Marco Manicardi's Blog, page 79

January 9, 2019

Canzonette

Mi è arrivata una mail dal mio amico cantautore Giancarlo Frigieri (ci scriviamo seicento email al giorno, in questa mi chiede se voglio pubblicare una roba sul mio blog, e io voglio), diceva così:



Visto che scrivi qualcosa tutti i giorni, posso suggerire che una volta che non hai niente da scrivere ci scrivi che quando facevo la prima elementare avevo un mio compagno di classe che cantava “Rock around the clock” di Bill Haley & The Comets e quando dice “We’re gonna rock around the clock tonight, we’re gonna rock rock rock ‘til broad daylight” diceva “Uigona uoc e ral e uoccheral, Uigona uo uo uo uo uoccheral” e a noi ci sembrava sapesse l’inglese.

Invece quando avevo 14 anni c’era uno in compagnia con me che cantava “Sledgehammer” di Peter Gabriel e diceva “I wanna be SPACE SHOWER” e io ogni tanto, ancora oggi, quando la sento mi chiedo chissà cosa intendeva per “doccia spaziale”.



E mi sono ricordato che una volta, da qualche parte, avevo scritto che il fratello di Frigieri tutte le volte che sente Rastaman Vibration di Bob Marley la canta così: «Rastaman vibration, yeah, positive. Nixon Brahmaputra.»

Una cosa che ci faceva talmente ridere che, quando avevamo una band insieme, io e Frigieri, che si chiamava Tua Madre, ci avevamo anche intitolato una canzone (se di canzoni si può parlare, nel caso di Tua Madre).


Poi, per fare degli altri esempi, io tutte le volte che sento quel pezzo famoso di Grease che tutti conoscono, lo canto così: «You’re the one that I want (Assurbanipal) uh! uh! uh!»

E un’altra volta, che stavo canticchiando Innuendo dei Queen mentre cincischiavo in giro per casa, e cantavo: «Surrender your ego, be free, bre free…», la Cate è spuntata improvvisamente da dietro un angolo del salotto aprendo le braccia e urlando: «BEYONCÉÉÉÉÉ!»


E poi basta. Per oggi è tutto.

Musica: 



https://marcomanicardi.altervista.org/wp-content/uploads/2019/01/06_Nixon_Brahmaputra.mp3

(Tua Madre, Nixon Brahmaputra; autoprodotto, 2007 – le altre cose di Tua Madre le trovi qui, a tuo rischio e pericolo.)


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Published on January 09, 2019 05:16

January 8, 2019

A proposito di galaverna

Quando facevo le Superiori, cioè l’Istituto Tecnico Industriale Leonardo Da Vinci di Carpi, e abitavo ancora a Novi di Modena, la mattina mi svegliavo verso le 6, andavo in cucina e trovavo un pentolino di latte da scaldare che mi aveva preparato mia mamma prima di andare a letto, accendevo il fuoco, tiravo fuori i Coco Pops e ne versavo un po’ nella tazza, li ricoprivo col latte caldo e ci facevo colazione. Tutto abbastanza in fretta, però, che c’era da fare un paio di chilometri a piedi per andare a prendere la corriera per Carpi. Avrei potuto andarci in bici, per far prima, alla fermata della corriera, e delle volte lo facevo, ma d’inverno no, d’inverno mai.

D’inverno mi piaceva proprio uscire di casa a piedi, tutto bardato con la sciarpa della Fiorentina, il bomber grigio dei Pittsburgh Pirates che avevo preso coi punti della Nutella, i jeans strappati sulle ginocchia per il troppo utilizzo, gli anfibi con la punta di metallo, il walkman quasi sempre caricato con Fear Of The Dark e il dito pronto sul reverse per far ripartire The Fugitive, che era la mia preferita e che, ma forse era un caso, cominciava nella nebbia.

C’erano delle nebbie, negli anni 90 del secolo scorso, che anche a piedi, anche la mattina, facevi fatica a vedere cinque o sei metri avanti. Era bello, erano tutti addormentati, erano tempi che quasi tutti lavoravano vicino a casa e pochi si svegliavano presto per andare lontano, e gli unici abitanti di qui limbi mattutini freddi e ovattati, con il passo da zombie e la testa ancora da riavviare, eravamo noi studenti delle Superiori o dell’Università che andavamo a prendere la corriera per Carpi o il treno per Modena e Bologna.

Una cosa che mi piaceva moltissimo, e per la quale partivo anche cinque o dieci minuti prima del dovuto, era fermarmi a guardare le ragnatele gelate dalla galaverna sui cancelli delle case. C’erano quelle abbandonate dai ragni già da tempo, chissà se i ragni proprietari erano morti o avevano solo traslocato, e le loro ragnatele restavano lì a pendere flosce, imborsate e appesantite dal ghiaccio, coi fili tutti arcuati verso il basso, come fossero ragnatele stanche. C’erano poi quelle nuove, coi loro tiranti stesi tra una cancellata e l’altra e le mandate degli altri fili, quasi a spirale dal centro all’esterno, congelate anche loro dalla galaverna che però non era abbastanza forte da deformarne la configurazione perfetta. E chissà se i ragni che le custodivano stavano morendo congelati o si erano trasferiti temporaneamente nelle case lì vicino, costruendosi un riparo di fortuna negli angoli dei muri, con gran fastidio e nervoso delle mamme che ci abitavano, come la mia.


«Ma prendi la bici! Cosa vai sempre in giro a piedi con questo freddo?» Mi avevano chiesto una volta i miei.

«Guardo le ragnatele ghiacciate.» Gli avevo risposto.




Devono poi averla detta ai loro amici, questa cosa, e mi ricordo che tutta la cerchia di adulti che gravitava intorno alla mia famiglia ogni tanto, quando arrivava l’inverno, mi chiedeva se andavo ancora sempre piedi a prendere la corriera per guardare le ragnatele.


Anche adesso, che l’adulto sono io, mi è capitato di incontrare qualche amico dei miei, che adesso è anziano (mi dispiace se qualcuno di loro leggendo per caso qui che gli ho dato dell’anziano ci rimane male, ma non è che ci siano delle altre parole per girare intorno al concetto), che tra una stupidata e l’altra, di quelle un po’ meccaniche che si dicono quando ci si incontra dopo tanti anni, mi abbia chiesto una cosa del tipo: «Ma le guardi ancora le ragnatele ghiacciate d’inverno?»

Non so mai come rispondere, di solito annuisco e cambio discorso. Ma se fossi un po’ più spigliato nel parlare potrei rispondere che sì, anche se adesso ce ne sono meno, che la galaverna è un po’ più rara, ma sì, quando càpita mi fermo ancora lì a guardarle, le ragnatele ghiacciate sui cancelli delle case. Come se ci fosse un motivo valido e sensato per non farlo.


***


Musica:



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Published on January 08, 2019 05:40

January 7, 2019

Un libro

L’altro giorno, mentre osservavo una persona che conosco leggere un libro molto difficile e impegnativo, considerando il fatto che questa persona non legge mai, e non lo dico così tanto per dire, ma con mai intendo proprio mai, insomma, l’altro giorno mentre la osservavo leggere mi è venuto in mente quell’aneddoto sugli amici di John Wayne che, visto che era il compleanno di John Wayne e non sapevano cosa regalargli, erano andati da John Ford a chiedergli un consiglio sul fatto che avessero pensato che forse potevano regalare a John Wayne un libro, e John Ford li aveva guardati, aveva scosso la testa e, no, gli aveva detto, è meglio di no: ne ha già uno.


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Published on January 07, 2019 05:50

January 6, 2019

Si stava meglio quando si stava meglio: in epub

Il giorno di Santa Lucia del 2018 avevo pubblicato su Barabba un librino che parlava di Novi e dei novesi, di nonni e di bisnonni, di maghi, prestigiatori e circhi itineranti, di mezzadri e di un toro, di piccole lotte private contro il fascismo e di tante altre cose che, nel Novecento, sembravano normalissime.

Mancava però la versione in epub, perché avevo incontrato delle difficoltà nel crearla coi poveri mezzi poco aggiornati che usavo fino a cinque o sei anni fa per fare gli ebook.

Adesso, che è il giorno della Befana, anche se non l’ho fatto apposta, dovrei esserci riuscito.


Si stava meglio quando si stava meglio si scarica sempre da qui (o da qui), ora anche, come dicevo, in epub. (Ma ci sono ancora il mobi e il pdf, se vi fan più comodo.)


Buona lettura e Buona Befana.




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Published on January 06, 2019 02:28

January 5, 2019

Ieri non ci sono riuscito

Che poi, ho scritto che avrei provato a scrivere qualcosa tutti i giorni, solo che non è molto facile, dopo che ci si è disabituati. E infatti ieri non ci sono riuscito.

Ci sono, di solito, delle situazioni che mi fanno pensare a cosa potrei scrivere, tipo andare in giro da solo in macchina, soprattutto la sera, o andare al bar. Poi però succede che arrivo a casa e non mi ricordo cosa avevo pensato di scrivere, oppure me lo ricordo ma seduto davanti al foglio bianco, che in realtà è un monitor, mi accorgo che quello che avevo pensato era una stupidata e allora lascio perdere.


Il bar, ho comprato casa, un paio d’anni fa, e l’ho presa davanti a un Irish Pub. Ieri sera ci sono andato, poi sono tornato a casa e non mi ricordavo più cosa avevo pensato di scrivere. Guidare, dopo, non mi sembrava il caso.


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Published on January 05, 2019 01:38

January 3, 2019

La New Wave italiana

Sta succedendo una cosa strana, nel suo piccolo eccitantissima. È successo che negli ultimi giorni del 2018, su facebook, ci siamo accorti che qualche vecchio blogger aveva ricominciato a scrivere dei nuovi post. E qualche altro vecchio blogger, o qualcuno che negli anni belli della blogsfera gravitava da quelle parti, aveva aperto dei nuovi blog.

Allora, un po’ per ridere, un po’ perché sentivo anch’io di dover scrivere qualcosa su una certa questione che mi stava appesa tra la gola e il cuore, ho postato su facebook questa frase:


(buon anno amici) ci sono tutti i presupposti: la parola ufficiale del 2019 sarà BLOGROLL.


Erano le 11:10 del primo di gennaio, noi vecchi ci abbiamo riso sopra mentre i giovani ci chiedevano cosa volesse dire BLOGROLL. Alle 21:10 scrivevo il primo post di questo 2019, proprio su quella certa questione che mi stava appesa tra la gola e il cuore.

Poi ieri ne ho scritto un altro (e, come succedeva una volta, ne ha generato uno in un altro blog). E oggi, ancora (è questo qui che state leggendo).


Oggi poi ho fatto un’altra cosa, che non facevo da molto tempo: ho aperto il feedreader e ho creato un gruppo nuovo, l’ho chiamato The New Wave, e ci ho messo dentro i feed di tutti quei vecchi blogger che stavano scrivendo dei post dopo anni di silenzio o stavano aprendo nuovi blog tutti bianchi e puliti col loro “Hello World!” a (ri)cominciare il tutto.

Non so perché questa cosa strana ed eccitantissima stia succedendo adesso, tutta d’un tratto. Forse è colpa della noia e delle mangiate nelle ferie natalizie. O forse, come dice la Bat, in un blog che ha appena aperto:


forse c’è solo di nuovo la banale bellezza del leggersi con calma, e del lasciarsi scrivere con calma. Chissà, potrebbe anche esserci un ritorno dei commenti che siano davvero commenti e non battute, celodurismi, quando non cattiverie e insulti. O forse no.


Questa cosa strana ed eccitantissima, questa nuova ondata improvvisa, potrebbe infrangersi domani o tra dieci minuti o tra cinque anni, non lo sa nessuno.

Però intanto è cominciata. Godiamocela.


***


Di seguito, soprattutto per i più giovani, Teiluj ci spiega che cos’è un blog (è un video del 2007, se non sapete cosa voglia dire “splinder”, eh, niente, ormai è andata):



 


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Published on January 03, 2019 10:48

January 2, 2019

Servizio pubblico (breve guida all’uso dei fendinebbia)

Mi rendo conto che la maggior parte degli automobilisti non è nata in Emilia, e buona parte di loro non guidava ancora, diciamo, tra la fine degli anni 90 e l’inizio dei 2000, cioè gli ultimi tempi a memoria d’emiliano in cui la nebbia era una roba da tagliare col coltello e noi giovinastri si rincasava dalla discoteca con la testa fuori dal finestrino per vedere dove fosse la riga bianca che separa la carreggiata dal fosso (sempre che la riga bianca che separa la carreggiata dal fosso ci fosse, non era così scontato). Per sopperire a questa mancanza, e per venire un po’ incontro all’uso smodato ed estroverso che viene fatto dei fendinebbia al giorno d’oggi, ho pensato bene di mettere in fila un po’ di regolette d’uso, tutte dettate dal buon senso. E quindi:


Fendinebbia ANTERIORI (quelli davanti)



Non servono agli altri per vedere te, servono a te per vederci meglio.
Si usano solo quando c’è nebbia.
Se li accendi quando non c’è nebbia i casi sono due: o sei molto insicuro e hai bisogno di tanta luce; oppure nella vita normale nessuno si accorge spontaneamente del tuo ego in accrescimento.
In realtà servono a ben poco, non ci sono più quei nebbioni che nascondono la riga bianca che separa la carreggiata dal fosso (quando c’è). Però, dai, quando c’è nebbia, ok, accendili pure.
Non sono sostitutivi di un anabbagliante bruciato, ma ti si può perdonare. Al limite, ti si augura che, vista la tua reticenza nello spendere quei dieci o quindici euro per cambiare una lampadina, prima o poi ti si bruci anche un fendinebbia. Magari, chessò, in una notte di nebbia.
Se li accendi quando piove o quando il fondo stradale è bagnato, aumentando così il fascio di luce che si riflette sull’acqua e finisce in faccia a chi sta arrivando nel senso opposto, mi dispiace, ma la questione è una e una soltanto: sei uno stronzo.

Fendinebbia POSTERIORI (quelli dietro)



Non servono a te per vederci meglio, servono agli altri per vedere te.
Si usano solo quando c’è nebbia.
Si usano solo quando c’è nebbia.
Davvero, si usano solo quando c’è nebbia.
Quando poi hanno assolto al loro compito, si spengono.
Cioè, quando li hai accesi, e c’è nebbia, e dallo specchietto retrovisore vedi che un’altra macchina ti si è accodata, a distanza di sicurezza, è proprio lì dietro di te, la cosa che devi fare il prima possibile, tipo subito, meglio ancora immediatamente, è quella di spegnerli. Quello dietro, che da lontano ti ha già visto grazie ai tuoi bei fendinebbia posteriori, adesso è lì, proprio dietro di te, non dovresti accecarlo col tuo piccolo abbagliante posteriore, perché, ripeto, è già lì. TI STA VEDENDO.
Se invece non li spegni, eh, anche qui, mi dispiace ancora, ma la questione è una e una soltanto: sei uno stronzo.

E per oggi è tutto.

Musica: 



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Published on January 02, 2019 05:18

January 1, 2019

Il 15-18 (prologo)

Con il 2018 si è chiuso un ciclo. Non è che lo dica così tanto per dire. Si è proprio chiuso.

Per tre anni e nove mesi siamo stati immersi fino al mento in un turbine di gioie e dolori, quasi mai di breve entità, quasi sempre estremi.


Ora, dato che il ciclo si è chiuso e ci troviamo davanti a un orizzonte di cose da fare, da progettare e da capire, ora che il futuro è tornato a essere sconosciuto, dove può succedere di tutto, può essere più bello, può essere più brutto, può non succedere assolutamente nulla, ma perlomeno non dobbiamo stare in attesa di qualche accadimento annunciato com’era spesso nei tre anni e nove mesi passati, qualcosa per riempire le serate quando il bimbo dorme o i pomeriggi della domenica me la devo pur trovare. Quindi tanto vale che mi rimetta a scrivere qualcosa, e pensavo di farlo su questo blog, che non è mai stato veramente vivo, ma nemmeno veramente morto.


Così, ho anche pensato che, se ci riesco, e non è detto che ci riesca, proverò a raccontare della nostra piccola Grande Guerra privata del 2015-2018, coi suoi caduti, i suoi feriti, le sconfitte e le vittorie. Magari a puntate, che ai muri di testo non siamo più abituati. Non so con quale cadenza, penso settimanale. E negli altri giorni proverò a scrivere delle altre cose, così, come mi vengono in mente, come se fossero ancora gli anni zero della blogsfera.


Intanto partiamo dall’inizio.


Era cominciato tutto il 27 marzo del 2015, il telefono era squillato mentre stavo entrando nella Cappelletta del Duca, quella che una volta era un incrocio pericoloso e adesso è una rotonda ai margini di Cavezzo. Quel giorno lì avevo cercato una strada diversa dalla solita per andare a Mirandola, dove lavoravo, perché il Secchia rischiava di esondare e avevano chiuso la maggior parte dei ponti, ero anche un po’ in ritardo. Dall’altra parte del telefono Caterina, ridendo e ansimando, un po’ imbarazzata, un po’ isterica, mi diceva che le si erano rotte le acque. Ho fatto tutta la rotonda e sono tornato indietro, ho riattaccato e ho chiamato al lavoro dicendo che ci saremmo rivisti qualche giorno dopo, anche se non sapevo quando. Mi hanno fatto gli auguri e mi hanno lasciato tornare a casa.

Appena arrivato, ho trovato la Cate che saltellava per il corridoio con un asciugamano tra le gambe. «Non hai idea di quanta acqua mi è uscita dalla…» mi ha detto agitatissima, mentre cominciavamo a fare su tutta la roba per andare in ospedale a Guastalla dove avevamo appuntamento.

Poi il telefono era squillato di nuovo, stavolta non era il mio, dall’altra parte un nostro amico ci diceva che il padre della Cate era entrato in ospedale. Non era l’ospedale di Guastalla e non era per la nascita di suo nipote: era l’ospedale di Carpi, per un’insufficienza respiratoria.


(Continua…?)


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Published on January 01, 2019 12:12

December 31, 2018

2018 in pictures

L’anno dei morti.




Siamo pacatamente ottimisti per il 2019.


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Published on December 31, 2018 04:26

December 13, 2018

Si stava meglio quando si stava meglio: un ebook

Alla fine, un po’ per vecchiaia, un po’ per narcisismo, un po’ perché non avevo delle altre cose da fare, ho raccolto i racconti sui miei antenati, quelli che mi è capitato di leggere dal vivo due o tre volte negli ultimi tempi, e li ho messi in un ebook gratuito che si chiama, appunto, Si stava meglio quando si stava meglio.

L’ho pubblicato con la mia casa editrice inesistente, Barabba Edizioni, e si scarica gratuitamente da qui.


Dentro si parla di Novi e dei novesi, di nonni e di bisnonni, di maghi, prestigiatori e circhi itineranti, di mezzadri e di un toro, di piccole lotte private contro il fascismo e di tante altre cose che, nel Novecento, sembravano normalissime.

Esce oggi che è Santa Lucia, perché quando ero bambino era il giorno più importante di tutto l’anno. Più del Natale o dei compleanni.


Buona lettura e Buona Santa Lucia.




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Published on December 13, 2018 02:14