Marco Manicardi's Blog, page 81

March 14, 2018

Così va la Vita (l’Universo, l’Amore e tutto quanto)

Un ricordo che mi è esploso stamattina nel cervello risale al 2005, stavo con Grushenka da nemmeno un mese, sul finire di una notte d’aprile, ero solo in casa. Era successo che dopo tre o quattro giorni infuocati dal primo bacio, tre o quattro giorni accesi sulla coda di una cometa che passa vicino al sole, lei era dovuta partire, era andata a Parigi dove abitavano degli zii, doveva stare via un bel po’, quasi un mese, era stato come separare due elettromagneti potentissimi, ma era un viaggio organizzato da tempo, da molto prima del primo bacio, doveva andarci, e ci è andata. 


Era un periodo di tariffe telefoniche ancora proibitive, almeno per noi che eravamo poco più che ventenni senza quasi un lavoro vero; l’unico internet che ci teneva in contatto era formato da due caselle di posta elettronica dell’era pre-gmail, tipo libero e yahoo, se non ricordo male, e dai messaggi privati di un forum pubblico sul sito di una radio locale. Ci scrivevamo continuamente, stavamo ore ad aggiornare le pagine della posta e del forum per leggere i messaggi e rispondere. L’ultimo che ne inviava uno doveva aspettare tutto il giorno per leggere la risposta dell’altro.

E insomma, sul finire di quella notte d’aprile del 2005 ero lì davanti al computer, ero tornato da chissà dove, avevo anche bevuto qualche bicchiere di troppo e non so cosa mi fosse preso, ma ho cominciato a scrivere una mail lunghissima, piena di termini scientifici, dove le spiegavo che tutto sommato non eravamo poi così lontani, che la distanza tra A e B, considerata dal punto di vista spazio-temporale, tra il punto A dov’era lei (Parigi) e il punto B dov’ero io (Novi di Modena), potevamo anche considerarla molto piccola, addirittura nulla. Avevo aperto Paint e avevo fatto un disegnino copiato da una pagina ingiallita di un libro preso al volo dallo scaffale della camera, l’avevo incollato nella mail, l’avevo spedita ed ero andato a letto a smaltire la giornata.

Ho dovuto aspettare fino alla sera dopo per una risposta.

Diceva che nessuno le aveva mai scritto una cosa così romantica.


Mi ricordo che quella mail, lei, là, a Parigi, l’aveva stampata e messa da qualche parte. Adesso, non lo so dove sia finita, forse inghiottita da un buco nero, come succede per tante cose, specie nei traslochi. Magari stasera torniamo a cercarla, anche se forse fa lo stesso, abbiamo altre cose da fare, da pensare, un bambino da addormentare, e tanto, comunque, siamo ancora qui, dopo tanto spazio e tanto tempo, A e B, a una distanza molto piccola, addirittura nulla.

Così va la vita.


dal capitolo “Hawking scopre le carte” di un libro intitolato “La fisica di Star Trek” (Lawrence M. Krauss, Longanesi, 1997, prefazione di Stephen Hawking)


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Published on March 14, 2018 11:57

March 12, 2018

Il consiglio di un amico

Mi ha scritto Giancarlo Frigieri, in una mail intitolata «Una cosa che devi dire a Guido»:


Guido, quando un giorno a scuola durante l’ora di matematica insegneranno LE PROPORZIONI, mi raccomando stai attento e NON USCIRE DI LÌ FIN QUANDO NON AVRAI IMPARATO BENE COME SI FA. Questo ti farà partire, con uno sforzo piccolo piccolo, in posizione di ESTREMO VANTAGGIO su tante persone, che rimarranno impressionate da te come tu quando hai visto lo squalo all’Acquario di Cattolica.


È uno di quei consigli che sono solito rubricare sotto la categoria «Vangelo».


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Published on March 12, 2018 03:23

March 8, 2018

Le donne russe, per esempio

[Ripubblico qui, oggi che è l’8 marzo, un pezzetto che avevo scritto su Barabba nel 2012, dopo che ero tornato dal viaggio di nozze in Russia. L’ho rimaneggiato, ma pochino.]

Mi sembra di aver letto da qualche parte che, come gli esquimesi han tante parole per dire “bianco” o “neve”, e gli aborigeni per dire “verde”, e gli italiani per nominare il nome di Dio invano, ecco, i russi devono avere una trentina di termini diversi per dire “ubriaco”. Sarà per quello, penso, che uomini anziani, ma anziani per davvero, in Russia non ne abbiamo incontrati.

Le donne, invece, le donne anziane, anche anziane per davvero, ce ne sono dappertutto. Le chiamano babushke: vuol dire “donna anziana”, babushka, una parola che nei romanzi, in italiano, spesso traducono con “nonnina”.  


Spuntano fuori da tutte le parti, le babushke, e l’idea che ci siamo fatti là è che le donne sopra i cinquant’anni siano tutte impiegate dello Stato. In ogni sala di ogni museo, in ogni stanza degli appartamenti dei vecchi scrittori, in ogni ufficio pubblico c’è almeno una babushka seduta sulla sua seggiolina che controlla che tutti si comportino come si devono comportare. Stanno sedute lì, serie, con le loro parole crociate – e le parole crociate, in cirillico, sembrano delle opere d’arte – o a sferruzzare un vestito per l’inverno, una sciarpa, un paio di calzini di lana, cose così. E sotto ogni scala mobile di ogni fermata della metropolitana – a San Pietroburgo, che i treni devono passare sotto la Neva, ci sono delle scale mobili che non ne vedi il fondo – c’è una gabbietta di vetro con dentro una babushka che controlla tutti  quelli che scendono, da capo a piedi, senza disturbare, senza essere invadente. E sulle vie principali è pieno di baracchini dove vendono da mangiare, come in tutte le città, ma in Russia chi ti vende da mangiare nei baracchini sulle vie principali sono le babushke, che ti fanno gli hot-dog, ti servono i gelati, ti preparano i blini, che sono tipo crespelle ma diverse, e le kroska kartoshka, che sono delle patate ripiene di salse molto pesanti e molto buone. E a lato di ogni cantiere, per la strada, dove uomini giovani o di mezza età lavorano arrampicati sulle impalcature, ci sono sempre due o tre babushke con la pettorina arancione catarifrangente a fare da cordone umano, a dirti di stare attento, di passare a una certa distanza, per la tua sicurezza.


Non sanno una parola d’inglese, le babushke, perché sono nate in un periodo sovietico che l’inglese a scuola non si studiava, ma anche se hanno a che fare con migliaia di turisti tutti i giorni, tutte le ore, dal lunedì alla domenica, se c’è una cosa che ti voglion far capire, non so come mai, forse ti parlano direttamente al cuore, ma le capisci subito, senza difficoltà. Allora le ringrazi e loro ti sorridono sempre, con quel sorriso che sanno fare solo le signore anziane, le nonnine, grate a loro volta, non solo perché le hai trattate bene, ma perché sono contente di quello che fanno, del quadro che sono lì a controllare, della stanza dello scrittore morto che sono lì a preservare, dell’impalcatura che sono lì a presidiare.


E sembra strano, camminando per la strada, che non capisci come facciano le giovani russe, quasi tutte alte, slanciate sui tacchi vertiginosi, con delle forme da farti girar la testa, alcune bellissime, altre meno, ma in media molto belle, sembra strano davvero, ma non capisci proprio come facciano queste giovani russe alte, slanciate e belle, sui tacchi a spillo, a diventare poi tutte delle piccole babushke quadrate. Sarà forse questo il segreto della matrioska.


E comunque, quando le guardi, le giovani russe, slanciate e belle, forse è solo un’impressione mia, non lo so, ma hanno delle facce che o sono incazzate e punk come delle Pussy Riot, oppure sembra che non sappiano bene dove andare a sbattere la testa.

Poi guardi le babushke, le signore anziane, le nonnine, con quel portamento, quella sicurezza, quei gesti decisi che non c’è dubbio, lo capisci subito, ce l’hanno scritto nello sguardo che sono loro, e nessun altro, da quelle parti là, a portare il peso della Russia sulle spalle.


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Published on March 08, 2018 08:41

February 7, 2018

E poi, così, senza preavviso

39.

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Published on February 07, 2018 02:41

January 30, 2018

La comprensione del testo

Esempio 1 di gruppo Whatsapp dei genitori dell’asilo:

«Ciao a tutti, mi dite chi non ci sta a fare ?»

«Io ci sto.»

«Io ci sto.»

«Io ci sto.»

«Io no.»

«Io ci sto»

«Io ci sto»

«Io ci sto»

«Io non lo so»

«Io ci sto»

«Io ci sto»

«Io ci sto»

«Io no»

«Io ci sto»

«Io ci sto.»

«Io no.»

«Io ci sto»

«Io ci sto»

«Io ci sto»

«Qual era la domanda?»


Esempio 2 di gruppo Whatsapp dei genitori dell’asilo:

«Ciao a tutti, qualcuno ha trovato un paio di guanti fatti così e cosà?» 

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no. Però ho trovato questo.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no. Ma nelle cose di mio figlio c’è sempre scritto il nome.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Io no.»

«Sì, erano nell’armadietto di mio figlio, domani te li porto.»


Rabbia, fastidio e frustrazione.

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Published on January 30, 2018 13:54

November 30, 2017

Ho notato

E l’ho notato ieri sera, mentre stavo costruendo un CALEIDOSCOPIO, che sarà il regalo di Guido e dei suoi compagni di sezione durante la festa di Natale dell’asilo, e mi son messo lì a costruirlo insieme agli altri genitori sotto la guida delle tate, che avevano imparato qualche giorno prima seguendo dei tutorial su YouTube, e che ci hanno ospitati dalle sei alle otto di sera su delle seggioline piccole piccole, con dei tavolini piccoli piccoli, e tutte le forbicine a nostra disposizione avevano la punta arrotondata; ho notato, dicevo, che a pensarci bene, nella vita, le cose che faccio le faccio sempre principalmente attraverso due fattori:



50% a occhio
50% a culo
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Published on November 30, 2017 06:20

November 9, 2017

C.C.C.P.

Chiedevo sempre a mio padre cosa volesse dire C.C.C.P., quando lo leggevo sulle canottiere degli atleti ai mondiali o alle olimpiadi.

Mio padre rispondeva tutte le volte: «Col Cazzo Che Perdiamo!»

Avevo dieci anni quando cadde il muro. Quasi undici.


(una cosa che posto tutti gli anni, quando mi ricordo, il 9 novembre)

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Published on November 09, 2017 02:02

October 18, 2017

L’età della ragione

Un paio di mesi fa avevo scritto in giro per l’internet un piccolo componimento che diceva:


Comincia sullo scivolo

La fine dell’infanzia

Salendoci sicuri

Dalla parte della rampa.


L’altra sera siamo saltati di colpo al livello successivo. 


Eravamo in macchina nel traffico carpigiano, ero andato a prenderlo dalla zia e lo stavo riportando a casa. Siamo lì fermi a un semaforo e lui mi guarda attraverso lo specchietto retrovisore. Mi chiede:

«C’è la mamma a casa?»

«Non lo so,» rispondo.

«Lo sai.»

«Non lo so.»

«Lo sai.»

«Non lo so.»

«Lo sai.»

«Non lo so.»

«Lo sai.»

(Rimango in silenzio.)

«Hai capito se c’è la mamma, papà?»

«No, non l’ho capito, Guido.»

«Sì, hai capito.»

«No.»

«Sì.»

«E invece no.»

«E invece sì.»

«No.»

«Sì.»

«No.»

«Sì.»

«No.»

«Sì.»

«No no.»

«Sì sì.»

«Non lo so, davvero.»

«Lo sai.»

«Non lo so.»

«Lo sai.»

(Rimango in silenzio.)

«Lo sai.»


Non parlo più,  non lo so davvero se c’è la mamma a casa, giuro. Mi aveva telefonato, mi aveva detto che ci saremmo visti lì, ma non lo so se adesso c’è, se è già arrivata, boh, e non mi va di mentire a mio figlio, è una cosa che non sono abituato a fare.

Ma intanto arriviamo noi. Parcheggio. Lo slego dal seggiolino e lo metto giù, lo sto abituando a camminare da solo per quella cinquantina di metri che vanno dal parcheggio al portone, lo tengo per mano, ma in braccio lo prendo solo se davvero ce n’è bisogno.

Da giù si vede una luce accesa dalla finestra della cucina.


«C’è la mamma a casa!» gli dico sorridendo.

Lui si ferma, mi guarda dal bassissimo verso l’altissimo, ed è molto serio.

«Avevo ragione io,» mi fa.


E così, a partire dall’altra sera, e forse per sempre, non avrò ragione mai più.

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Published on October 18, 2017 05:02

August 9, 2017

È un periodo

È un periodo che ho voglia di scrivere.

(Son sempre lì lì. E invece poi no.)

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Published on August 09, 2017 02:14

August 1, 2017

Mi sembra giusto ribadirlo

Visto che l’ho scoperto a 37 anni, e adesso ne ho 38, e lo so che c’è chi non ci crede, e chi non vuole ammetterlo, ma non lo so, è così basta, e cioè che la Riviera romagnola è il mare più bello del mondo.

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Published on August 01, 2017 04:39