Paola Caridi's Blog, page 119
February 12, 2011
Gooood Mornin', #NewEgypt!
L'alba di un nuovo capitolo della storia egiziana. Dopo la festa di ieri sera. Missione compiuta: Hosni Mubarak si è dimesso, ora bisogna mettere a posto la casa egiziana, e costruire la democrazia reale. Si comincia da piazza Tahrir. I 'suoi' ragazzi stanno uscendo di casa per andarla a pulire, i camion dell'immondizia stanno facendo la spola. Già questo, per chi ha vissuto in Egitto, è una trasformazione epocale. La casa si tiene in ordine, pulita. Non solo il proprio appartamento, ma la propria casa, il proprio paese. La propria piazza.
Mentre si esulta per una rivoluzione dei ragazzi che ha avuto, per fortuna, altri esiti rispetto a Tienanmen, sono gli stessi ragazzi a non dimenticare chi è morto in questi 18 giorni. E chi è morto prima di questi diciotto giorni, lontano dai riflettori. Uno per tutti, Khaled Said, il ragazzo ucciso di botte dalla polizia ad Alessandria. Un ragazzo diventato simbolo dell'insicurezza e dell'assenza di futuro per un'intera generazione. Io sono Khaled Said, hanno detto per mesi i ragazzi su Facebook, facendosi fotografare con la foto del loro spesso sconosciuto coetaneo. Per dire che anche loro non potevano contare su di un futuro certo, non solo dal punto di vista lavorativo, ma dal punto di vista meramente esistenziale.
Questo poster è stato costruito sul viso di Khaled Said, il viso che tutti i ragazzi, a Tahrir, hanno indossato come fosse la maschera della loro volontà incrollabile di essere liberi. "Ora puoi finalmente riposare in pace", era il testo di un tweet scritto stanotte da una delle blogger di piazza Tahrir. Nei quaranta giorni del lutto musulmano, si crede che l'anima del defunto sia a metà tra terra e cielo. La nostalgia del mondo è ancora forte. Poi, dopo quaranta giorn, l'anima finalmente si libera e sale. Sono passati 40 giorni. Il lutto è finito.
February 11, 2011
Hanno vinto! I ragazzi di Tahrir hanno vinto!
Hanno vinto i ragazzi di Tahrir! Hosni Mubarak si è dimesso, nel Venerdì dell'Addio, nel 18mo giorno della rivoluzione del 25 gennaio. Hanno vinto i ragazzi che erano nati, cresciuti, vissuti sotto l'era Mubarak e che gli hanno imposto di lasciare: la sedia, il potere, il Cairo. Hanno vinto i ragazzi egiziani perché hanno portato per mano fratelli maggiori, padri, madri, nonni, sino a piazza Tahrir. Con tenacia, intelligenza, pazienza, nonviolenza. Alla faccia di chi li ha descritti come naive.
I ragazzi, i blogger, la generazione Facebook, i disoccupati, i poveri, gli universitari hanno vinto, sfidando un regime e un sistema. Sfidando le strategie regionali, l'Occidente, la paura (vera? presunta? instillata?) dell'islam politico, la Realpolitik a tavolino, l'uso di categorie anziane… Hanno vinto, con tenacia e coraggio.
Poi, tra un'ora o due, penseremo e rifletteremo sul passaggio dei poteri alle forze armate (e dunque non a Omar Suleiman). Ma ora onore ai ragazzi, a una generazione che ha trascinato il popolo in piazza. Agli invisibili di cui finalmente ci siamo accorti. A me, a quasi cinquant'anni, questi ragazzi hanno dato una lezione di vita. E non posso non dire loro "grazie", shukran ya shabab, dal più profondo del mio cuore.
Fotogrammi egiziani, mentre Mubarak vola a Sharm
Tutte le principali testate al Cairo confermano, attraverso verifiche con le loro fonti, che Hosni Mubarak e sua moglie Suzanne (forse anche i loro figli) hanno lasciato il palazzo presidenziale di Heliopolis, alla periferia bene del Cairo, e sono volati a Sharm el Sheykh. Di fronte al palazzo presidenziale di Heliopolis, al quale non ci si poteva avvicinare se non ci si andava a seguire le conferenze stampa, ci sono migliaia di egiziani. Un cambio epocale, per chi conosce il Cairo.
Giovani, ragazzi, militari… I misteri sui volti dell'Egitto di oggi sono talmente tanti, gli stereotipi tanto duri a morire, che oggi – piuttosto che tentare di descrivere una parte – propongo letture. Letture brevi, sul web, per togliere qualche curiosità e quale cliché, e letture lunghe, di quelle che bisogna fare per capirci qualcosa di più
Cominciamo dai ragazzi. Stamattina me li sono sentiti descrivere come esponenti della media borghesia egiziana. Sì, certo, sono alcuni dei blogger più noti: dissidenza dell'èlite politica, sul tipo di quella che mostrava Le vite degli altri, il film sulla dissidenza della DDR trasmesso due sere fa da Rai2. Media borghesia di quel tipo, il che vuol dire che anche le case, gli appartamenti sono quelli della media borghesia. Poveri, all'occhio di un italiano. I ragazzi, anche quelli del bloggano, non appartengono solo alla media borghesia. Possono essere i figli degli impiegati, non solo dei professionisti. Anche figli della povera gente, arrivati al computer attraverso le università di massa nate dal contratto sociale nasseriano, attraverso progetti di sviluppo europei o americani od onusiani.
IL dato importante, comunque, è che non si sono improvvisati. Una conferma è in questo articolo del Wall Street Journal, che racconta nei dettagli com'è nata la protesta del 25 gennaio. Niente di naive, molta organizzazione, a metà tra quella che nasce e si sviluppa in uno stato di polizia, e quella che ha a modello i nuovi tipi di proteste pacifiste occidentali e delle global campaigns. E la maturità dei ragazzi la si è vista ieri sera, quando il discorso di Mubarak percepito come provocatorio da tutti gli egiziani che a milioni erano scesi per strada ha avuto come sorprendente risultato l'ennessima manifestazione pacifica, di massa, senza violenza.
Non tutti i ragazzi egiziani, però, sono del tipo dei blogger. Ce ne sono molti che se ne sono andati dall'Egitto, per riuscire a trovare lavoro e dignità. Molti hanno intrapreso il viaggio verso le coste italiane, spesso attraverso la Libia. Molti sono morti nel tragitto, e la loro morte – nascosta spesso dalle autorità – aveva invece suscitato un'ondata di emozione nel paese. Un paese, nel Fayoum, è diventato il simbolo dell'emigrazione giovanile illegale verso l'Italia: Tatoun.
Dai ragazzi, espressione prima del popolo (di tutti i walks of life, ha riconosciuto Barack Obama ieri sera), ai militari, anche loro figli del popolo, in gran parte. Il cambiamento si è avuto con la fine degli anni Trenta, e la nuova generazione di ufficiali formati dall'accademia militare. E' la generazione di Gamal Abdel Nasser e dei Giovani Ufficiali che dalla fine degli anni Quaranta al 1952 si formarono, organizzarono sin a dar vita a un rivolgimento istituzionale in Egitto che non si può definire unicamente golpe militare né una rivoluzione in senso stretto. Quegli ufficiali, comunque, rappresentavano ancora una volta la media borghesia declinata alla egiziana, "sono nel suo senso più largo, lo strato intermedio tra i contadini (e gli operai) e gli aristocratici" (cit. da Joel Gordon, Nasser's Blessed Movement. Egypt's Free Officers and the July Revolution, Cairo, AUC, 1992, ma non posso non consigliare il testo più noto, quello di P.J Vatikiotis, History of Egypt, from Muhammad Ali to Sadat, e il testo secondo me più bello sull'era Mubarak, quello di Eberhard Kienle, A Grand Delusion).
I quadri dell'esercito, dunque, vengono da una consistente fetta della popolazione, dunque, in rapporto stretto con il popolo vero, che è evidente quando si va nel Delta, nella parte agricola del Delta, e ci si inoltra nelle cittadine dell'area da cui sono provenuti tutti e tre i presidenti dell'Egitto contemporaneo, Nasser, Sadat e Mubarak (Quell'origine fa anche comprendere perché Mubarak sappia anche toccare alcune corde dell'egizianità. Persino ieri, nel discorso più surreale e lontano dalla realtà della sua carriera).
Parentesi a parte, i ragazzi hanno deciso di rinunciare all'uso della forza. Ed è impressionante vedere come non si metta in seria discussione il fatto che l'uso della forza sia nelle mani delle forze armate. Il nodo della rivoluzione egiziana è ancora lì, nello scontro di potere, nel braccio di ferro tra chi detiene l'uso della forza, mentre i ragazzi all'esterno, fuori dalle segrete stanze, sono i cittadini che chiedono allo Stato di fare lo Stato. Sembra difficile da comprendere, ma la rivoluzione fragile dei ragazzi ha in sé una forza che gli altri attori non hanno. Sinora.
Le forze armate appaiono divise, nonostante non ci siano conferme dirette. E' probabile che il braccio sia tra alcune armi delle forze armate, da un lato, e dall'altro lato il blocco polizia-servizi di sicurezza-guardia presidenziale- alte (e anziane) gerarchie, blocco strettamente legato a Mubarak e al suo circolo più ristretto di consiglieri e clientes. 450mila gli uomini dell'esercito, da cui togliere 20mila della guardia presidenziale. Dall'altro lato, un totale di 350mila uomini tra polizia e servizi di sicurezza. Tutto sommato, il rapporto è quasi 1 a 1.
Ci potrebbero essere altri Giovani Ufficiali che possano mandare via di nuovo re Farouk? Non credo. Credo piuttosto che ci sia una generazione più giovane (ancora una volta il fattore G, il fattore Generazione o Giovani) che è cresciuta in un ambiente e in modo diverso dalla generazione precedente, e soprattutto dalle altissime vecchie gerarchie. E' lì che può allignare la possibilità, per l'esercito, di staccarsi dal regime. Con tutti i punti interrogativi del caso.
Stay tuned.
La foto è dall'album di Maggie Osama su Flickr.
February 10, 2011
Mubarak non se ne va. Rabbia a Tahrir
Non se ne va. Hosni Mubarak non se ne va. Rimane fermo sulle sue posizioni, fa concessioni minime, gioca ancora una volta la carta della sua storia al servizio del paese. Un discorso lontano dal suo popolo. Tanto lontano che, mentre Mubarak parlava in una sala asettica, il popolo di Tahrir insorgeva, e gli urlava vattene, vattene. E gli lanciava le scarpe, nel gesto più offensivo per un arabo. Lanciare le scarpe contro il proprio presidente. In una piazza furiosa, rabbiosa, indignata. Su twitter si dice che si andrà al palazzo presidenziale, se Mubarak sarà ancora al palazzo presidenziale.
La situazione diventa, ora, pericolosissima. E non si capisce se questa sfida sia stata fatta apposta per provocare la piazza, e costringerla a una reazione violente, per poter poi usare le maniere forti. O se invece la distanza dalla realtà da parte di un regime composto di vecchi, lontani da anni dalle strade del Cairo, faccia vivere Mubarak e i vecchi generali in una sorta di mondo a parte. Un mondo che non è l'Egitto reale. Non solo quello di Tahrir, ma quello della enorme periferia del Cairo, di Alessandria (dove un abitante su sette è sceso in piazza, un milione su sette milioni di abitanti), dell'ovest e dell'est del paese.
E dopo Mubarak, Suleiman appoggia il presidente.
Ascoltare il discorso del vecchio rais è stato straniante. Come se fosse stato registrato sulla Luna, e non da qualche parte del Cairo (o di Sharm?). Cosa succederà? Come reagirà il popolo egiziano? Come reagiranno le forze armate, e quali forze armate? C'è un confronto generazionale anche dentro l'esercito?
Revolution 2.0 Missione compiuta?
Un sms di Wael Ghonim, l'antieroe della rivoluzione del 25 gennaio: "Revolution 2.0. Mission accomplished"
Avrà ragione? Tutti sono in attesa del discorso di Hosni Mubarak, in programma per stasera sulla tv di stato. Sarà il suo ultimo discorso? Sarà registrato, e il rais se n'è già andato a Sharm assieme alla sua famiglia? Sarà in diretta? Di certo, Piazza Tahrir ha già decretato la propria vittoria. La Rivoluzione del 25 gennaio ha vinto la battaglia contro Mubarak. La domanda è chi ci sarà dopo Mubarak, se quell'Omar Suleiman che la piazza ritiene simbolo del regime quanto Mubarak. Se, invece, anche Suleiman dovrà abbandonare, e lasciare il potere ai militari, che oggi hanno mostrato di aver preso la situazione in mano.
Golpe militare morbido, rivoluzione in fieri… La situazione è fluida, dice l'amministrazione Obama, e di certo è ancora tanto confusa da rendere impossibile qualsiasi previsione. L'unico elemento certo è che Suleiman ha comunque perso la battaglia del tempo. Era evidente che Suleiman giocasse sul fattore tempo per stancare Piazza Tahrir e l'opinione pubblica. La tenacia dei ragazzi di Tahrir ha invece mostrato che il nocciolo duro della rivoluzione fosse meno naive di quanto sia stato descritto, sui nostri giornali. La loro tenacia ha consentito alle proteste di reggere il confronto e di guadagnare terreno nella società egiziana, tanto da mostrare che il regime stava perdendo, col tempo, pezzi della sua struttura. Pezzi simboleggiati dai dirigenti dello NDP che si stanno dimettendo e dallo stesso ministro della cultura Gaber Asfour che ha retto solo nove giorni, prima di lasciare sotto la pressione dei suoi colleghi scrittori.
Quello che sembra è che il braccio di ferro sia tra Omar Suleiman e le forze armate.
Stay tuned. Stasera potrebbe essere essere il giorno.
La foto è dall'album Flickr di Hossam el Hamalawy
Nella vita degli altri
Il confronto col 1989 è possibile o no? I paragoni, nella storia, non fanno mai bene alle analisi razionali, ma ogni tanto qualche citazione ci sta bene. Dà il senso di quello che si muove, dei sentimenti, delle vite, della fatica. Soprattutto, nel caso del 2011 e del 1989, del riscatto individuale. Queste sono le citazioni alle quali pensavo, sia in queste ultime settimane sia quando, qualche anno fa, parlavo della produzione della dissidenza egiziana sul web come e-samizdat. Ieri ho avuto due altre conferme che quelle citazioni facevano al caso egiziano.
La prima. Una telefonata. Un amico che era a piazza Tahrir, e aveva vissuto tutto l'89, in Polonia, in Cecoslovacchia. "Questi ragazzi mi hanno fatto ringiovanire. Mi sembra di essere in Polonia. Sono meravigliosi". L'occhio attento di chi non guarda il mondo con i preconcetti. L'occhio di chi – quell'89 – lo ha conosciuto nel profondo.
La seconda conferma. Un film. Trasmesso ieri da Rai2. Le vite degli altri, opera prima di Florian Henckel von Donnersmarck, premiata con l'Oscar per migliore film straniero. Un film bello, asciutto, pieno di dettagli, tanto pieno da far comprendere il ritmo tremendo della vita quotidiana della DDR. Vite seguite, vite schedate, vite sezionate. La sensazione al Cairo, seppure con modalità diverse, era questa. Di essere comunque e sempre sotto controllo. Sempre imprigionato in un bozzolo in cui l'urlo contro il regime doveva essere compresso. A un certo punto del film, si parla dell'aumento di suicidi nella Germania orientale, che nella statistica nazionale non si trascrivono più. In Egitto, recentemente, nel 2009, si parlò dell'aumento di suicidi. 12mila giovani in 4 anni, si disse dopo la presentazione di un rapporto da parte di un deputato indipendente all'Assemblea del Popolo. Suicidi legati alla disoccupazione crescente…
February 9, 2011
Fratelli Musulmani, e giovani Fratelli Musulmani
Allora, parliamo di Fratelli Musulmani. Ho evitato di scriverne sinora, perché volevo parlare dei 'ragazzi di Tahrir', quelli che stanno ancora facendo la rivoluzione – checché ne dica il nostro cinismo politico – e che ieri hanno nominato un autoproclamato antieroe come loro portavoce, Wael Ghonim. Ho scoperto, però, che anche se non scrivo di Fratelli Musulmani c'è qualcuno che passa il proprio tempo a insultarmi via web, invece di seguire il flusso della Storia e tentare di capirci qualcosa. Qual è il problema? Che non mi sono mai adeguata allo stereotipo corrente, quello della caccia alle streghe contro l'Ikhwan egiziana: preferisco tentare di capirci qualcosa, e dare una lettura un po' più complessa. Insomma, mi tocca.
E allora comincio con uno dei cablogrammi resi pubblici da Wikileaks. Arriva proprio dall'ambasciata del Cairo, anno 2006. A redigerlo, l'allora ambasciatore Francis Ricciardone. Un cablogramma molto interessante, perché finalmente si vedono diplomatici che leggono la realtà. Magari da un punto di vista che non mi piace, quello dell'Amministrazione Bush. Ricciardone parla delle elezioni dell'autunno 2005, in tre turni, che videro 88 deputati legati ai Fratelli Musulmani entrare nell'Assemblea del Popolo, nonostante i brogli a opera del regime. Eppure, l'Ikhwan aveva deciso una strategia morbida per non spaventare l'Occidente, e aveva presentato un numero di candidati che, se anche avessero tutti vinto, non avrebbe coperto se non un terzo del parlamento. Nessuno, allora, si stracciò tanto le vesti, ma dietro le quinte l'amministrazione americana sapeva benissimo cosa stesse succedendo. Il governo egiziano – dice il cablo – ha una lunga storia di far aleggiare davanti a noi la minaccia dell'uomo nero-Fratellanza Musulmana.
The November-December parliamentary elections resulted in a five-fold increase in the number of seats held by independent candidates representing the outlawed but tolerated Muslim Brotherhood. The GOE has a long history of threatening us with the MB bogeyman. Your counterparts may try to suggest that the President,s insistence on greater democracy in Egypt is somehow responsible for the MB,s electoral success,and may even try to draw a cautionary example out of Hamas' January 25 election victory. (The GOE sees Hamas, with fair reason, as spawned by the MB.) We do not accept the proposition that Egypt's only choices are a slow-to-reform authoritarian regime or an Islamist extremist one; nor do we see greater democracy in Egypt as leading necessarily to a government under the MB. The images of intimidation and fraud that have emerged from the recent elections favor the Islamist extremists whom we both oppose. The best way to counter narrow-minded Islamist politics is to open the system. If the Egyptians are willing, the FBI could serve as a resource and partner, among other U.S. agencies and programs, in professionalizing the Egyptian security services and modernizing their investigative techniques. This would enhance the credibility of the security apparatus and remove an arrow from the Islamists, quiver.
Dunque, non è la prima volta che il regime di Mubarak usa lo spauracchio dei Fratelli Musulmani verso l'Occidente tutto. O me o un regime islamista, magari simile all'Iran khomeinista. O me oppure il caos. O gli affari con me, oppure scordatevi l'Egitto. Le ragioni sono talmente evidenti, che lo stesso Ricciardone le indica con puntualità.
Ma allora, i Fratelli Musulmani fanno così paura? L'interpretazione mainstream (raffinata) varia dal "sono terroristi, sono Al Qaeda, sostengono Ayman Al Zawahri" al "fanno il doppio gioco, non usano la violenza ma la userebbero, e se anche non la usassero, farebbero un califfato, uno stato islamico". E giù la storia di Hassan al Banna, come se si parlasse di Gianfranco Fini parlandone solo e unicamente come l'erede di Benito Mussolini. Un po' semplificato, per dir così.
Hassan al Banna, fondatore dell'Ikhwan, è certo ancora molto importante per i membri della Fratellanza Musulmana. Più importante di Sayyed al Qutb, anche se la sua ombra aleggia sinora, tanto da essere stata richiamato quando è stato eletta l'ultima guida suprema, Mohammed el Badie, accusato di spostare l'asse della Fratellanza – appunto – da Banna a Qutb. Troppo conservatore, Badie, troppo di destra. A dirlo, non sono stati gli avversari dell'Ikhwan, ma molte voci dentro i giovani fratelli musulmani, che l'attacco l'hanno portato in pubblico. Come Abdul Rahman Ayyash, uno dei blogger islamisti, tanto duro da rifiutare l'elezione di Badie, e da tracciare con nettezza quello che è successo, molto recentemente, dentro la leadership dell'Ikhwan. La spaccatura tra l'ala riformatrice e l'ala conservatrice.
I –as a Muslim Brotherhood Member- am refusing the elections, I'm refusing the way of holding the elections, the results of the elections and the new executive office members!
I'm refusing all these points because I want to be honest on Hassan Albanna's heritage, I can't accept Sayed Qutb's ideology in Muslim Brotherhood, and it's clear that the new office will adopt the Qutbic Ideology, most of the office members were arrested with Sayyed Qutb in 1965.
In my opinion, Mohammed Badi', the first candidate to be the 8th supreme guide in the brotherhood, will clearly reflects the new ideology of the executive bureau in the coming phase.
Abulfotoh is the one who can solve his part of the equation of the crisis, he should take a strict attitude towards these violations, he should move and he will find many youth of MB following him in his way to reform the brotherhood from inside.
Abdul Rahman Ayyash fa due nomi. Essam el Aryan, in un passo precedente, ma soprattutto Abdel Moneim Abul Futouh (se siete interessati al suo ritratto, è in un post precedente nel blog, tratto da Arabi Invisibili, e anche in questo ritratto che ne fa Helena Cobban su Foreign Policy ). Lo descrive come il leader più ascoltato dai giovani della Fratellanza, e una conferma del suo rapporto con l'ala giovane è nelle dichiarazioni che Abul Futouh (a sua volta leader studentesco islamista negli anni 70) ha fatto durante la rivoluzione del 25 gennaio, sia ricordando il "sangue" dei giovani versato per la rivoluzione, sia confermando che, prima del negoziato, Mubarak deve dimettersi. Abul Futouh, insomma, sposa il ruolo dei giovani islamisti a piazza Tahrir, non tanto e non soprattutto come islamisti, ma in quanto ragazzi come gli altri, generazione Facebook anche loro, come i postmarxisti, i laici, i filooccidentali. Tutti insieme a piazza Tahrir, nella Repubblica di Tahrir che ha già creato il fossato che la separa dai partiti tradizionali. Fratellanza compresa.
Questa insistenza sulla differenziazione generazionale all'interno dell'Ikhwan è fondamentale per andare oltre la vulgata, e capire gli assetti reali dei Fratelli Musulmani egiziani. I ragazzi islamisti hanno scavalcato una disciplina classica, hanno forzato la mano, hanno aderito al 25 gennaio, mentre la leadership è rimasta a guardare, decidendo di partecipare solo quando ha compreso che stavolta era diverso. Era una rivoluzione.
Non c'è solo la questione generazionale, certo, e il solco tra conservatori e riformatori passa anche attraverso i ragazzi islamisti. La spaccatura sempre più evidente tra riformatori e conservatori al livello della leadership e del bureau della Fratellanza, con questi ultimi che riescono ad avere la guida suprema scavalcando proprio Abul Futouh, in predicato di assumere quel posto da anni, è il chiaro segno che la Fratellanza non è un monolite. Non è un blocco granitico. C'è chi, tra i Fratelli Musulmani, dialoga da anni con le altre anime dell'opposizione. La reazione del regime di Mubarak è stata, allora, quella di mettere in galera in particolare i pragmatici, i riformatori. Essam el Aryan, che fa dentro e fuori da anni. E anche Abul Futouh, che si è fatto un altro periodo in galera molto recentemente.
Si è detto, anche da parte di seri conoscitori dell'Egitto, che i Fratelli Musulmani siano stati il puntello del regime di Mubarak. Un movimento illegale ma tollerato, che in fondo non si è mai ribellato. Contribuendo a mantenere, in sostanza, lo status quo. Può darsi che sia vero, che ci sia stato uno scambio: nessun potere politico all'Ikhwan, in cambio di una tolleranza del suo lavoro sociale, socio religioso, di servizio. Negli ultimi anni, però, la stretta del regime è stata sempre più forte, e soprattutto ha spesso lasciato fuori dalle galere proprio i più conservatori tra i dirigenti. Proprio perché i riformatori avrebbero potuto solleticare l'Occidente, e far balenare alternative diverse da quelle proposte dallo stesso Mubarak.
Per inciso, queste sono le richieste dei Fratelli Musulmani, così come spiegate da Mohammed Mursi in un commento scritto per il Guardian
The Muslim Brotherhood along with the whole nation is unrelenting in its demand that President Hosni Mubarak stands down immediately. We want the officials responsible for the bloodshed that marred the peaceful protests to be brought to trial; the parliamentary and local councils formed by rigged elections to be disbanded; the immediate cessation of the emergency law ; and the formation of an interim national government until free fair and transparent elections are held under full legal and judicial supervision. The Muslim Brotherhood will never compromise on its demands for the complete separation and independence of authorities, the freedom to form political parties and community groups, and the freedom of the press and media.
So già cosa diranno quelli che sbandierano il pericolo islamista. L'Ikhwan parla con lingua biforcuta, non farà quello che ha promesso di fare. E allora mi chiedo: perché invece dovremmo credere a un regime che ha già mortificato nel corso dei decenni la libertà di stampa, di espressione, di voto, la libera associazione in partiti politici, le libertà civili?
Comunque, questa è un'analisi possibile dei Fratelli Musulmani di oggi, da parte di una laica. Nessuna ricetta magica, nessuna incensazione, e per chi vuole, c'è un punto di vista interessante anche su arabist. Un'analisi che non può non concludersi con quello che molti dei ragazzi di Tahrir, fanno capire, su twitter e nelle loro interpretazioni della rivoluzione del 25 gennaio. E' proprio aiutando i ragazzi di Tahrir che lo spauracchio islamista (quello semplificato) si sgonfia. Perché in piazza c'è altro, e tutto insieme. Ho paura, allora, che non sono gli islamisti a suscitare timori. È la paura della democrazia.
Nella foto dall'album di monasosh su Flickr, un medico cura un ferito in una delle battaglie di Tahrir. L'ordine dei medici, così come molti degli ordini professionali in Egitto, è considerata una roccaforte dei Fratelli Musulmani.
February 8, 2011
Humour a Tahrir
Tahrir Square is blocked. We are trying to get there now. Egyptians are making history. #Jan25.
Wael Ghonim, l'antieroe di Tahrir, ricomincia a twittare. Sta andando nella piazza che ha chiesto il suo rilascio per giorni. Ma questo breve aggiornamento è dedicato allo humour della piazza, di cui non ho parlato negli scorsi giorni, e che invece emerge proprio da twitter. Non è una novità. Gli egiziani sono sempre così ironici, ridono molto, e dunque si ride anche nella rivoluzione.
Ieri sera, per esempio, monasosh chiedeva medicine e vitamina C, per chi restava a dormire a Piazza Tahrir. Perché "la rivoluzione non fosse sconfitta. Dall'influenza". E sempre ieri sera, dopo l'intervista choc e commovente di Wael Ghonim, uno dei commenti scommetteva che "Ghonim era riuscito a convincere persino Mubarak, che domani sarà a Tahrir pure lui a manifestare". Quando Ayman Moyeldin di Al Jazeera English è stato arrestato, uno dei commenti è stato "E così Mubarak si è attirato l'odio dell'intera popolazione femminile egizian": un chiaro riferimento al fatto che AymanM è un bel ragazzo, oltre a essere un ottimo giornalista.
Ne ho letti talmente tanti, di sms ironici, al vetriolo, ma anche catartici, che me li sono anche dimenticati. Si accettano integrazioni.
La foto è presa dall'album su Flickr di Sarah Carr. Due blogger a Tahrir, Amr Gharbeia e Salma Said-
Attenti alla sicurezza
Ricevo dal Cairo, e volentieri pubblico, un appello della professoressa Leyla Soueif sul tentativo, per la Sicurezza Centrale egiziana, di riprendere il controllo dell'ordine pubblico. Leyla Soueif insegna all'università del Cairo, è un'attivista da decenni, moglie di Ahmed Seif, il direttore dello Hisham Mubarak Center arrestato e poi rilasciato tra il 4 e il 5 febbraio. Nonché madre, orgogliosa, di due blogger, alaa e monasosh. Una famiglia di intellettuali, che si passa il testimone tra le generazioni. La foto è dall'album su Flickr di Hossam el Hamalawy
Redeploying the Central Security Forces is an attempt to get round the Army's decision not to act against the Egyptian revolution
The news Bulletin on Channel 1 on Egyptian State TV yesterday (7 February) showed the new Minister of the Interior inspecting the barracks of the Central Security Forces and putting in place a strategy to redeploy them.
We should never forget that the main strike force of Central Security is conscript soldiers.
We demand of the Army leadership that they do not allow the exploitation of their conscripts in suppressing the revolution.
We demand that the Army retrieve its conscripts from the Ministry of the Interior immediately and redistribute them among Army units if there is need, or to end their conscription and return them to their normal lives among their families.
The legitimacy of conscription is that it provides a resource for the Army to use in defence of the borders and independence of the country. Using conscription to force the poor to suppress their fellow-citizens is an insult to the Army and to the nation. We cannot permit it to continue.
Layla Soueif
Dept of Mathematics
Cairo University
8 February 2011
Wael Ghonim, l'antieroe
Non sono stati solo i ragazzi di Tahrir a commuoversi per le lacrime di Wael Ghonim, prostrato da 12 giorni di detenzione, sequestrato, rapito, messo in galera dai servizi di sicurezza egiziani. A piangere con lui è stata una buona fetta della popolazione egiziana, quella che può sintonizzarsi su Dream, una delle tv più viste, gettonate del paese. Wael Ghonim è uno dei manager di Google nel Medio Oriente, ha una buona posizione, lavora negli Emirati Arabi Uniti, ma è soprattutto un mago del computer e della rete. Ha gestito la pagina "Siamo tutti Khaled Said", in memoria di quel ragazzo di Alessandria dal viso pulito, ammazzato di botte dalla polizia nel giugno del 2010. E' un attivista del web, è uno di quella generazione Facebook che, ha spiegato ieri sera, lungi dall'essere una generazione virtuale è scesa in strada, e ha fatto la rivoluzione. Wael Ghonim è stato liberato da una campagna costante, diffusa, senza un attimo di pausa, andata in onda – appunto – sul web, e sostenuta proprio da Google, che non ha abbandonato un suo uomo. Anzi, ha messo a disposizione dei ragazzi di Tahrir i suoi mezzi quando il regime di Mubarak aveva deciso di chiudere il paese al mondo, e bloccare internet.
Non ha visto niente, della rivoluzione, Wael Ghonim. Separato dal mondo, e soprattutto da quel paese, l'Egitto, nel quale era tornato con una scusa, per poter partecipare alla rivolta. Rapito il 28 gennaio, ha perso tutto: le grandi manifestazioni pacifiche, gli scontri, l'occupazione di Piazza Tahrir. "Non trattatemi con un eroe. Io ho dormito per 12 giorni. Gli eroi sono gli altri, quelli che erano per strada. Quelli che sono morti". L'antieroe Wael piange di fronte alla sua intervistatrice, una delle più conosciute in Egitto, Mona el Shazly, quella delle interviste con le celebrità, rais Mubarak compreso. Ora la celebrità è un ragazzo di trent'anni, viso impallidito dalla prigionia e dalla tensione, maglioncino di lana, capelli un po' scarmigliati. E' come un fiume in piena, parla, racconta, spiega perché loro, i ragazzi, non hanno fatto niente di male, non sono traditori, amano l'Egitto, l'hanno fatto per il loro paese.
Alla fine, nella più scontata tv del dolore, scorrono le facce dei ragazzi che sono morti davvero, e non virtualmente, nella rivoluzione del 25 gennaio. Sono ragazzi belli, sorridenti, pieni di una vita terminata subito, di colpo, vittime sacrificali. I martiri di Tahrir, come li chiamano. Wael Ghonim piange, non ce la fa a reggere la tensione e il dolore. E quel pianto, invece, è tutto meno che scontato. Ha pianto il paese, con lui. E oggi, a Piazza Tahrir, per quelle lacrime, potrebbe esserci molta gente. Proprio nel giorno in cui si pensava che Piazza Tahrir stesse perdendo consenso verso l'egiziano medio, che vuole tornare alla normalità, al tran tran, al traffico bestiale del Cairo.
Un bambino, qui a Gerusalemme, mi ha spiegato perché i bambini possono giocare nei luoghi che noi considereremmo sacri e chiusi alle risa e al pallone. Perché Dio – quello dei musulmani, in questo caso – dice "date la libertà ai bambini, e i bambini vi daranno la libertà". Non ci avevo pensato, prima, ma forse questa è anche la ragione per cui i bambini, gli ulad, hanno ricevuto ascolto dai grandi, in queste due settimane.
Non credo che Tahrir abbia trovato il suo leader, in Wael Ghonim. Uno di loro, in un tweet di questa mattina, dice "non siamo mica un gregge, non abbiamo bisogno di un leader". Idealismo della gioventù? Forse. Ma forse i ragazzi stanno dicendo al loro paese, e a noi che li osserviamo, che non sono una massa di manovra. E che non sarà così facile utilizzarli.
Pioveva, domenica. E così i ragazzi hanno riparato con una bandiera egiziana il papà di NadiaE, musulmano conservatore, malato (la figlia cercava una sedia a rotelle, per poterlo accompagnare a Tahrir), in piazza per assistere alla preghiera dei cristiani per i martiri, i ragazzi morti. Lo stereotipo che ha coperto i ragazzi arabi è fatto di carta velina: NadiaE è una blogger, madre e giornalista (così si definisce), così come un'alpinista. Con tanto di hijab.


