Costanza Miriano's Blog, page 18

November 29, 2022

Quella proposta pazza e irragionevole per il mondo

di Costanza Miriano

Mi chiedo da un po’ che senso abbiano le spallate che la Pontificia Accademia per la Vita sta dando sul tema della contraccezione a Humanæ Vitæ con il volume Etica teologica della vita, pubblicato dall’Accademia ma contestato da diversi suoi membri. Recentemente con delle affermazioni pubbliche Monsignor Paglia ha adombrato la possibilità di un nuovo documento che potrebbe attenuare il divieto della Chiesa sulla contraccezione artificiale. Mi chiedo che senso abbia tutto ciò, dicevo, dal momento che la questione è purtroppo ampiamente superata nella prassi della stragrande maggioranza dei cattolici, con l’avallo di un gran numero di pastori.

Ci sarebbe tanto da dire nel merito, e sono certa che si dirà, perché c’è una Chiesa silenziosa che continua a fidarsi di Humanæ Vitæ, della teologia del corpo di Giovanni Paolo II. Un popolo che ha capito benissimo che il no alla contraccezione è un sì a una vita nella quale si lascia a Dio l’ultima parola, la possibilità di agire. Ne conosco tanti. È gente che ha scommesso tutto su Dio e vive nella libertà dei figli di Dio, in questa pienezza che sola può venire dalla certezza che ti dà la fede, non gente fissata con le regole come ci vogliono raccontare, pure certi pastori. È gente che non è, come viene dipinta, preoccupata dalle regole, costretta e soffocata dai limiti, ma gente con una marcia in più, perché sa in chi ha messo la sua speranza. Spesso sono famiglie numerose – ma non è detto, perché i figli sono un regalo, e Dio li distribuisce come è meglio – ma di sicuro sono famiglie tutt’altro che tristi e represse (catholics do it better!).

Entro nel merito solo in un punto sollevato dal documento a cui accennavo prima, il quale sostiene che anche i metodi naturali possono essere usati con una mentalità contraccettiva, e quindi tanto vale usare anche quelli artificiali (sintesi grossolana ma veritiera di una parte del documento). Ora, mi pare abbastanza evidente che anche il bene possa essere fatto con animo cattivo: posso per esempio fare l’elemosina solo per farmi vedere. È capitato anche a me. Oppure posso farla borbottando e dicendo che in fondo non è giusto, perché quella persona la povertà se la merita. Lo sappiamo che senza lo Spirito Santo “nulla è nell’uomo, nulla senza colpa”; ma ciò non toglie che fare l’elemosina è una cosa buona, e non farla è cattiva: c’è un bene e un male assoluti. È vero, si possono seguire i metodi naturali cercando di evitare i figli, ma: 1) non c’è niente di male nel cercare una genitorialità responsabile (“adesso non abbiamo le forze per un altro figlio”); 2) se rispetto i periodi fertili lascio sempre la possibilità a Dio di intervenire (“ma se arriva lo accogliamo a braccia aperte, sapendo che se Dio lo ha mandato, provvederà”).

Dicono i più attenti osservatori che l’obiettivo ultimo della inspiegabile critica alla contraccezione – critica inutile perché già superata nella prassi e nel sentire comune del sedicente cattolico medio – sia sdoganare l’omosessualità. Una volta rotto il legame inscindibile tra sessualità e possibilità di generare la vita, allora sarà tutto ammesso. La biologia non sarà più vincolante. E una parte della Chiesa lo vorrebbe – dicono – perché non sopporta di essere irrimediabilmente fuori moda. Allora insegue il mondo, a saldi finiti. E poi sappiamo che la mafia lavanda ha i suoi picciotti dappertutto.

Il fatto che secondo i sondaggi – ma da quando la Chiesa guarda ai sondaggi? A quello su Gesù e Barabba mi pare che abbiamo perso, eppure… – i cattolici siano favorevoli alla contraccezione dovrebbe far cambiare la dottrina? La stragrande maggioranza della gente è favorevole ai soldi, cambiamo il comandamento della carità? Che significa?

Non è difficile, ci dovrebbero arrivare tutti quei professori messi insieme: la Chiesa è maestra dalla cattedra, madre in confessionale; indica obiettivi alti, ma poi si china con misericordia sull’uomo che non riesce a raggiungerli, che per tutta la vita cercherà di farlo.

Ma io penso che, contraccezione a parte, il problema sia a monte. Il problema nasce quando la Chiesa vuole fare delle proposte ragionevoli, che possano andare bene a tutti. Perché secondo me in tanti non crediamo veramente, e quindi cerchiamo di mettere una spennellata di cristianesimo su delle vite che senza Cristo sarebbero comunque quelle. Vite in cui ci difendiamo, cerchiamo di non essere disturbati, minimamente toccati nelle cose più care, cioè l’affettività e i soldi.

È ovvio che il mondo non capisca il no alla contraccezione. Loro non credono che Dio si è fatto uomo, e si lascia mangiare nel suo vero corpo e vero sangue ogni giorno da noi. Non credono che quel corpo lì ha vinto la morte. E perché allora dovrebbero lasciare a lui la decisione sul loro piacere, sul numero dei figli, sui soldi, sulla loro vita? Non credono e quindi giustamente decidono da soli. In modo, in molti casi, onesto, ragionevole, e rispettabile. Ma quello che Cristo propone ai suoi è una cosa completamente diversa. Pazza e irragionevole per il mondo. Ci propone la croce, stoltezza per il mondo. Perché ci ostiniamo a conformare la proposta cristiana al buon senso, al parere comune? Non c’entra niente. E’ proprio un’altra cosa.

Noi andiamo a messa e siamo contemporanei di Cristo, e poi di Francesco, Caterina, Tommaso, Teresa d’Avila e Teresina, siamo in comunione con i santi, desideriamo vivere un’altra vita, è ovvio che la pensiamo diversamente su come gestire il corpo.

Il sacrificio di Cristo è davvero il compimento di tutta la storia della salvezza: in preparazione al prossimo Capitolo generale del Monastero wifi che sarà sull’Eucaristia propongo un viaggio n I segreti dell’ultima cena, di Brant Pitre, che spiega le radici ebraiche del sacrificio di Cristo. Un libro che aiuta a conoscere i simboli ebraici – lo può leggere anche chi sul tema è tabula rasa come me – e a cogliere con sempre maggiore consapevolezza che l’Eucaristia è ordinata alla croce, e la croce è ordinata alla risurrezione. Noi riceviamo l’Ostia, cioè la vittima, che è Gesù, come pegno della gloria eterna.

Altro che quello che ho sentito a una messa, a Verona: “prendete fratelli e sorelle (sorelle? Nel cenacolo?) questo è il SIMBOLO del mio corpo”! Mi dicono che quella messa non era valida, e mi dicono anche che in alcuni seminari c’è persino chi insegna così (ma io non posso pensare una cosa simile).

Io mi chiedo invece ogni giorno se ci credo veramente. Cioè ci credo con la testa, questo sì, ma vivo di conseguenza? No, la risposta è no, o sicuramente non abbastanza. E prego con don Dolindo: Gesù, pensaci tu. Sfondami il cuore, fammi il regalo della fede, ma di una fede retta. Però una cosa mi è chiara. Questa cosa in cui la Chiesa, come corpo mistico, crede, e in cui anche io come pecora scalcagnata voglio credere, non è ragionevole. È una pazzia. E dobbiamo smetterla di cercare di addomesticare quello che Cristo – attraverso la dottrina infallibile della Chiesa – propone ai suoi figli. Perché è per i suoi figli, la proposta, non per il mondo. I figli poi si faranno carico del mondo, ma non possono pensare di convincerlo.

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Published on November 29, 2022 14:00

November 28, 2022

IL SITO DEL MONASTERO WI-FI

 

https://www.monasterowi-fi.it/

 

di Costanza Miriano

L’Avvento è la venuta, ma è anche l’attesa. Ieri è iniziato un nuovo anno, comincia con l’attesa e la venuta di Gesù. Che è sempre nuovo, attuale, presente. Il tempo che comincia oggi non è la commemorazione della venuta di Gesù, ma è davvero una nuova venuta e insieme una nuova attesa, della comunione completa con lui, oggi, adesso, nel mio cuore; e della parusia.

La candela della corona che accendiamo oggi è la luce di Gesù che illumina il nostro cuore, ma anche il riaccendersi dell’attesa. E l’attesa si alimenta, come dice Gesù proprio nell’ultimo Vangelo dell’anno, quello di ieri, “vegliando in ogni momento e pregando”.

Per questo non possiamo immaginare un momento più propizio per lanciare il nuovo sito del Monastero wifi, proprio oggi nel giorno della Medaglia Miracolosa (ieri infatti il primo giorno dell’Avvento ha “prevalso” sulla festa della Medaglia, che possiamo celebrare oggi insieme a Santa Caterina Labouré. La Madonna è la mamma che ci invita a pregare sempre, e non possiamo che mettere sotto la sua protezione tutti i monasteri locali. Grazie al lavoro gigantesco e pazientissimo di Emanuele Ercoli e di Monica il sito adesso è aggiornato con tutte le notizie sui monasteri locali, che sono diventati – non ci posso credere – diciannove! E altri stano nascendo.

Il monastero (qui trovate altre notizie) altro non è che stare nella Chiesa, farci compagnia, incoraggiarci a riprendere il cammino con più vigore, farci insieme un promemoria continuo della necessità di pregare sempre, senza stancarci.

Cercate sul sito il più vicino a voi, e scriveteci a monasterowifi@gmail.com se invece siete in una città dove ancora non c’è un monastero, e avete voglia di farne nascere uno.

E per rispolverare la memoria, ecco cosa scriveva alla viglia del primo Capitolo Generale Laura Daretti, una della “sciatagalline” bionde con cui abbiamo cominciato questa incredibile avventura.

Ndr La sciatagalline è una che fa confusione nel pollaio e spaventa le galline, ma in realtà Laura è una efficientissima e super tecnologica mamma di cinque

 

 

***

In principio era Monica.Che poi a ben vedere io ho saputo della sua esistenza meno di due anni fa (in occasione del convegno sulla famiglia di Genova), l’ho visivamente acquisita a marzo dello scorso anno (quando ha presentato l’incontro di Costanza sempre a Genova, all’oratorio S. Filippo) e l’ho finalmente incontrata solo a luglio quando, non so bene in che modo, sono stata tirata dentro questa pazza impresa del Capitolo a Roma.Con Giuse invece ci conosciamo da più di vent’anni, complici i bambini e la spiaggia condivisa ma, pur avendola puntata subito come donna speciale e in sintonia, la nostra amicizia non si è mai seriamente approfondita fino a un pellegrinaggio a Medjugorje di due estati fa. E da lì è stato tutto un turbine di eventi.Maria Teresa invece era solo un profilo recentemente acquisito su Facebook, nominata ogni tanto da qualche illustre amico in comune, cosa che perciò aveva fatto alzare la mia soglia di attenzione. Poi Costanza l’ha aggiunta a una certa mailing list, 15 giorni dopo l’ho incontrata a Viareggio per la prima volta e un paio di mesi dopo condividevamo la stanza e le chiacchiere notturne come due adolescenti in vacanza.Con queste tre meravigliose e folli super mamme è iniziata l’avventura che ha condotto al Capitolo generale del monastero Wi-Fi. Sì, perché in realtà in principio non era mica una roba così esagerata. Monica aveva questa insistente idea di fare un incontro tra donne con Costanza, per condividere finalmente dal vivo pensieri e abbracci, fede e consigli… poi, visto che un’ennesima trasferta avrebbe potuto causare una minaccia di divorzio a carico di Costanza, ha pensato che potevano andare noi a Roma, semplificando così la logistica. Insomma, una cosina semplice: qualche decina di donne, in una data di bassissima stagione e strategicamente lontana da compleanni e ricorrenze familiari, una chiesetta per accoglierci e il gioco era fatto!Già… ma non era il nostro gioco! Perché subito le 2 o 3 amiche a cui ciascuna lo ha detto, non solo hanno aderito entusiasticamente, ma lo hanno spifferato ad altrettante 2 o 3 amiche e chi è un minimo pratico di matematica comprende al volo lo “tsunami numerico” che si stava generando.Così è arrivato il giorno del primo incontro tutte insieme a Viareggio, che ora che ci penso è stato anche il penultimo, perché tutta questa impresa si è costruita a forza di mail, conference call, whatsapp e messaggini.Sequestrata Costanza per un paio d’ore alla sua vacanza con la famiglia e occupato militarmente un divano di un prestigioso stabilimento balneare al misero prezzo di una coca zero, è cominciata la progettazione.Trovata la data, la prima domanda è stata: “Ma i mariti?”. Perché nel frattempo avevano subodorato il fermento che ribolliva e cominciavano a far domande. “Noooo, i mariti, no! È una cosa per donne! Cosa vuoi che interessi a loro?”.E invece interessava, eccome… così piano piano abbiamo capitolato sui mariti e progettato qualcosa che potesse soddisfare anche loro, decisamente poco interessati ad abbracci, chiacchiere e pareri sui pupi.Ma la domanda successiva era già lì in agguato: e i figli?!? Già, i figli. Se vengono anche i mariti, tanti non avranno dove lasciarli… ci vorrebbero un paio di ragazze per intrattenerli…E così, a 6 mesi dall’inizio, gli uomini hanno superato le 3 centinaia, i bambini sono più di cento e le baby sitter, scolte di gruppi scout della zona, un piccolo esercito.Insomma, la cosa ci è leggermente sfuggita di mano! Ma evidentemente la mano che gestiva la regia di tutto questo non era la nostra e quella folle idea iniziale in realtà ad oggi suona come una chiamata a farci strumenti per dare risposta a un bisogno profondo di tanti: quello di sentirsi parte di una fraternità che condivide la fede e il desiderio di declinare nella propria quotidianità una sorta di regola monastica laica, che altro non è che la nostra piccola,personale e ordinaria via di santificazione.
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Published on November 28, 2022 05:40

November 18, 2022

Vangelo e femminismo, una risposta a Michela Murgia

di Roberto Vivaldelli      fonte: IL GIORNALE

“Dio è queer e di conseguenza salverà il queer, perché le etichette limitano l’anima. È legittimo secondo la visione cattolica? Io credo di sì“. Parola di Michela Murgia. È uno dei passaggi “clou” – per modo di dire – della doppia-intervista pubblicata dal quotidiano La Repubblica alla scrittrice e alla fondatrice del Pd, Rosy Bindi. Tema: God Save the Queer. Catechismo femminista (Einaudi), l’ultima fatica letteraria dalla saggista e critica sarda, maître à penser della sinistra gauche caviar. Un dialogo, quello fra Murgia e Bindi, talmente politicamente corretto e intriso dei soliti cliché – nonché fintamente “ribelle” e anticonformista – da sconfinare nel grottesco. Ne abbiamo parlato con la giornalista cattolica e saggista, Costanza Miriano.

“Ma il Vangelo non c’entra nulla”

Nell’intervista a Murgia e Bindi, emergono tutta una serie di profonde contraddizioni. Come quando la scrittrice afferma che “Dio è queer e di conseguenza salverà il queer, perché le etichette limitano l’anima“. Prima afferma che le etichette sono limitanti, poi è lei la prima a darle. Ma ci sono molte inesattezze – per usare un eufemismo – dal punto di vista teologico. In generale, commenta Miriano, “mi sembra evidente che le categorie del Vangelo non c’entrino assolutamente niente con quelle del femminismo e con le rivendicazioni di classe e le etichette tipo queer. Gesù dice un sacco di volte e in tutti i modi che lui non è venuto a instaurare un ordine sociale diverso. È venuto a liberare l’uomo dal potere del peccato e della morte. Persino gli schiavi rimangono schiavi e San Paolo si raccomanda che lo siano nel modo migliore possibile. Capisco che queste siano categorie incomprensibile a chi non crede, e infatti io penso che chi parla di femminismo nel Vangelo non creda davvero nella risurrezione della carne, nell’inferno e in tutto ciò che la Chiesa ci annuncia“.

Come sottolinea la Miriano, la Genesi dice che Dio crea l’uomo “a sua immagine, maschio e femmina“. Non dice, sottolinea Miriano, “che l’essere immagine di Dio risieda, per esempio, nell’avere una coscienza, oppure l’intelligenza, o la capacità di linguaggio che ci distingue dagli animali. L’essere a immagine di Dio, dice la Bibbia, è nell’essere maschio e femmina“. Per questo la Chiesa, “nonostante i tentativi di chi la vuole usare politicamente” difenderà sempre “questa verità perché è la verità sull’uomo. Essere a immagine di Dio significa che noi ci completiamo solamente in relazione, come Dio che è Trinità“. Solo che finché siamo su questa terra, aggiunge, “la relazione alla quale siamo chiamati è quella sponsale, che nel caso del celibato si realizza in un altro tipo di sponsalità. Entrare in relazione con l’altro, uscire da sé, dare la vita“.

“Temi già sentiti negli anni ’70”

C’è poi il tema del linguaggio utilizzato da Murgia. Solo all’apparenza contemporaneo, fresco, innovativo. In realtà vecchio e vetusto. “Mi sembrano cose sentite tante volte, suonano molto anni ‘70” osserva la giornalista. “Ai ragazzi per esempio suscitano sbadigli, noia. Sono mamma di quattro circaventenni, e posso dire che sono avanti anni luce rispetto a simili rivendicazioni. Ma soprattutto, come dicevo, sono questioni noiose. Entrare in una relazione viva con Dio, con quello che ha creato l’universo, il lago Vittoria, l’Everest, e che dice di essere mio padre (quindi io sono di stirpe regale!), questa è una cosa che mi appassiona e mi interessa” osserva.

Un Dio, prosegue Miriano, “che risolve il problema ultimo che abbiamo tutti, la morte. Questa è una cosa che mi appassiona! Ma chi se ne importa del femminismo. Le donne oggi non sono in posizione subalterna, non sono vittime (ovviamente parlo in generale, poi purtroppo ci sono anche storie singole drammatiche). Ma oggi non c’è una questione femminile in Italia, né in Occidente direi“.

“Bene però che si cerchi la fede”

In generale, sembra esserci una vera e propria ossessione dei progressisti di voler far conciliare, forzatamente, le loro istanze con il cattolicesimo. Anche quando magari le due cose non possono evidentemente combaciare. Su questo, però, Costanza Miriano non è del tutto negativa e cede dei lati positivi. “Voglio adottare un pregiudizio positivo su questo. Secondo me in tanti, da destra e da sinistra, cercano di tirare la fede dalla loro parte perché in fondo intuiscono che qui c’è ‘roba buona’” sottolinea.

L’uomo, ogni uomo, rimarca, “ha nostalgia della verità, della bellezza, della grandezza. E la cerca come può. Auguro a chi cerca di diventare capace di trovare, di lasciarsi stupire da Dio, che è molto più grande e più bello delle nostre piccole battaglie“. Della serie, c’è speranza per tutti, anche per Michela Murgia e il suo vangelo femminista che femminista non è e non potrà mai esserlo.

 

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Published on November 18, 2022 13:13

November 17, 2022

Carriera Alias e tutela dei minori

Se un ragazzo vive una sofferenza, di qualsiasi genere, va affiancato con delicatezza e rispetto, ma sempre ricordando che è un ragazzo, e che probabilmente con quella sofferenza sta chiedendo una paternità e una maternità che non ha ricevuto, forse non come il suo cuore desiderava. La sofferenza di un ragazzo non è uguale a quella di un uomo. Abbiamo un compito educativo, davanti a un ragazzo che soffre, e se bisogna rispettarlo, senza dubbio, si ha anche il dovere di indicare la verità, più che con un adulto. Insomma, non ci si può limitare a stare accanto con delicatezza. Educare ha a che fare con “ducere”, guidare. Oggi sempre più ragazzi esprimono il loro disagio facendo fatica con la propria identità sessuale. La risposta però non può essere quella di assecondare questo disagio, significa dare diritto di cittadinanza a quella percezione di sé. Come spiegano i giuristi del Centro Studi Livatino, la carriera “alias” adottata da un centinaio di scuole in Italia è una procedura non prevista dalla legge né autorizzata dalle autorità competenti. Ma soprattutto al di là della legge chiediamoci: aiuta davvero una ragazza che si sente ragazzo il fatto di essere chiamata con un altro nome da maschio? Non rimarrà forse il suo dolore? Il tentativo di cambiare la realtà – siamo maschi o femmine – con la burocrazia è destinato a fallire, ma soprattutto è troppo poco. È piuttosto un modo di lavarsi le mani: pensi di essere un maschio anche se sei femmina? Ti accontento, fai come vuoi. Non credo che si risponda così a una sofferenza, troppo facile. L’articolo del Centro studi.

CARRIERA ALIAS E TUTELA DEI MINORIRagazzi all'uscita da scuola

In alcune scuole italiane è stata attivata la carriera alias, una procedura non prevista dalla legge né autorizzata dalle autorità competenti, che consente ai minori di far sostituire il proprio nome con un nome di elezione sui documenti scolastici e sui registri, senza necessità di allegare alla domanda documentazione medica o psicologica. Promossa come strumento di tutela dei minori, presenta tuttavia, ad un’attenta analisi diverse criticità, sia con riferimento al rispetto della normativa in materia scolastica, sia con riferimento ai principi che debbono sempre orientare le scelte in materia di minori. Più precisamente il rischio è che la carriera alias possa rafforzare negli adolescenti più fragili l’intenzione di intraprendere percorsi di mutamento del genere e di esercitare quindi, seppur indirettamente, una forma di pressione psicologica.

Da qualche settimana, con la riapertura delle scuole, si è ripreso a parlare di carriera alias, ossia di quella procedura che pretenderebbe di legittimare all’interno delle scuole di ogni ordine e grado l’uso da parte degli studenti di nomi di elezione, corrispondenti al genere a cui si sentono di appartenere, con la relativa alterazione dei registri e dei documenti interni alla scuola.

Al momento hanno aderito all’iniziativa circa un centinaio di scuole in tutta Italia, che hanno attivato la procedura applicando un regolamento ‒ non autorizzato dal Ministero dell’Istruzione o da altre Autorità competenti ‒ elaborato unilateralmente da un’associazione di attivisti LGBT. Il regolamento esclude la necessità di allegare alla domanda documentazione medica o psicologica, potendo pertanto essere proposta anche in assenza di previo consulto sanitario, sulla base di una “autodiagnosi” fatta dal minore.

Come si legge nel regolamento, l’obiettivo dichiarato dai sostenitori – fatto proprio dai dirigenti scolastici e dagli insegnanti che hanno dato seguito alla procedura ‒ è quello di «garantire a studenti con varianza di genere o trans, in tutte le loro diverse esperienze della scuola…la possibilità di vivere in un ambiente scolastico sereno, attento alla tutela della privacy e al diritto di ogni persona di essere riconosciuta nel proprio genere espresso…».

Premesso che le iniziative volte a promuovere il benessere psico-fisico dei minori sono senz’altro da apprezzare, è tuttavia necessario valutare sempre con scrupolosa attenzione quelli che potrebbero essere gli eventuali effetti di determinate scelte, proprio perché la tutela dei minori esige la massima diligenza e prudenza.

Occorre allora chiedersi se davvero la carriera alias nelle scuole sia uno strumento di tutela degli studenti con disforia di genere (o di quelli che si percepiscono in quella condizione) o se sia piuttosto uno strumento potenzialmente idoneo a rafforzare nei ragazzi, specie quelli più fragili, il proposito di iniziare un percorso di transizione di genere.

Su questo interrogativo – vista la delicatezza della tematica e i suoi effetti sull’intera collettività ‒ sono chiamati a riflettere tutti, soprattutto genitori, insegnanti e dirigenti scolastici, al fine di evitare di cadere in erronee convinzioni e di cedere a soluzioni che in apparenza appaiono buone ma che, ad una più attenta analisi, mostrano diverse criticità.

Ebbene, per capire se l’attivazione della carriera alias nelle scuole sia o meno opportuna, può essere innanzitutto utile considerare alcuni dati relativi alle richieste di transizione di genere da parte di giovani e giovanissimi. Negli ultimi dieci anni, nel solo territorio europeo, migliaia di adolescenti (soprattutto ragazze) hanno iniziato ad assumere ormoni e farmaci per bloccare la pubertà, ritenendo di sentirsi infelici a causa del “corpo sbagliato in cui si trovavano”. Molti di quei ragazzi hanno poi dovuto fare i conti con l’errore in cui erano caduti, spesso a causa dell’influenza esercitata dai social e dalla propaganda a favore dell’autodeterminazione del sesso: erano stati indotti a credere che il loro malessere si chiamasse disforia di genere e che l’unica soluzione fosse iniziare un percorso per cambiare sesso; in realtà il loro malessere era dovuto ad altro, in genere all’insicurezza tipica dell’adolescenza, che può portare spesso i ragazzi ad isolarsi e a credere di essere “sbagliati”.

L’età dell’adolescenza è infatti di per sé caratterizzata da cambiamenti fisici e psicologici che talvolta – complici le fragilità personali, la solitudine, il senso di inadeguatezza ‒ sono accompagnati da sofferenza e disperazione.

Come è emerso da diverse ricerche, gli adolescenti che si sentono inadeguati, soli o infelici cercano spesso rifugio nei social. Negli ultimi anni la rete è stata anche veicolo di una massiccia propaganda a favore dell’autodeterminazione del genere e delle pratiche per il cambiamento del sesso, fatta spesso da influencer (privi delle competenze mediche necessarie): messaggi e video in grado di coinvolgere emotivamente soprattutto i giovani più fragili, quelli che non si accettano per quello che sono, che non si piacciono e che – per il loro malessere ‒ sono quindi più vulnerabili e maggiormente esposti al rischio di essere ingannati.

Il problema è molto serio. Lo scorso anno in Francia medici, psichiatri infantili, avvocati, magistrati e filosofi hanno denunciato pubblicamente il preoccupante fenomeno di giovani e giovanissimi che si autoconvincono – senza certificazioni mediche o esami diagnostici ‒ che il loro malessere sia dovuto alla disforia di genere e che pertanto l’unica soluzione per stare meglio sia cambiare sesso, con il ricorso a trattamenti ormonali se non addirittura ad interventi chirurgici[1]. Accanto alla sofferenza dei ragazzi vi è poi la sofferenza dei genitori, che si trovano nella difficile condizione di capire se sia o meno giusto assecondare le richieste dei figli e cosa fare per tutelare la loro salute psico-fisica.

Pur nella specificità di ogni singolo caso, è sempre certamente opportuno che i genitori facciano sentire ai propri figli tutto il loro amore e la loro comprensione, proponendo però sempre il ricorso a specialisti ed evitando pericolose autodiagnosi.

Alla luce delle tante esperienze dolorose fatte da quegli adolescenti che hanno intrapreso percorsi di transizione di genere a causa di erronee convinzioni sull’origine del proprio malessere e che poi hanno dovuto fare i conti con gli effetti di quegli errori (talvolta drammatici ed irreversibili), va quindi senz’altro evitata qualsiasi forma di condizionamento o pressione psicologica.

Da qui il serio dubbio che la carriera alias possa considerarsi uno strumento di tutela dei minori, in ragione del fatto che, anche solo indirettamente, può contribuire ad alimentare negli adolescenti la convinzione di voler cambiare sesso, tracciando per loro un cammino da cui potrebbero poi difficilmente tornare indietro.

Bambini ed adolescenti con disforia di genere devono senz’altro sentirsi a proprio agio anche nell’ambiente scolastico, nonché essere accolti ed aiutati a superare le loro eventuali difficoltà, ma non attraverso procedure basate sull’uso di nomi fittizi, bensì attraverso il dialogo e la comprensione: i ragazzi con disforia di genere devono avere la certezza che possono manifestare il loro disagio ad insegnanti e dirigenti scolastici, i quali, assieme alle rispettive famiglie, potranno individuare le soluzioni più adeguate e rispettose della specificità di ogni singolo caso.

Ma non solo. La carriera alias presenta anche ulteriori criticità sotto il profilo giuridico.

Va infatti considerato che si tratta di una procedura che prevede l’alterazione dei documenti ufficiali della scuola, fra cui i registri di classe, che tecnicamente sono atti pubblici finalizzati a documentare gli aspetti amministrativi della classe e che in quanto tali, per legge, devono riportare l’elenco e i dati anagrafici degli alunni, le presenze, le assenze, eventuali note disciplinari ecc. Tutte le attestazioni contenute nei registri di classe, come affermato anche dalla Cassazione, sono espressione della pubblica funzione dell’insegnamento.

La carriera alias si pone quindi in contrasto con la legge e la sua attivazione, in base all’attuale normativa scolastica, è da considerarsi illegittima.

A tal ultimo proposito, occorre altresì riflettere sul fatto che inserire nei registri della scuola nomi difformi a quelli presenti sui documenti anagrafici e all’atto dell’iscrizione scolastica può avere delle conseguenze giuridiche, fra cui l’integrazione del reato di falso ideologico in atto pubblico previsto dall’art. 479 del codice penale. Gli insegnanti, infatti, nel compilare i registri, rivestono la qualifica di pubblici ufficiali. La Cassazione ha più volte ribadito che il dirigente scolastico o l’insegnante che altera i dati sui registri scolastici relativi a presenze, assenze, note disciplinari ecc. commette il reato di falso in atto pubblico in quanto la condotta è tale da ledere la pubblica fede, ossia la fiducia che la collettività ripone sulla veridicità di quel determinato atto.

L’attivazione della carriera alias è dunque illegittima ed è del tutto improprio il riferimento fatto da alcuni all’autonomia scolastica per giustificarne l’introduzione.

L’autonomia scolastica non consiste infatti nella libertà di autodeterminazione delle politiche e dei percorsi formativi, ma nella flessibilità di operare all’interno di un quadro normativo precostituito dai soggetti titolari di potestà legislativa ex art. 117 cost. (Stato, Regioni, Province Autonome). Ciò significa che l’autonomia è concessa alle scuole non per fini generali ma in funzione della realizzazione degli obiettivi di educazione, formazione ed istruzione fissati dalla legge, nonché nel rispetto della libertà di insegnamento e della libertà di scelta educativa delle famiglie.

Va inoltre considerato che i dirigenti scolastici hanno il dovere di astenersi dall’introdurre nelle scuole insegnamenti o procedure contrarie alla normativa in materia scolastica. A tal ultimo proposito giova ricordare che il MIUR, con la circolare n. 1972/2015, ha ribadito che non rientra tra le finalità dell’insegnamento scolastico «promuovere pensieri o azioni ispirati ad ideologie di qualsivoglia natura», affermando chiaramente che «tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né l’ideologia gender né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo»[2]. Le scuole devono inoltre garantire un’offerta formativa che valorizzi – come si legge anche sul sito del Ministero dell’Istruzione ‒ «l’educazione alla convivenza civile e alla legalità», astenendosi dal dare – anche solo indirettamente – orientamenti ideologici.

Educare alla legalità significa innanzitutto dare il buon esempio, rispettando le regole e le leggi. Chiediamoci allora se possa dirsi corretto, sotto il profilo educativo, introdurre nelle scuole procedure che contrastano con la normativa scolastica.

Chiediamoci, inoltre, più in generale, se l’attivazione di procedure come la carriera alias rientri tra le competenze scolastiche e sia conforme alla funzione della scuola.

Per rispondere a questo interrogativo può essere utile ricordare quanto enunciato dall’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, secondo cui «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente». Come noto, rispettare l’interesse del minore non significa assecondare passivamente le sue richieste o i suoi desideri, bensì individuare la soluzione migliore per il suo sano ed equilibrato sviluppo psicofisico, anche attraverso un giudizio prognostico.

La tutela degli studenti con disforia di genere o di quelli che si credono tali – così come peraltro la tutela di tutti gli studenti, specie quelli più fragili o in difficoltà ‒ va garantita attraverso il confronto, la comunicazione rispettosa, la comprensione, la condivisione fra gli studenti e non già attraverso l’attivazione di pratiche dagli effetti dubbi e dai potenziali rischi per la sana ed equilibrata crescita psicofisica dei minori.

Per il principio di precauzione, infatti, nell’incertezza che una determinata procedura possa anche solo potenzialmente nuocere ai minori, è necessario astenersi dall’intraprendere qualsivoglia iniziativa ed attendere semmai l’intervento del legislatore o delle Autorità competenti.

                                                                                      Daniela Bianchini

[1] L’articolo è consultabile al seguente link: https://bit.ly/3WDBQNi

[2] Per il testo della circolare, cfr. https://www.istruzione.it/allegati/2015/prot1972.pdf

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Published on November 17, 2022 05:31

November 14, 2022

Il vecchio e il male. Un passo sulla vecchiaia

Anche quest’anno tornano i Cinque Passi al Mistero di padre Maurizio Botta

Se i vecchi sono disperati i giovani potranno essere felici?

Il primo passo sarà Sabato 19 Novembre 2022 alle ore 16:00 alla Chiesa Nuova e si parlerà del tema della vecchiaia.

L’incontro verrà trasmesso anche in streaming sul Canale YouTube di Oratorium: per visualizzare il video in diretta sarà sufficiente cliccare sul seguente link.

Vi ricordiamo che potete scaricare e ascoltare in podcast tutti i Cinque Passi degli anni passati, semplicemente cliccando sul seguente linkVi auguriamo un buon ascolto!

***

I “Cinque passi al Mistero”, sono un ciclo di catechesi per giovani e adulti, che si svolge ormai da dieci anni presso la parrocchia S. Maria in Vallicella – Chiesa Nuova di Roma
Lo spirito è volutamente quello di mettersi in dialogo con le persone che si sentono più lontane dalla Chiesa, offrendo loro una spiegazione pacata di quelle che sono le ragioni della fede su vari argomenti.
Sono i giovani dell’Oratorio a segnalare i temi di frontiera, quelli più “caldi” e che magari tengono più lontane le persone.
Il metodo è sempre lo stesso: una introduzione di mezz’ora esatta,  a cui seguono le domande scritte presentate in forma anonima ed estratte a caso.
Si rinnova così una tradizione nata fin dal XVII secolo. I discepoli di San Filippo Neri, infatti, si confrontavano con la società e con la cultura dell’epoca, mostrando la validità della prospettiva della fede a coloro che erano aperti a comprenderla, in un’epoca nella quale già si manifestavano gli albori dell’età moderna.
Oggi abbiamo lo stesso atteggiamento.
I nostri incontri sono basati sul dialogo, e sulla possibilità di porre qualsiasi domanda tesa a capire meglio il pensiero della Chiesa. L’elemento dell’improvvisazione, del non preparare tutto, si ritrova anche nei sermoni di S. Filippo e nasce dall’atteggiamento spirituale di fidarsi della parola di Gesù: quando vi trascineranno nei tribunali – e questo tipo di incontri aperti un po’ lo sono – non preparate prima la vostra difesa perché sarà lo Spirito a suggerirvi cosa dire.
S. Filippo insegna a fidarsi di Gesù come un amico e un faro che illumina il cammino, senza paura di andare “disarmati” a spiegare le proprie ragioni.
Sappiamo che c’è una grande sete di confronto.
E non è facile trovare spazi costituiti da un terzo di catechesi e due terzi di domande né persone disposte a mettersi in gioco senza sapere su cosa si verrà chiamati a rispondere.
Cerchiamo sempre di usare la ragione come strumento di dialogo che accomuna chi crede e chi non crede.
La Fede non umilia mai la ragione e rendere ragione della speranza che è in noi, come insegna la Parola, è l’unico mezzo per spegnere il livore che ostacola proprio l’uso di quella ragione in nome della quale si vuole mettere da parte la fede.

 

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Published on November 14, 2022 02:12

November 3, 2022

Il solo sguardo dal quale dobbiamo dipendere

di Costanza Miriano

Non posso smettere di preoccuparmi per le ragazzine della ginnastica che hanno denunciato abusi e pressioni psicologiche fortissime, perché fossero magre in modo innaturale, avessero orrore di un corpo normale; prese in giro, insultate, esposte al ludibrio delle altre se avevano mezzo chilo sopra le ossa; definite maialina, ippopotamo perché osavano mangiare una pennetta in più dopo otto ore di allenamento (i miei figli scuoiano il cinghiale dopo otto ore seduti). Tesorine, vorrei abbracciarle strette!

Penso a loro che hanno denunciato e se ne sono andate, e a quelle che sono rimaste. Ovviamente non sarà per tutte così, ci sono sicuramente anche tanti allenatori e allenatrici bravi, che sanno guardare a ogni atleta prima di tutto come una persona. Mi dispiace anche per la pesante ombra che questa storia getta su chi non c’entra niente, e lavora da una vita seriamente, con lo stile giusto. Però non posso smettere di pensarci. Ho visto anche il video di un padre/allenatore di tennis che prende a calci e schiaffoni la figlia, e lei non osa ribellarsi. Non osa perché un padre e insieme un allenatore sono una figura troppo forte per una ragazzina. C’è un bisogno viscerale di “piacere”, nel senso di accontentare, di essere all’altezza, di essere brave. C’è in ogni ragazzina (molto più che nei maschi, dove a contare di più è la competizione) e in ogni ambito, ma con l’allenatore (a maggior ragione se genitore) si instaura una sudditanza psicologica fortissima, non ci si riesce a ribellare: l’adulto deve essere molto attento e leale, e non sfruttare la sudditanza per il suo desiderio di affermazione e di potere.

Sono stata anche io una ragazzina che faceva agonismo (atletica leggera, mezzofondo), e ho avuto anche io un allenatore che mai al mondo avrei voluto deludere. Mi sarei fatta staccare una gamba per obbedire alle sue indicazioni. Ma lui non ne ha mai approfittato: era (anzi, è, allena ancora e non credo proprio abbia cambiato stile) esigente ma sempre rispettoso delle caratteristiche e dei limiti di ognuno. A volte lo avrei ammazzato, mi veniva a suonare la domenica mattina con meno due gradi per “andare a fare una corsetta”, dovevo abbandonare il piumone e vestirmi in tre minuti andando incontro alla sorte ignota, che magari erano ventidue km nella campagna umbra, col ghiaccio che scricchiolava sotto i piedi e le mani viola di freddo. Quando non c’erano cellulari e partivamo verso l’ignoto, un gruppetto di quattro o cinque ragazzi, sperando di avere capito bene la strada. Era duro, ma mai offensivo, ci voleva bene come un padre, e infatti io per anni mi sono sbagliata e quando ero sovrappensiero ho chiamato “Moreno” tutti i capi che ho avuto. Era un capo vero, uno che ti spingeva a dare ma ti rispettava sempre. Gli devo un sacco di cose, soprattutto la certezza che la fatica si affronta sempre, a testa bassa, senza lamentarsi (non era mica mio marito, con lui sì che posso lamentarmi). La fatica poi a un certo punto finisce, e poi paga, paga sempre.

Un allenatore ha un potere enorme su una ragazzina, e bisogna stare molto attenti, custodire con cura la fiducia ricevuta. Bisogna aiutare con delicatezza chi è stato abusato anche solo psicologicamente. Una delle ragazze ha raccontato di essere stata a un passo dall’uccidersi, due volte, e non stento a crederlo.

Auguro a queste ragazze e alle tantissime che vivono drammi simili (quanti abusi negli spogliatoi, anche sessuali!) di avere la forza di chiedere aiuto, e di trovare qualcuno capace di darne. Ma soprattutto auguro a loro e a tutti noi di capire che c’è un solo sguardo dal quale dobbiamo dipendere. Lo sguardo del Padre innamorato di noi. Di essere capaci di dire a Dio “Io sono tu che mi fai” e di farci guarire da quello sguardo amante, quello che non solo conosce tutti i limiti, ma ce li ha regalati per la nostra salvezza.

 

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Published on November 03, 2022 11:53

November 1, 2022

Chi lascia la propria vita la troverà

di Sara Nevoso

Cara Costanza,

che pasticcio.

Quando ci siamo addormentati così profondamente? Perché abbiamo ignorato le sveglie che hanno cominciato a suonare tempo fa’?

In un’epoca storica difficile (forse come tutte o forse un po’ di più), così piena di sfide e di drammatiche realtà, lo scontro è sulla bellezza della vita, sul diritto a nascere, sull’accettare che amore ed esistenza siano indissolubilmente legati tra loro, sulla certezza che, comunque sia, ne valga la pena.

Da quando il “perché tu vali” si è trasformato in “perché tu vali più di chiunque altro”, anche più dei tuoi figli, della tua famiglia, dei tuoi genitori?

Da quando i bambini sono diventati bambolotti da vestire per mirabolanti servizi fotografici e poi bambolotti da dotare di dispositivi elettronici che li tengano zitti e buoni dentro i loro passeggini ultraleggeri, mentre le nostre anime ultrapesanti continuano a cercare su un altro schermo immagini, solo immagini, che scorrono veloci sotto i nostri occhi opachi?

Da quando abbiamo smesso di raccontare le favole ai nostri figli? Perché abbiamo preferito raccontargli che il lieto fine non esiste, che nulla è per sempre, che Cenerentola e Biancaneve sono da superare e i principi azzurri non sono niente di speciale.

Da quando abbiamo deciso di non provarci nemmeno a dirgli che il sesso senza l’amore, senza un progetto, senza il discernimento, è solo la soddisfazione di un istinto, di una pulsione effimera; da quando abbiamo deciso che raccontargli che amore e sesso insieme sono esplosivi perché possono creare vita, fosse banale, fuori tempo, inutile?

Da quando abbiamo smesso di fare i genitori, gli insegnanti? Perché ci stanchiamo così presto di dialogare con i nostri figli? Perché li consideriamo spesso casi persi? Perché li abbiamo confusi così tanto sui nostri ruoli? Così tanto da riuscire a fargli pensare che sei uomo o donna per un accidente e per una costruzione culturale e in fondo niente è definitivo, e la scienza può fare qualsiasi cosa.

Perché sbandierare un orgoglio legato alle proprie preferenze sessuali? Sono quelle che definiscono un essere umano? Il dizionario definisce l’orgoglio come sentimento unilaterale ed eccessivo della propria personalità, che isola l’individuo o ne altera i rapporti sociali, è questo che speriamo per i nostri figli?

Perché non proviamo a dirgli che il mondo ha bisogno di loro proprio così come sono, che le loro vite, i loro tratti, i loro difetti, sono un miracolo, un assurdo, irripetibile miracolo che ci ha riempiti di così tanta felicità che saremo sempre in debito.

Forse perché vogliamo essere eterni giovani, figli di noi stessi, alla ricerca di una felicità che non sappiamo neanche più cosa sia. Forse perché abbiamo cancellato dalle nostre menti il fatto che un Padre ce l’abbiamo; che la vita a disposizione di ciascuno è una e finirà; che siamo quello che abbiamo costruito nelle nostre relazioni; che quello che siamo oggi, qui, ora, è quello che sarà ricordato di noi perché non è vero che abbiamo tutto il tempo del mondo e non è vero che non rischiamo di perderci.

Da quando le mamme hanno cominciato a non fare altro che lamentarsi, a mettere insieme tutte le sofferenze, ad assolutizzare comprensibili momenti di sconforto, a raccontarsi solo le rinunce, le difficoltà di maternità che sembrano condanne e non benedizioni?

Forse da quando hanno messo il lavoro davanti a tutto? Forse da quando hanno cominciato ad invidiare senza accorgersene donne che possono avere tutto: corpi meravigliosi dopo le gravidanze, vacanze rilassanti nonostante il pianto dei figli neonati, mariti presenti disposti a regalare un diamante per ogni piccola crisi, tate, case dove perdersi quando si vuole con tutte le proprie forze stare da sole, mezzi di trasporto per ogni spostamento, scarpe e borse di tutte le sfumature?

Dove sono gli uomini pronti a sostenere le donne, a leggere nei loro cuori e dire loro: “io sono con te e quindi andrà tutto bene”, pronti a promettere felicità, fiducia, amore per sempre, coraggio, magari senza cambiare pannolini ma disposti a donare se stessi per custodire le loro famiglie?

Forse li abbiamo spaventati, ricacciati indietro come un esercito di barbari, retrogradi e maschilisti; abbiamo cancellato il loro ruolo da un gioco delle parti che senza regole non è affatto divertente.

Da quando mamme di meravigliosi bimbi sentono il dovere di battersi per il diritto all’aborto? Come può una madre sponsorizzare la falsità su un tema così alto? Perché arrivare a svilire, cercare di annullare quel grumo di cellule che era proprio tuo figlio?

Il punto non è se a dieci settimane al microscopio possiamo vedere un minuscolo bimbetto già formato o un insieme di cellule simili al cotone.

Un figlio è un momento.

Il momento del concepimento attiva lo sforzo universale e senza tempo del formare una nuova vita: tenace, testarda, forte, che da quell’istante lotterà per venire alla luce senza considerare se quel momento è stato romantico o terribile o distratto.

Ma è una vita indifesa.

Perché non consideriamo che spesso l’aborto nasce da un problema sociale, nasce dalla distribuzione della ricchezza così squilibrata da non riuscire neanche più ad analizzarla.

Perché facciamo finta che nella maggior parte dei casi il desiderio di abortire non nasce nel cuore distrutto di una donna vittima di violenza, ma nel cuore confuso di una giovane donna che ha regalato se stessa alla persona sbagliata, o nel cuore disperato di una donna che ha già dei figli che non riesce nemmeno a vestire per l’inverno, o nel cuore impermeabile di una donna a cui è stato ripetuto: “non preoccuparti, va bene così, era tuo diritto divertirti, il corpo è tuo, è tuo diritto uccidere la vita imprudente che si è attaccata al tuo ventre”?

Da dove nasce questa rabbia dei giovani quando non vogliono vedere toccato il diritto ad annullare l’esistenza?

Forse gliel’abbiamo detto noi che la vita è senza senso, è un passaggio da compiere distratti da più divertimenti possibili, sguardo basso perché in cielo non c’è niente e nessuno, gettare la spugna quando le cose si mettono male, magari farla finita prima del tempo quando la sofferenza è troppa, quando ne abbiamo abbastanza.

Ma perché siamo arrivati ad averne abbastanza di vivere?

Dobbiamo rifletterci e dobbiamo rovesciare la prospettiva, perché se c’è una cosa di cui dovremmo essere certi in quanto cattolici è che siamo sempre in tempo per far vincere il Bene.

Abitavo davanti ad un ospedale e i giorni in cui vedevo uscire una mamma con il suo bambino mi fermavo ad osservare quello sguardo stanco e potente, così fiero, così tenero, così proteso verso quella vita tanto grande e al tempo stesso tanto piccola da stare rannicchiata tra le sue braccia.

Era sempre lo stesso sguardo: nelle mamme dolcemente sorrette da un uomo pronto a prendersi cura di loro, e nelle mamme sole, alla ricerca di un taxi che potesse accompagnarle a casa.

E’ lo sguardo che sicuramente avevo io quando sono nati i miei bambini: nasceva dalla sensazione di aver fatto una cosa assurdamente grande: dare la vita.

E’ lo sguardo che ha ogni madre adottiva quando porta a casa un piccolo che nascerà una seconda volta, dimostrando che non è nato per errore, ma per grazia, come tutti.

Dare la vita. E’ questo forse il nodo del problema. Non vogliamo più dare la nostra vita per nessuno, perché è nostra e basta, e non ci crediamo che spenderla per gli altri la renderà così piena di senso e di gioia che non ci ricorderemo neppure delle notti in bianco, della stanchezza che ti abbatte, dell’ansia che ti prende ad ogni colpo di tosse.

Chi lascia la propria vita la troverà.

Ho sempre pensato tanto a questa frase di Gesù. E’ tra quelle che sembrano “troppo”, quelle che ti fanno dire: “non ce la farò mai, ma dove voglio andare?”, e quindi è carica di verità.

Troveremo le nostre vite quando le metteremo al palo, quando le lasceremo per gli altri, per i nostri figli, per le persone che ci amano e per quelli che non ci amano, per quelli che ancora non conosciamo e che incroceremo sulle nostre strade se avremo gli occhi e il cuore aperti.

Perché ognuno di noi vale tantissimo, ma riflesso negli occhi di un altro vale infinitamente di più.

 

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Published on November 01, 2022 06:55

October 25, 2022

I sette peccati capitali e il peccato della Superbia #monasteroWiFi

Per questo anno di incontri dopo il Capitolo generale sulla confessione noi al capitolo romano (scopiazzando i mitici confratelli bolognesi) abbiamo programmato i primi sette incontri sui peccati capitali. Gli incontri si svolgono al battistero di San Giovanni in Laterano, il primo lunedì del mese, con spuntino iniziale per fare due chiacchiere alle 20.15/30, e inizio della catechesi alle 21; a finire adorazione e compieta. Qui la trascrizione del primo incontro, tenuto da don Antonio Grappone sulla superbia (cosa che non mi riguarda minimamente, anche se è difficile essere umili quando si è me).Il prossimo sarà lunedì 7 novembre.Per questa volta ci sposteremo in sala Tiberiade – stesso cortile del retro del Battistero dal quale entriamo di solito – perché all’ultimo incontro eravamo in troppi per la chiesa, per le prossime si vedrà. Si può parcheggiare.L’incontro sull’avarizia sarà tenuto da padre Marco Pavan.

CATECHESI del 3 Ottobre di don Antonio Grappone :
I sette peccati capitali e il peccato della Superbia .

Sapete che le pie donne del monastero wi-fi, qui presenti, hanno pensato di fare i vizi capitali, agganciandosi anche un po’ al tema di quest’anno che è stata la confessione. Quindi trattasi di peccati, vizi e cose del genere…quindi c’entra la confessione e a me è toccata la superbia.
Non pensate che sia a caso… già una monaca in particolare del monastero wi-fi sostiene che sia un mio tratto caratteristico…e in effetti la conosco bene “sta’ roba”!

Questo ciclo meritava un incontro introduttivo per entrare nel tema che è non è semplice.
Non è forse chiarissimo che collocazione hanno i sette vizi capitali: se voi prendete il catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1866 trovate un paragrafetto sui vizi ai capitali, dove praticamente li elenca e basta.
(CCC 1866 I vizi possono essere catalogati in parallelo alle virtù alle quali si oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l’esperienza cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni Cassiano e san Gregorio Magno. Sono chiamati capitali perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia, l’avarizia, l’invidia, l’ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o accidia.)

Come mai?
Perché, se vedete come è fatto il catechismo, il catechismo affronta il problema morale cristiano.
“La vita in Cristo”,
si intitola così tutta la sezione, non si basa su questo settenario dei vizi ma sui 10 comandamenti, che analizza.
Poi c’è una piccola sezione, “Proliferazione del peccato” che parla dei vizi capitali, quindi in primo luogo bisognerebbe vedere di cosa si tratta e che funzione hanno, perché la chiesa fa questa catechesi che ha origine nella chiesa antica.

La prima formulazione diciamo di otto pensieri, li chiamava così, da affrontare nella vita cristiana è di Evagrio Pontico, uno che è morto nel 399, a sua volta ispirato ad Origene, che era del terzo secolo: era gente che rifletteva molto su se stessa.

Il fatto che il catechismo, avendolo inserito nella sezione morale, ne parla poco significa che questo argomento non riguarda tanto la morale cristiana, ma riguarda la spiritualità cristiana.

Il primo ad avere questa idea è stato un monaco e poi, quello che l’ha esportata in occidente è stato Cassiano, un monaco egiziano che si è trasferito in occidente. Poi chi l’ha lanciato con forza nella nostra trazione latina è stato Gregorio Magno, e poi l’elenco esatto come lo conosciamo noi è stato rilanciato da S.Vittore, anche se ce ne sono delle varianti, poi si afferma con S.Tommaso d’Aquino.

Allora questa origine non riguarda tanto la morale, che è importantissima: la morale cristiana è una risultante, un effetto del rapporto con Gesù Cristo.

Un cristiano non parte dalla morale. Era Pelagio che pensava così, erano ii famosi pelagiani.

Un cristiano parte dal rapporto con Cristo e se non matura in questo rapporto, se non cresce nell’amore al Signore, anche quando acquista una virtù, diceva S.Agostino, finirà per essere un’ipocrisia, perché lo fa per gonfiare se stesso.

Se l’uomo è così onesto diventa però orgogliosissimo perché ha raggiunto qualcosa. Lo stesso se quell’uomo è così casto…
Pur se sono vere, se queste virtù non nascono dall’amore, dall’amore a Cristo e quindi al prossimo, diventano delle gabbie invece che degli strumenti di libertà.

Allora, vi dicevo, nella spiritualità cristiana, Evagrio Pontico elenca otto pensieri che affliggono il monaco.

E li racconta uno che ha avuto una vita molto travagliata da giovane: è diventato un diacono, molto intelligente, alla scuola dei padri Cappadoci di Gregorio di Nazzianzio (prima di Basilio, poi di Gregorio di Nazzianzio), è presente al Concilio di Costantinopoli (quello del Credo della Messa, nel 381) e poi però ha un problema abbastanza grave con una donna quando era già diacono. Allora scappa via, si nasconde, arriva a Gerusalemme, entra in un monastero, e poi da lì decide di fare vita eremitica e da solo, solo nel deserto, fa una grande riflessione su cosa c’è nel cuore umano.

Cosa trova?
Trova una miriade di demoni, lui li chiama, così, perché associa ad ogni pensiero cattivo un demonio. C’è quindi un esercito di demoni che lui dice si possono ricondurre ad otto pensieri fondamentali, otto pensieri cattivi fondamentali.
Rispetto al nostro elenco dei sette vizi capitali è sdoppiata la vanagloria-vanità  al posto di superbia, sono quindi due e non c’è l’invidia ma c’è la tristezza, e così sono otto con piccole varianti.
Naturalmente poi l’accidia si sovrappone con la tristezza, insomma ci sono poi dei cambiamenti in occidente, specie con Gregorio Magno e diventano sette.
Anche questo è significativo perché sette è un numero di completezza nella Bibbia: il mondo è stato creato in sette giorni, sette sono le richieste del Padre Nostro, per chiedere tutto a Dio e così via; l’Apocalisse è piena di settenari e sette sono i popoli nei dieci che occupano la Terra promessa; quando Israele passa il Giordano, entra nella Terra promessa ma non è subito a portata di mano, deve affrontare sette popoli nemici, allora il cristiano riceve il battesimo, passa il Giordano ma non avrà vita facile perché deve affrontare questi sette nemici, questi sette popoli; allora questa è la collocazione.

Finisco e poi subito parliamo della Superbia, ma questa è la collocazione di questi vizi capitali.
Allora, la spiritualità è il combattimento spirituale, da cui nessuno è esente se è cristiano.

Vizio significa debolezza; se ho un braccio viziato non lo posso usare neanche per sollevare un piccolo peso; mentre Virtù, “Virtus”, significa forza ed è quella che anima la nostra interiorità; più uno è debole meno è padrone della sua virtù; più vizi ha, meno vive ma si fa vivere da altro, questo significa.
È una sofferenza forte avere veramente dei vizi; questi pensieri, questi vizi, ci inclinano verso i peccati, però a noi interessa soprattutto il combattimento spirituale perché questi pensieri, queste tentazioni, non passino, non ci vincano; oppure, qualora ci abbiano vinto ci interessa potercene liberare con il combattimento necessario; questa è la loro collocazione.

Vizi Capitali, non perché siano gravissimi, ci sono altre cose gravi, ma perché stanno all’origine di tante cose; oggi vediamo un po’ a quanti atteggiamenti sbagliati da origine la superbia, quanto produce… questo è il senso, inquadriamolo così.
Allora, il combattimento spirituale suppone, cosa che oggi non si dice mai, il discernimento; altra parola inflazionata, dentro e fuori della chiesa, con risultati diciamo non sempre così precisi.
Oggi si parla di discernimento, certamente quando uno deve discernere la propria vocazione; si parla persino di discernimento comunitario. Quando c’è una decisione da prendere si parla di discernimento ma in realtà è quella una fase successiva.

Il discernimento, è capire, quello che stai pensando adesso, il tuo stato d’animo, l’immagine che ti porti dentro, le tue emozioni, da dove vengono? Vengono da Dio o vengono dall’altra parte, dal nostro nemico?

Se non abbiamo questa luce, non possiamo decidere nulla veramente.
Infatti si chiama discernimento degli spiriti. Non date ascolto ad ogni spirito” dice Giovanni: spirito significa “ispirazione” in quel caso.
Allora con questa realtà delle tentazioni ci dobbiamo confrontare continuamente; adesso per esempio stai pensando… “ma guarda questo cretino, quando parlerà della superbia?”
Questa cosa viene da Dio? O è qualcosa che devi combattere per poter sentire cosa ti dice lo Spirito Santo?

Allora, è una cosa con cui ci dobbiamo confrontare sempre e di questo marasma interiore, che non tace mai e con cui dobbiamo per tutta la vita fare i conti, di questo parlano i sette vizi capitali; sono riconducibili a questi sette atteggiamenti ed è il combattimento, conquistare la Terra promessa, che il Signore ci dà come una Grazia.

Il Signore, che ti ha creato senza di te“, dice Sant’Agostino, “non ti giustificherà, non ti salverà, senza di te

Autore della nostra Salvezza è Gesù Cristo, senza il quale, nessuno si salva, ma Gesù Cristo vuole renderci partecipi di questa salvezza con la nostra libertà e allora è necessario il combattimento cristiano.

Per parlare della Superbia e non dire sempre le stesse cose, ho pensato di far riferimento ad un autore classico, S.Bernardo di Chiaravalle. Lui ha scritto un libro: “I dodici gradi dell’umiltà e della superbia”, ed io parlo della superbia.

Collochiamolo un attimo nel suo posto.
Siamo nel dodicesimo secolo e il monachesimo è in piena esplosione con tutta la sua forza. Ora è in crisi nera ma all’epoca era fortissimo.
Migliaia e migliaia di monaci riempivano l’Europa, decine di migliaia, erano i monaci neri (abito nero ndr), i monaci benedettini; c’era un centro ispiratore, che già dal X secolo è stato un propulsore formidabile della riforma della chiesa: Cluny in Borgogna (tra l’altro lì hanno inventato dei vini buonissimi). Era un faro di civiltà: monaci che pregavano tantissimo, e studiavano e copiavano codici e che hanno elevato il livello culturale in maniera impressionante.
In questo contesto, qualche monaco è sempre stato un po’ ribelle, un po’ di monaci si staccano e vogliono vivere con più semplicità la regola di san Benedetto: nascono i cistercensi ; quindi un gruppetto di monaci fonda questo monastero nuovo, staccandosi dai monaci di Cluny che riempivano l’Europa, lavorando molto di più con le proprie mani e meno di penna e intellettualmente; costruiscono i loro monasteri in zone paludose proprio per lavorare di più, per bonificarle.
Se andate a Fossanova per esempio, questi posti così.
San Bernardo non è il fondatore di questo movimento monastico, ma è il più grande, diciamo, della prima generazione. Lui entra giovanissimo, si sente attirato. Era un nobile, si sente attirato da questa vita povera, difficile, una sfida.
Lui ha un grande carisma, è un trascinatore e si porta dietro più di trenta parenti, tra cui cugini, fratelli, zii, dentro il monastero; ha delle doti fortissime, grandissime, e quindi c’è grande sviluppo del monachesimo cistercense: i monaci bianchi si chiamano, perché hanno questo saio bianco, diverso dai monaci neri..
Perché dico questo?
Perché lui affronta nella predicazione questo tema; questo tema , capitolo 7 della regola di san Benedetto, ci sono i 12 gradi dell’umiltà, la scala dell’umiltà , i 12 gradini dell’umiltà.  Ma per commentarli Bernardo parla si dell’umiltà, ma poi soprattutto della superbia.

Per due ragioni : prima di tutto perché, avendo tante doti e tante qualità umane, e tanti carismi da Dio, l’ha combattuta tutta la vita la superbia: per quest’uomo, era la sua tentazione costante. E poi perché non si diventa umili senza combattere la superbia.
Non è che stiamo in un campo neutro, davanti l’umiltà di qua, e di là la superbia, ma noi siamo immersi nella superbia e uscire dalla superbia è l’umiltà.

Nessuno è umile, perché c’è il peccato originale di cui siamo liberi dalla colpa ma la tendenza rimane, la concupiscenza.
Il peccato originale è un peccato di superbia
, il peccato di Lucifero, che ha pensato di attribuire a se stesso tutti i doni straordinari che Dio gli aveva fatto; di Lucifero e dei suoi angeli, per cui è decaduto e ha coinvolto l’umanità in questo atteggiamento.     (sapete il racconto di Genesi).

Alla base di ogni peccato c’è un atto di superbia, anche il più stupido.
C’è sempre un moto dentro di noi che, pur sapendo, pur conoscendo la volontà di Dio , deliberatamente la ignora, preferendo la propria.  Io capisco più di Dio.
C’è anche nel più piccolo peccato: è un meccanismo rapidissimo, a volte inconsapevole, però c’è dentro.

Allora la superbia ha una collocazione particolare. Infatti quando san Tommaso d’Aquino elenca i sette vizi capitali, non dice “superbia” , dice “vanagloria”, perché la superbia-vanagloria è la radice di ogni peccato.
Allora, come lo tratta… c’è anche il salmo… salmo 19, o 18 nella numerazione originale della chiesa :

anche dall’orgoglio salva il tuo servo”,…… “ allora sarò irreprensibile, sarò puro dal grande peccato”.
Nella Scrittura la superbia è il grande peccato.  Allora come S.Bernardo lo affronta  vi dicevo con i 12 gradi, non abbiamo molto tempo… allora se li leggete, leggeteli se vi capita, è interessante.
Però, se uno non ha dimestichezza con queste cose, con questo discorso, si trova un po’ smarrito. Trova delle affermazioni che sembra che non c’entrino niente.  Quando si parla di queste cose bisogna sempre contestualizzarle.

San Bernardo è un monaco del XII secolo. Noi siamo monaci al massimo Wi-fi e siamo nel XXI secolo, quindi … però cambiate poche cose, ci stanno tutti questi 12 gradini.  Allora ecco lui cosa dice:

 

1) ———————————————————-

I GRADO: la “Curiositas, la CURIOSITÀ

Allora, al primo posto mette quella che chiama la “ Curiositas”, la curiosità.
Primo sintomo di superbia facile da vedere; non è una qualunque curiosità, e questa parola ha anche una lunga storia.  Sant’Agostino ne ha parlato parecchio, ma lui ne prende un aspetto particolare. Cosa?
È il nostro continuo, stare con le antenne accese, occhi aperti, a confrontarci con gli altri. Come ti senti, chi sei di fronte agli altri.
E questo funziona sempre, ha funzionato pure adesso, in questo momento. Ci coinvolge tutti, invece di preoccuparsi di se stessi, appunto, vi dicevo: “Cosa passa nel tuo cuore in questo momento?”

Ti occupi degli altri: se mi accettano, se si sentono a loro agio con me, se sono simpatico, se non sono simpatico, se appaio molto serio quando ascolto. Abbiamo queste preoccupazioni continue!

Dice S.Bernardo: “Gli occhi si levano verso gli altri legittimamente soltanto per chiedere aiuto o per darlo”. Il resto nasconde forme di confronto, cose di questo genere.
Essenziale del primo punto è che la superbia nasce collocando il proprio baricentro fuori di se stessi.
Questo poi si accentua negli  altri gradi con una certa superficialità verso se stessi e troppa attenzione fuori di noi.
Noi siamo immersi in una cultura così: la cultura dell’immagine e dei social.

Siamo sempre condizionatissimi da questa cosa, dove quello che conta è appunto l’apparenza e l’apparenza è sotto sotto, e neanche troppo sotto, una continua rivalità su chi appare meglio. Questo ci assorbe e bisogna contrastarlo. Non si può vivere così ignorando se stessi!

Questo era un principio già nella Grecia classica “Conosci te stesso”. Dice anche nella Scrittura, nel Deuteronomio: “Bada a te stesso “.

ANTIDOTO: C’è un antidoto, che forse conoscete in molti: come si fa ad uscire dal mondo che ci assorbe? Dice S.Giovanni “dalla concupiscenza degli occhi”, questo desiderio sempre che ci porta fuori di noi si fa aprendo le porte a Cristo nel proprio cuore concretamente attraverso la Sacra Scrittura, la lectio divina, la meditazione della Scrittura. Semplicemente leggere e confrontarsi con la Scrittura necessariamente ci riporta a noi stessi. Se volete un antidoto a questo è la Sacra Scrittura.

 

2) ———————————————————-

II GRADO: Levitas menti, la SUPERFICIALITÀ

Il secondo gradino è “Levitas menti”, la leggerezza della mente, cioè la superficialità.
Se viviamo fuori di noi stessi inevitabilmente incappiamo in questa cosa.
La superficialità, l’esteriorità, comporta un confronto continuo attraverso atteggiamenti verso gli altri di superiorità verso le persone che classifichiamo inferiori a noi e di invidia verso le persone che, per caso, hanno qualche dote che noi non abbiamo.

Sempre nello sfondo c’è l’invidia, che è un peccato che la gente confessa poco perché dire “sono invidioso” vuol dire umiliarsi, perché va contro la nostra superbia.
Eppure funziona continuamente nei rapporti con gli altri. Così le parole che tante volte diciamo, i giudizi che facciamo con leggerezza, con superficialità sono vere coltellate. Se arriva un giudizio, magari una cosa detta con leggerezza in tua assenza, oppure in tua presenza, è una coltellata nella schiena”. Poi.ti dice: “Scusa, non volevo”…dietro c’è questo mostro.

Attenzione non va sottovalutato. Non è un peccato mortale perché uno non lo fa con l’intenzione, ma non è che se uno ha un tumore e non è intenzionale, questo non lo ammazza…capite ci rovina comunque la vita.

Attenzione a dipendere dai “like”, da quanti ne hai ricevuti di “like”. Sapete per quanti giovani e meno giovani è un disastro quanto non si ottiene la dovuta attenzione su whatsapp, istagram, sui social…queste diavolerie…

ANTIDOTO: L’antidoto: suppongo che siamo cristiani e che preghiamo, per cui la preghiera è un po’ l’antidoto di tutto. Ma quale preghiera? La preghiera per le sofferenze degli altri!
Perché quello deve fare il cristiano: alzare le antenne, guardare il prossimo per dare aiuto, per vedere dove il Signore mi chiama a soccorrere il bisogno del fratello.

La preghiera per la croce che c’ha tua moglie, per la croce che c’ha tuo figlio, o quel tuo collega, quello ci salva dalla superficialità. E quella persona che tanto critichi facilmente poi scopri che c’ha una situazione tragica a casa…comincia subito a pregare per lui!

 

3) ———————————————————-

III GRADO: “Inepta Laetitia, ossia l’allegria stupida, o stoltezza nella Scrittura.

Arriviamo al III gradino: l’allegria stupida o stoltezza nella Scrittura
Dice Qoelet “Il cuore degli stolti è in una casa in festa.” Ve lo dico completo, non vi scandalizzate anche perché la Scrittura bisogna capirla. “Il cuore dello stolto è in una casa in festa, il cuore del saggio è in una casa in pianto” ( o in lutto  a seconda della traduzione).

Vi chiederete “Ma che dobbiamo stare a piagne sempre?”

No, si riferisce alla realtà di questo mondo, alla realtà passeggera di questo mondo e al pericolo di attaccarvisi. Allora il saggio sta bene attento a non attaccarsi alla realtà passeggera di questo mondo, perché tutto passa. E’ tutto ingannevole! Noi abbiamo una ricchezza ma non sono le ricchezze di questo mondo, sono le ricchezze di Dio. Invece lo stolto si rallegra tanto di queste cose, anzi le cerca.

Allora siccome quando cadiamo nella superbia, nella superficialità, nel confronto con gli altri, nelle malignità alla fine c’abbiamo un cuore inaridito e bisognoso di consolazione, accade che se siamo superbi, la consolazione cerchiamo di darcela da soli, non la chiediamo al Signore, e questo significa cercare gratificazioni che vanno da quelle del frigorifero a quelle più strane, alla pornografia, a quelle che i possono dare un falso refrigerio. L’allegria stupida cerca sempre di fuggire da se stessa, è una forma di alienazione e cerca compensazioni. Il meccanismo è sempre imputabile alla superbia: la superbia ti ha inaridito, ti ha reso affamato e quindi diventi esposto anche alle dipendenze, da quelle affettive a quelle più grevi.

ANTIDOTO: L’antidoto, dato che si tratta di gratificazione, è molto semplice: è la pratica cristiana del digiuno.

Specialmente quando individuiamo che questa nostra leggerezza ci porta a questi livelli di stoltezza, abbiamo bisogno di rinunciare a qualcosa, di cibo, di gratificazione, di tempo su internet, di televisione, non lo so.. Tra sé e Dio, quello che uno vede a cui c’è bisogno di rinunciare,.

Tutto tra se e Dio: del digiuno cristiano nessuno se ne deve accorgere, non fate gesti clamorosi perché quelli aumentano la vanità, la superbia. No, solo gesti nascosti.

Se leggete le vite dei santi, per esempio S.Teresina faceva una quantità di cose incredibili, poi è diventata dottore della chiesa a 24 anni.

Tante piccole rinunce che ci aiutano ad uscire da questi imbrogli, delle false gratificazioni di questo mondo.

 

4) ———————————————————-

IV GRADO: la “Iactantia”, ossia l’ostentazione di sé, il mettersi in mostra, il narcisismo

Il IV gradino e la “Iactantia”, dice Bernardo, ossia l’ostentazione di sé, il mettersi in mostra.
Sapete che iI narcisismo ha una forma patologica che ha bisogno dello psichiatra, ma c’è anche un atteggiamento, diciamo corrente, un atteggiamento spirituale malato: l’ostentazione di se’, che è una forma di superbia,

Bernardo nel monastero la descrive come una irrefrenabile voglia di chiacchierare. Nei monasteri, cistercensi poi, vigeva la regola del silenzio, e invece c’era chi aveva una irrefrenabile desiderio di chiacchierare. Dice “C’è chi ha fame e sete di ascoltatori delle sue vuote parole. Si mette al centro del discorso e pur interrogando gli altri impedisce agli altri di parlare”.

A me capita spesso: a volte lo faccio, a volte lo subisco.

“Non vuole istruire, vuole mostrare quello che sa”
E’ uno che è innamorato di se stesso, è innamorato dell’immagine di se stesso e cerca conferme da parte degli altri, quindi usa il prossimo per confermare la sua immagine. Sembra molto socievole ma in realtà è un manipolatore e ha questa caratteristica che manca totalmente di empatia, come dicono gli psicologi, ossia di compassione, di simpatia, di sentire l’altro, con i suoi bisogni e con la sua realtà.

Allora come si fa? Guardate internet, i commenti. Pure ne blog di Costanza, spesso compaiono dei commenti tipicamente così, narcisistici, per mettersi in mostra. Quello è un posto dove la tentazione è fortissima, lo è tutto internet da questo punto di vista.

ANTIDOTO: L’antidoto alla superbia e anche al narcisismo e all’essere manipolatore è imparare ad ascoltare.
Per imparare ad ascoltare si devono coltivare dei momenti di silenzio nella propria giornata.
La preghiera è la chiave per distruggere la superbia e la preghiera ha bisogno di momenti di silenzio nella propria giornata.
Silenzio per ascoltare DIO che spesse volte è una presenza. Cosi da uscire da tutte le chiacchiere che ammorbano il nostro cervello e che ci chiedono sempre di accontentare e confermare noi stessi.

 

5) ———————————————————-

V GRADO:Singularitas”, originalità, il culto di sé, infantilismo

Il quinto gradino è “singularitas” cioè originalità, cioè in sostanza il culto di sé, che noi potremmo anche definire infantilismo.
Si verifica quando siamo legati all’esteriorità e al plauso degli altri e quindi abbiamo un atteggiamento infantile, proprio come il bambino che quando nasce si crede al centro del mondo.
In un certo senso ognuno di noi è al centro del mondo perché è al centro di Dio, ma il nostro nemico ci perverte questa visione e ci tenta con questa visione in base alla quale noi pensiamo di essere il centro, nel senso che pensiamo di avere gli altri al nostro servizio.
Il bambino quando nasce piange in un certo modo per ottenere il latte ed in un altro modo quando vuole dormire e così via, si comporta così perché pensa che la mamma è un’estensione di sé stesso, e poi anche il padre deve essere un’estensione di sé stesso e poi anche gli amici e poi anche i professori, quando va a scuola, devono essere un’estensione di sé stesso.
In questa visione è inaccettabile per il bambino che qualcuno non lo capisca o lo contrasti perché il centro è solo lui medesimo.
Questo atteggiamento infantile è il quinto gradino.
Tipici comportamenti:
esempio se uno fa una battuta tu ridi ma non puoi ridere più degli altri, oppure se viene a sapere che qualcuno fa un giorno di digiuno e allora lui ne farà due giorni di digiuno e ci tiene a farlo sapere; si ha un gran bisogno di attrarre l’attenzione su di sé questo è il punto fondamentale.

ANTIDOTO: L’antidoto al volere essere al centro e al primo posto (tipico della superbia) è mettersi al servizio del bisogno dell’altro.
Quando Gesù rimprovera gli apostoli che cercavano il primo posto non dice non dovete desiderare di essere il primo, perché è ovvio che noi lo desideriamo. Essere il primo lo abbiamo scritto dentro di noi, siamo immagine di Dio e figli di Dio che è il primo, ma se uno vuole essere il primo deve fare come Gesù Cristo e cioè deve essere l’ultimo di tutti e il servo di tutti dando la vita per gli altri (cosi è ad immagine di Dio).

 

6) ———————————————————-

VI GRADO: l’arroganza

Veniamo al sesto gradino che è l’arroganza.
Dice San Bernardo che l’arroganza ormai ci porta verso gradi di superbia più evidenti.
L’ARROGANTE è IL SUPERBO TRIONFANTE o il SUPERBO EVIDENTE.
Arrogante viene dal latino “arrogo”, che tradotto in italiano vuol dire pretesa o diritto ad avere l’elogio, diritto ad essere considerato: così ad esempio io ho diritto che gli altri si inchinino quando passo io e, se gli altri non lo fanno, l’arrogante si indigna.
L’indignazione è il tipico sentimento dell’arrogante.
Quindi chi non si sottomette non capisce niente.
L’arrogante ha sinceramente l’idea di essere meglio di tutti. Si è autoconvinto.
Infatti una caratteristica dell’arrogante è che non conosce gratitudine. Non è in grado di avere gratitudine e anche quando uno l’aiuta o gli fa un favore pensa sia sempre un suo diritto.
Pensa che l’aiuto è un diritto ed è una forma di pretesa. Anche se per esempio gli presti dei soldi…è tutto dovuto.
Attenzione che ci passiamo tutti. L’ingratitudine è questa forma di arroganza.
L’ingratitudine è il peccato dei figli.
Siamo tutti figli e quindi è il peccato di tutti noi figli.
Ma poi con la vita ci possiamo correggere.

“Onora il padre e la madre” vuol dire proprio avere gratitudine verso i genitori.
L’esegesi di “Onora il Padre e la Madre” è proprio questa: se vuoi essere felice nella vita devi avere gratitudine verso chi ti ha dato la vita.
“Onora il padre e la madre” vuol dire esattamente abbi gratitudine verso i genitori se vuoi essere felice.
E’ pazzesco avere pretese verso chi mi ha dato (come minimo) la vita e poi anche tante altre cose, tra cui forse anche la fede e l’accesso alla vita eterna; infatti la superbia è una pazzia perché vuol dire non avere gratitudine (essere duri) verso chi mi ha dato la vita e forse mi ha dato anche la fede e l’accesso alla vita eterna.
L’arroganza è una follia.
Attenzione perché chi ha questa ingratitudine e arroganza spesso non se ne accorge e pensa che sia normale essere così e non se ne accorge, ma non è normale.

La ragione della tristezza e di tanta rabbia e disperazione è proprio la superbia.
La superbia è tanto legata alla tristezza.
Nessuno è disperato se è umile.

ANTIDOTO: L’antidoto all’arroganza è la preghiera di lode.
Abbiamo bisogno a volte di una preghiera di lode e di recitare alcune formule.
Inizia con il fare un elenco dei doni che Dio ti ha fatto e che non hai mai guadagnato e che non hai affatto meritato, eppure ne sei pieno.
La preghiera di lode ci sblocca da questa paralisi e anzi, a volte, conviene farla insieme a chi ci ha aiutato e prima di tutto con i genitori.
Questo distruggere i genitori è tipico di questa cultura moderna.

 

7) ———————————————————-

VII GRADO: “praesuntio”, la presunzione, l’alterigia.

Ci piglia questo atteggiamento, come diceva San Bernardo che viveva in un Monastero e quindi era tenuto all’obbedienza, è quando non accettiamo la correzione.
La prima reazione dinanzi a chi ti corregge (a torto o a ragione) è chiudersi in sé stesso, criticare, rispondere male, mandare a quel paese, chiudersi in se stesso, arrabbiarsi.
La presunzione è il rifiuto della correzione.

Dice, mi sembra il Siracide: “correggi il saggio e ti amerà ma non correggere lo stolto perché ti farai un nemico”.
Allora questa stoltezza, io ci sono passato, spero di non passarci ma ogni tanto ci passo!
Attenzione, la correzione è una grazia, noi ne abbiamo bisogno.
Io, come padre, quale è la funzione di un padre? E’ di incoraggiare, è di aprire i figli alla vita, di mostrare ai figli che la vita è una cosa buona, che vale la pena affrontarla ed è anche di corregge i figli quando vanno fuori strada.
E la funzione della madre è un’altra: l’accoglienza, la sicurezza, anche dopo uno sbaglio la possibilità di rialzarsi, questa generatrice di vita.
Il padre ha questa altra funzione.
Oggi l’ha un po’ persa….. infatti siamo nella stupidità più totale ma quella è la funzione…

Anche Dio Padre, necessariamente.
Persino Gesù Cristo imparò l’obbedienza dalle cose che patì.
Aveva bisogno di correzione Gesù Cristo?
Certamente NO , ma nella sua umanità doveva crescere, fino alla statura di poter andare in croce per noi.
E quindi anche Lui ha accettato, nella sofferenza, questa obbedienza, che corregge la tendenza della natura umana alla comodità, a farsi gli affari propri.
Quella natura ha assunto Cristo, la nostra, la nostra …e ha corretto la nostra natura, facendo la volontà del Padre.

ANTIDOTO: Allora l’antidoto è chiedere a Dio di comprendere sempre le ragioni degli altri, anche quando sbagliano.
Sempre nella preghiera.
Non so se conoscete un po’ il metodo di San Tommaso: tutti i teologi veri, Sant’Agostino, San Tommaso, San Bernardo hanno un metodo, ma in San Tommaso d’Aquino è schematico, quindi si vede con chiarezza: lui quando deve affrontare un avversario, in teologia, prima di demolire le tesi sbagliate, sottolinea gli aspetti di verità contenuti nella tesi dell’avversario e li valorizza.
Così fanno i cristiani: “considerate ogni cosa, trattenete ciò che è buono”
Allora, questo atteggiamento ricordatelo quando litighi con tua moglie.
Te fermi” – certo che devi pure riconciliarti subito ma pensaci: ha sbagliato ma… considera il bene che c’era dietro lo sbaglio, e viceversa…(forse dovevo fare l’esempio al contrario.. .)

 

8) ———————————————————-

VIII GRADO: “ Defensio peccatorum “, difendersi dopo il peccato, l’autogiustificazione

Questo atteggiamento, specialmente nella nostra cultura, ha sempre questo profilo particolarmente fastidioso che è il vittimismo. Quando ci scoprono con le mani nella marmellata e noi diciamo: “…e no, però non è colpa mia! Io sono una vittima della società!”
“Mi hai educato male!” dirà il figlio alla madre “
”No! È che tu non mi capisci!” dirà il marito alla moglie.
“Ma perché? Hai l’amante! Hai tre amanti!” “No no! È che tu non mi parlavi così!”.
Vittimismo: la colpa è dell’altro.

Con questa cosa sta uscendo fuori di tutto nella nostra società. Insomma i peggio sono sempre vittime. Sempre vittime e però riescono ad affermarsi.
UNA VITTIMA solo io conosco: è Quello lì sulla Croce! Gli altri sono tutti carnefici.
Ci ho messo io i chiodi, oltre a te, a quel Signore sulla Croce!

Questa è una cosa di superbia. È micidiale! Tutti gli assassini sono prima vittime.
Hanno prima subito del male.
Quando si dice: “Ha violentato i bambini!” “…e ma pure lui da piccolo era stato violentato!”
Allora? Allora, non è deterministico. Quando uno si sente vittima si sente giustificato! Ha diritto alle cose più ignobili. È superbia non voler riconoscere che hai sbagliato. Punto.
Va bene! Antidoto.
Questa è un’altra malattia su cui rischiamo tutti.

ANTIDOTO: Io questo ho imparato a fare. Nelle mia vita (che ormai comincia ad essere lunghetta!) io ho fatto del male ad un sacco di gente, verso le quali io ormai non è che posso fare più niente. Il male che ho fatto, ho fatto. Che posso fare?  È pregare per loro.
L’antidoto è riconoscere le persone che hai ferito. Forse ce l’hai accanto a casa, ma lì forse puoi fare qualcosa. Riconosci le persone che hai ferito. Prega per loro. Umilmente, se non hai la possibilità di rimediare, mettile nelle mani di Dio. È un atto umile. Riconoscere il proprio peccato, la propria miseria e fare qualcosa di efficace, che frutta.

 

9) ———————————————————-

IX GRADO: “Simulata confessio”, La falsa umiltà

La falsa umiltà è sempre legata all’autodisprezzo, generatore della bassa stima di sé, che è pura superbia.
L’arrogante è un superbo trionfante. Quello che si disprezza è un superbo triste. Quasi quasi è meglio essere arroganti, però questo è molto più diffuso: l’orgoglio triste.
In che consiste?
Allora, San Bernardo lo descrive come un monaco colto in fallo che non solo riconosce la sua colpa ma, più che chiedere perdono, la accentua: “Ma sono proprio un disgraziato! Per me non c’è speranza! Finirò all’inferno!” Tutte queste cose così… Simula. È simulata questa umiltà.
Un po’ per ricevere approvazione un po’ perché il suo orgoglio è ferito.

Cioè certi peccati noi non vorremo mai vederli, per cui se cadi in un peccato vergognoso (due sono: lussuria e invidia) ecco poi ti senti così cretino così stupido… Pensavi che fosse impossibile per te.  Una persona magnifica come te che fa ‘sta cosa! Allora l’autodisprezzo!

Il Signore è misericordioso. Noi siamo deboli. Che cosa vuoi fare insomma? Non è che chi si autodisprezza….questa maschera triste di remissività… per carità! I Cristiani in pace!
Il Cristiano si sente perdonato. Se cade si rialza. Punto

E questo l’aiuta tanto a non cadere perché tutto il resto…

L’orgoglio ferito sapete cosa fa? I peccati di gratificazione: il  frigorifero… quello che non dovresti mangiare perché quello ti fa male…Mangi, quello che non dovresti mangiare…

C’hai un attimo di debolezza e per esempio inizi a mangiare un maritozzo con la panna. Te lo mangi, sei tutto contento e poi inizi a lamentarti: “Che ho mangiato?..Ho tradito tutti, la loro fiducia, sono un disgraziato….” A  quel punto ti senti pure male ma non è che ti penti. E quindi in questa condizione di malessere ti viene un magone e alla fine….”Io me ne mangio un altro!”

 

ANTIDOTO: l’antidoto è chiedere al Signore la grazia di conoscere ed elencare contento davanti a Dio tutti i tuoi limiti. Si, i tuoi limiti! I tuoi difetti, quelli con cui ti devi confrontare tutti i santi giorni.
Affrontare le tentazioni che hai, sapendo che senza tentazioni nessuno si salva.

Vi dicevo, è in questo combattimento che noi ci salviamo. Gesù Cristo è stato tentato più di noi. Perché aveva una missione più grande. Ma pure con il sesso? Sì pure col sesso. Con tutto. Con l’invidia, con la rabbia, con tutto e più di noi, per insegnarci a combattere.
Riconoscere i propri limiti.

 

10) ———————————————————-

X GRADO: “Rebellio in magistrum et fratres”, la ribellione contro i maestri e contro i fratelli.

La ribellione contro i maestri, quelli che ti devono guidare, e contro i fratelli.
Perché nel monastero ogni fratello ha responsabilità verso il fratello. Ogni cristiano è così: la correzione fraterna. In una famiglia è così, dovrebbe essere così.
Allora colui che si ribella è colui che non accetta le conseguenze dei propri peccati.
E’ il pubblico fallimento.
Quando una persona viene scoperta apertamente in peccato, non fa la vittima, si arroga un diritto, disprezza chi cerca di parlargli, anche quando ha evidentemente ragione, e questo in lui aumenta l’odio verso il prossimo e anche verso Dio.
L’immagine di questo tipo di personaggio ce la rende Dante: il famoso Capaneo nell’inferno.
Questo tizio sta su un sabbione infuocato con il fuoco che gli piove in testa e non gli importa niente, la sua tortura è l’odio che ha verso Dio. Sta lì bestemmia, continua bestemmiare, inveisce contro Dio per la vita che gli ha dato, che lui non aveva chiesto, ha tutta questa cosa dentro che viene fuori a questo livello della superbia.
Al decimo gradino si passa dalla superbia contro gli uomini alla superbia contro Dio, anche se si manifesta nei rapporti con gli uomini.
Allora quando ci troviamo in questa strettoia, che la vita ci fa rabbia e ci chiediamo davanti a Dio: cosa mi hai creato a fare? E diventiamo feroci con il prossimo, almeno abbiamo la tentazione e speriamo di non caderci, il rimedio qual è?

ANTIDOTO: Distruggere l’idolo di noi stessi.
Si fa così: prendi un libretto d’assegni o fai un bonifico e fai una bella elemosina di quelle che fanno male, che ti fanno pensare: “ma poi come faccio?”
Schiacciare l’idolo di sé stessi.
Il denaro è la sintesi dell’idolo che abbiamo in noi stessi.
Il nostro potere è il nostro denaro. “Homo sine pecunia est imago mortis” dice il mondo. L’uomo senza soldi è l’immagine della morte, secondo il mondo, secondo noi è San Francesco e tanti altri grandi Santi.

Poi c’è

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GRADO XI: “libertas peccandi”, la libertà di peccare, che è una falsa libertà

E’ la fotografia del nostro tempo: Il peccato è una schiavitù, è un’illusione con sé stessi. Allora chi sta così abbandona la Chiesa, ha la tentazione di abbandonare la Chiesa “ma qui sono solo norme, ma qui mi tolgono…” è un uomo che, capita spesso, vive per esempio la fede come una serie di norme a cui si deve attenere.
Finché vive in un certo modo funziona, quando la vita gli si presenta diversa non funziona più è come un cappotto esterno. E’ superbo, non ha un rapporto interiore con Gesù Cristo.
Allora amare il prossimo
come sé stessi diventa una maledizione invece che una liberazione.
Amare Dio con tutte le forze manco a parlarne e quindi sceglie di peccare.

Ci sono quelli che lasciano la chiesa e quelli che pure dentro la Chiesa fanno così, perché la Chiesa è arretrata, tra un poco farà… quale altre libertà ci si può inventare oggi. Queste cose passano, non sono aggiornate…sono piene le nostre Chiese anche di preti così… lasciamo perdere.
Chi è così è solo, in realtà: non ha Dio ed è contento di esserlo, non lo cerca più.

ANTIDOTO: Più è grave, più è facile la soluzione: un atto di umiltà, quale è confessarsi e comunicarsi spesso.
Quando abbiamo questa presa di posizione, ci sembra che il demonio ci faccia apparire come vita vera quella del mondo…questo è!  Non credergli, confessati e fai la comunione. Confessati e fai la comunione!

Siamo arrivati all‘ultimo gradino:

11) ———————————————————-

GRADO XII: “consuetudo peccandi”, il vizio accettato

La consuetudine è l’habitus dei peccati.
Nel cristianesimo la virtù è una consuetudine buona. Non è che l’abitudine sia sempre sbagliata. Se hai l’abitudine di andare a messa la domenica, conservala per favore, magari ce l’avesse la gente anche in estate, magari confesseremmo di più (vabbè che non si confessano più, però!!))
Insomma c’è una consuetudine sbagliata, il nostro essere si imprime in una distorsione, perché qui si vede benissimo quando la ricerca del piacere di questo mondo in tutte le sue forme diventa un circolo vizioso.
Qui evidentemente si tratta dell’inseguirsi della frustrazione e della sua falsa soddisfazione.
È un po’ l’anticamera dell’infermo, quando uno dice si a questo tipo di vita: vive l’inquietudine dentro, la rabbia, l’angoscia, la paura, la disperazione..
Non so cosa pensate dell’inferno.
Una volta ho fatto un video sull’inferno qualche anno fa. Un video di pochi minuti che è stato uno dei più gettonati. E sotto c’è scritto: non è vero che l’inferno esiste, Dio è buono, Dio perdona tutti, Dio ci libera….
Non so che pensi tu.
L’ inferno non lo ha creato Dio, lo creiamo noi. Non c’è scritto nella scrittura che Dio ha creato l’inferno. C’è scritto che c’è, Gesù ne parla, ma non che l’ha creato Dio.
È il nostro spazio di libertà perduta.

Vuoi un esempio di inferno?
Pensa a come sei adesso, se hai un rancore, se hai una tristezza, una ribellione. Perché puoi andare avanti? Perché pensi che ci sia un domani, in cui questo si risolverà, e pensi bene, si chiama speranza cristiana.
Ora pensa questo stato però senza domani, eterno, quello è l’inferno.
Cosa avevi pensato? In eterno questa tua condizione.
L’inferno è questa tua scontentezza, in eterno perché l’hai voluta, l’hai difesa.
La misericordia di Dio, la carità negli altri, te la sei trattenuta, sei trattenuto. La vuoi, ma…. se arrivi così fino alla fine Dio te la dà!.. Quello è.
C’è la vita eterna, c’è l’inferno.
È una possibilità. E il superbo la sperimenta seriamente, seriamente.

ANTIDOTO: Il rimedio è chiedere aiuto a Dio ma soprattutto ai fratelli, andare a parlare.
Cercati un padre spirituale, cercati dei fratelli cristiani che ti sappiamo aiutare che ti possano indirizzare. Chiedere aiuto è l’inizio dell’umiltà,
proprio l’inizio dell’umiltà

Pensate ai tantissimi problemi dei genitori e delle tragedie che riguardano i figli. Ma finché i figli non chiedono aiuto, neanche i genitori possono fare nulla !
E quella è superbia, si chiama così.

Che Dio ce ne liberi sempre da questa superbia.

Questa è la superbia vista da San Bernardo, quindi un combattimento spirituale che ci accompagna tutti i giorni della nostra vita.
Chiediamo al Signore che sempre ci doni l’umiltà.

 

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Published on October 25, 2022 09:07

October 11, 2022

I video delle catechesi del 4° Capitolo Generale del Monastero Wi-Fi

Ecco i video “spacchettati” delle catechesi del 4° Capitolo Generale del Monastero Wi-Fi del 24 settembre 2022 alla Basilica di San Pietro in Vaticano sul tema della CONFESSIONE. 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Published on October 11, 2022 14:48

October 6, 2022

Il sacramento della Confessione oggi

di Costanza Miriano

Ogni tanto mi fermo, cerco di rialzare la testa dall’affanno quotidiano che è tutto un inseguire le urgenze: faccio sempre più fatica a mettere priorità. Pensavo che invecchiando sarei diventata capace di dire i sì e i no giusti, pensavo fosse questione di allenamento. Invece no. Non ho imparato niente.

Ma nei rari momenti di lucidità, quando appunto cerco di guardare alla mia vita tenendo uno sguardo di insieme, mi appare ogni volta più chiaro quello che già so, e che tendo a dimenticare.

L’unica soluzione per mettere in fila tutto, quando sei in ritardo, quando non ce la fai, quando da tutti i fronti ti assalgono scadenze, ti aggrediscono richieste, ti incalzano compiti, è abbandonare tutto e mettersi a pregare. Ripartire da Dio. Avere chiari i fondamentali.

Credo che il Monastero wifi sia un piccolo frutto, per fortuna uno dei tantissimi frutti dello Spirito che soffia e feconda e irriga dappertutto. Un frutto che ricorda ai cercatori di Dio che è il momento di fare silenzio, soprattutto in un momento davvero topico della vita politica ed economica in mezzo mondo, in una fase in cui è tutto polarizzato ed estremo, e anche segnato dalla paura e dall’incertezza.

Ma a chi ha Dio non manca nulla.

Attaccati ai fondamentali, dunque, ognuno nella propria storia, nella propria città, siamo forti di una compagnia. Sapere che mentre cerco di pregare, e vado a ripescare il cuore che scappa dietro alle cose inutili, c’è un amico che fa lo stesso combattimento a San Marino, una a Marotta, uno in Valpolicella, una a Milano, una a Genova (e dovrei continuare per tremilatrecento volte) mi fa sentire parte di un piccolo esercito. So che non posso smettere questo combattimento, perché altri lo stanno facendo con me.

Come sapete il capitolo generale del Monastero wifi è solo una volta all’anno – così ci disse il Cardinale De Donatis donandoci di fare il capitolo nella madre di tutte le chiese del mondo, la sede della cattedra papale, san Giovanni in Laterano – ma in tante città italiane piccole cellule di preghiera stanno nascendo (https://www.monasterowi-fi.it/wp-content/uploads/2022/09/monasteri_italia-referenti-monastero-wifi.pdf) e si vedono molto più spesso.

Ma poi, monastero wifi a parte, il nutrimento si cerca ovunque, ovunque la Chiesa con la sua ricchezza così varia, piena della fantasia della Spirito, ce lo proponga. E così mi è capitato che dopo le catechesi sulla confessione ascoltate a San Pietro, mi abbiano proposto di moderare proprio su questo tema la prima sessione del seminario di formazione organizzato dalla Penitenzieria Apostolica. Le parole ascoltate a san Pietro mi hanno spalancato un mondo, mi hanno travolta con la loro ricchezza e lasciata con la voglia di sapere di più. E così come sempre, io vado al convegno del 13 e 14 ottobre più che altro per ascoltare. Anche perché, grazie a Dio, essendo la moderatrice devo solo dare la parola (un fastidio i moderatori che parlano troppo! O quelli che presentano facendo lunghissime introduzioni che lasciano l’uditorio tramortito e addormentato…). E quindi ascolterò e prenderò appunti e spero di uscire con il cuore pieno di gioia come dopo l’incontro di san Pietro. Con il confessore numero uno della Chiesa Cattolica (il Penitenziere Maggiore, S.E. Card. Piacenza) e un grande come don Fabio Rosini (non dico altro sennò mi corca quando lo vedo), credo che ci sarà parecchio da prendere appunti. E non solo grazie a loro. Qui il programma per intero: http://www.penitenzieria.va/content/penitenzieriaapostolica/it/profilo/eventi/2022/seminario-confessione.html

Si può seguire sia in presenza (gratuitamente), sia dal canale di Vatican News: https://www.youtube.com/c/VaticanNews

Se avete tempo, date una sbirciata. Perché prima di tutto la confessione è una bella notizia. Il fatto che ricadiamo sempre negli stessi peccati a ben vedere è una bella notizia. Significa che non possiamo fare a meno di Dio. che senza di Lui non siamo capaci anche se vorremmo. Vorremmo non dover confessare sempre le stesse cose. Ma la notizia più bella di tutte è che Gesù è morto per i nostri peccati. E’ morto ed è risorto. E vuole incontrarci proprio lì, nella nostra debolezza. Forse quando dico che vuole incontrarci, neanche io capisco che significa. E’ una cosa enorme. LUI VUOLE NOI. Vuole incontrarci. Ci aspetta. Ci aspetta dentro il confessionale. La confessione è un incontro, e non confessarsi non è una furbata, non è stare tranquilli: è un di meno per la nostra vita, è perdere l’occasione di un incontro che ti cambia la vita.

 

 

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Published on October 06, 2022 15:23

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Costanza Miriano
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