa che tutti gli uomini cercano. Perché questa stella brilli, il mondo ha bisogno, in ogni epoca, di uomini e donne che hanno scelto Dio senza compromessi e che con coraggio offrono l’esempio”. Sappiamo bene che combattere la “buona battaglia” della fede, come dice s. Paolo, non è facile. Gesù stesso non ha promesso ai suoi discepoli una vita spensierata e tranquilla: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me… Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,18a. 20a). Sappiamo anche però che questo è ciò che salva il mondo, il quale “non ha bisogno di approvazione, ma di trasformazione: il mondo ha bisogno della radicalità del Vangelo. Ha urgente bisogno di Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo. Poco importa se la rigorosa purezza del Vangelo lo infastidisce”. Vedete, alla fine ciò che davvero farà la differenza anche nella crisi attuale sarà una cosa sola: la santità. Come disse Ratzinger nella sua profezia: “anche questa volta, come sempre, il futuro della Chiesa verrà fuori dai nuovi santi”. E questo perché “l’unico vero riformatore è Dio, e dietro di lui gli uomini di Dio”.
Miei cari figli, mi riterrò più che ripagato della fatica di questo libro se dopo averlo letto una cosa vi sarà rimasta impressa nel cuore e nella mente: è la santità ciò che il mondo attende. Null’altro. Il mondo che soprattutto oggi cerca spasmodicamente di essere come Dio ha un bisogno disperato di vedere che si può vivere così – perché effettivamente l’uomo è chiamato a partecipare della vita divina – ma, questo il punto, con Dio, non senza di Lui, come si illude di poter fare l’uomo contemporaneo avendo creduto alla menzogna del Nemico. Ecco perché è importante che sorga un “resto” che faccia presente che c’è solo un modo per essere realmente e felicemente divinizzati: essere cristiani. Questo, d’altra parte, è l’obiettivo ultimo del rinnovamento conciliare: che nella Chiesa torni a splendere la santità alla quale, non ci stancheremo di ripeterlo, tutti sono chiamati. Nessuno escluso.
“La Chiesa – diceva Bernanos – non ha bisogno di riformatori, ma di santi”.
Se dunque la Chiesa vuole davvero riformare sé stessa, ciò che serve non è rivedere il celibato, ammettere le donne al sacerdozio, benedire coppie samesex, dare la comunione ai divorziati risposati, cambiare la governance e via dicendo; se la Chiesa vuole riformare sé stessa non ha che da formare nuovi santi. Perché solo la santità può cambiare, e in meglio, il mondo e la storia trasformando dal di dentro il cuore dell’uomo da cui tutto nasce. E io mi auguro e vi auguro che tra i nuovi santi ci sarete anche voi.
* * *
Benedetto XVI, Che cos’è il cristianesimo…, op. cit., pp. 148-149.
M. Camisasca, La luce…, op. cit., p. 262.
Cfr. G. Weigel, Il prossimo papa. L’ufficio di Pietro e la missione della Chiesa, Verona, Fede & Cultura, 2021.
Cfr. L. Del Pozzo, Messori…, op. cit.
M. Camisasca, La luce…, op. cit., p. 171.
SC, n. 10.
Cfr. T. S. Eliot, Cori da “La Rocca”, Milano, Rizzoli, 2020, p. 101.
Ibidem.
R. Sarah, Catechismo…, op. cit., p. 303.
Ivi, p. 305.
M. Camisasca, La luce…, op. cit., p. 303.
G. Bernanos, Un uomo solo, Vicenza, La Locusta, 1972, p. 23.
April 22, 2025
L’Essenziale – Al Passaggio di Papa Francesco
di don Cristian Langa
Ora che Papa Francesco ha varcato la Porta santa della vita verso l’eternità, credo sia importante per tutti i fedeli cattolici (e non solo) non perdere di vista l’essenziale, che in questi momenti può facilmente smarrirsi tra emozioni, sentimenti, ricordi, preferenze, apprezzamenti, critiche o tentazioni di giudizi affrettati (di assoluzione o di condanna).
L’essenziale è l’anima che non ha prezzo. L’anima del Papa è chiamata alla salvezza e ora si trova davanti al suo Signore, incapace di fare qualcosa per sé stessa. E, forse sorprendentemente, diventa essenziale e prezioso, per quanto ci riguarda, ciò che possiamo fare noi per quest’anima, accompagnandola con la preghiera d’ intercessione e non è poco. Per quanto poco sia, messo nella mano del Signore, si moltiplica. Ed è bene ricordare che la preghiera non è un premio che diamo a qualcuno che riteniamo meritevole, né il suo rifiuto è una punizione per qualcuno che riteniamo immeritevole. Invece è una supplica al Signore, che ci rende simili a Lui (quando ha pregato, ad esempio, per l’amico morto Lazzaro o, sulla croce, per coloro che non erano suoi amici), mentre il rifiuto di questa supplica ci rende invece dissimili da Lui.
Ecco perché vi chiedo e vi esorto all’…essenziale, a pregare per l’anima di Papa Francesco, sia individualmente che nella forma che assicura l’adesione di Dio alla nostra preghiera: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, sono anch’io lì in mezzo a loro. È noto che l’Ottava di Pasqua non è povera di grazie, soprattutto per coloro che varcano la soglia dell’aldilà, quindi non siamo timidi o tirchi nel chiedere il meglio per la sua anima!
Alcuni pensieri di Papa Francesco sulla morte credo siano preferibili alle tribune che ci invitano a ridurre la vita di un uomo alle sue colpe o alle sue ispirazioni, alle parole o ai gesti in cui ci ritroviamo o da cui ci dissociamo, per cui, alla fine, tendiamo ad essere noi… l’unità di misura della qualità di chi ci ha lasciato. Lasciamo al Signore questo sguardo, perché avremo tutti da guadagnare di più…
Per un cristiano, la buona morte è un’esperienza della misericordia di Dio, che si avvicina a noi anche nell’ultimo istante della nostra vita.
Il pensiero della morte non è una brutta fantasia, è una realtà. Che sia brutta o meno, dipende da me, dal mio modo di pensarla, ma ci sarà, e ci sarà l’incontro con il Signore: questa sarà la bellezza della morte, sarà l’incontro con il Signore, Lui ci verrà incontro.
La morte fa emergere la nostra vita. Ci fa scoprire che i nostri atti di orgoglio, di rabbia e di odio erano vanità, pura vanità, ci rendiamo conto con rammarico che non abbiamo amato abbastanza e che non abbiamo cercato l’essenziale. E, al contrario, vediamo ciò che di veramente buono abbiamo seminato: gli affetti per i quali ci siamo sacrificati e che ora ci tengono per mano. Gesù ha illuminato il mistero della nostra morte. Sentiamo Gesù molto vicino, nostro fratello. …
Siamo tutti piccoli e impotenti davanti al mistero della morte. Eppure che grazia se in quel momento manteniamo la fiamma della fede nel nostro cuore! Gesù ci prenderà per mano…
Pensiamo ciascuno alla propria morte e immaginiamo il momento in cui Gesù ci prenderà per mano e ci dirà: Vieni, vieni con me, alzati. Lì la speranza finirà e sarà la realtà, la realtà della vita. Pensateci: Gesù stesso verrà da ciascuno di noi e ci prenderà per mano, con la sua tenerezza, con la sua dolcezza, con il suo amore.
April 9, 2025
Quando la Resurrezione ti fa il caffè
di Marco Negri
Mi sono trovato invitato in parrocchia insieme a mia moglie, ad un incontro, quello che un tempo, quando si pensava andasse bene, si chiamava il “corso dei fidanzati”.
Ora, su tutto, visto come sta andando, specialmente nel recinto della fede, si cerca di usare terminologie più “morbide” declinate dalla sociologia, per non urtare, per non dare l’impressione da subito che credere e sposarsi sia la stessa cosa, e non quella “malattia” per la quale, con volontà e impegno, si può guarire con una ricetta precisa.
Sei coppie che per la nostra piccola realtà incredibilmente rappresenta un lusso inaspettato. Dovevamo noi dare fuoco alle polveri; una coppia di boomer che ha resistito dal giurassico fino adesso, che dovevano affrontare il tema “dall’innamoramento all’amore”.
Annalisa, che aveva po’ di timori, è andata benissimo, ma io mi sono bloccato, un po’ per la presenza di nostra figlia col suo fidanzato, un po’ per le aspettative di presunta esperienza appiccicate alla nostra anagrafe e un po’ per non farli “scappare” da subito parlando di Lui, come mi redarguiscono spesso mia moglie e i miei figli.
Avevo tante cose da dire, belle, che hanno reso importante ciò che non lo sarebbe stato, unico ciò che sarebbe stato solito e vuoto, prezioso ciò che sarebbe stato povero nella mia vita e quindi nella nostra da sposati, da genitori e il nostro scoprirci una cosa sola con Lui. Tutte cose incomunicabili, figurarsi per un dislessico come me.
Se fossi stato bravo avrei forse potuto dire: “guardate ragazzi, non pensate che noi due ne sappiamo molto di più di voi perché la nostra esperienza affonda nel giurassico, perché abbiamo le idee chiare derivanti dal famoso discernimento, frequentando la chiesa e che siamo qui con il don a parlare del matrimonio cristiano per sponsorizzarlo perché magari abbiamo da giovani militato tanti anni in AC o in CL o cose simili o perché è stato il frutto della “favola” di esserci conosciuti in parrocchia e poi da fidanzati, avere fatto un po’ di catechismo ai ragazzi trascinati da don Lucio, che poi ci ha sposati. Abbiamo dato corpo cioè, con una volontà tutta nostra, ad un “progetto”, mettendo in comune tanti pensieri di bene che ci hanno portato a questa scelta”.
Ecco, forse su questo punto l’unica cosa comprensibile che, con sorpresa, mi è come sfuggita dalla mia atavica agorafobia è stata quella di dire che quando le cose passano dalla travolgente attrazione “fatale” e diventano via via più importanti e che devi riempire di senso, cose tipo: il cambiamento, la fedeltà, il sacrificio, le ferite, il disincanto, avere figli; ecco proprio allora se presti un po’ di attenzione, capisci che non sei tu che ti scegli, ma che invece sei scelto, sei chiamato.
Ci viene consegnato, donato tutto ciò che facciamo, tutto ciò che siamo, ci vengono “regalati” i mattoncini del Lego per costruire il senso del nostro stare su questa terra, del nostro stare insieme, della certezza di non essere soli, senza un progetto, senza un senso compiuto, proprio per sentire l’urgenza di dargli pienezza.
Ed è lì che avrei dovuto fare lo “scorretto “e dire che non si può parlare di matrimonio senza parlare di Lui, della fede, del mistero che lo comprende. E non è possibile parlare del mistero del matrimonio senza parlare di Resurrezione, perché sposarsi è esattamente il “disegnino “che ci è donato e che ci fa capire l’amore di Dio. La nostra vita, la vita del santo o del malvagio, del religioso o dell’ateo, in qualunque stato sia, forma, intensità, rilevanza, volente o nolente, si trova al centro proprio di questo: dell’amore, dell’essere amati, accettati per quello che siamo e non per quello che crediamo di essere o che il mondo che ci circonda vuole che siamo.
Tutti, credenti e non, ci troviamo al centro di questo bisogno di amore e di verità, di questa esigenza di verità che ci completa, che dà senso a tutto. Una verità che nessuna legge, nessuna scienza, nessuna filosofia ha reso disponibile e ha saputo spiegare, perché amore e verità sono la stessa cosa, un unico mistero inspiegabile, che si può spiegare solo con la fede, la sola che ci permette di accarezzarla.
Il matrimonio cristiano è pienamente al centro di questo mistero grande e per questo non è un semplice “star bene insieme”, ma la risposta credibile e disponibile sempre, non solo quando le cose vanno bene, ma soprattutto quando sono buie e sembrano insuperabili, quando diventano cruciali, come la risposta che si rinnova tutti i giorni alla domanda che Pilato ha fatto a Gesù nel pretorio, un po’ prima di lavarsene le mani.
Per il cristiano la risposta è quel Volto che dice Tutto, chi sei e non chi credi di essere e che svela i segreti del cuore, senza una ricetta ma con uno sguardo. La risposta al mistero che due occhi soli, nella solitudine del proprio bastare a se stesso, Pilato, che spesso sono io, siamo noi, non è riuscito a “vedere”, mentre è possibile ai quattro occhi degli sposi, con uno sguardo solo riunito dal Suo.
Essere liberi o prigionieri è l’esercizio quotidiano derivante dal presidio della verità che a suo modo, ogni uomo e donna, prima ancora che credente o non credente, esercita sul senso delle cose, anche quando non se ne rende conto.
È un po’ come il compito della sentinella che presidia un forte e quello che esso custodisce perché necessario per ogni battaglia. Se sincero, fa la differenza tra vivere e sopravvivere e in ogni momento, anche il più piccolo e insignificante, tu sei in mezzo a questa lotta. Ogni momento è cruciale, esattamente come lo è stato quello di Pilato di fronte a Gesù, difronte alla Verità.
Ogni momento, ogni istante che fa l’esistenza intera è una possibilità sempre nuova di stare difronte alla Verità; offerta, non te la puoi dare, quella di stare difronte al Volto che dice Tutto, che ti dice chi sei, che ti dice che siamo figli preziosi, che ti dice che siamo il suo sacramento per il mondo. Quella che ti fa sentire che tutto è possibile anche le cose più incredibili.
Perfino vedere la goccia del tuo sangue in quel calice alzato, dove sta quello di chi ti circonda, di chi è stato, dell’umanità intera, radunato dal Suo. O quella che ti fa vedere la Resurrezione che prepara e prende il caffè con te e tua moglie, dopo una lite furibonda. Quella che inumidisce gli occhi che si guardano e nel silenzio si dicono “stava andando tutto all’aria “.
Quella che ti fa gustare l’aroma di quel caffè che mai hai potuto gustare così prima, unico, intenso, completo e che cercherai ogni istante infinito che ti è regalato, per tutta la vita. Ecco, avrei voluto dire tante cose belle, ma quando ci provi sono così grandi che tentare di spiegarle ti si attorciglia la lingua, perché la verità con le parole “più la dici e più la dici mai”. Perché forse il tragitto che fa dal cuore alla bocca è troppo lungo a dura tutta una vita, ed è per questo che la fa valere tutta. O forse è solo il silenzio di quello che tu sei davvero, nel profondo dell’anima, che la può comunicare e farne sentire il profumo.
April 6, 2025
Incontro di aprile del lunedì del MonasteroWifi Roma, e trascrizione dell’ultimo
Ci vediamo, per chi vuole, per un momento conviviale alle 20,30, Poi alle 21 al Battistero di san Giovanni in Laterano avremo con noi don Simone Caleffi per una riflessione “su digiuno e morte di Gesù”. Informazione fondamentale, si può parcheggiare nel parcheggio della Lateranense (parola d’ordine per la gendarmeria “Monastero Wi-Fi)!
Ovviamente l’incontro è apertissimo a tutti.
Qui sotto la trascrizione dell’ultima catechesi di marzo di don Riccardo Cendamo
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Incontro del 3 marzo del Monastero WiFi presso il Battistero di S.Giovanni in Laterano
“Prendete e mangiatene tutti” catechesi sul digiuno di don Riccardo Cendamo
Allora cominciamo facendo una preghiera. “Signore Dio onnipotente, noi ti benediciamo per il dono della fede e per il dono della Chiesa, per tutte le parole che hai suscitato nei secoli attraverso i tuoi figli, attraverso il magistero sapiente della Chiesa, che arrivano fino a noi perché noi possiamo nutrirci. Ti benediciamo per il dono della Pasqua, per il tempo di quaresima che ci viene incontro, per il dono della conversione che tu hai pensato per noi. Ti preghiamo che questa sera possa essere un tempo favorevole per incontrarTi, per ascoltare la tua voce, per riscoprire in noi il tuo amore. Tutto questo Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore.” Maria fonte della nostra gioia, prega per noi. Arca dell’alleanza, prega per noi. San Leone Magno, prega per noi.
Mi piace tanto invocare i Santi prima di una catechesi, prima di un incontro, perché veramente mi da coraggio sapere che ci sono i Santi presenti. Questo è un mistero, un potere, una grazia, un dono della Chiesa. Quando la Chiesa invoca i Santi, i Santi sono presenti. Quando tu in un battesimo invochi i Santi nelle litanie, quei Santi sono presenti. Anche i nostri cari defunti sono presenti quando noi invochiamo i Santi. Negli esorcismi si invocano i Santi e i demoni si infastidiscono perché quel Santo lì è presente. Tu invochi Sant’Agostino, è lì presente. Santa Monica, Santa Maria Maddalena, immagina che bello che tu puoi pregare e sai che accanto a te c’è San Pietro perché l’hai invocato.
Chi è un Santo che ti piace? Un Santo che ti avrebbe fatto piacere conoscere? Invocalo e lui sarà acconto a te.
Allora il primo Santo che invoco è sempre Maria perché Maria con le sue immagini, con i suoi titoli, illumina il percorso che noi facciamo, fonte della nostra gioia, Arca dell’alleanza. L’Arca dell’alleanza è la presenza del Signore, l’Arca è il mezzo di trasporto per arrivare alla salvezza.
Può il digiuno essere mezzo di salvezza? Può essere fonte di gioia?
Poi ho invocato Leone Magno perché Leone Magno è stato un grande Papa, il grande teologo e ci sono dei sermoni che lui ha scritto. I sermoni sarebbero delle omelie. A quei tempi quelli bravi facevano delle omelie e c’era gente che le scriveva. Adesso si fa lo stesso, però si fa con tutti. Non vuol dire che se scrivo un’omelia allora sei bravo, vuole dire solo che c’era uno che aveva tempo da perdere. Invece San Leone Magno era veramente bravo, era un grande Papa. Lui pronuncia una serie di sermoni, che vengono poi scritti, nel tempo di quaresima. siamo a metà del V secolo è un tempo difficilissimo a Roma. Vent’anni dopo crollerà definitivamente l’impero d’occidente, ma già se ne vede il presagio di questo crollo, infatti un vuoto pesantissimo nella giurisdizione di Roma. Sarà Leone Magno, anni prima di questi sermoni, a difendere le invasioni di Roma da Attila.
Sapete che c’è l’episodio famoso, ha pure scritto una canzone Venditti, Leone Magno esce incontro ad Attila, lo incontra alle porte di Roma e nessuno sa che cosa si siano detti, però Attila non entra e un anno dopo morirà. Quindi quello è stato l’ultimo incontro che ha avuto, forse l’unico, con la Chiesa. Leone Magno era costretto a difendere Roma con il suo esercito, a difendere i poveri, a difendere i deboli. Però è impressionante che se tu leggi questi sermoni scritti in questo tempo così difficile, vedi che l’unica preoccupazione di quest’uomo è la conversione dei cristiani.
Noi sprechiamo tante parole, tante volte nelle preghiere, chiedendo di tutto, il lavoro per i disoccupati, l’aiuto per quel particolare bisogno politico. Una volta in una delle preghiere che si leggono a messa, quelle dei libri, non quelle scritte da me, c’era una preghiera per la FAO, dico ma qui stiamo a sbarellare.
L’unica preoccupazione di quest’uomo, di fronte all’occidente che sta cadendo, è la conversione delle persone che ha di fronte perché l’unico vero investimento per salvare l’umanità è l’unione a Cristo.
La conversione è questo, la conversione è unire la nostra vita a Cristo. La conversione è abbracciare il Signore, anche e soprattutto di fronte a tempi difficili.
Anche noi oggi noi viviamo tempi difficili, in cui la visione cristiana del mondo sta scomparendo, la visione stessa della vita con cui magari molti di noi sono cresciuti sta cambiando: pensate al dramma dell’aborto pensato come diritto universale, pensate alla manipolazione genetica, pensate a quello che volete. I
Il tempo passa, anche le civiltà passano, ma l’amore a Cristo non passa. Se tu ti leghi a Cristo, quello è l’unico vero investimento, perché non passa; tutto cade, ma se tu sei unito a Cristo, che è il Verbo eterno, quello non cade. Per questo è tanto importante quello che si fa qui, è tanto importante che ci siano iniziative come questa o qualsiasi iniziativa in questo momento dove si possa annunciare la presenza di Dio, il suo amore, la sua verità, la sua liberazione. Ne abbiamo bisogno.
Abbiamo bisogno di sperare, di vedere la bellezza, la libertà di trovare la forza per unirci a questo mistero. Per questo ci viene incontro un dono che è la Quaresima.
Allora, io stasera dovrei parlare di digiuno, però capite che non ha senso parlare di digiuno così in modo cieco. Il nostro digiuno ha un senso che è legato alla Quaresima. Nella Chiesa ci sono due digiuni, cioè uno può fare digiuno quando vuole, come forma sua privata, però la Chiesa chiede due digiuni al fedele durante l’anno: uno è il mercoledì delle ceneri e l’altro è il venerdì Santo. E’ il tempo che precede la Quaresima, il tempo di digiuno; per noi è legato a questo, a questo mistero.
Ma il digiuno non è che se lo sono inventato i cristiani: il digiuno, più o meno, noi lo troviamo in tutte le culture. E’ l’astensione da un cibo che può essere per un tempo determinato o può essere per un tempo indeterminato. Molte culture ce l’hanno come rito di iniziazione, come una prova di forza, come una prova di crescita. In altre culture il digiuno invece sottolinea un aspetto dualistico della realtà, cioè mostra una diffidenza verso la materia. Perché quando tu mangi, fai entrare del cibo nel tuo corpo, assumi un’altra materia. E la materia viene vista in tante culture, specialmente nel passato, in modo esplicito; adesso però si sta tornando a questo concetto come a qualcosa di dannoso, qualcosa di pericoloso.
Se ci pensate nella civiltà occidentale essere grassi è un problema, c’è un’avversione.
Cioè, voi lo sapevate, per esempio, che le femministe difendono i ciccioni?
La sapevate questa cosa? Perché il femminismo, nel suo aspetto diciamo primordiale, ha un intento che è quello di difendere le minoranze, difendere chi è in difficoltà. Che poi questa cosa si possa avere pervertire in una prospettiva marxista, che vuole cambiare le strutture senza toccare il cuore dell’uomo, questo è il problema! Però, di per sé, il femminismo puro mira a difendere chi non ha la forza di difendersi da solo e, fra le persone che vengono difese, ci sono gli obesi: perché noi viviamo in una cultura dove, se tu sei sovrappeso, sei guardato male.
Cioè, io questa cosa la posso portare come testimonianza di vita!
Adesso, voi non ci crederete… Succedono delle cose, se tu sei un po’ in sovrappeso, che ne so: qualche settimana fa stavo celebrando la messa (io celebro messa alle 08:30 del mattino). Finisco (quindi stiamo parlando delle 9 del mattino) ed io non so che voglia c’hai te, alle 9 del mattino: io c’ho voglia soltanto di stare in silenzio, con un caffè e magari posso fare un pò di sport, però non è c’ho voglia di socializzare. Allora tu immagina che io ho avevo appena finito di celebrare la messa e stavo lì a mettere a posto le cose sull’altare, quando mi si avvicina una signora, spero che non sia presente nel nostro gruppo, perché se no si offende (o che si offenda pure perché è pure buono se si offende), mi si avvicina e mi fa: “Padre, le posso dire una cosa?” – “Sì”-
“No, perché la sua pancia non è normale! La sua pancia non è normale, è troppo in alto, lei ha qualche disturbo. Se vuole le posso presentare un bravo medico”.
“No, non lo voglio conoscere; guardi che le assicuro che se dimagrisco un po’ magari la pancia piano piano…”
“Vabbè io il suggerimento te lo ho dato”.
Stessa settimana, mi vado a confessare, pure i preti si confessano. (non vi dico dove sono andato). Mi vado a confessare da un sacerdote che non conosco, mi fa tutta la confessione, mi dà l’assoluzione, e poi, stando lì seduti mi fa:
“Ma quanto è che non ti fai le analisi?”
“Ma perché?”
“Perché secondo me stai in pre diabete; io mi interesso un po’ di medicina, dovresti far le analisi perché non stai tanto bene; però ti potrebbe aiutare una dieta.”
Questo, vi giuro, mi ha dato una dieta nel confessionale!
“Fa questa dieta per due settimane, poi vieni e mi racconti!”
Non mi dici come stai?
Come va la vita spirituale?
Fra preti… Io mi sentivo in imbarazzo, non sapevo che dire.
“Non penso di avere il diabete perché io faccio molto sport.”
“Non si vede!”
Vabbè, io prendo questa cosa come penitenza!
Ma tu che coraggio hai per andare dal prete, che ha appena finito la Messa, per dirgli che ha i vermi? Però guardate che c’è un sacco di gente che con me ha questo coraggio! Ma sembro così affabile? Non sono così affabile! Ci sono un sacco di parrocchiani, chiedete a loro!
E’ una cosa che mi fa impazzire; viene la gente e si permette di darti consigli (hai preso chili, non stai tanto bene); che poi io mi… Non devo dire parolacce! Mi manda in tilt perché gli vorrei dire: ma secondo te uno specchio non ce l’ho? Secondo te non me ne accorgo? Guarda che sono un maschio, basta che faccio pipì, me ne accorgo se ho la pancia o no (non serve che ve la spiego questa!). Ed è già umiliante per me magari stare con un corpo che non mi piace, ma perché me lo devi dire, perché ti senti in diritto di dire questo? Perché c’è questo disprezzo per una forma fisica come la mia? Guarda, che possa essere pericoloso per la salute lo so, infatti è vero che ho i valori sballati, mi devo mettere a dieta, devo prendere i medicinali, anzi già li prendo, io lo so; ma il problema non è questo.
A te non interessa che io stia male o non stia male. A te interessa che non corrispondo a un determinato canone, che non è soltanto un canone estetico; forse ai tempi di Sissi, l’imperatrice, poteva esserci questa spinta esteriore, forse un pochino negli anni ’60, ma in realtà già c’è il germe di un’altra cosa: il disprezzo profondo per la materia. Perché noi pensavamo, e lo pensiamo ancora, che il nostro corpo sia una gabbia, che ci sia una separazione tra le cose eterne e le cose della terra, tra ciò che è divino e nobile e ciò che è sporco e materiale.
E questo è un germe presente anche in tanti cristiani, che si guardano con disprezzo, che assumono delle forme di pietà, che però, sotto sotto, nascondono un odio per la carne, un odio per la condizione umana.
Non farò esempi adesso, per non chiudere le orecchie a nessuno.
Però te lo devi chiedere: quando tu fai un segno di umiltà davanti a Dio, per cosa lo stai facendo, cosa stai disprezzando? Stai disprezzando il peccato o stai disprezzando te? Stai disprezzando l’inganno o stai disprezzando la tua vita? Noi che veniamo da una tradizione giudaico-cristiana non abbiamo questo disprezzo, non dovremmo averlo. Anche in Israele, anche gli ebrei non rinunciamo al cibo per un fatto di disprezzo per il cibo. La famosa questione dell’impurità, di per sé, non è legata al cibo. Purità o impurità sono legate alla vita.
Puro è ciò che accoglie Dio, la presenza di Dio è la purezza.
Impuro è tutto ciò che allontana da Dio, per cui le rinuncia ad alcuni cibi, ad alcuni atteggiamenti sono rinunce a ciò che è impuro.
Perché non si può toccare il sangue? Perché il sangue è la vita, allora il sangue che si disperde no, l’animale ucciso che perde sangue o la stessa donna che nel ciclo perde sangue, sta mostrando una vita che va via. La vita che va via ricorda la morte, ma dove è presente la morte non può essere presente Dio, perché Dio è vita. Dove Dio mette il dito lì nasce la vita, per cui se è presente la morte vuol dire che Dio è lontano. Allora le forme di astinenza o di controllo del cibo per gli Ebrei cosa ricordano? Ricordano l’alleanza, cioè il discorso sull’impurità è un discorso legato all’alleanza, legato alla fedeltà con Dio. Io sono puro, perché sono abbracciato a Dio, sono fedele a Lui, alla Torà. La legge nella Torà è la vicinanza con Dio. L’interpretazione corretta della Torà, l’interpretazione che gli Ebrei dicono e “pel pel”, bocca a bocca, è un bacio con il Signore e la vicinanza con Lui.
Il discorso sulle impurità soprattutto si sviluppa nel tempo dei Profeti, che è un tempo di esilio, un tempo in cui Israele è lontano da Dio, è lontano dal Tempio. Si disperde in mezzo alle altre popolazioni, rinuncia alla fedeltà, entra nei compromessi, trova questa impurità; per questo i digiuni diventano segno di quella fedeltà. Ma anche per questo i digiuni tante volte diventano in Israele un segno formale di appartenenza; io esteriormente digiuno per mostrate che sono un vero ebreo, un vero figlio di Abramo. Eh ma il Signore quello che cerca è il CUORE, per questo Cristo parla con tanta durezza dei falsi digiuni, per questo Cristo dice quando sta con i suoi discepoli che vengono accusati di mangiare in giorno di sabato, “ma non possono digiunare perché ci sono Io, c’è lo Sposo, che è la fonte della vita. Non c’è bisogno di digiunare e tutto puro se io sono presente”.
Anche Cristo digiuna. La quaresima… la prima domenica di Quaresima leggiamo il Vangelo delle tentazioni, che sono 40 giorni di digiuno nel deserto del Signore. Lo Spirito Santo spinge il Signore nel deserto e lo fa digiunare 40 giorni, come prima di lui aveva digiunato Mosè. Aveva digiunato 40 giorni aspettando la rivelazione del Signore. Elia aveva digiunato 40 giorni aspettando la risposta del Signore e così Cristo digiuna 40 giorni nel deserto per affrontare il nemico dell’uomo, Satana, il diavolo, il serpente antico, l’antico avversario. Ma quel combattimento che fa Cristo alla fine è una attesa, il Signore sta aspettando qualcosa, che è l’incontro con il Padre. Perché l’incontro con il Padre tanto per Cristo, quanto per noi passa per un digiuno, perché il digiuno è segno di un combattimento. Noi cristiani assumiamo questo digiuno veramente per la quaresima. E’ interessante quello che dice Leone Magno per parlare della quaresima, spiega che cos’è la Pasqua.
Di tutti i giorni dell’anno non c’è un giorno più importante, più santo, più fondante per l’uomo di quello della Pasqua. Noi viviamo la quaresima per la Pasqua, non so se lo sapete.
Che cos’è la quaresima?
Sono i giorni di preparazione alla Pasqua.
Perché si vive la quaresima?
Perché originariamente per diventare cristiani, per accedere al battesimo c’era un cammino, che è il catecumenato. Questo catecumenato durava solitamente tre anni; poi cerano persone che lo iniziavano da giovani, lo sospendevano, poi lo riprendevano, ma aveva delle tappe il catecumenato. La parte finale era questo tempo prima della Pasqua, dove i catecumeni ricevevano gli esorcismi, le parole del vescovo, ricevevano le parole del Credo, ricevevano il segreto della preghiera del Padre Nostro. E camminavo in questi giorni di rinuncia, di digiuno.
Il digiuno porta con sé un dolore. Il digiuno forse, originariamente, sapete come nasce nell’uomo?
Come risposta al lutto.
Quando tu hai un dolore forte non riesci ad assumere cibo…cioè un dolore forte, un dolore improvviso, ti chiude lo stomaco. La ritualizzazione di questo lutto nelle culture diventa digiuno. Israele infatti conosceva un grande digiuno che era quello dello Yom Kippur …era il giorno dell’espiazione, era il giorno del perdono. Allora perché si digiunava?
Perché il digiuno era entrare in questo dolore, cioè manifestare davanti a Dio la morte nella nostra vita. Per chiedere perdono hai bisogno di accettare che nella tua vita è entrata la morte…sì, nella mia vita, Signore, è entrata la morte
Tu che sei la vita sei lontano da me…torna a me, lasciami tornare a te…per questo c’era il grande digiuno dello Yom Kippur, per prepararsi, per ricordarsi con questo dolore della presenza della morte, del mistero della morte e del dolore…vicino a noi.
Signore avvicinati perché si allontani da me la morte! Così pure i cristiani vivevano questo tempo, i catecumeni scusate, vivevano questo tempo di rinuncia, di digiuno perché si preparavano ad abbandonare la morte. In fondo era questo: il fonte battesimale era il termine di questo cammino, che culminava in questa discesa dove questa morte che riveste ogni uomo veniva abbandonata nelle acque santificate dalla Chiesa, da Cristo, dal Suo mistero pasquale.
E chi usciva aveva una vita nuova, era unito a Cristo, aveva la vita immortale, illuminato, salato, fatto nuova creatura, finalmente Figlio di Dio…questa era la Quaresima!
C’era un altro aspetto… Nei secoli antichi non esisteva la Confessione come la conosciamo noi. C’era soltanto il Battesimo. Il Battesimo perdonava il peccato ma, poiché il cuore dell’uomo porta sempre con sé la sua debolezza a un certo punto la Chiesa di fronte alle tante persecuzioni, alle persone che rinunciavano alla fede, che apostatavano la fede perché o bruci sti due granelli d’incenso oppure ammazzo te e tutta la tua famiglia … vabbè brucio i granelli d’incenso! Rinuncio all’incenso, rinuncio alla fede…ma l’apostasia era un peccato gravissimo!
Come potevi rinunciare a Dio una volta che eri stato unito a Lui? E allora questo portava ad una scomunica, ad un allontanamento dalla Comunione con la Chiesa…dopo molte di queste persone si pentivano, volevano rientrare…allora come farli rientrare in questa Comunione?
Veniva fatto un nuovo catecumenato, un catecumenato di penitenza, cioè veniva data la penitenza che non era di’ tre Ave Maria e un Padre Nostro, che comunque sì era una penitenza valida, ma la penitenza erano altri tre anni di digiuno, di preghiera e di umiliazioni davanti alle porte della Chiesa, davanti alle porte chiuse.
Dentro la Comunità celebrava e pregava per coloro che erano fuori in ginocchio a chiedere perdono…e poi dopo questi tre anni, il Giovedì Santo venivano assunti nella Chiesa…venivano accolti di nuovo dal Vescovo…ma questo era un cammino a cui partecipava tutta la Chiesa assieme.
Allora capite che per i cristiani, per coloro che erano già battezzati, che vivevano in grazia, che vivevano la loro vita di fedeli, avevano di fronte a sé questa prospettiva: da una parte i catecumeni, quelli che si preparavano, dall’altra i penitenti…e allora, di fronte al cammino di questi uomini, anche loro rivivevano questo cammino!
In fondo la Quaresima è fare nostro il cammino che c’ha guadagnato l’identità di Figli…per questo la Chiesa ce lo dona, ogni anno…perché quell’identità è tua.
Ma forse tu non l’hai guadagnata…e invece nella Quaresima tu hai la possibilità di ripercorrere quello che la chiesa ti ha donato, il cammino per diventare cristiano, cioè il cammino per unirti al mistero di Cristo.
Tutto quello che noi viviamo nella chiesa, tutto, ogni singola festa, ogni singolo elemento della nostra spiritualità, ogni faccia di questo diamante meraviglioso che è la fede, viene dalla Pasqua.
Alla fine noi viviamo un solo, grande, mistero: il mistero della Pasqua di Cristo. Cristo morto e risorto per noi. La stessa incarnazione, il Natale stesso, viene dalla Pasqua, anche se la precede a livello cronologico, ma non la precede come realtà. Il Natale c’è in funzione della Pasqua. Nelle antiche icone, Cristo viene raffigurato sempre in una piccola bara, appena nato. Nelle icone della Natività. Perché veramente Cristo è nato per quello, per morire in croce!
Ma è una crudeltà questa?
Possibile mai che il Padre abbia pensato….
La strada del figlio, la vita del figlio, perché morisse in croce! E sì, se lì c’è la salvezza di tutto il mondo, perché quello che è andato in croce, è Dio eh!
Guardate, c’è un rischio quando noi guardiamo la croce di Cristo, anzi sono due i rischi: il primo rischio è pensare che quello sia “solamente” frutto dell’ingiustizia umana, che quello sia un poveraccio, ucciso dalla cattiveria del mondo!
Chi pensa questo so’ gli stessi che te dicono che Che Guevara era come Gesù Cristo! Che Guevara non era come Gesù Cristo, mi dispiace. O qualsiasi altro uomo, seppure innocente, venga messo in croce, è un’altra questione.
Perché è vero che il mondo, con la sua ingiustizia, ci mette le mani addosso ed è vero che Cristo è andato in croce perché si è offerto totalmente a questo mondo. L’ha amato senza misura e ha lasciato che le mani di questo mondo, portato avanti, no, dal demonio, lo appiccassero alla croce! Questo è vero, ma quell’uomo sulla croce è Dio, per cui quello stare sulla croce era la “sua” volontà!
Volontà di Dio stare sulla croce, com’è possibile?
Perché in quella croce c’è la salvezza dell’uomo!
Ma Dio che cosa c’è venuto a fare qui?
Noi che cosa stiamo aspettando?
Perché aspettiamo la Pasqua?
Perché festeggiamo il Natale?
Perché sei contento…ma tu sei contento che Dio stia nella tua vita?
Ti chiedi mai per quale motivo Dio stia nella tua vita?
Guarda, Dio sta nella tua vita per liberarti dalla morte! Per liberarti dalla schiavitù del demonio! Per questo Dio è venuto! Per questo Cristo ha vissuto la sua Pasqua, non ci sono altre questioni!
Noi facciamo grandi dibattiti, no? sulla pace nel mondo, che ne so, sull’eutanasia, sull’uso dei preservativi.
Allora che dibattito vuoi fa, stasera? Noi possiamo dibatte su qualsiasi cosa, la questione è una sola: che Cristo t’è venuto a liberare, dalla schiavitù in cui ti teneva legato: il demonio!
In che modo?
Con la paura, col dolore, con la tragedia della morte! Questo è il senso della Pasqua!
Questa Pasqua, Dio non l’ha vissuta in cielo, l’ha vissuta sulla terra, con lo stesso corpo nostro!
Ai tempi di Leone Magno… sapete perché è tanto importante Leone Magno? Perché noi la teologia sul tempo di Quaresima che abbiamo la prendiamo da Agostino e da Leone Magno no?
Ma sua è veramente la teologia sulle nature di Cristo!
C’è un grande dibattito, veramente, la vera guerra, ai tempi di Leone Magno, non era capire se entravano o non entravano gli stranieri a Roma, la vera guerra era capire quante nature c’aveva Cristo, che non era uguale dire una o due.
C’era un’eresia portata avanti da questo Eutiche che diceva: “Chi è Cristo?” E’ Dio fatto uomo, una persona divina, è il Verbo di Dio, il figlio di Dio fatto uomo, ma veramente fatto uomo e quindi ha in se la natura umana e la natura divina. Ma questa natura umana è talmente piccola, talmente insignificante di fronte alla natura divina che è come una goccia di miele nell’oceano, cioè è assorbita totalmente dalla natura divina che è un’idea affascinante, è accattivante, sai perché?
Perché il contrario è molto scomodo. Perché se io e te accettiamo che sulla croce Cristo c’è andato con tutta la volontà divina e con tutta la volontà umana, cioè quell’opera di salvezza che Dio ha fatto l’ha fatta con la volontà umana, allora dobbiamo accettare che quella croce è anche per te e per me. E questo a noi non piace!
Essere partecipi della salvezza del mondo, dover partecipare del mistero pasquale di Cristo, cioè che questa stessa salvezza debba passare anche per te, che anche per te ci sia la luce, anche per te ci sia il combattimento, anche per te ci sia il deserto ed il digiuno. Che fatica!
Meglio non fare i cristiani… eppure questa fatica è bellissima, questo combattimento è l’unica cosa che dà sapore, che dà desiderio, dà gioia alla nostra vita, perché ci rende liberi.
Ma che vuol dire che noi partecipiamo al mistero di Cristo? Il cammino della Quaresima, se è vero che la Pasqua è la nostra unione al Signore, se è vero che il nostro battesimo è la nostra unione al Signore allora il cammino quaresimale significa fare nostra questa unione, riappropriarci di questa unione. Ma essere uniti a Cristo significa voler essere uniti al suo corpo.
Leone Magno dice una cosa bellissima cioè che il fine è “compaginarsi volontariamente in una costruzione unica, il tempio di Dio”. Cioè il fine della nostra esistenza è diventare un tempio, splendente e bellissimo.
Non so se capite che grazia avete per poter ricevere una catechesi qui, non per la catechesi, ma per il luogo dove siete.
Ci venite mai a S.Giovanni, girate per Roma?
La bellezza di questi luoghi, queste pietre, quegli ori, quelle icone che puoi trovare.
Siete mai andati a Loreto?
Li’ c’è la casa di Maria, su quelle mura ha poggiato le mani Cristo, poggia le mani su quelle pietre.
Ti rendi conto di quello che ti dà la Chiesa?
Che vuol dire stare in un edificio come San Giovanni, San Pietro, un santuario?
Ecco io e te siamo chiamati a questo, a risplendere come le pietre di quell’edificio, ad essere tempio di Dio. Questo è il nostro combattimento. Il combattimento, quello che ha fatto Cristo nel deserto, è un combattimento con il nostro nemico, con Satana, che aveva uno scopo: quello di attendere la presenza di Dio. Cioè quello di mostrare la presenza di Dio, quello che l’umana volontà potesse vedere la presenza di Dio davanti a lui, aveva come scopo proprio il combattimento.
A cosa serve il digiuno? Ma cosa c’entra con il digiuno? Qual è la parola che sta al centro della nostra fede? Adesso ve la leggo, perché non ho mai trovato una parola in cui il Signore dice “adesso digiunate!”, invece il Signore grida ad un banchetto, nel Vangelo secondo Matteo: “Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà». Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore? Ed egli rispose, colui che ha messo la mano con me nel piatto, è quello che mi tradirà”
Il Signore si mette a cena di fronte al dramma del male.
Di fronte al dramma di questo male, al combattimento, alla tentazione, alla presenza di Satana non risponde dicendo Va bene, andiamo, facciamo 15 genuflessioni, stendiamoci a terra, che ne so, appendiamoci al muro… che tortura vi viene in mente?
No, il Signore risponde con una cena.
“Ora mentre mangiavano Gesù prese il pane, lo spezzò, diede la benedizione e mentre lo dava ai discepoli disse Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prese il Calice, rese grazie, lo diede loro e disse bevetene tutti, perché questo è il mio sangue per l’alleanza che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d’ora in poi non berrò più di questo frutto della vite, fino al giorno in cui lo berrò di nuovo con voi nel regno del Padre mio. Parola del Signore.”
Cioè dice Agostino “per risorgere con Cristo devi anche morire con Cristo”. Noi non aspettiamo la Pasqua come un segno, un segno esteriore, un bel ricordo, un momento conviviale.
E se l’hai aspettata così fino ad oggi non è questa la Quaresima che ti ha consegnato la Chiesa!
Non è questo il cammino che ti si apre davanti! No!
Noi aspettiamo la Pasqua col pensiero di risorgere, ma risorgere veramente. Perché la Pasqua, la resurrezione, la vita di Cristo è l’unica vera vita!
E’ l’unica vita che ci dà la vita. Hai mai visto una persona morire santamente?
Hai mai visto uno guardare con speranza il giorno della venuta di Cristo, hai mai visto uno entrare nella sofferenza o nell’oblio della morfina, in un hospice, senza maledire la vita?
Hai mai visto uno rialzarsi dai peccati, i peccati che gli hanno messo addosso, dagli abbandoni, dalle violenze? Hai mai visto uno perdonare il nemico?
Se l’hai visto hai visto hai visto un cristiano, perché queste cose non le fanno gli alieni. Questi sono i doni che ci fa il battesimo. Potete amare il nemico, potete perdonare la storia. Potete entrare nella sofferenza senza paura. Questo appartiene a me e anche a te, è un dono che abbiamo già ricevuto. Siamo già stati liberati dalla morte. Ma non lo sappiamo tante volte, non lo viviamo.
Perché non crediamo veramente che questo mistero è un mistero che è nostro, che ci appartiene. Non lo guadagniamo.
Perché non entriamo mai nella Passione. Il tempo della Quaresima serve a questo. A entrare nella passione, entrare nel combattimento. A entrare nella Resurrezione, e l’immagine tutto questo nel digiuno.
Ma il digiuno è un nutrimento il digiuno è la condizione dell’uomo che si nutre della Grazia. Quello è il digiuno.
Perché quando tu rinunci al cibo…o, sapete, che si possono fare tante forme di digiuno. A parte che c’è l’astrazione dal cibo in quei due giorni che vi ho detto. Ma il tempo di Quaresima è un tempo di digiuno che è profondamente interiore, ma che ha bisogno della porta di questa sofferenza, di questa rinuncia. A qualunque cosa tu voglia rinunciare, quella rinuncia ti porterà un combattimento. Cioè il combattimento della croce.
Satana tenta il signore nel deserto e poi si allontana per tornare al momento più opportuno. E il momento opportuno sarà sotto la croce, quando nella voce nello sguardo, quando tutti attorno a lui, delle persone che lo amavano, delle persone che lo odiavano. Delle persone che lo avevano abbandonato, delle persone che piangevano per lui, si era sentita ancora la voce del tentatore che gli dirà “scendi, scendi da questa croce”!! Perché la tentazione è una, una soltanto, scendi dalla croce, cioè scendi dalla tua vita, perché ogni tentazione è quella, la tentazione è una, è una soltanto, che è scendi dalla croce, cioè scendi dalla tua vita oggi.
La nostra croce è una, la croce non è la disgrazia particolare che ti capita, la croce è essere uniti profondamente alla tua vita oggi, da cui il demonio ti dice scendi. Non è sopportabile che quella persona non ti capisse, non è sopportabile che quello ti abbia tolto il saluto, non è sopportabile che i tuoi figli ti chiedano un altro sacrificio, non è sopportabile che tua figlia si droghi, non è sopportabile che tu stia ancora da solo, senza una sposa, che tu sia ancora sola senza un fidanzato, che proprio adesso ci sia quella malattia, che ci sia quella povertà, non è sopportabile.
E ogni peccato che facciamo io e te, lo facciamo per scendere dalla croce.
Rispondere male a quella persona è scendere dalla croce, ammazzarti di pornografia di notte è scendere dalla croce, rubare al lavoro è scendere dalla croce, rinchiuderti nella tristezza in cui disprezzi te stesso, il tuo corpo, la tua vita è scendere dalla croce, perché su quella croce c’è la nostra salvezza.
Cristo t’ha salvato, ma vuole che tu sia partecipe di questa salvezza, e questo non è una punizione, è un dono. Questo dono lo dobbiamo scoprire nel digiuno, quando noi facciamo una rinuncia seria. Per digiunare da qualcosa, ti deve pesare, se non ti pesa non è un digiuno.
Ma io ho rinunciato alla pasta, però mi fa schifo, non stai a digiunare. Oppure hai rinunciato ai dolci, ma il tuo scopo è in realtà di dimagrire, non stai digiunando. Anzi, in alcuni casi, il tuo scopo è di dimagrire? Allora forse il tuo digiuno è che ti mangi tutto quello che c’hai a tavola, perché rinunci a un progetto, che è il tuo vero godimento.
Entrare in un digiuno significa entrare in un dolore serio, dove ti senti solo, dove vedi che non ce la fai. Dove per andare avanti hai bisogno di un altro cibo. Perché il nostro corpo soffoca la fame dello Spirito. Tu senti la fame del corpo, ma è la fame dello Spirito quella di cui hai bisogno. È la fame dello Spirito quella che ti porta avanti. E quella fame il Signore la sazia, la vuole saziare. Con la Sua parola, per esempio.
Digiunare in Quaresima significa stare con la parola di Dio. Se digiuni ma stai lontano da Dio, il digiuno non funziona, non ha senso. Il digiuno serve per nutrire, serve per trovare un altro cibo. Pensa al digiuno che farai in Quaresima. Ci devi abbinare un cibo da gustare, che forse è andare a messa tutti i giorni, o forse scrutare la parola, o forse fare il rosario e pregare per i tuoi nemici, per le persone che non sopporti, e cibarti di un cibo che si chiama grazia, la grazia di Dio che tutto precede, che tutto compie. I tuoi desideri sono preceduti dalla grazia di Dio, le tue azioni sono compiute dalla grazia di Dio. Però la grazia di Dio non fa tutto da sola, vuole fare le cose con te, ed è bellissimo questo. Nel mondo che noi viviamo, nessuno vuole fare le cose con noi. Niente di quello che viviamo nel mondo vuole la nostra vera partecipazione.
È al contrario, il mondo ti vuole vuoto e senza pensieri, schiavo delle sue dinamiche, schiavo delle sue malattie, schiavo delle sue compravendite. Questo è quello che vuole il mondo. La grazia di Dio vuole esattamente il contrario, la grazia di Dio ti serve per combattere, perché quando combatti scopri che sei libero.
Ma che altro vuoi? Ma cosa c’è di più grande, di più bello nella vita, che scoprire che quella vita che stai costruendo, la sta costruendo Dio con te, la vita tua!
La funzione della grazia non è di renderci schiavi di una volontà strana di Dio, che vorrà Dio per me, che avrà pensato Dio per me?
Ma che pensi tu per te? Ma hai mai pensato che forse Dio per te vuole quello che tu vuoi per te? Perché è un padre. Ma che deve volere un padre per te? Se non la tua gioia, la tua felicità, la felicità tua. E certo che un padre a volte ti corregge, e a volte te cazzia, e a volte sta zitto, e a volte ti incoraggia, e a volte ti aspetta, e a volte ti spinge, perché ha fiducia in te, perché è tuo padre, perché ti conosce, conosce il tuo valore, conosce la tua profonda dignità. Lui la conosce. Per questo si fida di te.
A me il Signore mi ha chiamato, la prima volta che mi sono sentito chiamato al sacerdozio, era a Colonia, nel 2005. Io gli ho detto di no. C’avevo 24 anni ma sono entrato in seminario a 32. Mi ha chiamato, mi ha richiamato, mi ha strillato, mi ha tirato le scarpe in testa; ha fatto di tutto, no, per farmi entrare in seminario; ma se io non fossi entrato, ma che pensate, che mi dava una vita da serie B Dio?
Avrebbe benedetto qualsiasi scelta della mia vita, purché fosse stata una scelta, perché quello è il ruolo della Grazia, di portarci dentro i nostri desideri; per questo abbiamo bisogno di gustarli, perché la nostra libertà costruisca il tempio di Dio, il Corpo di Cristo sulla terra.
Allora vi dico un’ultima cosa: noi viviamo in un mondo che ci vuole schiavi, e questa schiavitù passa anche per il disprezzo del corpo.
Io mi rendo conto di questa cosa: più vado avanti, più, come sacerdote, mi rendo conto che una cosa odia il demonio più di tutte, che è la carne, non l’anima.
Il demonio odia la carne, perché la carne è il luogo della nostra libertà, perché nella carne scorre il tempo, quindi scorre la tua capacità di decidere, perché nella carne siamo stati salvati, perché nella carne siamo stati affrancati, perché nella nostra carne ci possiamo scoprire liberi.
A me tutti mi vengono a prendere in giro per il peso, no? Però nessuno di questi fa digiuni, magari tu fai cinquanta diete, ma non rinunci ad una cosa che è importante per te.
Tutta la volontà maligna del demonio in questo mondo è contro la carne, è contro il corpo, e, per convincerci, col sesso, con le dipendenze come con le ideologie, convincerci che noi siamo degli oggetti; perché chi vive come un oggetto vive sempre frustrato, sempre in cerca di una consolazione, e, alla fine ci sentiamo degli oggetti sballottati da una parte e dall’altra.
E lo sai perché tu hai paura della Grazia di Dio?
Hai paura della Grazia di Dio, perché hai paura che ti renda ancora di più un oggetto, che ti metta sulla Croce, come il Padre ha messo il Figlio sulla Croce, appeso, come un povero oggetto, lì, schiavo della Volontà Divina, schiavo della cattiveria degli uomini.
Ma tu, in quante cose sei libero, dimmi la verità?
In quante cose riesci a non essere un oggetto?
In quante realtà della tua vita riesci a non essere tirato da una parte e dall’altra?
Eppure, sai, esiste un oggetto, che è totalmente libero, esiste un oggetto che ha piena libertà, esiste un oggetto che ha tutta la libertà: è l’Eucaristia.
L’Eucaristia è un oggetto, eh, un pezzo di pane che ti viene messo tra le mani, più oggetto di questo non lo riesco ad immaginare. Che tu sia fedele, che tu sia un infedele, che tu sia un convertito, che tu sia un satanista, che tu abbia peccato due minuti prima o che tu sia santa Maria Goretti ; se ti metti in fila, io ti metto quell’Eucaristia nelle mani: è un oggetto, eppure è totalmente libero, perché Cristo si mette nelle tue mani volontariamente, e non ha paura di disperdersi in te, nel tuo corpo; perché è eterno, non si può perdere mai, perché chi ama non si perde, capisci, se uno ti ama non ti perde, e non si perde.
Allora, lo scopo nostro per la Pasqua, per questo digiuno in cui entriamo, è di diventare anche noi questo oggetto, questa Eucarestia. Essere uniti alla Grazia di Dio, essere uniti alla Croce di Cristo, salire su quella Croce con Lui, per essere Eucaristia come Lui, essere un‘ostia, un’offerta per questo mondo, per questa generazione; poterci offrire perché totalmente liberi.
Perché questo è veramente. Quando noi siamo uniti a Cristo, siamo così liberi , e possiamo donarci a tutti, scioglierci, lasciarci mangiare dagli altri, senza perdere noi stessi, uniti al Signore, al Suo amore eterno che non si perde, ma che resta infinito; unica garanzia della felicità nostra e della salvezza del mondo.
A Lui l’onore e la gloria nei secoli dei secoli.
Amen
March 27, 2025
Ero Trans – La Storia di Luka Hein

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