Costanza Miriano's Blog, page 20
August 29, 2022
La strada verso il quarto capitolo generale del Monastero Wi-Fi
di Costanza Miriano
Non vedo l’ora che arrivi il 24 settembre. Primo perché avremo finito di organizzare e la bionda iperattiva la smetterà di lavorare tanto – temiamo tutti per le sue coronarie – e magari dormirà due minuti; secondo, anzi, primo bis, perché sarà una giornata bellissima. Più leggo il programma, più non vedo l’ora di ascoltare, e di farmi inondare dalla grazia che, ne sono certa, scenderà abbondante su tutti coloro che apriranno il cuore, in presenza o in collegamento (speriamo che si possa fare).
Riepilogo brevissimo per chi ci legge per la prima volta: per una strana catena di eventi che adesso non sto a ricordare (qui si può leggere di più) con un gruppo di amiche organizziamo una volta all’anno un incontro a Roma per approfondire e mettere a tema la vita spirituale, con l’obiettivo di fare il pieno di insegnamenti, un po’ di entusiasmo e di fraternità, per poi ritornare alle vite ordinarie nelle nostre parrocchie con sempre maggiore amore, e la certezza che la vita che ci è stata data è una strada per il Paradiso, non va sprecata, ed è preziosa, anche quando si mimetizza bene sotto una patina di ordinario e di fatiche sempre uguali e apparentemente perfino sterili.
Per una ancora più strana catena di eventi, ci siamo ritrovati in tantissimi, e così gli incontri, di necessità, si sono svolti nelle basiliche più grandi di Roma. Prima a San Giovanni, poi San Paolo, infine San Pietro. Ma non è certo solo questione di spazio. Poterci trovare tra fratelli a casa, nel cuore del cuore della Chiesa Madre, è un segno importante di appartenenza. Fuori dalla Chiesa – per quanti difetti possiamo trovarle quando ragioniamo umanamente – non c’è salvezza.
Gli incontri, aperti a tuttissimi, senza appartenenze, preferenze o numeri chiusi, sono sui pilastri della vita spirituale: la necessità di avere un cuore da monaci nel mondo (il primo); la Parola di Dio (il secondo); la preghiera (il terzo). Il quarto si svolgerà a Roma il 24 settembre e sarà sul tema della confessione.
Scrivo queste parole nel giorno di sant’Agostino, e mi ritrovo tra le mani le sue Confessioni, uno dei libri che ho letto da ragazzina e che devo assolutamente riprendere in mano; nonostante la mia immaturità, però, qualcosa mi è rimasto anche da quella prima lontana lettura consigliatami dal mio don Ignazio. Lo riapro e ritrovo le parole che mi hanno fatto battere il cuore, le parole di un innamorato che parla a Colui che è “più intimo a me di me stesso”, e dice “io, non essendo ancora pieno di te, sono un peso a me stesso”. La parola confessione evoca nella maggior parte di noi una pratica da sbrigare nel minor tempo possibile, l’imbarazzante elenco delle nostre piccolezze, nella migliore delle ipotesi (quando non è una lamentela, o un elenco delle colpe degli altri, che se non fosse per loro noi saremmo sicuramente migliori). Ma confiteor vuol dire che io mi fido, che esprimo la mia fiducia in Dio, e prima ancora che io riconosco che Dio è Dio. I relatori avranno l’onore di parlare dall’altare della Confessione di San Pietro, cioè quello costruito da quando la basilica esiste sopra il luogo in cui si ricorda la professione di fede di Pietro, e l’annuncio di Gesù di voler fondare su di lui la Chiesa, sulla quale “le porte degli inferi non prevarranno”. Mentre scrivo questo ho letteralmente la pelle d’oca. E soprattutto penso che anche nella nostra vita questo è il momento centrale. Quello in cui ognuno di noi decide una volta e poi di nuovo ogni giorno chi è Dio, chi ha l’ultima parola su quello che sto vivendo, come guardare a quello che succede, come orientare le mie scelte e le mie azioni, di cosa riempirmi, direbbe Agostino nelle Confessioni.
Ecco, la confessione è molto più di un elenco di errori, come ci spiegheranno bene i relatori, soprattutto padre Serafino Tognetti, che ci parlerà del peccato. È affermare Dio, dire di nuovo “credo che tu sei Dio e voglio che tu regni nel mio cuore”. E lo dobbiamo ripetere a ogni respiro perché siamo feriti dal peccato originale, di cui ci parlerà padre Maurizio Botta. La confessione fatta bene, come ci spiegherà don Alessio Geretti, è qualcosa di soprannaturale, è più di un miracolo, è qualcosa che può fare solo Dio. Se poi la usiamo in un cammino di crescita spirituale che abbia un senso, una direzione, è una fonte continua di acqua viva per la nostra vita, per renderci fecondi, come ci spiegherà don Giulio Maspero. Davvero la confessione può essere un punto di svolta, un’oasi, a volte anche un’esplosione nella nostra storia: abbiamo chiesto a don Vincent Nagle di raccontarcelo. Gli esercizi di realtà di don Luigi Epicoco ci aiuteranno a impastarla con la nostra vita, per far sì che non sia un momento isolato, un breve supplizio di qualche minuto dopo il quale ricominciare a vivere come prima. E don Massimo Vacchetti ci dirà quali sono gli errori più comuni nei quali cadiamo, e ci darà qualche dritta per non sprecare questo regalo, e i regali che Dio ci vuole dare. Perché Dio davvero agisce nella confessione! Lo abbiamo lasciato per ultimo, ma è Lui il protagonista: don Francesco Buono ne canterà le meraviglie.
L’adorazione sarà condotta da Mons. Pierangelo Pedretti: sarà un lungo momento di preghiera silenziosa inframmezzata alle sue meditazioni (io ancora ricordo con le lacrime quella che condusse a san Giovanni in Laterano come il momento più bello di quella giornata).
La messa sarà celebrata dal Penitenziere maggiore della Penitenzieria Apostolica, S.E. il Card Mauro Piacenza. Abbiamo pensato a lui perché è la massima autorità della Chiesa in proposito, e sarà una grazia ascoltare le sue parole: la Chiesa è l’unica dispensatrice del perdono di Dio, lo dice il Vangelo: “a chi non li rimetterete resteranno non rimessi”.
Purtroppo don Fabio Rosini, che lo scorso inverno è stato male, ha dovuto mettere proprio nel fine settimana del 24 il ritiro che è saltato quando era ricoverato, comunque lo opzioniamo (tipo calciatore) per il prossimo anno (lui non lo sa ancora).
La scaletta completa la trovate qui sotto nella locandina, nelle due versioni, una è anche stampabile, e la potete affiggere in giro: pensate quanti punti Paradiso accumuliamo se una persona che non conosceva il Monastero wifi decide di venire e confessarsi! A proposito, avremo anche la possibilità di confessarci in basilica, anche se io personalmente cercherò di farlo prima, e poi magari dopo, con la nuova consapevolezza grazie alle cose che avrò capito.
Altre informazioni pratiche: se qualcuno degli iscritti ha una disabilità (vera!) può scrivere alla mail del monastero, monasterowifi@gmail.com per avere un posto ed eventuale parcheggio, per gli altri, si cerca parcheggio nei dintorni o al Parking Gianicolo con il quale abbiamo rinnovato la convenzione.
Come sapete tutto è gratuito, compreso l’”affitto” della Basilica, ma ci sono alcune spese vive, e ringraziamo tantissimo coloro che hanno già donato all’Iban del Monastero wifi IT70C0303201400010000709065; si può come sempre anche dare un piccolo contributo, ciascuno secondo le proprie possibilità, in chiesa. Come sapete, in caso di “avanzi” andrà tutto ai poveri, e le casse alla fine rimarranno rigorosamente vuote.
Se avete intenzioni particolari da raccomandare, scrivete a preghiere.monasterowifi@gmail.com: verranno tutte portate sull’altare, e che altare: il più importante della Chiesa cattolica!
Tutti i sacerdoti sono benvenuti, possono concelebrare con il tesserino Celebret, stola e camice.
Come vedete dal programma, il tempo per il pranzo è poco, consigliamo di portare un spuntino per uscire all’aperto a consumarlo, senza andare a cercare un locale. Per quanto riguarda i bambini, l’unico neo di san Pietro è che non c’è uno spazio per il baby sitting: se volete però possiamo fornirvi il contatto di qualche ragazza, anche se consigliamo a tutti i genitori di concedersi del tempo insieme (o anche da soli al limite) per Dio, che restituirà il centuplo anche ai figli (sperimentato).
Tutti quelli che hanno mandato l’iscrizione sono iscritti, non arriva nessuna risposta, mentre a ridosso della giornata vi arriverà tutto il materiale da stampare, badge e libretto della messa. Se per un guasto non vi arrivasse (uno su mille può succedere) scriveteci pure, nessuno rimarrà fuori, promesso. Intanto se volete esercitarvi, ecco i link dei canti per messa e adorazione (il coro sarà guidato dalla nostra splendida Sabina Losi).
Vi aspettiamo con l’augurio di avere tutti il cuore di Agostino e di uscire dicendo a Dio “tardi ti ho amato”!
CANTI
August 25, 2022
Un accorato appello dai sacerdoti del Nicaragua

PRONUNCIAMENTO DEL CLERO DELLA DIOCESI DI ESTELI’
“[…] sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati”. (Ebrei 12,11)
Sig.ri ministri del Governo di Nicaragua:
Cosa volete? Cosa state facendo? Per quindici giorni avete tenuto illegalmente prigionieri il Vescovo di Matagalpa e Amministratore Apostolico della nostra Diocesi di Estelí, diversi sacerdoti e vari laici.
Ora quello che avete fatto è stato cambiare il posto solo per smobilitare il cordone di sicurezza che avevate collocato intorno alla Curia. E avete portato alla famigerata prigione Chipote i nostri fratelli sacerdoti e i laici che hanno accompagnato il Vescovo. Avete contribuito all’esilio di monsignor Silvio Báez, di padre Edwin Román, avete rovinato la vita a padre Harvy Padilla, avete imprigionato padre Manuel de Jesús García, costruendo accuse contro di lui. Avete imprigionato monsignor Leonardo Urbina, senza provare a suo carico alcuna accusa, non avete permesso a padre Idiáquez di rientrare nel Paese, state trattenendo il passaporto di monsignor Silvio Fonseca, avete espulso le suore della Congregazione di Santa Teresa di Calcutta, avete cancellato lo status giuridico di Cáritas Estelí, avete confiscato l’Università Cattolica del Tropico Seco, avete cancellato lo status giuridico della Famiglia Fabretto. Avete sequestrato padre Oscar Benavides e lo avete portato nella prigione di El Chipote. Avete rovinato la vita di padre Uriel Vallejos, di padre Vicente Martínez e di padre Sebastián, impedendo ai loro parrocchiani di partecipare alla messa in chiesa. Avete rimosso dalla rete di trasmissione il Canale Cattolico della Conferenza Episcopale del Nicaragua, il Canale Cattolico San José della Diocesi di Estelí, il Canale Cattolico della Diocesi di Matagalpa, sette radio della Diocesi di Matagalpa che contribuivano all’evangelizzazione. Avete espulso il nunzio apostolico!!!
Accusate il Vescovo di Matagalpa e Amministratore Apostolico della Diocesi di Estelí affermando che egli stia “cercando di organizzare gruppi violenti, incitandoli a compiere atti di odio nei confronti della popolazione, provocando un clima di ansia e disordine, alterando la pace e l’armonia della comunità, con lo scopo di destabilizzare lo stato del Nicaragua e attaccare le autorità costituzionali”.
L’incitamento all’odio e alla violenza è stato avviato da voi, quando il signor Daniel Ortega, nell’atto ufficiale della celebrazione del 19 luglio 2018, accusò pubblicamente alcuni vescovi di essere golpisti, terroristi e, da allora, sono innumerevoli le volte in cui voi, che dovreste dare esempio di civiltà e rispetto, lanciate ogni genere di insulti, offese e diffamazioni, non solo ai vescovi, ma anche a noi sacerdoti. La nostra natura e missione pastorale pacifica ha fatto sì che sopportassimo pazientemente simili barbarie. Queste accuse infondate, come quella di essere golpisti, perché qui non c’è stato nessun colpo di stato, dal momento che i colpi di stato li eseguono gli eserciti, e qui l’esercito non ha eseguito per nessuno un colpo di stato, esistono solo nella vostra mente. Qui ciò che c’è stato nel 2018 è stata una protesta popolare, che alla fine ha lasciato dietro di sé un’enorme quantità di giovani nicaraguensi assassinati, senza dimenticare tutti coloro che sono morti nell’Operazione Pulizia. Migliaia e migliaia di fratelli nicaraguensi dovettero andare via dalla loro patria per preservare la propria vita o non finire in galera.
Ci accusano di voler creare separazioni, quando sanno benissimo che quello che abbiamo fatto è stato un lavoro di mediazione per evitare morti inutili; assistere i feriti, proteggere la vita di fratelli nicaraguensi! Da allora hanno iniettato odio e, grazie a Dio, il nostro popolo è nobile e non si lascia ingannare e tutta questa campagna diffamatoria non si è insinuata nei cuori e nelle menti della nostra gente buona e rispettosa della propria fede cristiana, dei propri servi, i vescovi e i sacerdoti.
Voi siete quelli che generano ansia e disordine in questo paese. Come il disordine e l’ansia che avete generato a Matagalpa con quel cordone di sicurezza che avevate creato intorno all’episcopio. Avete pregiudicato la libera circolazione dei veicoli, il normale corso del commercio, della gente che lavora onestamente. Voi siete quelli che avete contaminato e alterato la percezione che la popolazione ha della Polizia, che viene paragonata alla Guardia dei tempi di Somoza, perché la costringete a compiere violazioni dei diritti umani della popolazione indifesa; invece di essere le sentinelle della gioia del popolo, l’avete trasformata in un braccio coercitivo e violento.
La nostra missione è evangelizzatrice, pastorale, pacifica, per natura siamo amanti della pace, una pace che si fonda sulla verità, la giustizia, la libertà, l’amore. Noi predichiamo il comandamento dell’amore che Gesù ci ha lasciato. Ci sforziamo di riconciliare le persone che voi dividete con il vostro modo di procedere. Noi predichiamo che, sì, è possibile essere fratelli, anche se siamo diversi. Siamo fedeli al principio dell’unità nella diversità. La parola di Dio ci spinge ad essere profeti e a difendere i diritti umani delle persone. E a denunciare ogni tipo di ingiustizia. Non sequestriamo le persone, non prendiamo ostaggi umani, non costruiamo accuse per incarcerare le persone. Ci fa male che i nostri connazionali debbano migrare, così come la disgregazione delle famiglie.
Il Signore vi ha concesso l’opportunità di assumere di nuovo il governo e di non ripetere gli errori della vostra prima amministrazione. Però non solo li avete ripetuti, ma siete andati ben oltre. È veramente deplorevole.
Vi esortiamo a convertirvi e a smettere di rovinarci la vita; lasciateci lavorare in pace! Rilasciate il Vescovo, i sacerdoti e i laici e il Signore avrà pietà di voi, se vi convertite di tutto cuore.
Rispettate la Costituzione Politica della Repubblica! Voi fate quello che volete con le leggi, le manipolate, emanate decreti per imprigionare i cittadini. E ricordate: Nessuno deve essere al di sopra della Costituzione Politica della Repubblica! Quello che state facendo è sì promuovere il disordine e l’ansia in questo Paese che soffre.
Ora, dunque, ciò che fa il Vescovo di Matagalpa, che non ha commesso alcun delitto, è un innocente con la coscienza tranquilla, lo facciamo tutti noi sacerdoti del Nicaragua. Ciò che state facendo al Vescovo Álvarez, l’Amministratore Apostolico che ci ha scelto Papa Francesco, lo state facendo a tutti noi. State perseguitando la Chiesa per la sua missione profetica, perché è l’unica capace di denunciare le vostre continue violazioni dei diritti umani, dimenticandovi che quando perseguitate la Chiesa, nella persona dei suoi servi, i vescovi, i sacerdoti, i laici, è Cristo stesso che perseguitate (cfr At 9,5).
Continueremo a pregare, affinché il Signore vi conceda il suo Spirito Santo e possiate correggere tutte queste barbarie che state facendo alla nostra Chiesa nicaraguense.
Ci sentiamo rafforzati dalla vicinanza, dal dolore e dalla sollecitudine del nostro Papa Francesco, per le sofferenze della Chiesa nicaraguense. Sappiamo di essere sempre presenti nelle sue preghiere.
Ringraziamo tutte le Conferenze Episcopali che hanno mostrato solidarietà, e continuano a farlo, con la nostra Chiesa perseguitata, soprattutto con il nostro Amministratore Apostolico, Monsignor Rolando José Álvarez Lagos.
Ringraziamo tutte le personalità di tutto il mondo che hanno espresso i loro buoni auspici, affinché questa crisi si risolva nel migliore dei modi e il prima possibile.
Ribadiamo la nostra vicinanza e il nostro sostegno incondizionato, non solo al nostro Amministratore Apostolico, ai sacerdoti e ai laici, ingiustamente incarcerati, ma anche agli altri vescovi della Conferenza Episcopale del Nicaragua, che soffrono nella propria carne le vessazioni che sono state inflitte al loro fratello nell’episcopato.
Fraternamente,
Clero diocesano autoctono della Diocesi di Estelí, che comprende le Parrocchie dei dipartimenti di Estelí, Madriz e Nueva Segovia.
Nella memoria di Santa Maria Regina, il ventiduesimo giorno del mese di agosto dell’anno duemilaventidue.
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August 22, 2022
IL LIBRO CHE CI LEGGE. La Bibbia come mappa del tesoro
di Costanza Miriano
È uscito ieri un libro che stavo scrivendo da più di due anni, e infatti inizia con me chiusa nello sgabuzzino delle scarpe, positiva al tampone ed esiliata da una figlia che ha fretta di tornare a scuola, reclusa in uno spazio di mezzo metro quadrato in compagnia di uno sgabello fatto da un cinese sadico e daltonico. In realtà ci sarebbero voluti più di due anni, e ho consegnato solo perché erano ampiamente scaduti i termini. Il fatto è che si tratta di un libro che parla della Bibbia, quindi sarebbe un libro interminabile; in più io sono un’ignorante (ogni copia che verrà venduta, un vero biblista morirà) e quindi ho cercato di mettercela tutta, ma due anni non sono abbastanza. Diciamo allora che più che un libro che spiega la Bibbia (come se la Parola di Dio si potesse spiegare) è qualcosa che spero ci faccia venire voglia di prenderla in mano, e di prendere sul serio quello che c’è scritto. Perché, come diceva Padre Emidio, che è morto mentre lo stavo scrivendo (tutte le intuizioni illuminanti sono sue, la scazzafrulloneria è mia), la Parola di Dio se la prendi sul serio “te cambia la capoccia”.
Per esempio, la storia dell’Esodo potrebbe avere qualcosa a che fare anche con il tuo, il nostro soffrire, magari ha qualcosa da dire sulla nostra vita quotidiana, fatta di fatica, di incomprensioni, parla della moglie che rompe sempre, dei genitori o dei figli che non ci capiscono, del lavoro che è (o sembra) arido e senza prospettiva, parla di quando abbiamo pochi soldi o ci sentiamo poco amati, quando non proviamo neppure più a cambiare, oppure ci proviamo ma nonostante tutta la buona volontà non riusciamo, e mai niente di noi e della nostra situazione ha un mutamento: circostanze ripetitive e invariabili, esattamente come quelle degli Ebrei che anno dopo anno impastavano il fango per il faraone per una paga da fame. Magari anche su di noi Dio ha un progetto.
E così questo libro parla del mio amico Enrico che ha un matrimonio difficile (pare che Groucho Marx si sia ispirato a sua moglie per la sua dichiarazione d’amore: “se mi sposi non guarderò mai più un altro cavallo”), mentre lui sicuramente un esemplare di uomo un po’ speciale, un mammifero modello 103 direbbe Fred Buscaglione, ma in versione maschile. Cioè al posto delle tette ha un sacco di qualità speciali: insegna all’università ma guida il trattore nella tua tenuta, sa potare gli ulivi e spegnere gli incendi, suonare un coso (violino? viola? violoncello?) con unarchetto e cantare in gregoriano, va in bici e in montagna senza mai perdersi, mentre io alla prima svolta mi siedo e aspetto i soccorsi, chiedendomi perché mai mi trovi in un posto dove non c’è il bar. (Il mio amico è quasi insopportabile, ma ha anche dei pregi: non capisce una mazza di calcio e mi fa sentire il ct della nazionale quando azzecco da che parte deve segnare l’Italia, è totalmente inconsapevole delle sue qualità superiori e pensa che io sia al suo livello, e mi parla in latino sopravvalutandomi clamorosamente: da quando sono mamma tutti i files contenenti le lingue classiche sono stati sostituiti da ricette gourmet tipo pasta in bianco, e l’altro giorno quando ha usato il supino passivo pensavo stesse parlando in sardo. Nonostante le sue qualità notevoli, e l’oggettiva fatica di un matrimonio con una moglie sempre arrabbiata, il mio amico ha deciso che forse era lui che doveva cambiare, e leggendo l’Esodo ha deciso di partire per il viaggio della conversione.
“Il libro che ci legge” (edito da Sonzogno) parla di lui e di un’altra amica che decide di farlo, questo viaggio dell’Esodo, e incontra Dio nell’orto della nonna. Parla di un uomo tentato dall’idea di tradire la moglie, e della sua decisione di tagliare la testa al nemico, come Giuditta, parla di Rut e di amore per le suocere, parla di un uomo che come Salomone a un certo punto ha chiesto la saggezza, e dopo anni di fidanzate improbabili e due figli fatti con la radical chic impara ad amare, parla di Elena che subisce un sacco di cattiverie al lavoro, ma come Susanna sceglie bene da chi farsi difendere, parla di Letizia che sa perdonare come Giuseppe, parla di Agnese che riesce a tenersi il marito diventando una regina come Ester, parla dei miei amici sposati da tanti anni, ma che devono ancora imparare da Tobia e Sara come si diventa una coppia, parla di trovare un fidanzato come Rebecca.
Ma soprattutto, spero, parla di come lasciare il comando del nostro cuore a un’altra fonte di informazione su noi stessi: smettere di ascoltare pensieri superficiali, emozioni, il mondo inconscio, e decidere di attaccarci all’unica cosa solida che ci è stata data. La Parola di Dio sulla nostra vita. La parola fede nella lingua ebraica ha a che fare con la parola roccia. Attaccarci come una cozza a questo scoglio è la sola cosa che ci permette di non rotolare a vuoto per tutta la vita. È ciò che insieme alla preghiera costante trasforma seriamente il cuore.
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Il libro è disponibile nelle librerie e online
July 14, 2022
La confessione, il tema del quarto capitolo del Monastero Wi-Fi
di Costanza Miriano
Quando Gesù rimette i peccati al paralitico di Cafarnao, la gente intorno ride di lui. È una cosa troppo enorme rimettere i peccati, gli dicono. Non ci crediamo. E allora, per convincerli che lui ha il potere di fare tutto, il Signore guarisce il paralitico. Noi forse – io di sicuro – abbiamo perso lo stupore di fronte a questa cosa. Abbiamo lasciato che duemila anni lasciassero sul nostro cuore uno spesso strato di polvere anestetizzaznte, ma se davvero ci fermiamo a pensare un po’, la confessione è una cosa incredibile. Ed è stata istituita da Gesù, appena risorto, come prima azione. Cioè: Dio fatto uomo, morto, è risorto, che già è una cosa che la testa ti si incarta, e la prima cosa che ha fatto è stata quella di dare il potere di rimettere i peccati. Una cosa da far girare la testa.
Invece spesso si fa (SE si fa, e mi dicono che si fa sempre di meno) come un dovere, una rottura di scatole, qualcosa su cui investire il minimo sforzo possibile (che poi io, per dire, ho una mappa dei sacerdoti più sordi di Roma, e anche una lista di anziani rimbambiti, e qualche orientale a cui hanno asportato il sistema nervoso). Insomma, ti offrono uno scrigno pieno di gioielli, e tu pensi che ti stiano fregando, e non accetti. O se accetti, lo fai controvoglia, cercando di prendere il meno possibile.
Confessarsi al minimo, però, è come avere a disposizione il guardaroba di Anna Wintour e andare a scegliere i vestiti al mercatino dell’usato (volevo dire “è come avere una Ferrari e andare a venti all’ora”, ma mi pareva meno uno spreco).
Ho visto delle vite cambiare, persone uscite trasfigurate da certi confessionali, dove sacerdoti illuminati avevano fatto la diagnosi – la confessione fatta seriamente ti dice a che punto stai – agito con il bisturi e asportato i tessuti malati. Perché se tu consegni a Dio il tuo passato, lui diventa il tuo avvocato, e quando l’accusatore ricomincerà a ricordartelo, lui ti difenderà: il tuo peccato diventa affar suo, e tu puoi andare in giro a testa alta, qualunque cosa tu abbia fatto, perché sei il figlio del Re.
L’unico modo per nascondere i peccati è dirli tutti a Lui, perché se li prende su di sé, e allora non ci sono più. Invece il mondo non se li dimentica mai i tuoi peccati: il mondo permette tutto ma non perdona nulla, la Chiesa non permette tutto, ma perdonare sì, perdona tutto.
Cosa è il peccato, cosa è la ferita originale che ci riguarda tutti, come ci si confessa (non raccontando i peccati degli altri, purtroppo), quali sono i nomi e le parti della confessione, come ci si prepara, come si ripara dopo, cosa è la confessione generale, come Dio agisce sull’anima del penitente, come certe confessioni hanno segnato delle svolte: su questi e molti altri argomenti otto sacerdoti – uno meglio dell’altro, e tutti molto diversi fra di loro – ci aiuteranno a ragionare al Quarto capitolo generale del Monastero wi-fi, che sarà il 24 settembre a san Pietro, sempre all’altare della confessione, sulla tomba di Pietro, che mi gira la testa solo a pensarci.
Siccome non sappiamo ancora se avremo un tetto di presenze – dipende anche dall’andamento del virus – e per organizzarci al meglio, vi chiediamo di accelerare le iscrizioni, e di spargere la voce tra gli amici finché siamo ancora in tempo. Sarà una giornata di catechesi e preghiera, a grandi linee dalle 9.45 alle 17 (con ingresso molto prima, e lodi per chi abita vicino, o comunque dorme a Roma), con al centro la messa, e nel mezzo il rosario, alla fine l’adorazione. Contiamo anche di fare un momento di saluto caciarone fuori dalla chiesa, al termine, per chi può fermarsi (perché pare che in san Pietro non si possa saltellare urlando e abbracciandosi, al grido di “non ci posso credere ma che bello vederti sei bellissima”, almeno così ci hanno fatto capire l’anno scorso le guardie svizzere…) Al più presto vi faremo avere il programma dettagliato con tutti gli orari delle singole catechesi. Si può venire anche solo per la messa, o per una parte della giornata. L’importante è iscriversi QUI , e ricordate che non arriva nessuna mail di conferma: si compila il modulo e siete iscritti. Arriverà una mail qualche giorno prima con tutte le informazioni e il materiale da stampare. Può anche succedere in un caso su cento che ci sia qualche intoppo, allora se non ricevete la mail scriveteci qualche giorno prima. Se eravate già iscritti ma con intoppo, entrerete comunque. Vi ricordiamo anche di disdire, nel caso non possiate più venire, per non togliere inutilmente il posto a qualcun altro. Cercheremo anche questa volta di registrare, per chi non può venire o per chi poi vorrà riascoltare, perché si perde sempre un pezzetto, lì per lì (c’è anche chi organizza per mesi e aspetta con ansia quel giorno, poi si addormenta in prima fila, per dire).
Come sempre è tutto gratuito, ma se qualcuno volesse dare una mano a una persona che si trova in difficoltà a pagare i biglietti per venire, come è successo le altre volte, oppure volesse fare un’offerta, ricordando che ciò che non serve a coprire le spese vive va ovviamente ai poveri, c’è il nostro Iban, che è cambiato: IT70C0303201400010000709065, intestato a monastero wifi. Le due regole che abbiamo messo all’inizio (“non ci sono protagonisti o leader, non diciamo niente di nuovo ma vogliamo aiutare gli amici a conoscere meglio la Chiesa e amarla di più”, e “le casse devono essere vuote”) rimangono sempre valide.
Infine, consigliamo di lasciare i bambini a casa, perché san Pietro non ha esattamente dei locali parrocchiali da prestarci per intrattenere i piccoli: in ogni caso per chi non sapesse come organizzarsi, forniremo un elenco di baby sitter da contattare direttamente.
Per iscriversi https://forms.gle/HDfUgQZwyU9VeJHG9
July 12, 2022
Raccolta dati per il Sinodo sulla sinodalità
June 25, 2022
Vescovi Usa: «Il movimento pro life entra nella storia»
I vescovi degli Stati Uniti hanno commentato la storica sentenza della Corte suprema che ribalta quella del 1973, Roe vs. Wade, che aveva reso l’aborto protetto dalla Costituzione. La nota è firmata dal capo dei vescovi, monsignor José H. Gomez di Los Angeles, presidente della Conferenza episcopale statunitense (USCCB) e l’arcivescovo William E. Lori di Baltimora, presidente del Comitato per le attività a favore della vita, di seguito una traduzione di lavoro de IL TIMONE:
«Questo è un giorno storico nella vita del nostro Paese, che suscita pensieri, emozioni e preghiere. Per quasi cinquant’anni l’America ha applicato una legge ingiusta che ha permesso ad alcuni di decidere se altri possono vivere o morire; questa politica ha provocato la morte di decine di milioni di bambini, generazioni a cui è stato negato il diritto di nascere.
L’America è stata fondata sulla verità che tutti gli uomini e le donne sono creati uguali, con i diritti dati da Dio alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Questa verità è stata gravemente smentita dalla sentenza Roe v. Wade della Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha legalizzato e normalizzato la rimozione di vite umane innocenti. Ringraziamo Dio oggi che la Corte ha ora ribaltato questa decisione. Preghiamo che i nostri rappresentanti eletti ora promulghino leggi e politiche che promuovano e proteggano i più vulnerabili tra noi.
Il nostro primo pensiero va ai piccoli a cui è stata tolta la vita dal 1973. Piangiamo la loro perdita e affidiamo le loro anime a Dio, che li ha amati da sempre e che li amerà per l’eternità. I nostri cuori sono anche con ogni donna e uomo che ha sofferto gravemente per l’aborto; preghiamo per la loro guarigione e promettiamo la nostra continua compassione e sostegno. Come Chiesa, dobbiamo servire coloro che affrontano gravidanze difficili e circondarli di amore.
La decisione di oggi è anche il frutto delle preghiere, dei sacrifici e del lavoro di innumerevoli americani comuni di ogni ceto sociale. In questi lunghi anni, milioni di nostri concittadini hanno lavorato insieme pacificamente per educare e persuadere i loro vicini sull’ingiustizia dell’aborto, per offrire assistenza e consulenza alle donne e per lavorare per alternative all’aborto, compresa l’adozione, l’affidamento e l’assistenza pubblica di politiche a sostegno delle famiglie. Condividiamo la loro gioia oggi e gli siamo grati. Il loro lavoro per la causa della vita riflette tutto ciò che c’è di buono nella nostra democrazia e il movimento pro-vita merita di essere annoverato tra i grandi movimenti per il cambiamento sociale ei diritti civili nella storia della nostra nazione.
Ora è il momento di iniziare i lavori di costruzione di un’America post- Roe. È un tempo per curare le ferite e riparare le divisioni sociali; è un momento di riflessione ragionata e di dialogo civile, e di incontro per costruire una società e un’economia che sostengano i matrimoni e le famiglie, e dove ogni donna abbia il sostegno e le risorse di cui ha bisogno per portare suo figlio in questo mondo.
Come leader religiosi, ci impegniamo a continuare il nostro servizio al grande piano di amore di Dio per la persona umana e a lavorare con i nostri concittadini per adempiere la promessa dell’America di garantire il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento di felicità per tutti».
***
In Italia segnaliamo il commento del Centro Studi Livatino:
«La sentenza di ieri della Corte Suprema degli USA sull’aborto fa cadere due tabù. Il primo è che, a differenza di quanto accaduto a partire dal 1973, con la sentenza Roe v. Wade, e in Italia col caso Englaro o col suicidio assistito, non spetta ai giudici imporre le norme. Spetta invece ai Parlamenti, assumendosi la relativa responsabilità politica, approvarle dopo averne discusso: ai giudici compete “interpretare la legge”, non inventarla. Il secondo è che “la Costituzione (degli USA) non conferisce il diritto all’aborto”: e questo è un importante passo in avanti nella direzione della piena tutela del diritto alla vita del concepito.
Come per ogni tabù che cade, si tratta di una scelta di civiltà».
June 13, 2022
Santa Messa per David Buggi il ragazzo che cercava la Verità
“Sono pronto, io l’ho sentita la mano di Gesù, so che sta venendo a prendermi”.
Così parlava David Buggi poco prima di morire, cinque anni fa.
Così muore un ragazzo di 17 anni con un cuore da guerriero, un ragazzo che ha combattuto contro la paura, la rabbia, il sentimentalismo e la tristezza che a volte ci tentano negli ultimi momenti di vita, contro il vuoto e il non senso, un ragazzo che ha vinto, ha accettato la sua malattia e ha creduto nell’amore di Dio che è padre, ci ha creduto fino alla fine e ha deciso di accettare il dolore e di offrirlo per la salvezza dei giovani.
David era un ragazzo un po’ ribelle e pieno di vita, intelligente e super energico, faceva sport e andava a scuola e poi girava continuamente in bici, nuotava, faceva il post cresima e frequentava la comunità di Betania, perché cercava, cercava la Verità e non si accontentava di risposte preconfezionate. Quando ha scoperto di avere un tumore maligno, prima ha pregato perché gli venisse tolto, forse si è ribellato e arrabbiato, immagino, ma poi nel pieno del combattimento ha avuto una grazia, e ha capito che se è Dio che lo vuole, va benissimo perché lui è padre e vuole solo farmi un regalo.
Per questo da quando l’ho incontrato non ho smesso di chiedergli di intercedere per i miei figli. Nei momenti importanti sono andata a inginocchiarmi davanti alla sua tomba. E le grazie sono arrivate. Non so se sia lui o san Giuseppe, o magari lavorano in squadra, però sono arrivate.
Sabato 18 giugno sarà il quinto anniversario della morte, e alle 19 verrà celebrata una messa nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, dove ho visto funerali di soldati, di gente che ha lottato, proprio come David. A celebrare sarà don Pierangelo, che ha accompagnato David nel suo combattimento sulla terra, perché chiudesse le orecchie alle parole cattive del demonio, a tutte le tentazioni che ci vogliono far mormorare contro Dio (“perché a me?” è la prima di tutte).
Negli ultimi giorni prima della fine David ha voluto incontrare tutti i suoi amici, una marea di ragazzi nella sua stanza di ospedale, e si è offerto per la loro salvezza: per la ragazza che si stava buttando via, per quello che si drogava, per quelli che odiavano i genitori e per quelli che forse dei genitori veri non li avevano nemmeno. A tutti ha annunciato che la vita non finisce qui, che siamo fatti per vivere per sempre, se siamo figli di Dio: e morire tranquilli a diciassette anni è una cosa che non puoi fare se non sei figlio di Dio. Morire senza terrore, chiedendo solo che la mamma non soffra troppo, e che gli amici non si perdano.
Caro David, ricordati il nostro patto. Ricordati i miei figli, e quelli di tutti coloro che vorranno affidarsi alla tua potente intercessione (testimonio).
Chi vuole altre informazioni, o materiale per la preghiera, o raccontare grazie ricevute può scrivere a
associazionedavidbuggi@gmail.com
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June 12, 2022
La preghiera è scoprire che Dio prega in te
Grazie al generoso lavoro delle amiche che registrano e trascrivono, ecco la catechesi del 2 Maggio al Battistero di S.Giovanni: per un contrattempo don Pierangelo Pedretti, che sarebbe dovuto venire non è riuscito a essere presente, e quindi abbiamo chiamato all’ultimo don Cristiano Antonietti, che però non è esattamente l’ultimo arrivato, essendo tra le altre cose Cerimoniere Pontificio, nonché umbro, che da queste parti – essendo io perugina – è considerata una nota di grande merito. E leggete qui che meravigliosa catechesi sulla preghiera ci ha regalato. Mi porto a casa tante cose e non vorrei rovinarvi la lettura elencandole. Solo, voglio scolpirmi sulla fronte questo, per tutte le volte che ho voglia di lamentarmi e la prima cosa che mi viene da fare è prendere in mano il telefono e sfogarmi con qualche amica: “entra nella tua stanza interna, la stanza delle provviste, e chiudi la porta, perché le provviste non verranno da fuori ma vengono da dentro, dalla stanza segreta, dalla stessa stanza. Che cos’è la preghiera? E’ proprio questo”.
Ps Tenetevi pronti per il prossimo incontro, lunedì 4 luglio: stiamo preparando una sorpresa, forse…
(Non ho l’ansia da prestazione perché… proprio mi avete chiamato quando non c’era più nessuno… quindi sono tranquillissimo, quello che dico dico …)
Allora la preghiera…
Io devo ancora in realtà ben capire, dopo una dozzina di anni di sacerdozio, come si preghi ma provo a condividere con voi con molta semplicità quello che è il centro.
Sono voluto andare al centro del centro.
Un po’ perché vengo da Foligno che si dice, nonostante i perugini, che sia il centro del mondo, ma poi perché, pensando alla preghiera sono andato alle indicazioni di Gesù: l’elemosina, la preghiera ed il digiuno all’interno del discorso della montagna. E proprio la preghiera sta anche qui al centro, fra l’elemosina ed il digiuno.
Io inizierei con la lettura di Matteo 6, 5-6 perché oggi parleremo del Padre Nostro, anche se credo che non fosse l’argomento di oggi ma credo che sia importante, credo perché sia opportuno (…e poi mi sono preparato su questo)
Matteo 6, 5-6:
“E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.”
Ecco, all’inizio di questo testo, proprio al capitolo 6 versetto 1, il Padre viene detto nei cieli, che è una espressione tipica in Matteo. Il Padre è nei cieli. E qui bisogna leggere questo nei cieli, in realtà come nel segreto. Questi cieli che sovrastano tutta la terra, che di per sé tutto è tranne che segreto, però in Matteo sono dei cieli particolari, che non si vedono. Alla preghiera fatta in un luogo pubblico, la sinagoga, la strada, fatta in modo da attirare l’attenzione, Gesù invece contrappone quella che è una preghiera nascosta. Una preghiera dove nessuno vede. E qui la faccenda si fa intrigante.
Si dice invece quando tu preghi entra nella tua camera: di quale camera si parla?
Si usa un termine greco, che si legge tameion, che non indica tanto la camera dove si dorme, ma piuttosto, come poi si dirà in Luca 12,24, il luogo dove si tengono i cibi , la dispensa, la cella delle provviste, dove si tengono i beni, che di per sè è una stanza interna, nascosta, una cantina.
Non è il primo luogo che uno va vedere quando uno ti viene a trovare a casa.
Dove andiamo?
Andiamo a vedere la cantina dove stanno le provviste. No.
E qui si dice entra e chiudi la porta. È un particolare quasi inutile ma che ci attira l’attenzione.
Perchè dice entra e chiudi la porta? Innanzitutto sappiamo che se io chiudo la porta nessuno può entrare e poi certo nessuno potrà vedere.
Allora io penso che il migliore commento a questi due versetti, sia contenuto nel secondo libro dei Re, al capitolo 4, i versetti dall’1 al 7, che adesso vi leggo.
“Una donna, una delle mogli dei figli dei profeti, gridò a Eliseo: “Mio marito, tuo servo, è morto; tu sai che il tuo servo temeva il Signore. Ora è venuto il creditore per prendersi come schiavi i miei due bambini”. Eliseo le disse: “Che cosa posso fare io per te? Dimmi che cosa hai in casa”. Quella rispose: “In casa la tua serva non ha altro che un orcio d’olio”. Le disse: “Va’ fuori a chiedere vasi da tutti i tuoi vicini: vasi vuoti, e non pochi! Poi entra in casa e chiudi la porta dietro a te e ai tuoi figli. Versa olio in tutti quei vasi e i pieni mettili da parte”. Si allontanò da lui e chiuse la porta dietro a sé e ai suoi figli; questi le porgevano e lei versava. Quando i vasi furono tutti pieni, disse a suo figlio: “Porgimi ancora un vaso”. Le rispose: “Non ce ne sono più”. L’olio cessò. Ella andò a riferire la cosa all’uomo di Dio, che le disse: “Va’, vendi l’olio e paga il tuo debito; tu e i tuoi figli vivete con quanto ne resterà”.
Splendido! Non so se avete contestualizzato il brano.
Quindi riassumo….
A questa donna muore il marito, il marito aiutava Eliseo e serviva il Signore, a un certo momento aveva dei debiti. Vanno lì, il creditore va a riscuotere i debiti, lei non ha soldi, è una poveraccia- viveva di quello che il marito le dava-, è vedova.
E allora le dicono: bene, i tuoi figli diventeranno i miei schiavi. Allora lei va dal grande profeta Eliseo e gli dice: “Sono disperata, mi è morto il marito, non c’ho una lira, vogliono fare schiavi i mei figli per pagare i debiti. E lui le dice: “Che cosa hai in casa? Non c’hai niente, ma forse avrai qualcosa!” “Si, ho un po’ di olio”. ”Non ti preoccupare, vai fuori, prendi tutti i tuoi vicini e gli dici: Portatemi i vasi vuoti! Portatemi tutti quelli che volete! Più me ne portate, e meglio è”.
Vanno, insieme ai figli, raccolgono tutti i vasi. Dice Eliseo: “Poi entra in casa, tu con i tuoi figli, chiuditi la porta dietro, chiudi tutto, e inizia a versare quel poco di olio nei vasi che tu hai.”
E qui, il grande miracolo: lei inizia a versare olio, questo poco olio che aveva, inizia a versarlo in tutti questi vasi che le hanno portato, che erano tanti, e lei, più versava questo poco olio più si moltiplicava, alla fine dice: ”Ma non ci sono altri vasi?” ”No, li abbiamo terminati tutti. Questa donna vende il vaso, vende l’olio che c’era dentro tutti i vasi, e alla fine paga il debito e ha di che vivere per tutta la vita, lei e i figli.
E’ un racconto curioso, dove ci sono delle provviste segrete e una donna. Questa donna ascolta il profeta, si fa portare i vasi dai suoi figli, e poi versa l’olio.
Dove lo versa?
In casa sua.
Quando?
Quando aveva chiusa la porta.
Tutto è avvenuto nel segreto.
Nessuno di quelli che ha dato i vasi ha visto niente.
E notate che Dio non viene nemmeno nominato, non si parla di Lui.
Ma è chiaramente Lui che rende possibile questo. Eppure, resta nascosto.
Dovete seguirmi perché, prima di arrivare al punto, ci arrivo piano piano come vedete.
Allora entra nella tua stanza interna, la stanza delle provviste, e chiudi la porta, perché le provviste non verranno da fuori ma vengono da dentro, dalla stanza segreta, dalla stessa stanza.
Che cos’è la preghiera?
E’ proprio questo.
Ancora non abbiamo iniziato con il Padre nostro, e già ci viene detto che cosa è la preghiera: è scoprire che Dio prega in te. Questo è meraviglioso.
E’ scoprire che Dio prega in te.
E’ scoprire che c’è una fonte nascosta dentro di te, che da’ un vino che il mondo non conosce.
Come dice la amata del Cantico dei Cantici, quando dice: “Mi ha introdotto il re nella sua stanza”. Poi sempre il Cantico dei Cantici parlerà della casa del vino, che è il luogo segreto dove si produce il vino.
Ecco, noi cerchiamo sempre qualcosa dall’esterno. Abbiamo sempre bisogno – per carità, voi state qui oggi e mi ascoltate- ma abbiamo sempre bisogno di qualcosa dall’esterno che -torno a dire, per carità è giusto- i sacramenti, la liturgia della Parola- ma questo diventa poi una ricerca sfrenata di qualcosa che venga dall’esterno.
Quanta gente che c’è che passa da un incontro all’altro, andando a cercare sempre una sensazione, sempre una parola che possa cambiare la sua vita…quel predicatore, quel sacerdote, quell’emozione.
Come la Chiesa passa da un evento straordinario all’altro, creando un buco dentro terribile, perché si passa da un evento straordinario all’altro.
Mi ricordo quando stavo in Diocesi, si passava da una giornata mondiale dei giovani all’altra, quattro anni e non ci si vedeva più.
Ecco, non dobbiamo dimenticare che c’è una stanza segreta che ha un’apertura sul mondo di Dio, che non si esaurisce mai, come l’olio della vedova.
Tu porti il vaso vuoto, e quello si riempie. Bello!
Dio prega in noi, combatte in noi!
Come quando Gesù parla alla Samaritana e le dice: “Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”.(Gv 4,14)
o ancora
“Se qualcuno ha sete, venga a Me, e beva, chi crede in Me”.
Come dice la Scrittura, “dal Suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva.”
Ma già in Isaia , al cap.58, avevamo letto: ”Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa, sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono.”
E uno scopre allora, grazie a Dio, che il cuore è una fonte di rivelazione.
E infatti, qui si dice, prima che il Padre È nel segreto, e che il Padre VEDE nel segreto.
Se vede nel segreto è perché Lui, il Padre, è già lì, in quella stanza.
E’ vero, nel libro dell’Apocalisse noi leggiamo: ”Io sto alla porta e busso”, ma un’immagine non contraddice l’altra.
In realtà, se non siamo con il Signore, siamo noi ad essere fuori da noi stessi.
Come quando ci viene in mente la parabola del Figliol Prodigo, che lui stava fuori se stesso.
Come quando uno da di matto, a casa, non ce la fai più con i figli, col marito, con la moglie, con il fidanzato, e dici : “Ecco, ho dato da matto, non stavo in me stesso”.
E’ vero , non stavi in te stesso, stavi fuori, stavi fuori da te, perché dentro c’è il Signore che ti aspetta, che prega con te, che lotta con te, che vive con te, che non ti lascia mai.
Questo luogo spettacolare, meraviglioso, in cui celebrate la Parola e adorate il Signore vivente, è proprio un fonte, è proprio il Battistero; il momento in cui il Signore viene ad abitarti dentro è il battesimo, e qui voi fate un memoriale continuo.
Si deve avere tanta, tanta fiducia però, nel chiudere la porta, quando dentro non c’è ancora niente. Soprattutto quando si è feriti, quando sarebbe necessario un aiuto esterno. Ci vuole fiducia perché, una volta chiusa la porta poi, puoi solo aspettare che il Signore arrivi. E il chiudere la porta è ciò che permette che il Signore arrivi. Finché vai a cercare la vita al di fuori, sei tu che ti provvedi il cibo. Allora, c’è una solitudine richiesta, per non essere più soli. Un gioco di parole, ma è questa la verità.
C’è una solitudine che ti è richiesta, per non essere più solo.
Perché se tu non fai questo atto di volontà, questo sforzo di te stesso, in cui, veramente dai la possibilità al Signore di parlare alla tua vita, di iniziare a pregare dentro di te , cioè se tu non prendi il largo, cioè, e vai là dove non sei più sicuro, là dove potresti affondare ; ma se tu non fai questo gesto, affinché il Signore venga nella tua vita, inizi a pregare con te, riempia la tua solitudine, facendola poi diventare armonia, facendola poi diventare comunione, rimarrai tu il padrone della tua vita, avvinghiato su te stesso, andando sempre a cercare quello che tu ritieni che sia il pane che tu debba mangiare.
Invece è Lui che vuole riempire continuamente con questo olio questi vasi che noi Gli diamo.
E cosa succede dentro questa stanza, cosa succede dentro di noi, in cui c’è il Padre che prega, ecco a questo punto entriamo dentro la dinamica di questo incontro, entriamo appunto nel centro del centro che è il Padre Nostro, che possiamo iniziare proprio pregando insieme :
Padre Nostro che sei nei cieli,
sia santificato il Tuo nome,
venga il Tuo regno,
sia fatta la Tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti,
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci abbandonare alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Il Padre Nostro che è, non solo al centro dell’elemosina e del digiuno, come avevo detto, delle tre famose pratiche che poi la quaresima liturgicamente ha preso con sé, ma è anche al centro del discorso della montagna.
Abbiamo due versetti che introducono la preghiera del Signore, e due che la concludono; siamo sempre al capitolo 6 di Matteo: “Non si devono sprecare le parole, non si viene ascoltati a furia di parole”.
E’ vero; però, come mettiamo insieme questa introduzione di Gesù, con quella parola di Paolo, così cara a noi cristiani, che dice “Pregate incessantemente” ( 1 Ts 5, 17).
Devo pregare senza sosta, però non devo sprecare parole, altrimenti, come abbiamo letto in Matteo, sono come i pagani, che hanno molte parole.
La nostra preghiera è essenziale, sono poche parole, anzi, tutto va semplificandosi verso una preghiera monologica, con una sola parola.
Eppure questa parola diventa per noi come il respiro, perché, se la relazione con il Padre è la vita, smettere di essere in relazione con Lui significa morire.
Entriamo allora nel vivo di questa preghiera, che è una preghiera che è il compendio della vita cristiana.
La Didaché, questo splendido libro del primo secolo, che ci viene consegnato dalla chiesa, diceva che la preghiera del Padre Nostro , essenziale per la nostra vita di cristiani, doveva essere pregata tre volte al giorno. E noi lo facciamo : facciamo alle lodi mattutine, ai vespri, e poi lo facciamo nella celebrazione eucaristica.
Il Padre Nostro: anzitutto la prima parola: Padre.
Con quella prima parola del Padre Nostro, noi chiamiamo Dio, lo chiamiamo, lo invochiamo ; siamo così abituati a farlo che rischiamo di non essere, di non sentire più il fuoco di questa parola, la forza di questo inizio.
Chi prega il Padre Nostro si rivolge a Dio, gli da del Tu, lo chiama Padre; addirittura Paolo ha questa bella espressione, che neanche la vuole tradurre : “Abbà“.
Quindi entriamo in questa dinamica con Lui.
Cominciamo a pensare questo : quando è che un uomo dice ad un altro uomo Padre?
Lo dice quando è successo qualcosa tra loro due, qualcosa di oggettivo, che non può essere eliminato da niente e da nessuno.
Cioè quando uno ha dato la vita all’altro.
Come noi quando eravamo bambini non è che andavamo a chiamare “padre”, l’amico di nostro padre.
E’ una cosa così forte, così intima, così totalizzante.
Quella di essere padre è un fatto.
Non è che Dio lo senti come un padre, magari pensando anche a tuo padre, per carità, ma è proprio un fatto.
Noi cristiani chiamiamo Dio Padre proprio perché lui ci ha dato la sua vita, “Ruha”, il suo spirito e il suo modo di esistere.
Noi esistiamo dell’esistenza di Dio, noi viviamo della vita di Dio che è Padre.
Guarda che bello: mentre dico Padre a Lui, io sto dicendo nello stesso istante anche come io mi concepisco davanti al Padre.
Io sono suo figlio. Colui che è stato generato da Dio. Uno che ha in sé la vita di Dio, che vive secondo Dio.
Però sappiamo che Dio quanti figli ha?
Dio ha Suo figlio che è Cristo.
Solo un figlio di Dio, perché solo così può donarsi tutto a lui, attraverso l’Unigenito.
Ma a questo figlio unico di Dio, noi apparteniamo e dunque in quell’unico figlio anche noi siamo suoi figli adottivi.
Sappiamo, noi siamo figli nel Figlio.
Allora chi può dire Padre.
Chi è stato generato da Lui.
Magari però qualcuno potrebbe dire, ma io mi sento tutto vecchio di vivere ancora solo della vita che mi hanno dato i miei genitori.
Ma non è così perché tu hai ricevuto questa Sua vita, anche se non ne sei cosciente, è una realtà.
Pensa a quando nasce un bambino. Quel bambino non sa chi è suo padre ma lui è davvero figlio suo. Solo dopo un anno e qualcosa sua mamma, che gli dice tutti i giorni: “guarda papà, senti papà, papà sta lì”, inizia a rendersene conto.
Così è la vita nuova che viene dal battesimo. Noi già viviamo con questa vita del Padre dentro e lo Spirito Santo pian piano ci educa a riconoscerlo. E come la mamma che dice “guarda papà”, lo Spirito dentro di noi ricevuto nel battesimo ci dice “Abbà, Padre”. E’ un processo continuo di riscoprirsi figli nel Figlio.
E quando un uomo dice Padre riconosce che non ha in se stesso la fonte della vita; che non è lui il padre di se stesso.
Così aveva fatto Adamo nel giardino.
Io sono uno che la vita l’ha ricevuta e continua a riceverla e figlio lo resterò per tutta la vita e vivrò come persona soltanto ricevendo sempre la vita del Padre.
Attenzione, questo lo vedo anche per me, sacerdote, quando si vuole diventare pastori, quando si vuole diventare anche padri e ci si dimentica di essere figli.
Questa è una condizione necessaria come quando si diventa confessori e si lascia il confessionale da penitenti.
Non si può portar la pecorella sulle spalle o sul petto, se non ci si ricorda di essere pecorelle.
Padre nostro, la relazione tra noi e Dio è tutta custodita lì in questo appello. Padre. Ecco chi siamo in realtà. Ma questa relazione non è qualcosa di individuale, questo Padre è nostro, non è una forma intimistica.
Quando a volte vado a trovare qualche vecchietta, soprattutto da me, a cui chiedo: “La confessione come va?” Mi dice “Va tutto bene io mi confesso da sola”.
No, forse l’avremmo detto anche noi, per carità.
Ecco, non esiste nella nostra fede l’Io primo pronome personale. Come non esiste nella liturgia che è la cartina tornasole della nostra vita. Esiste il “nostro”, il Signore sia con voi e con il tuo Spirito, c’è questa dinamica, c’è il “noi”.
Padre nostro, una preghiera tutta inclusiva a includente. Non ci si può concepire da soli ma in comunità. Tanti problemi nella nostra preghiera vengono fuori perché ci concepiamo come delle isolette che si relazionano una a una, ma non è così e non è possibile.
Perché tu puoi dire Padre, perché sei dentro al corpo del Figlio e in questo corpo ci sono molte dimore. Io non sono rinato da solo a vita nuova, c’è stato un grembo dal quale sono nato, c’è stata una madre che mi ha generato.
Abbiamo un Padre celeste e un grembo materno, la Chiesa. L’amata del Figlio, unita a Lui in un solo corpo. E allora questa dimensione, “nostro”, ci riporta a una conditio sine qua non, ché è una fraternità nella quale dobbiamo sempre rieducarci.
Perché se no nella preghiera si ingarbuglia qualcosa. È per questo che in fondo quando non stiamo bene tra noi non riusciamo a pregare.
Quando non stiamo in comunione, non riusciamo a pregare.
Quando dentro di noi c’è rancore, c’è odio, c’è divisione.
Quando sappiamo che abbiamo lasciato delle situazioni irrisolte molto gravi non riusciamo a pregare perché non viviamo la comunione.
“Padre Nostro” che ci ricorda quello che Papa Francesco ha voluto sigillare ad Assisi con la firma della sua enciclica: “Fratelli Tutti”.
“Padre nostro che sei nei cieli”
Dio Padre, e dunque c’è un legame viscerale con noi, è vicinanza assoluta ma nello stesso tempo, lo diciamo subito dopo: lui è “nei cieli”. Che significa allora?
Il cielo è lo spazio che guardiamo con il naso all’insù ed è l’immensità sopra di noi, a cui noi aspiriamo. I cieli sono ciò che ci fanno guardare in alto all’immenso, a ciò che è aldilà delle nostre possibilità.
Ecco Dio, diciamo con un’immagine, abita lì. Tutto lo spazio può essere compreso come due mondi.
Noi abitiamo sotto e lui sopra.
Per noi c’è un abisso invalicabile.
Il Quoelet nei suoi saggi consigli dice: “quando preghi, non parlare tanto, non essere precipitoso. Perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra. Non sbagliarti”.
Dio è imprendibile come il cielo. E’ misterioso, è libero.
Dio non lo posso chiudere in una o due idee che mi sono fatto di lui.
Ho conosciuto poco più di una sfumatura della sua paternità.
Dire “che sei nei Cieli”, è’ riconoscere il Suo essere altro da noi.
Dio non si confonde con noi, ma qui viene il bello, perché lui e solo Lui poteva farlo, non moi, Lui stesso è disceso dal cielo per venirci incontro.
Dio è inafferrabile ed incomprensibile, però ha voluto essere così vicino a noi fino ad essere il figlio dell’uomo, che è disceso dal cielo ed ha voluto essere così vicino a noi da farsi essere ciò che di più intimo noi siamo: ecco cosa sono “i cieli”……
Ci ricorda che Dio è altro rispetto noi, è questa patria verso cui noi stiamo andando, questa perfezione assoluta.
E’ questo mistero nel quale noi camminiamo. E’ la verità che si dispiega.
Ci ricorda, dire: “che sei nei cieli”, che noi siamo pellegrini verso il cielo.
Facendo il Cammino di Santiago, mi meravigliava il saluto che i pellegrini si fanno in lingua originale della gallizia. Una parte dice “Ultreia” e chi incontra dall’altra parte dice “Suseia”.
Ultreia: “sempre avanti”, e l’altro risponde “Suseia”: “sempre in alto”.
Questo è il Padre che sei nei cieli.
Sempre avanti, sempre in alto: questo è il nostro cammino, questo il nostro pellegrinaggio.
Perché chi mette mano all’aratro e si volge indietro non è degno di me.
Diventa sale.
Perché Dio, cari fratelli, care sorelle, perché Dio non può essere rinchiuso dentro le nostre piccole ideuzze, le nostre categorie umane.
Vi ricordate quando Davide ad un certo momento, nell’apice, della sua vita dice: “Adesso voglio fare il grande tempio”, tutto soddisfatto, volevo fare una grande tempio. Faccio a Dio una bella casa.
Natan dice :”Ah, bell’idea”.
Durante la notte Dio gli dice: “Vai da Davide che io faccio una casa a Lui “ che è proprio così.
Dio non è dentro le nostre case.
Noi non possiamo racchiuderlo dentro le nostre categorie.
Noi non possiamo limitarlo, nelle nostre categorie, dentro le nostre idee.
E’ lui che viene a darci la casa dentro cui abitare. E’ lui che prega in noi.
E’ Lui che ci chiede di ascoltare questo spirito che prega in noi, che si fa vita in noi. Che ci rigenera in noi. E’ questo è profonda libertà.
E’ un incontro tra la mia libertà e la libertà di Dio che mi avvolge, che mi abbraccia che mia ama.
“Sia santificato il Tuo nome”.
Allora il Padre nostro da questo punto qui ha una serie di domande. Sono sette.
La prima è questa: “sia Santificato il Tuo nome”, richiede un po’ di pazienza per capire questa domanda, perché non è del tutto semplice ed immediata, anzi io per molti anni l’ho fraintesa questa domanda.
Cominciamo a notare che nella prima parte del padre nostro, noi chiediamo qualcosa che riguarda ciò che è di Dio: il tuo nome, il Tuo regno, la Tua volontà. Chiediamo a Dio di fare qualcosa che riguarda Lui stesso ed in questa prima domanda: “sia santificato il Tuo nome” è ancora più chiaro perché il verbo è al passivo: “sia santificato” e chi è che santifica, da chi deve essere santificato il nome di Dio?
È Dio stesso, è Dio stesso che santifica il Suo nome.
E’ come se dicessimo.
Padre santifica il Tuo nome. Noi chiediamo a Dio che sia Lui a santificare il Suo nome.
Ma perché dovremmo fare questa richiesta, una cosa per sé stesso? Non può farlo da solo?
Evidentemente questa cosa dovrà coinvolgere anche noi ed adesso ci arriviamo.
Questo Suo nome coinvolge anche noi. Cerchiamo di capire come.
Per capire questo “sia santificato il Tuo nome”. Può essere utile ascoltare un capitolo di Ezechiele 36, 22-26.
Dice Ezechiele :
Perciò annuncia alla casa d’Israele: Così dice il Signore Dio: Io agisco non per riguardo a voi, casa d’Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete profanato fra le nazioni presso le quali siete giunti. Santificherò il mio nome grande, profanato fra le nazioni, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le nazioni sapranno che io sono il Signore – oracolo del Signore Dio -, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi.
Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo.
Allora immaginiamoci la recita di Natale all’asilo dei vostri figli, tutti bambini sul palco, tutti i genitori giù con tutte le macchine fotografiche o i cellulari.
Tu riesci in questa scena a distinguere chi sono i genitori di chi?
No, sono tutti sotto
Però ci sono, sono confusi.
Adesso immaginiamoci che il bambino che fa l’angioletto sulla grotta, ad un certo momento emozionato sviene e cade, che succede?
Che la madre subito si butta lì immediatamente, che la madre va lì avanti e lo raccoglie immediatamente, che cosa è successo?
Ha santificato il suo nome, si è distinta tra tutto il gruppo come mamma di quel bambino. È brillata, è stata evidente davanti a tutti la relazione che c’è tra la mamma e il suo bimbo.
Ecco in questo passo di Ezechiele, Dio sta dicendo lo stesso: Tu Israele mi hai dimenticato, mi hai disprezzato, hai confuso il mio nome con quello di tutti gli altri dei, ti sei dimenticato di me. Bravo!
Allora sai cosa io faccio? Io ti farò del bene in mezzo a tutte le genti, perché almeno loro vedranno che io e te siamo legati. Se non lo fai vedere te, almeno lo faccio vedere io.
Io Santificherò il mio nome davanti a tutti gli altri popoli, farò vedere chi sono io per te
Come?
Salvandoti, liberandoti dall’esilio farò vedere a tutti la mia relazione con te.
Questo è molto profondo.
Che cosa chiedono i cristiani quando pregano?
Sia santificato il tuo Nome, dicono questo. Diciamo questo, Padre fa che si conosca il tuo nome nel mondo, dove? In Noi.
Fa che chi ci guarda riconosca il tuo nome.
Padre, Signore fa che tutti ti conoscano come Padre, fallo anche attraverso di noi, fa che chi guarda noi veda dei figli di Dio che rivelano te.
Dice Matteo al capitolo 5 qualche versetto prima, “così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano la gloria del Padre vostro che è nei cieli.”
Ecco noi chiediamo che la nostra vita diventi simbolo, che faccia trasparire il nome di Dio che è padre.
Il mistero della Sua Paternità.
Come è bello vivere con questo stile di figli che si abbandonano, che sanno che per quello che gli può accadere stanno nelle mani del Padre, sanno che nessun tormento li toccherà perché c’è il Padre.
Vivere in questa continua situazione di abbandono che mi potete schernire, mi potete criticare, mi potete bruciacchiare, mi potete come Pietro domenica scorsa, mi potete flagellare, mi potete mettere in prigione
So che Abba, so che Papà, che mio Padre non mi abbandona e che ha per me qualcosa di grande, qualcosa di pieno che neanche io so darmi, che non saprei darmi, che non so neanche immaginare per quanto è grande e bello.
Quanto sarebbe bello vedere questa relazione di figliolanza in noi, questa è santificare il nome. Questa è la richiesta che noi facciamo, che sia Santificato il Tuo Nome in noi.
Che si possa vedere questa relazione, questa donazione.
Che noi con la nostra vita di figli potessimo dare gloria, onore e rivelazione al Padre.
“Venga il Tuo regno”
Dio è nostro Padre, noi chiediamo che la nostra vita riveli questa Sua paternità e dunque chiediamo che sia Lui a regnare sulla nostra vita, che sia Lui il nostro Re.
Ecco il regno che noi chiediamo è un regno totalmente differente dal regno che noi possiamo immaginare e che la cultura odierna ci mette avanti.
Non è un regno in cui c’è uno in cima e gli altri tutti giù, affossati in fondo.
Il Signore Gesù ci rivela il Padre, ci rivela che il Padre ha cambiato radicalmente questo modo di fare e di pensare, infatti Gesù dice: “Tra voi però non è così, non è come il mondo”.
Quando ha instaurato il regno, quando ha stretto l’alleanza – il patto con noi – il Re era con il grembiule chinato sulle nostre piccolezze, sulle nostre infermità
Che strano regno!
Dato che è Padre, Dio regna quando i Suoi figli sono sul trono con Lui, Dio non regna da solo, Lui vuole regnare con noi.
Rivedendo e pregando su questa invocazione del “Padre nostro” sono andato a rivedere alcuni mosaici in alcuni catini absidali dove c’è un grande trono e in questo grande trono – forse lo avete visto anche voi – c’è lo sposo e la sposa, anzi in alcuni casi lo sposo abbraccia la sposa: Cristo e la Chiesa; perché come c’è scritto nella seconda lettera di Timoteo: “Se perseveriamo, con Lui anche regneremo”.
Così noi chiediamo che venga il Suo regno, così che ogni uomo ed ogni creatura entri in relazione sempre più profonda con Dio a partire dal cuore, perché in Luca al cap. 17 versetto 21, Gesù dice: “Il regno di Dio è in voi”.
Noi chiediamo che la nostra vita sia sempre più Sua, sia sempre meno gestita da noi e sia sempre più vissuta in comunione con Lui e che questo si allarghi, piano piano, dal nostro cuore fino all’ultima murena nascosta nel mare ed anche se i regni di questo mondo sembrano così forti, noi sappiamo che, come una piantina sta crescendo, anche questa creazione nuova, questi figli e figlie di Dio, che portano con sé tutto il mondo verso il Padre, fin quando Dio sarà tutto in tutti e questa comunione tra Dio e il creato sarà finalmente completa.
Venga il Tuo regno” è proprio questa richiesta.
Questa richiesta di essere un tutt’uno con Lui, è un non essere più io che vivo, ma un essere io che vivo in Lui, o meglio: Lui che vive in me e che in me regna glorioso.
Quando abbiamo fatto il Battesimo, dopo l’unzione con il crisma mi sembra, ci è stato detto: “Tu sei l’immagine di Cristo, Re, sacerdote e profeta”.
“Sia fatta la Tua volontà, come in cielo così in terra”
Noi possiamo chiedere che Dio regni in noi, che la nostra vita sia tutta in relazione a Lui, che tutto in noi diventi filiale, ma qual è l’unica cosa che può impedire che questo si realizzi? E’ la nostra volontà.
Il nemico numero uno è la nostra volontà.
Qualche maestro spirituale diceva: “Qual è la radice di tutti i peccati? La nostra volontà”, perché la nostra volontà è ferita, è malata – basta leggere Giovanni 7 per capirlo.
Se noi ci appoggiamo su noi stessi, la nostra volontà ci comanda solo una cosa: “Salva te stesso”.
La vita che hai, è breve… Non puoi spenderla per nessuno, non puoi amare davvero, perché altrimenti ti consumi e non resta niente per te, salva te stesso”.
Allora ecco che la domanda seguente chiede questo: “Padre, sia fatta la Tua volontà”, perché capiamo che l’Unico che vuole davvero il bene, e che è anche capace di attuarlo è Lui, allora noi chiediamo che avvenga ciò che Lui vuole.
Anche qui non diciamo “Signore fa che noi facciamo quello che vuoi Tu”, ma “Tu fai quello che vuoi, perché quello che Tu vuoi è il bene”.
A volte sentiamo dire, quando succede qualcosa di brutto: “Mah, questo qui è malato, sia fatta la sua volontà”, ecco non è questo lo spirito.
Lo spirito è, partendo dal fatto che Dio è Padre, che mi ama, che mi ama di un amore viscerale, che sa veramente qual è il bene per me, qual è la piena realizzazione, qual è la vera felicità, qual è la mia vera pienezza, allora a questo Padre che sa uno per uno tutti i capelli della mia testa, che mi ha tessuto nel grembo materno, che mi conosce, che mi custodisce, che prega in me, Lui si che sa cos’è il bene, allora sì che “sia fatta la Tua volontà” e non la mia. Non la mia!
Che significa uno svuotarsi dai nostri calcoli, un non mettere sul fardello dei nostri figli cosa dovranno essere, che dovranno essere i migliori, i più bravi a scuola, che dovranno essere preti, che dovranno essere imprenditori, che dovranno “prendere la mia fabbrica” e così con la moglie, con il figlio, con il fratello, ma invece – dovremmo dire – “sia fatta la Tua volontà”.
Perché è il Padre che ci ama di un amore con cui noi non siamo capaci ad amarci, è nel Padre che noi possiamo amare.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Ecco che arriviamo alla domanda centrale del Padre Nostro.
Prima di tutto una domanda: perché Gesù ci fa chiedere il pane, se tanto, anche se non lo chiedi, non cambia niente?
Alla fine, se uno ha i soldi mangia e sta tranquillo e se uno non li ha, è un povero e si arrangia come può.
Come può essere vera per noi questa domanda?
Noi che, per di più, oggi, non abbiamo un problema di sopravvivenza.
Perché l’uomo è una creatura che, per natura, è dipendente, anche se noi non vogliamo accettarlo.
Noi abbiamo bisogno di mangiare, noi siamo dipendenti per natura, non ce la facciamo da soli e già dentro, qui, si nasconde una parola preziosa: ricordati che la tua vita dipende da un Altro, non stai in piedi da solo, ricordati: persino Gesù ha avuto bisogno del cireneo.
Come dice il salmo: “tutti da te aspettano che tu dia loro cibo al tempo opportuno, tu lo provvedi, essi lo raccolgono. Apri la tua mano, si saziano di beni”.
Perché, proprio per questo, l’uomo è sempre in cerca di qualcosa che lo sazi, che colmi quella fame, quel vuoto che ha dentro. E il Signore sa che è proprio in fatto di cibo che siamo caduti, sa che noi chiediamo ad altre realtà di nutrire la nostra vita.
Allora uno chiede alle cose, al lavoro, agli affetti, all’approvazione degli altri, alla tecnologia.
Tanti alberi dove andare a prendere il frutto che ci sazi, finalmente.
Quante volte andiamo a cercare la vita, quante volte andiamo a cercare questo pane nei luoghi di morte!
La droga, l’alcool, la sessualità, il gioco d’azzardo e chi più ne ha più ne metta, più ne ha più vada avanti.
Perché dentro di noi c’è una sete di infinito! C’è una sete insaziabile e c’è l’esigenza che noi abbiamo bisogno… Agostino dice: “Inquietum est cor meum, donec requiescat in Te”, Il mio cuore è inquieto fino a che non sto davanti a Te.
E sarà sempre così!
Però se questa inquietudine non è saziata dal suo cibo quotidiano, è saziata da una ricerca della perversità della nostra fragilità toccata dal peccato.
Noi chiediamo che il Padre ci dia la sua vita che è Cristo!
Io sono il pane della vita!
Il pane che dà la vita, vera. E’ Lui, è la sua Parola, è l’Eucarestia, ciò che sazia la nostra vita e la nostra relazione con il Padre attraverso Cristo Gesù.
E rimette a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.
Noi abbiamo bisogno di pane per vivere, ma, allo stesso modo, abbiamo bisogno di perdono.
C’è un midrash ebraico che dice che quando Dio crea il mondo, lo fa ma vede che non sta dritto, che si affloscia, non sta in piedi. E allora cosa fa per raddrizzarlo? Fa il perdono. In questa domanda chiediamo che Dio ci perdoni e quando Dio perdona, crea, fa qualcosa di veramente nuovo nell’uomo: “Crea in me, o Dio, un cuore nuovo!”
Il Padre può rinnovare interiormente l’uomo con un atto che solo Lui può fare: il perdono.
Però c’è qui un problema, non semplice: cosa vuol dire che noi “li rimettiamo ai nostri debitori”?
In realtà il verbo qui sarebbe proprio al passato: come noi abbiamo perdonato, una volta per sempre, ai nostri debitori.
Ecco dove sta il problema: perché uno potrebbe dire: “Allora noi chiediamo a Dio di perdonarci, solo se noi prima abbiamo perdonato gli altri”?
Il perdono di Dio è vincolato a quello che io ho per l’altro?
Allora io ho paura a chiedere questa cosa! Come si può capire questo?
No, non dobbiamo pensare che prima noi perdoniamo agli altri e allora Dio perdona a noi. Tutto il Vangelo ci dice il contrario.
Detto questo dobbiamo anche dire che il nostro perdono agli altri è una cosa seria. Perché il fatto che tu hai perdonato la persona che ti ha rovinato la vita, esprime il fatto che hai accolto davvero il perdono di Dio! Siamo in questa continua dinamica!
Visto il tempo che scorre, ci diciamo questa continua invocazione.
L’altra, la sesta è
“non abbandonarci alla tentazione”.
Questa continua richiesta che noi facciamo a Dio, di non lasciarci soli nel momento della lotta e, alla fine, gli diciamo di liberarci dal male.
Lo sappiamo, a volte noi pensiamo di individuare il male nelle persone, il male in tante realtà, ma il male è il peccato, il male è …il maligno.
Allora noi, questa preghiera del Padre Nostro si conclude proprio con questa invocazione: “Signore, liberaci dal maligno” liberaci dal male, liberaci dal peccato.
Non dalle persone, non da questo, non da quello, ma dal maligno e dal peccato!
Noi chiediamo questo al Signore quando gli chiediamo di liberarci dal male.
Allora, davanti a Gesù Eucarestia, mettiamoci così, con cuore disponibile, con cuore semplice, con il cuore di figlio.
Preghiamo il Padre Nostro, preghiamolo con intensità, preghiamolo con verità, mettiamoci a nudo davanti a Lui, affinché possa risplendere sempre in noi questa figliolanza, questo abbandono totale.
Ci raccogliamo in silenzio, preparandoci all’adorazione.
June 8, 2022
Monastero Wi-Fi, il richiamo della preghiera
di Costanza Miriano
Sabato 28 maggio sono tornata da Milano – dove si è tenuto il secondo Capitolo del Monastero milanese, in pratica una giornata di lodi, messa, rosario, adorazione, e catechesi sul tema della preghiera, aperta a tutti – con un sorriso largo e il cuore pieno di gioia: vedere tante amiche che si sono date da fare, in squadra, senza protagonismi, senza leader, solo per invitare altre persone a venire in chiesa per ascoltare roba buona e pregare insieme, per me è un segno dell’esistenza di Dio. Questo è il femminismo che mi piace. Donne che si mettono insieme, fanno lavoro di gruppo, e lo fanno bene (quando si lavora con amore le cose vengono magnificamente) per far emergere altre persone, e per permettere a tutti di ascoltarle.
Normalmente chi organizza un evento si riserva il ruolo di leader. Invece nel Monastero – non solo in quello milanese o romano, ma nelle tante città italiane dove sta nascendo questa realtà – si lavora per far emergere gli altri: davvero in una logica cristiana, dove ci si mette al servizio perché la cosa che ha chiesto Gesù andandosene è proprio questa: farci carico dei fratelli (pasci le mie pecorelle). Prima ancora delle catechesi, questa per me, ripeto, è la prova dell’esistenza di Dio. Penso che sia un segno profetico per la Chiesa: piccole comunità che tornano ai fondamentali, senza appartenenze speciali, “targhe”, definizioni. Gente che cerca Dio nelle pieghe del quotidiano. E gente che si dà da fare per richiamare gli altri alla preghiera, per pregare insieme.
Non passa un giorno in cui qualcuno non mi chieda cosa sia questo Monastero wi-fi: comincio a pensare che vada bene così, anche se non si capisce troppo. Perché noi siamo solo gente che ama la Chiesa, che ci vuole stare dentro, e che vuole godere delle sue ricchezze, delle sue voci dai timbri così diversi. E andando in giro in parrocchie di tutta Italia praticamente una volta a settimana, posso dire che di ricchezze questa Chiesa ne ha tante.
Per esempio, per tornare all’incontro di Milano, ascoltate la catechesi di Madre Maria Emmanuel Corradini sulla preghiera di intercessione,
ma soprattutto sull’essere intercessori: gente che si offre, che fa tanti piccoli atti di amore, sorrisi, piccoli sacrifici messi nelle mani di Dio, che può trasformarli per la salvezza dei fratelli. Gesù ci insegna la preghiera di intercessione sul Calvario, quando dice al ladrone che sarà con lui in paradiso. Gesù ha offerto se stesso.
Per essere intercessori bisogna essere svuotati di sé, e non chiedere che la nostra preghiera abbia successo. Bisogna essere spogliati, poveri, umili, e ricordare che se quello viene salvato – perché la prima richiesta della preghiera è la salvezza – non è per merito tuo che ottieni miracoli. Cosa c’è di più grande che assumere il peccato di un altro e implorare misericordia per lui? Ascoltate il racconto della madre che accompagna il figlio fino alla morte, in ospedale (la Madre era medico, prima di entrare in convento): bisogna farsi carico dell’altro in tutta la sua vita, perché di questo ha bisogno il mondo, di donne e uomini che si sacrificano per la vita degli altri. Il dolore non è qualcosa che ci viene strappato, ma qualcosa che ci viene chiesto.
Dopo la messa infuocata d’amore e passione celebrata da don Pietro – l’esperienza cristiana o è un’esperienza di amore o non serve a niente: certe volte la potatura è vivere un matrimonio che sotto gli occhi del mondo è fallito, ma che si può fare mettendosi in relazione con Dio, e in una comunità dove ci sia tenerezza – è stata la volta della catechesi di don Carlo De Marchi, che potete ascoltare qui, sul tema della preghiera.
Innanzitutto per pregare non c’è bisogno di sistemarsi davanti al Signore, basta accorgersi del suo sguardo su di noi, anche mentre siamo nel mondo, travolti dalle cose da fare. La catechesi di don Carlo, oltre a essere a tratti esilarante (“chi dovesse uscire prima della fine della catechesi faccia piano, per non svegliare gli altri”) è un assaggio di consigli pratici, un estratto di quella vera e propria miniera che è il suo Fammi innamorare della mia vita, appena uscito da Ares, un vero e proprio prontuario, Meditazioni per gente sempre di corsa, come dice il sottotitolo. Per esempio come gestire le distrazioni, come entrare nella camera e chiudere la porta, come darsi una piccola disciplina e ritagliare dei momenti pur minimi (prego sempre e non prego mai sono sinonimi), ricordare che la preghiera è necessariamente ecclesiale, e che siamo un esercito di perdonati, ricordare, infine, che non ci si presenta a Dio con la soluzione già pronta, chiedendo a lui di stare nei nostri schemi.
Dopo il rosario, meravigliosa l’adorazione finale condotta da don Vincent Nagle, che ci ha fatto gridare come bambini E’ IL SIGNORE indicando con il braccio teso il Santissimo, raccontandoci cosa può fare il Signore nelle nostre vite, quando noi gli mettiamo a disposizione il nostro niente. E poi, citando Il Signore degli anelli – che ha riletto per la ventiseiesima volta, stabilendo probabilmente il record mondiale (esisterà la classifica assoluta di Signoredeglianellologia?) – ha ricordato che ciò che rende saggi i saggi è chiedere al Signore cosa sta facendo Dio, adesso, in questa cosa? L’adorazione ci aiuta a fare questa domanda.
June 2, 2022
Il dolore e il perdono oltre l’immagine – il video della serata
Ecco il video dell’incontro del 10 maggio durante il quale Kim Puch, la “napalm girl” della foto ha condiviso la sua drammatica esperienza, la sofferenza, il dolore ma anche del perdono, Un video tutta da ascoltare!

PS dal video sono state escluse delle parti filmate per una questione di copyright
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