Costanza Miriano's Blog, page 27
September 12, 2021
Terzo Capitolo del MonasteroWiFi: Basilica di San Pietro 2 ottobre 2021
di Costanza Miriano
Se i giorni prima della ripresa delle scuole sono i giorni del “tu il prossimo anno i compiti li inizi a giugno”, i giorni prima del monastero sono quelli del “ma chi me l’ha fatto fare?”.
Intanto Radio Satana, sospendendo il suo abituale lavoro di denigratore degli altri (guarda come è sbagliata quella persona, guarda che stupido, che egoista, e perfido eccetera), si dà da fare con me, e mi sussurra indefesso all’orecchio pensieri demotivazionali: “ma che provi a far pregare la gente che non sei capace manco tu? guarda che si sono tutti sbagliati, tu sei una schifezza, hai ingannato tutti ma io lo so come sei davvero”. E allora, tra la fatica, e i sei miliardi di cose da fare – infilate tra il lavoro i pranzi le cene i libri da ricoprire e un libro da scrivere, così, tra una cosa e l’altra – provo a fermarmi e a ricordare bene, cioè a riportare al cuore le cose importanti.
Il 2 ottobre sarà una giornata di preghiera e di catechesi sul tema della preghiera, perché tutti abbiamo bisogno di crescere su questo fronte, fino alla fine della vita, non importa quanto siamo schiappe o cinture nere di preghiera. C’è sempre, per tutti, uno spazio di mistero nel quale possiamo fare un passo in avanti.
È una giornata in cui non ci sono star o maestri – uno solo è il Maestro, e se Gesù dice che manco lui lo è, figuriamoci i preti – ma fratelli che ci daranno qualche dritta. Magari il più costante e fedele a una preghiera vera e feconda è uno seduto in trentasettesima fila, che nessuno conosce, e di cui nessuno saprà mai. Siamo tutti lì per ascoltare e ricevere, per prime noi che organizziamo (ci è ben chiaro di non avere alcun merito particolare).
Ci sembra però che al Signore questa cosa di un popolo che si unisce per cercarlo, per lavorare sul suo cuore, piaccia. Ce lo ha confermato con i fatti, l’ultimo dei quali la possibilità di essere accolti a san Pietro, un unicum nella storia. In questo momento di desolazione, di chiese svuotate, di attività che faticano a riprendere, di gregge smarrito (desolante la omonima ottima raccolta di saggi sociologici appena pubblicata, sullo stato di salute della Chiesa in Italia), ci sembra un segno poter mostrare che un gregge, un popolo c’è, e non è smarrito. Non so quanto sia grande, ma non importa. È un popolo che ha ben chiaro che tutto parte dal cuore, che le opere buone vengono da lì, e che non è possibile fare il bene se prima non si è lavorato sul cuore, o meglio se non si è permesso a Dio di entrarci dentro. E che Dio entra attraverso la preghiera e i sacramenti, quindi grazie alla Chiesa. Non c’è un altro modo. Noi abbiamo visto che questo popolo che prega è stato capace di un bene e di una generosità commoventi. Madre Teresa cominciava ogni sua giornata con ore di preghiera, e diceva sempre che senza quella non avrebbe neanche potuto pensare quello che ha fatto.
È così bello che ci sia un popolo che per pregare insieme e che per ascoltare parole che aiutino a pregare si sveglierà la mattina presto, partirà (spesso il giorno prima), farà sacrifici di tempo, soldi, energie. Perché se non ci si mette in moto, se non si fa un santo viaggio, si rimane nel parcheggio spirituale. La fede parte sempre da un viaggio (anche uscire di casa per andare in chiesa è un viaggio, e il rischio di questi mesi passati è stato dimenticarcene, pensare che reale e virtuale siano la stessa cosa).
Mettersi in moto significa fare spazio a Dio, dire che ci interessa e che ha la priorità su altre cose, anche importantissime e belle e sante. Ma c’è un momento in cui bisogna fermare tutto e mettersi a pregare, con la certezza che non siamo indispensabili in nulla, che per Dio si può mettere in attesa qualcosa, tanto “Dio ne darà ai suoi amici nel sonno”.
Niente di ciò che tralasciamo per pregare soffrirà per questo, fidiamoci di Dio. Affidiamo a lui tutto ciò che lasciamo per lui in quel momento. E se mi è chiarissimo che la fede non può essere tutta un’esperienza, un diversivo, un “godimento” spirituale, perché siamo chiamati a stare al nostro posto di combattimento, ed è lì che si gioca la nostra santificazione, in quel punto preciso del tempo e della storia nel quale ci troviamo, anche se ci sembra il più sbagliato dell’universo, allo stesso modo mi è chiarissimo che c’è un momento in cui il Signore ci chiama a toglierci i sandali e a stare davanti a Lui, “perché questo luogo è santo”.
Vi prego, dunque, se potete (so bene che ci sono anche situazioni in cui non è davvero possibile) non perdete questa chiamata, che è un dono prezioso: Dio vuole incontrarci, ciascuno di noi, singolarmente. A volte è difficile recintare uno spazio per lui, sembra impossibile mollare tutto quello che stiamo facendo, ma ecco Lui “sta alla porta e bussa”.
A questo proposito veniamo al dolente capitolo dei bambini: purtroppo in queste condizioni particolarissime non abbiamo ancora trovato una soluzione in piena sicurezza, ma stiamo ancora lavorando. Dobbiamo trovare tante baby sitter tamponate o vaccinate e tanti spazi in modo da fare gruppetti piccoli, che comunque non escludono il rischio, perché è inevitabile che i bambini stiano insieme fra loro. Mentre tentiamo di risolvere il rompicapo, poiché teniamo a ciascuno di voi e per ogni persona che cancella la sua inscrizione proviamo un grande dispiacere, vi chiediamo di pensare se sia proprio impossibile per voi organizzarli a casa. Se il problema economico fosse insormontabile possiamo provare ad aiutarvi, anche se in questo momento non siamo in grado di garantirlo, perché le casse sono quasi vuote (ma siamo tranquilli, è una roba di Dio che risolverà lui come ha sempre fatto). Ricordiamoci che i primi a essere più felici se i genitori sono saldi spiritualmente sono loro.
Il link per le iscrizioni è QUI, mentre la mail per eventuali richieste o informazioni è capitolo.monasterowifi@gmail.com. Chi si è già iscritto in passato risulta iscritto, non è necessario farlo di nuovo ed è normale non ricevere ancora una mail di conferma. Arriveranno tutte a ridosso dell’evento, con tutte le informazioni pratiche e logistiche (non è richiesto il green pass ma è consigliato il tampone a tutti, vaccinati e non, unico modo per essere certi di non contagiare nessuno; uso delle mascherine, che dovranno essere indossate bene, nun se famo parla’ dietro; dove si entra (da Piazza del sant’Uffizio); dove si può lasciare il bagaglio – c’è un deposito gratuito, ma in quel caso bisogna entrare dal lato opposto – comunque sconsigliato al fine di snellire i controlli; dove si può parcheggiare e mangiare; orari precisi di apertura Basilica e inizio e fine delle catechesi e messa; il numero di conto per aiutarci a pagare le spese vive tipo affitto delle sedie e luci e amplificazione, mentre ricordiamo che la Basilica ci è offerta gratis dalla Santa Sede, anche se vorremmo comunque dare un’offerta alla Basilica e quello che resta andrà ai poveri IT24O0760101400001048662439 intestato a Monastero wifi, scritto così sennò non prende il bonifico ) e le mie solite scemenze sul dress code (Ildegarda di Bingen voleva che le sue monache si presentassero a eventi pubblici vestite bene e anche con dei gioielli, ma comunque fate voi, se qualcuna non ama le piume e le frange lo capisco).
Per chi non può proprio venire ci sarà uno streaming di tutta la giornata, anche se the real thing è proprio tutta un’altra cosa: il cristianesimo è la religione della carne, ed è nata da un incontro reale e vivo di persone in carne e ossa.
September 3, 2021
ABBIAMO LA BASILICA DI SAN PIETRO! #monasteroWiFi
di Costanza Miriano
Erano mesi che lo dicevamo per scherzo. Il primo capitolo lo abbiamo fatto a San Giovanni in Laterano, il secondo a San Paolo fuori le mura. E il terzo che facciamo, san Pietro?
Sì, bum.
E invece sì, è così, oggi lo possiamo annunciare ufficialmente.
Il 2 ottobre 2021 aspettiamo tutti coloro che vogliono pregare e ascoltare catechesi sulla preghiera, e partecipare a una messa sulla tomba di San Pietro, nella basilica che è il cuore del cuore della cattolicità: la Basilica di San Pietro!
Quello scherzo è diventato realtà, perché il Signore ha proprio un gran senso dell’umorismo, e ci ha fatto questo regalo.
Gli iscritti avevano già superato la massima capienza consentita (con le norme Covid) sia di San Giovanni in Laterano che di San Paolo fuori le Mura. Così abbiamo scritto alla segreteria del cardinal Gambetti, per fare questa richiesta folle.
So che in tanti penseranno a chissà quali nostri agganci tra le alte sfere, e invece no, davvero. Abbiamo chiesto una mail alla quale mandare questa stravagante richiesta, e abbiamo avuto l’indirizzo di una signora che prima o poi devo abbracciare; così la mail è finita all’ufficio liturgico.
Devo avere scritto di notte, dopo una passeggiata sul Monte Rosa e una corsa di 10 km sul lago Maggiore, quindi probabilmente con gli occhi che mi si chiudevano, e mio marito che si chiedeva perché gli sia capitata una moglie che investe così tanto tempo dietro le cause perse. Fatto sta che alle tre di notte non sapevo più bene cosa stessi scrivendo, e ho chiesto il permesso di leopardare san Pietro (copyright del mio amico Stefano). E’ la verità, parola. Non me lo ricordavo neanche ma ieri mi hanno mostrato la mail.
Niente. Ci hanno ricevute. Volevano capire cosa intendessimo.
Che devo dire? Siamo grate alla madre Chiesa, incredule e grate.
Penso che dobbiamo questo miracolo al fiume di bene che avete fatto voi, confratelli wifi, aiutando chi ha avuto bisogno nei mesi del lockdown. Il fiume di bene che avete fatto, tutte le offerte che avete fatto e che abbiamo fatto arrivare nei conti di chi aveva bisogno, e tutto il lavoro di Monica per mettervi in contatto, hanno messo in moto la dinamica del centuplo. È così, io l’ho sperimentato tante volte. Quando ti metti a disposizione, il Signore i miracoli te li tira dietro.
Ora, per i nuovi non mi rimetto a tediarvi con tutta la spiegazione del Monastero wifi, cosa sia e come sia nato (potete leggere gli articoli postati) ma in sintesi la cosa è questa.
È un incontro per persone che vogliono vivere sul serio il loro battesimo e che cercano un aiuto a vivere con più profondità e fedeltà la propria fede nel quotidiano, con un cuore unitario, questo è il senso in cui usiamo la parola monaci. Il primo capitolo lo facemmo sulla necessità di avere un progetto di vita spirituale (19 gennaio 2019), fissando cinque pilastri: la Parola di Dio, la preghiera, la confessione, l’eucaristia e il digiuno. Il secondo (19 ottobre 2019) sulla Parola di Dio.
Il terzo sarà sulla preghiera.
Stiamo facendo gli ultimi aggiustamenti sugli orari, ma si potrà entrare dalle 8, e dopo saluti e lodi avremo una catechesi di Monsignor Antonio Grappone su cosa sia la preghiera per noi cattolici, poi Padre Maurizio Botta ci dirà cosa dice la Parola di Dio della preghiera, e Monsignor Pierangelo Pedretti ci darà qualche arma per il combattimento spirituale che ci tocca fare ogni volta che cominciamo a pregare: essendo il punto di riferimento spirituale di tutta la squadra che organizza, abbiamo fatto un ritiro su questo e vi assicuro, ci sarebbe da farne altri dieci. La messa poi verrà celebrata da don Fabio Rosini (la prima volta nella storia della Chiesa in cui a celebrare su quell’altare sopra la tomba di San Pietro sarà un sacerdote “semplice”): tutti i sacerdoti che desiderano concelebrare ce lo facciano sapere, i paramenti sono a disposizione in sacrestia. Dopo la pausa pranzo (i secchioni possono restare dentro a dire il rosario, ma io per chi può voto panino) e l’affidamento a san Giuseppe, della preghiera del cuore ci parlerà don Luigi Maria Epicoco mentre l’adorazione (con una riflessione finale sui frutti della preghiera, che deve portarci a farci carico dei fratelli, sennò è solo un parcheggio spirituale) verrà guidata da don Massimo Vacchetti.
Ci si potrà confessare tutto il giorno, grazie ai confessori ordinari e straordinari di san Pietro, per chi non è riuscito a confessarsi il giorno prima: facciamo che nessuno torni a casa coi peccati con cui è partito…
Entro le 17 la Basilica dovrà essere vuota (chiusura alle 18), per cui i baci e i selfie li faremo fuori, che comunque col colonnato è sempre un bello sfondo, altro che lo specchio del bagno.
Per questi limiti di tempo non abbiamo potuto arruolare tutti quelli che avremmo desiderato, e in più qualcuno non poteva per motivi geografici, di salute o per dei matrimoni (alcuni col cuore spezzato per dover dire di no, cito solo fra gli altri padre Serafino Tognetti che ha provato tutte le possibilità incluso farsi paracadutare da un elicottero sul cupolone, ma non c’erano proprio i tempi tecnici ), ma insomma, abbiamo i nomi per la prossima volta (solo che non c’è modo di avere una basilica più grande di questa, quindi vedremo che si inventa il Signore)
Questo è il modulo di iscrizione:
Qualche informazione pratica: come per tutte le funzioni liturgiche non è richiesta nessuna certificazione, ma per amore dei fratelli sarebbe bello poter arrivare tutti, volontariamente e non costretti, vaccinati e non, con un tampone fatto.
Le distanze di sicurezza, le mascherine e i termoscanner già li sappiamo.
Ovviamente non si paga nulla per iscriversi, e la Basilica ci accoglie gratuitamente, ma ci saranno delle spese logistiche, per cui per il nostro conto – che abbiamo dovuto aprire, ma con la promessa di tenerlo sempre vuoto! – abbiamo adottato la logica di san Giuseppe Moscati: “chi può metta, chi non può prenda”. Quindi se potete darci una mano, sapete che poi tutto quello che rimarrà una volta coperte le spese (sedie, fiori, servizio elettrico, amplificazione, insomma le spese extra rispetto a una giornata normale di san Pietro, più viaggi dei relatori se serve) e data un’offerta a chi ci ospita senza chiedere nulla, andrà ai poveri come abbiamo sempre fatto.
Seguirà un post con le istruzioni pratiche, qualche dritta per dove parcheggiare, il consiglio se possibile di organizzare i bambini a casa con delle baby sitter perché a san Pietro purtroppo non ci sono luoghi adatti, e stiamo cercando una soluzione a circa 1km e mezzo, ma che avrà una disponibilità limitata, e poi luoghi dove mangiare (ci sarà il tempo di uscire e rientrare), info su guardaroba e deposito bagagli, il badge da stampare, col quale si potrà entrare (mentre per i non monaci la basilica quel giorno sarà chiusa). Chiediamo a chi si sia già iscritto ma non possa più venire di comunicarcelo, in modo da non “rubare” il posto a qualcuno: si può fare o modificando il modulo di iscrizione, oppure scrivendo una mail a
capitolo.monasterowifi@gmail.com
Cercheremo di organizzare uno streaming in modo che chi non possa venire a Roma segua bene da casa; si possono fare foto per uso privato, ma non da pubblicare su giornali o altri massmedia, chi invece vuole pubblicare qualcosa (a parte i social) deve chiedere alla direzione del servizio comunicazione.
E niente, che dire, grazie alla nostra cara madre, la Chiesa, e grazie al Cardinal Gambetti che in comunione con il Papa vuole che a san Pietro, piuttosto che fare i turisti, si preghi. Grazie per la fiducia e la disponibilità, cercheremo di entrare con il cuore pieno di stupore e gratitudine: siamo un popolo di persone che vogliono amare Dio NELLA Chiesa, e questa carezza ci fa un bene incredibile.
August 31, 2021
Il Vangelo è davvero una mappa del tesoro
di Costanza Miriano
Una delle cose per cui mi manca più il carissimo padre Emidio sono i cazziatoni che mi faceva. Con una libertà, un affetto, una saggezza: da vero padre. A forza di sgridarmi, piano piano mi ha fatto capire alcune cose. E altre le sto capendo adesso, a distanza. Altre ancora, forse, non le capirò mai.
Una delle cose su cui più mi ha fatto cambiare atteggiamento è il modo in cui porsi quando qualcuno fa qualcosa di male (o che, almeno, tu avverti come male nei tuoi confronti). Ci sono tre regole, mi diceva: non parlare male di chi ti fa soffrire; non rispondere al male con il male; aspetta, ti capiterà senz’altro un’occasione per fare qualcosa di buono a chi ti ha fatto soffrire, e la relazione si sanerà. “E te lo dico – mi sembra ancora di sentire la sua voce – non perché devi esse bbona. Tu sei uguale agli altri. Te lo dico perché ti conviene. San Francesco diceva che se rispondi al male con il male ti prendi il male dell’altro come se fosse il tuo tesoro prezioso. Sei tu a scontare su di te, prendendoti la rabbia, il peccato dell’altro. Tu invece benedicilo. Lascia che il Signore prenda le tue parti. Affida a lui la tua causa”.
La prima volta che me lo ha detto ho pensato che forse alla fin fine anche lui potesse sbagliare qualche volta. Cioè, il principio è giusto, ed è tutto molto bello. Ma io ho troppo ragione. Ho faticato moltissimo ad ascoltarlo, nel senso proprio di stare lì davanti senza sbroccare. Continuavo a ripetere: ma io ho ragione. “Ma a che tte serve, ave’ ragione?” Sì ma io ho ragione (e qui di solito mi mandava a lumache).
Poi qualche volta ho provato. Non sempre. Non tutto. Qualche sparlatina mi sfuggiva (mi sfugge). Qualche mormorio, spesso e volentieri. Però qualche volta, poco poco, un pezzettino, sono riuscita a obbedire.
E, vi assicuro, è incredibile i miracoli che avvengono. Se tu non ti difendi da solo, il Signore agisce per te, come un leone. Vorrei poter raccontare ma dovrei scrivere parole che accusano qualcuno, però vi prego, credetemi, è una cosa miracolosa.
Il Vangelo è davvero, come diceva Emidio, una mappa del tesoro, ma in quanto tale va rispettata al centimetro se vuoi trovare il tesoro (e su questo sto cercando di scrivere un libro). Bene, se fai come dice la parola di Dio, se la prendi per quello che è realmente, cioè Pa-ro-la di Di-o, se provi a eseguirla (per esempio: a chi ti prende il mantello tu dai anche la tunica) poi davvero Dio interviene nella tua vita, sta con te, prende lui le tue parti. Non è che arriva il premio nascosto: il premio è lui stesso, è la familiarità con lui. È avere Dio come uno di famiglia. Che quando serve prende davvero, concretamente, visibilmente le tue parti. Non come una magia, ma proprio perché è così, semplicemente. Lui sta con te.
Raccontavo appena sabato a don Antonello Iapicca uno di questi casi in cui l’ho sperimentato, e lui mi ha ricordato di rileggere il salmo 37: “Affida al Signore la tua via: confida in lui ed egli agirà. Sta in silenzio davanti al Signore e spera in lui, non irritarti per l’uomo che trama insidie”.
E questo vale anche quando ti giochi qualcosa di grosso, per non rispondere al male col male: decidi di non far causa per i soldi, decidi di non vedere che un fratello ti sta fregando l’eredità, il collega la scrivania (racconto tutti casi in cui esploratori di questa mappa hanno deciso di seguirla, e ha funzionato: visto coi miei occhi). Dio prenderà le tue parti e “farà brillare come luce la tua giustizia, il tuo diritto come il mezzogiorno”.
Anche io l’ho sperimentato, è vero. Solo che vederlo da sola, a volte è difficile, e molto più decidere di fidarsi. Come sempre, quando fatico a fare qualcosa, ci scrivo su un libro. Magari spiegandolo lo capisco.
August 9, 2021
La borsa delle letture estive
di Costanza Miriano
Il momento della partenza per le vacanze per me è una fatica bestiale, si tratta di decidere cosa portare, cosa lasciare, cosa dovrà essere risistemato al ritorno, cosa deve essere corretto. È tempo di bilanci e riepiloghi, di solito passo la notte in bianco a prepararmi per questo distacco dal quotidiano, e a riprogrammarne uno nuovo. Per esempio, cosa portare con me da leggere. Quali libri estrarre dalla pila lunga, interminabile, che temo non finirò prima di morire?
Prima di tutto Come una sposa, le lettere di Maria Grazia Bighin (Cantagalli), una ragazza di Chioggia che incontra don Giussani e diventa Memor Domini: nelle sue lettere stupende la testimonianza di un lavoro costante e serio che faceva su di sé, dalla giovinezza alla maturità fino alla morte. Un lavoro di conversione e di vigilanza sulla propria anima, sulla capacità di amare, sul desiderio di somigliare sempre più a Gesù. Un esempio di intelligenza spirituale notevolissimo. Credo che lo comincerò prima di arrivare al casello.
Poi mi tufferò in Tornare al centro, di Rosanna Brichetti Messori (Ares), perché conosco l’autrice, la sua intelligenza e simpatia, e mi interessa molto questo suo sguardo sulla storia della Chiesa – italiana e non solo – dal Concilio a oggi. La sua voce è importante perché lei con il marito Vittorio Messori ne è stata anche una parte attiva e influente, nel miglior senso possibile, e mi interessa la soluzione che propone a questo momento così difficile per la fede nel mondo: “Tenete l‘antica strada e fate vita nuova” (che è una massima di santa Angela Merici). L’ho già sbirciato qua e là, ed è consigliatissimo.
Poi, però, siccome la vacanza è anche tempo di esercizi spirituali, credo che mi farò guidare da questi due libri di fra Roberto Pasolini, in attesa del terzo. Il primo si chiama Non siamo stati noi, sottotitolo Fuori dal senso di colpa (San Paolo), ed è una guida sapientissima e molto sottile attraverso la Bibbia per aiutarci a cambiare il nostro sguardo su Dio, che poi è il senso di tutta la Bibbia: annunciare all’uomo, crudele giudice di se stesso e sempre incline a proiettare su Dio le proprie idee, le fisse e le nevrosi, che Dio è davvero il totalmente Altro, un Padre tenerissimo, e la Bibbia ce lo dice in mille modi, che fra Roberto ci aiuta a trovare, prendendoci per mano. Il secondo (sempre San Paolo) E’ stato Dio dopo la pars destruens del primo – ciò che Dio non è – racconta cose sorprendenti di ciò che Dio è davvero, e a ogni capitolo (anche qui ho già sbirciato) mi ha suscitato la reazione “ma allora finora non ci avevo capito niente”, che se da un lato mi scoraggia, dall’altro mi fa sentire che il cuore scricchiola, e si avvicina piano piano alla conversione.
Ma se Dio è un Padre tenero e amorevole, non dimentichiamo che noi siamo anche un terreno di battaglia: il Nemico vuole perdere la nostra anima, e se gli apriamo la porta in modo volontario e attivo può fare davvero paura. Ce lo ricorda Fuggita da Satana, La mia lotta per scappare dall’Inferno, scritto da un’anonima autrice che si fa chiamare Michela, e ripubblicato dalla Shalom con nuove parti. Questo l’ho già letto, a dire il vero, perché ne ho scritta la prefazione, e non credo che lo rileggerò: mi è bastata una volta. Ci sono scene descritte, è la storia di una donna posseduta da Satana che partecipa a messe nere, che non riesco a togliermi dalla testa… Ma nonostante la paura, credo che sia stato un salutare pro memoria. La lotta per la salvezza è una cosa molto seria, e non tutti tifano per noi, anzi solo Dio e i santi lo fanno.
Per riprendere fiato consiglio un saggio brillante e pieno di spunti interessanti, presi da varie discipline, filosofia, sociologia, antropologia, psicologia, e direi anche dall’osservazione del mondo e dei suoi strani abitanti: Leggero come l’amore, di Riccardo Mensuali (San Paolo). Un esame della situazione attuale ma senza lamentele, anzi con guizzi originali e punti di vista tutt’altro che clericali, e poi spunti e soluzioni. In mezzo, una marea di citazioni, aneddoti, roba divertente proveniente da ogni ambito possibile. E poi, alla fine, l’unica proposta seria, l’unica via che può rendere l’amore stabile e forte e fedele: Gesù Cristo.
Se avrò la forza poi mi tufferò anche in una lettura dolorosa ma doverosa: Inferno, Bibbiano e il business degli affidi illeciti (Secop edizioni), di Alessandra Vio. Il Forteto, la storia dei “diavoli della bassa modenese”, Bibbiano: tutto qui è ricostruito con particolari accurati e agghiaccianti, che mostrano come un incredibile esperimento sociale si è compiuto sulla pelle dei bambini. Inquietante il silenzio che rischia di scendere su delle vicende che meriterebbero luce, chiarezza, una condanna generale e ferma. Il libro sta da un po’ sul mio comodino, e vorrei non leggerlo, ma credo che sia mio, nostro dovere, così come quello su Don Fortunato di Noto, la mia battaglia in difesa dei bambini(Paoline), un altro pugno sullo stomaco, che però va preso, ogni tanto, perché non si può sempre girare la testa dall’altra parte.
Credo che per cercare sollievo dopo avere guardato tanto dolore non ci sia cura migliore che leggere Psicologia della compassione, di Emiliano Lambiase e Tonino Cantelmi (San Paolo), che spiega cosa sia questa meravigliosa funzione dell’uomo, cioè “la capacità di estrarre dall’altro la radice prima del suo dolore e di farla propria senza esitazione”, come Dostoevskij definisce la compassione. Un manuale, con tanto di esercizi e indicazioni per l’allenamento, per imparare ad avere compassione, a comunicarla e a renderla benefica, verso l’altro che è nel dolore, ma anche verso noi stessi, cioè l’autocompassione.
Infine, per il momento di puro e semplice relax, ma sempre con il cervello acceso, nel caso io riesca ad approdare sotto un ombrellone, credo che mi concederò la lettura delle Interviste impossibili di Tommaso Scandroglio (Timone), un modo geniale e creativo di parlare di cose serie – gli intervistati sono inclusività, libertà, destino, provvidenza, la Costituzione addirittura, l’umiltà, la coscienza, l’ateismo – senza annoiare neanche un secondo: la descrizione dello studio dell’archistar ellegibbiti vestito come un gelataio dove tutti parlano con l’asterisco è esilarante e vale da sola il prezzo del libro (ma c’è molto, molto di più).
Ecco, la borsa è pronta, con tutto il suo carico di cose non fatte e progetti per l’anno che inizia a settembre, e libri lasciati a casa, abbandonati tipo cani in autostrada. Spero che non si mettano a mugolare, e abbiano la pazienza che torni… piano piano vi leggerò tutti, promesso.
August 1, 2021
Una rosa per Maria
di Costanza Miriano
Credo fermamente che tutta questa vicenda del virus sia un’occasione di conversione, comunque la si pensi sulla malattia, sulla gestione, sulla pressione mediatica che non rende facile mantenere il cuore lieto e nella pace. Mi chiedo continuamente: cosa vuole dirmi il Signore, come permette che mi converta in questa circostanza, qui e adesso?
Sono certa che sia prima di tutto un grande invito alla preghiera, un poderoso pro memoria che ci ricorda che nulla dipende da noi, neanche il numero dei capelli che ci cadranno oggi, nulla. Non la malattia, non i rischi del vaccino, non il potere di cambiare la narrazione e le leggi, nulla. Dio invece può tutto, nelle sue mani un giorno sono come mille anni, e ci ha promesso che “se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà”.
Così, pensando alle tante amiche tentate dallo scoraggiamento e dalla paura o dalla rabbia, ci è venuto in mente di formare un piccolo gruppo, che abbiamo chiamato La dieci, ricordando che Dio aveva accordato ad Abramo la promessa di risparmiare Sodoma e Gomorra se solo avesse trovato dieci giusti. Ora, io so bene che noi non siamo giuste, di sicuro non io, però quello era l’Antico Testamento, e noi oggi abbiamo la grazia di Cristo che ci ha redente, quindi osiamo. Osiamo chiedere, offrendo noi stesse, il cuore e il tempo, che il Padre ci liberi, noi, le nostre famiglie, e tutti, anche quelli che ci sono antipatici, tutti. Supplichiamo la grazia.
Tante persone dopo il mio post mi hanno chiesto come fare concretamente per essere in comunione, allora ho pensato questo.
CLICCA QUI PER IL TUO IMPEGNO DI PREGHIERA
Per il periodo dal 5 agosto (compleanno di Maria) all’8 settembre (natività) ognuno di noi, o in gruppo o anche da solo, pensi cosa offrire. Un impegno che sia possibile mantenere, ragionevolmente. Per esempio un rosario al giorno, o anche due. E un fioretto. Piccolo, magari, perché si spera che molti di noi siano in vacanza e anche il corpo ha diritto al suo riposo. Che so, un caffè in meno. Rimandare di un’oretta la lattina di Coca. Una piccola cosa, ma ogni giorno. Se non la si vuole condividere tra amiche, che almeno per me è un grande aiuto a cercare di tenere fede, lo si può scrivere su un foglietto da mettere sotto un’immagine sacra.
Poiché molti di voi non hanno un gruppo con cui condividere, ho chiesto al caro amico Emanuele Ercoli di predisporre un semplice contatore, per farci coraggio, e per aiutarci nella perseveranza.
Ogni giorno, quando avrai fatto quello che avevi promesso (contano anche i rosari in cui ti addormenti, ché li finiscono gli angeli in cielo, lo diceva mia nonna, nota teologa), cioè una preghiera e un fioretto, puoi cliccare per aggiungere una rosa al mazzo che porteremo alla Madonna l’8 settembre, chiedendole di aiutarci a somigliare a lei, accogliendo Gesù in noi.
Elogio della fatica

July 26, 2021
Chiamata alla preghiera
di Costanza Miriano
Sono sempre piuttosto esitante all’idea di lanciare novene, catene di preghiera, iniziative collettive, innanzitutto perché ho paura di non essere fedele io per prima all’impegno proposto, e c’è un limite al peso del ghiro che può dormirmi sullo stomaco (e far pregare le persone, far credere che lo faccia anche io, e poi magari non riuscire a mantenere fede fa sì che una bestia di otto chili che mi si accomodi sulla pancia). Seconda cosa, c’è sempre il rischio di esibire la preghiera come un vessillo, e non come un dolce colloquio col Padre, che è un privilegio e la cosa più preziosa che abbiamo. Terzo, andare nel segreto a pregare, è la dritta che ci dà Gesù.
Però.
Però abbiamo anche bisogno di sentirci un popolo, e di farci aiutare dai fratelli nel combattimento della preghiera (perché per pregare bisogna combattere, tra gli impegni, le distrazioni, i contrattempi, la telefonata al parente di nono grado che ti viene in mente e ti sembra urgentissima appena prendi in mano un rosario). Inoltre, e questa è la cosa più importante, Gesù ha promesso che dove due o tre sono uniti nel suo nome per chiedere qualcosa, la ottengono.
Quindi, eccomi a proporre al nostro monastero wi-fi, che altro non è che la Chiesa, la comunità dei fratelli uniti dal desiderio di cercare Dio, e in comunione a volte di carne, a volte “solo” wi-fi, cioè con lo Spirito Santo, di sfoderare l’artiglieria pesante. È il momento, sennò non ne usciamo.
Comunque la pensiamo, su come è stata affrontata, raccontata, gestita la questione sanitaria, il momento è davvero difficile, e non credo ci sia nessuno che non sia stato per nulla toccato da questo momento così opprimente e angosciante.
Con un gruppo di amiche stiamo pensando di fare qualcosa di serio, di offrire una bella dose quotidiana di preghiere, e qualche fioretto, perché ci sono demoni che non si allontanano che con la preghiera e il digiuno, lo dice Gesù nel Vangelo.
Dio aveva accordato ad Abramo la promessa di risparmiare Sodoma e Gomorra se solo avesse trovato dieci giusti. Ora, noi sappiamo che giusti non siamo di certo, perché “senza la tua forza, nulla è senza colpa” però possiamo provare a offrirci, ingiusti, limitati, peccatori come siamo, anche per i fratelli. Con la certezza che la preghiera cambia il corso della storia, ferma anche le guerre, è la forza più potente dell’universo, cambia anche le decisioni di Dio, oltre a cambiare il nostro cuore.
Ed è questo il punto. Cosa chiediamo a Dio? Io vorrei chiedergli di cambiare il mio cuore, di aiutarmi, aiutarci a vivere tutto questo momento come un momento di grazia, perché Dio c’è, è nella storia, è nella nostra storia, soprattutto quando è più difficile. Che ci aiuti a stare in questo strano punto della storia in cui ci ha messi, pronti a fare la sua volontà, perché se abbiamo Dio abbiamo tutto, e niente può spaventarci, perché “a chi ha Dio nulla manca”. Chiediamo di darci la fede, perché la crisi che stiamo vedendo intorno a noi è solo una crisi di fede. Io sono certa che questo sia il momento opportuno per convertirci, qui, adesso, in questo punto dello spazio e de tempo. Insieme chiediamo che allevii la sofferenza di tante persone, di chi è colpito dalla crisi economica, dei ragazzi che sono stati troppo soli, degli anziani, di chi ha dovuto fare tante rinunce in questo momento.
Suggerirei di formare gruppi di dieci (ma secondo me va bene anche meno se proprio non trovate), per ricordare la promessa di Dio ad Abramo, e fare offerte precise, non in una mentalità “amministrativa”, ma perché è un aiuto per noi a mantenerci fedeli alla preghiera e al proposito di fare offerte concrete (qualche piccola rinuncia, o qualche digiuno). Un’idea che ci è venuta tra amiche è di pregare con particolare intensità dal 5 agosto – compleanno della Madonna secondo quanto avrebbe rivelato lei stessa – all’8 settembre, la Natività di Maria secondo la tradizione della Chiesa.
Intanto volevamo dirvi che stiamo continuando a lavorare all’organizzazione del capitolo generale del 2 ottobre, che sarà appunto sulla preghiera. Stiamo cercando di capire come rispettare le regole senza respingere nessuno.
Infine, abbiamo dovuto prendere una decisione. Negli ultimi quattordici mesi la vostra generosità per le persone in difficoltà ci ha stupito – grazie a voi e a Monica che ha gestito la cosa con un lavoro eroico – e grazie a quella siamo riusciti a distribuire circa 300mila euro di aiuti alle famiglie, una cifra incredibile, consegnandovi direttamente gli Iban di chi ci chiedeva aiuto. È stata un’avventura bellissima, ma al termine di un ritiro che abbiamo fatto con don Pierangelo Pedretti abbiamo capito – non senza una sofferenza grande, ma certe che l’obbedienza è una garanzia – che non riuscivamo più a gestire la cosa con l’accuratezza e la prudenza necessarie, e stavamo rischiando di sbagliare. Crediamo che sia il momento di prendere una pausa e capire come riorganizzare questo servizio. Siamo nate come un gruppo di amiche, amici, che desiderano invitare alla preghiera altri amici, e non abbiamo la struttura per gestire tanti bisogni di tante persone lontane che si sono rivolte a noi mano a mano che si spargeva la voce, anche tra persone che non avevano mai conosciuto il Monastero wi-fi e delle quali non sapevamo molto. Fare la carità bene è difficile, bisogna conoscere, capire… una cosa che abbiamo imparato è che spesso chi ha più bisogno non chiede, e quindi bisogna essere vicini davvero alle persone che si aiutano, per verificare i bisogni, per capire chi ha maggiori necessità, e anche per dare un aiuto che non sia solo economico: spesso non sono solo i soldi che servono, ma anche un aiuto, una vicinanza, un accompagnamento, a volte più necessario e risolutivo dei soldi.
Ci stiamo chiedendo come continuare a offrire questa vicinanza con le nostre poche forze, a distanza, e con un numero di persone spropositato quale quello delle famiglie che si sono rivolte a noi in questo anno e mezzo. Serve una pausa di riflessione. Essendo finito il momento del picco di emergenza (attività chiuse, cassa integrazione che non partiva), per il quale ci era venuta questa idea, ma non essendo finiti i bisogni, purtroppo, suggeriamo – intanto che cerchiamo di capire come andare avanti – di “adottare” ciascuno un caso, (se ci guardiamo intorno non faremo fatica a trovarne) e di farci carico di qualcuno, ma se possibile non solo economicamente. Cercare di conoscere, di fare amicizia, di capire come risolvere in modo stabile le situazioni, per quanto riusciamo, o comunque di offrire una vicinanza, e non solo soldi.
Se invece non ci sembra di conoscere nessuno che abbia bisogno di aiuto, in questo momento di pausa, per le offerte possiamo fare riferimento al nostro parroco, o a un sacerdote vicino che conosca le situazioni, le persone, che sappia valutare bene e da vicino le priorità e i bisogni. La Chiesa fa questo da duemila anni, e il nostro Monastero è nato per essere sempre più dentro alla Chiesa, per darle forza e non portargliela via. I parroci conoscono le realtà e le persone, e sapranno aiutarci a capire chi aiutare.
Grazie davvero a tutti per la generosità, e soprattutto a Monica, alla quale questa sospensione del nostro pronto soccorso costa molto, molto dispiacere. Grazie!
July 16, 2021
La teoria del gender esiste eccome e vogliono che sia legge

di Costanza Miriano
Chiariamo sulla nuova bufala di Zan, cioè che la teoria del gender non esiste.
Dunque. Da qualche centinaia di migliaia di anni l’uomo sulla terra nasce maschio o femmina (salvo rarissimi casi di malformazioni genitali). E continuerà a farlo. Il sesso si riceve durante lo sviluppo embrionale, e da allora marchia tutte le cellule del bambino, tutte, non solo quelle legate alla genitalità. Gli esseri umani sono maschi o femmine.
Hanno un cervello maschile o femminile, velocità e forza e vista e udito e capacità maschili o femminili. Non ruoli, molti di quelli sono intercambiabili, ma diversi strumenti per esercitarli, con ricchezze e capacità diverse. Quanto al sesso, di solito i maschi sono attratti dalle femmine e viceversa. È previsto dalla natura perché solo così si trasmette la vita. Poi – per una serie di motivi che sarebbe lungo esplorare qui – si può provare attrazione verso lo stesso sesso (in pochissimi casi rispetto al totale dell’umanità ma molto rumorosi), ma in ogni caso un uomo rimane un uomo anche se non va a letto con le donne, e non può essere totalmente definito dalla sua attrazione sessuale.
Invece le teorie del gender – che vengono anche insegnate e sostenute in specifici corsi universitari fuori dall’Italia (e se passa il ddl Zan anche da noi) – affermano semplicemente che il genere può non corrispondere al sesso biologico e che una persona viene definita da come si percepisce. A partire da ciò deve essere considerata, con il pronome o l’asterisco giusto, e con infinite conseguenze legali e sociali e culturali. Questa è la teoria del gender che non solo esiste, ma che il ddl Zan vuole rendere legge e quindi cultura, anche attraverso iniziative nelle scuole.
July 14, 2021
Caro ministro Speranza vada a vedere Unplanned
di Costanza Miriano
Caro ministro Speranza, visto che lei ha deciso in modo molto invasivo del tempo degli italiani negli ultimi sedici mesi, cioè centinaia di giorni, cioè migliaia di ore, io e moltissimi miei amici le chiediamo in cambio di concedere due ore, due, del suo tempo non a noi, ma al film che ha sconvolto l’America: Unplanned. Visto che lei ha deciso di estendere il periodo di utilizzo della RU486 fino a nove settimane di gestazione e ha deciso che per la pillola dei cinque giorni dopo non serve la ricetta, cosa che non è consentita neppure per un antinfiammatorio, vorrei che lei capisse qualcosa di più del cuore delle donne, e di cosa sia veramente l’aborto. Non gliene faccio una colpa, è laureato in scienze politiche e non sa di medicina, non sa cosa succede davvero quando un bambino viene risucchiato dall’utero materno e fatto in poltiglia, ma davvero lo dico senza polemica: non lo sa nessuno, perché su questo argomento c’è una cortina di silenzio incredibile.
La prego, ci conceda due ore di tempo e guardi il film. Poi potrà rimanere della sua idea. Se ha paura del virus sono sicura che la produttrice italiana, Federica Picchi, sarà lieta di organizzare una proiezione solo per lei. Magari in un cinema da seicento posti possiamo far sedere anche la Cirinnà, la Boldrini, la Raggi e qualche altra paladina dei diritti delle donne. Sono sicura che converrete tutti sull’essere pro choice, cioè a favore della scelta. Bene, una scelta è libera solo se uno sa cosa sta scegliendo, giusto?
Questa storia mostra che le donne, non so se tutte, di sicuro moltissime, non sanno cosa scelgono quando abortiscono. Infatti nelle cliniche e negli ospedali ci si guarda bene dal far vedere alle mamme il cuore del bambino che batte, o le sue mani o le gambe, o magari il suo corpo che cerca di scappare quando nell’utero viene introdotto l’aspiratore che li ucciderà.
È quello che succede del tutto fortuitamente alla protagonista del film, che però è una storia vera, verissima fino all’ultimo frame. C’è una donna, come può essere una delle sue compagne di cinema, una paladina dei diritti delle donne, divorziata, con due aborti alle spalle, sui quali è perfettamente pacificata e tranquilla: nessun senso di colpa, era la scelta giusta; prende la pillola ma non funziona, e rimane incinta per sbaglio, e, alla fine, il terzo figlio decide di tenerlo, ma con l’idea di fermarsi a uno solo. Insomma non certo il prototipo della bigotta pro life medievale. In più dirige una clinica di Planned Parenthood in Texas, perché è fermamente convinta dell’importanza di lasciare le donne libere di scegliere, e per finire, ciliegina sulla torta, ha vinto il premio di manager dell’anno: la sua clinica sforna più aborti di tutte, è efficientissima e non perde un colpo.
Un giorno mentre è alla scrivania – lei dirige, non fa materialmente gli aborti – le chiedono di andare in sala operatoria. Sono in overbooking e manca una persona, non sanno proprio a chi chiedere, serve solo qualcuno che tenga la sonda dell’ecografia sulla pancia della mamma che sta abortendo, una roba di un minuto. Sono anni che lavora lì, ha fatto eseguire 22mila aborti ma non le è mai capitato che mancasse qualcuno del personale. Mentre tiene la sonda dell’ecografo le cade l’occhio sullo schermo. Vede il bambino. Prima galleggia pacifico nel liquido amniotico. Poi comincia ad agitarsi perché qualcosa è entrato nell’utero, in pochi secondi si vede il bambino che cerca di rifugiarsi da qualche parte, si divincola come può ma viene risucchiato e trasformato in un liquido rosso, e buttato via. Dieci secondi.
Quella donna rimane sconvolta, e la sua vita cambia per sempre. Si dimette il giorno dopo, perché non si era resa conto di ciò a cui stava collaborando. Lei era una onestamente convinta che l’aborto fosse un diritto delle donne, e voleva difenderle. Proprio per questo, per difendere le donne, molla tutto.
Dobbiamo essere onesti, c’è una grande rimozione e una serie di bugie sull’aborto: bisogna cominciare a dire la verità alle donne, ne hanno diritto, il loro vero diritto.
Sennò non usciremo mai dalla contrapposizione prolife e prochoice. Le donne devono sapere cosa succede, che poi è il motivo per cui il 70% dei medici è obiettore (nonostante Zingaretti promuova concorsi dai quali loro siano esclusi, tanto per dirne una). Non sono mica tutti cattoliconi oscurantisti. È che i medici sanno cosa fanno quando “interrompono una gravidanza” come si ama dire per non dire che procurano la fine di una vita.
Anche noi prolife a dire il vero secondo me dovremmo fare uno sforzo di onestà: quando arriva un test di gravidanza positivo può essere davvero un momento molto, molto difficile per una donna. Non dobbiamo dimenticarlo. Non dobbiamo raccontarla sempre come un’avventura tutta rosa piena di farfalle. Può non essere il momento giusto, può non essere la persona giusta, possono non esserci abbastanza soldi o spazio o lavoro. Può esserci la paura di malattie, della fatica, di soffrire. La paura che il bambino non stia bene, che i fratelli soffrano, che non si riesca a star dietro a tutto. Può esserci anche semplicemente il desiderio di non cambiare una vita che ci piace e che abbiamo scelta e costruita con tanta fatica e meritandoci ogni singolo centimetro conquistato. Davvero, nessuno può giudicare una donna che sta davanti a un test positivo e vorrebbe sparire dalla faccia della terra, o far sparire lui, il test e insomma il bambino. Quello che è chiesto a una donna che diventa mamma è tantissimo, anche perché in quel momento non ha niente in cambio, ha solo la promessa di nove mesi di ritenzione idrica e un alla fine, in premio, il dolore del parto. Deve fidarsi di quello che verrà, che – lo posso dire solo perché è alle spalle – è miliardi di miliardi di volte superiore a quello che ci è chiesto, ma quando hai per le mani solo un test di gravidanza positivo non lo puoi sapere, soprattutto se è la prima volta. Quindi il compito di un vero ministro della salute, prima, e di tutti noi, poi, è metterci al fianco di una donna che ha paura, o che non vuole, e dirle che la capiamo, o almeno che non la giudichiamo, che vogliamo esserle vicini, e che siamo pronti ad aiutarla se dice sì. Questo dice anche la legge 194 che lei dovrebbe far rispettare: rimuovere gli ostacoli, le difficoltà delle future mamme.
Ma dobbiamo anche essere onesti: deve sapere anche quello che succede se dice no, perché questa è la vera scelta responsabile. E non è che non vedere cambi la realtà delle cose. La legge prevede che le donne sostengano un colloquio prima dell’aborto, cosa sistematicamente disattesa (mentre vigila su mascherine e distanze vigili anche su questo, mandi le forze dell’ordine anche nei consultori, se le manda nei ristoranti). Si stabilisca che in questo colloquio alle donne venga detto tutto: come avviene un aborto, si faccia vedere il cuore che batte, e si offra sostegno economico e di altro tipo a quelle che decidono di dire sì.
Quanto all’aborto chimico, autorizzato alle minorenni, il film ha da dire molto anche su questo, ma ho rubato già troppo del suo tempo. La prego, ci conceda due ore, scriva alla Dominus Production e le organizzeranno una proiezione privata. E poi lo faccia vedere nelle scuole, perché nessuna ragazzina sia ingannata, come quelle del film, nessuna, mai più.
July 8, 2021
Tenete l’antica strada e fate vita nuova
di Luca Del Pozzo
Ci sono libri che si leggono per svago, altri per interesse culturale o per lavoro, altri ancora perchè fanno bene all’anima. E perchè ciò che raccontano è tanto vero e bello da trascendere l’esperienza personale di chi li scrive per assumere un significato universale. Questo è il caso di Tornare al centro. “Tenete l’antica strada e fate vita nuova”, ultima fatica letteraria di Rosanna Brichetti Messori (Ares edizioni). Il titolo non inganni: quel “tornare al centro” non ha nulla a che vedere con qualvoglia discorso attorno ad un “centro” di tipo politico. Esso indica piuttosto di fronte alla crisi in atto nel cattolicesimo la “cura”, ciò che davvero conta per la vita dell’Autrice in primis e, partendo dalla sua esperienza, per questo tempo travagliato che la Chiesa (e non solo) sta attraversando.
Lungi dal rappresentare una prospettiva di mera conservazione o di velleitaria riproposizione di una cristianità che mai tornerà, “tornare al centro” vuol dire assumere fino in fondo la realtà così come essa è ponendosi nell’unico atteggiamento capace di fare la differenza: quello della costante conversione personale. Allora, e solo allora, e sempre che sia questa la volontà di Dio, anche il mondo circostante cambierà nella misura in cui vorrà accogliere il Vangelo. Ma “tornare al centro” è anche il significato della bellissima frase di S.Angela Merici posta in exergo e nel sottotitolo, laddove “Tenete l’antica strada e fate vita nuova” riecheggia – in linea con la legge per eccellenza del cattolicesimo, quella dell’”et-et” dove tutto si tiene – la parabola evangelica dello scriba che “divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52).
“Cose nuove e cose antiche”: ogni vera riforma, a ben vedere, è sempre e soltanto unione ed equilibrio di rinnovamento e tradizione, di riscoperta e attualizzazione nell’oggi di ciò che è eterno e, perciò, indisponibile alle mode del momento, senza che vi sia alcuna contraddizione tra i due poli. Insomma: la fede non è mai qualcosa di statico bensì di dinamico, che va di volta “incarnata” innanzitutto a livello personale dando vita a forme diverse di cristianità. E’ la stessa dinamica che, muovendo da altra prospettiva, aveva messo a fuoco uno dei più grandi filosofi cattolici del ‘900 italiano, Augusto Del Noce, parlando del carattere “autobiografico” che ogni filosofia deve avere: “…il pensare in rapporto all’attualità storica – scriveva Del Noce nella sua opera più famosa, Il problema dell’ateismo – non è negare l’eternità dei problemi metafisici, ma riconoscerla nel loro senso vero…Non ho davanti a me una sorta di elenco di problemi già risolti…; è al contrario nel processo personale di soluzione del problema metafisico, che riconosco nella mia tesi l’esplicazione di una «virtualità» di una affermazione già sostenuta in passato; ed è proprio in questa «esplicazione di una virtualità» che la tesi metafisica mi diventa «evidente», liberandosi della sempre contingente forma che aveva assunto nelle sue formulazioni storiche”.
Tornando al libro in questione, il principale (non l’unico) motivo di interesse di Tornare al centro consiste appunto in questo suo presentarsi come una riflessione autobiografica sapientemente e, direi, umilmente intrecciata con la più ampia storia della chiesa nel XX secolo e in questo scorcio del Ventunesimo. Seguendo l’Autrice nelle sue vicende umane e spirituali è possibile confrontarsi con gli snodi essenziali che hanno caratterizzato la storia del cattolicesimo nel ‘900, e viceversa. Il risultato è un libro godibilissmo e di grande valore, agile e semplice nella lettura ma al tempo stesso dalle solidissime fondamenta storiche e teologiche (per inciso: merce rara, di questi tempi; ciò che va a tutto merito dell’Autrice). La storia ruota attorno a due grandi snodi, due fasi della vita spirituale della scrittrice che hanno corrisposto ad altrettanti “incontri ravvicinati” con quel Cristo che fin dalla nascita è stato una presenza costante nella sua vita, seppur con forme e modalità tutte Sue. Non per nulla uno degi autori più citati è quel Pascal che disse “C’è abbastanza luce per chi vuol vedere, ma anche abbastanza tenebre per chi non vuol vedere”.
Il primo snodo è quando, ancor giovane, Rosanna Brichetti fece quella che potremmo chiamare, fatte salve le ovvie differenze, l’”esperienza di Giobbe” narrata nell’omonimo libro (in particolare Gb 42,5). Il passaggio cioè da una conoscenza di Dio “per sentito dire” ad una conoscenza di Dio di persona, faccia a faccia, concreta ed esistenziale. Laddove il “per sentito dire” sta ad indicare una fede ridotta a morale, eredità di un mondo che certamente viveva – per dirla con Benedetto XVI (altro protagonista del libro) – come se Dio esistesse, essendo un mondo dove ogni singolo aspetto della vita, dalla nascita alla morte, era naturaliter impregnato di Dio, ma che tuttavia non aveva solide fondamenta. “Ero sostanzialmente una «brava» ragazza – dice Brichetti Messori – certamente sensibile ai «valori» che mi avevano inculcato in tanti anni di educazione cristiana. Valori che avevo assimilato e che mettevo in pratica. Quello che invece era fragile, era il terreno su cui questi valori si innescavano, cioè la fede da cui derivava la visione cristiana del mondo che mi portavo appresso”. A scricchiolare sotto i colpi di una società che stava cambiando vorticosamente sotto la spinta della secolarizzzione all’epoca (siamo nel 1962) incipiente, era insomma la fede, quella fede forgiata all’interno della cristianità tridentina che stava crollando. Aperta parentesi. Avviso ai lettori: chiunque cercasse nelle pagine di Tornare al centro un qualsivoglia appiglio per denigrare il Concilio di Trento e tutto ciò che da quel Concilio è uscito e da esso è stato plasmato nei secoli successivi, si metta fin da subito l’anima in pace perchè resterebbe tremendamente deluso. Non vi è infatti alcuna acredine nè astio nè nulla, nelle pagine in cui l’Autrice rievoca il mondo, la societas catholica in cui nacque e crebbe fino ai vent’anni. Al contrario, tanta è la grazia letteraria – che non vuol dire cecità di fronte ai pur ingombranti limiti – con cui quel mondo viene narrato, che a stento si può non piangere guardando alle rovine di oggi a confronto con la bellezza di allora. Pur, ripeto, con tutti i suoi limiti e senza indulgere in sentimentalismi nostalgici che poco o nulla hanno a che fare con l’”oggi” della fede.
Insomma non solo il Concilio di Trento, scrive l’Autrice, è stato “ingiustamente demonizzato dalla storiogtrafia laicista” mentre “in realtà è stato un Concilio assai opportuno che è riuscito a realizzare ciò che si riprometteva” nonchè un “evento che ha ricompattato la Chiesa, riconfermato la fede cattolica, riadattandone anche la struttura organizzativa per sostenerne la missione evangelizzatrice”; ma tutta intera la cristianità tridentina da esso scaturita è stata “un’epoca benemerita di cui solo chi è privo di senso storico potrebbe ignorare i meriti”. Chiusa parentesi.
Ciò che stava accadendo in quel tempo ad una giovane studentessa universitaria che aveva lasciato il paese natio e la “bolla cattolica nella quale ero cresciuta” per approdare a Milano e “muovere i primi passi in un ambiente laico e in qualche modo pluriculturale”, era la presa di coscienza che le scelte morali che tutti prima o poi sono chiamati a fare, sono tanto più forti e coerenti quanto più lo sono le scelte di fede. In un frangente storico in cui si cominciava a sentire la pressione esterna da parte di una società che si stava secolarizzando, “la mia fede sociologica – ricorda l’Autrice – cioè ereditata per nascita e appresa per educazione, stava per essere messa alla prova”. In che senso? Nel senso che “Non ero atea e nemmeno agnostica, Credevo in Dio, ma mi interessava poco o niente pensare a lui e parlare di lui. Oltretutto, ero interiormente stanca del contesto un po’ chiuso e moralista nel quale mi ero a lungo trovata a vivere”. Stava insomma venendo al pettine uno dei problemi da sempre più disputati in ambito teologico, quello del rapporto tra fede e morale. Problema rispetto alla quale l’Autrice non ha dubbi: “Prima vengono le scelte di fede. Se queste sono forti e libere, se cioè la fede è una adesione sentita di tutta la persona, mente e cuore a Dio, allora anche le scelte morali saranno coerenti; pure quando sono impegnative e difficili come quelle proposte dalla morale cattolica o non sono di moda e ci si muove in un ambiente ostile”. Parole queste che andrebbero lette e meditate a fondo dai tanti sedicenti esperti di morale (chierici e non) che soprattutto negli ultimi anni sono tornati a battere compulsivamente la grancassa delle opere, del fare, della prassi contrapposta alla dottrina (manco a dirlo intesa come un qualcosa di astruso/astratto). É vero, S. Giacomo ci ricorda che la fede senza le opere è morta in se stessa. Ma nel giusto ordine. Prima la fede, poi tutto il resto. Altrimenti il rischio che la Chiesa si riduca ad una onlus è dietro l’angolo.
Tornando al libro, è proprio nel momento in cui sotto la spinta di un mondo a suo modo fascinoso che stava mostrando tutta la fragilità di una fede “sociologica”, proprio in questo frangente Dio si manifesta. Il come lo lasciamo alla curiosità di chi vorrà leggere il volune; qui basti sapere che un giorno preciso di quel 1962, nella cripta del santuario mariano della Madonna delle Lacrime di Treviglio dove l’Autrice si era raccolta in preghiera, avvenne l’inatteso. Un’esperienza letteralmente sconvolgente e che segnò quello che Brichetti Messori chiama il “risveglio” della fede, cui fece seguito la prima vera “conversione” del cuore. Quel fatto, come si è già accennato, segnò il passaggio da una fede “teorica” in un Dio conosciuto a livello dottrinale, ad una fede “storica”, cioè esistenziale, concreta. “Ero una credente, anzi, istruita più di altri perchè avevo frequentato scuole cattoliche…Però, ora mi accorgevo che avevo immagazzinato quelle informazioni come ogni altra nozione di ogni altra materia…ma che all’appello era sempre mancato il cuore”. Bene, tutto a posto e fine della storia? Non esattamente. Perchè di lì a poco ecco la seconda crisi, il secondo grande snodo nella vita spirituale dell’Autrice. “Il pericolo che ho corso…è stato quello di ridurre di nuovo la fede…a una piccola fede asfittica”. E per charire ancora meglio il concetto Brichetti Messori usa un’espressione che sicuramente farà inarcare più di un sopracciglio e farà strappare più di d’una veste in tanti ambienti sedicenti cattolici: “…ho rischiato di diventare una «cattolica adulta»”. Non solo. “«Adulta», in realtà, per qualche anno lo sono stata davvero. Tanto che, se non fosse intervenuto nuovamente un aiuto dall’alto, avrei rischiato di restare tale per sempre. Un’esperenza che si è rivelata dolorosa, ma che riconosco provvidenziale, perchè credo che mi abbia vaccinata per la vita contro i tanti virus anticristiani che oggi circolano abbondanti anche all’interno della stessa cristianità”.
Non credo servano ulteriori commenti. Cos’era successo? In estrema sintesi, dopo la laurea e proprio negli anni in cui si stava svolgendo il Concilio l’Autrice, spinta dall’esigenza interiore di approfondre quella fede che aveva riscoperto, era entrata in contatto tramite l’esperienza della Pro Civitate Christiana di Assisi con quella che all’epoca era ritenuta, e a ragione, l’avanguardia teologica, il fior fiore del rinnovamento biblico e teologico in grado di offrire “un modo di avvicinarsi alla fede che in un certo qual modo anticipava quel Concilio che stava svolgendosi…”. Ora il punto è che a fronte di un approccio sicuramente affascinante, c’erano anche “aspetti pericolosi”. Col risutato che – in assenza di qualcuno che aiutasse a filtrare e discernere cosa stava accadendo nella Chiesa in quel tempo – “non solo noi giovani ma l’intera comunità…fosse investita e fortemente turbata da quel sommovimento post conciliare che, seppure con alti e bassi, perdura tuttora”. Sommovimento post conciliare che, è bene precisarlo a scanso di equivoci, l’Autrice non attribuisce affatto al Concilio Vaticano II in quanto tale, come suole fare certo tradizionalismo che sembra ancora non aver fatto i conti col fatto che la storia si divide in prima e dopo Cristo e non in prima e dopo Trento. Al contrario, per Brichetti Messori il Vaticano II “è stato fondamentale”, unitamente alla convinzione che “in un evento così importante non siano mancati l’intervento della provvidenza e l’assistenza dello Spirito Santo”. Soprattutto, il Vaticano II è stato fondamentale perchè “mi ha consegnato una fede che aveva ritrovato quel dinamismo quella vitalità che possiede sempre in se stessa ma che si era, amio giudizio almeno, opacizzata”. Nè tanto meno, e questo è l’altro aspetto della questione, può essere addebitato al Vaticano II il venir meno della cristianità tridentina sotto i colpi della modernità, a motivo di un atteggiamento troppo ottimista e troppo disponibile nei confronti della modernità stessa di cui il Concilio si sarebbe fatto promotore. Le radici del crollo della fede e dello smottamento della morale che ne è seguito (a tutti i livelli) sono da ricercarsi altrove.
Da un lato, nella forte spinta esterna esercitata dalla modernità (che, va pur detto, al tempo del Concilio non aveva ancora rivelato appieno la sua portata rivoluzionaria, che solo con il ’68 toccherà l’inizio di un punto di non ritorno), per il combinato disposto rappresentato dalla Riforma protestante e dall’Illuminismo, con la loro affermazione di un Io ultimamente autosufficiente e che non riconosce alcuna autorità al di fuori della propria coscienza e ragione (ciò che, in ambito teologico, corrisponde alla definizione dell’essenza stessa del peccato originale nella misura in cui l’uomo si erge a dio di se stesso decidendo lui ciò che è bene e ciò che è male); dall’altro, e soprattutto, nella debolezza e nella fragilità interna di quello stesso apparato uscito e forgiato dal Concilio di Trento, e che nel corso dei secoli non era stato in grado di arginare i sommovimenti interni che poi, alla prova dei fatti, lo avrebbero distrutto. Primo fra tutti, l’eresia che va sotto il nome di Modernismo, e che nonostante la condanna di s. Pio X con l’enciclica Pascendi Dominici gregis, “si dice che eserciti ancora influenza in alcuni settori ecclesiali o, quantomeno, abbia gettato la sua lunga ombra sul Concilio e anche – e forse soprattutto – sull’attuale, ancora dfficoltoso post Concilio. All’esame di tali tematiche l’Autrice dedica tutta la parte centrale del volume, e ad essa rimandiamo per chi vorrà approfondire. Il punto che qui interessa segnalare è piuttosto l’approdo, il punto d’arrivo di un’analisi che – distanziandosi tanto dalla lettura tradizionalista quanto da quella progressista della modernità, del Concilio e del post Concilio – si pone nel solco della migliore teologia della storia. Nel solco cioè di una visione che incardina le vicende e gli accadimenti nell’orizzonte della storia di salvezza che Dio ha fatto e continua a fare. Non per nulla le figure che più aiuteranno l’Autrice a superare la fase del “cattolicesimo adulto” e a neutralizzare il virus modernista in esso insito, saranno il suo futuro (all’epoca dei fatti) marito, Vittorio Messori, grazie all’impagabile lavoro alla riscoperta della ragionevolezza e della fondatezza anche storica della fede che tanto la aiuterà a spogliarsi “dei pregiudizi di cui mi ero caricata nel corso degli anni e che mi impedivano di vedere la realtà nella sua completezza; e il padre barnabita Antonio Gentili, che ebbe invece un ruolo cruciale nel processo di maturazione spirituale, interiore della fede che si accompagnò a quello, per così dire, più teologico e culturale visto poc’anzi (da segnalare in particolare le pagine dove l’Autrice riepercorre la dolorosa vicenda per cui lei e Vittorio Messori dovettero attendere venti anni prima di potersi sposare, vivendo castamente in obbedienza alla Chiesa; pagine che alla luce di quanto sta accadendo oggi restituiscono una fotografia fin troppo nitida dello sbandamento che c’è oggi nella Chiesa della misercordia cosiddetta). Fu così che avvenne una nuova conversione, un nuovo “incontro ravvicinato” con Gesù Cristo che le diede forza e luce non solo per riprendere il cammino ma anche per saper leggere in profondità e trovare speranza in rapporto anche alla situazione in cui versa il cattolicesimo contemporaneo.
Ed è qui che entra in gioco, lo avevamo indicato all’inizio tra i protagonisti del libro, Joseph Ratzinger. Nonostante il superamento della prova del “cattolicesimo adulto” altre nubi si stavano addensando. Questa volta rappresentate dal riacutizzarsi, in questi ultimi anni, dello scontro tra “progressisti” e “conservatori” con il Vaticano II a fare da punching ball venendo strattonato da una parte e dall’altra. Segno evidente che il passaggio dalla cristianità tridentina a quella del Vaticano II non solo era di là da venire ma, cosa più grave, è emersa “la presenza di piaghe che, nel frattempo, si erano ulteriromente lacerate al punto da far presagire addirittura eresie e scismi non proclamati, ma che già covavano sotto le ceneri”. E anche qui i riferimenti all’attualità non mancano. Ma ecco che in questo subbuglio interiore arriva inatteso un aiuto da Joseph Ratzinger. In particolare, dal documento conosciuto come la “profezia di Ratzinger” sulla Chiesa. Si tratta com’è noto di una serie di lezioni radiofoniche tenute nel 1969 dall’allora giovane teologo e futuro Pontefice, concluse appunto da una “profezia” che, riletta a distanza di oltre mezzo secolo, dice della straordinaria lungimiranza del giovane Raztinger. In essa infatti è descritta una Chiesa che sarebbe stata travolta da una grande crisi, il cui ruolo e il cui peso nella società sarebbero stati fortemente ridimensionati. Ma da questo travaglio sarebbe emerso un “resto”, una Chiesa purificata che avrebbe riscoperto l’essenziale ossia la fede nel Dio Uno e Trino. E che sarebbe ripartita da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza di fedeli con al centro la preghiera e la fede, appunto. La lettura di questa “profezia”, se da un lato procurò turbamento per l’esattezza delle sue previsioni (“solo un cieco può negare che nella Chiesa esiste una grande confusione”, ebbe a dire qualche tempo fa un altro gigante della teologia quale il compianto card. Caffarra), dall’altro fu di conforto nella misura in cui anche la seconda parte, quella positiva, si stava realizzando. Soprattutto per quanto riguarda la fioritura di movimenti ecclesiali nati proprio negli anni del Concilio, che hanno avuto l’indubbio quanto provvidenziale merito di puntellare la Barca di Pietro scossa dalla tempesta post conciliare, e che tuttora rappresentato per migliaia di fedeli un porto sicuro dove maturare la fede.
Un altro aiuto sempre da Ratzinger, stavolta però nella veste di Papa emerito, venne all’Autrice dalla lettura dei famosi Appunti sugli abusi sessuali nella Chiesa. Il motivo è presto detto: con buona pace di quanti ancora indulgono in tesi stravaganti circa l’origine della piaga della pedofilia tra le fila del clero, prima fra tutte la tesi che pone il clericalismo sul banco degli imputati (non vedendo o facendo finta di non vedere che oltre l’80% degli abusi vengono commessi da preti omosessuali, per tacere del tentativo in atto e portato avanti da ben precisi ambienti di sdoganare una volta per tutte l’omosessualità nella morale cattolica), il documento di Benedetto XVI con la chiarezza e la profondità che gli sono proprie va dritto al cuore del problema: la crisi della fede. E’ lì che hanno origine tutti i mali che affliggono la Chiesa. Se questo è vero, è da lì, cioè dalla fede che occorre ripartire. Come? Innanzitutto a livello personale. Tornando, il che implica una conversione del cuore, a credere nell’opera redentrice di Cristo, morto e risorto per noi. Dove quel per noi sta ad indicare l’esigenza, prima ancora che di rinnovati piani pastorali (ciao core), di ripartire da se stessi, dalla propria vita. Per uscire dalla crisi attuale, conclude Brichetti Messori in scia a Benedetto XVI, “non dobbiamo affannarci per adeguare la fede alla modernità…Dobbiamo, piuttosto, muoverci nella direzione opposta: ritrovare, noi per primi, un rapporto intimo con Dio che si traduca in una fede autentica, viva, capace, come ci ha detto Gesù, di spostare le montagne”. Il problema, a ben vedere, è semplice: di fronte alla sfida di un mondo che vive sempre più etsi Deus non daretur, occorre superare la tentazione che sia necessario abbassare l’asticella della fede per riuscire a sopravvivere. Nella convinzione magari che quella cattolica sia una fede “…un po’ esagerata ed esigente (“rigida”, come si dice oggi, NdA) per certi aspetti che la distinguono da altre fedi; che il Gesù dei cattolici sia un po’ troppo ingombrante e sia bene ridimensionarlo, riportandolo magari al livello di altri fondatori di religioni o proponendolo nell’intepretazione edulcorata della Riforma”. Da questo punto di vista anche quelle che giustamente l’Autrice chiama le “solite litanie” sul sacerdozio delle donne, l’abolizione del celibato ecclesiatico, l’apertura benedicente delle coppie samex, del divorzio e del gender, non nascondono “il timore che la fede cristiana non dia la forza sufficiente per vivere le importanti conseguenze morali che da essa derivano?”. La risposta non può che essere affermativa. Ma proprio per questo è quanto mai necessario porsi sulla giusta strada. Il che vuol dire “mirare in alto, cioè non puntare semplicemente a una conservazione della fede cristiana, a salvare il salvabile, ma mirando ad una vera e propria rinascita del cristianesimo”. Fermo restando che la Chiesa è di Cristo, e “certamente non mancherà di provvedere ad essa”.
Abbiamo detto in apertura che Tornare al centro si sviluppa attorno a due grandi snodi nella vita dell’Autrice, snodi che hanno corrisposto ad altrettante momenti di conversione. Ma sarebbe più corretto dire che di snodi ce ne sono tre. Il terzo, quello più intimo ed esistenziale fa come da cornice a tutto il volume, e non a caso lo chiude. Ma qui ci fermiamo, per non svelare fino in fondo l’ultima parte che suona come una bellissima professione di fede.
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