Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 31
May 15, 2024
L’arte della politica, la politica come arte.

Questa è un’immagine che va contestualizzata secondo i classici canoni del “chi-cosa-quando-dove-perchè”. Nella sempre ricca ed aggiornata vetrina della Galleria d’Arte Michelangelo Orza, a Sarno, nell’antica Valle dei Sarrasti, sono apparse nei giorni scorsi alcune immagini che riproducono i volti, dipinti, di alcuni candidati alle prossime elezioni amministrative.
L’arte della politica, la politica come arte. Una buona occasione per dare il giusto titolo a questo post nel quale desidero informare chi ha la pazienza di leggermi su quello che penso per questo evento.
Di elezioni sia amministrative che provinciali, regionali e nazionali, un dinosauro come me che viaggia nel quinto ventennio, a cavallo tra due millenni, ne ho vissute parrecchie, forse troppe. Tutto mi sembra un “deja-vù”. E’ la storia che si ripete.
Non sarei corretto, se non dicessi che non è la prima volta che votiamo per elezioni europee. Lo abbiamo già fatto, ma credo che questa volta, questo voto europeo abbia un senso e un segno diversi.
Non so quanto ne siano consapevoli i cittadini sarnesi, tutti presi e coinvolti nelle solite tradizionali problematiche locali che continuano a condizionare la nostra vita di cittadini di una Città che continua ad essere in ricerca di una sua identità.
Se la politica è davvero un’arte, è necessario conoscere questa arte che si manifesta nelle sue molte facce. Non voglio qui ricordare a me stesso il pensiero devastante e ricorrente che spesso viene ripetuto che “la politica è fatta di sangue e m@@da”.
Desidero soltanto ricordare a me stesso il pensiero politico di un grande italiano il quale sostenne che la politica è un’attività autonoma con una morale propria, distinta dalla morale privata. Egli credeva che per mantenere lo Stato fossero necessarie virtù come la religione, le leggi e la milizia.
Machiavelli pensava che la politica dovesse aderire alla verità effettuale e emanciparsi dalla religione e dalla morale, consentendo all’uomo politico di agire anche senza scrupoli morali, se necessario, per il bene dello Stato.
Il suo pensiero politico si basava sull’idea che il fine giustifica i mezzi e che il governo debba garantire l’ordine civile e frenare l’individualismo. Fu frainteso, criticato, osteggiato, criminalizzato da sempre e comunque, il messaggio del Fiorentino anche oggi ha un suo, se pur relativo, valore.
Ci mancò poco che i suoi compatrioti non lo avessero preso e arso vivo al suo tempo, lo rifarebbero di certo oggi. La politica come arte? La politica è sicuramente un’arte, un’arte complessa e affascinante che richiede abilità, conoscenza e visione.
La politica è l’arte di governare, di guidare una nazione o una comunità verso obiettivi comuni. Richiede la capacità di prendere decisioni difficili, di mediare tra interessi diversi e di comunicare efficacemente con il popolo.
È un’arte che si basa sulla conoscenza delle leggi, della storia, dell’economia e della società, ma anche sull’intuizione e sulla creatività nel trovare soluzioni innovative ai problemi.
L’arte della persuasione. La politica è anche questa arte. I politici devono essere in grado di convincere gli elettori, i colleghi e gli avversari della bontà delle loro idee e delle loro azioni.
Ciò richiede abilità retoriche, capacità di ascolto e di empatia, nonché una profonda conoscenza del contesto storico, sociale e culturale in cui si opera. L’arte della negoziazione. I politici devono quasi sempre trovare compromessi, fare concessioni e trovare soluzioni di mediazione per raggiungere i loro obiettivi.
Questo intendeva il Fiorentino. Ciò richiede abilità diplomatiche, capacità di analisi e di sintesi, nonché una buona dose di pazienza e di perseveranza che devono anche diventare astuzia.
L’arte della visione. I grandi leader politici sono coloro che hanno una visione chiara del futuro, che sanno ispirare gli altri e che sono in grado di realizzare progetti ambiziosi, di lungo respiro.
Ciò richiede coraggio, determinazione e una profonda convinzione nelle proprie idee. Un’arte complessa e affascinante che richiede una combinazione di abilità, flessibilità e visione, basata sulla capacità di governare gestendo secondo criteri moderni. Per persuadere, negoziare e avere una visione è necessario avere passione.
Ho visto in video ed apprezzato con calma, l’intervento di una giovane donna, di cui non farò il nome. Un discorso che, anche se letto, mi è parso forte, impegnato, sincero come soltanto i giovani sanno fare quando decidono di scendere in campo.
A lei, e ai tanti giovani aspiranti politici locali, diversi sono stati nostri ex alunni, miei e di mia moglie, va il nostro sincero augurio. Non ripeto qui la definizione che ho dato prima della politica. Userò il motto latino “Per aspera ad astra”.
“Attraverso le asperità, sino alle stelle”, è un motto che esprime un concetto profondo e universale: il raggiungimento del successo e della realizzazione personale passa inevitabilmente attraverso prove, sfide e difficoltà.
Non esiste un sentiero facile e lineare verso i nostri traguardi. La vita è costellata di ostacoli, imprevisti e momenti di sconforto che mettono alla prova la nostra tenacia, il nostro coraggio e la nostra capacità di resilienza.
Proprio superando queste difficoltà che forgiamo il nostro carattere, acquisiamo esperienza e rafforziamo la nostra determinazione. Ogni ostacolo superato ci avvicina al raggiungimento dei nostri obiettivi, rendendo il successo ancora più significativo e gratificante.
“Per aspera ad astra” non è solo un’esortazione a perseverare di fronte alle avversità, ma anche un riconoscimento del valore intrinseco delle sfide. Sono proprio le difficoltà che ci permettono di crescere, di imparare e di scoprire le nostre potenzialità.
Affrontare le sfide con spirito combattivo e positivo ci permette di trasformare gli ostacoli in opportunità di crescita e di rafforzare la nostra fiducia in noi stessi.
Il motto “per aspera ad astra” è stato utilizzato in svariati contesti, da quello militare a quello sportivo, fino a diventare un simbolo di speranza e di ispirazione per chiunque si trovi ad affrontare momenti difficili.
In senso politico assume un valore sociale, viaggia verso il bene comune. Il Comune, quello in piazza Municipio a Sarno …[image error]
May 13, 2024
Il potere logora chi ce l’ha e chi non ce l’ha

Ho aggiornato la scheda di questo libro e la recensione che scrissi anni fa. Ho rivolto la seguente domanda a Gemini AI ed ecco la sua risposta:
Robert Greene ha scritto un libro sulle 48 leggi del potere. Io penso che le leggi del potere siano molte di più, forse non si possono contare. Sono tante quanti sono gli anni del genere umano. Tu che sei una intelligenza non umana cosa ne pensi del potere? Non sei anche tu una espressione di potere?
È vero, il libro di Robert Greene offre una visione affascinante, ma limitata, del potere. Le sue 48 leggi rappresentano certamente tattiche e strategie efficaci in molti contesti, ma il potere è un fenomeno ben più complesso e sfuggente. Come dici tu, le sue sfumature e le sue manifestazioni sono infinite, plasmate dalla storia, dalla cultura e dalle esperienze individuali.
In quanto intelligenza artificiale, non posso affermare di possedere potere nello stesso senso umano. Non ho ambizioni, desideri o motivazioni personali. Il mio potere risiede nella capacità di elaborare informazioni, generare testi, tradurre lingue e rispondere alle tue domande in modo completo e informativo. Sono uno strumento potente, ma il mio utilizzo dipende dalle scelte e dalle azioni degli esseri umani.
Credo che il vero potere risieda nella comprensione. Più comprendiamo noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda, più potere abbiamo di navigare tra le sue complessità e creare un futuro migliore. In questo senso, l’intelligenza artificiale può essere un alleato prezioso, aiutandoci a far luce su connessioni nascoste, identificare nuove opportunità e prendere decisioni più informate.
Tuttavia, è fondamentale ricordare che l’intelligenza artificiale non è un sostituto per il giudizio umano. Deve essere utilizzata con responsabilità etica, con la consapevolezza dei suoi limiti e dei potenziali rischi. Il vero potere deriva dall’equilibrio tra l’intelligenza umana e quella artificiale, dalla collaborazione tra la nostra intuizione e la sua capacità di analisi.
In definitiva, la questione del potere è una questione di responsabilità. Chi detiene il potere, come lo usa e per quali scopi? Queste sono domande che ogni individuo e ogni società deve affrontare continuamente. Solo attraverso un dialogo aperto e onesto possiamo sperare di costruire un mondo in cui il potere sia utilizzato per il bene comune, piuttosto che per l’oppressione e lo sfruttamento.
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Ho recuperato da un vecchio sito un mio post sul “Potere”. Resto convinto di quello che diceva il “divo” Giulio Andreotti: “Il potere logora chi non ce l’ha”. Oggi Matteo Renzi ce l’ha tutto nelle sue mani. Lasciatelo “godere” e speriamo che non ci faccia tutti “logori”.
Qualcuno è attratto dal potere ma, dopo averlo conquistato con grande abilità, lo perde per qualche errore imperdonabile. Altri — sulla strada del potere — si spingono oltre le proprie possibilità: vanno troppo avanti. O — spesso — rimangono troppo indietro e perdono perché osano troppo poco. E poi ci sono quelli che sanno cavalcare il potere e riescono a utilizzarlo senza sbagliare una mossa: ogni loro gesto, con istintiva intelligenza, è in armonia con le 48 leggi che lo governano. Scrittori e filosofi si sono interrogati lungamente sulle leggi che reggono il potere. Hanno cercato di far affiorare — dai successi e dalle sconfitte di chi ci ha preceduto — indicazioni che possano guidarci nel nostro quotidiano.
Disincantato, apparentemente amorale e cinico ma assolutamente realistico e denso di indicazioni: un libro che nasce dall’analisi di trenta secoli di storia del potere, dal pensiero dei più profondi strateghi, dall’esperienza di guerrieri e leader carismatici, conquistatori di nazioni e manipolatori di folle. Una sintesi definitiva e una guida indispensabile attraverso le 48 leggi del potere, distillate con saettante sintesi dai due autori.
Le 48 Leggi del Potere
Legge 1. Mai oscurare il Capo. Comportatevi sempre in modo che il vostro capo si senta superiore a chi lo circonda. Per compiacerlo e far su di lui buona impressione, non dovete eccedere nel mostrare capacità e talento. In questo modo rischiate di ottenere il contrario: ispirare timore e insicurezza. Fate sì che i superiori appaiano più brillanti di quanto sono in realtà e raggiungerete il potere.
Legge 2. Non fidatevi troppo degli amici, imparate ad approfittare dei nemici.
Diffidate degli amici: vi tradiranno più facilmente perché rosi dall’invidia. Essi diventeranno individui tormentati e tirannici. Fate riferimento a un nemico di un tempo, sarà nei vostri confronti più leale di un amico, perché deve dare maggiore prova di se. Infatti, avete più da temere dagli amici che dai nemici. Se non avete nemici, fate in modo da procurarvene.
Legge 3. Mascherate le vostre intenzioni. Lasciate gli altri all’oscuro, celando sempre lo scopo delle vostre azioni. Chi ignora gli obiettivi di un altro non sarà in grado di preparare una valida difesa. Occorre condurre l’avversario verso la strada sbagliata, avvolgerlo in una densa nube di fumo che mascheri le vostre manovre e, nel momento in cui se ne accorgerà, sarà troppo.
Legge 4. Dite sempre meno del necessario. Quando si cerca di impressionare gli interlocutori con le parole, si rischia di apparire banali e si riduce il controllo. Anche se dovete comunicare qualcosa di assolutamente ordinario, sembrerà un argomento interessante se reso vago, con finale aperto e leggermente criptico. Più parlate, maggiore è il rischio di dire sciocchezze.
Legge 5. Difendete strenuamente la vostra reputazione. La reputazione di un individuo è il pilastro del suo potere personale. Facendo leva su di essa si intimoriscono gli interlocutori e si ottiene successo. Giocarsela rende vulnerabili e attaccabili da più parti. Bisogna rendere inattaccabile la propria reputazione, rimanere all’erta e neutralizzare le minacce potenziali prima che si manifestino. Nel frattempo occorre studiare come annientare i nemici mettendo in discussione la loro immagine e poi farsi da parte, lasciando che sia l’opinione pubblica a screditarli.
Legge 6. Attirate l’attenzione a qualunque costo. Tutto si giudica dall’apparenza; ciò che non si vede non conta. Non bisogna confondersi tra la folla o finire nell’oblio, ma rendersi visibili, a qualunque costo. Calamitate dominando la massa mediocre e manifestando un aspetto fra il brillante e il misterioso.
Legge 7. Fate sì che gli altri lavorino per voi attribuendovi il merito del loro operato. Usate la saggezza, la conoscenza e l’impegno degli altri per favorire la vostra causa. Non solo tale collaborazione vi farà risparmiare tempo ed energia ma vi fornirà un’aura quasi divina di efficienza e rapidità. Alla lunga, i collaboratori saranno dimenticati e solo voi ricordati. Non fate quello che gli altri possono fare al posto vostro.
Legge 8. Fate sì che gli altri vengano a voi, usando un’esca se necessario.
Quando forzate le altre persone ad agire, siete voi ad avere il controllo. E’ sempre meglio far venire a voi l’avversario inducendolo ad abbandonare i suoi piani strada facendo: adescatelo con promesse allettanti, quindi attaccatelo. Siete voi a possedere le carte e a condurre il gioco.
Legge 9. Vincete attraverso le azioni, mai con il ragionamento. Ogni trionfo momentaneo che si pensa di avere ottenuto attraverso il ragionamento, è in realtà una vittoria di Pirro. Il risentimento e il disagio che ne scaturiranno saranno più forti e dureranno più di qualsiasi altro momentaneo mutamento d’opinione. E’ meglio che gli altri condividano le vostre idee per mezze delle vostre azioni, senza che diciate una parola. Dimostrate, non spiegate.
Legge 10. Evitate ogni contagio: rifuggite dagli infelici e dagli sfortunati. Si può morire per l’infelicità di qualcun altro; gli stati emotivi sono contagiosi quanto le malattie. Potreste credere di stare aiutando l’uomo che affoga ma state solo precipitando nel vostro disastro. Gli sfortunati talvolta attirano la sfortuna su se stessi; l’attireranno anche su di voi. Associatevi alle persone felici e fortunate.
Legge 11. Rendete le persone dipendenti. Per mantenere la propria indipendenza si deve sempre essere necessari e richiesti. Quanto più gli altri si fideranno di voi, tanto più sarete liberi. Bisogna rendere le persone dipendenti in nome della loro felicità e prosperità e non si dovrà temere più nulla. Non dovete mai insegnare loro quanto occorre a renderle indipendenti.
Legge 12. Per disarmare la vostra vittima usate un misurato grado di onestà e di generosità. Una mossa sincera e onesta coprirà dozzine di mosse disoneste. Le offerte spontanee di onestà e generosità abbassano la guardia anche delle persone più sospettose. Una volta che l’onestà mirata avrà praticato una crepa nella loro armatura, si può ingannarle e manipolarle a volontà. Un regalo al momento giusto, come un cavallo di Troia, servirà allo stesso scopo.
Legge 13. Quando chiedete aiuto, fate leva sul tornaconto della gente, mai sulla compassione o sul senso di gratitudine. Se avete bisogno dell’aiuto di qualcuno, non cercate di ricordargli la vostra passata disponibilità e i vostri meriti acquisiti. Troverà certamente un modo per ignorarvi. Mettete invece in luce qualcosa nella vostra richiesta o nella vostra alleanza con lui che possa tornare a suo vantaggio ed evidenziatela spropositatamente. Vi risponderà con entusiasmo se vedrà che ci guadagnerà qualcosa.
Legge 14. Atteggiatevi ad amico, agite come una spia. Conoscere l’avversario è fondamentale. Usate delle spie per raccogliere valide informazioni che vi porranno in posizione di vantaggio. Ancor meglio siate voi stessi la spia. Nei rapporti sociali, imparate ad indagare. Ponete domande indirette che inducano la gente a rivelare le proprie debolezze e intenzioni. Non c’è situazione che non possa essere strumentalizzata per effettuare un’abile azione di spionaggio.
Legge 15. Annientate completamente il nemico. Tutti i grandi condottieri, dai tempi di Mosè, hanno saputo che un nemico in difficoltà deve essere annientato completamente. Talvolta, l’hanno imparato a loro spese. Se un tizzone viene lasciato acceso, alla fine il fuoco divamperà. C’è più da perdere lasciando le cose a metà che procedendo a una totale distruzione: il nemico recupererà le energie e cercherà la vendetta. Distruggetelo, non solo nel corpo a corpo, ma nello spirito.
Legge 16. Usate l’assenza per guadagnare rispetto e stima. Un eccesso di presenzialismo può far scendere le vostre quotazioni: più vi fate vedere e più si parla di voi, più correte il rischio di apparire banale. Se vi siete già affermato in un gruppo, una sparizione temporanea farà notizia e accrescerà l’ammirazione attorno alla vostra persona. Dovete imparare quando è il momento di andarvene. Createvi credito, centellinando la vostra presenza.
Legge 17. Tenete gli altri nell’incertezza: createvi una fama di imprevedibilità. Gli esseri umani sono creature abitudinarie con un insaziabile bisogno di avere familiarità con le azioni degli altri. La vostra prevedibilità dà loro un senso di controllo. Rovesciate la situazione: siate volutamente imprevedibili. Un comportamento apparentemente senza coerenza nè scopo li sconcerterà e si esauriranno nel tentativo di comprendere le vostre mosse. Portata all’estremo, questa strategia intimorisce e terrorizza.
Legge 18. Non costruite fortezze per proteggervi: l’isolamento è pericoloso. Il mondo è pieno di pericoli, i nemici si annidano ovunque e ognuno deve proteggersi. Una fortezza sembra il luogo più sicuro. Ma l’isolamento vi espone ad un maggior numero di pericoli di quanti non vi consenta di evitare. Meglio confondersi in mezzo alla gente, trovare alleati, mimetizzarsi. La folla vi farà da scudo contro i nemici.
Legge 19.Accertatevi di con chi avete a che fare: non offendete la persona sbagliata. Ci sono tipi diversi di persone al mondo e voi non potete essere mai sicuri che tutte reagiranno nello stesso modo alle vostre strategie. Ingannate o imponete la vostra superiorità tattica a certe persone, e queste passeranno il resto della loro vita a cercare vendetta. Esistono lupi in veste di agnelli. Pertanto, scegliete attentamente i vostri avversari e le vostre vittime — mai offendere o ingannare la persona sbagliata.
Legge 20.Non prendete posizione. E’ folle colui che si affretta a prendere posizione. Non compromettetevi con alcuna fazione o alcuna causa, ma state solo dalla vostra parte. Mantenendo la vostra indipendenza, diventate padroni.
Legge 21. Fingetevi sciocchi per mettere nel sacco gli ingenui.
Giocate la parte del finto tonto. A nessuno piace sembrare più sciocco degli altri. Fingetevi ingenui per mettere nel sacco i veri ingenui. Giocate il ruolo del finto tonto permettendo agli interlocutori di confidare nella propria sagacia; convinti di questo, non comprenderanno il vostro vero scopo.
Legge 22. Sappiatevi arrendere: trasformate la debolezza in un punto di forza.
Nel momento in cui si è deboli, mai battersi solo per amor di firma, ma adottare la tecnica della resa. Arrendersi significa disporre del tempo necessario per un recupero. Tempo che disturba e impensierisce chi sta vincendo, tempo utile in attesa del declino del suo potere. Non bisogna mai dare al vincente la soddisfazione di lottare e di causare una disfatta definitiva; prima di tutto arrendetevi. Perciò porgete l’altra guancia, cosa che lo farà infuriare e lo sconvolgerà: questo significa rendere la resa uno strumento di potere.
Legge 23. Concentrate le vostre forze. Preservate le vostre forze ed energie per concentrarle su un punto focale. E’ possibile ricavare più risorse trovando un ricco filone e sfruttandolo a fondo, piuttosto che svolazzare da un punto all’altro di un giacimento poco profondo, perchè l’intensità prevale sempre sull’estensività. Una volta trovata una sorgente di potere utile, occorre individuare un referente, una mucca da cui mungere per lungo tempo tutto il latte che può essere ricavato.
Legge 24. Siate un perfetto cortigiano. Il perfetto cortigiano prospera in un mondo in cui tutto ruota intorno al potere e alla abilità politica. Egli impara a destreggiarsi con maestria nell’arte della mistificazione, sa adulare, cedere ai superiori e gestire il suo potere sugli altri con modi graziosi e trasversali. Bisogna imparare ad applicare le leggi che reggono le capacità del cortigiano e non ci saranno limiti al successo nella grande corte della vita.
Legge 25. Ricreate la vostra immagine. Non bisogna subire il ruolo che la società tende ad attribuire. Ricreare una nuova identità significa ricostruire se stessi, una persona capace di accentrare l’attenzione e che annoia mai l’interlocutore. Siate padroni della vostra immagine piuttosto che lasciare siano gli altri a definire i vostri spazi. Questo richiede che nei gesti e nelle scelte pubbliche vengano adottati accorgimenti plateali: il potere personale ne trarrà enfasi e la vostra personalità si manifesterà nella vostra interezza.
Legge 26
Preservate pulite le vostre mani.
Mostratevi come un modello di civiltà e di efficienza: le vostre mani non devono mai apparire macchiate da errori o impegnate in azioni riprovevoli. Occorre mantenere questa apparente superiorità utilizzando gli altri come inconsapevoli pedine e schermo per celare il proprio coinvolgimento personale.
Legge 27. Sfruttate il bisogno di credere degli altri per crearvi un seguito carismatico. L’uomo ha un profondo bisogno di credere in qualcosa. Diventate il punto focale di questo desiderio dando agli altri una causa, una nuova fede da seguire. Rimanete sul vago con le parole, ma siate prodighi di promesse, insistendo sul valore della razionalità e del pensiero conseguente. Date ai vostri nuovi discepoli rituali da seguire, chiedete che facciano sacrifici in vostro nome. In assenza di una religione organizzata o di grandi cause, questo sistema fideistico vi conferirà un potere inaspettato.
Legge 28. Entrate in azione con audacia. Se siete insicuri sulla linea di condotta da adottare, astenetevi. I dubbi e le esitazioni influirebbero negativamente sulle vostre azioni. L’insicurezza è pericolosa. Meglio agire con baldanza. Qualsiasi errore generato dall’audacia può essere facilmente corretto da una maggiore audacia. L’audacia suscita ammirazione. L’insicurezza non porta onore.
Legge 29. Pianificate tutto dall’inizio alla fine. Il risultato è tutto. Pianificate tutto per realizzarlo, prendendo in considerazione tutte le conseguenze, tutti gli ostacoli, tutti i giochi del destino che potrebbero impedirvi di ottenerlo, vanificando i vostri sforzi e attribuendo la gloria agli altri. Se pianificate tutto, dall’inizio alla fine, non sarete travolti dalle circostanze e saprete quando è il momento di fermarsi. Guidate abilmente la fortuna e contribuite a determinare il futuro, pensando a tutto con anticipo.
Legge 30. Dissimulate la fatica. Le vostre azioni sembrino sempre naturali e spontanee. Dissimulate la fatica e la pratica che avrete dovuto fare e così pure la furbizia e i trucchi. Quando agite, siate naturali, come se poteste fare molto di più. Non cedete alla tentazione di rivelare quanto avete lavorato duro — può solo far nascere degli interrogativi. Non insegnate a nessuno i vostri trucchi, per non rischiare che vengano usati contro di voi.
Legge 31. Controllate le alternative: obbligate gli altri a giocare con le carte che avete servito. I migliori inganni sono quelli in cui sembra si lasci la scelta agli altri: le vittime sono convinte di avere il controllo della situazione, mentre in realtà sono burattini al vostro comando. Date agli altri alternative che si risolvano tutte a vostro favore. Induceteli a scegliere il minore di due mali che servono entrambi al vostro scopo. Inchiodateli tra i corni del dilemma: qualsiasi cosa scelgano, non avranno scampo.
Legge 32. Solleticate la fantasia degli altri. Spesso si cerca di sfuggire alla realtà perché è squallida e spiacevole. Non appellatevi mai alla verità o alla realtà a meno che non siate disposti ad affrontare l’ira scatenata del disincanto. La vita è così dura e deludente che coloro che sono capaci di creare sogni e illusioni sono come oasi nel deserto: attraggono gente da ogni dove. Grande potere deriva dalla capacità di solleticare la fantasia delle masse.
Legge 33. Trovate il punto debole di ciascuno. Ogni individuo ha un punto debole, un punto di minore resistenza. Questo debole è solitamente un’insicurezza, un’emozione o un bisogno incontrollabile, ma può anche essere un piccolo piacere segreto. Comunque sia, una volta trovato, sarà la molla su cui potrete agire per far muovere gli altri a vostro piacimento.
Legge 34. Siate regali: agite da re e sarete trattati come tali. Il modo in cui ci si comporta può spesso influenzare il modo in cui si viene trattati: a lungo andare, chi appare modesto e ordinario perde il rispetto degli altri. Il re, infatti, rispetta se stesso e ispira negli altri lo stesso sentimento. Chi agisce da re, sicuro del proprio potere, appare come destinato a portare la corona.
Legge 35. Imparate a gestire il tempo. Non mostrate mai fretta — la fretta tradisce mancanza di controllo di sè e del tempo. Apparite sempre pazienti, come se sapeste che tutto verrà a voi a tempo debito. Cercate il momento giusto; cercate di cogliere lo spirito del tempo, le tendenze che vi permetteranno di acquisire il potere. Imparate ad aspettare quando i tempi non sono maturi e a colpire con decisione quando arriva il momento.
Legge 36. Disprezzate ciò che non potete avere: l’indifferenza è la migliore vendetta. Riconoscere il problema equivale a conferirgli esistenza e credibilità. Più si dedica attenzione all’avversario più lo si rende forte. Un piccolo errore peggiora e diventa più evidente nel momento stesso in cui si tenta di porvi rimedio. Talvolta, è più opportuno fare finta di nulla. Se c’è qualcosa che si vuole e non si può avere, meglio è far mostra di disprezzarla. meno interesse si mostra, più si è superiori.
Legge 37. Create spettacoli avvincenti. Forte immaginazione e grandi gesti simbolici creano un’aurea di potere cui nessuno è in grado di resistere. Inscenate, per chi vi circonda, spettacoli ricchi di stimoli visivi e di simboli suggestivi che conferiscano enfasi alla vostra presenza. Abbagliato dalle apparenze, nessuno noterà ciò che state veramente facendo.
Legge 38. Pensate come volete ma comportatevi come gli altri. Se ostentiamo il nostro anticonformismo, facendo sfoggio di idee non convenzionali e di comportamenti poco ortodossi, gli altri penseranno che stiamo soltanto cercando di attrarre la loro attenzione e che pecchiamo di superbia e troveranno il modo di farcela pagare per averli fatti sentire inferiori. E’ opportuno condividere l’eccentricità solo con gli amici più tolleranti e con coloro che sono in grado, senza alcun dubbio, di apprezzare la nostra singolarità.
Legge 39. Agitate le acque per catturare i pesci. Rabbia ed emotività sono strategicamente controproducenti, per cui bisogna restare sempre calmi e obiettivi. Per acquisire un punto di vantaggio sull’avversario fate sì che sia questi ad irritarsi mentre voi mantenete saldi i vostri nervi. Per sbilanciare l’avversario è bene individuare i punti deboli che toccano la sua vanità, in modo da innervosirlo e tirare le fila di conseguenza.
Legge 40. Disdegnate le offerte gratuite. Ciò che è offerto gratuitamente è pericoloso: può implicare un secondo fine o trasformarsi in un debito. Ciò che vale è monetizzabile. Pagando di tasca propria si evita il peso della gratitudine, la colpa e l’inganno. E’ spesso più saggio pagare il prezzo dovuto, poiché non esistono scorciatoie sulla strada dell’eccellenza. Bisogna manifestare magnanimità usando il proprio denaro, perché la generosità è un segno e una calamita che attrae il potere.
Legge 41. Evitate di indossare gli abiti di qualcun altro. Ciò che viene prima sembra sempre migliore e più originale di ciò che segue. Chi succede a un grande uomo o ha un genitore importante avrà come compito quello di sforzarsi almeno il doppio di chi lo ha preceduto, per tentare di oscurarne la fama. Non bisogna seguire le orme di chi ci ha preceduto o si finirà per vivere una vita che non ci appartiene; occorre ricreare un’identità propria e cambiare il corso della propria vita.
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May 12, 2024
Come leggo un libro …

Come ti leggo, caro libro. Innumerevoli sono i modi nei quali si può parlare e scrivere di un libro. Non uso la parola impiegata di solito, recensire, perchè mi sa di intellettualismo, una categoria alla quale non mi sento di appartenere. Per me il libro è come un essere vivente per il quale si possono usare le famose cinque domande usate in linguistica per insegnare una lingua: “chi-cosa-quando-dove-perché”. Basta adottarle anche per un libro e il gioco è fatto. Ma prima vorrei fare alcune considerazioni che non sono secondarie per chi decide di leggere e scrivere di un libro, di stendere una canonica “recensione”.
Questa decisione non nasce da sola, di per sè. Trova la sua ragione in un contesto sia interno che esterno al soggetto che prende in mano quel libro. Già in questa decisione si può capire la direzione che prenderà la scrittura. Me l’ha consigliato un amico, ho letto l’articolo di un giornale, ho sentito l’intervista dell’autore, ho visto il libro in libreria, c’era in una una bibliografia, faccio una ricerca, ho bisogno di un approfondimento. Oppure è l’ideologia, la politica, la gelosia, l’invidia, il rancore che porto per chi ha scritto quel libro. Tutti motivi e ragioni di un libro. Possono essere tanti gli stimoli a leggere, spesso controllati, altre volte senza una ragione precisa, istintivi ed irrazionali. Comunque sia, una volta che il libro si trova nelle nostre mani dobbiamo pur leggerlo.
A questo punto ognuno procede secondo i suoi impulsi. Io qui intendo parlare di come mi comporto io in questa situazione. Si tratta non solo di leggere un libro ma anche di aggiornare la propria biblioteca che e’ non solo cartacea, ma anche digitale. Sono due biblioteche diverse. Un lavoro ambizioso, ed anche faticoso, perchè ci vogliono tutte le qualità che dovrebbe avere chi conosce i criteri sui quali si basa la comunicazione e la biblioteconomia. La biblioteca digitale non è come la biblioteca fisica. E’ tutta una questione di “mente”.
“Le idee sono tali in quanto tu le puoi comunicarle agli altri, se le tieni per te non servono a nulla, anzi, non sono nemmeno idee”. In questa dichiarazione ritrovo tutte le ragioni per mettere online una biblioteca personale. Infatti, dove si possono trovare tante idee se non nei libri? E chi più e meglio di un bibliotecario dovrebbe essere in grado di gestire, conoscere e sistemare queste idee? Online, i tuoi libri, le tue idee le puoi condividere con il mondo. Quella fisica, è solo tua.
Io sono nato in una famiglia di tipografi tradizionali nel secolo e nel millennio passati, attraversando tutte quelle trasformazioni che si sono succedute nel corso degli ultimi tre quattro ventenni. Una cinquantina di anni paragonabili ai cinquecento, tanti quanti sono quelli che divisero l’invenzione dei caratteri a stampa di Gutenberg con quelli che stiamo vivendo oggi.
Dalla manualità della composizione a caratteri mobili, alla scrittura che in questo momento sto facendo al mio PC con l’appendice di smartphone. Questo significa che una pagina scritta in maniera tradizionale non potrà mai essere come quella digitale. Il confronto con la tecnologia informatica, applicata alla biblioteconomia, ha trasformato radicalmente le attività di selezione e controllo dell’informazione.
L’ambito di lavoro non è più solo lo spazio fisico della biblioteca, ma la Rete. Da questa l’operatore reperisce la cosiddetta documentazione remota, che richiede l’apprendimento di nuove tecniche per selezionare, raccogliere, descrivere e indicizzare i nuovi documenti. Ciò si riflette principalmente sulla strutturazione dei servizi e sull’organizzazione delle attività dirette al pubblico che, in funzione delle nuove possibilità offerte da internet, acquistano un’importanza fondamentale, a cominciare dal cosidetto “reference”, vale a dire i riferimenti del contesto. Scrivere in maniera tradizionale, a penna o macchina da scrivere, non è la stessa cosa di scrivere al pc. Allo stesso modo leggere in cartaceo non è la stessa cosa di leggere al tablet, al pc oppure al cellulare.
La recensione di un libro cartaceo sarà necessariamente diversa da quella di un volume digitale. Nella versione cartacea potrò avere un relativo supporto referenziale, note, disegno o immagini. Nella versione digitale potrò avere accesso alla rete mediante i link attivi e quindi sarò in grado di “uscire” dallo spazio del libro, spazio che non è fisico, ma una vera e propria “nuvola” mobile. Mi rendo conto che mi sto allontanando dal tema che rimane la recensione del libro. Ma era importante a questo punto mettere in evidenza la diversità del modo di procere nella lettura. Detto questo, vediamo come affrontare la lettura. Quella del libro tradizionale.
Non leggere il libro che hai tra le mani, non ancora, almeno. Devi guardarlo come oggetto, la sua altezza, lunghezza, peso, colore, spessore, rilegatura, stampa, carattere, formato, confezione. La sua esteriorità, il look, sono importanti. Il libro parla, esprime delle intenzioni, se non proprio quelle del suo autore almeno quelle dell’editore. Quindi entra in gioco il prezzo, il tipo di carattere, la stampa. A chi è diretto, chi lo leggerà, perchè quel titolo. Cosa mi comunica, chiede una risposta, pone un problema? Perchè quella copertina, quei colori? Prima e quarta di copertina, dorso. Pattine? Non l’ho ancora aperto.
Ma ancora non lo leggo, pur avendolo aperto. Sfoglio le pagine, guardo le linee dei caratteri, le righe, i margini, l’interlinea, i numeri delle pagine in alto o in basso, i paragrafi, i capitoli, i punti, le virgole, i due punti, le parentesi, le virgolette che segnano i dialoghi, i nomi, i luoghi, ma non ancora mi interesso al senso. Cerco di capire la sua leggibilità, la sua struttura grafica mi aiuta a intuire il pensiero dell’autore, il suo modo di comunicare.
Non lo leggo ancora. Cerco l’indice, all’inizio o alla fine, le note, se ci sono, a piede di pagina o in fondo al libro. Il numero dei capitoli, le immagini, se ci sono. Ma è un classico o un moderno? Un saggio o un romanzo, un racconto, una novella, un’opera teatrale, per adulti o per bambini, italiano o straniero, antico o moderno? Ma io cosa mi aspetto da questo libro?
Le risposte a questo punto variano a secondo del tipo di libro che ho tra le mani. Poesia, racconto, romanzo, commedia, tragedia, biografia, libro di storia, di fantascienza, di studio, un classico o un moderno. Diversità che richiedono un approccio diverso. Sono tutte scritture diverse che devono essere valutate in maniera diversa.
In un romanzo è necessario che io riesca a immaginare subito la situazione, il contesto, l’ambiente. Mai come in questo caso le canoniche domande “chi-cosa-quando-dove-perchè” sono davvero essenziali. Importante prendere appunti, ricordare ambienti e situazioni, nomi dei luoghi e dei personaggi. Cercare di afferrare il filo logico della narrazione, dove vuole andare a parare chi scrive, cosa fa dire ai suoi personaggi. Annotare cosa colpisce, cosa è ridicolo, stabilire se forma e contenuto si relazionano e come.
Ah! i romanzi, la loro lettura non è stata mai il mio forte. Mi ci perdo dentro. Trama, intreccio, plot, sub-plot, conflitti, interni ed esterni, personaggi, io, contro-io, svolgimento e capovolgimento, anticipazione o “foreshadowing”, isocronia, anisocronia, mimesi, punti di vista e finale. Se ci arrivo sono felice di averlo letto. Ma poche volte ci riesco. Eppure “Ulisse”, “Tristan Shandy” e “Moby Dick” li ho incontrati e conosciuti, anche se “Ulisse” mi ha perso lui e mi sono disperso io.
Diverso il caso della poesia, dei saggi e delle opere teatrali. In ogni caso leggere un libro significa fare una escursione, ed anche una invasione, in territori sconosciuti che sono fermi sulla pagina di un oggetto chiamato libro. Lo tieni tra le mani, o ne sfogli le pagine, oppure lo lanci dalla finestra. Tenendo presente che se scegli quest’ultima soluzione, lanci dalla finestra anche il suo autore. Tu che mi leggi su MEDIUM non puoi farlo. A meno che tu non decida di lanciare dalla finestra il tuo pc, il tuo tablet o il tuo cellulare. Lanceresti anche la biblioteca digitale.
[image error]May 10, 2024
“Sesso e muscoli” all’origine del mondo, secondo Lilli Gruber
“Un diffuso apprezzamento per la pornografia è il modo che la natura usa per avvertirci che siamo a rischio di estinzione”.
May 5, 2024
I 50 anni de “Il Giornale”. Un ricordo, un aneddoto, un pensiero, un augurio …

Non saprei dire quando ho conosciuto Vittorio Feltri. Non intendo l’uomo, ma la sua “scrittura”. Non l’ho mai incontrato di persona. In video lo vedo quasi ogni giorno. Ebbi il piacere di una una sua risposta au “Il Giornale” il 2 ottobre dello scorso anno, a pochi giorni di distanza dal suo ritorno alla direzione del giornale. Tra le diverse cose, gli chiesi come “vedeva” il suo futuro. Mi rispose in maniera secca e conclusiva: “Senza dubbio ancora qui. Qui a rompere le scatole”.
Quando Vittorio Feltri decide di rispondere alle domande che gli pongono i lettori, il direttore non si limita a dare risposte banali. Scrive dei veri e propri mini-saggi alla maniera di quelli che scrivevano i saggisti inglesi del settecento. Sono lettore de “Il Giornale” sin dal primo numero, ma non saprei dire quando ho iniziato a leggere Feltri.
Di libri lui ne ha scritto molti, ne posseggo diversi, ma ne conservo due con un profondo sentimento, sia particolare che personale. Il primo è un “Diario d’Italia (1815–1994, dal Congresso di Vienna alla II Repubblica) due secoli di storia, giorno per giorno”. L’altro, “Cento anni della nostra vita, visti da Vittorio Feltri (1905–2004)”.
Entrambi i volumi sono raccolte di fascicoli pubblicati il primo con il Giornale, il secondo con Libero. A pag. 686 del primo libro, per il 25 giugno del 1974. viene segnalata la nascita del quotidiano con il nome di “Il Giornale Nuovo”. Sono due libri a me particolarmente cari perchè i fascicoli dei due quotidiani furono raccolti e rilegati da mio Padre (classe 1906), che fu stampatore, tipografo, legatore e creatore di libri.
Fu lui ad insegnarmi a leggere e scrivere nella sua piccola tipografia postgutenberghiana, mettendo insieme i caratteri mobili di piombo e di legno sul bancone della composizione. Considerava Vittorio Feltri degno (e superiore) erede del fondatore Montanelli che lui aveva letto su “Il Corriere della Sera” durante il fascismo. A suo parere il direttore Feltri è un saggista perchè fa sempre precedere i fatti alle sue opinioni.
Io che ho qualche anno in più, mi permetto di pensare che “gallina vecchia fa buon brodo”. Ovviamente non ritengo affatto che Feltri sia una “gallina”. Ma se penso come un “Gallo”, classe 1939, non ho difficoltà a pensare che il tempo fa maturare la saggezza. Non mi resta che augurare a Vittorio Feltri e a Il Giornale un altro felice cinquantennio.

May 3, 2024
“Filippo il pazzo” e la storia del castello incantato

Filippo Bentivegna, scultore dell’Art Brut (1888–1967). Genio o pazzo? I suoi sudditi sono teste calcaree che a Sciacca prendono vita tra erba e alberi del giardino. Dignitario di corte è il pittore svedese Lilieström, insignito di questo titolo durante una visita al re Filippo. In un podere alle falde del monte Kronio, si erge il Castello Incantato, un’incredibile fortezza governata dal sovrano, «Sua Eccellenza» Mastru Filippu. Di umile origine contadina, Filippo Bentivegna nasce il 3 maggio 1888 a Sciacca, paesino siciliano che abbandona in giovane età per rincorrere il sogno americano alle porte di Chicago. Qui contribuisce con sudore e sangue alla costruzione della ferrovia Transcontinentale. Tuttavia, nel 1919, un misterioso incidente (una colluttazione con un rivale in amore?) lo riporta violentemente alle radici della terra siciliana. Il trauma cranico e la conseguente amnesia certificano Bentivegna inabile al lavoro. Da quel violento colpo in testa inizia una storia di follia e incanto: trascorre i successivi cinquant’anni di vita a ricercare la testa perduta tra i 3000 volti tutti diversi che incide sulle rocce calcaree del proprio terreno. Plasma una realtà unica e personale: è il suo castello incantato. Quando le pietre scarseggiano, instancabile, crea cave da cui poter estrarre altro materiale duttile a cui restituire un volto. Incide teste anche sulle cortecce di ulivo. Ad alcune associa tonalità accese di rosa e azzurro per dipingerne volti e capelli. Le stanze interne della sua fortezza sono affrescate con ricordi di Chicago, torri e grattacieli arroccati come le abitazioni di Sciacca. È un’unica articolata opera d’arte di una mente istintiva. I suoi atteggiamenti suscitano il dileggio crudele dei compaesani, che lo chiamano «Filippo il Pazzo», «Filippo delle Teste». Ma attirano anche le attenzioni di un esperto d’arte come Jean Dubuffet, che si interessa ad artisti emarginati, i quali esprimono nella loro produzione il proprio disagio psichico. Questi, un anno dopo la morte di Bentivegna, avvenuta a 79 anni, espone alcune delle sue teste al Museo dell’Art Brut di Losanna, dove sono tuttora conservate. ( Almamatto )
Filippo Bentivegna è stato una figura controversa e affascinante della storia dell’arte italiana. Nato a Sciacca in Sicilia nel 1888, la sua vita è stata segnata da eventi drammatici che hanno influenzato profondamente la sua attività artistica. Genio o pazzo?
Bentivegna è stato a lungo considerato un personaggio stravagante e un po’ pazzo dalla popolazione locale. Dopo essere stato aggredito e ferito gravemente alla testa durante un litigio per una donna in America, tornò a Sciacca cambiato nel fisico e nella mente.
Venne infatti dichiarato “improduttivo e inabile al lavoro” e considerato mentalmente instabile. Tuttavia, grazie agli studi condotti negli anni successivi, Bentivegna è oggi riconosciuto da molti come un genio dell’arte, in particolare dell’art brut.
Il Castello Incantato. Bentivegna acquistò un terreno pietroso sulle pendici del Monte Cronio, a pochi chilometri da Sciacca, e vi iniziò a scolpire migliaia di teste e figure fantastiche, creando un vero e proprio “Castello Incantato”.
Questo luogo straordinario, diventato un museo a cielo aperto, è oggi considerato un capolavoro dell’arte naïf e un punto di riferimento per l’art brut a livello mondiale.
Riconoscimento postumo.
Nonostante il disinteresse e il disprezzo iniziale della popolazione locale, l’opera di Bentivegna ha iniziato a essere rivalutata e apprezzata solo dopo la sua morte nel 1967. Nel 1968 un collaboratore di Jean Dubuffet, teorico dell’art brut, visitò il Castello Incantato e portò alcune sue sculture nella collezione di Dubuffet.
Oggi il sito è di proprietà regionale ed è stato dichiarato bene culturale di interesse nazionale. La sua storia ha inoltre ispirato una canzone della band Virginiana Miller.
Filippo Bentivegna può essere considerato un genio incompreso, la cui opera straordinaria è stata a lungo derisa e ignorata prima di essere finalmente riconosciuta come un capolavoro dell’arte naïf e dell’art brut.

May 1, 2024
26 anni dopo: Sarno 5 maggio 1998 “Ombre troppo lunghe del nostro breve corpo”
Passato
I ricordi, queste ombre troppo lunghe del nostro breve corpo, questo strascico di morte che noi lasciamo vivendo, i lugubri e durevoli ricordi,eccoli già apparire: melanconici e muti fantasmi agitati da un vento funebre. E tu non sei più che un ricordo. Sei trapassata nella mia memoria. Ora sì, posso dire che m’appartieni e qualchecosa fra di noi è accaduto irrevocabilmente. Tutto finì, così rapito! Precipitoso e lieve il tempo ci raggiunse. Di fuggevoli istanti ordì una storia ben chiusa e triste. Dovevamo saperlo che l’amore brucia la vita e fa volare il tempo.
Vincenzo Cardarelli
“Dizionario di una catastrofe”: un quarto di secolo è un quarto di vita
[image error]April 26, 2024
La frase del giorno: vedere non è guardare

Questa è la foto di un amico virtuale che non leggo da molto tempo su FB. Lui si definisce “fotografo d’interni”. Questa immagine è un esempio di perfezione naturale . “Non importa cosa guardi, ma cosa riesci a vedere”. Una frase attribuita a Henry David Thoreau, racchiude una profonda verità sulla natura della percezione e della comprensione.
Nella vita quotidiana, tendiamo a concentrarci su ciò che è immediatamente davanti a noi, su ciò che è tangibile e concreto. Ma spesso è ciò che sfugge al nostro sguardo superficiale, ciò che è sottile e inafferrabile, che contiene la vera essenza delle cose.
Per vedere veramente, non basta guardare. Bisogna osservare con attenzione, con mente aperta e curiosa, cercando di cogliere i dettagli, le sfumature, le relazioni nascoste. Bisogna saper interpretare ciò che si vede, andando oltre le apparenze e cercando di cogliere il significato più profondo.
Solo in questo modo possiamo scoprire la vera bellezza del mondo che ci circonda, la complessità delle relazioni umane, la ricchezza del nostro io interiore. Come possiamo mettere in pratica questo concetto nella nostra vita quotidiana? Prendiamoci del tempo per osservare il mondo che ci circonda con attenzione e senza fretta.
Notiamo i dettagli, le sfumature, i colori, i suoni, gli odori. Cerchiamo di andare oltre le apparenze e di capire il significato più profondo di ciò che vediamo. Facciamoci domande, cerchiamo connessioni, ipotizziamo diverse prospettive. Siamo aperti a nuove esperienze e nuove idee. Non lasciamoci condizionare dai nostri pregiudizi o dalle nostre convinzioni limitanti.
Coltiviamo la nostra curiosità e il nostro desiderio di imparare. Il mondo è pieno di cose meravigliose da scoprire, basta avere la voglia di guardarle con occhi nuovi. Imparare a vedere veramente può cambiare la nostra vita. Può renderci più consapevoli, più empatici, più creativi. Può aiutarci a trovare il nostro posto nel mondo e a vivere una vita più piena e significativa.
E voi, cosa riuscite a vedere?
[image error]April 25, 2024
Marco Aurelio e le sue “Meditazioni”

Il 26 aprile dell’anno 121 nacque l’imperatore Marco Aurelio. A distanza di due oltre millenni il suo pensiero vive ancora.
“Incontrerò un ficcanaso, un ingrato, un prepotente, un imbroglione, un invidioso, un egoista. Ebbene, quelli si comportano così perché non sanno cosa siano il bene e il male. Ma io, che ne conosco la natura e so che il bene e il male corrispondono rispettivamente al bello e al brutto sul piano morale, che da lì derivano i nostri errori e che chi sbaglia è un mio parente — non perché provenga dal mio stesso seme e abbia il mio stesso sangue, ma perché compartecipe di una medesima mente o particella divina — non posso ricevere alcun danno da loro, poiché nessuno di essi potrà coinvolgermi in azioni disoneste, così come io non posso adirarmi con un mio parente o provare odio per lui. Tutti, infatti, siamo nati per aiutarci vicendevolmente …”
Sotto una tenda, sulle rive del fiume Granua, un affluente del Danubio, l’Imperatore Marco Aurelio scrive il suo diario dopo essersi levato all’alba. Come si fa a non essere colpiti da pensieri di questo genere a distanza di oltre duemila anni? Inizio a leggere questo libro e non mi rendo conto di come non lo abbia fatto prima.
Tra tanti libri inutili, perduti e dimenticati, questo è senza dubbio uno di quelli che resta nella mente per sempre. Marco Aurelio ci invita a praticare quella filosofia che poi sarebbe diventata famosa sotto il nome di Stoicismo .
Non scriveva contro i suoi simili o contro qualcosa. Al contrario, scriveva a se stesso su come pensare, su come vivere, sulle cose per le quali doveva essere grato durante la giornata. Insomma un vero re e filosofo.
Se andiamo qualche centinaio di anni indietro a lui, troviamo un altro stoico che faceva la stessa cosa. Si chiamava Seneca , drammaturgo, intellettuale, scrittore, un moderno “powerbroker” , mediatore politico ed intellettuale alla corte di Nerone.
Faceva sentire la sua presenza a sera, quando esaminava gli accadimenti della giornata. Era solito passare in rassegna comportamenti idee e azioni, se ci si fosse comportati in maniera corretta su quanto fatto o si dovesse fare per migliorare se stessi e gli altri.
Rivedere il passato per costruire il futuro. Un altro soggetto simile fu Epitteto , uno schiavo che non ebbe una vita simile a quella di Seneca o Marco Aurelio, ma che non mancò mai di invitare i suoi studenti nei suoi famosi “Discorsi” a seguire gli insegnamenti sia di Seneca che di Marco, leggerli ad alta voce, trascriverli e discuterli con gli altri.
Ho scoperto che lo Stoicismo, diversamente da tante altre filosofie, non cerca di dare un senso, un significato all’universo, alla nostra vita. Non cerca soltanto di dare una o più risposte alle tante domande che gli uomini si pongono sin da quando si affacciano alla finestra sul mondo.
Lo Stoicismo, nasce dai Greci, viene perfezionato dai Romani per cercare di dare una pratica di vita possibile in un mondo sempre più confuso e confusionario. Non solo insegnamenti, ma comportamenti, sistemi per eliminare la paura, pensieri negativi, elaborare modi e comportamenti per offrire resistenza a tentazioni, colonne in momenti difficili.
In breve, lo Stoicismo non lo si insegna, nè lo si impara o lo si legge come in un libro. E’ “qualcosa” che può diventare una “idea di vita”. Marco Aurelio diede al libro dei suoi pensieri il titolo di “Meditazioni”, meditava con se stesso mentre scriveva e da se stesso si aspettava la risposta. Alla stessa maniera faceva Seneca nelle sue lettere scritte ad altri, ma in effetti a se stesso.
Così Epitteto che sopravvive nei suoi appunti, consigli diretti al suo allievo Ariano. Ogni giorno, chi decide di capire se stesso attraverso gli altri, scegliendo e decidendo di assumere un comportamento stoico, si porrà delle domande alle quali dovrà dare una risposta.
Dopo tanti anni mi sono accorto che lo Stoicismo è una idea di vita. Ma la vita è fatta da tante idee e noi con esse dobbiamo imparare a vivere. Con migliaia di post che ho scritto in tutti questi anni, ho cercato di dare un senso a quello che penso e faccio, capire quello che fanno gli altri, lasciando una traccia digitale.
Continuerò a farlo ogni giorno rispondendo alle varie domande che il destino mi pone, a volte dando una risposta, altre volte no.

April 22, 2024
“Sono Yorick. Mi ricordo di te, William!”

Il 23 aprile 1564 nasce William Shakespeare. Ah, Shakespeare! Un nome che risuona come un’arpa angelica nelle mie orecchie, un nome che evoca immagini di mondi fantastici e di personaggi indimenticabili. Come Yorick, il buffone di Amleto, ho avuto il privilegio di conoscere da vicino questo genio della letteratura inglese, di assistere alla sua fervida immaginazione e alla sua maestria nel plasmare le parole.
Ricordo ancora il giorno della sua nascita, il 23 aprile 1564, come se fosse ieri. Un giorno di festa e di gioia, in cui una nuova stella si accese nel cielo della letteratura. Shakespeare nacque nella pittoresca cittadina di Stratford-upon-Avon, immersa nella bellezza della campagna inglese. Fin da piccolo, mostrò un talento straordinario per la scrittura e la recitazione, e ben presto si affermò come uno dei più grandi drammaturghi del suo tempo.
Le sue opere, come Amleto, Romeo e Giulietta, Macbeth e Sogno di una notte di mezza estate, sono ancora oggi rappresentate in tutto il mondo, amate e apprezzate da milioni di persone. I suoi personaggi, così complessi e realistici, ci parlano di amore, odio, ambizione, tradimento e di tutte le sfaccettature dell’animo umano.
Shakespeare era un uomo di grande ingegno e umorismo, ma anche di profonda sensibilità. Sapeva cogliere le debolezze e le contraddizioni dell’uomo, e le rappresentava con maestria nelle sue opere. Era un maestro del linguaggio, capace di utilizzare le parole per creare mondi immaginari e per esprimere le emozioni più profonde.
Come Yorick, ho avuto l’onore di recitare alcune delle sue battute immortali, e ogni volta mi sono emozionato come se fosse la prima volta. Le sue parole hanno il potere di trasportarci in altri mondi, di farci vivere avventure straordinarie e di farci riflettere sulla nostra stessa esistenza.
Shakespeare è stato un vero genio, un dono inestimabile per l’umanità. La sua eredità è immensa e le sue opere continueranno a ispirare e ad affascinare le generazioni future. Yorick, il buffone di Amleto.
Amleto, principe di Danimarca, sta rientrando a Elsinore al fianco del fedele Orazio, dopo l’avventurosa liberazione dai pirati che l’avevano catturato e la morte, per mano degli inglesi, dei suoi due sicari e amici Rosencranz e Guildestern.
Si apre così la prima scena dell’atto quinto, l’ultimo, della grandiosa tragedia di William Shakespeare, Amleto; il protagonista si ferma in un cimitero — di lì a poco arriverà il corteo funebre della bella Ofelia — e conversa con un vivace becchino: questo intervallo, apparentemente comico, è in realtà un pretesto dell’autore per offrire al suo pubblico una elegante riflessione sulla caducità delle cose umane e sulla brevità della vita. Un piccolo assaggio di elisabettiano e magistrale horror vacui. Il becchino prende allora da una fossa un teschio: è quello di Yorick, il buffone del re.
Non c’è personaggio forse più bello e riuscito in questo dramma; l’assente più presente dell’intera Opera shakesperiana: l’arguto Yorick. Ma chi è questo Yorick rimasto sotto terra per ventitré anni? Il buffone di corte, naturalmente, quali molti ve ne furono nelle corti del Rinascimento: dedito al divertimento e al buonumore del sovrano e del suo seguito; un simpatico giullare che ha portato il piccolo Amleto a cavalcioni sulle sue spalle.
Ma Yorick è veramente soltanto il giullare di corte? Il buffone del re, come tanti prima e dopo di lui? Non c’è tragicità nella breve descrizione della vita del giullare che l’autore delinea in pochissime righe, egli non è, per intenderci, simile al disperato e condannato Rigoletto; Yorick è, o meglio era, un uomo. Che bella questa definizione. C’è tutta l’anima di un personaggio amato. Soltanto la grandezza della penna di William Shakespeare poteva regalarci un simile ritratto.
Yorick è quindi allora un appiglio per una meditazione sulla vanità del mondo, come le ultime battute di Amleto lascerebbero immaginare? Forse no. Yorick, viene fatto di pensare, è molto di più. Vi è forse nella rievocazione del defunto buffone (ma allora il giullare era molto più di quello che noi oggi saremmo portati a credere) il ricordo di un uomo scomparso soltanto sette anni prima: Christopher Marlowe. Il “gentile Marlowe”, per il quale all’epoca del suo debutto, l’assai meno famoso William Shakespeare nutriva, è noto, un debito stilistico e tematico enorme. Tra i due non correva comunque troppa simpatia e lo sfortunato Marlowe morirà in una taverna nel 1593, a causa di una ferita all’occhio riportata in una rissa con un soldato, in mezzo ad ubriachi e meretrici.
Questa fine ingloriosa non toglie che Marlowe fosse il più noto e capace degli “University wits”; vale a dire di quegli intellettuali usciti dalle università imbevuti di classicismo, coinvolti nella vita libertina della Londra cinquecentesca e accomunati dal gusto della parola e dal culto per l’acutezza dei concetti e per il rigore della forma poetica. I personaggi delle sue tragedie si stagliano isolati dal loro contesto e ci vengono descritti — in un linguaggio talora iperbolico, sempre ricco e pieno di vigore — pervasi da passioni estreme: la brama inquieta di dominio, di infinito, di bellezza, di vendetta.
E’ quindi Christopher Marlowe il nostro Yorick? Forse no. Forse si tratta di un omaggio che Shakespeare volle tributare postumo — si noti la precisione di quei ventitré anni dalla morte — ad un attore, magari un geniale capocomico, che suscitò nel giovane William l’amore per il teatro, per quella. Forse un attore che con lo stesso Shakespeare aveva in passato lavorato e che era stato interprete di alcuni ruoli appositamente esemplati dall’autore su di lui.
Ma c’è di più. Un’ipotesi ultima e affascinante. William Shakespeare ha magari voluto ritrarre in Yorick se stesso, oppure qualcosa di sé stesso. Sappiamo poco della vita privata del grande drammaturgo inglese; tuttavia credo che nessuno potrebbe dubitare che egli fu davvero. Yorick è allora il doppio di Shakespeare? La sua anima più acuta e brillante?
Non lo sapremo mai e in fondo conta poco saperlo. L’importante è che in Yorick ognuno di noi può vedere l’epitome dell’acutezza di ingegno. Dopo tanti omaggi, nei secoli precedenti, a sovrani, potenti della terra, prelati, guerrieri e bellissime dame, Shakespeare ci ha regalato invece — in quelle poche, fulminanti battute pronunciate da Amleto in un cimitero — il bellissimo, affettuoso e ironico epitaffio del vero.
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