Fabrizio Ulivieri's Blog, page 89

May 15, 2021

Nessuno ti conosce così bene come me - Parte Prima




Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so;
non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire «Ecco cos’ero prima di nascere» (Cesare Pavese – La luna e i falò)
Nessuno ti conosce così bene come me. Le disse.
Lei lo guardò. Senza espressione. Solo uggiolì: uh uh.
Erano sdraiati sul letto.
Fuori era nebbione.
Lei aveva pianto.
Lui le aveva detto: il mio compito prima di morire è far sì che tu e le tue figlie non abbiate problemi quando io non ci sarò più.
Lei aveva pianto. Il sabato e la domenica piangeva sempre.
Era un dramma.
Anche quel sabato il dramma cominciava.
Perché piangi? le chiese.
Ma tu non vuoi vivere con me? Tu vuoi morire? Gli aveva risposto.
Sì, lui voleva morire. In quel mondo non aveva più senso vivere. Era un mondo di vermi che si rivoltolano uno sull’altro.
Ma non ora. Ancora era presto.
Doveva aspettare. Aspettare che le cose si mettessero a posto.
Se lui era lì, davanti ai suoi occhi, a chi doveva dire grazie se non a se stesso?
A parte i genitori da cui aveva ricevuto pelle sangue e ossa, a chi altro doveva dire grazie? No, non gli veniva il nome di nessuno.
Un nome gli veniva, invero, ma non era di questo mondo. Ma ora voleva sospendere quel nome, non dimenticarlo, solo sospenderlo. Voleva vedere se l' uomo può vivere di sola carne, sospendendo lo spirito.
E le loro carni erano vicine in quel letto. Si toccavano. Sentivano il calore dei corpi che li univa.
E allora lui era lì e non doveva dire grazie che a se stesso, e allora poteva anche decidere di morire, quando voleva.
Sapeva che il pianto le lavava il dolore dentro. E la lasciò piangere anche se disse: non piangere.
Eppure in quel letto non erano soli.
Lui sentiva il peso di tutti quelli che avevano costruito la sua vita, che magari nemmeno poteva citare o rammentare. Ma erano tanti quelli che aveva incontrato che aveva permesso che entrassero in lui e qualcosa gli avevano lasciato, sebbene non sapesse che. Ma non doveva dire grazie a loro. Era lui che li aveva fissati e mantenuti vivi.
E allora capì perché si sentiva senza terra sotto i piedi, senza passato. Anche loro, le tracce che di loro lui aveva fissato in sé, anche loro erano come lui, stranieri in quella terra dove era venuto a vivere.
Non erano nati in quel posto, non lo avevano nel sangue, e il cibo che mangiavano e l’aria che respiravano e il sole la pioggia il vento di quel mondo non erano quelli in cui erano cresciuti e vissuti.
Erano stranieri. Erano senza storia, senza passato. Come lui. Attaccati ai fili dello stesso universo.
E loro lo aspettavano. Ma capivano e non lo forzavano.
Non voglio morire, le disse allora. Ma dovrò morire. Tutti muoiono. Anche tu morirai. E spero che sarà dopo di me. Tu sei più giovane, ed è giusto che tu viva ancora e ti goda la vita, se questa vita veramente può essere goduta. Ormai è solo uno stato di polizia, dove vive bene chi fa delazioni e vive da verme contento di quel poco che gli viene concesso nel letamaio dove si aggroviglia quotidianamente. Per viverci bene in quel letamaio non bisogna mai uscirne. La gioia, quella vera, è dannata. La parola di Dio abolita. E’ solo carne, che puzza, in quel letamaio.
Ora il mondo è in mano ai pazzi. Ma ce ne fosse uno che si alzasse e dicesse: ma che stiamo facendo? Ma siamo impazziti? Abbiamo perso il senso non dico della ragione ma anche quello comune?
Tutti sono dentro un meccanismo che ripete lo stesso ticchettìo. Rotelle di un unico ingranaggio, che si muovono tutte nella stessa direzione. Per questo il mondo è impazzito. Per far si che l’universo si muova in modo corretto c’è bisogno di un motore che si gira immobile su se stesso in senso opposto al moto della massa.

Lui la guardava. Era perfetta, nel suo dolore. Era perfetta nei suoi pensieri. Era perfetta nei suoi giorni.
Perché piangi? le chiese
Non lo so. Rispose.
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Published on May 15, 2021 02:34

Nessuno ti conosce così bene come me




Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so;
non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire «Ecco cos’ero prima di nascere» (Cesare Pavese – La luna e i falò)
Nessuno ti conosce così bene come me. Le disse.
Lei lo guardò. Senza espressione. Solo uggiolì: uh uh.
Erano sdraiati sul letto.
Fuori era nebbione.
Lei aveva pianto.
Lui le aveva detto: il mio compito prima di morire è far sì che tu e le tue figlie non abbiate problemi quando io non ci sarò più.
Lei aveva pianto. Il sabato e la domenica piangeva sempre.
Era un dramma.
Anche quel sabato il dramma cominciava.
Perché piangi? le chiese.
Ma tu non vuoi vivere con me? Tu vuoi morire? Gli aveva risposto.
Sì, lui voleva morire. In quel mondo non aveva più senso vivere. Era un mondo di vermi che si rivoltolano uno sull’altro.
Ma non ora. Ancora era presto.
Doveva aspettare. Aspettare che le cose si mettessero a posto.
Se lui era lì, davanti ai suoi occhi, a chi doveva dire grazie se non a se stesso?
A parte i genitori da cui aveva ricevuto pelle sangue e ossa, a chi altro doveva dire grazie? No, non gli veniva il nome di nessuno.
Un nome gli veniva, invero, ma non era di questo mondo. Ma ora voleva sospendere quel nome, non dimenticarlo, solo sospenderlo. Voleva vedere se l' uomo può vivere di sola carne, sospendendo lo spirito.
E le loro carni erano vicine in quel letto. Si toccavano. Sentivano il calore dei corpi che li univa.
E allora lui era lì e non doveva dire grazie che a se stesso, e allora poteva anche decidere di morire, quando voleva.
Sapeva che il pianto le lavava il dolore dentro. E la lasciò piangere anche se disse: non piangere.
Eppure in quel letto non erano soli.
Lui sentiva il peso di tutti quelli che avevano costruito la sua vita, che magari nemmeno poteva citare o rammentare. Ma erano tanti quelli che aveva incontrato che aveva permesso che entrassero in lui e qualcosa gli avevano lasciato, sebbene non sapesse che. Ma non doveva dire grazie a loro. Era lui che li aveva fissati e mantenuti vivi.
E allora capì perché si sentiva senza terra sotto i piedi, senza passato. Anche loro, le tracce che di loro lui aveva fissato in sé, anche loro erano come lui, stranieri in quella terra dove era venuto a vivere.
Non erano nati in quel posto, non lo avevano nel sangue, e il cibo che mangiavano e l’aria che respiravano e il sole la pioggia il vento di quel mondo non erano quelli in cui erano cresciuti e vissuti.
Erano stranieri. Erano senza storia, senza passato. Come lui. Attaccati ai fili dello stesso universo.
E loro lo aspettavano. Ma capivano e non lo forzavano.
Non voglio morire, le disse allora. Ma dovrò morire. Tutti muoiono. Anche tu morirai. E spero che sarà dopo di me. Tu sei più giovane, ed è giusto che tu viva ancora e ti goda la vita, se questa vita veramente può essere goduta. Ormai è solo uno stato di polizia, dove vive bene chi fa delazioni e vive da verme contento di quel poco che gli viene concesso nel letamaio dove si aggroviglia quotidianamente. Per viverci bene in quel letamaio non bisogna mai uscirne. La gioia, quella vera, è dannata. La parola di Dio abolita. E’ solo carne, che puzza, in quel letamaio.
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Published on May 15, 2021 02:34

May 13, 2021

What happened after Jesus Christ's death?






Et omnis, qui vivit et credit in me, non morietur in aeternum. Credis hoc?(John 11:26)

After he cried out to the universe, there was a big earthquake.
120 tombs opened and 120 dead people resurrected. And darkness fell upon the earth. The sun disappeared, the moon vanished and the stars lost their light and the dark was horrible.
The resurrected people were healthy and sound and for 40 days and 40 nights were talking and comforting their families.
And among them, there was Saint Simeon, to whom it had been revealed by the Holy Spirit that he would not see death before he had seen Our Lord Jesus Christ. Saint Simeon, the one who circumcised Jesus. It was him who described to his family the way Jesus Christ visited Hell because he was in Hell.
He said: we heard three knocks. It was Our Lord. And he was knocking at the door of Hell. And He wanted the doors open for Him. Although he could, whenever he wanted, open those doors, as a Sovereign. But he was asking, nevertheless. He is Filius Hominis.
Lift up the gates, oh you rulers - He said. I am the King of Glory!

But those doors which were eternally locked remained closed. The King of Glory was there. He wanted to enter Hell. Behind those doors was left alone Lucyfer. All the other demons had deserted and left him alone.
Satan stood firm behind the heavy doors and retorted to Our Lord: Who are you, King of glory? Who are you that you call yourself King of Glory?

Our Lord kept silent.
Who are you that you call yourself King of Glory? Repeated Satan, pretending again that he didn't know who was it beyond the heavy doors.
Three times the Devil asked for the same question.
Egos sum Filius hominis, Ego sum Gloriae Filius.
At those words, the Devil was lost. The heavy doors fell off on their own and the Filius Hominis entered the kingdom of darkness and evil.
And it was light, the light of the world, the light of Our Creator. It was a joy for those, who were expecting him in Hell, eternally burning and consuming. Among them, there was Saint John, the Forerunner, who prophesied the Messiah with the words "Rejoice the Messiah has come!" He was the one who baptised the Messiah, Filius Hominis. And there was our Saint Simeon the one who circumcised the Messiah, Filius Hominis. And they had waited for Him who came and saved them from the darkness of Hell.
The voice of God was heard, and light shined more than the light of the sun. Hell was filled with light, joy, hope and the voice of God summoned up oi protoplastoi, the-first-moulded-beings.
And oi protoplastoi rushed to Him, and the prophets rushed to him, and Saint John the Forerunner rushed to Him and Saint Simeon the Circumcisor rushed to him and the Ascension started.
Christ said: All who believe in me come near to me I'll take you all to Heaven.
Some of them were left behind, as they were sons of Satan, unworthy of repentance and God did not illuminate them any longer. And they fell down again in Hell where darkness, the enemy of God, was in power again like living matter - but most of the damned souls, 5000 years that they had been gathering in Hell, believed in God.
Billion of angelic ranks floated around and cleansed the saved souls with the blood that Christ shed on the holy cross. One drop of His holy blood was enough to cleanse the souls who had been imprisoned for 5000 years in Hell. And the souls felt overjoyed and freed from darkness and Hell while ascending to Heaven.
Many times told this Saint Simeon to his family, with whom, after being resurrected, spent 40 days and 40 nights.
And the same story was told and told by the rest, 119 souls who repeated the same words to their families upon the earth. And they were joyful while narrating the triumph of the resurrection of Our Lord Jesus Christ, Filius Hominis.


We lived with the Son of God, we saw Him, we heard Him, we ate with Him we cannot deny what we saw and heard He is the Son of God and those who have believed in God are superior to the world and have beaten the world because they are the children of God they will be persecuted because of Him but not a hair of their head shall be lost. And He saved them and taken them to Heaven with Himself and they will rejoice for centuries of centuries and no second death will overcome them

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Published on May 13, 2021 23:13

May 6, 2021

Gli ignavi



Non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
...
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna
(Dante Alighieri)

Li sfidava uno per uno passandogli innanzi la piccola coraggiosa e minuta donna, proprietaria di una torteria che quei 40, come i ladroni, aveva inviato uno stato che da tempo aveva dichiarato guerra al suo popolo su tacito consenso di una maggioranza del popolo altrettanto ignava.
Erano lí infatti per chiudere il negozio di torte di quella donna minuta che davanti alla follia del male di uno stato guidato da figli di Satana resisteva e chiedeva solo di lavorare.Lei, luce davanti alla tenebra, che i 40 ignavi rappresentavano.
"Ma non vi vergognate !" E li fissava uno ad uno. Loro gli occhi volevano nasconderli a se stessi. Guardavano innanzi, al loro nulla. Non conoscevano le parole di Cristo sic quia tepidus es et nec calidus nec frigidus, incipiam te evomere ex ore meo.
Ed era una gran fortuna, perché alla vergogna si sarebbe aggiunto il disgusto. Di se stessi.
E però probabilmente quel vomito dovevano sentirlo nella vergogna che provavano ma accettavano, in nome della loro ignavia.
"Dovreste vergognarvi, dovreste vergognarvi, dovreste vergognarvi di quello che fate" li sfidava uno ad uno la piccola David di Chivasso i 40 Golia fatti di nulla. Di vuoto interiore. Di accettazione passiva. Di abitudine al niente che insozzava quella divisa che avrebbe dovuto essere un segno di eroismo ed era ormai divenuta un marchio di ignominia. Sull'attenti, e a capo chino. L'ignominia pesa.
Se fossero stati eroi, ma non lo erano, avrebbero detto "No, ora basta!"Ma ignavi tacevano.La storia li avrebbe presto dimenticati, ma il disonore no.
"E' uno schifo. Io ve lo dico. E' uno schifo. Rimarrà nella storia questo schifo!"
Qualcuno cercava di alzare il peso del capo crollato sotto il peso di quello schifo mettendo le mani sul cinturone per assumere una postura marziale. Come fosse lí a fronteggiare chissà quale pericolo.
Il ridicolo dell'uomo non ha limiti.
"Guardate gli occhi di questi signori, guardateli bene, guardateli come si vergognano" e li indicava uno ad uno la piccola David di Chivasso.
"Avete giurato sulla costituzione?"
Tacevano.
"E allora se avete giurato perché fate tutto questo?"
E tacevano.

"Io sono nata libera e nessuno mi può tenere schiava"
Ma ora non parlava più ai poliziotti, i 40 poliziotti, vittime della loro stessa ignavia. Ora parlava ad altri eroi. Quei cittadini di Chivasso che si erano radunati nella piazza davanti al negozio e incrociavano il nulla degli sguardi dei 40 eroi in divisa e filmavano con i loro telefonini il coraggio di quella donna minuta e sola che a mani nude fronteggiava la vergogna di un'ignavia che infettava più del virus.
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Published on May 06, 2021 11:57

May 4, 2021

Il rapimento






A volte ritornano, senza spiegazione, i fantasmi. E quando meno te lo aspetti ecco che il passato a cui piú pensi di interessare ti cerca. E ti vuole. E magari ti rapisce.
Fui rapito, infatti, non so come, ne da chi. Non saprei. Fu una forza che mi prese, come nei sogni, e in un attimo mi ritrovai migliaia di chilometri lontano.
E' difficile crederci, lo so. Ma fu così.
Mi ritrovai alle pendici di un monte che conoscevo, dove avevo vissuto molti anni prima. Il monte Albano. In un piccolo villaggio di nome Artimino, sulla collina che divide la provincia di Prato da quella di Firenze e da lassù si gode la vista della valle dell'Arno, che viene giù da Firenze e corre verso Pisa.
Era forse settembre. A giudicare dall'odore delle piante e dal colore della luce vespertina, doveva essere settembre. Al più tardi i primi giorni di ottobre.
Beh, lo confesso, la meraviglia fu tanta. E provai gioia ad essere lì. Il posto è bellissimo.
Mi ricordai del ristorante, Biagio Pignatta, dove avevo lavorato molti anni prima.
Ci sarà ancora? mi chiesi con un certo grado di agitazione.
Così presi di lena a piedi per il lungo viale alberato leggermente in salita che dal centro del villaggio porta alla villa medicea, La Ferdinanda, alla cui sinistra si trova il ristorante.
Avvicinandondomi cominciai a sentire il rumore delle voci dei clienti delle macchine che arrivavano, dei piatti e il tintinnare delle posate e dei bicchieri.
Allungai il passo. Il cuore accelerò.
Finalmente fui all'inizio del vialetto che conduce al ristorante. Che gioia rivedere quel luogo in modo cosí inatteso.
Era tutto come anni prima. Constatai.
I loggiati fuori erano apparecchiati nello stesso modo di prima e sedevano ai tavoli i clienti che avevo più o meno conosciuto tutti.
I camerieri erano gli stessi. Vi era Rocco, Gagliano, Pietro, Cinzia...C'era anche Paolo, il direttore del ristorante che noi camerieri chiamavamo Uncino, per come arpionava le mance lasciate dai clienti sul tavolo.
Corsi vero di loro, felice di rivederli, di abbracciarli. Ma non mi sentivano. Non mi vedevano. Tiravano diritto nei loro lavori.
Fui impotente.
Ciao! Sentii allora una voce.
Mi voltai, era M. una ragazza che avevo conosciuto molti anni fa.
Sembrava l'unica che mi vedesse. Nessuno realizzava che ero lì. Nemmeno i due giovani che sedevano al tavolo con M.
Come stai? mi chiese.
Bene. Risposi.
E che ci fai qui? Ci chiedemmo in contemporanea.
Sono qua per studiare, di nuovo, la lingua e il canto. Rispose lei. E tu?
Beh io...mi fermai. Potevo dire che una forza mi aveva rapito e da Vilnius mi aveva portato in Italia in un attimo? ...io sono qua...volevo rivedere questi luoghi, ho fatto un giro in macchina e sono qua. Conclusi con un sorriso.
Ma siediti con noi. Ceneremo insieme.
A quel punto anche i due ragazzi sembrarono uscire dal loro mondo lontano e vedermi finalmente. Mi sorrisero infatti e si presentarono.
Ciao sono A.
Ciao sono B.
Ciao, risposi, sono F,
Io la conoscevo bene M. Una ragazza ricca e viziata. Sicuramente avrebbe scelto i cibi più costosi e i vini quelli più cari e ricordando i prezzi sapevo bene che sarebbero costati.
Non avevo soldi. In quei giorni ero poverissimo. Erano i giorni della pandemia. A Vilnius non sapevo nemmeno se il giorno dopo avrei mangiato. E se non fosse stato per mia moglie Ž, forse non avremmo mangiato davvero.
Erano i giorni della pandemia che ad Artimino non c'era. Perché non c'era? perché era tutto come prima, come l'estate caldissima del 2003?
Fui preso dal panico.
Va bene, risposi con mia sorpresa. Devo solo arrivare un attimo in bagno. Poi vengo.
Ok, rispose M. Ti aspettiamo.
E mi guardò con occhi dolci da gatta in calore che già pregusta il piacere.
Attraversando il giardino pensieroso su come fare, rimanere o fuggire, andando verso la toilette incontrai un giapponese dalla faccia butterata con un cappello nero calcato che quasi nascondeva gli occhi.
Conosco il tuo problema, mi disse.
Lo guardai.
Prego? lo rimbeccai, ma avevo capito bene.
Conosco il tuo problema. Non hai i soldi.
Rimasi di stucco.
Ma io posso darteli. Di quanto hai bisogno?
Sorrisi. Ero così pieno di debiti.
Almeno ventimila euro mi ci vorrebbero. Risposi ílare.
Beh, già ce li hai sul tuo conto corrente. Puoi riusare ora la tua carta di credito, non è più bloccata.
Ma Lei è pazzo? gli risposi.
Controlla, mi disse. Puoi vederlo dal tuo telefono?
Sì, certo.
Digitai il pin sull'app ed entrai nel conto. I debiti erano spariti e c'erano ventimila euro.
Non credevo a quello che vedevo.
Ma Lei chi è? Gli domandai.
Non importa. Rispose.
Non importa? Ma come non importa? Io non potrò mai restituirli.
Non importa. Ma potrai se vorrai.
Potrò se vorrò?
Lei ti ama. Non ti ha mai dimenticato. Ti ha sempre aspettato. Aggiunse guardando verso il tavolo dove sedeva M. Che già beveva vino. Come sempre carissimo. Vidi che Gagliano le aveva appena portato una bottiglia di Ornellaia. 250 euro. Ricordai il prezzo.
Devi sposarla. Sposala e avrai tanti altri soldi. Lei è mia figlia, disse il butterato.
Guardai meglio il butterato.
Non mi pare che Le assomigli, come può essere sua figlia?
E' mia figlia nello spirito. La voglio felice.
Non posso, risposi. Io sono già sposato.
Non è importante, qui siamo in un altro tempo. In un tempo anteriore. Sposala e si annullerà tuttto quello che è stato il tuo futuro.
Non posso, io amo mia moglie. Non importa il passato il presente e il futuro. Io amo lei, al di là del tempo.
Beh, in questo caso, dovrò convincerti. Ti ingannerò con i miei fantasmi.
Molte immagini di piacere cominciarono subito a invadere la mente e il corpo e me lo rendevano estraneo al mio essere. E cercavano di fascinarmi. Una fascinazione potente verso cui cominciavo a sentirmi portato. Trascinato.
Nell'impotenza sorse dal nulla la voce dell'Apocalisse oculi eius velut flamma ignis. E guardai quegli occhi. Mi ci ficcai dentro e mi ci persi.Da quegli occhi emerse una luce che invase tutto di me. Il mio essere intero.
E quella fu la pietra che lanciai contro Golia.
E vidi la faccia del butterato contorgersi e cambiare. E piangere. E urlare. E bestemmiare e imprecare guardando in alto verso il cielo dove si erano stampati nel buio della notte i due occhi simili a fiamma.
E fu un urlo un grandissimo urlo.
E io fui pervaso di forza ed ebbi la certezza che quella forza può vincere tutto il male del mondo per quanto ammalato di bene piacere e vanità, e convinca la maggior parte della gente a farsene schiava.
Quella forza esiste ma non è per tutti.
E ora lo sapevo. La conoscevo come dono di quegli occhi venuti dall'Apocalisse.
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Published on May 04, 2021 23:03

La prova






A volte ritornano, senza spiegazione, i fantasmi. E quando meno te lo aspetti ecco che il passato a cui piú pensi di interessare ti cerca. E ti vuole. E magari ti rapisce.
Fui rapito, infatti, non so come, ne da chi. Non saprei. Fu una forza che mi prese, come nei sogni, e in un attimo mi ritrovai migliaia di chilometri lontano.
E' difficile crederci, lo so. Ma fu così.
Mi ritrovai alle pendici di un monte che conoscevo, dove avevo vissuto molti anni prima. Il monte Albano. In un piccolo villaggio di nome Artimino, sulla collina che divide la provincia di Prato da quella di Firenze. e da lassù si gode la vista della valle dell'Arno, che viene giù da Firenze e corre verso Pisa.
Era forse settembre. A giudicare dall'odore delle piante e dal colore della luce vespertina, doveva essere settembre. Al più tardi i primi giorni di ottobre.
Beh, lo confesso, la meraviglia fu tanta. E provai gioia ad essere lì. Il posto è bellissimo.
Mi ricordai del ristorante, Biagio Pignatta, dove avevo lavorato molti anni prima.
Ci sarà ancora? mi chiesi con un certo grado di agitazione.
Così presi di lena a piedi per il lungo viale alberato leggermente in salita che dal centro del villaggio porta alla villa medicea, La Ferdinanda, alla cui sinistra si trova il ristorante.
Avvicinandondomi cominciai a sentire il rumore delle voci dei clienti delle macchine che arrivano, dei piatti e il tintinnare delle posate e dei bicchieri.
Allungai il passo. Il cuore accelerò.
Finalmente fui all'inizio del vialetto che conduce al ristorante. Che gioia rivedere quel luogo in modo cosí inatteso.
Era tutto come anni prima. Constatai.
I loggiati fuori erano apparecchiati nello stesso modo di prima e sedevano ai tavoli i clienti che avevo più o meno conosciuto tutti.
I camerieri erano gli stessi. Vi era Rocco, Gagliano, Pietro, Cinzia...C'era anche Paolo, il direttore del ristorante che noi camerieri chiamavamo Uncino, per come arpionava le mance lasciate dai clienti sul tavolo.
Corsi vero di loro, felice di rivederli, di abbracciarli. Ma non mi sentivano. Non mi vedevano. Tiravano diritto nei loro lavori.
Fui impotente.
Ciao! Sentii allora una voce.
Mi voltai, era M. una ragazza che avevo conosciuto molti anni fa.
Sembrava l'unica che mi vedesse. Nessuno realizzava che ero lì. Nemmeno i due giovani che sedevano al tavolo con M.
Come stai? mi chiese.
Bene. Risposi.
E che ci fai qui? Ci chiedemmo in contemporanea.
Sono qua per studiare, di nuovo, la lingua e il canto. Rispose lei. E tu?
Beh io...mi fermai. Potevo dire che una forza mi aveva rapito e da Vilnius mi aveva portato in Italia in un attimo? ...io sono qua...volevo rivedere questi luoghi, ho fatto un giro in macchina e sono qua. Conclusi con un sorriso.
Ma siediti con noi. Ceneremo insieme.
A quel punto anche i due ragazzi sembrarono uscire dal loro mondo lontano e vedermi finalmente. Mi sorrisero infatti e si presentarono.
Ciao sono A.
Ciao sono B.
Ciao, risposi, sono F,
Io la conoscevo bene M. Una ragazza ricca e viziata. Sicuramente avrebbe scelto i cibi più costosi e i vini quelli più cari e ricordando i prezzi sapevo bene che sarebbero costati.
Non avevo soldi. In quei giorni ero poverissimo. Erano i giorni della pandemia. A Vilnius non sapevo nemmeno se il giorno dopo avrei mangiato. E se non fosse stato per mia moglie Ž, forse non avremmo mangiato davvero.
Erano i giorni della pandemia che ad Artimino non c'era. Perché non c'era? perché era tutto come prima, come l'estate caldissima del 2003?
Fui preso dal panico.
Va bene, risposi con mia sorpresa. Devo solo arrivare un attimo in bagno. Poi vengo.
Ok, rispose M. Ti aspettiamo.
E mi guardò con occhi dolci da gatta in calore che già pregusta il piacere.
Attraversando il giardino pensieroso su come fare, rimanere o fuggire, andando verso la toilette incontrai un giapponese dalla faccia butterata con un cappello nero calcato che quasi nascondeva gli occhi.
Conosco il tuo problema, mi disse.
Lo guardai.
Prego? lo rimbeccai, ma avevo capito bene.
Conosco il tuo problema. Non hai i soldi.
Rimasi di stucco.
Ma io posso darteli. Di quanto hai bisogno?
Sorrisi. Ero così pieno di debiti.
Almeno ventimila euro mi ci vorrebbero. Risposi ílare.
Beh, già ce li hai sul tuo conto corrente. Puoi riusare ora la tua carta di credito, non è più bloccata.
Ma Lei è pazzo? gli risposi.
Controlla, mi disse. Puoi vederlo dal tuo telefono?
Sì, certo.
Digitai il pin sull'app ed entrai nel conto. I debiti erano spariti e c'erano ventimila euro.
Non credevo a quello che vedevo.
Ma Lei chi è? Gli domandai.
Non importa. Rispose.
Non importa? Ma come non importa? Io non potrò mai restituirli.
Non importa. Ma potrai se vorrai.
Potrò se vorrò?
Lei ti ama. Non ti ha mai dimenticato. Ti ha sempre aspettato. Aggiunse guardando verso il tavolo dove sedeva M. Che già beveva vino. Come sempre carissimo. Vidi che Gagliano le aveva appena portato una bottiglia di Ornellaia. 250 euro. Ricordai il prezzo.
Devi sposarla. Sposala e avrai tanti altri soldi. Lei è mia figlia, disse il butterato.
Guardai meglio il butterato.
Non mi pare che Le assomigli, come può essere sua figlia?
E' mia figlia nello spirito. La voglio felice.
Non posso, risposi. Io sono già sposato.
Non è importante, qui siamo in un altro tempo. In un tempo anteriore. Sposala e si annullerà tuttto quello che è stato il tuo futuro.
Non posso, io amo mia moglie. Non importa il passato il presente e il futuro. Io amo lei, al di là del tempo.
Beh, in questo caso, dovrò convincerti. Ti ingannerò con i miei fantasmi.
Molte immagini di piacere cominciarono subito a invadere la mente e il corpo e me lo rendevano estraneo al mio essere. E cercavano di fascinarmi. Una fascinazione potente verso cui cominciavo a sentirmi portato. Trascinato.
Nell'impotenza sorse dal nulla la voce dell-Apocalisse oculi eius velut flamma ignis. E guardai quegli occhi. Mi ci ficcai dentro e mi ci persi.Da quegli occhi emerse una luce che invase tutto di me. Il mio essere intero.
E quella fu la pietra che lanciai contro Golia.
E vidi la faccia del butterato contorgersi e cambiare. E piangere. E urlare. E bestemmiare e imprecare guardando in alto verso il cielo dove si erano stampati nel buio della notte i due occhi simili a fiamma.
E fu un urlo un grandissimo urlo.
E io fui pervaso di forza ed ebbi la certezza che quella forza può vincere tutto il male del mondo per quanto ammalato di bene piacere e vanità, e convinca la maggior parte della gente a farsene schiava.
Quella forza esiste ma non è per tutti.
E ora lo sapevo. La conoscevo come dono di quegli occhi venuti dall'Apocalisse.




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Published on May 04, 2021 23:03

May 3, 2021

The paradise - notes from a far-east world

 




It is a call. Nothing more than a call. A call to justice, the justice that you cannot see in this world.It is a fight between you, your instinct to life and the instinct to justice that becomes so powerful, irrepressible.This scream of justice is such a big howl that you can't suffocate it. It urges because you want justice hic et nunc. You can wait no longer.That scream perforates your night, and when you wake up it doesn't stop piercing your brain.It has become a sort of invisible blanket between the world and you. You live wrapped in that blanket.Injustice is everywhere. You breathe it, you feel it, disguised, mocking at you, laughing at you, it challenges you every moment you live in this false reality.There are moments, unexpectedly, when something inside you tries to assure you that you don't really mind so much, not so very much, after all.Justice is not the whole of a man's life.But then it comes, that thrill, it starts again that whistle drilling your mind. And you can't get over it. It is a sudden jab of red-hot wrath.
For the sake of that justice, of that red hot-hot wrath, he moved toward the convoy escorting the car and launched himself under the wheels with his jacket full.It was a big bang, whose sinister sound bounced up to the sky.And he saw the paradise.Because there is a paradise.Or at least he believed there was.

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Published on May 03, 2021 21:17

May 1, 2021

The world called Italy



A diebus autem Ioannis Baptistae usque nunc regnum caelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud
(Matteo 11,12)



I am unsure how to call it, but there is in this world called Italy a heart which is not a heart, but a spineless heart, a heart which is not used to suffer and deprive itself to gain vigour and strength but it is in any and single situation oriented to continuously please itself. A heart that is incapable to express bravery and heroism because is grounded on a natural split between feeble and flaccid vigour.
Years ago I supported a theory: what you eat decides what you are.
Italians are autoreferenziali, self-referential, because they eat food whose quality is uncomparable, without confrontation. That drew them to be self-referential, arrogant, selfish, materialistic. They made a religion of the quality, of their arrogance.
They lost themselves in this autoreferenzialità, they became shortsighted. They started living just for their selfish ego. They went completely lost in their ego made out of pleasure derived from a devilish search for quality that generated an unlimited desire for pleasure. And pleasure became their unique goal in life.
A human being is a myriad of conflicting elements within himself, swarming inside and outside begging to be released to be alive. Conflict is the real nature of a human being.
But the Italian species has not let them go but has suppressed instead, suffocated every instinct to conflict, every single conflicting element and left one, which prevailed because it was (is) daily assimilated, selected by the nature of their diet. The Quality that births pleasure. And they became pleasurist (spasmodically thrilled by the search of pleasure) and quietist, like crocodiles after eating. And the rigorous Catholic religion has degenerated and has conformed to the new religion of pleasure and quietism and has forgotten that the kingdom of heaven is taken by force.
Italians are quietist people and as quietist people do not pray, do not fast: quietist people decline suffering, pain, death and human nature.
They live in a corner. In the corner of pleasure forever-lulling into an autoreferenziale quest for pleasure. And that corner is all, all they want and hope for.
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Published on May 01, 2021 18:53

April 30, 2021

Italians







Le persone chiedono la libertà di parola per compensare la libertà di pensiero che raramente usano.(Søren Kierkegaard)



The stupidity of these folk, the Italians, consists in not having an underground life.
I am sure a few of them has read Dostoevsky, a few of them, even, has never read a book.
They completely ignore the meaning of it, just are surface.
Dull people. Dazzling sometimes but dull in the end.
I have no idea about the reasons that led me to write down these notes except that I am fed up. Disgusted by their irresponsible way of living.
They are children and less than children. They are so keen to obey. They need to obey, it is in their treacherous preposterous and servile nature to obey.
I am not Italian, even though I was born in Italy.
For many years, for long long years, I said I was Etruscan.

But now
I am confused
I am tired
I became harsh,
hurting

Those days which I was living in Italy, when I used to say that I was Etruscan, I was in their midst, I was sick as they are. I was blinded by their same sin.
They are sinners, the worst species of sick and sinner people as for laziness, slapdash behaviour.
Autoreferenziali in excess. Prone to complain about everything and everyone.
I've been living like them for more than 58 years. Now I am 66. I am about to die. Every day, every next day I may not open my eyes, I may fall on the ground, I may become sick...I am a terminal being at this stage.
But I pray.
And this is the great news I can announce to the world.
I pray, I listen and I am listened.
I try to wash away all my sins.
Day by day.
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Published on April 30, 2021 23:51

April 25, 2021

Silvano sive de iniquo iudicio

 




I Stazione.
Iniquum iudicium ille subiit. Fu un attimo. La testa girò. La luce si spense. Fu inconsapevole. Cadde per terra.
Provò a rialzarsi. Qualcosa non lo permetteva. Lo teneva inchiodato a terra. La gamba non si muoveva. Era morta.
Alzò gli occhi verso l'acquaio dove prima lavava i piatti. Dal pavimento ove era disteso, guardandolo, gli sembrò così lontano e inarrivabile.
Seppe. Seppe, che da quel giorno la vita non sarebbe più vita. Seppe, che le gambe non lo avrebbero più portato. Seppe, che non sarebbe più stato Silvano. Qualcosa di simile, forse, ma non più Silvano. Silvano era finito. E per sempre.
Domine, clamor meus ad te veniat.

II Stazione
Ave Rex noster.
Fu posto su un alto letto ut agnus mansuetus. Dopo l’ictus, attaccato alla cannula di una flebo. Un tubo di plastica fuoriusciva dalla punta del pene e terminava in una sacca, dove confluivano i liquidi torbi delle urine.
Domine, clamor meus ad te veniat.

III Stazione
Veniva pulito, rivoltato. Nettato degli escrementi che produceva. Veniva invaso pubblicamente da mani estranee che si occupavano del suo corpo, che fino a quel giorno era stato suo e solo suo. Che fino a quel giorno aveva mantenuto privato e suo.
Domine, clamor meus ad te veniat.

IV Stazione
Davanti a quel talamo alto, circondato da sponde laterali protettive, si rivelarono i molti pensieri dei cuori di chi innanzi vi passava e a lui si appressava. Al suo cospetto si rivelava il mondo come mai prima. E conobbe Silvano il cuore della gente. Quello vero. E conturbate furono le viscera sue.
Domine, clamor meus ad te veniat.

V Stazione
Fu coatto allora al suo servizio il figlio. Il Caino. L'abietto. E lo puliva imprecando. Lo nutriva urlando. Gli sedeva vicino disperando. Ma Silvano conosceva i cuori dall'alto di quel letto che lo aveva reso immacolato, e ora divenuto la croce che quel figlio aiutava a portare. E nei pochi momenti di lucida follia, amò quel figlio, che mai dormiva, che mai riposava, che viveva votato ai bisogni senza fine del suo corpo infermo.
Domine, clamor meus ad te veniat.

VI Stazione
Et Sabatina, la moglie la madre la presenza di una vita, sedeva muta sul proprio trono di spine, al fondo del letto, con gli occhi chiusi, sopiva, nel corpo ormai dormiente. Nella fine di lui riconosceva la sua. Inorridiva talora ma poi di nuovo si assopiva. Unica consolazione a cui era grata tuttavia.
Domine, clamor meus ad te veniat.

VII Stazione
E udiva bene le parole irrisorie e di compassione spicciola, perché inetto, privo dell’autorità che solo un corpo integro riceve, capace solo di voltarsi da una parte all’altra del letto, spesso immerso negli escrementi e nel sangue. Ma il Caino, il figlio empio no, non lo scherniva. Gli urlava, imprecava ma aveva l’acqua agli occhi, di franche lagrime. Ultimo spalto di sincero rispetto, di salvaguardia, sostegno e tutela, tra lui e gli empi e iniqui che al di là del letto miravano a lui come povera cosa, ormai.
Domine, clamor meus ad te veniat.

VIII Stazione
Silvano, ora confinato fra il letto e la poltrona, guardava fuori il cielo così blu che mai aveva memoria, e le colline lontane del Montalbano e piangeva. Saranno giorni pensò che non vi vedrò più, e forse sarà una fortuna.
Guardò Sabatina, assopita come sempre sull’alto trono. Il suo ventre dilatato e morto. E pensò che presto sarebbe un giorno in cui le donne saranno diverse, e la prole verrà figliata da ventri sterili e mostrerà già il marchio ricevuto in seno. E le colline e il cielo blu non avranno bellezza e tutto sarà cupo e sottratto alla volontà. Un mondo in cui l’amore e la gioia saranno vissuti nelle catacombe come bene ultimo da esperire in segreto insieme alla Parola di Dio.
Domine,clamor meus ad te veniat.

IX Stazione
Dove siete? Dove siete amici, fratelli, parenti? Mamma, babbo? Non vi ho forse amato? Scortato fino all’ultimo dei vostri giorni? E ora io giungo solo all’ultimo dei miei. Solo lei, siede, qui, davanti ai miei occhi. Solo lui, il figlio dello scandalo, mi è ancora vicino.
Il modo intero è sull’orlo di un tradimento che io non conoscerò. Almeno in questo Dio mi è benevolo.
Domine, clamor meus ad te veniat.

X Stazione
Fu nudato Silvano e posto in un letto di ospedale e legato perché ormai folle gridava e si rifiutava a quella vigilia di morte troppo prolungata.
Ma la nudità del suo corpo, uno scherzo della vita era divenuto, ormai la pudicizia più non toccava.
Ben altre piaghe erano impresse in quel vecchio cuore che ancor più palpitava di nuova gioventù nella litania infinita “Babbino! Mammina!” che neppure i farmaci sedavano.
E la sete tormentava quella povera gola.
Domine, clamor meus ad te veniat.

XI Stazione
Ai piedi del letto rimaneva solo un figlio. Quello buono. Il Caino, il figlio dello scandalo, come un gatto randagio se n’era andato. Come mai fosse esistito. Della spada che portava nel cuore nessuno se ne curava.
Sabatina, aveva ceduto prima. Ed ella non vide Silvano sottoposto agli ultimi tormenti.
Arda in pace il suo cuore che piacque a Cristo in vita e così piaccia in morte.
Domine, clamor meus ad te veniat.

XII Stazione
Ecco che muore il giusto e nessuno se ne rende conto. E gli uomini giusti sono portati via e nessuno vi fa caso. E il suo ricordo sarà nella pace.
E quando esalò l’ultimo respiro, una fiamma si accese nella stanza. E il figlio buono stupì perché riconobbe il volto della fiamma, che attimi dopo scomparve.
Silvano riposa in pace, disse la fiamma.
E sparì la fiamma.
Domine, clamor meus ad te veniat.

XIII Stazione
A che cosa ti assimilerò? A che cosa ti paragonerò, padre, figlio di un’Italia che non è più? A che cosa ti eguaglierò per portare avanti la tua memoria?
Seppe il Caino, il figlio dello scandalo, della morte, allertato da una luce che veniva dall’alto sole in un cielo blu come mai aveva memoria in quella terra straniera, in cui cercava ristoro.
Domine, clamor meus ad te veniat.

XIV Stazione
Quando corpus morietur, fac, ut animae donetur paradisi gloria.
Riposa in pace Silvano.
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Published on April 25, 2021 22:43