Alessio Brugnoli's Blog, page 88
November 10, 2019
San Martino 2019
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Da qualche anno, gli amici di Radici hanno lanciato l’abitudine di festeggiare tutti assieme San Martino, per mostrare il loro affetto per la loro terre e mostrare a tutti l’affetto per il Salento. Un’iniziativa che in un Esquilino sempre più abbandonato a se stesso e che la politica, per i suoi egoismi di casta e per i suoi piccini calcoli elettorali, vorrebbe trasformare in una sorta di campo di battaglia tra culture, svolge un ruolo importantissimo: è uno dei tanti tasselli del complesso mosaico da cui è costituita l’identità condivisa di chi ha la fortuna o sfortuna, secondo come la percepiamo, di viverci.
Processo lungo e faticoso, che è figlio dell’incessante produzione mitopoietica di simboli, i quali creano un immaginario comune e un orizzonte di memorie condivise, ossia costruiscono ponti e abbattono muri.
E anche quest’anno tengono viva la tradizione, ma a questo punto lascio la parola a loro..
APPUNTAMENTO, a partire dalle 19.00, PRESSO Radici – Pizzicheria Salentina in Via Emanuele Filiberto, 38 – ROMA per festeggiare insieme una delle ricorrenze più sentite dal popolo salentino!
19 – 22 | Si mangia, si beve e si balla! Portate i tamburelli!!
Per l’occasione serviremo MIERU (vino), RUSTICI e FOCACCE a prezzi popolari e in un’atmosfera conviviale… tra amici, come da tradizione!
Per tutti voi NEGROAMARO (rosso, rosato o spumante) e la possibilità di bere il novello BEDDU, il primo vino dell’ultima vendemmia!
Ahimé, causa dieta, non potrò dare un contributo fattivo al consumo di Miero, rustici e focacce; però un salutino, dopo la prima riunione per organizzare la festa di San Giovanni del 2020, lo andrò a fare volentieri..
Cherson, Crimea; “at the extremity of the Roman Empire”
Cherson had been a Byzantine port-city at the southwestern end of the Crimea that provided an important link to northern barbarian peoples, especially in terms of trade (e.g., furs, slaves, wax, honey, salted fish) and diplomacy.
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November 9, 2019
San Martino a Palermo
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Anche se sta cadendo nel dimenticatoio, essendo una festa legata al mondo rurale e al calendario agricolo, una volta San Martino era festeggiato a Palermo tanto quanto lo è attualmente nel Salento. Era considerato, infatti, come l’ultimo giorno dell’estate, in cui, nei mercati della città, cominciavano ad apparire i primi prodotti autunnali e in cui
“s’ammazza lu porcu e si sazza lu vinu”
Ossia, non è che la traduzione sia alquanto complicata, si ammazzava il maiale, cosa che a Roma avveniva a Santo Stefano, si preparavano i salumi che si sarebbero gustati a Natale e dalla provincia cominciava ad arrivare il vino nuovo appena spillato.
Occasione quindi per la bisboccia, tanto che il santo fu ironicamente definito dai palermitani come il patrono degli ubriaconi, che affollavano le osterie della Kalsa mangiando uova sode e “cardoni” “vruocculi” ossia cardi e broccoli fritti in pastella, il tutto accompagnato da abbondanti libagioni.
la tradizione prevedeva poi due San Martini: uno dei ricchi, quello canonico dell’11 Novembre, che gli dedicavano un lauto pranzo a base di tacchino e uno dei poveri, che per festeggiare attendevano la prima domenica successiva al giorno 11, forse per ragioni economiche legate alla scadenza della paga settimanale, che si limitavano a chiudere il loro solito pasto con
“u viscottu i San Martino abbagnatu nn’o muscatu”
ossia il biscotto di San Martino inzuppato in un vino liquoroso.
Il biscotto di San Martino, per chi non lo conoscesse, è un dolce probabilmente di origine araba, che forse condividono un antenato comune con i fekkas marocchini, confezionati con fior di farina impastata con il latte e fortemente lievitata, hanno la forma di una pagnottella rotondeggiante della grossezza di un’arancia e l’aggiunta nell’impasto di semi d’anice conferisce loro un sapore e un profumo particolare.
Ne esistono due tipi: il tricotto, croccante e friabilissimo, a causa della duplice cottura, la varietà adatta ad essere inzuppata e rasco, che è più morbido, data una sola cottura, e destinato ad essere riempito con una crema di ricotta dolce, marsala, buccia di limone e scaglie di cioccolato fondente…
The Catalan Grand Company in the Eastern Roman (‘Byzantine’) lands
The Catalan Grand Company were a soldier company of Spanish mercenaries hired by Andronikos II. They were supposed to halt the Ottoman expansion in what little was left of Byzantine Asia Minor; instead, they wreaked havoc on Byzantine territories from 1304–1309.
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November 8, 2019
Eastern Roman (‘Byzantine’) Empire, Transcaucasia and the Umayyad Caliphate
The Arab–Byzantine Wars were a series of wars between the mostly Arab Muslims and the Byzantine Empire between the 7th and 11th centuries AD. These started during the initial Muslim conquests under the expansionist Rashidun and Umayyad caliphs in the 7th century and continued by their successors until the mid-11th century.
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Pseudo-Apollodoro
di M. CAVALLI, L’autore, l’epoca, il testo della Biblioteca, in APOLLODORO, Biblioteca, Milano 2011, XIII-XVIII.
L’identità dell’autore della Bibliotecaresta enigmatica. Il nome Apollodoro ricorre per la prima volta nell’opera di Fozio, il patriarca-scrittore del IX secolo d.C., che riunì riassunti ed estratti di 279 opere da lui lette nella raccolta intitolata anch’essa Biblioteca, o Myriobiblos. Sia Fozio che le note dei copisti sui suoi manoscritti identificano dunque l’autore della Biblioteca in Apollodoro il Grammatico; gli scoliasti, poi, riportano anche la sua appartenenza geografica, ateniese: e l’unico scrittore di questo nome a noi noto è, appunto, il grammatico ateniese Apollodoro, attivo ad Alessandria e poi a Pergamo intorno alla metà del II secolo a.C., del quale purtroppo nulla ci è stato tramandato. Sappiamo, però, che tra le sue opere esistevano quattro libri di Cronache in versi, dedicati alla sistemazione cronologica di tutto il periodo compreso fra…
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Il matrimonio tra TIM e Google Cloud Platform
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Come avete notato, leggendo il blog, mi capita poco di parlare del mio lavoro; le poche volte che lo faccio, è per condividere esperienze ed eventi che reputo importanti. Uno di questi è accaduto ieri, con il memorandum di intesa tra TIM e Google Cloud Platform, che permetterà all’ex SIP di diventare
“diventare il principale player italiano nell’offerta di servizi di Cloud ed Edge Computing”.
Notizia che il buon Li er barista, che in fondo non ha mai capito come mi guadagno lo stipendio, ha commentato con un
“E mo che c’entrano li telefoni co’ li motori de ricerca ?”.
Nonostante la tentazione di prenderlo a randellate in capo, la sua battuta è indicativa del fatto che sia poco nota la centralità di TIM nel mercato dell’IT italiano.
L’ex SIP ha una pervasiva rete di Data Center, da Palermo a Torino, alcuni, come Acilia, all’avanguardia in Europa; è leader di mercato in Italia nei servizi cloud alle imprese, con oltre 20.000 clienti di cui oltre 16.000 in SaaS (Software as a Service) e oltre 5.000 in IaaS (Infrastructure as a Service) ed è leader EMEA nei servizi Multi Cloud.
In più è all’avanguardia sia nell’Edge Computing, sia nell’ambito della progettazione e realizzazione di Software Defined Data Center: ora, TIM non farà pubblicità sull’IT patinate come quella della concorrenza, ma di business, competenza ed esperienza sul tema ne ha a iosa.
Personalmente, tutte queste cose le ho viste, crescere e maturare: probabilmente, lo dico senza falsa modestia, sono stato tra i primi, quando per le imprese italiane il Public Cloud era visto come l’araba fenice di Metastasio
che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa.
a comprenderne e sfruttarne le potenzialità. Perchè il Public e Private Cloud non sono tra loro antitetici, ma l’uno completa e integra l’altro.
E’ proprio questa la filosofia di base di tale partnership, che permetterà a TIM di ampliare e arricchire la sua offerta e di costuire tanti nuovi Data Center all’avanguardia e a Google di ampliare i suoi servizi nell’ambito dell’Hybrid Cloud e dell’Edge Computing e di sfruttare a pieno le potenzialità offerte dal 5G.
November 7, 2019
Pecore elettriche e Narcocittà…
L’incendo della Pecora Elettrica, in cui anni fa presentai un fumetto di Mauro Sgarbi, libreria che ha tutta la mia solidarietà e che spero ritorni presto a essere il faro della cultura che era, alla faccia di chi gli vuole male e cerca di mettergli i bastoni tra le ruote, è l’occasione per qualche piccola riflessione su cosa sta diventando Roma.
Per usare uno slogan che sta andando parecchio di moda in questi giorni
Roma non è Gotham
La maglia nera per numero di reati denunciati nel corso del 2018 spetta Milano, che con 7.017 denunce ogni 100mila abitanti mantiene questa leadership poco lusinghiera, registrando però un calo (-5,2%) rispetto all’anno precedente, in linea con il trend nazionale. Subito dietro: Rimini e provincia, con 6. 430 reati denunciati, e Firenze, con 6.252 denunce e, questa volta, un +9,5% rispetto a quelle depositate nel 2017.
Roma però è di certo una delle capitali della droga in Europa: nel 2018 i reati legati alla sua produzione, traffico e spaccio sono aumentati del 10,9% rispetto a quanto registrato nel 2017, pari a 5.105. Ovviamente, questi sono quelli identificati dalle forze dell’ordine o denunciati, ossia la punta dell’iceberg.
Per dare una misura del fenomeno, sempre nel 2018 sono stati sequestrati 4.200 chili di droga, di cui 2.004 di hashish, 1.813 di marijuana, 378 di cocaina e 53 di eroina. Inoltre, secondo i dati dell’Osservatorio per la Legalità del Lazio, tra il luglio 2017 e il giugno 2018 ci sono stati 965 indagati per associazione a delinquere finalizzate al traffico di stupefacenti.
Insomma, ha ragione Saviano, quando afferma
A Roma la droga si vende, a Roma la droga serve per comprare attività commerciali, a Roma la droga serve per costruire case. Roma è diventata una narcocittà.
Tutto ciò è dovuto a una crescita, dal 2000, quasi esponenziale della domanda, favorita anche dai prezzi modici delle dosi: dai 5 ai 10 euro per un paio di ‘canne’, ai 50 euro per fare una ‘serata da sballo’ con gli amici a base di hashish e marijuana. Anche per cocaina, crack e eroina c’è la possibilità di acquistare dosi per tutte le tasche, dai cosiddetti ‘ventini’ (equivalente di 20 euro per uno 0,2 di sostanza stupefacente), sino a 50 e 80 euro (equivalente di 0,8 o 1 grammo di sostanza stupefacente). Lo stesso vale per le droghe chimiche, acquistabili a prezzi variabili dai 10 ai 30 euro.
Come conseguenza, la malavita legata allo spaccio ha due diverse esigenze: da una parte incrementare il suo controllo del territorio, per creare dei discount degli stupefacenti, come ad esempio Piazza Vittorio all’Esquilino, dall’altra investire il relativo flusso di denaro.
E Centocelle si presta a entrambe le cose: a sentire gli amici che vi abitano, c’è in corso il tentativo, da parte degli spacciatori, di estendere lo storico supermarket dell’eroina presente nel Parco Don Cadmo Biavati, che funzionava anche quando ero ragazzo, a via delle Palme.
Per fare questo, però, devono interdire la strada a chi non è un potenziale cliente: per cui hanno bruciato i locali aperti sino a tardi, la Pecora Elettrica e la pizzeria Cento55, a poche decine di metri dalla libreria, il cui incendio, avvenuto il 9 ottobre, non ha avuto nessuna visibilità mediatica e danneggiato illuminazione e vetrine di tanti altri negozi.
Al contempo la Centocelle attuale è ben diversa da quella ribelle degli anni Settanta, con la droga girava a fiumi, a Piazza dei Mirti girarono alcune scene di Amore Tossico, con il trionfo della controcultura, vi nacque il punk romano, e con le sedi dei collettivi e dei gruppi della sinistra extraparlamentare: Lotta Continua, Avanguardia Operaia, gli autonomi, gli anarchici e un paio di covi delle BR. In cui nelle case c’erano negozi clandestini di vestiti rubati o stamperie in cui si falsificava di tutto, dalle monete di stati africani alle lauree.
Lo è anche da quella pigra, paciosa e piccolo borghese della mia giovinezza: a causa della metro C e della gentrificazione, è vista, assieme all’Alessandrino, come uno dei potenziali quartieri trendy di Roma, una sorta di nuovo Pigneto. Se l’avessi affermato trent’anni fa, mi avrebbe preso per matto…
I prezzi della case e dei negozi crescono ogni giorno di più e possono esere una buona occasione per riciclare il denaro sporco; per fare questo, bisogna cacciare in ogni modo i vecchi proprietari e residenti…
Questa chiave di lettura, però, non esclude la pista fascista, anzi… Perchè a Roma, malavita e politica sono andate sempre a braccetto. Da una parte, i vari demagoghi e trafficoni locali non si sono mai fatti scrupoli di usare la malavita come longa manus per raggiungere i loro scopi, dall’altra per giustificarsi e autoassolversi, ha sempre avuto una colorazione ideologica e politica, consistente con ciò che nelle periferie veniva identificato come opposizione al sistema dominante.
Ai tempi di Crispi e Giolitti ciò coincideva con l’anarchismo; durante il fascismo, con il marxismo. Nonostante la ricostruzione propagandistica che ne fece il PCI negli anni Sessanta, l’ossatura della Resistenza Romana fu costituita da scomodi personaggi borderline, marginalizzati e qualche volta eliminati fisicamente nel Secondo Dopoguerra.
Dagli fine anni Settanta in poi, dai tempi della Banda della Magliana, il Neofascismo…
Writing in Neolithic Europe; an Aegean origin?
For many years the earliest writing was assumed to have originated in Uruk, in Sumeria, Mesopotamia c. 3100 BC. Evidence from Egypt has now dated writing to c. 3400-3200 BC, while evidence from the Indus Valley suggests a date of 3500 BC for the development of writing there.
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Ecateo e i sacerdoti egizi (Hdt. II 142-144)
di ERODOTO, Storie, volume primo (libri I-II), a cura di F. CÀSSOLA, A. IZZO D’ACCINI, D. FAUSTI, Milano 2008, pp. 484-487; commento di M. CAVALLI, Introduzione a APOLLONIO, Biblioteca, Milano 1998, p. IV.
Racconta Erodoto che un giorno lo storico Ecateo, durante una dotta discussione con i sapientissimi sacerdoti egiziani di Tebe, si vantò di discendere da un dio nella persona del suo sedicesimo antenato. I sacerdoti si guardarono l’un l’altro sorridendo: credeva dunque, quel Greco ingenuo e spocchioso, che bastassero cinquecento anni o poco più, perché un essere mutasse radicalmente la propria natura? Con la consueta gentilezza, invitarono allora Ecateo a entrare nel tempio, e gli mostrarono una grande meraviglia, trecentoquarantacinque colossi di legno raffiguranti ognuno un sommo sacerdote, la cui carica era da sempre trasmessa di padre in figlio. Neppure uno di essi, gli spiegarono, era mai stato un dio o un eroe: troppo pochi undicimila anni…
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