Costanza Miriano's Blog, page 21
May 24, 2022
24 settembre 2022 – Quarto Capitolo Generale del Monastero Wi-Fi
di Costanza Miriano
Stavamo aspettando il momento opportuno, quello in cui avremmo potuto dare tutti i dettagli, ma siccome manca sempre un pezzo, intanto abbiamo deciso di aprire le iscrizioni per il prossimo Capitolo Generale del Monastero wi-fi, perché oggi è Santa Maria Ausiliatrice, e si sa che siamo sempre in cerca di raccomandazioni (chi meglio di quell’intrallazzona?).
Allora, innanzitutto possiamo annunciare che il Capitolo sarà di nuovo a San Pietro, e abbiamo il cuore pieno di gratitudine verso la Chiesa che è madre, e il Papa che ci regala di nuovo questa gioia. La data invece è cambiata: ci vedremo sabato 24 settembre, e non il 15 ottobre come avevamo annunciato. Ci hanno detto di scansarci perché il Papa incontra CL il 15, e visto che è casa sua mi sa che ha la precedenza. E siccome tutto concorre al bene, pensiamo che possa essere una data migliore, sa Lui perché (forse perché non saranno riprese le restrizioni? Speriamo!).
Il tema del Quarto Capitolo Generale del Monastero wifi sarà la CONFESSIONE, dopo quello introduttivo, e quelli sulla Parola di Dio e la preghiera. Ci aiuteranno a riflettere su cosa è il peccato, cosa è la confessione, quale effetto ha sulla nostra anima, come confessarsi (tipo: non elencare i peccati di tua moglie ma i tuoi, essere precisi, non fare psicoterapia) e come fare l’esame di coscienza, come usarla in un cammino di conversione, cosa è la confessione generale, come agisce la grazia di Dio quando si consegnano i peccati: un potenziale da bomba atomica, su cui non avevo mai ragionato abbastanza, un’arma potentissima che sempre più spesso si dimentica di usare.
Sarà possibile confessarsi, speriamo grazie a tanti sacerdoti presenti.
Stiamo ancora definendo i temi e decidendo a chi assegnare le rispettive gatte da pelare, ma posso dire che il nostro don Pierangelo Pedretti – che ci accompagna dall’inizio – ci sarà, e così padre Maurizio Botta. La messa verrà celebrata da don Fabio Rosini, e siamo riusciti a intercettare don Luigi Maria Epicoco tra un impegno e l’altro, mentre finalmente questa volta ce la farà a essere presente padre Serafino Tognetti, che l’altra volta aveva dovuto dire di no, con don Giulio Maspero. Credo che manchi ancora una persona ma forse prima di annunciarlo dovrei dirlo a lui, quindi ve lo faremo sapere a breve.
Questo è il modulo, preparato dalla consorella Laura Daretti Gallese (come i supereroi della Justice League, ognuna di noi ha dei superpoteri: lei è la multimamma tecnologica; la regina dell’organizzazione, ormai lo sapete, è MonicaMarinilabiondadelmonastero, che è tutta una parola). Vi chiediamo di iscrivervi appena possibile, perché se saremo troppi magari allarghiamo la Basilica, se saremo troppo pochi invece, che ne so, ci vediamo a casa mia… Insomma abbiamo bisogno di organizzarci.
A breve vi faremo avere il programma dettagliato, avremo una riunione organizzativa il 13 giugno (sempre per cercare raccomandazioni: Sant’Antonio e la serva di Dio Chiara Corbella Petrillo).
Come sempre l’iscrizione è rigorosamente gratuita, l’unica cosa che vi chiediamo è di portare con voi qualcuno (san Pietro è grande e casomai l’allarghiamo), qualcuno che sapete che ha bisogno di una carezza speciale, una ricarica, una parola ispirata dallo Spirito, o – nel caso di questo capitolo sulla confessione – di fare delle pulizie di Pasqua del cuore. Convincetelo, custoditelo, stategli dietro. Magari gli date una mano a pagare il biglietto. Stanatelo da casa: ci sono un sacco di grazie spirituali da ottenere, grazie che non vengono richieste. Sempre più leggendo il tempo che ci è stato dato di vivere, mi sembra chiaro che siamo in un momento speciale, in cui ci è chiesto di approfondire la nostra fede nel silenzio, e nella stanza interiore, dove il Signore ci aspetta per un incontro personale. Ma chi ha questa grazia, è chiamato a condividerla con i fratelli, a portare qualcuno con sé
Addendum:
Per chi non sapesse di cosa si tratta, un brevissimo riassunto delle puntate precedenti. Questa strana avventura è nata da un gruppo di amiche che desideravano condividere la fede con qualche momento vissuto in comune. Nessuna di noi aveva una comunità forte di riferimento, tutte ci barcameniamo tra le mille cose da fare, infilando messe e pezzi di rosari nel traffico e lodi alle tre del pomeriggio eccetera. Ci siamo date appuntamento per fare a Roma una giornata di ricarica per le persone che cercano di vivere secondo una regola monacale (ma molto elastica, ovviamente, da adattare all’uscita di scuola dei figli, la riunione di condominio e le scadenze di lavoro). Volevamo condividere una messa, un rosario, ascoltare qualche parola buona. Era il 2018. Abbiamo organizzato questa giornata che abbiamo chiamato capitolo generale del monastero wifi – siamo wifi perché abitiamo in città lontane, e perché ognuna di noi deve stare dietro alla propria vita, ma ci sentiamo comunque uniti con tanti monaci come noi – e, dopo averlo scritto su questo blog, ci siamo trovati iscritti in oltre duemila. Abbiamo chiesto di poterci vedere alla Basilica di san Giovanni in Laterano perché era l’unica che ci potesse contenere. Da lì è nata l’idea di vederci una volta all’anno, dando un tema a ciascuna giornata. I cinque pilastri del nostro monastero, come cerco di spiegare nel mio libro Si salvi chi vuole da cui è nato il Monastero, sono Ascolto della Parola di Dio, preghiera, confessione, eucaristia, digiuno. Il secondo incontro si è svolto nella Basilica di San Paolo, il terzo a San Pietro. Per il quarto, non essendo possibile un ulteriore upgrade (a meno di vederci tutti nella Gerusalemme celeste), sembra che ci troveremo di nuovo a San Pietro. Da questa avventura sono nate tante realtà locali, cioè persone che si incontrano per pregare insieme, e anche una stupenda rete di solidarietà che ci ha permesso di aiutare tante persone durante il periodo del Covid. Sono nati tantissimi altri frutti di amicizie, relazioni, conversioni, pezzetti di cammino condivisi. Nessuno di noi vuole fondare niente, ma solo essere sempre più dentro la Chiesa, volendole bene, cercando di creare comunione, e di conoscere e far fruttare le ricchezze che già ci sono: infatti le voci dei sacerdoti che vengono ad aiutarci a camminare provengono da tutte le realtà e le sensibilità della Chiesa. Nessuno di noi vuole essere leader, infatti anche coloro che lavorano dietro le quinte per organizzare queste giornate stanno appunto dietro le quinte: non facciamo discorsi e non vogliamo guidare niente, solo chiamare le persone perché vengano come noi a dissetarsi.
Vi aspetto a Milano il 28 maggio! #monasteroWiFi
May 23, 2022
Excusatio non petita di Avvenire sulla 194
di Costanza Miriano
Ci siamo detti che era fondamentale – per chi poteva – essere presenti alla Manifestazione per la vita, al di là dei distinguo e delle sottolineature. Insomma, prima riaffermiamo l’ovvio, restiamo uniti almeno sui fondamentali, poi ci meniamo a parte, dopo, quando sarà il momento di evidenziare le diverse sensibilità. Certo non mi aspettavo che il primo a cominciare a mettere i puntini sulle i sarebbe stato, e proprio il giorno dopo, addirittura Avvenire, il giornale dei vescovi, che nonostante le ferme parole di condanna dell’aborto da parte del Papa ha sentito il bisogno di affiancare all’articolo sulla manifestazione – diciamo non grondante entusiasmo – un boxino di spalla, come si dice in gergo, per sostenere che “il vero spirito della legge 194” era tutto sommato buono, e che l’aborto è un diritto, anche se concede che “prima di tutto è una scelta drammatica ed estrema”, bontà sua.
Io mi chiedo: PERCHE’? Perché questo bisogno di inseguire il mondo, di sottolineare che per carità noi cattolici siamo “buoni”, noi non siamo “quelli di destra”, per carità, noi siamo al passo coi tempi, e non ci sogniamo di mettere in discussione questa conquista? Di cosa abbiamo paura? Perché sempre questo modo politico di ragionare? La legge 194 in Italia non è in discussione, e aggiungo purtroppo: non so se seguiremo con qualche decennio di ritardo – come abbiamo sempre fatto – l’onda americana, e il discorso si potrà riaprire anche da noi, ma per il momento non se ne parla. Che bisogno c’era di sottolineare che la 194 sarebbe una buona legge? Sembra che una parte della Chiesa soffra di una sorta di complesso di inferiorità verso il mondo o, ancora più paradossale, verso qualche giornale.
Se lo spirito della legge fosse buono, non ci sarebbe stato bisogno di bugie per farla accettare culturalmente. Invece in tutto il mondo le leggi sull’aborto sono state approvate a suon di falsità: la storia della sentenza Roe-Wade era una bugia, non c’era nessuno stupro dietro l’aborto, la storia raccontata per commuovere l’America sulle sorti di una povera ragazza violentata era falsa, un enorme raggiro. Le attiviste italiane, quelle che facevano aborti in casa con le pompe di bicicletta, hanno gonfiato in modo surreale i dati sugli aborti clandestini, parlando di un numero di donne morte che non si avvicinava neanche alla realtà (e poi è uno strano modo di preoccuparsi dei morti, quello di procurare altre vittime: grazie alla 194 sono morti dal ’78 sei milioni di bambini). L’altra balla è stata quella della diossina di Seveso (anche qui strano modo di preoccuparsi dei bambini malformati, uccidendoli): le donne sono state indotte ad abortire con l’idea che sarebbero nati bambini deformi, in pieno ossequio alla “cultura dello scarto”.
Lo spirito della legge è pessimo, prevede che la vita del bambino sia a discrezione della madre, lo dice l’articolo 4, formulato in modo volutamente vago: basta che una donna affermi che la nascita del bambino turberebbe il suo equilibrio, e può abortire, anzi, non c’è bisogno che affermi proprio nulla. Esercita un suo diritto. Per non parlare delle pillole abortive, più facili di un antinfiammatorio da ottenere.
Affermare che ci siano due diritti sullo stesso piano, come fa il solerte boxino di spalla è esattamente la posizione di un non credente, che crede che la vita siamo noi a darla. Come sappiamo bene noi non diamo proprio nulla, né a noi stessi né ai nostri eventuali figli, la vita è un bene indisponibile sempre.
I casi in cui è davvero a tema la tutela della vita della madre sono un’eccezione rarissima: ci sarà qualche caso, ma io conosco solo Gianna Beretta Molla e Chiara Corbella Petrillo che sono state messe davanti alla “scelta drammatica ed estrema”, come la chiama Avvenire. La Chiesa non pretende da tutte le donne il loro stesso eroismo (soprattutto quando ci sono bambini già nati da custodire), anche se lo sottolinea come è giusto che sia. In tutti gli altri casi, la vita del bambino non può essere mai neppure in discussione.
So bene che gli stessi che affermano che la scelta è un diritto hanno molto aiutato per esempio i Centri di Aiuto alla Vita che, con tante altre persone di buona volontà, hanno salvato tantissimi bambini. So bene che dire no alla 194 non basta, e a volte è un’inutile sottolineatura che crea solo divisioni e non risolve niente.
Ma, torno alla domanda iniziale, c’era bisogno di affrettarsi a ribadire questa cosa, subito, il giorno dopo la Marcia, quando nessuno, purtroppo, la sta mettendo in discussione? Di che abbiamo paura? Non abbiamo ancora capito che quando noi cerchiamo di piacere al mondo, ossequiandolo, non serviamo più a niente, non annunciamo più nulla, non siamo più incisivi sulla realtà? O come direbbe un mio caro amico frate, arriviamo sempre a saldi finiti?
May 12, 2022
ScegliAMO la Vita
di Costanza Miriano
Quando ero una semplice parrocchiana, prima che mi venisse la balzana idea di cominciare a scrivere che alla fine mi ha fatto trovare coinvolta in mille e mille relazioni e iniziative, pensavo che il mondo fosse un posto semplice dove stare, almeno da un certo punto di vista: se sei cattolico, se hai incontrato Cristo, se Cristo è la vita della tua vita (cit.), allora la pensi in un certo modo, se sei del mondo in un altro. Il compito dei cattolici è vivere all’altezza dell’incontro fatto, in modo da far capire agli altri che in questo modo si è felici. Perché se non salvi i fratelli la tua fede è morta. Insomma fare apostolato, opportune e importune. Sempre con i tuoi compagni di strada. Come ero tonta!
Quando poi ho cominciato a conoscere da dentro il nostro mondo cattolico, ho appreso con enorme stupore che come litighiamo noi, non litiga nessuno, porca miseria. Riusciamo a dividerci su tutto, ma proprio su tutto. E dopo anni di riflessione ho concluso che i motivi principali sono due. Innanzitutto siamo peccatori esattamente come gli altri. E quindi anche quando ci occupiamo delle cose di Dio davvero “nulla è nell’uomo, nulla senza colpa” (se non imploriamo lo Spirito Santo): entrano subito la vanità, l’amor proprio, il voler occupare posti, fare i leader – che ridere: chi segue quello crocifisso come può desiderare di essere un leader? – e magari si rimane attaccati alla propria idea e al proprio ruolo anche quando il servizio che abbiamo compiuto ha esaurito la sua spinta e sarebbe ora di farsi da parte. Padre Emidio diceva che ci sono persone che passano la seconda parte della loro vita a rovinare quello che hanno fatto nella prima. Aiuto. Fermatemi prima, fra poco. La seconda cosa che ho capito, a nostra discolpa, è che quando si parla di Dio, di Verità, il nostro cuore sa che la posta in gioco è tanto grande, e per questo ci accaloriamo tanto, e ognuno di noi vorrebbe che le cose fosse fatte al meglio. Insomma litighiamo in buona fede. Però Gesù ha detto che il nostro segno distintivo sarà l’unità.
Questa premessa è per arrivare a parlare della Manifestazione per la vita che sarà a Roma sabato 21 (partenza alle 14 da Piazza della Repubblica). Io purtroppo ho una grave tara: quando mi spiegano le varie posizioni e le distinzioni mi si chiude il cervello, e, se per caso le capisco, me le dimentico un secondo dopo. Quindi io non so perché non si chiami più Marcia per la vita, non so perché non aderiscano ufficialmente tutte le realtà associative, se ho capito bene, non so perché la Chiesa quest’anno abbia benedetto ufficialmente l’iniziativa, negli anni precedenti no. In ogni caso, bisogna esserci a tutti i costi. Io nell’ottobre scorso avevo preso un impegno a Rieti, e come cerco di fare sempre salvo impedimenti serissimi (mi è successo due, tre volte in centinaia di incontri) lo manterrò, per cui ci sarò dall’inizio e poi mi fionderò alla macchina per andare a Rieti, ma penso che decisamente non si possa non esserci. Non solo tutti noi cattolici, tutti, di qualunque provenienza e sensibilità. In realtà non capisco come possa essere una cosa che non interessi tutti, nel paese che si sta estinguendo, che fa meno figli al mondo, che regala le pillole abortive alle minorenni senza il consenso di un medico o di un adulto, lasciandole sole, poco più che bambine.
Io davvero non capisco come non si possa essere d’accordo con chi chiede che vengano destinate maggiori risorse al sostegno di chi fa figli, e con chi chiede che anche culturalmente – non è mai solo questione di soldi – cerca di riportare al centro la vita, in questo Occidente stanco, depresso, in via di estinzione, egoista e annoiato, alla ricerca di una motivazione (cosa motiva di più di un figlio che arriva?); con chi fa presente che l’aborto, che uccide ogni anno oltre 40 milioni di bambini nel mondo, e che in Italia con la 194 ne ha uccisi oltre 6 milioni, è il primo dramma del mondo. Un vero genocidio di cui non si parla mai. Senza contare le altre vittime, le mamme, che porteranno il peso di questo lutto per sempre, per una scelta che non sempre è libera (io direi mai totalmente). E se ogni anno si possono uccidere 40 milioni di innocenti, perché parliamo delle guerre che fanno molte meno vittime? “Se una madre può uccidere suo figlio, chi impedisce agli uomini di uccidersi tra di loro?” – diceva madre Teresa, che lo riteneva il più grande distruttore della pace. Una marcia che celebra la bellezza e dignità della vita dal concepimento alla fine naturale dovrebbe avere 60 milioni di manifestanti in Italia, indipendentemente dal credo e dall’orientamento politico.
Invece continuo a sentire cattolici che fanno distinguo. Se è per questo lo avrei anche io un distinguo, ma nonostante questo ci sarò, perché è meglio una manifestazione imperfetta che nessuna manifestazione. E’ meglio esserci e aiutare a correggere il tiro, piuttosto che stare a casa, e lasciare che il mondo guardi e dica che i difensori della vita sono quattro gatti svitati e anacronistici (anacronistici un corno, se pure l’America potrebbe aumentare le restrizioni in oltre venti stati: noi che manifestiamo siamo avanti!). La mia obiezione è che vorrei che venisse riaperta la questione della sperimentazione dei vaccini: visto che il Papa ha detto espressamente che sollevano problemi morali, e visto che siamo stati tutti invitati a passarci sopra a causa delle dimensioni e dell’urgenza del problema sanitario, sarebbe bene ricordare che questo avveniva due anni fa. Nel frattempo cosa hanno fatto le case farmaceutiche? Hanno almeno provato a cercare altri modi di sperimentare?
Questa obiezione non la rivolgo ai medici, né ai politici, né tanto meno alla gente. Ma noi, popolo pro life, vogliamo sollecitare le case farmaceutiche, con i loro profitti stratosferici, e lo facciamo non per un puntiglio ma in linea con il parere della Congregazione della Dottrina della Fede; pretendiamo che si riapra la questione, adesso che è venuta meno l’emergenza. Mi si obietta che anche per i cosmetici è ormai d’uso utilizzare cellule embrionali – non mi sparate, non so a che punto della sperimentazione e produzione, non è mia competenza – ma la differenza enorme, enormissima, è che nessuno di noi è obbligato – pena la perdita del lavoro o della libertà – a usare un cosmetico. Con il vaccino c’è l’obbligo. Può un cattolico essere obbligato sine die, anche finita l’emergenza, anche adesso che i laboratori hanno avuto tempo, a qualcosa che per il Papa solleva un problema morale? Possiamo noi che marciamo per la vita omettere di chiedere con fermezza e con energia che questa questione venga riaperta, adesso che la situazione è tranquilla, perché in autunno inverno non si ritiri fuori la questione dell’emergenza e si passi sopra a tutto in scioltezza? Poi, certo, dal momento che lo so, pretendo con la massima urgenza di essere informata anche delle creme che vanno contro la mia morale, e ovviamente mi asterrò dal comprarle (ricomincerò con gli intrugli di olio d’oliva come quando seguivo il manuale di Candy Candy alle medie, se serve).
Insomma, nonostante avrei voluto che questo tema fosse sollevato, io comunque il 21 ci sarò, perché è troppo importante esserci, perché saluterò tanti amici, perché ci saranno i The Sun, perché chi non è contro di noi è con noi, e io voglio essere con noi, non posso mancare, perché è la mia famiglia. Imperfetta e litigiosa, migliorabile, ma la mia.
Qui tutte le informazioni: https://manifestazioneperlavita.it/
Per aiutare nell’organizzazione vedi il volantino.
May 11, 2022
Venerdi 13 maggio il giro delle Sette Chiese nella notte
Il 13 maggio alle 19 ci si ritrova per partire per il giro notturno delle Sette Chiese, appuntamento a Chiesa Nuova, verranno date le istruzioni, distribuite le cuffiette (credo che l’offerta sia di 5 euro) e si partirà, per attraversare Roma di notte, pregando e cantando e ascoltando le catechesi di padre Maurizio Botta.
Il percorso è di circa 25 km, bisogna portare qualcosa da mangiare e per coprirsi L’arrivo è tra le 7 e le 8 a santa Maria Maggiore
Per chi non avesse idea di cosa si tratta riproponiamo il racconto di Costanza di qualche anno fa…
Le Sette Chiese nella notte, un pellegrinaggio che apre il cuoredi Costanza Miriano
Partecipare a un pellegrinaggio che ha oltre settecento anni di storia è qualcosa di davvero prezioso: sei parte di un popolo in cammino da secoli, e anche se porti le Brooks Glycerin verde fluo ti senti concittadina dei santi, contemporanea di san Pietro e san Paolo (e comunque indossavo pochissima roba glitterata, e manco una piuma).
Siccome quando una cosa è bella desideri condividerla, voglio raccontare qualche pezzetto della bellezza che ho incontrato, anche per invogliare chi si lascia spaventare dall’impresa. Diciamo subito che se uno è in un normale stato di salute e non viene da tre notti insonni per allattamento gemelli o guardie in ospedale, si fa senza problemi.
Si comincia – per chi vuole – con la messa a Chiesa Nuova alle 19, poi ci si divide in gruppi, ognuno con un nome di un apostolo. Per tutta la notte, poi, il cartello con quel nome che avrai scelto sarà la seconda cosa che cercherai con più zelo (la prima sarà il bagno, benché anche qualche albero in zone poco illuminate potrà avere un suo fascino, alla bisogna). Le regole sono semplici, soprattutto bisogna obbedire alle indicazioni, cioè tenere il passo giusto – né troppo veloce per far vedere che tu corri la maratona e quello per te è niente, né troppo lento tipo passeggiata balneare -, non andare in mezzo alla strada, non parlare nei tratti di silenzio, non pregare per conto tuo quando si prega tutti insieme. E’ una comunità in cammino, sennò puoi fare il pellegrinaggio da solo tutti gli altri giorni dell’anno.
Le preghiere e le meditazioni sono quelle scritte da san Filippo Neri, colui che diffuse la devozione delle visite alle basiliche giubilari: ai suoi tempi il pellegrinaggio del giovedì grasso arrivava a coinvolgere seimila persone (noi l’11 maggio eravamo circa novecento). Il tema delle riflessioni è stato la forza: le forze, anche quelle del male, che agiscono in noi, la piccola forza della nostra volontà, e la grande forza dello Spirito Santo, che siamo qui per mendicare tutta la notte.
La prima tappa, proprio come faceva San Filippo, è stata castel Sant’Angelo, poi novecento persone si sono inginocchiate – uno spettacolo niente male – davanti a San Pietro, e a seguire abbiamo consegnato i nostri malati a Santo Spirito in Sassia. Da lì si scende sul lungotevere (transennato per il rischio piena fino al giorno prima, ma poi fortunatamente accessibile) per arrivare all’isola Tiberina, alla basilica di san Bartolomeo. Da lì a san Paolo il tratto più lungo, attraverso il Testaccio e via Ostiense (sentite pittoresche ipotesi topografiche con accento romano: “aho, me sa che qui stamo a Trastevere!” Io in confronto mi sentivo una guida turistica, nonostante il mio senso dell’orientamento da paguro: temo che ci siano romani che non escono mai dal proprio quartiere). Di san Paolo – perché a ognuna di queste tappe elencate c’è una breve catechesi e una preghiera – devono esser state dette cose molto belle, ne sono certa, ma la mia mente a quel punto – è passata la mezzanotte e non mangio dalle due del pomeriggio – pensa solo “paninopaninopanino”, tipo Scrat con la ghianda, per capirci.
Alla Garbatella c’è la pausa bagno e la pausa cena (il caro don Fabio Bartoli non è più in via Ostiense e non si può più contare sulla sua ospitalità, che sarebbe stata prima di san Paolo). Il tempo di mangiare poi si va in chiesa per una catechesi sulla castità, sul bisogno di cristificarci sempre di più, con la preghiera. Attraverso via delle sette chiese si arriva a quella che per me è la tappa più bella (nonché la mia meta per la corsa preferita): la chiesa di san Sebastiano, alle catacombe sull’Appia Antica. E’ il momento in cui si medica lo Spirito Santo, perché da soli non siamo capaci di nulla di buono, e questa rimane la cifra del pellegrinaggio. Mendicare, mendicare lo Spirito: mendicare vuol dire che se non ti arriva quella carità neanche mangi, vuol dire che muori, vuol dire che dipendi da quella grazia.
In questo clima di silenzio totale, di concentrazione e di preghiera intensa una macchina ci chiede di interrompere il nostro lungo serpentone “perché dovemo annà ar bagno, ed è pure abbastanza urgente”; menzione d’onore alla faccia di bronzo che serve a urlare una frase del genere davanti a quasi mille persone. A me purtroppo la cosa scatena una crisi di ilarità, ovviamente dodici secondi dopo che padre Maurizio aveva con grande serietà chiesto il massimo silenzio, perché è il momento di riprendere il cammino attraverso le catacombe di San Callisto, qui dove sono sepolti cinquecentomila dei nostri fratelli che ci hanno preceduto nella fede, tra cui diciannove dei primi papi e molti dei martiri dei primi secoli. Di solito il cancello qui chiude al tramonto, ed è un privilegio unico percorrere la strada di notte, in un silenzio assoluto che ha del miracoloso: quando mai quasi mille persone riesci a convincerle a non fare un fiato, a non accendere una torcia nel buio pesto?
All’arrivo a san Giovanni mi viene riconsegnato il mio rosario che ero certa di avere perso – credo che ci sia qualcuno che dopo che lasciamo i posti delle catechesi fa il giro per vedere se è stato abbandonato qualcosa – (a dispetto delle battute di padre Maurizio sul mio cattivo gusto è un oggetto estremamente sobrio, senza manco una piuma, uno strass o una macchia di leopardo) e si riparte per santa Croce in Gerusalemme: ogni tratto del cammino ripercorre una tappa del cammino che ha fatto Gesù la notte della sua passione e poi fino al Golgota. Certo non soffriamo come lui, ma magari un po’ di stanchezza – è già sorto il sole – si comincia a sentire. Da santa Croce si va a san Lorenzo fuori le mura, accanto al Verano (credo che molti di noi abbiano pensato anche a Chiara Corbella Petrillo) e tutto, come sempre quando si passa da un cimitero, assume una luce nuova: ci sentiamo più vivi, è una bella giornata, serena e tiepida e la colazione si avvicina. Padre Maurizio consiglia come tappa per qualche passeggiata il Verano, che peraltro è più pulito e ordinato del resto della città, per il potere che hanno i cimiteri di ristabilire le prospettive.
E’ il momento di dirigersi verso santa Maria Maggiore, per affidare alla Madre i nostri cuori e le grazie che vogliamo chiedere a Dio. Si attraversa dunque la stazione Termini: come sempre il momento più esilarante della giornata, con la gente che guarda basita , la bocca aperta e il trolley abbandonato inerte, questo sacerdote alto con la talare che canta a squarciagola il Salve Regina e le litanie mariane e dietro di lui centinaia di persone che rispondono, di prima mattina. Spero che nessuno di quelli che ci ha filmato, praticamente tutti, diffonda il video, perché l’occhiaia a oltre dodici ore dall’ultima passata di correttore, dopo una notte in bianco, assume dimensioni preoccupanti.
Ecco, lo so che è impossibile raccontare quello che succede dentro ai cuori, la grazia che continua a sgorgare e a rendere diverso ogni gesto delle giornate a seguire (e se uno non spegne la grazia, dei mesi e degli anni), e la certezza di avere fatto un altro passo avanti verso la conoscenza dello Sposo che tutti noi che eravamo lì desideriamo conoscere. Lo so che non si può dire, che ho impoverito tutto, ma se avrò convinto almeno una sola persona a provare, il prossimo anno, ne sarà valsa la pena.
Un’ultima cosa: dovevo anche ringraziare Oratorium che sostiene economicamente le molte attivitùà dei padri della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, che mettono a disposizione di tutti tanta bellezza. Così, gratis (5 euro per le cuffie, il ripetitore e il libretto delle preghiere che rimane ai pellegrini non credo coprano neppure le spese). Solo per amore di Dio, per amore della Chiesa e del suo deposito, per il desiderio di tramandarlo e condividerlo. Per cercare di diffondere una cultura dello studio, del lavoro e dell’arte come luoghi privilegiati di realizzazione della persona e di servizio alla società. Per il desiderio di formare una cordata di amici e fratelli verso il cielo. Ecco, è sempre brutto parlare di soldi, e se fossero per me non lo farei, ma volevo ricordare che tutte le risorse che ha Oratorium le investe per generare linfe vitali di bellezza e fede e cultura. Per cui chi non sa a chi dare il suo cinque per mille, si ricordi che questa è una scelta davvero buona per tanta gente, ben oltre i confini della parrocchia o della città.
May 7, 2022
Il dolore e il perdono oltre l’immagine

di Admin
La foto qui sopra l’avrete vista centinaia di volte, è diventata un simbolo di quella lunga guerra combattuta nel Vietnam tra gli anni ’60 e ’70, io l’ho sempre associata ad altre immagini e suoni come l’incursione degli elicotteri e la cavalcata delle valchirie in Apocalipse Now, la marcia di Mickey Mouse in Full Metal Jacket o il grido di Robin Williams in Good Morning Vietnam. Ma la differenza sostanziale è che quelle immagini sono iconiche ma sono finzione, mentre la foto e drammaticamente vera. Per questo quando Than Thao Ly thi e suo marito Sergio Mandelli ( che hanno allestito a Milano la mostra fotografica From Hell to Hollywood) mi hanno contattato per aiutarli a organizzare un incontro a Roma con quella bambina, Kim Puch e il fotografo autore della foto Nick Ut è stato un po’ come animare quella foto, non solo dare un nome e un volto ma anche una voce, un suono.
E’ quindi grazie alla collaborazione di padre Maurizio Botta e dell’associazione Oratorium che martedì 10 maggio riusciremo a sentire dal vivo Kim Puch, la “napalm girl” della foto insieme a Nick Hut autore dello scatto, raccontarci della sua drammatica esperienza, della sofferenza e del dolore ma anche del perdono che è riuscita a elaborare, abbracciando quel dolore e quell’immagine storica ma anche e soprattutto abbracciando Cristo.
Quindi vi aspettiamo in tanti
IL DOLORE E IL PERDONO OLTRE L’IMMAGINE
Martedì 10 maggio alle ore 21
nella sala Ovale di Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova),
(ingresso da via di Chiesa Nuova 3)
L
La Storia della foto più famosa della guerra del VietnamQuando la foto fu scattata, Phúc aveva 9 anni e viveva con la sua famiglia a Trang Bang, un paesino del Vietnam del Sud che era stato occupato dalle forze nordvietnamite. Quel giorno un gruppo di cacciabombardieri Douglas A-1 Skyraider dell’aviazione sudvietnamita attaccò con le bombe al napalm Trang Bang, colpendo per errore le posizioni dei soldati sudvietnamiti che stavano combattendo contro gli occupanti e anche un tempio Cao Dai (una religione monoteista diffusa in Vietnam e fondata negli anni Venti del Novecento) dove si erano rifugiati i civili, tra cui Phúc.
A causa del napalm, che è una sostanza acida altamente infiammabile, il braccio sinistro di Phúc prese fuoco e il suo vestito si distrusse in pochi secondi. Insieme ai suoi fratelli e ai suoi cugini scappò dal tempio e cominciò a correre – gridando “Scotta! Scotta!” – lungo la Route 1, unendosi a soldati sudvietnamiti e ad altri abitanti del villaggio che andavano verso le posizioni controllate dall’esercito sudvietnamita. La fotografia fu scattata dal fotografo di Associated Press Nick Ut, che l’anno successivo vinse per questa immagine il premio Pulitzer per la fotografia.
Poco dopo, la bambina perse conoscenza e Ut – che allora aveva 21 anni e che aveva perso un fratello, anche lui fotografo, mentre era in servizio per Associated Press nel delta del Mekong meridionale – portò la bambina in auto in un piccolo ospedale. Inizialmente i medici non volevano curarla, dicendo che le ferite erano troppo gravi, ma Ut mostrò il suo tesserino della stampa americana e lasciò l’ospedale con l’assicurazione che sarebbe stato fatto il possibile. Ut, molto scosso dall’accaduto, tornò a Saigon, sviluppò la pellicola nel suo studio e la girò ai suoi superiori di Associated Press.
Chi prese la decisione di diffondere la foto – contrariamente agli stretti regolamenti di AP che vietavano di diffondere foto di nudi, a maggior ragione di una bambina nuda – fu Horst Faas, capo dei fotografi dell’Associated Press nel Sudest asiatico, premio Pulitzer nel 1965 per le sue foto dal Vietnam e poi in quello stesso anno, nel 1972, per un reportage in Bangladesh. La foto venne pubblicata nei giorni successivi in molti dei principali quotidiani statunitensi – in prima pagina sul New York Times del 9 giugno, con il bordo destro tagliato, in cui c’era un fotografo – e fece molta impressione nell’opinione pubblica.
Phúc venne dimessa dall’ospedale 13 mesi dopo l’attacco e tornò nel suo piccolo villaggio, diventando una celebrità tra i suoi abitanti – che avevano saputo della pubblicazione della foto – ma rimanendo quasi del tutto sconosciuta per il resto del mondo, eccetto qualche visita dei giornalisti e dei fotografi che l’avevano aiutata. Il trenta per cento del suo corpo aveva subito ustioni di terzo grado, che le hanno lasciato grandi cicatrici su tutta la schiena e sul braccio.
Quando la guerra finì e il Sud venne occupato dai nordvietnamiti, Phúc iniziò a studiare medicina, con il progetto di diventare un medico ma, quando i leader del Vietnam del Nord scoprirono che era lei la protagonista di quella foto ormai così simbolica, la costrinsero ad abbandonare la scuola: per diversi anni lavorò come guida turistica e come simbolo vivente in tour guidati per i giornalisti stranieri, sotto lo stretto controllo dei responsabili della propaganda del regime nordvietnamita.
Nel 1982, Phúc poté andare in Germania Ovest per essere curata, grazie all’interessamento di un giornalista straniero. Anche il primo ministro vietnamita Phạm Văn Đồng si interessò alla sua storia, la conobbe personalmente e le permise di andare a studiare a Cuba. Qui Phúc conobbe un giovane ragazzo vietnamita: si sposarono nel 1992. Dopo il viaggio di nozze a Mosca, decisero di abbandonare i paesi comunisti e scapparono in Canada, durante una sosta per il rifornimento del carburante dell’aereo che li riportava a Cuba.
Phúc non si è mai ripresa completamente dalle ferite provocate dal napalm, che aveva distrutto vari strati di collagene – la principale proteina che si trova nella pelle – lasciandole cicatrici spesse quasi quattro volte un normale strato di pelle. Nel 2015 ha subito anche una serie di trattamenti con il laser in una clinica di Miami che sono stati documentati da Nick Ut: lo stesso fotografo che 43 anni prima le aveva scattato la celebre foto in Vietnam.
May 5, 2022
Il Monastero Wi-Fi in tutta Italia! Gli appuntamenti #monasteroWiFi
C’è qualcosa di miracoloso in questi piccoli gruppi di fratelli in Cristo che si vedono per pregare insieme. Senza protagonisti, senza leader carismatici, con il solo desiderio di essere più attaccati a Cristo, più alla Chiesa. Credo che dopo questi anni di sconvolgimento, in un clima generale di stanchezza, quasi depressione a tratti, vedere dei germogli del colore dell’erba a primavera è una cosa che scalda il cuore. Non sappiamo ancora che piantina sia, né tanto meno che frutti porterà. Però cerchiamo di curarla.
Trovare amici che guardano dalla stessa parte, e che magari si sentono un po’ soli nel loro cammino, e bisognosi ogni tanto di un po’ di compagnia è prezioso. E ogni sacerdote a cui abbiamo chiesto di accompagnarci, mette le sue ricchezze in comune: un tono, un colore di spiritualità diverso per ogni città (da noi a Roma per esempio il sacerdote cambia spesso), una ricchezza di cui siamo orgogliosi. La Chiesa è piena di gente stupenda!
Avremmo voluto far partire un sito dedicato ai monasteri wi-fi che stanno andando avanti in diverse città, ma non siamo ancora riusciti. Intanto ecco l’elenco dei prossimi appuntamenti. Chi vuole far partire qualcosa in una città ancora “sguarnita” di avamposto, ci scriva a monasterowifi@gmail.com
A brevissimo novità sul capitolo generale del monastero wifi a Roma (subito dopo l’estate!)
MILANO:
9 maggio ore 20,45 Don Luca Civardi sulla Preghiera
28 maggio 9,30- 17 Incontro annuale presso Opera Don Orione Via P. Strozzi, 1 Milano
20 giugno ore 20,45 Don Luca Civardi sulla Preghiera 4 luglio “ “ “
BOLOGNA: monasterowifi.bologna@gmail.com
24 maggio ore 20,30 Chiesa S. Giovanni Persiceto 26 giugno ore 9,30/19 presso Seminario Arcivescovile di Bologna
VERONA: monasterowifiverona@gmail.com 25 maggio a breve il posto e l’ora
PADOVA: famiglia.miele@yahoo.it 20 maggio ore 20.30
24 giugno ore 20.30 presso Basilica di Santa Maria del Carmine Padova
UDINE: mpcardinale66@gmail.com
28 maggio e 25 giugno ore 10,00 presso la Chiesa di San Giorgio Maggiore, a Udine in via Grazzano 9
TORINO: fra.bea@gmail.com
21 maggio, con ritrovo alle 16 in Piazza Stampalia, 17
LEVANTE LIGURE: laura.gallese@tin.it
26 maggio ore 21 rosario Casetta dei pescatori, spiaggia Balin, Lungomare Sestri Levante
GENOVA: monasterowifi@gmail.com
12 maggio Parrocchia Ns. Signora delle Grazie e San Gerolamo (Castelletto)
VALDARNO: info@studiolunghipaola.it 14 maggio ore 21 Chiesa di Santa Teresa d’Avila 4 giugno ore 18 Cattedrale SS. Pietro e Paolo di Arezzo (accompagnamento ordinazione diaconale)
CESENA sarina_so@hotmail.it 11 maggio, 8 giugno, 13 luglio, 7 settembre ore 20,30 Parrocchia di San Rocco
FIRENZE beatrice.riparbelli@hotmail.com
– ogni lunedì ore 17,30 ore 18 presso Suore Serve di Maria Addolorata Via Faentina, 195 (ingresso dalla cappella sulla Faentina)
Data e luogo da destinarsi catechesi
-il primo sabato del mese ore 17,00 presso i SS. Apostoli (Piazza del Limbo)
ROMA: silvia.polselli70@gmail.com il primo lunedì del mese ore 20,30 presso il Battistero in Piazza San Giovanni in Laterano
LECCE: leti.lala@libero.it il primo lunedì del mese ore 19,30 presso il Duomo di Lecce
COSENZA: giampaolocaracciolo@virgilio.it 24 maggio ore 17 presso parrocchia di Santa Caterina
May 4, 2022
La dimensione epica della preghiera: il combattimento
MONASTERO Wi-Fi ROMA, 4 aprile 2022
Catechesi sulla Preghiera
di don Paolo Prosperi
Vi saluto e sono molto grato e onorato di questo invito che mi ha fatto Costanza che ho conosciuto da poco. Ci siamo conosciuti dopo la S.Messa alla Navicella, un paio di mesi fa e subito ho avuto un’ottima impressione. Nel dialogo con lei ho sentito un grande entusiasmo per la fede, per il Signore e, anche quando si è estranei, la cosa bella è che quando si ama il Signore ci si trova subito insieme. Per questo mi sento un po’ a casa mia, anche se la maggior parte di voi non vi conosco.
Cercherò di stare nei tempi anche se la brevitas non è la mia più grande virtù.
Il tema che mi è stato assegnato si inserisce in un percorso che voi state facendo.
Non ho potuto seguire i vostri precedenti incontri quindi spero di non ripetere cose che avete già sentito, in tal caso perdonatemi. Comunque repetita iuvant.
Stare davanti a Cristo non fa mai male, non è mai ripetitivo. Bene.
Il tema che mi è stato assegnato sono le parti del catechismo che riguardano la preghiera, in particolare un suo aspetto, se si vuole, misterioso e delicato del nostro dialogo con il Signore, del nostro rapporto con il Signore.
In realtà sarebbe più di uno, ma io mi concentrerò principalmente su un tema, anche per non dilagare eccessivamente, e questo è il tema del combattimento, del combattimento come preghiera.
Parliamo di un tema importante quanto misterioso, potremmo dire quello della dimensione guerresca, a me piace dire EPICA, per usare un termine che amo molto, della preghiera.
La preghiera è veramente un’avventura epica per chi ha la grazia di entrare nel suo mistero.
E questo è il tema di cui vogliamo un po’ occuparci questa sera.
Ebbene si, ci dice il catechismo, la preghiera è anche questo: combattimento, lotta.
La preghiera è certamente dolcezza, è cercare di aprirsi ad un dono di grazia, che da dolcezza al cuore -come credo e spero tutti, poco o tanto, lo sappiamo, ne abbiamo fatto esperienza – come ci insegna il grande S.Bernardo :
Iesu dulcis memoria
Dans vera cordis gaudia
Sed super mel et omnia
Eius dulcis praesentia.
Se il solo ricordo di Gesù è già dolce e da gioia al cuore, dice Bernardo, figuriamoci la sua presenza, figuriamoci le sue visite, quelle visite, rare e frequenti che siano, che per l’appunto sono promesse a chi prega, a chi cerca il Signore con cuore davvero assetato, affamato del tocco della sua presenza.
E tuttavia la preghiera non è solo questo è anche la lotta, è anche combattimento, è anche fatica, sforzo. Perchè ?
Perchè ci deve essere anche questa dimensione nel nostro rapporto con il Signore?
Di più, perchè ciò non solo è inevitabile, per così dire, ma in qualche modo è bello?
Si, è più bello e buono che sia così.
Perchè non è un male o appunto qualcosa di inevitabile, che dobbiamo sopportare e accettare a causa della nostra fragilità, del nostro limite, della nostra peccaminosità.
Non è un male che il nostro rapporto personale con il Signore, il nostro dialogo con Lui, sia non solo dolcezza, non solo rose e fiori, ma anche lotta, ma anche deserto, ma anche notte.
“Benedite notti e giorni il Signore”
dice il bellissimo cantico dal libro di Daniele, al capitolo terzo, che recitiamo molte domeniche duranti le lodi.
“Benedite notti e giorni il Signore.
Lodatelo e esaltatelo nei secoli”
Ho sempre amato questo versetto
Benedite luci e tenebre il Signore.
Lodatelo e esaltatelo nei secoli”
Perchè il nostro dialogo con il Signore, il nostro rapporto con Lui, deve essere un’esperienza non solo di luce, ma anche di buio.
E in che senso anche la notte, dice il libro di Daniele, rende lode al Signore non meno del giorno?
Benedite mostri marini il Signore.
prosegue il testo.
I miei amici sanno quanto io ami il mondo animale e quella che io chiamo zoologia simbolica
“Benedite mostri marini e quanto si muove nell’acqua il Signore
Lodatelo e esaltatelo nei secoli
Benedite uccelli tutti dell’aria il Signore
Lodatelo e esaltatelo nei secoli”
Quante volte, immergendoci nella preghiera, capita l’opposto di quello che uno si aspetta e desideri, vorresti che il tuo cuore si elevasse in Dio, libero e leggero come un uccello dell’aria – Benedite uccelli tutti dell’aria il Signore – e invece ti ritrovi a lottare con i mostri marini, cioè con quel terribile mondo di fantasmi e mostri che, come sappiamo bene, abitano nelle acque profonde del nostro io, del nostro inconscio, che spesso salgono proprio quando lasciamo che il silenzio regni in noi ? Vengono in superficie dal profondo.
Ebbene, perchè anche queste esperienze sono un bene, in che senso anche i mostri marini benedicono il Signore non meno degli uccelli dell’aria?
Insomma in che senso la lotta ha anch’essa una sua gloria, una sua bellezza, una sua musica tutta da scoprire, un suo valore diverso, magari, da quello dei momenti di gioia e di leggerezza, e, tuttavia, non meno importante, non meno grandioso, non meno, appunto, epico?
Questa è la prima domanda su cui vorrei riflettere un po’ questa sera con voi.
La seconda, che , evidentemente è tutt’uno con la prima, la formulerei così:
Dato per assunto che pregare è di fatto spesso faticoso, che pregare di fatto è anche lotta, è importante domandarsi “ di che lotta si tratta esattamente?”.
Parlare di lotta significa parlare di nemici, o per lo meno di avversari. Chi sono i nemici
in questo combattimento, chi sono i mostri marini? – per rimanere nell’immagine.
Uno lo conosciamo, lo sappiamo, anche se, speriamo , non lo abbiamo mai visto in faccia, è il diavolo, avversario per eccellenza del Signore e di ogni Suo seguace; ma si tratta solo di lui?
O ancora si tratta solo delle nostre passioni distorte, che di lui sono i ministri nel nostro cuore; o, forse – e questo è il tema più insolito ed accattivante su cui vorrei concentrarmi di più, anche se evidentemente è connesso con gli altri – o forse il mostro marino può anche essere addirittura anche simbolo di Dio stesso, così che si può dare il caso, il mostro marino è una creatura di Dio: tutto è creato buono, se l’ha fatto è anch’esso simbolo, segno, immagine del Creatore.
O forse il mostro marino può essere simbolo di Dio stesso ; così che si può dare il caso in cui, in un senso tutto da scoprire, l’avversario con cui nella preghiera si duella, ebbene sì, a volte diventa il Signore stesso?
Come si vede, si tratta di domande profonde, cui ovviamente non pretendo di offrire risposte esaustive. Non sarei in grado neanche se avessi molte ore a disposizione, che non ho per vostra fortuna.
Mi limiterò a suggerirvi tre piste di riflessione, di meditazione personale; poi magari, anche meditando i testi della Scrittura, che così vi sgranerò brevemente davanti agli occhi, poi, dopo, vi invito a tornarvi perché, come sappiamo, la Scrittura è sempre un pozzo senza fondo, si scoprono cose sempre nuove.
Mi limiterò, dicevo, a suggerire tre piste di riflessione che vogliono mettere in luce altrettanti aspetti del mistero in questione.
Enuncio subito a modo di ouverture – voi sapete che le ouverture nelle opere contengono tutti i temi musicali principali dell’opera – quindi enuncio subito a modo di ouverture la tesi fondamentale che mi guiderà in queste brevi riflessioni, poiché in essa è racchiusa quella che considero la chiave unificante di tutto ciò che cercherò di dire poi, commentando alcuni passi della Scrittura, a me particolarmente cari.
La tesi fondamentale è questa: la preghiera cristiana è lotta, e, poco o tanto, non può che esserlo, perché la vita cristiana è dramma d’amore, è relazione fra un IO e un TU, tra due libertà irriducibili l’una all’altra.
Non è forse vero che ogni autentica, grande storia d’amore, in qualche misura è anche duello ?
E non è forse vero che noi vogliamo che sia così? Troviamo affascinante e bello che sia così?
Pensiamo ai romanzi e ai film che più amiamo: mi viene in mente “Pride and Prejudice”, Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, un bellissimo romanzo.
Noi non vogliamo solo il lieto fine, no; vogliamo anche che ci sia il travaglio e l’avventura della conquista. Che l’amante sia disposto a soffrire, che sia pronto ad attraversare il tormento della frustrazione, del dubbio, dell’apparente insuccesso, dello sperare contro ogni speranza, del perseverare anche quando le cose sembrano andare male. Che l’amante si, sia disposto a perseverare, magari addirittura a disperare del successo, prima di essere sorpreso, all’improvviso, dall’insperato dono finale del sì dell’amata. Vogliamo che l’amante fatichi, almeno un po’, che incontri resistenza, che tra l’amante e l’amata si instauri una sorta di singolar tenzone, poiché se così non fosse, anche il lieto fine non darebbe alcun piacere, né dolcezza al cuore.
Orbene, perché è così?
Forse non ce lo siamo mai chiesto; è innanzitutto un dato, un’esperienza, quando guardiamo un film, o leggiamo un bel romanzo. Invece è importante farsi certe domande, no. Si scoprono spesso le cose più interessanti quando ci si interroga sull’ apparentemente ovvio.
Perché accade così?
E’ ovvio che qui non si tratta di sadismo, quasi che la sofferenza o la fatica ci dessero piacere in quanto tali.
Dio non ha voluto la sofferenza, né tanto meno ha voluto che guerra e morte entrassero nel mondo. E tuttavia noi sentiamo, prima ancora che capirlo, noi sentiamo, che nel mondo così come lo conosciamo, nel mondo così com’è, c’è un mondo ferito dal peccato e pur pieno di luce e gloria; l’amore matura, si purifica e infine trionfa, sempre e soltanto passando per la sofferenza, per un certo travaglio, per una certa lotta.
Noi sentiamo, prima ancora di capirlo, che è così, che deve essere così in rapporto al tu umano, figuriamoci se non deve essere così in rapporto al Grande Tu, al Tu con la T maiuscola, il Signore, lo Sposo con la s maiuscola
Vengo così ai 3 punti, alle 3 variazioni sul tema
1) Primo punto , GIACOBBE e l’ANGELO.
Brano molto famoso che adesso mi accingo a leggere.
“Chi si arrende vince” dice un mio ex studente che sa che mi piacciono i paradossi, chi si arrende vince- un brano molto misterioso che adesso leggeremo insieme.
Ovviamente sono possibili altre esegesi , io vi propongo la mia lettura , innanzitutto un breve inquadramento per chi non fosse fresco, per chi non ricordasse bene il contesto di questo episodio, così misterioso, della vicenda di Giacobbe.
Senza conoscere i precedenti diventa difficile comprendere l’importanza della vicende di Giacobbe, che proprio qui diventerà Israele. Allora faccio un breve riassunto che traggo dalla catechesi di Benedetto XVI sullo stesso passo, invece nella seconda parte prenderò una mia personale direzione.
Giacobbe aveva sottratto al suo gemello Esaù la primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie. Sappiamo che aveva carpito con l’inganno la benedizione del padre Isacco ormai molto anziano, approfittando della sua cecità. Giacobbe innanzitutto è il furbo , l’intelligente, quello scaltro, colui che sa usare della sua intelligenza per volgere la situazione a proprio favore. Così riesce ad acquistare la benedizione e il Signore apparentemente valorizza questa furbizia, questa scaltrezza di Giacobbe, e sembra effettivamente accordargli la benedizione.
Sfuggito all’ira di Esaù si era rifugiato presso un parente, Labano, si era sposato, si era arricchito e ora stava tornando alla terra natale, alla terra promessa, alla terra della promessa e quindi quella terra che coincide in fondo con l’eredità di Abramo e quindi con la benedizione il Signore.
Ovviamente c’è da affrontare Esaù e Giacobbe si avvicina, anche con un certo timore, presupponendo giustamente l’ira del fratello, a cui ha sottratto la benedizione.
Tutto è pronto per questo incontro, dopo aver fatto attraversare a coloro che erano con lui il guardo del torrente che delimitava il territorio di Esaù Tutto è pronto: ha già mandato i suoi servi a portare dei doni a Esaù per ammansirlo. Tutto ha calcolato, tutto ha programmato a dovere!
Ma succede qualcosa di non previsto, quando tutto è pronto, quando ha fatto attraversare a coloro che erano con lui il guado del torrente che delimitava il territorio di Esaù, Giacobbe è rimasto solo. La preghiera può essere comunitaria ma la lotta è sempre solitaria.
La lotta è sempre solitaria, è un a tu per tu, è un corpo a corpo.
Giacobbe, rimasto solo, viene aggredito improvvisamente da uno sconosciuto con il quale lotta per una notte. Proprio questo combattimento corpo a corpo, che troviamo nel capitolo 32 del libro della genesi che vi invito a rileggere, diventa per lui una singolare esperienza di Dio. Allora leggiamo questo sublime, magnifico, misterioso testo.
«E Giacobbe si alzò quella notte, prese entrambe le sue mogli, entrambe le sue ancelle e i suoi dodici figli e li condusse oltre il guado dello Iabbok. Li prese e li portò al di là del fiume e portò tutto ciò che aveva. Giacobbe rimase indietro da solo. Qui un uomo lottò con lui fino all’aurora. Quando vide che non riusciva a vincerlo, gli toccò il fianco. Così il fianco di Giacobbe si era lussato mentre combatteva con lui. E disse: “Lasciami andare! L’aurora sta risuonando!”. Disse: “Non ti lascio finché non mi benedici!” Gli disse: “Come ti chiami?” Egli rispose: “Giacobbe”. Lui disse: “D’ora in avanti non ti devi chiamare Giacobbe, ma Israele. Hai lottato con Dio e con gli uomini e hai riportato la vittoria”. Quindi Giacobbe fece questa richiesta: “Rendi noto il tuo nome!”. Egli disse: “Che cosa mi chiedi del mio nome?” Allora lo benedisse. E Giacobbe chiamò il luogo Penuel: “Ho guardato Dio faccia a faccia e sono rimasto in vita!”. E il sole si alzò…» (Genesi 32, 23-33).
Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora, vedendo che non riusciva a vincerlo.
Chi? Giacobbe all’uomo misterioso, o l’uomo misterioso a Giacobbe.
Non è detto.
L’uomo misterioso lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò mentre continuava a lottare. Quando lui gli disse: “Lasciami andare perché è spuntata l’aurora” Giacobbe rispose “Non ti lascerò!” – torneremo su questo “Non ti lascerò!” che a mio avviso evoca un altro passo biblico distante da questo- “Non ti lascerò se non mi avrai benedetto“. Gli domandò “Come ti chiami?”
rispose “Giacobbe“, riprese “Non ti chiamerai più Giacobbe ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto”. Giacobbe allora gli chiese: “Dimmi il tuo nome?“– ritorneremo su questo – e qui lo benedisse.
Faccio notare questa associazione apparentemente illogica: prima rifiuta di dirgli il nome e poi lo benedice. Qua c’è un ossimoro.
Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuel, perché disse “Ho visto Dio faccia a faccia eppure la mia vita è rimasta salva”
Spuntava il sole quando Giacobbe passò il Penuel. Giacobbe zoppica all’anca – mi fermo.
Zoppicava all’anca, rimarrà zoppo per tutta la vita, il buon Israele.
Questa ricezione del nuovo nome, Israele, colui che ha vinto, si associa a questo essere zoppo, a questo segno indelebile, a questa ferita, perché?
Misterioso racconto, forse uno dei più misteriosi dell’antico testamento.
Da una parte si dice che Giacobbe combatte e vince – addirittura il suo nome sembra significare questo, il suo nuovo nome, quello che lo renderà padre, poi, del popolo eletto – dall’altra tale vittoria è strana perché ha tutto l’aspetto di una sconfitta.
Per prima cosa egli rimane sciancato nella lotta, mentre il suo avversario non si dice abbia riportato alcuna lesione. In secondo luogo, mentre Giacobbe rivela all’Angelo del Signore il suo nome, Giacobbe e anzi, riceve da lui un nome nuovo, segno di proprietà – adesso lo diremo – il Signore non gli rivela il suo, benché Giacobbe glielo abbia chiesto. Perché?
Noi sappiamo che, nella scrittura, essere messi a parte del nome di qualcuno significa, in qualche modo, possederlo, acquisire diritti su quella persona, il diritto di chiamarlo e di essere quindi ascoltati.
Cosa significa ciò?
Significa che, dopo questa lotta, Giacobbe è divenuto ormai proprietà del Signore, egli è suo, gli appartiene, mentre non è altrettanto vero il viceversa, o meglio, non lo stesso senso.
L’esito della battaglia non è la sottomissione del Signore a Giacobbe, ma il viceversa, d’ora in poi Giacobbe sarà del Signore, docile alla Sua voce, sua totale proprietà.
Il frutto della lotta tra Giacobbe e il Signore è cioè, sì la benedizione – lo benedisse – ma tuttavia si tratta di una benedizione paradossale, poiché il suo contenuto non è un possedere ma un essere posseduti, un non appartenere più a sé, ma a un altro, al Signore.
Lo spaccarsi di quell’autonomia, di quella centratura su di sé, che era del Giacobbe di prima, il Giacobbe scaltro, il Giacobbe-Ulisse, per così dire, che ce la fa da sé!
Comprendiamo così in che senso la sconfitta è vittoria: è una trasformazione profonda del suo io, che è poi ciò in cui la vittoria consiste, ciò in cui la benedizione consiste.
In realtà la benedizione che Giacobbe strappa al Signore non consiste in beni materiali ma in questo nuovo, profondo, timore del Signore, in questo sapersi appeso ogni istante alla sua volontà, al suo aiuto, al suo sostegno, alla sua forza. In questo sentirsi totalmente in balia sua, del Signore.
Comprendiamo così allora, anche, il senso profondo di questa ferita, di questa zoppia misteriosa che la lotta col Signore lascia in eredità a Giacobbe. L’anca sciancata, è in realtà, parte della benedizione. Ebbene sì, poiché la benedizione consiste proprio in questo: nel saper di non poter più camminare confidando sulla propria forza, sulla forza delle proprie gambe, nel saper cioè di esser nulla, senza il Signore.
Lo stesso è vero dei nostri invisibili, tanti o pochi che siano, corpo a corpo col Signore, dei nostri personali guadi dello Iabbok.
Se Egli ci resiste, se sembra talvolta privarci della benedizione richiesta, si tratti di richieste materiali, di grazie molto concrete, fisiche o di consolazione interiore, ciò non è per sadismo, se Egli non cede è, di solito, perché ci vuole dare di più di quel che gli chiediamo. Egli ci vuole liberare del nostro vero e più grande nemico, che è il nostro egocentrismo, quell’egocentrismo della carne che ci porta sottilmente a voler sempre dal Signore, sempre e solo, quel che abbiamo in testa noi, quando Egli vuol darci molto di più.
Che cosa vuol darci?
Un cuore ferito, un cuore ferito dal bisogno di Lui, un cuore che vive del rapporto con Lui, come dell’aria che respira, del dialogo con Lui, un cuore mendicante, un cuore povero.
Di fatto accade proprio un cuore sciancato, per rimanere nell’immagine, che è poi il cuore veramente sano.
Di fatto accade proprio così: tu chiedi, gridi – quanti di noi hanno ben presente nella memoria tanti e tanti episodi della propria vita – tu chiedi, gridi e Lui non risponde.
Sembra non rispondere.
Allora gridi più forte, come fa il cieco Bartimeo; “Ma come non senti? Sei sordo?”
“Porgi l’orecchio” dicono i salmi – bellissima espressione, che è come se presupponesse che c’è Qualcuno che ascolta, ma che è anche talmente e sovranamente libero che può non venire in soccorso-
Non è un erogatore di grazie il Signore.
Che cosa vuol darci?
Come non senti, perchè non mi aiuti?
E lui nulla, non risponde, sembra non volerti esaudire.
E tuttavia misteriosamente, non sai neanche tu come accada – anche questo penso e spero sia un’esperienza nota – anche tu come Giacobbe ti trovi innanzitutto ad insistere, ti trovi addosso una forza di perseveranza che è strana, perché è come se non venisse da te, che non sai neanche tu da dove venga.
E poi, ad un certo punto, accade una cosa ancora più strana, magari vieni esaudito nella tua richiesta o magari no, ma non ti importa quasi più, perché ciò che ti trovi addosso, il frutto di questo lungo corpo a corpo, la benedizione che lottando hai strappato al signore, la vittoria che hai ottenuto, è più grande di quello che avevi programmato, di quel che avevi immaginato, di quel che avevi chiesto.
E’ in fondo il dono del gusto della preghiera stessa. E’ questo cuore ferito, è questo cuore che piange, che lacrima con una facilità ignota, che cerca il Signore come un bimbo la presenza della sua mamma.
2) Veniamo qui al secondo punto.
“Si comprehendis, non est Deus“, frase famosa del grande ipponate sant’Agostino, “Se lo comprendi, non è Dio”.
Sottotitolo: lasciare che Dio sia Dio. Lasciare a Dio di essere Dio.
Torniamo al punto che vi avevo anticipato, un altro punto misterioso del testo, alla parte del dialogo in cui appunto il Signore sembra rifiutarsi di dire il suo nome a Giacobbe e poi subito lo benedice, leggiamo il passo:
“Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora». Giacobbe rispose: «Non ti lascerò, finché non mi avrai benedetto!”.
In questo “non mi trattenere / lasciami andare” vi invito ad andare a rileggere l’incontro tra Maria Maddalena e il Signore al Sepolcro, scena assolutamente analoga, perché in realtà in greco non è “non mi toccare”, ma “non mi trattenere”, segno che la Maddalena lo sta afferrando per tenerlo.
“Non ti lascerò finchè non mi avrai benedetto”, mi sembra quasi di vederlo questo Giacobbe che lo tiene e questo che cerca di sgusciare via.
Gli domandò: “Come ti chiami?”. Rispose: “Giacobbe”. Riprese: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e hai vinto!” Giacobbe allora gli chiese: “Dimmi il tuo nome” – prese coraggio, insomma, aveva vinto e quindi vuole sapere il suo nome – Gli rispose: “Perché mi chiedi il nome?”. E qui lo benedisse.
Voglio farvi notare questa coincidenza fra il silenzio, la reticenza del Signore e l’atto di benedizione, di donazione, di generosità, quasi che l’una cosa coincidesse con l’altra; cosa vuol dire questo?
Ce lo insegnano i grandi mistici, a partire – appunto – da Agostino; significa che conosce veramente Dio – diceva Gregorio di Nissa – colui che ne comprende l’incomprensibilità, colui che comincia a comprendere che Egli è davvero l’immenso, l’infinito, il sempre più grande, colui che non può essere racchiuso in nessuno, neanche nel più grande dei suoi doni, e perciò entrare veramente nella maturità del rapporto con il Signore significa entrare in questa apertura permanente per cui il discorso non è mai chiuso, in questa sorta di liquidità.
E’ bellissima questa immagine, questa è forse l’immagine più bella che usa Gesù stesso – non a caso – per dire che cos’è l’essenza paradossale di questa simultaneità di movimento e riposo che è la vita dello Spirito, che in fondo è il dialogo con il Signore nella preghiera, questo aprirsi continuo a donazione sempre nuove, sempre più imprevedibili, sempre inesauribili.
È proprio l’immagine della fonte zampillante, è proprio l’immagine che Gesù usa nel dialogo con la Samaritana e che anche Gregorio di Nissa riprende.
L’immagine della fonte è perfetta, è plasticamente la più esatta per descrivere l’essenza della vita dello spirito, perché tu puoi godere dell’acqua di sorgente, della sua freschezza, della sua purezza vivificante solo se rimani sempre esposto, sempre aperto, al suo sgorgare sempre nuovo, e sgorgare da una profondità incatturabile, invisibile, indominabile.
Cosi è della vita dello Spirito.
Se pretendi di bloccarla, di dominarla di impossessartene come di una cosa. Se ti fissi sul dono ricevuto, staccandoti dalla relazione attiva con la Fonte allora il dono si corrompe, l’acqua si fa stagnante. Se invece rimani sempre teso al donatore, sempre aperto e mendicante, allora lo Spirito scorrerà sempre più potente, impetuoso in te come acqua sorgiva, sempre nuova e fresca; ecco il vero riposo, questo uscire da sé continuo, questo esodo permanente, verso il Tu inesauribile sempre altro del mistero di Dio, del mistero di Cristo.
Rispose Gesù, “Chiunque beve di quest’acqua, avrà di nuovo sete” – l’acqua del pozzo ” – ma chi beve dell’acqua che io gli darò” – l’acqua dello spirito -“non avrà più sete, anzi” – quasi si correggesse per non essere frainteso – “l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”.
Questo avere una sorgente in sè quindi non è l’abolizione di questa alterità, di questo dramma io-tu, è come se questo dramma io-tu si interiorizzasse, entrasse dentro di noi.
La vita divina suggerisce Gesù, non si possiede stabilmente, se non al modo in cui ci si abbevera ad una fonte, rimanendo cioè sempre aperti alla novità continua di un dono la cui fonte è il sempre libero venire a me di un altro.
Ed allora, torno indietro e vado per associazioni di testi, o associazione di idee che dir si voglia, c’è un altro testo che è ancora più direttamente è legato in modo misterioso e sottile.
Voi sapete che la Scrittura è un organismo, è un organismo vivente ed a prescindere dalla volontà degli autori umani, è lo Spirito Santo che lo ha ispirato, più la scruti e più trovi dei nessi e dici, si certo, qui c’è un rapporto segreto.
E quindi tutte le volte che leggo questo brano di Giacobbe, non può non venirmi in mente un testo che apparentemente non c’entra nulla, ed invece vorrei mostrarvi che c’entra eccome. È un altro testo caro ai mistici di tutti i tempi ed è la prima escurisione notturna della Sulammita nel Cantico dei Cantici, quando svegliandosi nella notte, la Sulammita vede il letto vuoto ed il diletto, l’amato del cuore è sparito e disperata e la Sulammita si getta fuori alla ricerca di Lui ed allora leggiamo questo brano e poi vi dirò dove sta il nesso.
“ Sul mio letto lungo la notte ho cercato l’amato del mio cuore, l’ho cercato ma non l’ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze, voglio cercare l’amato del mio cuore. L’ho cercato ma non l’ho trovato”
..ecco la corsa nella notte, questo sottrarsi, questo resistere, del Signore… con la lotta.
“Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda: Avete visto l’amato del mio cuore?
Da poco le avevo oltrepassate,
quando trovai l’amato del mio cuore.
Lo strinsi fortemente e non lo lascerò” .
Attenzione qua – quando trovai l’amato del mio cuore, lo strinsi fortemente e non lo lascerò….ecco come Giacobbe.
Questo ghermire, questo avvinghiarsi.
“Non lo lascerò finché non lo abbia condotto in casa di mia madre” – finchè tu non mi abbia benedetto, vedete l’analogia – “nella stanza delle mia genitrice“.
Ecco così è il nostro rapporto con il Signore .
Tutte le volte che sembra sparire, ecco questa angoscia, quest’ansia, questo bisogno di ritrovarlo immediatamente e tuttavia, in questo desiderio, spesso siamo tentati di pensare che l’unica cosa che conta nella forma del nostro amore verso il Signore sia questo slancio del desiderio, che colma la distanza. Tuttavia è davvero così?
Il cantico ci dice No, non è in questo che consiste la maturità dell’amore: l’amore vero, l’amore maturo è come se dovesse unire due aspetti, due dimensioni che sono opposti.
Da una parte lo slancio del desiderio che cerca unità ma, nello stesso tempo per così dire il movimento opposto, il movimento del lasciar essere, del dare spazio alla incomprensibile sovrana inesauribile libertà del Tu.
Il Tu è infinità.
Quanto è vero questo non solo nel rapporto col Signore, ma anche nei nostri rapporti affettivi. Quanto è vero che nel momento in cui io penso di aver esaurito l’altro, di averlo compreso, il rapporto è finito e quanto è invece vero che quanto più io imparo a lasciar essere, a riconoscere, a gustare, e scoprire questa ineusaribilità, questo mistero senza fondo che l’altro è, tanto più il rapporto rinasce, perché imparo ad aprirmi a questo venire sempre di nuovo e sempre in modo nuovo dell’altro a me per poter godere dell’amore. Poiché l’amore è sempre dono puro, è sempre raggio di luce che erompe dalla tenebra, dalla coltre di nubi di una libertà che io non posso dominare. Quanto più io affermo positivamente questa libertà, tanto più posso godere di questo venire a me dell’altro in modi sempre nuovi.
Questo è proprio quello che ci insegna il finale così misterioso del Cantico dei Cantici. Il finale del Cantico – che infatti gli esegeti si scervellano sempre perché sembra contradditorio – cosa dice?
L’ultimo versetto del Cantico, Cantico 8, 14 è questo invito della Sulammita al diletto a fuggire, a tornare sui monti da cui è venuto “Fuggi mio diletto simile a gazzella, come un cerbiatto”, ecco ancora la zoologia teologica, “sopra i monti degli aromi”.
Io ho vissuto nove anni in America, al limitare di un bosco, andavo sempre a pregare e a correre in questo bosco. In America è pieno di cervi. Dove ero io, nella periferia di Washington, ne ho incontrati tanti. Non c’è niente di più bello di un cervo che balza libero, leggiadro, leggero, che salta fuori come dal nulla all’improvviso. Non puoi godere della bellezza del cervo, appunto, se non lasciandolo libero di balzare leggero, leggiadro come nient’altro in natura.
Lo stesso in qualche modo è vero del Signore.
Nel nostro rapporto col Signore, per godere della meraviglia di questi modi sempre nuovi che Egli sa inventare per farsi presente, dobbiamo lasciarlo libero.
Si comprehendis non est Deus.
Ma noi entriamo, potremmo dire, in questa castità nei confronti del Signore solo attraverso una iniziazione, un processo che è doloroso, che è lotta, come per la Sulammita.
3) Ultimo punto, ho ancora dieci minuti, ultimo punto: una resistenza generosa, nuovo paradosso, anche il Signore ama essere vinto.
Qui purtroppo ho dimenticato, vi volevo portare un brano di uno dei miei autori preferiti che è Charles Péguy, che esprime questo paradosso in modo sublime, purtroppo non ce l’ho. Ma vorrei, per affondare i denti su questo ultimo tema, spostarmi invece su un altro passo del vangelo, assolutamente sublime anch’esso, a me molto caro.
Questo tema, a mio avviso, è centrale nel vangelo di Giovanni , in particolare, nei tre dei grandi segni che Gesù fa. Innanzitutto, il primo e l’ultimo, che hanno tanti parallelismi, cioè il segno delle nozze di Cana, della trasformazione dell’acqua in vino e la resurrezione di Lazzaro e poi c’è il secondo segno di Cana, la guarigione del figlio del centurione (funzionario del re).
Questi tre passi, tra i diversi temi che hanno in comune, tra i diversi parallelismi evidenziano che nei suoi segni Gesù rivela la Sua gloria e che questa gloria non è solo nel miracolo che fa, come spesso, purtroppo sbagliando, si dice – ma è in tutto il dramma, in tutto il processo, è il modo con cui il Signore fa il segno che rivela la gloria e il Suo amore. Ora in tutti questi tre segni c’è un particolare straordinario, quello che io chiamo un ungrammaticality, cioè un qualcosa che è strano, che non ci sta, che il lettore dice, ma perché fa così?
Questa ungrammaticality è questa apparente ritrosia di Gesù, che prima sembra non voler fare quello che poi fa.
Ovviamente il caso più famoso è quello di questo dialogo, quasi battibecco – con l’imbarazzo di tutti i mariologi che sentono messo in dubbio l’onore della madre – e insomma, non si scappa, se si legge il testo: “Non hanno più vino”, come risponde Gesù? “Donna” – già presa di distanza. Adesso lasciamo perdere i sensi simbolici che qua siamo già alla fine – “Donna che ho da fare con te?”
Non si può negare che a un orecchio semplicemente umano questo suona come una presa di distanza, come un quasi rifiuto, non un rifiuto totale, lascia aperto il pertugio per la speranza che possa intervenire, dice: “Non è ancora giunta la mia ora”. A quale ora si riferisce? Noi sappiamo che nel senso profondo si riferisce alla Sua ora, all’ora della croce, all’ora in cui elargirà ben altro vino. Se Maria lo avesse saputo, non avrebbe chiesto, vino del Suo sangue, dal Suo costato. Ma, nell’immediato, lascia aperta la possibilità che possa intervenire. Ma allora se ha già deciso di fare il segno perché questo tirarsi indietro?
Lo stesso vale con il centurione che va a chiedergli la guarigione del figlio.
“Se non vedete segni, voi non credete” (risponde inizialmente Gesù)
Il centurione che fa? Insiste ma cambia le parole e dice: Vieni il mio figlioletto caro sta male, “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia“, cioè fa‘ vedere quanto vuol bene a questo bambino.
Perché il Signore fa così? Ancora una volta, è forse sadico? Non fa lo stesso con noi?
No, non è sadico!
Proprio il segno di Cana ci offre, a mio avviso, la risposta più giusta. Chi erano i responsabili del vino nelle nozze ebraiche? Erano lo sposo e la sposa. Certo Gesù ha in mente ben altre nozze, quelle nozze in cui Egli rappresenterà lo sposo e la donna, la madre, prenderà il ruolo della sposa e sarà sotto la croce. E tuttavia già qui, questo evento è anticipato.
È come dire che Gesù non vuole produrre il vino della gioia da solo, non vuole produrlo senza la collaborazione della fede perseverante della donna.
Perché credere il primo giorno è facile, nel secondo è già più difficile, il terzo è tre volte più difficile, il quarto è quattro volte più difficile, per questo è più grande, è gloria più grande, è collaborazione più grande perché è un’energia di libertà più grande, di fiducia, di generosità più grande.
Come se il Signore non volesse far tutto da solo, volesse esser vinto dalla perseveranza di colei che ama, come avesse sete della nostra sete.
Ecco allora perché questa resistenza che a noi , perché vediamo le cose dal versante sbagliato, appare spesso crudele ed invece è l’opposto, è dono, è generosità, poiché tutto ciò che il Signore fa’, per così dire la struttura musicale del dramma delle nostre vite, è sempre orchestrata in modo da dar gloria al suo amore ma il suo amore non è solo dare ma è anche ricevere.
Non è forse un onore che Egli ci fa, non è un onore quello di concederci di arrivare davanti a lui fieri del fatto che quel vino, il vino della salvezza, è stato prodotto anche da me, anche da te?
Allora mi sembra che sia il modo migliore di finire, alla luce di quanto detto, è fare memoria del grande gesto che ha compiuto il Papa proprio in questi giorni, questo gesto di consacrazione del popolo ucraino e del popolo russo al cuore immacolato di Maria. Questo gesto che molti, anche tra i cattolici, hanno preso come un “mah, sì vabbè “ in realtà è un gesto politico, per Danielou nel senso più alto del termine. Danielou ha scritto un libro bellissimo “la preghiera problema politico “.
Insomma il Signore è onnipotente e può fare quello che vuole, potrebbe chiudere la partita in un secondo. Perché non lo fa?
La nostra stupidità e anche la nostra grave mancanza sta nel fatto di pensare di fare “tanto il Signore sa come devono andare le cose” ma Egli ha già deciso di attribuire grande importanza, di attribuire protagonismo, alla nostra domanda, quasi che non volesse per così dire che gli eventi della storia prendano il corso giusto senza la collaborazione della nostra domanda.
A tal punto che la nostra semplice preghiera, l’abbandono nostro di fede ha potere.
Chiediamo veramente di vivere questi giorni di difficoltà, di dramma, di rischio anche per l’umanità con questa consapevolezza.
La nostra preghiera non è uguale a zero!
Non a caso in tutte le apparizioni mariane la madonna sempre chiede preghiera e digiuno per scongiurare le sciagure.
A tal punto il Signore ha rischiato su di noi, a tal punto Egli ama esser vinto, non deludiamolo!”
May 1, 2022
Qualcuno che crede in te cambia la vita
di Costanza Miriano
Bene, vado subito al sodo perché mi preme che passi questo concetto, poi casomai se avete voglia leggete tutta la sbobba qui sotto, altrimenti vi fermate qui. Quando paghiamo le tasse, c’è una piccolissima parte sulla quale possiamo decidere noi: il 13 per mille. Cioè 13 euro ogni 1000, tra quelli che siamo costretti a pagare. 8 possiamo destinarli a una confessione religiosa, altrimenti vanno allo Stato. Altri 5 possiamo destinarli a enti che fanno attività di interesse sociale. Se non li destiniamo, andranno anche questi allo Stato, magari anche a finanziare attività che noi non vorremmo mai pagare di tasca nostra (per esempio i medici che fanno gli aborti, nel mio caso). Se non diciamo nulla, lo Stato se li prende, e li amministra a modo suo. I due terzi delle persone che pagano le tasse, si dimentica (non vuole?) destinare il suo 5 per mille a nessuno. Forse a qualcuno non è chiaro che questa cosa non gli costerà un centesimo, e andrà a fare cose che scegliamo noi, invece che l’amministrazione pubblica.
Se avete già qualcuno di cui vi fidate a cui dare quel contributo (che, lo ripeto per chi come me odia tutte le questioni burocratiche, paghiamo lo stesso: non è che se non lo destiniamo ci rimangano più soldi in tasca) va benissimo così. Se non lo avete, io avrei due proposte da segnalare, tutte e due di amici di cui mi fido.
La prima riguarda i ragazzi. Sarà che ne ho quattro a casa, sarà che sto invecchiando, sarà che questi due ultimi terribili anni li hanno colpiti duramente nel momento in cui dovevano essere più aiutati a progettare, sarà che siamo nel paese più vecchio del mondo (insieme al Giappone), nel quale i vecchi non hanno nessuna voglia di scansarsi e cedere il passo e i loro privilegi, ma sto provando una grande tenerezza per questa generazione (ragazzi, se vedete per strada una strana tipa tendenzialmente leopardata che vi sorride senza motivo non vi preoccupate, sono innocua). Così quando padre Maurizio Botta mi ha detto che con i soldi del 5 per mille Oratorium ha fatto 25 borse di studio per 25 giovani mi sono veramente salite le lacrime agli occhi. C’è chi ci si è pagato un biglietto per andare a studiare fuori, chi ci si è pagato un corso, chi ha potuto andare avanti ancora un po’ a studiare, in attesa di guadagnare qualcosa. Tutti ragazzi, a detta di chi ci capisce e li sta selezionando, con uno straordinario talento e tanta voglia di fare. Guardate questo video meraviglioso
e soprattutto leggete i commenti, scritti dai ragazzi che hanno ricevuto l’aiuto economico:
“Mai nella mia vita mi son sentito così tanto sostenuto come in questa famiglia. Grazie di cuore”;
“Quello che abbiamo ricevuto in realtà ha un valore che va oltre quello monetario. Ci hanno trasmesso un’enorme fiducia nei nostri confronti, che non è per niente scontato avere in un ambito come il nostro, dove spesso si incontrano ostacoli e difficoltà. Ci spronano a credere sempre di più in quello che facciamo e di sostenerci a vicenda, di non mollare mai. Non vi ringrazieremo mai abbastanza”;
“avere qualcuno che crede in te può cambiarti la vita”;
“Penso che l’assegnazione di queste borse di studio sia un atto di incredibile umanità e condivisione verso il prossimo, oltre che un atto di grande fiducia verso le potenzialità di noi giovani musicisti, grazie”;
“ero in un momento di profonda tristezza e qualcuno mi ha tirato su”;
“Uno degli atti di fiducia più incredibili che mi sono mai stati concessi in vita mia, grazie ad Oratorium, padre Maurizio e tutto lo staff di Musicoff. Per noi ragazzi siete il volto della speranza in un futuro un po’ meno grigio di come ce lo aspettavamo”.
A me personalmente leggere che un ragazzo si aspetta un futuro grigio mi fa più male di una coltellata: cioè a quell’età devi pensare che spaccherai il mondo. Poi sbatti contro la realtà, ti disilludi, forse capisci che niente ti riempie il cuore, ma prima no, non è giusto affacciarsi al mondo così, non dobbiamo permetterlo.
Questi meravigliosi ragazzi sono stati individuati grazie all’infaticabile lavoro – lavoro nel senso di fatica, non nel senso che è pagato – di Thomas Colasanti, che si spende tantissimo per aiutare i giovani musicisti a credere nelle proprie capacità, con il suo Musicoffyoung.
Per aiutare questo progetto il codice fiscale di Oratorium è 97774420588
Se questa proposta non vi corrisponde molto, come non pensare a pro Vita e Famiglia, con le sue infaticabili battaglie a favore della vita, su entrambi i fronti su cui è necessario combattere: quello culturale, e quello di aiuto concreto a chi accoglie la vita?
Con le sue campagne contro il gender, per esempio, Pro Vita è nella compagine di chi ha tenuto sveglie le coscienze e ha confortato tanti di noi che si sentono assediati da tutti i fronti, su qualunque mezzo di comunicazione. Quando ti sembra di essere un pazzo che va contro mano in autostrada, Pro Vita – insieme a poche altre voci – ci ricorda che almeno siamo un po’ più di uno, siamo un piccolo popolo che va contro mano, ma un popolo. Siamo quelli che chiedono che non vengano rubate ore alla didattica (sempre più povera) nelle scuole, per cercare di infilare a forza nelle teste dei bambini che tu la tua identità sessuale te la scegli (come se questo fosse un tema che interessa i bambini); siamo quelli che ricordano che la vita inizia con il concepimento e che la (pessima) legge 194 viene sfacciatamente tradita migliaia di volte all’anno in Italia (l’aborto, che è sempre sbagliato, doveva essere comunque l’extrema ratio, non un mezzo di contraccezione); siamo quelli che chiedono che le mamme vengano aiutate in ogni modo a farcela a scegliere la vita, e che le persone vengano curate senza accanimento ma con amore fino alla morte. E con i suoi aiuti concreti – fornendo kit di accoglienza per i bambini e altra assistenza economica – Pro Vita fa in prima persona quello che non fa lo Stato, che pure lo aveva promesso nella pessima 194 (“rimuovere le cause concrete” che inducono la donna a rifiutare la vita che ha concepito). Pro Vita rompe anche tantissimo le scatole alle istituzioni, per ricordare che ci siamo anche noi, e che il sostegno alla vita che nasce, all’infanzia, alle famiglie, agli anziani – cioè a tutti quelli che non sono produttivi – dovrebbe essere un impegno comune, al di là delle posizioni ideali, ed è un dovere di chi amministra i beni pubblici, non solo dei cattolici.
Per aiutare questo piccolo coraggioso esercito, il codice fiscale di ProVita è 94040860226
Oppure continuate a destinare a qualche altro progetto che conoscete, e di cui vi fidate: l’importante è che facciate una scelta, e non sprechiate un’opportunità preziosa di fare del bene gratis!
Il primo lunedì del mese del #monasteroWiFi Roma
Domani a Roma come ogni primo lunedì del mese ci vediamo per la catechesi sulla preghiera al Battistero di san Giovanni in Laterano alle 20.30. Avremo con noi don Cristiano Antonietti e, informazione fondamentale, si può parcheggiare! Ovviamente l’incontro è apertissimo a tutti.
Presto credo avremo novità sul Capitolo generale del Monastero Wi-Fi di ottobre!
Costanza Miriano's Blog
- Costanza Miriano's profile
- 22 followers
