Giovanni De Matteo's Blog: Holonomikon, page 61
December 13, 2010
Attraverso il continuum Murakami-Miéville
La nozione di genere è definitivamente sorpassata? Ne sono stato a lungo convinto, sull'onda emotiva di scorpacciate postmoderne, prima di riprendermi una cotta per la science fiction e la crime fiction. Chiamo la fantascienza e il poliziesco con i nomi con cui sono conosciuti nel mondo anglosassone per una ragione precisa: gli anglo, e gli am-anglo in particolare, hanno un vero fiuto per le etichette, c'è poco da fare. Lo dimostra Eric Rosenfield, che riprendendo il manifesto redatto da Bruce Sterling per la letteratura Slipstream, con cui il nostro cowboy dell'oltrespazio si proponeva di scavalcare i generi e motivare criticamente la vicinanza tra i lavori degli scrittori in orbita cyberpunk (da Gibson a Lethem passando per Womack) e autori mainstream che avevano usato i moduli di genere nelle loro opere (da DeLillo alla Atwood, che a quanto mi risulta ha sempre disdegnato l'accostamento alla fantascienza), va ben oltre la sterile chiacchiera letteraria da salotto.
Rosenfield propone la sua lettura dell'annoso quesito con cui ho aperto questo post guardando il fenomeno da un'angolazione particolarissima e decisamente interessante, arrivando a definire quello che lui immaginificamente chiama un continuum Murakami-Miéville. E' una di quelle idee talmente folgoranti da lasciare a bocca aperta, a rodersi il fegato per non esser stati capaci di farsela venire da sé (e ringrazio Granieri per averla segnalata su 40k Blog). Come fa notare lo stesso blogger newyorkese, è una etichetta senza alcuna valenza commerciale, che si propone tuttavia di scavalcare le distinzioni convenzionali che pongono un libro di Miéville sullo stesso scaffale di Heinlein, e uno di Murakami sullo stesso scaffale di Updike, nelle librerie di ogni parte del mondo.
Non è solo rebranding, come potrebbero essere stati in qualche modo il cyberpunk o soprattutto lo Slipstream. E' un tentativo di ri-classificazione del mondo (uno "strumento di contestualizzazione", come lo definisce Rosenfield), alla luce dei cambiamenti che lo stravolgono e della velocità con cui lo fanno, rendendolo a tutti gli effetti un'entità liquida e sfuggente. Per me il connettivismo avrebbe dovuto essere soprattutto questo, fin dai suoi primissimi passi. E in qualche modo mi sembra che, arricchendo la propria personalità negli anni, il nucleo del suo carattere sia rimasto abbastanza legato all'idea di partenza. Ma volete mettere le suggestioni tutte endogene e autoreferenziali della parola "connettivismo" con l'ampiezza di orizzonti abbracciata dal "continuum Murakami-Miéville"? Non c'è partita.
In effetti, mentre in questi giorni vado ultimando la lettura del notevolissimo Il mistero dell'Inquisitore Eymerich (e, a proposito, Evangelisti non sfigurerebbe affatto nel novero degli scrittori del continuum), mi è venuta quest'idea che la fantascienza, col tempo, si sia trasformata un po' nell'etere della letteratura: un'entità inclassificabile e ormai difficilissima, se non impossibile, da isolare. Ma a tutti gli effetti onnipervasiva e inscindibile dai territori dell'immaginario.
December 11, 2010
Recorded Future: il domani è già scritto?
Il passaggio commerciale/analitico dal momentum allo Zeitgeist, illustrato ieri su Repubblica.it in un articolo ben documentato di Giulia Belardelli. Si chiama Recorded Future e sul sito della start-up statunitense sovvenzionata dalla CIA e da Google che l'ha ideato viene presentato come il primo "motore analitico temporale" al mondo. Un modo per viaggiare nel tempo a cavallo delle onde dell'infinito mare dell'informazione. A stupire non è tanto l'annuncio, quanto semmai l'idea che uno strumento del genere non fosse già a disposizione delle intelligence di mezzo mondo.
December 7, 2010
Teoria dei circuiti (I modulo)
Questa vignetta trovata sul solito xkcd (cliccate sopra per ingrandire) mi ha riportato indietro agli esami universitari di teoria dei circuiti, elettronica e circuiti elettronici. Quante imprecazioni hanno raccolto le impedenze capitate sotto la mia penna! Ha una sola controindicazione: bisogna essersi rotti la testa sull'analisi di un circuito elettrico, per poterne cogliere le sfumature. Ma anche un neofita potrà apprezzare il ruolo di un raddrizzatore morale e l'importanza, in certi casi, di un collettore di lacrime bello capiente, oltre che intuire il senso di alcune componenti ancora meno canoniche…
Avete due ore per risolvere il problema. A partire da adesso.
L'innesco perfetto
Venerdì sera, grazie al patrocinio dell'esimio Moskatomika, ho avuto modo di vedere quello che è il film di fantascienza più originale che mi capita da diverso tempo a questa parte. Si tratta di Primer, del tuttofare Shane Carruth, ed è stata una piccola rivelazione. Alcuni di voi lo conosceranno già grazie al cineforum Fantafilm. Per gli altri, ne parlerò presto. Il tempo di riguardarmelo e di studiare a fondo gli schemini che consentono di tirarne i fili: qui sotto la versione light per principianti e a questo link, invece, la versione estesa (via Keplero), solo per temponauti esperti.
December 4, 2010
Invasioni grafiche
Avvistamenti alieni nel cielo di San Francisco. E se notate la somiglianza con una copertina di Urania, è solo perché Franco Brambilla sta spopolando anche oltreoceano. Meritatamente. (Da The Projekt, via Facebook).
Realtà Alternative
Nascono i 40k Compact! La nuova iniziativa editoriale della 40k Books offre una terza incarnazione a Codice Arrowhead (già Nell'occhio del Vortice, con gli spettri del tempo alla sua prima apparizione su Next 14), antologizzato in un'unica raccolta elettronica con autori del calibro di Bruce Sterling (Cigno Nero), Dario Tonani (Cardanica) e Paul Di Filippo (WikiWorld). Il volume s'intitola Realtà Alternative e come al solito lo trovate sul sito di FortyKey.
December 2, 2010
Million Dollar Baby
[image error]Ieri sera c'era Million Dollar Baby, su RaiTre. La prima volta che lo vidi, fu in un cinema di Grenoble, in versione originale con sottotitoli (francesi). Era il 2005 e da allora ogni volta che me lo sono trovato in TV, non ho saputo resistere, così come mi è sempre accaduto con gli spaghetti western di Sergio Leone. Clint Eastwood, che di Leone è stato allievo e non cerca di nasconderlo, ha imbastito con questo film una tragedia contemporanea e ha saputo raccontarla con il garbo di una fiaba. Una favola nera, anzi nerissima, ma densa di una carica empatica che le consente di brillare al buio come lo schermo di un vecchio tubo catodico appena spento.
Sembrerà banale, ma questo è davvero uno di quei film che regala un livello di lettura a ogni nuova visione. Ieri sera, per esempio, non ho potuto fare a meno di vederlo con gli occhi curiosi di chi vuole mettere a nudo gli ingranaggi di una storia. Spiegare cosa non va in un racconto non è in genere così difficile. Più complesso è giustificare criticamente il senso di soddisfazione che ci regala un'opera che funziona in ogni sua minima parte. Estraendo le singole scene dal corpo del film, Million Dollar Baby non perde potenza o efficacia, ma la forza della storia che racconta riesce a riverberare in ogni dettaglio con la medesima efficacia miracolosa di una rosa olografica ridotta in frammenti, per riprendere la stupenda immagine di uno dei più malinconici racconti di William Gibson.
Prendiamo per esempio la scena dell'incidente sul ring: viene subito dopo che Scrap (Morgan Freeman, titanico) – ex-pugile che ormai vive e sopravvive nella modestissima palestra di Frankie Dunn (Eastwood medesimo) e che ha convinto quest'ultimo, sulle prime molto scettico, ad allenare Maggie Fitzgerald (Hilary Swank, granitica nella volontà e nel fisico), cameriera con il sogno della boxe, portandola alla finale del titolo dei pesi Welter — ha impartito una lezione di vita al classico guappo di quartiere, smorzandogli a suon di ganci, diretti e montanti la voglia di imporre sul ring la stessa logica di sopraffazione che ne determina la condotta in mezzo alla strada. Scrap fa in tempo a sedersi davanti alla televisione per assistere alla finale in cui la ragazza che ha scoperto sta per contendere il titolo alla campionessa del mondo, nota per la sua slealtà. Dal ring della palestra di Frankie saltiamo al ring di Las Vegas per assistere in mondovisione alla parabola dell'astro nascente di Maggie, soprannominata da Frankie Mo Cùishle, in tempo per vederla estinguersi in un lampo lungo la traiettoria di rientro dall'orbita in cui ha sfiorato il coronamento del sogno. Il riscatto di una vita intera si trova lì a un soffio, un attimo prima; e l'attimo dopo si spegne insieme ai sensi a seguito di una delle tante scorrettezze di cui la vita non è avara e da cui nemmeno il ring - che della vita rappresenta, nella tradizione letteraria ormai assurta a paradigma narrativo, la metafora - è immune.
Eastwood è spietato. Con questa contrapposizione ci regala, nel cuore della pellicola, l'essenza della vita. A volte i nostri errori ci insegnano qualcosa di cui far bagaglio, altre volte le lezioni che siamo costretti a subire sono definitive e non potranno tornarci utili, mai più. E la rottura dell'equilibrio non è per nulla manichea, nelle mani di un regista come lui: l'incidente di cui l'eroina resta vittima succede pochi fotogrammi dopo che il suo stesso allenatore l'ha convinta, per la prima volta, a violare le regole, a omologarsi ai principi non scritti di un gioco di sopraffazione. E' crudele, ma anche tracce di questi ingredienti si trovano nel succo della vita: a volte paghiamo un conto salato per i nostri errori, in accordo una logica del contrappasso che sembra tagliata apposta per noi, ma quanto ci risulta amaro quel conto quando l'errore viene commesso discontandoci dalle nostre convinzioni? Dopo questo, Mo Cùishle Maggie, che finora ha appreso gli insegnamenti di Frankie Dunn con la dedizione di una discepola scrupolosa, non ha più niente da imparare. Ridotta in un letto d'ospedale, il suo corpo - veicolo della forza che la ha portata a un soffio dall'immortalità - è condannato a una violazione dietro l'altra. Dopo la paralisi, arrivano le piaghe da decubito, e infine l'amputazione degli arti in cancrena. E' una via crucis a cui la protagonista non si rassegna ad assistere da spettatrice, e ormai "capitano della propria anima" - parafrasando il poeta inglese William Ernest Henley citato dal regista nel titolo stesso del suo ultimo, quasi altrettanto meraviglioso, Invictus - rivendica il dominio sul proprio destino. Chiamando lo stesso Dunn, già perseguitato da un senso di perdizione e di colpa, a una scelta morale altrettanto definitiva dell'ultimo match di Mo Cùishle.
Bastano poche righe, se non vi fosse ancora capitato di guardare questo capolavoro, per dare un senso della sua complessità. La bravura di Eastwood riesce tuttavia a non farla gravare sullo spettatore, intrecciandone i molteplici fili in un percorso lineare (come spesso accade nella sua cinematografia) che costruisce una progressione drammatica infallibile. La sua compostezza estetica si concede eccezioni solo nelle battute dei personaggi, che costruiscono uno spazio narrativo parallelo, in cui riverberano di continuo i rispettivi caratteri, sganciandoli efficacemente dalla trappola degli stereotipi e regalando nuove dimensioni di libertà al tempo del racconto. E quante dimensioni attribuireste voi alla figura di un allenatore di pugilato che nel tempo libero si diletta con le poesie di Yeats e che non salta una sola messa domenicale da ormai svariati decenni?
Con Clint Eastwood e con questo capolavoro in cui il cinema tocca una delle vette più alte della sua storia, la riflessione sull'eutanasia e il diritto alla scelta si smarca dalla tribuna politica e dal dibattito televisivo e viene restituita alla sfera più nobile del pensiero. Filosofia. Arte. Come dovrebbe essere. Sulla soglia degli ottant'anni, Eastwood ha ancora un bel po' di cose da insegnarci. Continuiamo a studiare i suoi saggi di cinema per farne tesoro.
December 1, 2010
Cablegate: considerazioni sparse a 72 ore dal cataclisma
A tre giorni dal cosiddetto cablegate orchestrato da Wikileaks e dalla sua eminenza occulta, Julian Assange, restano molti gli interrogativi ancora aperti. Lo dimostra l'articolo lucido e posato di Federico Rampini apparso oggi su Repubblica. E non è tanto questione di domandarsi chi debba temere più degli altri la glasnost imposta ai tempi di Internet (l'articolo di Barbara Spinelli si segnala anche per un paio di echi fantascientifici degni di nota, cosa non banale da trovare sul principale quotidiano on-line italiano), perché la questione è risaputamente un po' più complicata di quanto i nostri dispenser di saggezza di palazzo Chigi vorrebbero dipingerla. A farmi tornare sul tema è stata in particolare una riflessione di Lanfranco Fabriani, che giustamente ricorda gli analoghi cataclismi informatici evocati dalla letteratura di fantascienza, dal grande John Brunner in poi. Lanfranco si domanda:
Quali sarebbero gli sviluppi ipotizzabili? Un mondo più trasparente, o un mondo in cui i segreti diventano ancora più blindati e quindi magari aumenta anche il numero di ciò che diventa segreto e blindato?
Io sono rimasto un po' indietro, visto che da tre giorni sto continuando a chiedermi: a chi conviene davvero questa operazione trasparenza orchestrata proprio adesso, mentre l'Amministrazione Obama si accinge a entrare nel periodo più difficile del suo mandato? E le risposte che mi vengono in mente non riescono a consolarmi nemmeno un po', perché appaiono tutte fortemente ispirate da quel senso di dietrologia che da queste parti la fa da padrone. Mi chiedo come mai un attacco di queste proporzioni venga sferrato all'America di Obama, mentre invece Bush e la stagione dei falchi alla Casa Bianca siano stati sostanzialmente risparmiati da questi presunti difensori della libertà di informazione. E perché sia l'America di Obama a subire l'azione di Wikileaks, e non i governi che operano la sistematica violazione dei diritti civili come la Russia o la Cina.
Sul breve periodo, un'operazione simile mi sembra danneggiare soprattutto i progressisti e le loro speranze di cambiamento, a tutti i livelli, e non solo Obama e la sua amministrazione, come dimostra il fatto che proprio oggi la Clinton si sia sentita in obbligo di valorizzare il ruolo del Premier italiano e addirittura di riconoscergli la dignità di quell'incontro bilaterale che solo pochi mesi fa Obama gli aveva negato.
Sul lungo periodo, la strategia di Wikileaks temo che non produrrà altro che un irrigidimento strutturale, con conseguente ulteriore rallentamento dell'azione politica di Obama. E non dimentichiamoci soprattutto che il campo in cui Obama aveva fatto meglio finora era probabilmente proprio la diplomazia internazionale (con le aperture al mondo arabo e al Pacifico, la chiusura di Guantanamo, il programma di ritiro delle truppe dal teatro di guerra del Medio Oriente). L'attacco, insomma, è stato sferrato in un periodo di debolezza (l'economia che stenta a trovare il rilancio, l'esito delle elezioni di midterm) e proprio sul terreno del Presidente, riuscendo per di più a colpirlo chirurgicamente nei suoi punti più sensibili: un sistema informativo tutt'altro che infallibile e una rete diplomatica molto meno che eccellente. E questo rende ancora più sinistre le ombre che in queste ore si sono andate addensando su Wikileaks.
Però la sfida di Assange rappresenta a mio modo di vedere anche un'occasione di rilancio: se dovesse riuscire a ribaltare le istanze di trasparenza e libertà di informazione dietro cui si fanno scudo gli attivisti di Wikileaks, probabilmente Obama riuscirà a resuscitare quello spirito di cambiamento e innovazione che lo ha spinto fin dov'è adesso. Ma a giudicare dalle prime misure disposte da Washington, che somigliano un po' a serrare la stalla dopo che il gregge è scappato, direi che non ci stiamo muovendo proprio in quella direzione.
Restiamo a guardare. E per chi non ne ha mai abbastanza di porsi domande, su Boing Boing Cory Doctorow ne segnala diverse di una certa sottigliezza, a opera di Dan Gillmor. Leggetele, meritano davvero e rappresentano la migliore critica che abbia letto finora alla fotografia scattata da Wikileaks a questo 2010 che si avvia alla chiusura.
November 30, 2010
Il furto del futuro e i suoi effetti imprevedibili
Comunque andrà a finire - e per il governo tira un brutto vento - resta il fatto che è dalla Pantera dei primi anni '90 che non si vedeva una mobilitazione di queste proporzioni intorno alla scuola italiana. Tuttavia, con la risonanza garantita dai mass media e l'immediatezza della notizia assicurata dalla rete, il movimento studentesco assume una dimensione diversa. Fatte le dovute distinzioni, sembra quasi di assistere alle stesse drammatiche scene tratte di peso da Little Brother di Cory Doctorow: ci sono i ragazzi che finalmente si rendono conto (o fingono di rendersi conto, per convenienza o intuizione) che gli ultimi due decenni di politica all'acqua di rose hanno consumato il più grave dei crimini immaginabili nei loro confronti, il furto del futuro; c'è la risposta dura del ministero degli Interni, che militarizza città intere, capitale inclusa; c'è sullo sfondo l'ombra di un governo ormai inerte, allo sbaraglio, che si ostina a varare provvedimenti snaturati al solo scopo di assicurare una parvenza di operosità che ne legittimi la r-esistenza agli occhi dei cittadini, ammansiti dall'informazione di stato. Per fortuna mancano le deportazioni arbitrarie e l'imposizione di uno stato di emergenza nazionale, ma con l'aria che tira chi può dire quanto durerà ancora?
Mentre si consuma il tracollo del sistema Italia, man mano che si susseguono notizie sul rischio default che dalla Grecia e dall'Irlanda rischia di estendersi al Portogallo, alla Spagna e quindi all'Italia, il nostro Premier rinsalda le alleanze con governi non democraticamente eletti (vedi alla voce Libia) o quanto meno in odor di mafia (vedi alla voce Russia). E la scena geopolitica è complicata dal meccanismo di sospetto e screditamento innescata da Wikileaks. Se non è uno scenario da ultimi giorni, non riesco a figurarmi davvero niente che gli somigli di più. Non so se le proteste di questi giorni e quelle che renderanno ancora più calda la fine dell'autunno si concretizzeranno in effetti palpabili nei confronti dell'egemonia culturale, fatta di qualunquismo e pressapochismo, che ha condizionato queste ultime due decadi nel Bel Paese. Di certo - se, come diceva Vendola a Bologna la scorsa settimana, "sono riusciti nell'inimmaginabile, farci rimpiangere perfino Andreotti" - non tira una bella aria proprio per nessuno, in questo paese delle meraviglie che è diventata l'Italia.
Sono tempi incerti e si prefigura una stagione di instabilità ancora maggiore. Come ne verremo fuori, al momento attuale credo che per chiunque sia impossibile dirlo. Ma se un tempo le battaglie erano mosse da obiettivi precisi, con l'astuta sottrazione del futuro operata ai danni delle generazioni più giovani dai governi di destra e di sinistra da Craxi in avanti, i termini del confronto sfumano in una dimensione di sempre più difficile definizione. Hanno pensato di sostituire l'aspirazione al futuro con un sogno confezionato su misura, un diritto con un sogno bagnato, ma il giocattolo sta rivelando la propria natura posticcia. E un conto è lottare per un ideale, un conto è muoversi spinti dalla rabbia, dall'esasperazione e dalla sete di vendetta. Ma con i cervelli anestetizzati, ci è rimasta in funzione solo la pancia. E con quella, purtroppo, non ci sono margini di manovra per provare a ragionare o scendere a patti.
November 29, 2010
Il cappello deve cadere con la mia capoccia
Non un grande, ma molto, molto di più. Ha attraversato il Novecento generando una mitologia italiana contemporanea. E' morto da rivoluzionario, indomito fino alla fine. Così va la vita.