Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 28
July 22, 2024
Una generazione va, una generazione viene …

La vita è come un puzzle. Se hai la fortuna di arrivare ad una certa età, con piacere o dispiacere, puoi mettere insieme i pezzi del mosaico e, forse, comprendere molte cose. Con la dipartita di Rosalia Gallo, mia cugina, sono rimasto, in questa città, l’unico rappresentante, per così dire, di una generazione, quella della famiglia di mio Padre. Lui era del 1906. Tutto accadde al “centro” della città di Sarno, tra via De Liguori, Piazza Municipio e Via Fabricatore.
… Una generazione va, una generazione viene ma la terra resta sempre la stessa. Il sole sorge e il sole tramonta, si affretta verso il luogo da dove risorgerà. Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana; gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna. Tutti i fiumi vanno al mare, eppure il mare non è mai pieno: raggiunta la loro mèta, i fiumi riprendono la loro marcia. Tutte le cose sono in travaglio e nessuno potrebbe spiegarne il motivo. Non si sazia l’occhio di guardare né mai l’orecchio è sazio di udire. Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole …
Così scrisse Qoelet oltre duemila anni fa. Ma è veramente così? La morte di una persona cara segna un confine, un passaggio che ci costringe a riflettere non solo sulla vita di chi ci ha lasciato, ma anche sulla nostra esistenza e sul significato della memoria. La generazione che ci ha preceduto è caratterizzata da esperienze, lotte e sogni che ora rischiano di svanire con l’ultimo testimone.
La frase di Qoelet, pur evocativa, sembra trascurare il peso del ricordo e il dolore della perdita. La riflessione si fa personale. Si ha la fortuna, chiamatela anche piacere o privilegio, di mettere insieme i pezzi che compongono l’esistenza di ogni essere umano. L’aspirazione a dare un senso può essere appagata dando così un messaggio a chi resta. Questo cerco di fare con la scrittura, come figlio di una generazione di tipografi. Il mezzo rimane sempre il messaggio.
La mia generazione, alla quale apparteneva Rosalia, è stata segnata da eventi storici e sociali che hanno plasmato le nostre vite. Questa perdita non è solo un lutto personale, ma un simbolo della fragilità della memoria collettiva. La terra può rimanere immutata, le storie e le esperienze di chi l’ha abitata sono destinate a svanire se non vengono raccontate. In questo articolo, desidero esplorare il concetto di generazione scomparsa non solo attraverso la lente della mia esperienza personale, ma anche attraverso le storie di coloro che meritano di essere ricordati. Mettere insieme i pezzi del puzzle e cercare di capire il senso del mosaico della vita.
La memoria è un atto di resistenza, un modo per onorare le vite vissute e per mantenere viva la fiamma della speranza per le generazioni future. Non so davvero da dove cominciare questa resistenza, quanto mai passiva. Come difendermi dall’onda dei ricordi che diventano ombre troppo lunghe di un “corpo” diventato sempre più “breve”. Il “centro” è quanto mai ristretto, i luoghi sono quelli che ho indicato, dove la memoria ritrova se stessa ogni qualvolta mi trovo a passarci.
E’ il centro storico di una Città, in un territorio molto antico, risale a prima della fondazione di Roma. Non ci sono nato, ma è diventata la mia città adottiva. Confesso di non essere mai riuscito ad appartenervi. È difficile far parte di una realtà che non ti senti di condividere. Dei moderni Sarnesi/Sarrasti ci sarebbe molto da dire, ma questo merita un discorso a parte. Per il momento questa considerazione mi serve per contestualizzare il mio pensiero.
Il tempo scorre veloce, condiziona lo spazio e lo trasforma. Quando ero giovane avevo altre aspirazioni, cercavo nuove appartenenze, altre vie di fuga. Guardo la fotografia che correda questo post e si accende la coscienza. L’idea del flusso si applica in modo interessante alla fotografia, poiché le pratiche riguardano la cattura e l’espressione di pensieri e percezioni. La fotografia è spesso vista come un processo che riflette il flusso di coscienza di chi la fa.
In questo caso si tratta di una fotografia fatta da un fotografo verso la fine degli anni venti, del secolo e millennio trascorsi. Un professionista, uno scatto con quelle “scatole” di macchine fotografiche, secondo la tradizione del tempo, distanti anni luce da quelle di oggi con lo smartphone. In posa, nel salotto buono o in studio, cravatta e giacca per l’occasione. Lo “ status symbol” è importante.
Secondo alcuni, la fotografia è un “flusso di coscienza imperfetto”, in cui le immagini catturate non sono solo rappresentazioni visive, ma anche manifestazioni di pensieri e emozioni del momento in cui sono state scattate. Questo approccio suggerisce che ogni fotografia è intrinsecamente legata all’intento e alla soggettività del fotografo. Le fotografie possono essere interpretate in modi diversi, a seconda dell’intenzione di chi fotografa e della percezione dello spettatore. Per non dire nulla poi delle intenzioni di chi questa foto ha commissionato.
Le immagini possono risultare da una collaborazione tra l’apparecchio fotografico e l’abilità del fotografo, creando un dialogo complesso tra tecnologia e creatività. Si distinguono diversi tipi di fotografie, evidenziando come le immagini amatoriali, che spesso non portano nuove informazioni, possano comunque rivelare il flusso di coscienza di chi le scatta. In questo caso, questa foto, ha messo in moto il mio flusso di coscienza a distanza di un secolo. Fotografare può essere visto come un modo per esplorare l’inconscio.
Quando un fotografo osserva un soggetto, dichiara una separazione da esso, creando un’interpretazione che può rivelare aspetti nascosti della propria psiche. Questo processo di distacco e osservazione è simile al flusso di coscienza, dove i pensieri fluiscono liberamente, permettendo una riflessione profonda e personale. La fotografia può essere considerata un’espressione di questo flusso, in cui il fotografo cattura non solo un’immagine, ma anche un momento di introspezione e di pensiero personale.
Tutti sono in posa. In giacca e cravatta. Il Patriarca, nonno Michele, ha stirato per l’occasione i suoi baffi, la Signora, nonna Caterina, (che non ho mai conosciuto) indossa il suo abito da società. Tutti hanno gli occhi fissi sul fotografo. La borsetta in mano alla donna serve per intrattenere l’ultima nata. Porta il nome di Rosalia. Un nome rivelatore. Cinque maschi, una bambina. Il Patriarca, con sua moglie e i suoi figli, mandano un messaggio alla primogenita Anna che aveva deciso di lasciare la famiglia, emigrando verso il “mondo nuovo”. Lì avrebbe creato una nuova e diversa genarazione: la Gallo-Parziale.
Zia Nannina, l’ “americana”, avrebbe concorso a far nascere oltremare una diversa generazione, in un nuovo continente. La guerra non era ancora scoppiata. Lei, ricamatrice provetta, nel dicembre del 1923, si imbarcò a Napoli su una nave diretta in America. Ci impiegò 17 giorni per arrivarci. Con lei sarebbe dovuto partire anche mio Padre. Per motivi che ignoro, lui preferì non prendere quella strada. Nella foto di qualche anno dopo, il giovane Antonio aveva fatto la sua scelta e lanciava un messaggio a sua sorella al di là dell’oceano. La strada che non prese. Da lì a qualche anno, sarebbe cambiato il mondo. Sarebbe scoppiata la seconda guerra mondiale.
Non ricordo molto degli anni del dopoguerra quando nel marzo del 1944 il Vesuvio improvvisamente decise di svegliarsi, nonostante una guerra in corso. Dalle 16.30 del 18 marzo 1944 era iniziata un’eruzione, l’ultima a oggi, con attività eruttive effusive che si manifestarono con violenza fino al 29 marzo. Il giorno d’inizio ci fu la sollevazione di un gigantesco pennacchio di fumi e ceneri in atmosfera, la colonna eruttiva si misurò tra i 16 e i 22 km in altezza e fu visibile da centinaia di Km di distanza.
Il giorno dopo, l’attività s’intensificò anche con magma effusivo tanto che colate laviche, scorie e lapilli in ricaduta investirono anche l’agro Nocerino-Sarnese. Nei giorni seguenti le ceneri mosse dal vento si spinsero verso est e nord-est arrivando a coprire Cava, Vietri e Salerno con cadute di polveri portate anche a centinaia di chilometri di distanza dal cratere. Abitavamo nella stessa strada di Via De Liguori, dopo il bombardamento di Napoli e la fuga da Pozzuoli.
Mio Padre lavorava all’Ansaldo, collaudava cannoni. Eravamo scappati lasciando la casa di fronte alla stazione della Cumana a Pozzuoli, senza mai più farci ritorno. Non ricordo molto della fuga sotto le bombe, attraversando il tunnel di Fuorigrotta, mia madre con la sua affezionata gallina nella borsa. Ci rifugiammo prima a Tramonti, il paese di mia Mamma, per poi stabilirci a Sarno, in via De Liguori, dove abitammo per poco tempo, grazie alla cordialità della famiglia De Colibus. Poi ci trasferimmo in Via Fabricatore 14 dove restammo per molto tempo.
Ma il Vesuvio s’era svegliato, il tetto della casa del nonno in Via De Liguori era ricoperto di ceneri. Bisognava spalare se non si voleva far crollare tutto. Mio padre con i fratelli lo fece e si beccò una potente sciatalgia. Una storia che sarebbe spesso riapparsa nei racconti che lui e mia madre si facevano. I miei ricordi sono molto vaghi, la nebbia del tempo offusca ogni cosa. Il flusso della memoria si autoalimenta e inventa se stesso.
La guerra era finita, ma stava per iniziare una guerra diversa, che aveva al centro il “messaggio” che avrebbe portato al cambiamento generazionale. Nonno Michele, il Patriarca, aveva ripreso la sua attività di stampatore, i figli erano tutti pronti a raccogliere il “messaggio”. Il “mezzo” era pronto, bastava poco. Dei cinque fratelli, Mario decise di non condividere quel “messaggio”. Studiò e divenne un maestro. Gli altri quattro continuarono quella che allora veniva chiamata “Arte Tipografica”. Ma il “medium” stava per cambiare non solo la “pelle” ma anche i contenuti e i comportamenti.
La trasformazione dall’arte tipografica tradizionale all’arte digitale rappresenta un cambiamento significativo nel modo in cui il messaggio viene comunicato. L’arte tipografica, una disciplina storicamente radicata nella stampa manuale, stava per subire un’evoluzione radicale con l’avvento della tecnologia digitale. La tipografia, etimologicamente derivante dal greco, combina i concetti di “impronta” e “scrivere”. Non a caso, io imparai a leggere e scrivere in quell’ambiente.
L’Arte Tipografica con Gutenberg ha rivoluzionato la comunicazione umana, permettendo la diffusione e la conservazione della conoscenza attraverso secoli di innovazioni. Ma in una manciata di pochi anni tutto cambiò in maniera velocissima. Con l’introduzione della stampa digitale, i processi tipografici sono diventati più accessibili e versatili. Strumenti di desktop publishing e software di design grafico hanno democratizzato la creazione di contenuti, consentendo anche a chi non è specialista di partecipare attivamente alla progettazione tipografica.
Ma, oltre al fattore tecnologico, quello che fece scomparire il brand sarnese denominato “Arti Grafiche M. Gallo & Figli” e che diede alla Città una degna “Storia di Sarno” in tre volumi, per merito di un suo illustre cittadino il Prof. Don Silvio Ruocco, fu anche il fattore umano. Dei tre fratelli che avevano deciso di continuare l’attività tipografica, solo Antonio, mio Padre, rimase in sede. Francesco e Felice, avvertirono l’arrivo dei grandi cambiamenti e si trasferirono a Napoli diventando operatori editoriali in proprio.
Conflitti familiari di altra natura determinarono la definitiva scomparsa di quella nobile Arte Grafica che mi aveva visto correggere e portare le bozze del libro a casa di quella burbera ed imponente figura umana ed intellettuale che fu don Silvio Ruocco. Per questa ragione non mi stanco mai di ripetere con Marshal McLuhan: “il mezzo è il messaggio”. Il filosofo canadese Marshall McLuhan lanciò la sua esperienza proprio in quegli anni ’60 e rappresenta un concetto fondamentale nella teoria della comunicazione.
Secondo McLuhan, il mezzo di comunicazione utilizzato per trasmettere un messaggio è altrettanto importante, se non più del messaggio stesso. McLuhan sosteneva che ogni mezzo di comunicazione, come la stampa, la radio, la televisione o Internet, (che era ancora da venire), non è semplicemente un canale neutro per trasmettere informazioni, ma ha un impatto significativo sulla società e sulla cultura.
Ogni mezzo ha caratteristiche uniche che influenzano il modo in cui il messaggio viene percepito e interpretato. Un messaggio trasmesso attraverso la radio avrà un impatto diverso rispetto allo stesso messaggio trasmesso attraverso un video su YouTube. Questo perché la radio si basa solo sull’audio, mentre YouTube utilizza immagini e suoni, offrendo un’esperienza più immersiva. I mezzi di comunicazione non sono mai neutrali. Ogni mezzo ha una propria “grammatica” e influenza il modo in cui le persone pensano e interagiscono.
Il contenuto è meno importante del mezzo. Sebbene il contenuto sia importante, il mezzo utilizzato per trasmettere il messaggio ha un impatto maggiore sulla società. I mezzi di comunicazione plasmano la cultura. I nuovi mezzi di comunicazione introducono nuovi modi di pensare e di interagire, influenzando la cultura e la società. Ogni mezzo ha vantaggi e svantaggi, ha punti di forza e di debolezza, che devono essere considerati quando si sceglie il canale più adatto per comunicare.
Nell’era digitale, il concetto di “il mezzo è il messaggio” è ancora più rilevante. Internet e i social media hanno rivoluzionato il modo in cui le persone comunicano e accedono alle informazioni. Questi nuovi mezzi di comunicazione hanno un impatto profondo sulla società, influenzando la politica, l’economia e la cultura. L’espressione sottolinea l’importanza del canale di comunicazione utilizzato per trasmettere un messaggio. La foto di questa generazione lo dimostra. Qoelet lo sapeva, McLuhan lo confermò.
July 20, 2024
Viaggio in USA con 51 libri

Gli amanti dei libri sanno che una delle gioie più grandi della lettura è la possibilità di arrivare ovunque, in qualsiasi momento, attraverso la magia della parola scritta. Per quest’estate, offriamo un viaggio letterario attraverso gli Stati Uniti con questo elenco di 51 libri per rappresentare tutti gli stati dell’Unione, più D.C.
L’azione in ogni libro è ambientata nello stato affiliato, quindi puoi leggere a tuo piacimento l’America, dall’Alabama allo Wyoming. Questo se vuoi viaggiare in ordine alfabetico, cosa che non consigliamo. È divertente, ma non molto efficiente nei consumi.
La nostra collezione curata copre una vasta gamma di generi: narrativa letteraria “seria”, ma anche thriller eccezionali, romanzi a fumetti, fantascienza, mistero, romanticismo, narrativa storica e persino un tocco di horror. E abbiamo notato diversi titoli che hanno vinto o sono stati nominati ai Goodreads Choice Awards.
Tutti questi libri sono relativamente recenti e alcuni sono sui nuovi scaffali di narrativa proprio adesso. Sebbene molti stati abbiano libri più antichi che sono più facilmente identificabili con essi individualmente, questo elenco rappresenta una sorta di indagine del 21° secolo sulla lettura americana.
Scorri le copertine qui sotto per saperne di più su ciascun libro e aggiungi eventuali destinazioni interessanti al tuo scaffale. Buona lettura, America (e tutti gli altri)!

July 17, 2024
Una futurologia intelligente per una utopia profonda

Non so se questa frase “Non rovinare mai il tuo presente per un passato che non ha futuro” sia davvero una citazione di William Shakespeare. Tuttavia, il messaggio che trasmette è a mio parere rilevante. Ecco cosa forse intende dire: non lasciare che i rimpianti e le delusioni del passato ci impediscano di vivere appieno il presente. Il passato non può essere cambiato, ma possiamo scegliere come reagire ad esso. Accettiamo ciò che è stato, impariamo dagli errori commessi per crescere, ma non lasciamoci paralizzare dalla colpa o dal rimpianto. Concentriamoci sulle azioni che possiamo intraprendere oggi per costruire il futuro che desideriamo. Viviamo nel momento presente, godendoci ciò che abbiamo ora. Non sprechiamo energie a preoccuparci di ciò che non possiamo controllare. Stabiliamo obiettivi realizzabili e facciamo piccoli passi ogni giorno per raggiungerli. Mantieniamo una mentalità positiva e aperta ai cambiamenti. Il futuro può riservarci sorprese inaspettate. Lo costruiamo noi giorno per giorno. Allontaniamo le persone e le situazioni che ci riportano costantemente al passato e circondiamoci di chi ci incoraggia a guardare avanti.
Con tutti i libri con i quali ho avuto a che fare, letti o non letti, studiati o solo sfogliati, capiti o ignorati, cartacei o digitali, dovrei avere almeno un’idea più chiara sul tipo di mondo dove il destino ha deciso di farmi nascere. Il passare degli anni, la maturazione del tempo avrebbe dovuto darmi la possibilità di fermare il fatidico attimo che porta a capire e rispondere alle canoniche domande di sempre.
Chi sono, cosa ci faccio qui, quando tutto ebbe inizio, dove sono diretto, perché mi faccio tutte queste domande. Canonici interrogativi ai quali tutta la storia dell’umanità cerca di dare risposta. Libri su libri, scrittori su scrittori, biblioteche su biblioteche, cartacee o digitali, nessuno sinora è riuscito a dare ragionevoli risposte. Le storie iniziano e finiscono, i cicli si aprono e si chiudono, il passato rivive nel presente, il presente diventa passato senza conoscere il futuro. Tutti lo cercano, lo immaginano, lo costruiscono con le loro illusioni che restano irrealizzate. Non si contano i libri che parlano di futurologia, niente altro che nebbia.
Manifesti, promesse, piani, impegni, progetti. Siamo tutti ansiosi di avere visioni del futuro, sapere cosa succederà dopo, cosa dobbiamo aspettarci, siamo disperati di saperlo. Ho letto futurologi e previsioni del futuro per tutta la vita, ma ovviamente non sono mai stato in grado di prevedere alcunchè. Ogni generazione immagina il futuro scrivendo e leggendo. Libri che prevedevano il futuro sono poi diventati passato.
Mio Padre, che era un tipografo e i libri li faceva nascere, ne aveva diversi sul futuro. Su di essi ho proiettato le mie intenzioni. I suoi scaffali furono la mia piccola giovanile guida. Me li ricordo. Oggi quei titoli di vecchia futurologia hanno il profumo di un antiquario. Quello che allora era futuro, oggi ha il fascino del passato. Molti dei miei libri oggi sia cartacei che digitali, sono soltanto testimoni di un futuro che non è mai arrivato.
Archeologia, utopia, illusioni e visioni lontane dalla realtà di un presente che corre sempre più veloce. Quindi, perché preoccuparsi? Avrei potuto anche studiare le foglie di tè, come faceva qualcuno per leggere il futuro, oppure studiare gli oroscopi o le interiora di pollo, come facevano gli antichi aruspici etruschi. Comunque, i libri sul futuro, la futurologia, continuano a imperversare.
Sul giornale ho letto che la biblioteca di Benedetto Croce è finalmente tutta digitalizzata, una vera e propria ulteriore opera vivente del grande filosofo napoletano fatta di oltre 80 mila volumi, di cui un terzo in lingua straniera. Croce amava il libro nella sua materialità, come del resto ho imparato a fare io stesso. Croce scrive in uno dei suoi ricordi che il suo amore per i libri nacque verso i sei anni quando:
“ … non gustavo maggior piacere che l’entrare, accompagnato da mia madre, in una bottega di libraio, guardare rapito i volumi schierati nelle scansie, seguire trepidante quelli che il libraio porgeva sul banco per la scelta e recare a casa i nuovi preziosi acquisti dei quali perfino l’odore di carta stampata mi dava una dolce voluttà”.
Così iniziò la storia della biblioteca del grande filosofo napoletano italiano europeo. Posso dire, nel mio piccolo, insignificante percorso culturale, di avere condiviso con lui queste esperienze in quelle stanze della piccola tipografia paterna. Tutto cominciò, per quanto mi riguarda, proiettandomi verso il futuro, con i libri di H. G. Wells che il mio Genitore aveva sui suoi scaffali. “La scoperta del futuro” (1902) o “Il futuro in America” (1906), o addirittura “Il futuro degli ebrei” (1938), “Nuovi mondi per vecchi” (1908) o “Il nuovo ordine mondiale (1940).
Wells era uno scrittore convinto che i libri dovessero fare esattamente ciò che dicono sulla copertina. “Vendette il suo talento per un messaggio”, per usare la battuta arguta di G.K. Chesterton. Non si trattava di saggistica, Wells chiamava i suoi libri “romanzi scientifici”. “La guerra dei mondi”, “La macchina del tempo”, “L’isola del dottor Moreau”, “L’uomo invisibile”.
Dopo Wells, fu il il turno di Aldous Huxley e, oggi di tutta la solita fantascienza, seguita da una svolta verso i futurologi veri e propri: Alvin Toffler, Buckminster Fuller, Nicholas Negroponte, Ray Kurzweil, e la lista continua. La collezione di libri poco o molto utili sul futuro è diventata davvero numerosa con l’arrivo del digitale e della Intelligenza Artificiale. Continuano ad accumularsi, i libri si sforzano di vedere cosa c’è più avanti e di consigliare vari percorsi e alternative: Homo Deus: A brief history of tomorrow (2016) di Yuval Noah Harari; Another Now (2021) di Yanis Varoufakis. Il più fresco è Futures. Deep Utopia: Life and meaning in a solved world di Nicholas Bostrom .
Non sono né un tecnologo né un futurista, ma come appassionato dilettante e lettore medio di tutti i giorni, posso dire solo questo leggendo l’anticipazione del suo libro: “Un uomo può controllare solo ciò che comprende e comprendere solo ciò che è in grado di mettere in parole. L’inesprimibile è quindi inconoscibile. Esaminando le fasi future dell’evoluzione del linguaggio, arriviamo a scoprire quali scoperte, cambiamenti e rivoluzioni sociali il linguaggio sarà capace, un giorno, di riflettere”.
Un libro imperdibile dove l’Autore “cerca d’indagare quale sarà la ragione d’essere dell’umano in un mondo dominato dell’AI senza più problemi di carattere pratico”.
[image error]July 13, 2024
756 pagine di “Io uccido”

Il libro “Io uccido” di Giorgio Faletti è un thriller molto apprezzato dalla critica e dai lettori. Lo comprai quando venne pubblicato nel 2002 sull’onda del successo che stava avendo, ma non lo lessi. Me lo sono ritrovato tra le mani come lettore del Corriere in offerta speciale per le Edizioni di La Nave di Teseo, a dieci anni dalla scomparsa dell’autore. Questa edizione consta di ben 756 pagine e contiene anche una postfazione di Jeffery Deaver, il maestro del thriller internazionale.
Confesso di non aver mai letto un libro di tante pagine in così poco tempo, due settimane. Non amo molto i romanzi. La ragione è semplice: basta leggere le cronache dei giornali per capire che la vita è tutto un romanzo in continua scrittura. Preferisco i saggi perchè, anche se spesso non hanno nulla di saggezza, aiutano a vivere il romanzo della vita. A pensarci bene, la vita è come un romanzo in continua scrittura. Basta leggere le cronache dei giornali per rendersi conto di quanto la realtà superi sempre la fantasia più sfrenata. Perché cercare rifugio nella finzione letteraria quando possiamo attingere a piene mani dalla ricchezza, per modo di dire, e dalla complessità del reale?
Mani insanguinate, putroppo, come quelle dita che hanno disegnato il titolo della nuova edizione del thriller. Così pensavo e mi sbagliavo. Dopo di aver letto in esergo i versi di Garcia Lorca sulla “morte che va per strada” e dopo aver affrontata la lettura del “primo carnevale”, non sono più riuscito a chiudere il libro fino all’ultimo “carnevale” nel quale si rivela la conclusione del libro. I capitoli intitolati “Carnevale” all’interno del romanzo “Io Uccido” di Giorgio Faletti rivestono un’importanza cruciale per la comprensione della storia e dello sviluppo della trama. Questi capitoli segnano dei punti di svolta nella vicenda, introducendo nuovi elementi che complicano le indagini del protagonista. Sono momenti cruciali per l’avanzamento della trama e la risoluzione del mistero.
Con atmosfera e simbolismo i capitoli “Carnevale” evocano un’atmosfera di mistero, trasgressione e follia, perfettamente in linea con la psicologia disturbata del serial killer protagonista. Il Carnevale rappresenta un momento di rottura della routine e sospensione delle regole sociali, che il killer sfrutta per compiere i suoi delitti efferati. Il killer approfitta del clima di festa e si maschera per compiere i suoi crimini, quasi come se si nascondesse dietro un’identità alternativa. Questo contribuisce a creare una dimensione quasi rituale attorno ai suoi omicidi. Rappresenta anche un momento di catarsi e rivelazione finale.

Per quanto affascinanti e coinvolgenti possano essere, i romanzi rimangono pur sempre opere di fantasia, distaccate dalla nostra esperienza quotidiana. Questo pensavo, quando all’edicola mi sono trovato tre le mani, per pochi euro, queste 756 pagine di un libro che possedevo, ma non avevo letto. Mi spingevano a capire gli innumerevoli “ammazzamenti” che leggo nelle cronache quotidiane e quel titolo, quel grido, che suonava quasi come un macabro invito alla lettura e condividere questi orrori.
Sono cascato nel tranello narrativo e non sono riuscito ad uscirne, se non quando ho finito di leggere “l’ultimo carnevale”. Sì, la vita è un romanzo in continua scrittura. E noi, scrittori, lettori e protagonisti di questa grande opera, abbiamo il privilegio e la responsabilità di interpretarne il testo, di coglierne i significati nascosti, di dare forma e senso alla nostra storia personale.
Il libro di Faletti non mi ha interessato tanto per la vicenda che narra, la caccia ad un assassino seriale. In fin dei conti non tanto misterioso e forse nemmeno tanto imprevedibile, quanto per la forma nella quale lo scrittore ha saputo magistralmente descrivere gli eventi, le situazioni, le emozioni. Una scrittura molto densa di considerazioni, valutazioni, sentimenti che spesso risuonano come aforismi, proverbi, detti, sentenze.
A Faletti sembra che interessino di più i suoi personaggi veri o falsi, maschere nude o travestite, piuttosto che le situazioni e le conclusioni che narra. I temi che tocca ci sono tutti. La stampa, i giornali e i giornalisti, i media e gli ipermedia, la musica, i vari tipi di musica, la psicologia individuale e sociale, la tecnologia, i motori, il turismo, le scommesse, la nautica, le armi, le automobili. Tutto bolle nel calderone di Montecarlo. Io ci sono stato nel Principato, anche se solo di passaggio. Leggendo il libro, mi ci sono come ritrovato.
Le recensioni che ho letto evidenziano i diversi aspetti del romanzo. La trama è intrigante e ben costruita, con colpi di scena che tengono il lettore incollato alle pagine. Lo stile di scrittura è fluido e coinvolgente, con una particolare attenzione ai dettagli descrittivi. I dialoghi tra il killer e il DJ radiofonico che annuncia i suoi delitti sono considerati la parte più interessante e originale del libro.
Nonostante il tema cupo, il romanzo thiriller riesce a trasmettere emozioni a intrattenere il lettore ed anche ingannarlo. Forse in alcuni punti la narrazione risulta un po’ dispersiva, ma nel complesso “Io uccido” è un ottimo thriller, capace di catturare l’attenzione del lettore. Il successo commerciale del libro, con milioni di copie vendute, ne conferma la popolarità. Il ruolo del killer è descritto come centrale e molto ben caratterizzato. Il soggetto è presentato come un individuo estremamente organizzato e freddo, ma allo stesso tempo tormentato da una doppia personalità e da una patologia che lo spinge a uccidere senza alcun motivo apparente.
I capitoli “carnevale”, dal suo punto di vista di cui ho già detto, rivelano gradualmente dettagli sulla sua ossessione per le mutilazioni dei cadaveri e sulla sua passione per la musica, in particolare per le canzoni di Santana. Il killer comunica in modo enigmatico con un programma radiofonico, annunciando i suoi delitti e lasciando indizi per gli investigatori, creando così un gioco del gatto e del topo con il commissario Hulot e l’agente dell’FBI Ottobre. La doppia personalità, divisa tra l’identità di “Vibo” e quella misteriosa di “Paso”, aggiunge complessità alla sua caratterizzazione psicologica. Il killer è descritto come un personaggio centrale e molto ben delineato, che guida gran parte della trama attraverso i suoi delitti efferati e il suo gioco di comunicazione con gli investigatori.
Il contesto influenza la narrazione in diversi modi. Contrasto tra lusso e violenza. Il Principato di Monaco, noto per il suo lusso e la sua sicurezza, crea un contrasto interessante con gli omicidi cruenti che avvengono all’interno della città. Questo contrasto aumenta la tensione e la sorpresa del lettore. Faletti scrive con precisione, coinvolgendo il lettore con dettagli sulla vita mondana e il lusso della città. Queste descrizioni aggiungono profondità alla narrazione e aiutano a creare un ambiente immersivo. Il lettore è costantemente incuriosito dal modo in cui il killer può essere così organizzato e freddo in un luogo noto per la sua sicurezza.
Questo è un libro che ti prende in contropiede a cominciare dai luoghi. Quando mai si è visto un serial killer a Monte Carlo? Strideva quell’immagine patinata e glamour del Principato, graffiata da delitti orrendi che spaventava solo a raccontarli. Un assassino che poteva essere chiunque di loro. E anche di noi. O forse proprio tu. Nella partita infinita tra il Bene e il Male ti accorgi che puoi benissimo cambiare squadra. E questo ti inquieta.
Giorgio Faletti è un palombaro dell’anima. Va in profondità per sapere cosa c’è sotto. Con la paura dell’ignoto, ma anche una curiosità che non può restare a pelo d’acqua. I protagonisti ti sembrano tutti innocenti. E tutti indiziati. C’entrano la cattiveria, il caso, il passato. Un miscuglio di sentimenti che sbagli la dose e tutto deflagra. C’è un pilota di Formula Uno che cerca risposte su panfili extralusso accanto a una campionessa di scacchi che potrebbe sfilare per una maison del lusso. E il pensiero corre ad Ayrton Senna e Carol Alt. Belli e impossibili. Tormentati e felici. Sono loro le prime vittime del killer. Senza una ragione apparente e con una ferocia che scuote l’anima.
Il perché irrompe prima del chi è stato. La caccia al movente si muove sui terreni paludosi della psicopatologia. O forse chi uccide sta solo tentando di chiedere aiuto nel modo sbagliato. Si mostra come dietro uno specchio deformato. Firma i suoi delitti con l’inchiostro del sangue. Anticipa le sue mosse chiamando al telefono il dee-jay di Radio Monte Carlo. Sembra sapere tutto in anticipo, si crogiola nel suo delirio. Eppure soffre. Magari prova persino dolore per chi ha deciso di portare nei campi di un’altra vita.
La polizia che gli dà la caccia non è abituata a una violenza così efferata. Nel Principato c’è un poliziotto ogni sessanta abitanti. Peggio di uno Stato totalitario se non fosse, invece, il Bengodi delle libertà. Basta avere un conto in banca mai sotto i sei zero. Il commissario Nicolas Hulot si immaginava qualcosa di diverso come antipasto a una pensione da raggiungere senza percorsi sdrucciolevoli. Lui è un uomo riflessivo che il Male se lo dipinge come una variante impazzita. Qualcosa che c’è sempre stata ma che ha le sue regole. E colpire in questo modo è scorretto. Ti manda in frantumi un’esistenza di certezze e di dubbi, prima o poi, risolti. Un brutto finale di carriera che davvero non ti meritavi.
E allora per farsi aiutare ha bisogno di qualcuno che stia agli antipodi dei suoi neuroni razionali. Pigri, talvolta, ma pensanti. Uno che con la vita non ci vuole più fare i conti. Un uomo come Frank Ottobre che per decifrarlo altro che Intelligenza artificiale. Del resto, se è così, ha le sue buoni (e drammatiche) ragioni. Una moglie che ha deciso che il tempo passato sulla Terra era scaduto e tanto valeva lasciarsi andare da una scogliera giù fino all’oceano senza nessuna idea di risalire. Si chiamava Harriet e sarebbe bastata una parola in più. Uno sguardo di quelli che ti viene voglia di ricambiare. Tutte cose che ci pensi sempre dopo. Il vestito dell’anima di Frank comincia a sbagliare le misure. E lui non dà mai colpa al sarto, ma solo alla stoffa. Per questo non riesce a venirne fuori.
A proposito, Frank Ottobre a Monte Carlo è solo un ospite. Lui viene dall’altra parte dell’oceano. Stati Uniti. Il poliziotto vero, per giunta del’Fbi, è solo lui. E non è detto che sia un bene. L’assassino dimostra di sapersi muovere tra le note. La musica lo appassiona. Un altro pregiudizio sbriciolato come una torta cotta troppo e troppo a lungo. Per questo sceglie come confidente delle sue imprese delittuose una radio. E il miglior dj in circolazione come orecchio. Jean-Loup Verdier, a suo modo una leggenda.
Un talento naturale per le parole. Radio Monte Carlo un mondo dove vedevi senza usare gli occhi. L’angolo creativo di quel luogo. Il Principato vero, dietro la cartolina e adesso i selfie. Una redazione che raggiungevi sulle strade dei bolidi, la curva della Rascasse, il tunnel che non finiva mai. E capivi che la vita si può affrontare alla velocità che vuoi, tanto il percorso è sempre lo stesso. Quello di Pierrot, un ragazzo con problemi cognitivi. Che Jean-Loup si prende a cuore e non è solo per compassione. Che la bontà esiste davvero e ti fa fare cose che non chiedi niente in cambio e ti senti più ricco. Pierrot e l’aria smarrita ma che si illumina quando è il momento di trovare una canzone. Lui che le sa tutte e anche l’archivio non è quell’antro incomprensibile dove si mette tutto e non si trova niente.
Giorgio Faletti rivive in ognuno dei suoi personaggi. Sono le sue promesse e le sue scommesse. La malinconia che viene su dal porto e copre come una nebbia una città che deve sempre sorridere. Giorgio che ci conosce e si conosce.[image error]
July 3, 2024
Independence Day 2024. Che cos’è l’America oggi?

Cosa è l’America?: Una breve storia del Nuovo Ordine Mondiale è un libro scritto da Ronald Wright che offre un esame critico della storia e dello stato attuale degli Stati Uniti. Il libro fornisce una panoramica breve ma completa di come l’America sia evoluta in una superpotenza globale e delle implicazioni della sua posizione dominante nel mondo.
Si tratta di una lettura sorprendente, spaventosa ed essenziale che proviene dall’acclamato e bestseller autore di “Una breve storia del progresso”. Il libro mira a fare luce sul “Nuovo Ordine Mondiale” emerso con l’ascesa al potere dell’America e l’impatto che ha avuto sul resto del mondo.
Il libro ha ricevuto recensioni positive, con un punteggio di 4,6 su 5 stelle su Amazon.it e feedback positivi su altre piattaforme come Goodreads e AbeBooks. I lettori sembrano apprezzare l’analisi perspicace e stimolante dell’autore sul ruolo dell’America nel plasmare il panorama globale moderno.
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Ecco un estratto del testo della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti del 4 luglio 1776:
“Quando, nel corso degli umani eventi, diviene necessario per un popolo spezzare i legami politici che lo hanno unito ad un altro, ed assumere, fra le potenze della terra, la posizione distinta e paritaria a cui le leggi della Natura e di Dio gli danno diritto, il giusto rispetto dovuto alle opinioni dell’umanità esige che esso dichiari le ragioni che lo costringono a separarsi.
Consideriamo verità evidenti per sé stesse che tutti gli uomini sono creati uguali; che sono stati dotati dal loro Creatore di taluni diritti inalienabili; che, fra questi diritti, vi sono la vita, la libertà e il perseguimento del benessere. Che per garantire questi diritti, vengono istituiti fra gli uomini dei governi che derivano dal consenso dei governati il loro giusto potere. Che ogni qualvolta una forma di governo diviene antagonistica al conseguimento di questi scopi, il popolo ha diritto di modificarla e abolirla, e di creare un governo nuovo, ponendo a base di esso quei principi, e regolando i poteri di esso in quelle forme che offrono la maggiore probabilità di condurre alla sicurezza ed alla felicità del popolo medesimo.”
Questa dichiarazione solenne afferma i principi fondamentali di libertà, uguaglianza e diritto all’autodeterminazione che hanno ispirato la rivoluzione americana e la fondazione degli Stati Uniti come nazione indipendente.
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L’America oggi svolge ancora un ruolo chiave nello scenario geopolitico globale, nonostante alcune sfide e incertezze:
Gli Stati Uniti mantengono sfere di potenza in cui confermano una netta superiorità di risorse sia per qualità che per quantità, anche se la crescita di nuove potenze regionali e l’andamento negativo dell’economia americana negli ultimi anni hanno alimentato dibattiti sul suo possibile declino.
Il “pivot verso il Pacifico” rappresenta la strategia americana per rafforzare il proprio ruolo e peso nella regione dell’Asia-Pacifico, attraverso maggiori investimenti diplomatici, economici e militari.
Nella guerra in Ucraina, gli USA sembrano avere una prospettiva più ampia rispetto all’Europa, essendo consapevoli che la vera minaccia strategica a lungo termine non è la Russia, ma la Cina. Per questo motivo, stanno cercando di evitare che il conflitto diventi una “diversione strategica” che li obblighi a sprecare risorse in una battaglia non prioritaria.
Tuttavia, la mancanza di un consenso bipartisan interno indebolisce l’America nel mondo, in una fase in cui difendere il suo ruolo globale sarebbe cruciale. Alcuni esperti ritengono che la strategia del primato mondiale degli USA sia fallita, obbligandoli a ridurre la loro proiezione geopolitica globale a causa di sovraestensione e malcontento popolare.
Nonostante rimanga la superpotenza dominante, l’America sta affrontando sfide interne ed esterne che ne mettono in discussione il ruolo di guida globale, spingendola a rivedere le sue priorità strategiche, come dimostrato dal suo approccio alla guerra in Ucraina.
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Ecco la situazione negli Stati Uniti nel giorno della ricorrenza dell’Independence Day 2024:
Il presidente Joe Biden starebbe valutando se continuare o meno la sua corsa per la rielezione. Ciò arriva in un contesto di incertezza politica, con un sondaggio che mostra che circa un terzo dei democratici ritiene che Biden dovrebbe ritirarsi.
Nonostante le incertezze politiche, i mercati azionari statunitensi hanno chiuso la giornata con variazioni minime, con il Nasdaq che ha raggiunto un nuovo massimo storico. Questo suggerisce una certa stabilità economica nel Paese.
Inoltre, la Coppa America di calcio è in corso, con la Colombia che ha pareggiato 1–1 contro il Brasile nell’ultima giornata della fase a gironi. Ciò dimostra che gli americani, oltre alle questioni politiche ed economiche, continuano a seguire e partecipare agli eventi sportivi internazionali.
Il giorno dell’Independence Day 2024 vede gli Stati Uniti affrontare incertezze politiche, ma con una relativa stabilità economica e un interesse persistente per lo sport a livello internazionale.
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