Costanza Miriano's Blog, page 25
November 17, 2021
Incontro con Costanza Miriano a Correggio
November 15, 2021
Cantare! Un passo sui misteri del canto
Ricominciano i Cinque Passi! Nel primo incontro dell’anno padre Maurizio Botta ci parlerà del mistero del canto umano.
L’appuntamento è per Sabato 2o Novembre 2021 alle ore 16:00 alla Chiesa Nuova e sarà possibile partecipare in presenza fino ad esaurimento posti.
Il passo sarà trasmesso anche in streaming sul Canale YouTube di Oratorium: per visualizzare il video in diretta sarà sufficiente cliccare su questo link
Come per la passate edizione, grazie ad ORATORIUM speriamo di offrirvi un video di altissima qualità, così da poter dare la possibilità a tutti di partecipare!
Ci vediamo il 20 Novembre alle 16:00 alla Chiesa Nuova e online!
INFO oratoriopiccolo@gmail.com
I 5 PassiI “Cinque passi al Mistero”, sono un ciclo di catechesi per giovani e adulti, che si svolge ormai da dieci anni presso la parrocchia S. Maria in Vallicella – Chiesa Nuova di Roma
Lo spirito è volutamente quello di mettersi in dialogo con le persone che si sentono più lontane dalla Chiesa, offrendo loro una spiegazione pacata di quelle che sono le ragioni della fede su vari argomenti.
Sono i giovani dell’Oratorio a segnalare i temi di frontiera, quelli più “caldi” e che magari tengono più lontane le persone.
Il metodo è sempre lo stesso: una introduzione di mezz’ora esatta, a cui seguono le domande scritte presentate in forma anonima ed estratte a caso.
Si rinnova così una tradizione nata fin dal XVII secolo. I discepoli di San Filippo Neri, infatti, si confrontavano con la società e con la cultura dell’epoca, mostrando la validità della prospettiva della fede a coloro che erano aperti a comprenderla, in un’epoca nella quale già si manifestavano gli albori dell’età moderna.
Oggi abbiamo lo stesso atteggiamento.
I nostri incontri sono basati sul dialogo, e sulla possibilità di porre qualsiasi domanda tesa a capire meglio il pensiero della Chiesa. L’elemento dell’improvvisazione, del non preparare tutto, si ritrova anche nei sermoni di S. Filippo e nasce dall’atteggiamento spirituale di fidarsi della parola di Gesù: quando vi trascineranno nei tribunali – e questo tipo di incontri aperti un po’ lo sono – non preparate prima la vostra difesa perché sarà lo Spirito a suggerirvi cosa dire.
S. Filippo insegna a fidarsi di Gesù come un amico e un faro che illumina il cammino, senza paura di andare “disarmati” a spiegare le proprie ragioni.
Sappiamo che c’è una grande sete di confronto.
E non è facile trovare spazi costituiti da un terzo di catechesi e due terzi di domande né persone disposte a mettersi in gioco senza sapere su cosa si verrà chiamati a rispondere.
Cerchiamo sempre di usare la ragione come strumento di dialogo che accomuna chi crede e chi non crede.
La Fede non umilia mai la ragione e rendere ragione della speranza che è in noi, come insegna la Parola, è l’unico mezzo per spegnere il livore che ostacola proprio l’uso di quella ragione in nome della quale si vuole mettere da parte la fede.
November 1, 2021
Dove due o tre sono insieme nel mio nome… #monasteroWiFi
di Costanza Miriano
Dopo il pieno che abbiamo fatto il 2 ottobre a San Pietro, o, per chi non c’era, attraverso le registrazioni delle catechesi, la strada tracciata fino al prossimo Capitolo generale del Monastero wi-fi è chiara: approfondire il tema della preghiera. Con tre punti fermi: 1) pregare; 2) pregare; 3) pregare. Nel senso che tutto quello che si è detto è stato prezioso, ma adesso è tempo di metterlo in pratica, e quello che non si è detto ci verrà rivelato dallo Spirito se pregheremo. Il nostro caro padre Emidio diceva sempre che Dio è cortese, e non vuole disturbare. Per questo si manifesta a noi solo se lo convinciamo che lo vogliamo, se “je facemo ‘na capoccia così, perché ce manni lo Spirito Santo”. Questo è il manifesto di quest’anno. Fare una capoccia così a Dio!
Il prossimo incontro, verosimilmente a ottobre 2022, sarà sul tema della confessione: cos’è, come si fa, l’esorcismo che compie nella nostra vita, l’aiuto preziosissimo per diagnosticare il male che ci affligge, e quale terapia seguire, cioè su quali punti lavorare, sempre chiedendo la grazia di saperlo fare, cioè che Dio lo faccia in noi con la nostra collaborazione.
Per quanto riguarda la preghiera, il cammino è personale, certo, ma stanno nascendo in giro per l’Italia anche tanti piccoli “monasteri” locali, di fratelli che si incontrano per pregare. Ce ne sono a Roma, Milano, Torino, Bologna, Firenze, Genova, Levanto, Padova, Udine, Castellammare di Stabia, Cosenza.
Noi a Roma ci vediamo il primo lunedì del mese. Che poi sarebbe oggi ma era festa e quindi faremo lunedì 8 (al Battistero di San Giovanni in Laterano, alle 20.30).
Per far nascere un gruppo locale non serve molto: persone che abbiano voglia di pregare insieme, se possibile con un sacerdote (che può anche variare), che guidi l’incontro. Noi a Roma facciamo una preghiera iniziale, una catechesi che poi meditiamo in silenzio in adorazione, infine, dopo la reposizione del Santissimo, compieta.
Chi volesse sapere se nella sua zona ci sono confratelli, come diciamo (i monaci non si offendano, è uno scherzo), può scrivere a monasterowifi@gmail.com e vi metteremo in contatto. Ci hanno chiesto notizie da Fabriano e da Todi e da Padova, vorremmo cercare di organizzarvi e mettervi in contatto. Non saremo una folla, ma “dove due o tre sono insieme nel mio nome” arriva Lui, quindi siamo sempre in maggioranza.
Infine volevo dire che per questo anno che ci separa dal prossimo capitolo generale sarebbe bene rimanere sul tema della preghiera non solo come pratica, che deve sempre essere la parte più cospicua, ma anche come riflessione. Nell’anno successivo al capitolo sulla confessione lavoreremo su quello (esame di coscienza, confessione generale, colpa e senso di colpa, perdono, misericordia e molto altro); poi sarà il turno dell’Eucaristia e infine del digiuno (a quel punto mi fingerò morta).
Per quanto riguarda questo anno, ho pensato di delineare un possibile percorso di lavoro, che noi a Roma seguiremo, e che può essere un’indicazione, ma che ovviamente immagino non vada bene per tutti. Nel senso che non in ogni città ci si riesce a vedere una volta al mese, mentre, all’altro opposto, i fiorentini si vedono una volta alla settimana! In ogni caso questa è una indicazione semplicemente orientativa, un suggerimento. Ho preso il Catechismo della Chiesa Cattolica, che nonostante la veste non super glamour è veramente un tesoro di meraviglie. Ce lo ha fatto notare don Antonio Grappone nella sua catechesi di apertura, su cosa è la preghiera, ricordando che poteva solo accennare molti temi, e rimandandoci a questa sezione del CCC, nella quale c’è, pur riassunto e schematizzato, proprio tutto.
Sono andata a vederla, ed effettivamente ci sarebbe da fermarsi ore e ore su ogni articolo, ma insomma l’importante secondo me è cominciare: il meglio è nemico del bene. Dicevo dunque che ho preso la sezione del CCC sulla preghiera e l’ho divisa in dieci parti, quanti sono i mesi che ci separano dal prossimo capitolo generale, da novembre a settembre, tolto il mese di agosto. Noi che facciamo un incontro al mese, dunque, cercheremo di dare uno sguardo a ciascuna di queste dieci parti ogni mese.
Scrivo qui la partizione, nel caso a qualcuno venisse il desiderio di seguirla. Io lo consiglio, perché è un modo certo di fare una formazione seria, sotto la guida sapientissima della Chiesa. Come vedrete i temi sono ciascuno un mondo, ci sarebbe da sprofondare dentro ogni titoletto per ore e ore, giorni direi, e in un incontro non si possono che accennare. Sarebbe bello che poi ciascuno trovasse il modo di meditarli ancora durante il mese, magari fissando un piccolo schema di vita spirituale che preveda una meditazione settimanale (o quotidiana per i più secchioni) anche da soli. Intanto sarebbe una cosa preziosissima leggere da soli a casa il testo del Catechismo, ogni mese gli articoli indicati. Poi da lì sono possibili ulteriori approfondimenti, per esempio andare a leggere sulla Bibbia i passi citati sul CCC. La mia prof del ginnasio direbbe “giusto un’infarinatura” (quando tu ci avevi perso ore e ore di sonno, e sette otto diottrie studiando senza alzare la testa per mesi, ma va beh, lei non fa testo). Mi rendo conto, c’è gente che ha studiato una vita intera su uno solo di questi articoli (pensiamo solo a non ci indurre in tentazione/non ci abbandonare: qui nel Catechismo c’è ancora la vecchia versione), e sarà solo un’occhiata a tanti temi, ma l’importante è cominciare, e quando avremo finito saremo un passetto più avanti nel cammino.
Se non siete in una zona in cui le persone si incontrano, e non trovate un sacerdote disponibile a seguirvi e a farvi le catechesi (appello ai sacerdoti!!!!!!) magari potete leggere da soli. È sempre un inizio. E comunque scriveteci che cerchiamo di mettervi in contatto. Sarebbe bello anche poter contattare il sacerdote per concordare una linea comune, o anche semplicemente per conoscerci.
Ecco lo schema.
Primo incontro
Articoli 2559-2597
Cosa è la preghiera: dono di Dio e alleanza.
La chiamata universale alla preghiera nell’Antico Testamento. La creazione; l’alleanza; Mosè, Davide; Elia; i Salmi.
Secondo incontro
Articoli 2598-2622
La preghiera nella pienezza del tempo: Gesù Cristo.
Gesù prega.
Gesù insegna a pregare.
Gesù esaudisce le preghiere.
Terzo incontro
Articoli 2623-2649
La preghiera nel tempo della Chiesa:
Benedizione
Adorazione
Domanda
Intercessione
Ringraziamento
Lode.
Quarto incontro
Articoli 2650-2682
La tradizione della preghiera.
La fonte: con lo Spirito Santo la liturgia della Chiesa e le virtù teologali sono fonti della preghiera.
La preghiera al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo.
La preghiera in comunione con Maria.
Quinto incontro
Articoli 2697-2724
Guide per la preghiera: i testimoni; i luoghi favorevoli alla preghiera.
Le espressioni della preghiera:
La preghiera vocale
La meditazione
La contemplazione.
Sesto incontro
Articoli 2725-2758
Il combattimento della preghiera
Umile vigilanza
Confidenza filiale
Perseverare nell’amore
La preghiera dell’ora di Gesù.
Settimo incontro
Articoli 2759-2785
Il Padre Nostro sintesi di tutto il Vangelo.
Al centro delle scritture, preghiera del Signore, preghiera della Chiesa.
Osare dire Padre.
Ottavo incontro
Articoli 2786-2815
Padre nostro.
Che sei nei cieli.
Sia santificato il tuo nome.
Nono incontro
Articoli 2816-2837
Venga il tuo regno.
Sia fatta la tua volontà.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
Decimo incontro
Articoli 2838-2865
Rimetti a noi i nostri debiti.
Non ci indurre in tentazione.
Ma liberaci dal male.
Dossologia finale.
October 24, 2021
La demolizione del pensiero Occidentale
di Costanza Miriano
Pare che ci sia stata una “bufera social” – chissà perché si debba sempre esagerare, non bastava dire “qualche polemica”, qualche tweet, qualche titolo di giornale e soprattutto commenti frettolosi e superficiali – sul professor Barbero, reo di essersi chiesto “se non ci siano differenze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi. È possibile che in media, le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiutano ad affermarsi? Credo sia interessante rispondere a questa domanda. Non ci si deve scandalizzare per questa ipotesi, nella vita quotidiana si rimarcano spesso differenze fra i sessi”. Cioè, praticamente un’ovvietà, e per di più formulata come un’ipotesi. Ma no, non si può dire. Semplicemente non si può neppure ipotizzare che uomini e donne siano diversi.
Se ne avessi facoltà, comminerei a tutti coloro che si sono scandalizzati per le parole di Barbero la lettura, anzi lo studio a memoria di un libro che sto leggendo mentre praticamente faccio una ola da sola a ogni pagina. Sai quando leggi qualcosa che nessuno intorno a te dice con tanta autorevolezza, e pensavi di essere quasi solo al mondo ad affermare, e scopri che siete almeno in due, e ti viene una voglia di irrefrenabile di correre a comprare delle copie da regalare a tutti? Ecco, ogni tanto capitano questi miracoli. Il libro è Sex and the unreal city, la demolizione del pensiero occidentale, di Anthony M. Esolen, edito dal Timone.
È un ritratto a tinte fosche e appassionate della produzione (cosiddetta) culturale contemporanea, che mostra come sia fondata su un tenace, continuo, ostinato progetto di combattere la realtà, di cancellarla, di negare tutti i dati di natura, di imporre la dittatura dell’autodeterminazione, di ciò che sento, dell’opinione.
Avverto: non è una lettura semplice. Intanto perché è un po’ sconfortante, poi perché ricca di riferimenti alla cultura anglosassone, che, almeno io, non conosco così bene. Però è una lettura che va fatta, perché smonta con competenza i fragili, ridicoli pilastri della cancel culture. Qualcosa che l’autore conosce bene, venendo dal mondo accademico americano – quello per capirci dove non si studiano più né Omero né Eschilo perché “alimentano stereotipi” – e avendo per ciò stesso deciso di lasciarlo, per insegnare in un più onesto liceo dove non deve obbedire ai diktat in cambio della carriera. L’Homo Academicus Saecularis sinister è convinto che Omero, Platone, Aristotele, Cicerone, Virgilio, San Paolo e Sant’Agostino “a quanto pare sono inutili per lo sviluppo intellettuale. Tutti in qualche maniera siamo degli sciocchi: ci sono gli sciocchi che lo sanno e gli sciocchi che non sapendolo sono ancora più sciocchi dei primi. Le università sono in gran parte gestite da quest’ultima categoria”. Un problema che non riguarda solo le materie umanistiche, secondo Esolen. È vero, fino a certi limiti gli scienziati rimangono fedeli alle leggi della loro disciplina, ma solo perché la brutale realtà confuterebbe i loro errori o bugie (l’aereo, per dire, non volerebbe). Ma a volte anche gli ambiti scientifici si lasciano influenzare dalla “politica ciarlatana, la quale, in piedi sulla sua scatola di sapone, ondeggia a destra o a sinistra la sua grossa pancia, farneticando sulla fine del mondo, o sull’inizio di un mondo nuovo e più avanzato, o riguardo a entrambe le cose contemporaneamente. Abbiamo visto tale ciarlataneria manifestarsi nei modelli matematici riguardanti i cambiamenti climatici e nell’interpretazione dei loro dati” (ogni riferimento a recenti premi Nobel è puramente casuale, ndr).
L’ambito nel quale si concentrano particolarmente gli sforzi (a negare l’evidenza ci vuole un bell’impegno) di questa pseudocultura, generata come dice Esolen dalla “sinistra pubica”, è il tema della differenza sessuale. L’accanimento col quale oggi si vuole in modo isterico e affannoso cancellare tutto ciò che afferma la differenza fra uomo e donna deve davvero farci riflettere. Perché questa smania? Che c’è di male nel dire quello che è sotto gli occhi di tutti, e cioè che uomini e donne sono diversi, che hanno pari dignità ma caratteristiche peculiari non sovrapponibili, che sono fatti per funzionare insieme, per essere complementari?
L’affermazione di Barbero, per esempio, è semplicemente la rilevazione di una realtà. Le donne possono essere ottimi ingegneri, fisici e tutto il resto, che barba, mi annoio da sola a dirlo, trovo persino offensivo affermarlo. È ovvio. Ma le gerarchie nel mondo del lavoro non sono determinate solo dalle capacità intellettuali. Lo sappiamo tutti, ognuno che frequenti il mondo del lavoro deve per forza averlo sperimentato, che non sempre i migliori sono quelli che fanno più carriera. Le qualità non bastano, anzi a volte sono ininfluenti e in certi casi persino controproducenti. Molto spesso a fare carriera sono i mediocri, perché il sistema tende a proteggere sé stesso, e quindi sceglierà di mettere alla guida pedine che garantiscano il mantenimento dello status quo. Tra l’altro spesso le donne – Eva docet – sono ribelli e allergiche alla disciplina (il famoso teorema del gatto inglese, ma magari lo racconto un’altra volta). Per emergere nei sistemi di potere occorre determinazione e quasi sempre la voglia di avere il potere di prevalere sugli altri, che in alcuni casi si trasforma anche in prepotenza.
Di solito, e dico di solito, alle donne interessa di meno, perché raramente una donna riceve la propria identità prevalentemente dalla propria realizzazione professionale nella misura in cui questo succede per gli uomini. Ci sono, sì, donne che arrivano a posizioni apicali solo grazie alla competenza, riuscendo a imporre uno stile femminile nel loro ambiente di lavoro, ma sono casi isolati (una è una mia cara amica primario). Non stiamo discutendo dunque dell’indiscutibile, cioè del fatto che le donne sono brave, ma di quanto siamo costrette e disposte a pagare in termini di rinunce personali.
Io infatti uscirei dalla logica piagnucolosa e rivendicativa boldrinianmurgiana, e direi che secondo me poche donne arrivano al potere un po’ per i motivi ipotizzati da Barbero, un po’, io direi soprattutto, perché a moltissime donne non interessa il potere fine a sé stesso. A tante di noi piace lavorare bene, contribuire a migliorare la vita degli altri attraverso quello che sappiamo fare, ma non ce ne importa molto di prevalere sugli altri, non nella sfera professionale (poi mi spiego). Noi vogliamo avere tempo per le tantissime cose – persone, relazioni – che rendono la nostra vita felice e piena. Noi, banalmente, siamo madri se ci capita di ricevere questo enorme regalo per i primi anni di vita dei bambini desideriamo esserci, essere presenti in una misura che non è quella dei padri (le madri allattano, i padri no, tanto per dirne una). Il punto è questo: lo desideriamo. Non è che siamo costrette dalla società cattiva e patriarcale a stare coi figli, a noi proprio interessa. Si continua a parlare solo di come rendere le donne più libere dalla maternità, mai di come rendere le lavoratrici più libere dal lavoro PER la maternità. Se arrivasse Draghi in persona da ogni giovane neomamma e le offrisse un’autista, un cuoco, una colf, una baby sitter, la mamma vorrebbe lo stesso stare col suo bambino (va bene, ammetto che qualcuno di questi aiuti io li avrei pure accettati volentieri, così magari avrei potuto ogni tanto dormire qualche ora, o fare una doccia senza fiondarmi fuori dal bagno grondante perché qualcuno aveva attaccato a piangere all’improvviso talmente disperato da farmi ipotizzare che un orso marsicano gli stesse ciancicando la testolina, e invece era solo caduto il coniglio Tetenno dal lettino).
Noi donne occidentali, e forse le italiane in particolare, siamo state condizionate da anni di propaganda, perché avvertissimo come un peso i figli, e purtroppo la cosa ha anche funzionato: sempre meno donne fanno figli. Ma quando li fanno, allora la natura fa il suo corso. Le madri desiderano accudire i loro figli. Non perché hanno letto la Bibbia o i libri cattofascisti, ma perché ogni singola cellula del loro corpo chiede questo. Si chiama natura. Si chiama realtà. I bambini vogliono la mamma, e hanno diritto ad averla. Se un bambino di pochi mesi piange perché la mamma lo lascia troppo presto, non è che sia stato plagiato da chissà quali letture. È semplicemente un dato di realtà, che forse andrebbe valutato. Il mondo del lavoro ha logiche e tempi e ritmi maschili che noi donne rifiutiamo, non perché siamo meno ambiziose degli uomini, ma perché lo siamo in modi diversi. Non vogliamo gli stessi diritti degli uomini, ne vogliamo altri. Io non voglio l’uguaglianza di genere, io voglio la differenza.
Tutt’altro discorso è da fare se parliamo di relazioni. Qui la donna altro che poco sicura e poco spavalda. Provate a toccare un figlio, o un uomo a una donna. La donna non è certo meno aggressiva dell’uomo, ma lo è in modi e per obiettivi diversi. In una prospettiva di fede si deve dire che l’uomo e la donna sono entrambi feriti dal peccato originale, e in egual quantità, ma diversa qualità. La donna vuole il potere nelle relazioni, e che lo eserciti in modo dimesso, manipolatorio, o in modo controllante, di solito ce l’ha. Questo se parliamo di donna naturale, di donna non riconciliata con Dio, non consegnata a Lui. Maria è la donna totalmente aperta alla relazione con Dio, e quindi accogliente, capace di generare vita, di custodirla, di fare spazio, di mettere in moto il bene con creatività e libertà straordinarie. Eva è la donna che vuole solo essere se stessa. In mezzo ci siamo noi, che faticosamente, facendo un lavoro su noi stesse, cerchiamo di passare dalla donna naturale, Eva, alla donna riconsegnata, Maria, e stiamo un po’ in mezzo al guado, chi più di qua chi più di là.
Eva esercita il suo potere nelle relazioni, altro che poco spavalda e poco sicura. La donna può essere capace di cattiveria esattamente come l’uomo, ma con una malizia e una sottigliezza che all’uomo manca (la donna ha sei radar nel cervello, l’uomo mezzo, e un po’ arrugginito). La donna fatica a stare in una relazione paritaria con l’uomo, e allora o cerca di controllarlo, o fa la bambina piccola, bisognosa di protezione, che è un modo di imporre la sua volontà. Sono entrambi modi di esercitare il controllo sull’uomo, e di solito Eva ci riesce alla grande. Le femministe sempre in video a parlare del potere sociale schiacciante degli uomini sulle donne – questo problema che è frequente come l’unicorno – sono proprio la dimostrazione che le donne non sono vittime. O meglio, esattamente come gli uomini, sono captivae, cioè prigioniere del peccato originale. O se vogliamo usare termini accettabili anche dai non credenti, donne e uomini sono segnati in modi diversi da quella radice di male che c’è nell’inconscio di ognuno di noi, e se capiamo che stiamo combattendo la stessa battaglia, contro lo stesso nemico, su due fronti diversi, forse possiamo uscire da questa logica, e magari tornare in questo strano esotico bizzarro luogo chiamato mondo reale.
October 22, 2021
Quando eravamo femmine
di Costanza Miriano
Ho avuto una grossa difficoltà nello scrivere Quando eravamo femmine. Cioè una in più oltre a quelle solite – la casa gelata di notte, i colpi di sonno tra l’una e le due, la fame atavica verso le tre, la difficoltà nell’approvvigionamento notturno di beni atti a fornire le condizioni minime alla scrittura, quali il chococaviar Venchi, il salame e la Coca light. La difficoltà aggiuntiva di questo libro è stata che io avrei voluto raccontare tutta la sorellanza che ho scoperto da quando le persone che conosco e incontro sono aumentate di circa mille volte rispetto ai tempi in cui avevo un numero di amici normali (i tempi in cui nella mia rubrica i nomi erano salvati come Elisabetta, Luca, Giovanni e non Crisitinagenovamammadicinque o Ericareliquiamilano o Federicachiesanuova). Avrei voluto raccontare parte della bellezza conosciuta praticamente in tutta Italia, da Catania a Rovereto (o Pinerolo? È più a nord?), ma era troppa, troppa roba, e troppo pochi i neuroni rimasti liberi dopo le giornate trascorse a lavorare, a star dietro ai figli, a fare tutte le cose che noi mamme sappiamo bene e che tutte facciamo, mettendoci insieme però anche un’esagerazione di mail messaggi telefonate. E così tante sere sono finite in un nulla di fatto, a contemplare lo schermo – rigorosamente bianco – e poi a dormire sfinita con lo sterno sul tavolo e lo spigolo del tavolo in fronte.
Ecco, non so cosa ne sia venuto fuori, sono ancora troppo vicina alla tela: devo allontanarmene per vedere da lontano l’effetto che fa. Il desiderio era quello di scrivere un libro corale che facesse parlare insieme alla mia le voci di tante donne ascoltate, incontrate, conosciute. Non ne ho raccontate le storie perché spesso sono vicende appena adombrate, vagamente intuite, solo accennate. Quello che spero di avere riportato è il timbro di tante voci che non si riconoscono nei modelli di donna oggi prevalenti, e che qui ho cercato di raccontare alle mie bambine.
Ogni donna ha bisogno di una sguardo che la definisca: qualcuno che le dica che è bella. Ma quello che definisce ogni donna non è la risposta alla domanda (“quanto sono bella, io?”), quanto piuttosto la nostra scelta: chi vogliamo che risponda a quella domanda? Chi vogliamo che ci dica che siamo belle? In fondo, nella più intima verità di noi stesse, quello che ci definisce è “a chi voglio piacere io?”. Ognuna di noi vuole piacere a qualcuno, anche quelle apparentemente più autonome, perché l’indipendenza è un’illusione (io manco ci provo, a fare finta). Quindi, ripeto, a chi voglio piacere io?
Quello che ho sperimentato è che quando la mia risposta è “a Dio”, quando chiedo al Signore di restituirmi lo sguardo di amore che desidero sono più piena, più felice, dipendo di meno dagli altri e riesco ad amarli in modo più libero, non come chi si aggrappa, ma come chi si apre generosamente, perché sa che la sua pienezza non è messa in crisi da niente.
Siamo complicate, ogni tanto la nostra complicazione prende il comando. Talora sbarelliamo, è vero, sono pronta ad ammetterlo serenamente. Altre volte produciamo pensieri inconsulti, e, certo, pochi minuti prima saremmo state pronte a giurare, sinceramente, che noi non saremmo mai state capaci di pensieri tanto folli, di parole tanto meschine, di azioni tanto irragionevoli. Eppure dieci minuti dopo le abbiamo fatte. Il fatto è che siamo piene di contraddizioni. Come tutti gli esseri umani, ma un po’ più dei maschi. Un maschio se vuole ti asfalta. Una femmina cerca di diventare la tua miglior nemica.
La soluzione non è scandalizzarci delle nostre contraddizioni, tanto non serve a niente. Non serve neppure dire “io non cambierò mai”, perché è vero, non cambieremo mai. Non da sole. La soluzione è ricomporre le nostre contraddizioni appoggiandole in Dio. Maria è la donna della contraddizione ricomposta. È lui che pareggia i conti col nostro cuore ferito, deluso, in attesa. Per questo per noi donne, soprattutto da una certa età in poi, è fondamentale mettere in moto una vita spirituale che ci protegga da noi stesse, dal dolore, che ci renda feconde davvero, che ci renda capaci di far vivere tutti quelli che ci sono affidati.
Secondo me le donne non diventano sacerdoti perché il sacerdozio a cui sono chiamate è quello del cuore: offrire ogni giorno sull’altare il nostro cuore stanco, imparare a ballare il ballo dell’obbedienza nel quotidiano, imparare a dire i sì di cui hanno bisogno tutti quelli che possiamo chiamare alla vita, ma a dirli con il sorriso e con la gioia di chi sa di essere piena e totalmente amata.
Quando questa pienezza ci manca non è colpa degli uomini cattivi, né del lavoro nel quale ci verrebbe impedito di realizzarci: è che l’abbiamo cercata nel posto sbagliato. In questo libro provo anche a ragionare con le mie bambine su parecchie bugie che ci hanno detto sulla liberazione sessuale, sul lavoro, sull’accoglienza alla vita. Bugie che ci hanno lasciate più sole e più tristi di prima. Ovviamente non possono mancare consigli fondamentali quali quelli sull’assoluta necessità di stendere dei punti luce sugli zigomi (c’è anche un patetico tentativo di dare una valenza spirituale alla stesura del primer prima del fondotinta).
È il tempo di tornare regine, di riprendere il nostro ruolo altissimo: noi siamo quelle che danno la vita, biologica e non. Noi siamo quelle che aiutano la vita quando è più debole. Noi siamo quelle che stabiliscono che timbro ha la vita di un’epoca, di un paese intero. Questo è il meglio della nostra vocazione, e da un certo punto della nostra storia abbiamo avuto un po’ troppa fretta di dimenticarcene. Forse non ci siamo rese conto di quanto abbiamo perso noi, e di quanto rischiamo di far perdere a quelli che dipendono da noi, perché intorno a una donna realizzata e felice la vita fiorisce, mentre intorno a una donna che lascia il controllo alla pazza di casa la morte trionfa. Ecco, questo vorrei spiegare alle mie bambine, questo, soprattutto, ho imparato da tante donne veramente feconde – che siano madri o no – incontrate in tutta Italia (e ormai anche fuori), donne unite da una profonda sorellanza. Donne spesso silenziose agli occhi del mondo e unite da una compagnia lieta, forte, capace di alleanza e generosità, con cui incoraggiarsi le une con le altre quando il ballo dell’obbedienza si fa stanco, i piedi incespicano per la stanchezza, gli occhi si chiudono o si annebbiano dal pianto. Donne capaci, quando serve, anche di dirsi qualcosa di veramente scomodo. “Hai la pelle mista, ma ti voglio bene lo stesso”.
QUANDO ERAVAMO FEMMINE su Amazon
QUANDO ERAVAMO FEMMINELo straordinario potere delle donne
Anno: 2016
Euro 15.00Isbn: 978-88-454-2608-7
October 20, 2021
SI SALVI CHI VUOLE – Manuale di imperfezione spirituale.
SI SALVI CHI VUOLE – Manuale di imperfezione spirituale
Avete letto di tutto, dalle regole giapponesi al metodo danese, avete ascoltato guru improbabili, dal Grande Cocomero ai maestri orientali. Perché non provare allora a riscoprire una tradizione che, almeno, ha duemila anni di storia e miliardi di clienti molto soddisfatti e indubbiamente rimborsati? Recintare uno spazio per l’incontro con Dio, il totalmente Altro, e cercare di difenderlo a ogni costo è decisivo per la nostra felicità, eppure molti di noi procedono improvvisando, a tratti, con le energie residue, quando si ricordano. Ma come si fa a organizzare una vita spirituale nelle nostre giornate troppo connesse, compresse, piene di urgenze che altri hanno deciso per noi? Costanza Miriano – moglie carente, madre limitata, lavoratrice in ritardo – prova a proporre una regola di vita fondata su cinque pilastri:
preghiera, parola di Dio, confessione, Eucaristia, digiuno.
Tante persone questa regola già cercano di viverla, in modo rigorosamente imperfetto, alcuni per conto proprio, altri formando una piccola compagnia, una sorta di monastero wi-fi, a cui ci si vota con dedizione – si può avere un cuore da monaco salendo in metro o cucinando, facendo la spesa o correndo – e in cui ci si fa compagnia, anche da lontano, come confratelli. Una comunità wi-fi, dunque, una fedeltà senza fili, che unisce un piccolo esercito di mendicanti, scalcagnati, fragili, incoerenti, innamorati di Dio.
A SEGUIRE UN ESTRATTO DEL LIBRO
***Terza colonna del monastero
La terza colonna su cui costruire la cattedrale, la terza arma che ci viene consegnata per combattere, è davvero un ordigno potentissimo, molto più del calzino sintetico a fenicotteri rosa che mia figlia Livia non vuole abbandonare (chi può dire quali reazioni chimiche si inneschino a trentaquattro gradi all’ombra, dentro una Stan Smith contenente un indumento in poliuretano indossato per due giorni consecutivi?). La confessione è una roba incredibile. È qualcosa che, se la capissimo davvero, se ci credessimo seriamente, potrebbe cambiare in modo potentissimo e, gradualmente, definitivo la nostra vita. A volte, a dire il vero, anche non troppo gradualmente. Ho visto persone togliere tappi enormi e opprimenti che da anni, decenni in alcuni casi, soffocavano le loro vite. Certo, la confessione è segreta, segretissima – e il sacerdote che tradisce il segreto è scomunicato, questa cosa me la ripetono spesso, per stare più tranquille, le nostre bambine quando consegnano i loro segreti a qualche prete mio amico – ma non c’è bisogno di sapere niente quando vedi uscire dal confessionale una persona con una faccia diversa, una donna che per anni hai visto sempre con le sopracciglia aggrottate, il viso contratto, e adesso piange e ride insieme, e stenti a credere che sia lei, e devi fare il riconoscimento tipo parente di un morto, dal golfino che ha addosso, perché la sua faccia è davvero un’altra. Una volta una mia amica era addirittura scalza, quando è uscita, trasformata, dal confessionale. Il senso di liberazione deve essere stato talmente forte da sentirsi in dovere, per giustizia, di liberare anche i piedi dal sandalo tacco dieci. Ovviamente io non sapevo niente di quel nodo, e continuo a ignorare cosa la opprimesse tanto. Invece il sacerdote da cui l’avevo accompagnata, prima ancora che entrasse, le ha detto la parola giusta, quella magica, che l’ha convinta ad aprirsi. Questa per me è una delle prove dell’esistenza di Dio: non si spiega altrimenti il fatto che a essere così capace di profondissima, intuitiva comprensione sia un maschio, uno appartenente alla stessa specie di quei soggetti a cui di solito devi spiegare le cose con dei cartelli scritti molto grossi. Quei signori che dormono con te da vent’anni e, nonostante questo, mancano ancora dei fondamentali, e non sanno ancora che, se dici «non mi sono affatto offesa, perché di quella non potrei mai essere gelosa, figurati», e loro non arrivano entro venti minuti con delle rose, sono uomini morti. Meglio ancora se dicono che quella lì è cicciona (ci basta così poco per essere felici). Un sacerdote, quando sta confessando, invece, ha un carisma particolare, ha il dono del discernimento. E poi rimane quel fatto inaudito che, mentre tu gli squaderni il tuo mondo interiore, sta lì e ti ascolta: non se ne va nell’altra stanza a leggere un articolo su qualche fosco scenario geopolitico mondiale, oppure a dividere le viti per grandezza, che non è proprio come salvare il mondo, ma è sempre meglio che ascoltare una donna. Un confessore, invece, salva il mondo una persona alla volta. Dice un mio amico, appartenente alla schiera dei preti supereroi, che ci vuole più testosterone a stare una giornata in confessionale che a giocare una partita di rugby. E siamo ancora solo sul piano umano: una confessione fatta bene ti fa la diagnosi, cioè ti dice come stai, a che punto sei del cammino. Su quali fronti devi lavorare. Ti aiuta a mettere intelligenza e metodo nella vita spirituale, a non essere emotivo, a non procedere in modo ondivago. Soprattutto, se fatta con un sacerdote che ti conosce (lo so, sarebbe più comodo con degli estranei), ti aiuta a resettare i parametri, e giudica la tua vita, ma con uno sguardo più buono e più lucido del tuo. Ti accompagna nel dare importanza a ciò che ne ha davvero, a volte persino a essere più indulgente su alcune cose, e magari più serio su altre. A volte per esempio è utile, molto più di tante chiacchiere, fare un diagramma serio dell’uso delle nostre risorse: il tempo e i soldi, tanto per cominciare. Quanto diamo ai poveri e quanto al parrucchiere. Quanto tempo stiamo sui social e quanto in cucina a preparare la cena ai figli. Numeri, oggettivi, e non chiacchiere che ci rendano presentabili a noi stessi: sono le statistiche che fanno la foto della nostra vita. Solo a partire da quello si può fare un lavoro serio su di noi, e non importa se si fa brutta figura col confessore. Anzi, più crediamo di fare brutta figura, più significa che la confessione è stata usata bene (e, secondo me, per questo il confessore ci vuole bene di più, perché il desiderio di essere nella verità con umiltà scioglie tutti i cuori, che poi peraltro siamo tutti bruttini allo stesso modo, solo c’è chi fa finta meglio). Come promemoria, soprattutto per me stessa, mi vorrei ricordare che la confessione non è una psicoterapia (infatti non si paga), e quindi è inutile che cerchiamo di dare la colpa alla nonna Adelina che preferiva nostra sorella, o ai compagni di classe che non ci apprezzavano abbastanza (probabilmente perché le secchione che non passano i compiti «per il vero bene dei compagni» non ispirano proprio tantissima simpatia a prima vista, e già è tanto se non vengono prese a randellate). D’altra parte, problemi da piccoli ne abbiamo avuti tutti: anche il figlio che ho allattato fino a tre anni sostiene di essere stato trascurato e maltrattato a causa di una carenza di PlayStation, e dice che farà lo psichiatra per aiutare le persone che hanno avuto un’infanzia difficile come la sua (forse avrei dovuto picchiarlo forte). Un’altra cosa che la confessione non è: elencare i peccati degli altri, ché quello lo sappiamo fare tutti. No, perché a ben vedere io avrò pure sbagliato, ma alla fine, in fondo in fondo, secondo me mi avevano provocato. Sui peccati altrui io di solito sono preparatissima, non me ne sfugge uno. E comunque, nel dubbio, qualcuno ne aggiungo anche, fa rifulgere di più la mia aureola. Invece una confessione fatta bene, dicevamo, è come una Tac. Ti dice dov’è il problema, ti fa la diagnosi. Ma la nostra parte è solo l’inizio: la tua vita, se la consegni con una confessione seria, diventa un affare di Dio. Lui ti difende se tu ti autoaccusi, diventa il tuo avvocato. E non uno d’ufficio, ma il migliore sulla piazza, parecchio meglio di Robert Redford in Legal Eagles, ti arrivo a dire. Qualunque cosa tu abbia fatto, se seriamente sei pentito, e seriamente vuoi mettercela tutta a non farla più, la puoi consegnare a Cristo, che è morto in croce proprio per quello, per prendersi i tuoi peccati. Da quel momento in poi, non ci devi pensare più. Non devi ascoltare le parole dell’accusatore che continua a dirti che, siccome sei una schifezza, sicuramente ci cadrai di nuovo. Non consegnare il tuo pentimento al nemico, che continua ad accusarti (gli piace riempire di rimorsi il passato, di ansie il futuro), ma a Dio, che è il Dio del presente. Da quel momento in poi, puoi andare a testa alta, perché Dio in persona si è fatto carico delle tue malefatte. È lui che ti protegge e tu puoi provare seriamente a convertirti, da quel momento in poi, mentre al passato pensa qualcun altro di molto potente. Il mio amico che ha consegnato un tradimento, e ora può guardare sua moglie negli occhi e imparare di nuovo ad amarla; la mia amica che ha chiesto perdono per avere ucciso suo figlio nel grembo; il padre che ha lasciato la madre di sua figlia all’altare e per quarant’anni non si è occupato di quella bambina che nel frattempo è diventata una donna ferita: tutte queste persone riescono a vivere senza essere schiacciate dal dolore, solo perché qualcuno lo porta per loro. Non va così nel mondo, che, come si sa, permette tutto ma non perdona nulla. Io so che prima o poi uno struzzo mi caverà un occhio, per vendicarsi di quella borsa di piume che mi sono dovuta inderogabilmente procurare facendo perdere un pomeriggio, svariati euro e molta dopamina a mio marito, perché ero certa che da quel giorno, grazie a quella borsa, la mia vita sarebbe definitivamente cambiata, e poi sono riuscita a usarla una volta sola (ma adesso vado di là, la prendo ed esco a comprare le sigarette, inizio a fumare apposta, guarda). Vabbè, dato che siamo in vena di confessioni pubbliche, ho buttato io quel pezzetto di legno che mio marito doveva riattaccare alla chitarra, pensavo fosse un rifiuto ed ero posseduta – mi capita un’ora all’anno – dallo spirito di Donna Letizia, ho aspirato per qualche minuto a una casa impeccabile. Tanto lo so che lui non ce la fa a leggere i miei libri tutti interi, troppo verbosi, dopo un po’ gli vanno gli occhi in modalità salvaschermo (se invece sei arrivato fin qui, marito, perdonami). La Chiesa, al contrario, cerca di non permettere nulla che faccia male all’uomo, ma perdona tutto, tutto, tutto. Dio si è fatto uomo ed è morto in croce per quello. Non per un incidente di percorso, ma per salvarci dai nostri peccati. L’unico modo per nascondere i peccati è dirli tutti, perché l’unico che può intervenire sul passato è Dio, e finché qualcuno non se li prende su di sé, quelli stanno lì.
Non bisognerebbe lasciar passare più di un mese tra una confessione e l’altra. E siccome la ricrescita la vedi allo specchio, non c’è bisogno di segnare quando sei stata dal parrucchiere l’ultima volta, mentre sugli effetti del peccato siamo più bravi a mascherare, forse noi monaci è meglio che ci segniamo la data sul diario spirituale – la cui esistenza, consigliatissima, è una delle poche buone ragioni per cui le mie borse superano le dimensioni di un bagaglio a mano consentito sui voli low cost anche quando vado dal dentista (se si apre una voragine sul marciapiede e vengo inghiottita e devo ricominciare una nuova vita vicino a Sydney ho tutto l’occorrente con me, tranne il piegaciglia, ma tanto praticamente non ho le ciglia). Quella data ce la dobbiamo segnare perché dobbiamo trovare spazio fra la ricerca della prenotazione della nuova carta di identità («La tengo io che tu perdi tutto, caro»), la riunione col capo e la recita di fine anno (ho tre giorni e una manciata di ore per cercare di scoprire come vestire le mie figlie senza chiederlo apertamente a nessuna mamma, la qual cosa mi farebbe precipitare nella scala sociale, visto che loro hanno i vestiti pronti da un mese mentre io ho saputo della recita solo ieri, e so che la sera prima, alle 19.29, supplicherò la signora della merceria di non chiudere, per poi trascorrere la notte successiva a rispolverare le nozioni di cucito apprese dalla nonna a nove anni, ma d’altra parte chi si accorgerà di qualche colpo di pinzatrice?). Ecco, io so che le vere donne mistiche si confessano quando la contrizione (che è la prima parte del Sacramento, ed è diversa dal senso di colpa; è invece fiduciosa apertura al perdono) sovrabbonda dal loro cuore tutto immerso in Cristo. Io invece mi confesso quando me lo ricorda l’agenda, ma pazienza. La seconda parte del Sacramento è la confessione del proprio peccato e non di quelli altrui, senza scuse; di tutti i peccati, non solo di quelli lievi, con umiltà e semplicità, senza scrupoli. Poi serve la soddisfazione, qualcosa che curi con un antidoto, che noi possiamo suggerire e che il sacerdote sceglie. Infine viene il proposito di correggersi con l’aiuto di Dio, e l’assoluzione. A questo punto l’alleanza è ristabilita! Per una cifra modica posso vendere una mappa dei sacerdoti con l’udito peggiore di tutta Roma, quei vecchietti gentili che se dici il peccato velocissimo e a bassa voce non lo sentono; ho anche ottime segnalazioni di sacerdoti troppo buoni, ma, fidatevi, veramente troppo. E se si arriva a due minuti dalla chiusura della chiesa ci si può procurare anche un sacerdote molto frettoloso. Ecco, non è questo il senso del Sacramento. Anzi, se uno fosse un monaco serio, non dovrebbe confessarsi con un sacerdote che non lo conosce solo perché si vergogna, perché non si tratta di un rito magico, ma di un serio desiderio di conversione: non ricordo quale mistica medioevale scrisse che al Giubileo del 1300 solo due persone guadagnarono l’indulgenza davvero, perché avevano il cuore sincero (io, infatti, se incontro una mistica medioevale cambio marciapiede).
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October 16, 2021
Incontri di preparazione al Matrimonio
di Costanza Miriano
Che ne sa la gente di cosa è il matrimonio per noi? Di che lacrime grondi e di che sangue la battaglia che ci viene chiesta per diventare una carne sola, per entrare nel mistero grande?
Solo casualmente il matrimonio cristiano e il matrimonio civile hanno lo stesso nome. Il nome è lo stesso, ma la sostanza è una cosa stratosfericamente diversa. L’istituzione di un “munus alla madre”, qualcosa che offrisse stabilità e tutela alla prole, l’ambiente migliore perché la specie umana potesse conservarsi, è una cosa molto antica, che ha una base naturale, è sensatissima e preziosa.
Ma il matrimonio investito dallo Spirito Santo, attraversato dalla grazia, toccato da Colui che fa nuove tutte le cose, è qualcosa di lontano anni luce. E che non c’entra nulla con l’idea stantia e borghese che del matrimonio si è affermata negli ultimi secoli (e che è stata così pesantemente attaccata e messa in crisi negli ultimi tempi).
Per noi cristiani invece il matrimonio è una vita avventurosissima, è la vita secondo il Battesimo, è il luogo in cui si impara da amare come ama Cristo, quindi in un modo che non esclude la sofferenza, l’asimmetricità, la ferita, il dolore, la fatica, ma che proprio grazie a quelli fa entrare gli sposi nella via della conversione. Quando ci sposiamo noi che vogliamo assomigliare a Cristo non chiediamo che l’altro ci faccia felice, ma chiediamo a Dio la grazia di imparare ad amare come ama suo figlio: un amore che rispetta la libertà dell’altro, un amore che impara a perdonare, un amore che impara a non pretendere. Roba che ci vuole una vita intera: per questo il matrimonio è indissolubile, perché altrimenti non si fa in tempo. Un’avventura difficile, per la quale serve coraggio, serve carattere, servono gli attributi, non è una roba per signorine, altro che rugby (sarà per questo che quando ti sposi diventi “signora”? e io infatti ci tengo: quando il salumiere, facendo finta di non sapere che ho cinquanta anni e si vede benissimo, mi chiama signorina, lo correggo sempre).
Tutto quello che serve per combattere la battaglia è annunciato nel sacramento del matrimonio. I corsi di preparazione al matrimonio che si tengono a Roma, nella chiesa di Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova), lo esaminano passo per passo, parola per parola, con padre Maurizio Botta. E che gioia vedere domenica dopo domenica la chiesa riempirsi di famiglie e bambini, frutto di questi corsi (molti poi continuano il loro cammino in altre parrocchie, in giro per Roma e per l’Italia).
L’unica controindicazione è che sono corsi per chi vuole fare sul serio. Dopo averli frequentati sarà difficile dire “io non avevo capito, non ero pienamente consapevole”, a parte quelli che vanno costretti dalla fidanzata e mentre sono lì fanno altro (non credo guardare il cellulare, a occhio e croce non mi sembrano i tipi da Chiesa Nuova).
Io un po’ li invidio quelli che fanno il corso con Padre Maurizio: noi su certe cose abbiamo dovuto sbattere la faccia da soli, e per quanto si sa che ci sono fatiche che bisogna per forza attraversare, e le attraversi comunque, saperlo prima è meglio. Ti puoi portare l’attrezzatura giusta. Così magari vai in montagna con gli scarponcini e non con i sandali con le piume (ogni riferimento alle mie scarpe è puramente casuale).
October 12, 2021
Il ritorno del padre al Padre
di Costanza Miriano
“Se gli uomini potessero scegliere ogni cosa da soli, per prima cosa vorrei il ritorno del padre”, dice nell’Odissea Telemaco, parlando del padre Ulisse.
In questa epoca senza padri, è questa la vera emergenza, e dunque anche senza figli, la mia cara amica Monica Marini, anima e braccia e cuore del nostro Monastero wi-fi, è stata fortunata, ha avuto un padre speciale, Giorgio Marini. Anche lui è stato fortunato, perché ha avuto una figlia speciale, che con la mamma e i fratelli lo ha coccolato e accudito e seguito fino all’ultimo giorno. Che è stato sabato 9 ottobre.
Questo non è un necrologio, però. È il desiderio di ringraziare un grande uomo, come ho imparato a conoscerlo dalla sua grande figlia, che mi ha contagiata con il suo affetto, la sua stima per lui. Innanzitutto lo ringrazio perché ci ha dato Monica, patrimonio dell’umanità, e per tutte le cose belle che le ha trasmesso con i suoi geni, e insegnato con la sua vita. Intanto il talento imprenditoriale: Giorgio è stato il fondatore della più importante – almeno per un periodo – impresa edile di Genova, e ha costruito, ristrutturato, inventato per oltre sessanta anni. Monica, invece, la regina del no profit, ha usato il suo talento per organizzare cose belle per le persone che ha intorno, dalle feste alle vacanze alle mense agli spettacoli di famiglia, fino ad arrivare al Monastero wi-fi. Lo ringrazio per l’allegria, per il senso dell’umorismo – da toscano diceva spesso “meglio perdere un amico, che una battuta” –, per la generosità (questa estate ci ha ospitati nella sua casa di Sori), per la fede trasmessa ai figli e negli anni cresciuta e approfondita sempre di più. Per la docilità con cui ha affrontato la malattia, periodo di prova prezioso che lo avrà sicuramente purificato, e che, chi sa, forse agli occhi di Dio è molto più prezioso delle case e dei palazzi costruiti, dei posti di lavoro creati, dell’azienda tirata su con affetto come una famiglia. Per la serietà e la passione con cui ha lavorato, merce rarissima, per la sua solidità, eredità preziosa per questa epoca così fluida e instabile. Mi dispiace solo di averlo conosciuto quando era ormai molto malato, e quindi solo dai racconti innamoratissimi della figlia.
È notte fonda e sono ancora qui che penso di scappare fra due ore alla stazione e salire su un treno per andare al suo funerale (oggi alle 11 a Genova), per abbracciare la mia sorella bionda, ma la fedeltà alla mia realtà mi impone di stare al mio posto di combattimento, tra lavoro e famiglia, poi penso che da padre mi avrebbe detto di obbedire alle circostanze.
Così mi ricordo che noi, rispetto a Telemaco abbiamo in più questa certezza: in cielo ci riabbracciamo, sicuro.
October 9, 2021
La preghiera del cuore – don Luigi Maria Epicoco
CLICCA QUI PER ASCOLTARE E SCARICARE IL FILE MP3 DELLA CATECHESI DI DON LUIGI MARIA EPICOCO
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Catechesi di don Luigi Maria Epicoco
Basilica di San Pietro, 2 ottobre 2021
L’episodio dell’emorroissa è emblematico della preghiera del cuore. Lo rivela don Luigi Maria Epicoco, sottolineando «l’incontro personale profondo con Dio nella preghiera che risignifica la nostra vita. Perciò chi prega si salva.
E si può pregare col corpo, con le emozioni, con gli affetti e il ragionamento e, se tutto ciò esprime una relazione, allora è preghiera autentica. Ma il vero luogo dove Dio abita è il nostro cuore». Allora «fare la preghiera del cuore è permettere a Dio di fare del nostro cuore quello che vuole. Non bisogna far nulla, ma lasciare a Dio di pregare in noi, allo Spirito di evangelizzarci, cioè di lavorare, consolare, guarire e cambiare i nostri pensieri, parole e sentimenti per assumere lo stesso pensare e sentire di Cristo e rendere presente il Figlio come Egli rende presente il Padre».
Omelia, 2 ottobre 2021 – don Fabio Rosini
CLICCA QUI PER ASCOLTARE E SCARICARE IL FILE MP3 DELL’OMELIA DI DON FABIO ROSINI
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Omelia di don Fabio Rosini
Basilica di San Pietro, 2 ottobre 2021
«Chi fa le cose a partire da se stesso arriva a se stesso, chi le fa a partire da Dio arriva a Dio», afferma don Fabio Rosini nel corso dell’omelia. «La preghiera non è cercare Dio, ma farsi trovare da Dio, non è opera nostra. È stare come bimbi e farsi salvare, perché da questa esperienza di grazia deriva la nostra forza.
La forza della preghiera è nella consapevolezza di dipendere, poiché non posso fare da solo. Pregare è come prendere il sole!», esclama ancora don Fabio Rosini mentre commenta la preghiera dell’angelo custode, la quale «ci dice che io sono un tesoro da custodire e che quando sto davanti a Dio come figlio, ho intimità con Dio, Dio è nemico dei tuoi nemici (laddove noi, invece, facciamo amicizia coi nostri ‘nemici’. Dio non è il nostro ‘compagnone’!) e l’angelo ti fa conoscere il Suo volto».
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