Alessio Brugnoli's Blog, page 166
December 18, 2017
Alessandro Ricci,ehm medico
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Giornata intensa oggi: Manu è ufficialmente guarita dalla lussazione alla rotula e il mio pappagallo ha superato la visita di controllo dal veterinario Così, per festeggiare, riprendo la tradizione delle biografie dei potenziali personaggi dei romanzi steampunk italiani, interrotta ieri per le mie considerazioni su Gli Ultimi Jedi.
La mia vittima di oggi è uno dei comprimari, poco conosciuto, di Belzoni, Drovetti e Rosellini. Si tratta del senese Alessandro Ricci, presunto medico e grande disegnatore di antichità egizie
Di Alessandro, figlio di uno scalpellino di origine fiorentina, Angelo Ricci, e di Rebecca Gabrielli, non sappiamo neppure la data di nascita: il 1795 è una data tirata a caso da un suo biografo del 1930.
La stessa laurea in medicina, potrebbe essere una balla inventata da Alessandro per riempirsi lo stomaco in Egitto: l’Università di Siena, dove avrebbe compiuto i presunti studi, è chiusa da Napoleone nel 1808. A sedici anni, Alessandro è troppo giovane per avervi terminato gli studi; dato che le cronache locali lo ignorano, non possiamo neppure ipotizzare che fosse un giovane prodigio. In più questo percorso formativo, non spiegherebbe per nulla le sue doti di disegnatore e di artista.
Comunque sia, in una data imprecisa tra il 1811, in cui pare essere morto il padre e il 1818, dove abbiamo, grazie a Belzoni, la testimonianza certa della sua presenza in Egitto, Alessandro lasciò Siena, per andare in giro per il mondo. Almeno così racconta il Romagnoli, che cito testualmente,
dopo la morte del padre si pose a viaggiare abbenché poco fornito di fortuna
Dove sia stato, non si sa. Si ipotizza che sia arrivato ad Alessandria nel 1817 e che possa essere il medico italiano capace di curare a forza di purganti il poligrafo e viaggiatore inglese Thomas Robert Jolliffe.
Come dicevo, Alessandro uscì dall’anonimato grazie a Belzoni, che cercava un disegnatore per la sua nuova spedizione finanziata da Salt: mestiere che all’epoca in Egitto era poco diffuso. Belzoni, dopo essersi fatto la punta al cervello, grazie a Pietro Caretti, un romano, personaggio alla Totò, che si atteggiava a martire del Libero Pensiero, ma era cacciato a pedate dal Papa Re per la sua abitudine di falsificare male le monete pontificie, che campava facendo l'”intermediario”, ossia mollando sole a destra e manca, salvandosi dall’impalamento solo perché Mohammad Alì lo aveva in simpatia, conobbe il nostro senese.
E così, nonostante lo scetticismo iniziale di Belzoni, nel 1818 Alessandro fu aggregato alla spedizione finanziata da Salt (che ancora non ho capito se fosse il fesso di turno, se avesse una fortuna incredibile, oppure avesse un incredibile genio nello scovare le doti nascoste delle persone) e raggiunse Tebe, dove per nove mesi copiò scene e testi geroglifici della tomba di Seti I (KV17), scoperta appena l’anno prima dallo stesso Belzoni, cavandosela meravigliosamente e lasciando il padovano a bocca aperta.
Al suo ritorno a Londra (1820), Belzoni, oltre a pubblicare il resoconto delle sue spedizioni in un volume riccamente illustrato con tavole di Ricci (Narrative of the operations and recent discoveries […], London 1820, pls. II-III, VI-VIII, XIII, XV, XVII; Salvoldi, 2009, p. 114) che fecero la lor porca figura, organizzò anche un’esposizione con i reperti raccolti nella campagna d’Egitto e numerosi disegni e acquerelli del presunto medico senese, oggi suddivisi tra il British Museum e il Bristol Museum.
Nel corso di questa prima spedizione, le perlustrazioni di Alessandro si spinsero fino a Berenice, città sulla costa appena scoperta dal mineralogista Fréderic Caillaud. A causa di un litigio con Belzoni, accusato di aver rubato alcuni suoi disegni, Ricci decise di tornare al Cairo e abbandonare la missione, a cui parteciparono anche Salt, l’archeologo greco Demetrio Papandriopulo, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Giovanni d’Athanasi, e il segretario del consolato britannico Henry William Beechey.
Nell’ottobre del 1818, Ricci partì per una nuova perlustrazione della valle del Nilo, organizzata da Salt e dal viaggiatore ed egittologo inglese William John Bankes. In compagnia di Louis Maurice Adolphe Linant de Bellefonds, al servizio di Mohammed Ali, del ciambellano prussiano Sebastian Albert Freiherr von Sack e altri esploratori, Ricci si spinse fino all’alta Nubia raggiungendo la terza cateratta del Nilo e segnatamente l’isola di Meroe. per poi giungere fino a Mograkka, da cui dovettero rientrare in Egitto a causa dell’ostilità del governatore, che impediva a qualsiasi viaggiatore di proseguire verso sud.
Il suddetto governatore, era tra l’altro uno dei grandi cialtroni dell’epoca: Agapito Libianchi, nato a Palestrina, scappato da Roma, inseguito dalla tre presunti mogli che aveva finto di sposare per carpirne la dote, venditore di tappeti a Istanbul, guaritore, convinto che il petrolio fosse la cura per ogni male, a Gerusalemme, finto santone musulmano al Cairo: Mohammad Alì, per toglierselo dalle scatole, lo aveva
spedito in Sudan, dove taglieggiava senza ritegno i mercanti locali, inventandosi tasse d’ogni tipo e non spedendone i proventi ad Alessandria.
Non fidandosi della natura “archeologica” della spedizione di Salt, considerandola come un tentativo di Mohammad Alì di riprendersi il maltolto, Agapito voleva sbattere tutti in prigione, per poi gettare la chiave nel Nilo. A quanto pare, fu Alessandro, grazie anche a un convulsa partita a Tarocchino Bolognese e all’impegno a ritrarre tutte le donne dell’harem di Libianchi, che le cose non si misero al peggio.
Nonostante questi inconvenienti, le splendide tavole di Alessandro, i suoi rilievi e appunti sono fondamentali per l’archeologia, perché descrivono monumento che sempre il buon Agapito, in vecchiaia deciso a diventare cacciatore di tesori, fece distruggere dopo il passaggio della spedizione, per rivenderne i pezzi ai collezionisti europei: i templi di Amenhotep III e Ramesse II a Elefantina (distrutti nel 1822) e il tempio di Montu e Rattaui ad Armant, il tempietto di el-Hilla (distrutto nel 1828).
Tornato al Cairo il 30 maggio 1819, Alessandro ottenne da Bankes l’incarico di copiare i rilievi delle tombe di Beni Hassan, che non portò mai a termine; con quello che aveva passato in Sudan, non gli si poteva dare torto… Per cui, con massimo della faccia tosta, si propose come medico personale di Salt, il quale, santo subito, accettò. Dopo un annetto, però, l’inglese, buono sì, scemo no, si rese conto come il rapporto di Alessandro con la medicina era perlomeno conflittuale e stanco di essere purgato, consigliò al senese di tornare a fare l’esploratore.
L’occasione venne per la decisione di Mohammad Alì di distruggere lo stato integralista islamico che era nato all’oasi di Siwa. Così Alessandro si aggregò alla spedizione militare, comandata da Hassan Bey, da Drovetti e dal il viaggiatore originario di Saravezza, Ermenegildo Frediani, altro personaggio da romanzo; non sparò neppure una schioppettata, ma in compenso iniziò così una capillare ricognizione dell’area e in particolare del tempio che ritenevano di Giove Ammone, visitato da Alessandro Magno.
Nel settembre dello stesso anno, con l’amico Linant, per quattro mesi e mezzo Ricci percorse la via dei pellegrini in cammino verso il Sinai, visitando Maghara, Wadi Sidri, Wadi Mukattab, il monastero ortodosso di S. Caterina e il Monte Sinai. Testimonianza di questo viaggio sono numerose iscrizioni e disegni oggi conservati a Kingstone Lacy tra le carte di Bankes.
Nel 1821, Mohammad Alì decise di mettere ordine nel Sudan: per cui organizzò una spedizione militare, comandata dal figlio Ibrahim, con lo scopo di costringere all’obbedienza le riottose tribù locali. Alessandro, dato il suo rapporto con Agapito, che poteva essere un utile mediatore con i locali, fu di fatto aggregato a forza e senza paga: per sua fortuna, intervenne il buon Pietro Caretti, che in cambio di una lauta percentuale sulla paga, lo fece assumere del barone tedesco Johann Heinrich von Minutoli, incaricato dal re prussiano Federico Guglielmo III di esplorare l’Egitto. Barone che, per semplificarsi il lavoro, aveva avuto la splendida idea di proporsi come consulente militare per Ibrahim Pashà.
Questa Armata Brancaleone, grazie ad Agapito, non si infilò in particolari guai: solo che, all’altezza della confluenza fra il Nilo Bianco e Nilo Azzurro, il medico ufficiale della spedizione, l’archiatra e protomedico Antonio Scotto, ebbe un coccolone: così, Alessandro si ritrovò all’improvviso nominato medico ufficiale di Ibrahim Pashà, il quale ebbe pure l’impudenza di ammalarsi a Sennakar, costringendo i nostri eroi a ritornare in Egitto.
Alessandro sudò freddo per tutto il viaggio, però, più per la sua fibra che per le cure del senese, Ibrahim si salvò. Così, Mohammad, grato, coprì l’ehm medico italiano d’oro. Alessandro passò i successivi mesi a Giza e a Saqqara per copiare alcuni rilievi epigrafici; il 28 novembre decise di tornare in Italia, per godersi i soldi guadagnati nelle sue avventure, dove giunse per il Natale del 1822. Trasferitosi a Firenze nella casa paterna in via S. Gallo, il medico senese espose la sua cospicua collezione: una sorta di piccolo museo egizio che attirò l’attenzione anche di Jean-François Champollion.
Nel corso del suo soggiorno toscano, il francese incontrò Ricci, incitandolo a pubblicare un giornale di viaggio. L’idea del resto era stata maturata dallo stesso Ricci già al tempo del suo soggiorno egiziano. In una lettera inviata a Patrizio Rontani il 13 novembre 1819, Ricci aveva illustrato il progetto all’amico (Sammarco, 1930, p. 151). Alla ricerca di un mecenate, nel 1827, Ricci si recò alla volta di Parigi da Champollion e lasciò all’archeologo francese Jacques-Joseph Champollion, detto Champollion-Figeac, «un manoscritto di circa 200 pagine con annessi disegni relativi al suo primo viaggio in
Egitto e al Monte Sinai, con la verbal convenzione tra loro di pubblicarli a tempo opportuno» (lettera di Ippolito Rosellini a Neri Corsini del 6 giugno 1836, in Sammarco, 1930, pp. 40-42). Nonostante i molteplici tentativi condotti da Ricci, tuttavia, il giornale non vide mai la luce.
Il manoscritto sembra essere perduto finché nel 1928 Ernesto Verrucci, architetto di re Fuad I dell’Egitto, trovò il manoscritto in una libreria antiquaria al Cairo: lo comprò e lo segnalò allo storico dell’Egitto Angelo Sammarco. Tuttavia, alla morte di entrambi, se ne persero di nuovo le tracce, finché nel 2009, fu ritrovato di nuovo a Pisa.
Data la sua esperienza, Alessandro fu lautamente pagato dal Granduca di Toscana per partecipare alla spedizione di Roselli; esperienza non certo positiva, dato che fu punto sul tallone da uno scorpione. Al ritorno in Italia, Alessandro venne incaricato da Rosellini di promuovere i risultati della spedizione in Germania e in Inghilterra, al fine di favorire il finanziamento dell’opera attraverso una pubblica sottoscrizione. Nello specifico sappiamo con certezza che nel maggio del 1831 era a Dresda, con parte della sua collezione di antichità egizie; circa trecento pezzi vennero acquistati per conto dello Stato tedesco, quasi tutti confluiti nel Museo Albertinum della città nel 1894.
Rientrato in Italia, Alessandro si dedicò alla bella vita, ma ahimè si ammalò gravemente di sifilide e venne ospitato dal pittore Giuseppe Angelelli, con il quale aveva condiviso l’esperienza franco-toscana; Gino Capponi venne nominato suo curatore. Fu quest’ultimo a proporre l’acquisto della collezione di Ricci a Leopoldo II in cambio di 1500 lire e di un vitalizio. La collezione Ricci è oggi visibile presso il Museo Egizio di Firenze, compresi 150 disegni raffiguranti rilievi epigrafici ricondotti alla sua mano
December 17, 2017
Gli Ultimi Jedi
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Diciamola tutta: la trilogia originaria di Star Wars non era che una grande, nobile traduzione in immagine delle fiabe delle nostra infanzia.Vi era il cattivone che si redimeva, la principessa, il cavaliere, l’aiutante truffaldino: proprio grazie a questi meme, che sono scritti a lettere di fuoco nel nostro subconscio, ne siamo così affezionati.
Perché, in un certo modo, rinarra le componenti basilari della strutture cognitive con cui reinterpretiamo il mondo. Il grosso problema, però, è stato il poi: con che registro, posso continuare a narrare le storie di quell’immaginario, senza cadere nel banale ?
Nella trilogia di Anakin e in Rogue One si è scelto il linguaggio della tragedia, intesa come lotta dell’Uomo contro il Fato, che risulta, nonostante gli sforzi dei protagonisti, colui che vince sempre. Noi, come gli ateniesi che assistevano ai loro tempi alle vicende di Edipo e degli Atridi, sappiamo per il nostro patrimonio di “Cultura Pop” come le vicende andranno a finire: i Jedi cadranno, Skywalker si convertirà al lato oscuro, Jyn Erso morirà nel consegnare i progetti della morte nera. Eppure non possiamo, per quella che nonno Aristotele chiamava catarsi, soffrire con loro, nel vedere, nonostante i loro sforzi, l’ineluttabilità del loro destino.
Nella nuova trilogia, si è deciso di scegliere un linguaggio ancora diverso, quello del romanzo: i personaggi non sono monolitici e predefiniti, ma si costruiscono ogni momento, con le loro scelte e i loro errori.
Ciò li rende ambigui, pieni di dubbi, paure e incertezze: in poche parole, umani, vittime di un perenne, irrisolto conflitto.. E il registro predominante è l’ironia, che non solo fare battutine alla Guardiani della Galassia, che abbondavano anche nella trilogia originaria, ma ormai siamo troppo vecchietti per rendercene conto…
E’ la sensazione strana che si ha, passati i titoli di coda, che le vicende siano diverse da come siano state descritte sullo schermo e che alle domande che ci siamo posti durante il film siano state date risposte fuorvianti.
E che in fondo, come dice bene il finale, la Forza scorre dove vuole, al di là delle divisioni artificiali messe su da Jedì e Sith.
Proprio in questa sorta di dubbio cartesiano, in cui vi ha l’impressione che il non detto prevalga sul mostrato, vi è il fascino de Gli Ultimi Jedi…
Dicembre 2017 : il punto sui restauri del cd. Tempio di Minerva Medica
Terminati restauri all’interno del monumento dalla parte di via Giolitti è partito l’ennesimo lotto che riguarda il restauro delle absidi e delle arcate dalla parte opposta.
Come si evince dal cartello l’inizio dei lavori è stato fissato per il 02/11/2017 e avrà una durata complessiva di 240 giorni. Quindi per maggio 2018 si dovrebbe porre la parola fine ai lavori di restauro, ripristino e messa in sicurezza del monumento. 
Abbiamo utilizzato il condizionale per diversi motivi: in primo luogo non conosciamo lo stato della parte esterna situata dal lato delle linee ferroviarie che partono e arrivano alla Stazione Termini e quindi non possiamo affermare se sono stati eseguiti già dei lavori oppure è necessario un ulteriore bando di gara per un altro lotto, e poi se, come tutti auspichiamo, venisse presa la decisione di riaprirlo al pubblico c’è assolutamente bisogno di creare un arredo interno (giardini, viali, alberi e box…
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December 16, 2017
Buone Feste dall’Esquilino (e da Le Danze di Piazza Vittorio)
Come è tradizione dal 2009, stamattina, intorno a 12.30, gli abitanti del rione Esquilino si sono radunati per lo scatto della grande foto collettiva, al centro del Giardino di Piazza Vittorio, con cui facciamo i nostri auguri di buone feste al resto del Mondo, abitato da coloro che non sono così fortunati da abitare tra via Merulana e via Giolitti.
Oggi è il giorno del nostro orgoglio: già, possiamo avere una caterva di problemi, i politici ci possono prendere a pesci in faccia e i media dire peste e corna delle strade e piazze dove abitiamo, ma noi siamo fieri di vivere nell’Esquilino e nulla e nessuno può toglierci questo vanto e questa baldanza.
Perché viviamo in un luogo che è lo specchio del mondo, dove, qualsiasi sia la tua cultura, la tua religione e la tua origine, finirai sempre a prendere un gelato da Fassi e in cui, tra tolleranza, baristi cinesi che hanno chiuso il locale per andare al funerale di Lando Fiorini, imam fan di Califano e scontri di civiltà per un’ascensore, si da uno sguardo a quello che potrà il futuro dell’Italia, che magari sarà imperfetto, ma di certo non noioso.
E le Danze di Piazza Vittorio, raccontano, con la musica e il ballo, questo orgoglio di essere esquilini. Il non avere mai paura di rimettersi in discussione e imparare dall’altro
Il rimboccarsi le maniche e fare qualcosa, anche minima, per rendere il mondo un posto un poco migliore.
La voglia che abbiamo di fare casini e di divertirci, per goderci ogni istante di quel dono inaspettato che chiamiamo vita… Anche per questo, anche noi, con le nostro far caciare, vi auguriamo Buone Feste… Che possiate essere felici, dare il giusto peso alle cose e alle persone e riempire d’amore ogni istante…
Annihilation: il nuovo inquietante trailer
Annihilation (Annientamento), il film tratto dal tratto dal romanzo di Jeff VanderMeer, dopo il primo trailer che vi abbiamo fatto vedere di recente, ne ha adesso uno nuovo che ne illustra meglio – per chi non avesse letto il romanzo – la storia. Annihilation, diretto da Alex Garland (Ex Machina), porterà sullo schermo il primo libro della trilogia di successo dell’autore statunitense. A parte Natalie Portman, che ricoprirà il ruolo di attrice principale, ci saranno anche Tessa Thompson, Cosmo Jarvis e Gina Rodriguez. Il film sbarcherà nei botteghini americani il 23 febbraio 2018. Non si conosce ancora la data italiana. Buona visione!
December 15, 2017
Attarsiya di Ahhiyawa
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Chiusa la parentesi delle polemiche politiche, torno a parlare della tarda età del bronzo , descrivendo la prima figura, affascinante figura che possiamo associare al mondo elladico, Attarsiya di Ahhiyawa, le cui gesta, risalenti al 1450 a.C. contemporanee al periodo di apogeo di Iklania e alla tomba del Grifone di Pilo, sono purtroppo conosciute solo dalle fonti Ittite.
Per comprendere bene questa figura, dobbiamo fare un piccolo excursus storico sull’epoca. Il gran re ittita Tudhaliya (che per la sua strana abitudine di replicare più volte la cerimonia di incoronazione, ha provocato più di un mal di testa agli archeologici, che per anni hanno attribuito il suo regno a due persone differenti) dopo avere fatto pulizia degli altri pretendenti al trono, ad Hattusa la successione si regolava in modo analogo a Games of Throne, come tradizione delle sua dinastia, sogna l’espansionismo in Siria: i ricchi principati della zona e lo sbocco sul Mediterraneo sono troppo appetibili.
Il problema è che per poter intraprendere una qualsiasi campagna di conquista, deve prima rendere sicure le altre frontiere: nelle Terre Alte, nell’Anatolia Pontica, vi era il problema dei Kaska, che praticavano la transumanza verticale e i cui pascoli coincidevano con la principale area fornitrice di orzo degli ittiti, sempre a rischio carestia. Difenderla dai vicini e dalle loro pecore, era quindi una necessita vitale per Hattusa.
Nelle Terre Basse, prossime all’Egeo, vi era la cosiddetta area Arzawa. I luvi che l’abitavano erano divisi in tanti staterelli, in perenne guerra tra loro: il che rendeva insicura la diramazione della via dello Stagno diretta in Anatolia, mettendo così in crisi la produzione di bronzo degli Ittiti. Ancora peggio, se qualcuno dei tanti staterelli avesse preso il sopravvento: in tale caso, si sarebbe espanso ai danni degli Ittiti. L’unico modo per venire a capo di questo manicomio era di imporre ai luvi dei capi che fossero vassalli fedeli di Hattusa
Tudhaliya, dopo avere trovato un accomodamento diplomatico con i Kaska, decide di intraprendere una vigorosa azione preventiva contro i Luvi invadendo i territori dell’ovest, con una serie di attacchi devastanti; le armate ittite giungono sino alla Terra del fiume Seha, ad Arzawa Minor e ad Hapalla. In più, per rafforzare la situazione, organizza una deportazione di massa ad Hattusa di uomini ed animali.
La devastante offensiva ittita scatena la poderosa reazione: 22 stati dell’Ovest (tra i quali troviamo Wilusa, la Troia omerica) danno vita a quella che gli annali del sovrano chiamano lega Assuwa, contrattaccando; ma ancora una volta, con un drammatico assalto notturno, le forze hanno la meglio, sconfiggendo la lega e catturandone il leader Piyama-Kurunti.
Poi, a scanso di equivoci, Tudhaliya, anche per tenerli lontani da Hattusa e dalla tentazione di complottare contro di lui, impone come re ai vari staterelli luvi i suoi parenti: uno di questi dovrebbe essere Madduwatta che, secondo varie ipotesi, dovrebbe essere il figlio o nipote Muwa, capo delle guardie reali (Gal Mesedi) del precedente re Muwatalli I; Muwa, con l’appoggio Hurrita, aveva cercato di sottrarre il trono allo stesso Tudhaliya, ma era stato sconfitto in battaglia.
Così sia toccato a Madduwatta non si è ancora ben capito, ma a rigore di logica, doveva essere ben lontano da Hattusa e sul mare. E li sarebbe stato dimenticato, se non fosse apparso nella storia il buon Attarsiya. Di lui sappiamo che era acheo. Le fonti ittite non lo definiscono Lugal, Gran Re, ma governante, il che lascia aperte tante ipotesi. All’epoca esisteva già lo una sorta di stato miceneo unitario, qualsiasi sia stata la sua organizzazione, ma non aveva ancora sufficiente prestigio internazionale per avere tale riconoscimento diplomatico ? Oppure Attarsiya era a capo solo di una porzione della Grecia, ancora non identificata ?
In ogni caso, è in grado di mettere in piedi una numerosa flotta e un esercito agguerrito, che le tavolette di Hattusa, forse usando una cifra simbolica, quantificano di 100 carri e 10000 fanti. Attarsiya, dopo avere sottomesso Mileto e imposto un tributo ai Lukka, i Lici, conquista il regno di Madduwatta, il quale, vista la malaparata, se ne va in esilio da Tudhaliya. Il re ittita a quanto pare, non ha voglia di combattere gli Achei, li considera poco più che una scocciatura e visto che i luvi stanno sfuggendo al controllo, decide di nominare Madduwatta re del paese del Monte Zippasla, in modo da costituire uno stato cuscinetto tra loro e il regno Ittita.
Madduwatta, invece di starsene buono e tranquillo, decide di approfittare del caos luvio e invade Arzawa, tradendo i patti stipulati con Tudhaliya : non l’avesse mai fatto… Piyama-Kurunti, da guerriero indomabile, non solo sconfigge il suo esercito, ma invade il paese del Monte Zippasla, mettendolo a ferro e fuoco. Tudhaliya, vedendo in pericolo le Terre Basse, a malincuore è costretto a intervenire, sconfiggendo per l’ennesima volta i luvi, reinstallando Madduwatta come regnante nella zona.
Di questa guerra intestina, ne approfitta Attarsiya, che non solo saccheggia con equanimità i territori luvi e hittiti, ma incrementa a dismisura le sue conquiste, occupando sia il regno di Dalawa, sia il paese del Monte Zippasla, cacciando per l’ennesima volta Madduwatta. Tudhaliya, visto che la situazione sta sfuggendo di mano, decide stavolta di intervenire, mandando un esercito guidato dal generale Kisnapli. Ora, nonostante le fonti ittite cerchino di minimizzare la questione, citando la morte di Kisnapli e del suo braccio destro Zidanza, come se avessero perso un duello, è probabile che l’esercito di Hattusa subisca una clamorosa sconfitta.
Il dolore fa morire Tudhaliya di crepacuore e gli succede il figlio Arnuwanda che deve affrontare una situazione complicatissima: i Kaska rinnegano i trattati stipulati con il padre, in Siria le sue truppe sono in difficoltà per l’offensiva hurrita e i luvi si ribellano per l’ennesima volta.
In questo frangente, Madduwatta fa un clamoroso voltafaccia: riconosce un tributo a Attarsiya, che gli restituisce il possesso di Zippasla e gli cede metà del regno di Dalawa. Però Arnuwanda, vista la situazione difficile, chiude un occhio e gli chiede di intervenire contro il regno ribelle di Hapalla: cosa che Madduwatta fa senza troppi problemi, ma invece di consegnare la sua conquista al regno Ittita, se la tiene per sé, provocando le vibranti proteste di Arnuwanda.
La minaccia di una guerra, costringe Madduwatta a cedere alla richiesta, ma il re di Zippasla, per ripicca, passa al nemico, dando come moglie a Kupanta-Kurunta, il nemico giurato degli Ittiti, la propria figlia, cercando così di rafforzare la propria posizione.
Così Madduwatta, Kupanta-Kurunta e Attarsiya formano un’alleanza e da buoni compari, negli anni successivi si spartiscono Arzawa, togliendola dal controllo ittita. Per di più, Attarsiya, che forse controllava già il commercio del rame sardo e dello stagno nel Vicino Oriente, decide di compiere un colpo gobbo. Per controllare tutto il commercio delle principali materie prime dell’età del Bronzo, con Madduwatta e i vassalli Lukka, invade il regno di Alysia, la nostra Cipro, conquistandola e appropriandosi delle sue miniere di rame.
Questo successo, che testimonia come l’acheo sia mossa da una sorta di disegno geopolitico, approfittare del caos anatolico per controllare il mercato del bronzo e quindi puntare un coltello in gola alle potenze del Vicino Oriente, però ha vita breve…. Dopo pochi anni, Attarsiya muore in circostanze misteriose e il caos che si scatena nei territori da lui conquistati, permette la controffensiva hittita…
December 14, 2017
Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perché con questa spada vi uccido quando voglio
Senza falsa ironia, sono rimasto affascinato dalla reazione di alcuni elettori grillini alle mie riflessioni sul buon vecchio Spelacchio, lette e non capite; vedere un’orda di esagitati farsi in quattro per insultare un perfetto sconosciuto che non la pensa come loro, beh, è uno spettacolo degno di un romanzo di Ballard.
E poi, diciamola tutta, nel loro tentativo di offendermi, non è che abbiano brillato per originalità: buffone, mentecatto, coglione… Insomma, sono epiteti sentiti mille volte, testimonianze, per essere lombrosiano, di una fantasia arida e di un intelletto mediocre.
Qualche domanda, però, sono costretto a pormela. Se i lor signori sono convinti delle loro convinzioni, ossia che la Roma della Raggi sia il migliore dei mondi possibili, come mai si inalberano per il fatto che qualcuno esprima un’opinione diversa dalla loro ? Bastano davvero così poche parole, per mettere in crisi le loro convinzioni e farli reagire come cani rabbiosi ? Quanta insicurezza vi è nascosta dietro il loro squadrismo mediatico ?
Poi, i vostri genitori non vi hanno insegnato il principio di responsabilità individuale ? Ossia che le colpe degli altri non giustificano le proprie ? Faccio un esempio paradossale: ipotizziamo che domani decida per fare fuori un mio collega, venga arrestato e dinanzi alla giusta critica al mio delitto, me ne esca con
“Sì, ma Pol Pot ha ammazzato qualche milione di cambogiani”
Mi prendereste per imbecille: ebbene io considero allo stesso modo chi usa come alibi il malgoverno delle scorse amministrazioni, per giustificare il proprio
Infine, come mai avete così paura della matematica ? Mi spiego, se mi date dell’ignorante dato che ritengo il costo per la messa in opera di Spelacchio troppo elevato e vi chiedo di rendermi edotto sul perché sia giusto che si sia triplicato rispetto all’anno scorso, cosa ci vuole a convincermi ? Basta fornirmi dei numeri, spiegarmene i razionali e fare quella strana operazione aritmetica chiamata addizione… Suvvia, sono cose da prima elementare….
Oppure, temo, che per voi valga la stessa definizione che Calamandrei diede dei fascisti
Non furono soltanto i sicari assoldati della vecchia borghesia conservatrice, ma credettero di essere i creatori di una nuova classe politica fatta di falsi intellettuali disoccupati, di piccolo borghesi avidi di denaro e uniformi, di ambiziosi provinciali senza cultura e senza onestà
L’unica cosa che mi riconsola è il pensiero del buon vecchio Marx
Hegel osserva da qualche parte che tutti i grandi avvenimenti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa
Per cui, basta una risata, per mostrare la vostra inconsistenza…
December 13, 2017
Presentazione degli Esploratori dell’Infinito
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Come sapete, io ho grandissima stima di Federico Cenci e dello splendido lavoro che fa con la casa editrice Cliquot: l’ho definito un archeologo della letteratura, che esplora il nostro Passato, per scoprirne dei tesori dimenticati.
E uno di questi, è gli Esploratori dell’Infinito di Yambo, libro di cui ho già parlato, quando, dopo la presentazione de La cosa marrone chiaro di Fritz Leiber al Palazzo del Freddo, lanciò l’iniziativa, coraggiosa e visionaria, del crowfounding per ripubblicare questa pietra miliare della Fantascienza Italiana.
Contro tutto e contro tutti, Federico ha trovato sufficienti pazzi scriteriati da potere mandare in stampa questo libro: per cui, domani, la sua presentazione alle 19, sempre alla Sala Giuseppina, è l’occasione non solo per riscoprire uno splendido romanzo dimenticato, ma soprattutto per applaudire al suo coraggio e per rincuorarsi sul fatto che a volte i sogni si possano realizzare.
Poi è anche l’occasione per ascoltare Gianfranco de Turris, autore dell’introduzione al romanzo. De Turris, che mi verrebbe da chiamare grande vecchio, ma ahimè avendo l’età di mio papà, potrei rischiare qualche bastonata in capo dal mio augusto genitore, è stato uno dei protagonisti del Fantastico e della Letteratura italiana.
Anche se su tante, tante cose non sono d’accordo con lui e probabilmente non si ricorderà del sottoscritto, gli debbo molto. Anni fa, fui tirato in mezzo in un’antologia di fanta fascismo. Presentai un racconto, ma come mio solito, non rispettai la lunghezza delle pagine.
De Turris, che ebbe la pazienza di leggerselo tutto, lo rifiutò, ma mi diede ottimi consigli per migliorarlo: così nacque il mio romanzo di maggior successo, Marciare per non Marcire.
Poi, ritentai con un altro racconto. Anche questo fu scartato, ma De Turris mi ha incoraggiato a trasformarlo in un romanzo… Ed è proprio quello, ambientato all’Esquilino degli anni Venti, a cui sto dedicando tanto tempo ed energie e che prima o poi riuscirò a finire…
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December 12, 2017
Spelacchio
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Doverosa premessa: il mio interesse per la vicenda Spelacchio è quasi nullo. Io ritengo che il luogo deputato per gli abeti siano le foreste in montagna, non le piazze assediate dal traffico. Se fossi il sindaco, preferirei lasciarlo in Trentino, piuttosto che portarlo qui e riempirlo di luci al led e palline pacchiane, ma è una questioni di gusti e di sensibilità e di certo sarei accusato di altro tradimento dello spirito natalizio.
Poi, trascurando la malafede di alcune polemiche, insomma, che i turisti vengano a Roma per vedere l’albero di Natale mi pare un poco eccessivo, le considero una sorta di arma di distrazione di massa, capace di concentrare l’opinione pubblica su dettagli trascurabili, ignorando i veri problemi della città.
Quello che mi interessa veramente è come il Movimento 5 Stelle, come in tante altre occasione da un anno a questa parte, stia perdendo la guerra della comunicazione. All’inizio, il tutto era alquanto semplice: il capobastone digitava sul suo blog uno slogan pieno di indignazione e paroloni roboanti e giù tutti, analfabeti funzionali o semplici arrabbiati contro il sistema, a fargli da cassa di risonanza.
Ora, questa strategia può funzionare quando si era martello, ossia all’opposizione, da cui si può sparare ad alzo zero senza curarsi della responsabilità di governare, un po’ meno quando si è incudine, quando si deve mandare avanti, alla male e peggio, una città folle e insensata, che come diceva Flaiano, è diventata
l’enorme garage del ceto medio d’Italia.
In questo caso specifico, dopo le loro dichiarazioni celebrative di prammatica, gli amministratori sono rimasti spiazzati dall’ironia del web, non capendone lo spirito: Spelacchio non è un’offesa, ma anche una dimostrazione di affetto, un identificarsi tra il romano medio e le sue sfighe quotidiane e un albero malandato, sempre traballante, ma, che, nonostante tutto, riesce a mantenersi in piedi.
Potevano, con un poco di autoironia, cavalcare questo sentimento, questa sorta di tenerezza che il romano medio prova per un questo abete, suo provvisorio compagno di sventure. Ma ahimè, il sapere ridere di sé, è una dote assai rara, per i tartufi convinti di avere l’esclusiva della Verità e della Morale. Così, invece, hanno preferito fare quello che riesce loro meglio: i professorini. Con il loro “romano medio, il tuo senso estetico è una chiavica, l’albero non è bruttino, ma raffinato” e con “non capite un tubo, è ecologicamente compatibile”, sono riusciti nella incredibile impresa di fare irritare un poco tutti, in maniera trasversale, tranne ovviamente qualche patetico ultrà.
E dimenticando che la trasparenza e l’accesso agli atti pubblici vale anche per loro, cosa che spesso dimenticano, sono saltati fuori tutti i documenti amministrativi: così una vicenda secondaria, chi diavolo si sarebbe ricordato di Spelacchio passato il 6 gennaio, è diventato un simbolo del loro dilettantismo e della loro incapacità di governare.
Per cui, per concludere, lascio la parola a Li er Barista
Io pe’ cinquantamila euro ce piazzavo ‘na sequoia, l’addobbavo come Las Vegas e ce mettevo tutta la tribù mia a fa er presepe vivente sino ar natale 2025 !
Gertie, il dinosauro: uno dei primi cartoni animati della storia da guardare gratis online
Gertie, il dinosauro, diretto dal grande animatore ed illustratore statunitense Winsor McCay, è una di quelle pellicole che hanno fatto la storia del cinema. Realizzata nel lontano 1914, ha ispirato la storia e l’evoluzione del cartone animato, sia per via della caratterizzazione del personaggio principale, il brontosauro Gertie, che sembra già anticipare un qualcosa di disneyano, sia perché fu il primo film a utilizzare lakeyframe animation. Non solo, ma nella parte finale, dove McCay entra in scena, sembra addirittura anticipare la tecnica mista. Buon divertimento con Gertie, il dinosauro!
Alessio Brugnoli's Blog

