Giovanni De Matteo's Blog: Holonomikon, page 58
March 4, 2011
Formiche morte viventi nella foresta pluviale
Queste eccezionali foto di David Hughes documentano la scoperta di quattro nuove specie di funghi, capaci di infettare formiche e altri piccoli insetti (vespe, mosche, grilli) assumendo il controllo sulle loro facoltà neurali fino a trasformarli in veri e propri zombie, prima di indurne la morte. I funghi killer (tra cui l'Ophiocordyceps camponoti-balzani) sono stati scoperti nella foresta atlantica del Brasile e secondo Hughes rappresentano solo la punta dell'iceberg di un'enorme varietà di specie ancora da scoprire. (Via National Geographic)
March 3, 2011
Next Station is back
C'è voluto un po', ma crediamo ne sia valsa la pena. Cliccate su questo immaginifico scorcio di Bologna futura, immersa in un ipotetico scenario da augmented reality (ritratta dal solito Marco Moschini), per proiettarvi verso il secondo numero del nuovo corso di Next Station. E buone connessioni!
February 26, 2011
L'inverno dei lupi
Il libro non c'è (non ancora, almeno fisicamente), ma Marco Moschini ha avuto comunque la bontà di dedicargli un set fotografico. Su una spiaggia sospesa tra un inverno e quello successivo.
February 20, 2011
Un gelido inverno
Duro come un pugno, ma bello come una speranza da accarezzare. Uscire dalla sala vedendo mantenute le promesse implicite nel trailer e nelle recensioni che ne hanno accompagnato l'uscita, assicura quell'appagamento che esplode di fronte alla giustizia messa in opera. Come la profonda provincia rurale del Missouri che porta in scena, Un gelido inverno si rivela spietato e ammaliante, straordinario nel dipingere la realtà di degrado e violenza che caratterizza questa ennesima zona marginale del nostro immaginario. Ogni inquadratura, ogni volto, ogni gesto, ogni scorcio di natura immortalati in questo film mi hanno richiamato alla memoria il senso dolente della vita, misto di solitudine e abbandono, ma anche di connaturato istinto di resistenza, che attraversano le pagine di Breece D'J Pancake.
Dal testo di Daniel Woodrell un'opera struggente, già premiata al Sundance e capace di ritagliarsi una meritata visibilità in diversi altri festival in giro per il mondo (Torino, Stoccolma, Berlino). Un successo, quello della pellicola indie di Debra Granik, culminato con le quattro nomination agli Oscar 2011, tutte strappate in categorie che ne valorizzano gli indiscutibili punti di forza: oltre a miglior film, miglior attrice protagonista per la ventenne Jennifer Lawrence (che nel ruolo di Ree Dolly, maltrattata dalla vita e dai suoi compaesani, illumina ogni scena con la sua determinazione e forza di volontà), miglior attore non protagonista per il luciferino John Hawkes (uno di quelli che una volta si chiamavano "caratteristi", in grado di donare vita e spessore al personaggio di Teardrop, che riscopre i legami di sangue grazie alla tenacia di sua nipote Ree), miglior sceneggiatura non originale all'adattamento di Granik e Anne Rossellini tratto dal romanzo omonimo di Woodrell. E qui aggiungiamo che una nota di merito va anche al lavoro di Michael McDonough sulla fotografia, abilissimo nel rendere il rigore dell'inverno negli esterni, come pure il raccolto calore domestico, e di trasfigurare nella luce che irradia i volti le mille sfumature dell'animo umano.
Un gelido inverno narra due settimane nella vita della diciassettenne Ree Dolly, costretta a occuparsi della sua famiglia dopo la separazione dei genitori e il crollo psicologico della madre. Quando riceve l'annuncio dell'imminente sequestro giudiziario delle proprietà su cui si regge il sostentamento della casa (una fattoria e qualche acro di bosco), Ree si mette sulle tracce del padre, l'unico a poter scongiurare il peggio presentandosi all'udienza per la quale gli averi a lui intestati sono stati usati come termini della cauzione. Ostinata e indomita, Ree inizia la sua odissea privata negli Ozarks, poverissima regione montuosa nel cuore degli USA, e affronta la resistenza opposta alla sua ricerca della verità dalle logiche tribali dei legami di sangue che dettano legge in questa terra di nessuno. La sua storia, ripresa con piglio naturalistico, senza concessioni a facili derive psicologiche (è un film montato senza un solo flashback), rispetta tutti i canoni della narrazione nera e ne spinge agli estremi alcuni aspetti, al punto da sconfinare a più riprese in atmosfere e sensazioni da gotico rurale. E se nessuna redenzione sembra profilarsi per quelli come lei, la forza di volontà espressa nell'impresa di Ree risulta, alla fine dei conti, più efficace della speranza inseguita dai protagonisti de La strada (2009), ribaltando le conclusioni sulle possibilità individuali di riscatto che facevano grande un film tragico e fatalista come The Wrestler (2008), per citare due titoli in cui mi pare di scorgere una innata familiarità con Un gelido inverno (2010).
Regala un senso di soddisfazione vedere un'opera così solida, costruita su meccanismi prettamente di genere (e Woodrell non a caso ha voluto etichettare la sua produzione come country noir, mettendone in risalto le componenti chiave), riscuotere il successo che merita. Malgrado la penosa distribuzione italiana, l'unica sala di tutta Bologna che aveva il titolo in programmazione stasera risultava gremita. E forse la notte degli Academy Awards Winter's Bone non si porterà a casa statuette, ma di sicuro resterà a testimoniare una tendenza in atto nel cinema americano, che torna a dedicare attenzione ai territori marginali. Del suo spazio geografico, del nostro immaginario e dell'animo umano.
February 19, 2011
Autopromozione
Sfacciata. Solo per dirvi che questo fine settimana Codice Arrowhead è in offerta su BookRepublic a 1,99 euro. E se non avete un e-reader, per leggerlo vi basta Adobe Digital Editions.
February 15, 2011
Italia al buio
Lei lo guardò incuriosita. «Mi vuoi di nuovo con te sapendo che ti disprezzo?»
Lui annuì e sorrise. «Posso cavar piacere anche da questo.»
Dashiell Hammett aveva capito tutto. Nel 1933. Donna al buio (Woman in the Dark), traduzione di Attilio Veraldi.
February 8, 2011
Il rebus delle rinnovabili & l'ombra del nucleare
Per una volta lascio che il lavoro scivoli nel bacino d'attrazione del blog: in questo post parlerò di fonti rinnovabili, nucleare e manovre più o meno occulte per orientare l'umore dell'opinione pubblica. L'occasione la offrono i recenti articoli apparsi nell'ultima settimana sulla stampa nazionale, con un'operazione che lascia intuire la sua natura lobbistica. Quello che difetta alla campagna, tuttavia, è un necessario requisito di trasparenza, e dispiace vedere che a incapparvi sia stata anche una testata come Repubblica, che invece va solo elogiata per le inchieste che porta avanti. Ma evidentemente anche Repubblica ha un editore e degli azionisti da foraggiare, per cui eccoci alle prese con quella che ancora una volta si mostra come un'iniziativa di propaganda grigia. E lo Strano Attrattore, ormai lo sapete, aderisce alla campagna autopromossa a favore dello smacchiatore di propaganda. Come antidopo alla disinformazione, ecco quindi la vostra razione quotidiana di controinformazione.
Gli articoli sotto osservazione sono questi:
•La Consulta: per l'impianto serve il parere delle Regioni (2 febbraio 2011)
•Rinnovabili, c'è il rischio stangata: "5,7 miliardi nella bolletta degli italiani" (7 febbraio 2011)
•Confindustria: "L'efficienza vale 800mila posti di lavoro" (8 febbraio 2011)
Leggete gli articoli o accontentatevi di questa sintesi. All'annuncio della stangata assestata al piano nucleare del Governo dalla Corte Costituzionale, che ha giudicato illeggittimo l'articolo che escludeva le Regioni dal coinvolgimento in sede antecedente alla Conferenza unica per l'autorizzazione degli impianti (una sorta di deroga a quanto già accade oggi, cucita su misura per il nucleare), è seguita dapprima una stoccata dell'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas (che dà conferma di un atteggiamento generalmente contrario non solo alla promozione, ma anche solo alla tutela del settore delle energie rinnovabili, in cui l'AEEG da qualche tempo a questa parte si sta fieramente distinguendo), con un proclama allarmista di stampo pseudo-terroristico (della serie: "attenzione, consumatori, vi stanno derubando con la scusa dell'ambiente!"), giusto per continuare ad alimentare lo stato di psicopatologia di massa che regna nell'Italia degli anni Dieci; e a stretto giro è arrivato anche l'affondo di Confindustria, che assesta un colpo al cerchio e uno alla botte e attacca sia il Governo per le sue politiche schizofreniche in materia, facendo ancora una volta la voce grossa con una creatura ormai visibilmente allo sbaraglio, che gli operatori delle rinnovabili, rilanciando l'attualità del tema del momento: il nucleare.
Esonerato il Governo per manifesta incapacità di intendere e di volere, sul banco degli imputati troviamo quindi solo le care, vecchie, vituperate energie rinnovabili: eolico, fotovoltaico (protagonista di un boom in larga misura inatteso, e sicuramente mal gestito dagli organi di controllo del settore), biomasse, idroelettrico. L'accusa: pomperebbero i costi delle bollette dell'energia elettrica degli italiani attraverso la componente A3 degli oneri di sistema, che tiene conto degli incentivi CIP6 istituiti nel 1992 per sostenere lo sviluppo delle rinnovabili in Italia. Peccato però che, con il tipico magheggio all'italiana, il CIP6 sia finito a incentivare le sia le fonti rinnovabili vere e proprie e che le cosiddette assimilate e che il legislatore abbia avuto l'arguzia e lungimiranza di infilare in questa innocua aggiunta tanto i termovalorizzatori, ovvero gli impianti di incenerimento della frazione non biodegradabile dei rifiuti solidi urbani (in pratica, i rifiuti indifferenziati sono stati considerati assimilati in quanto prodotti da un processo derivato da fonti rinnovabili, in aperta violazione delle direttive europee), che l'energia prodotta dalla combustione degli scarti di raffineria. In pratica, con la componente A3 delle nostre bollette (pari al 6-7% del costo totale) noi italiani non paghiamo solo per lo sviluppo del settore delle rinnovabili, ma anche per la sua penalizzazione nell'ambito di un sistema che è andato a privilegiare, negli anni, la costruzione di centrali che con il vento, il sole, l'acqua e le biomasse non avevano niente a che vedere. Ma la colpa, secondo l'Autorità e il gruppo di pressione in elefantiaco movimento in queste ultime settimane (ricordate il forum nucleare e la sua pubblicità pagata dagli italiani, sì?), sarebbe delle rinnovabili. (Tra l'altro, per dovere di cronaca, mi sembra che da 8-9 anni non venga più costruito un solo impianto eolico in ambito CIP6, semplicemente perché il mercato dei certificati verdi introdotto all'inizio dello scorso decennio si è rivelato più remunerativo sul lungo periodo).
L'obiettivo malcelato è quello di rilanciare l'immagine del nucleare come opportunità. Ma chi ne trarrebbe davvero vantaggio? Di certo non il consumatore (l'utente finale, lo chiamano, anche in questo caso), che nella bolletta si vedrebbe semplicemente sostituire una voce con un'altra, smettendo di incentivare le rinnovabili e cominciando a incentivare il nucleare. Di certo non il sistema, che conta già sufficiente capacità di generazione installata (101 GW nel 2009) per fronteggiare il carico massimo previsto da Terna in uno scenario di sviluppo (72 GW). I dati sono presi da Wikipedia. Il sospetto si orienta quindi verso quei soggetti che magari sono arrivati tardi sulla torta delle rinnovabili e contano di ripetere l'exploit in un settore ancora più remunerativo (intorno agli impianti nucleari, è facile immaginarlo, si svilupperebbe tutto un circo di società di consulenza e organi di controllo per garantire agli onesti cittadini la più assoluta incolumità…), oppure sui colossi nazionali dell'energia che partecipando a un piano strategico per il Paese consoliderebbero il loro ruolo di operatori sul mercato interno (tagliando fuori le piccole e medie imprese che invece hanno sabuto più agilmente cavalcare l'onda delle rinnovabili). Una sorta di vendetta di Golia contro Davide, insomma.
Bastano ancora una volta un paio minuti di navigazione su Wikipedia per identificare gli attori in scena e farsi un'idea un po' più precisa della commedia delle parti in atto. A partire dall'Authority e dai suoi vertici: nell'ipertrofico accumulo di poltrone che contraddistingue il tentacolare connubio tra politica e impresa italiana, sia il presidente che il commissario dell'AEEG attualmente in carica risultano essere o essere stati infatti consiglieri della Sogin. La Sogin (per l'esattezza: Società per la Gestione degli Impianti Nucleari) è una S.p.A. costituita nel 1999 e controllata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze per seguire le fasi di decommissioning (ovvero controllo, smantellamento degli impianti, decontaminazione e gestione scorie) delle centrali nucleari italiane spente in esecuzione del referendum del 1987. E a proposito di costi per i cittadini: provate a indovinare chi finanzia questa azienda istituita per il benessere degli italiani post-nucleare?
Potete trovare un indizio nelle vostre bollette. La componente che fa al caso nostro si chiama questa volta A2, riguarda gli oneri di sistema per lo smantellamento delle centrali nucleari, e nel 2009 pesava per 500 milioni di euro. Sempre in bolletta potrà capitarvi di inciampare in un'altra sigla esoterica: MCT. Si tratta delle misure di compensazione territoriale che vanno a costituire la cassa con cui i governi di domani cercheranno di evitare eventuali future sollevazioni popolari, lubrificando i conti del comune che verrà estratto a sorte dalla Lotteria dell'Eternità per ospitare il sito nazionale di stoccaggio delle scorie nucleari (scongiurando dunque una nuova Scanzano Jonico). Altri 500 milioni di euro stimati ogni anno, versati dagli "utilizzatori finali" italiani. Ma attenzione al delirio di onnipotenza che potrebbe ispirarvi questa prestigiosa etichetta: in questo caso, il passato e il futuro sono non solo degli oneri che pesano sui nostri bilanci familiari, ma anche ipoteche sulle teste dei nostri figli. Qualcuno cercava di ricordarcelo neanche troppo tempo fa.
Viva l'Italia!
February 6, 2011
Intervista a Burgio
Dopo aver vinto i principali premi di settore dedicati alla narrativa breve, lo scorso anno Giovanni Burgio si è aggiudicato il Premio Odissea con Infezione genomica, un thriller sci-fi in uscita in questi giorni. Ho avuto il piacere di intervistarlo per Delos SF.
La pretesa dell'assoluto (in termini rigorosamente matematici)
Ovvero: come ammorbarci con le solite, vecchie, tristi amenità.
Come ormai mi capita sempre più spesso quando non lo sento parlare di matematica, resto basito di fronte a due degli ultimi interventi di Piergiorgio Odifreddi. Nel primo, che mi veniva segnalato e che in realtà si distingue per un'ancora più discutibile approvazione delle nomine ministeriali per l'ANVUR (leggete l'articolo per i dettagli), mi imbatto nella vecchissima, stanca, trita e ritrita litania sull'inutilità del latino come materia di studio nei licei scientifici. Nel secondo, che mi è capitato tra i piedi accidentalmente, mi ritrovo invece davanti all'ingenuità imbarazzante di una critica cinematografica (con innesti di critica letteraria, tanto per non farci mancare niente) mossa da basi scientifiche. Una doppietta d'autore.
Sapendo benissimo quanto ve ne possa importare delle mie reazioni (meno di epsilon, per dirla con i liceali del V anno o con gli universitari alle prese con Analisi I, ammesso e non concesso che la disciplina esista ancora, non sono bene informato sui recenti aggiornamenti introdotti dal Ministero), ci tengo comunque a mettere sul tavolo la mia esperienza sulla prima questione. Mi sono diplomato in un liceo scientifico sperimentale, che di sperimentale aveva solo il fatto di offrire un'ora di informatica alla settimana (o forse al mese) nel corso del primo anno di corso. Per il resto, programma identico a quello del resto dei licei scientifici del Regno: un carico settimanale di 5 ore di matematica, 3 di fisica, 2 di biologia (II e III anno), 2 di chimica (IV anno) e 2 di geografia astronomica (V anno). 3 ore/settimana di inglese e, a partire dal III anno, 3 ore di filosofia e 3 di storia. Un'ora di educazione fisica, una di storia dell'arte. Per il resto, una dozzina di ore da suddividere tra lettere e latino. Con le dovute fluttuazioni, dovrebbe essere esperienza comune a chi appartiene alla mia stessa leva scolastica, ma correggetemi se sbaglio (si parla del quinquennio 1994-1999).
Ora, secondo Odifreddi, che si inserisce in una lunga tradizione di rappresentanti di istituto e commentatori della domenica, il latino sarebbe inutile e dannoso perché sottrarrebbe ore utili all'insegnamento di materie scientifiche, a discapito della preparazione delle nostre giovani leve, sulle cui spalle graverà il mondo del futuro (leggi: il peso delle pensioni da pagare a quelli che, più poi che prima, gli consegneranno un mondo vecchio di almeno vent'anni). Lo scrivente, che pure non ritiene di essere un fenomeno da baraccone malgrado la sua buona preparazione, può testimoniare che, malgrado il sistema scolastico di cui è stato vittima, ha potuto affrontare un corso di laurea in Ingegneria Elettronica, uscendone vivo e laureato. Un corso reso ancora più incerto dall'ordinamento 2000, un ibrido a cavallo tra il vecchio quinquennale e il nuovo 3+2, con più di una materia del primo a cui veniva attribuito il sistema di crediti del secondo (con il risultato che un programma decurtato del 30% poteva valere in sede di esame la metà dei crediti commisurati al carico di studio richiesto). Non sto a riportare qui voti e pagelle, ma per non essere da meno di Bersani i miei libretti universitari per la laurea di primo livello e per la specialistica sono disponibili su richiesta. Dimenticavo, iscritto nel '99, ho conseguito la laurea specialistica nel 2005, infilandoci in mezzo due tesi e un'esperienza di studio all'estero di sette mesi. Non sono stato l'unico del mio corso.
E' stata dura? Certo che lo è stata, una laurea in Ingegneria deve essere dura per definizione. Malgrado il latino (e la filosofia, e la storia) abbia(no) rubato ore preziose al mio studio delle discipline scientfiche al liceo, sono però riuscito a chiudere il mio percorso universitario fuori corso solo di un anno (quello necessario per ultimare la tesi). Oggi faccio un lavoro che di ingegneristico ha poco essendo una di quelle professioni nuove di pacca venute fuori con la liberalizzazione del mercato dell'energia (e che di sicuro non ti insegnano né al liceo, né all'università), ma se parlo con qualcuno che non condivide il mio stesso percorso scolastico riesco a seguirlo sia che mi sbatta in faccia la prima strofa dell'Orlando Furioso, sia che se ne esca con un riferimento esoterico a Leibniz. Ricordo le date salienti del '900, so di cosa si parla quando si parla di purghe staliniane (so, per esempio, che le epurazioni furono contro i presunti deviazionisti di destra, ma anche di sinistra, giusto per la cronaca), conosco il significato della parola progrom e quello della parola soviet, e riesco ancora a distinguerle da loro. E' stata questa la base di partenza per quello che sono io oggi. Anche se una persona che mi ha insegnato tanto soleva ripetermi che non è bello dare sfoggio delle cose che si sanno, per una volta voglio fare uno strappo a questa che per me è stata finora una regola di vita. E lo faccio perché tutte le cose che so, le so malgrado il sistema scolastico che mi ha allevato e grazie alla fatica, all'impegno e alle persone che me le hanno insegnate. Per qualcosa come due milioni di lire al mese.
Credo, insomma, che ci sia sempre il vecchio fraintendimento alla base della questione: puoi procedurizzare, riformare, razionalizzare quanto vuoi (anche se nel caso della riforma in questione, da quel poco che mi è parso di capire, di tutto parlerei meno che di razionalizzazione), ma il lavoro alla fine sono sempre delle persone a farlo. E la differenza vera viene fuori dalla preparazione di quelle persone, dal loro livello di soddisfazione per il lavoro che svolgono e dal grado di dedizione alla causa che riuscirai a ottenere da loro.
All'atto pratico, se non avessi studiato le mie 4-5 ore di latino a settimana (più il carico di studio a casa, equivalente se non maggiore), nella seconda metà degli anni '90, oggi avrei semplicemente un bagaglio culturale più leggero. Per scappare più veloce dove, se a trent'anni sono ancora incatenato alla scrivania come uno schiavo per 8 ore (ah, se'…) al giorno? In compenso non avrei potuto parlare di Apuleio con quella mia amica che dopo studi classici ci ha scritto sopra una tesi, né avrei potuto godere dell'orrore della lettura davanti alle pagine del De Vermis Mysteriis (qualcuno mi passa una faccina che ghigna?). Con l'unico risultato di apparire meno interessante o semplicemente più ignorante, fate un po' voi.
Ma veniamo al secondo articolo che vi segnalavo. Estraggo dal pezzo:
La realtà è che la letteratura fantastica o horror, religiosa e non, abbonda di questi argomenti. Lasciando da parte i testi sacri, che non parlano d'altro, basta pensare a romanzi come Ubik di Philip Dick o Ring di Koji Suzuki, e a film come Il sesto senso di Night Shyamalan o The others di Alejandro Amenabar. Hereafter va ad aggiungersi alla lista di queste scemenze, anche se ha un tocco più delicato e un apparenza più razionale.
(Scritto così, senza apostrofi e lasciando intendere che esistano una letteratura fantastica religiosa e una non religiosa, una letteratura horror religiosa e una non religiosa. Se qualcuno se lo sta chiedendo, presumo che sì, i miti di Cthulhu siano agiografia megalarcaiana, quindi è sicuramente letteratura religiosa, resta da capire se fantastica oppure horror.)
Dunque, un film o un libro possono piacere come possono non piacere, e le stesse opere su persone diverse producono esiti diversi in base al background del fruitore. Ma mi domando: si può giudicare un'opera letteraria, cinematografica oppure artistica attraverso il filtro della scienza? Alex Tonelli può testimoniare le lunghe chiacchierate che ci siamo fatti intorno all'importanza della scienza nel nostro immaginario e potrà testimoniare anche quanta fiducia il sottoscritto riponga nel metodo scientifico. Ma sono affermazioni come quella contenuta nel post di Odifreddi che mi fanno dubitare dell'onestà e della maturità del mondo scientifico italiano. Parole pesanti? E allora domando: se il metodo Odifreddi dovesse diventare canonico, quanto tempo passerebbe prima di vedere assegnate delle patenti di legittimità alle opere d'arte? E cosa produrrebbe, questo, se non un'ulteriore frattura, o la radicalizzazione di fratture già esistenti?
La costruzione di altri steccati oltre a quelli che già ci sono stati imposti non gioverebbe a nessuno. Men che meno alla legittimazione della cultura scientifica (e dell'immaginario scientifico) di fronte allo strapotere dell'establishment umanistico che da decenni tiene in scacco la cultura italiana.
E a Odifreddi dico solo questo: un'opera d'arte ha l'obbligo di preservare la sua coerenza interna, ma ha anche il diritto di muoversi nello spazio delle possibilità (e delle realtà possibili, quindi) secondo i gradi di libertà che l'autore ritiene più opportuni. Imporre vincoli e pastoie alla creatività può solo renderci delle persone meno interessanti. Nello stesso modo in cui finiremmo rinunciando a ogni possibilità di apprendimento che ci è stata offerta. Da Apuleio fino a Per qualche dollaro in più.
Per questo, senza rancore, ripassi a settembre. Andrà meglio senz'altro.
February 5, 2011
Tra orrore cosmico e fantastico apocalittico
L'attesa per I vermi conquistatori sta per terminare: entro qualche settimana il romanzo di Brian Keene approderà nelle librerie italiane e intanto se ne comincia a parlare per la rete. L'attivissimo Fabrizio Vercelli sta curando un giro di interventi a opera di addetti ai lavori e appassionati di genere. Dopo Andrea G. Colombo e Danilo Arona, è arrivato il mio turno. Potete leggere il mio sproloquio sulle pagine de La Tela Nera, prima che i vermi giganti di Keene emergano dal sottosuolo per spazzare via dal pianeta le nostre vite miserevoli.
Quando succederà, dubito che il Tg1 darà alla notizia il risalto che merita (anzi, per evitare associazioni accidentali con altre striscianti figure dell'attualità italiana dubito che ne darà proprio la notizia). E devo ammettere che la cosa comunque non mi dispiacerà tanto quanto dover trapassare insieme a quella manica di gerarchi, legulei e lustrascarpe di regime che tiene in pugno il paese. Ma ogni atto di giustizia comporta un piccolo sacrificio. I vermi conquistatori lo sanno e non si curano degli effetti collaterali. Cosa che, se si eccettua la consapevolezza, li accomuna agli esseri umani.
Correte a pregare per le vostre anime. Amen.