Alessio Brugnoli's Blog, page 163

January 26, 2018

La parabola del Seminatore

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Ci sono due diverse filosofie, nel rapportarsi con l’Esquilino: la prima è considerare il Rione un palcoscenico per eventi spot, utili per farsi pubblicità o per promuovere cause contingenti, che poco hanno a che vedere con i problemi di chi lo vive ogni giorno


Filosofia lecita, senza dubbio, ma che non cambia le cose e che, spesso e volentieri, spente le luci della ribalta, lascia l’amara sensazione del


Passata la festa, gabbato il santo


Inoltre, dato che è l’espressione di interessi specifici, tende a escludere chi vi è estraneo. L’altra, più complessa, faticosa e che di certo garantisce meno titoloni sui giornali, si pone l’obiettivo di aumentare la vivibilità dello spazio urbano e il rafforzamento del tessuto sociale.


Ciò implica visione di lungo periodo, lavoro continuo, inclusivo, che con le azioni, semina idee, che a loro volta generano altri progetti. Questa è la filosofia che portano avanti le Danze di Pizza Vittorio, con il CarnevalEsquilino, dopo un lungo parto, possiamo dire che ci sarà anche quest’anno.


Allo stato attuale, ma potrebbero esserci dei piccoli aggiustamenti in corso d’opera, ci sarà la sera del Giovedì Grasso il tradizionale concerto de Il Coro di Piazza Vittorio nel Palazzo del Freddo, la mattina del Sabato Grasso la festa dei bambini organizzata da Paola Morano e infine, Martedì Grasso, le Danze di Piazza Vittorio e il gruppo del Savoy Swing, terranno la loro festa spettacolo nell’inedita cornice di Ciamei.







Filosofia che è anche alla base l’impegno nella street art.


Impegno che ha spinto all’emulazione. Da una parte, vi è il contest organizzato da RomaID, Terminididentità, che vuole utilizzare la Street Art per rafforzare il legame con il territorio, valorizzando l’ Esquilino e la Stazione di Roma come realtà di aggregazione sociale, che non senza le battaglie che abbiamo portato avanti, non sarebbe stato possibile.


Applaudiamo questa iniziativa, che si sposa bene con il progetto che stiamo portando avanti, basato sulla riqualificazione di via Giolitti e su una serie di interventi diffusi sul territorio, per creare una sorta di museo diffuso di arte urbana.


Dall’altra, l’ottimo lavoro voluto da dei commercianti di Via Labicana, per riqualificare con la bellezza il loro angolo di strada… Purtroppo, per colpa dei regolamenti non aggiornati, il loro impegno, potrebbe metterli paradossalmente a rischio di multa. Proprio per questo, ribadiamo come Roma, che si sta configurando come una delle capitali mondiali della street art, debba dotarsi di un insieme di norme che la tuteli e favorisca.


Per tutto questo, per un rione più vivibile e accogliente con tutti, continueremo a lottare: perché molti semi cadranno tra i sassi e tra i rovi, ma altri porteranno frutto.

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Published on January 26, 2018 05:47

January 25, 2018

Il mito dell’accuratezza | Italian Association for Machine Learning

The Italian Association for Machine Learning (IAML) is a not-for-profit organization with the purpose of promoting knowledge of machine learning in all aspects of the Italian public life, from universities to enterprises and IT professionals.


Sorgente: Il mito dell’accuratezza | Italian Association for Machine Learning

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Published on January 25, 2018 00:16

January 24, 2018

Via Giolitti 212








Nell’ottica di recupero di Via Giolitti, in questi giorni ho parlato della questione dello stabile situato al 212; spazio costituito da tre padiglioni su due piani, tipico edificio industriale d’inizio secolo, fu la sede del Centro di formazione professionale della Regione Lazio, sino al 2000.


Abbandonato per anni, forse venduto a una S.r.l sotto la giunta Storace, ci furono delle polemiche all’epoca, divenne la “Casa dei Diritti Negati”, un centro sociale, tra l’altro oggetto di parecchie tesi di laurea, sgomberato nel 2006, anche se in maniera discreta, qualche occupante, in emergenza abitativa, sospetto sia rimasto.


Di chiunque sia la proprietà, pubblica o privata, però lo stabile non è stato mai valorizzato: per caso, però, ho scoperto come l’IPi stia facendo da advisor per una sua vendita in due lotti distinti.


Citando il loro sito, abbiamo


Compendio immobiliare costituito da due immobili: – IMMOBILE N. 1 Edificio distribuito su due livelli in elevazione, piano terra e piano primo, dotato di cortile interno con accesso carraio ed aree esterne di ornamento di pertinenza; ripartito in diversi ambienti e dotato di servizi igienici. – IMMOBILE N. 2 Immobile composto da ingresso, n. 4 stanze, n. 2 servizi igienici, ubicato al piano primo. Struttura portante a muri maestri perimetrali e di spina e con copertura a falde inclinate. Ampia corte interna. Da ristrutturare.


Ora, benché io avessi preferito un uso pubblico come ad esempio una casa comune per le varie associazioni del Rione, comprensiva di una biblioteca, o uno spazio museale dedicato alla storia del Rione, per valorizzare il suo patrimonio archeologico, visto quanto combinato dal Comune con l’ex Teatro Apollo, non demonizzo l’intervento privato.


L’unica cosa, che mi auguro, è che la ristrutturazione porti a un intervento di qualità, capace di fungere da motore per la riqualificazione dell’area e non la solita speculazione, figlia dell’illusione di gentrificare l’area


Per cui, sarebbe cosa buona che le istituzioni, invece di ignorare la vicenda come avviene da anni, ci gettassero un’occhio, per non renderlo l’ennesima occasione perduta del Rione.

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Published on January 24, 2018 01:50

January 23, 2018

The Wake: la rinascita crionica di una donna in un brevissimo ma spettacolare corto Sci-Fi

KippleBlog






The Wake è un cortometraggio di soli 1.47 minuti, eppure il livello grafico CGI è talmente alto da lasciare a bocca aperta. Diretto da Andrew Haynes, The Wake narra la rinascita crionica di una donna che si trova dotata di un nuovo corpo meccanico. Da notare l’altissima attenzione ai dettagli. Segue il corto, buona visione!




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Published on January 23, 2018 23:58

La ciclabile d’oro

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In questi, con parecchia retorica, è stata presentata dall’amministrazione la pista ciclabile della Nomentana. Per non essere accusato di parzialità, mi limito a copiare quanto riportato dal sito di Roma Mobilità, per descrivere il progetto


Il progetto prevede un itinerario ciclabile, lungo circa 3,6 Km, che colleghi Porta Pia con la pista ciclabile esistente di via dei Campi Flegrei, all’altezza di via Valdarno, che costeggia l’ansa dell’Aniene.


Il percorso si sviluppa lungo il controviale di destra della via Nomentana (dando le spalle al piazzale di Porta Pia), ed è in prevalenza su sede stradale, ricavata dalla carreggiata; in prossimità dell’uscita per la circonvallazione Nomentana, l’itinerario si inserisce sul lato sinistro della strada consolare, grazie all’attraversamento ciclabile di progetto e, percorso il ponte di Batteria Nomentana, svolta su via Val d’Aosta per proseguire e concludersi poi in via Valdarno, con l’aggancio alla ciclabile esistente.


Si tratta di una “pista ciclabile in sede propria a doppio senso di marcia” – come da definizione del D.M. 557/99; solo per alcuni brevi tratti (nelle aree prospicienti le ville storiche) la pista è invece in sede riservata ricavata dal marciapiede.


L’ampiezza è pari a 250 cm e – come richiesto dalla normativa – su sede stradale è separata dalla corsia destinata agli autoveicoli da un cordolo prefabbricato in polimeri,che può essere posato in opera senza scavi, grazie a tasselli di ancoraggio alla piattaforma stradale.


La progettazione dell’itinerario ciclabile è stata l’occasione per proporre alcuni interventi di valorizzazione e/o riqualificazione nella zona attraversata: ad esempio, in corrispondenza del Mausoleo di Tor di Quinto è stata prevista una pavimentazione in sanpietrini, intervenendo sulle condizioni di degrado dell’area prospiciente, la sosta selvaggia delle auto è stata eliminata ed un nuovo attraversamento pedonale è stato inserito per consentire l’accesso all’area del Mausoleo.


In via Valdarno, in considerazione della presenza di istituti scolastici, sono stati proposti interventi puntuali di riqualificazione dello spazio pubblico: messa in sicurezza degli attraversamenti pedonali, inserimento di rallentatori ottici di velocità, riorganizzazione della sosta e posizionamento di rastrelliere.


Il marciapiede, in alcuni tratti, è stato riconfigurato per ricavare la sede della ciclabile con lo spostamento di alcuni pali dell’illuminazione ricollocati in prossimità del nuovo ciglio del marciapiede. L’inserimento della ciclabile ha offerto la possibilità di intervenire sulla eterogeneità dei corpi illuminanti, in termini di tipologia e passo, che caratterizza attualmente via Nomentana e confligge con l’idea “unitaria” dell’asse stradale storico.


Con l’inserimento della pista è stato pertanto recuperato l’allineamento dei pali dell’illuminazione, perduto nel corso del tempo a causa di interventi di vario genere; i lampioni spostati sono sostituiti con nuovi corpi illuminanti in stile e, grazie al supporto e alla collaborazione con ACEA, il numero dei lampioni è stato implementato al fine di garantire un’adeguata illuminazione alla nuova infrastruttura e alla via stessa.


Da ultimo, la presenza lungo l’itinerario ciclabile dei platani ha necessariamente orientato le scelte progettuali. Con l’obiettivo di limitare le interferenze con l’apparato radicale delle alberature, è stata individuata una nuova tipologia di cordolo, che non richiede scavi per la messa in opera e offre grande flessibilità e rapidità di esecuzione (elementi prefabbricati). Il tema di maggior interesse è la possibilità, offerta dalla realizzazione della ciclabile, di ricostituire – almeno in corrispondenza della sede della ciclabile – l’alberata di via Nomentana; il progetto prevede infatti la messa a dimora di 54 nuove essenza arboree lungo il marciapiede interessato dal passaggio della ciclabile. Si tratta sia del ripristino di piante abbattute perché ammalate che dell’inserimento ex novo, ricostituendo in tal modo la continuità del filare arboreo.


Tutto bello, tutto carino, tutto figo, finché non mi cade l’occhio sulla lunghezza, 3600 m e sui costi, 1.700.000 euro. Per deformazione professionale, mi calcolo il costo unitario a metro, facendo quella strana operazione chiamata divisione: un metro di pista ciclabile, corrispondente a 2,5 mq d’area, costa 473 euro, ossia, un km 473.000 euro. Assumo un’espressione da dromedario ubriaco, poi cerco di rassicurarmi, dicendo, saranno i costi normali di mercato.


Però, per scrupolo e deformazione professionale, do un’occhiata al sito della FIAB, dove vi è un interessante computo metrico, per stimare i costi medi di una pista ciclabile: guardo la tipologia pista ciclabile in sede propria a doppio senso di marcia” e rimango assai perplesso: il costo a Km è 217.000 euro, con un delta, rispetto a quanto pagato dal Comune di Roma, pari a 256.000 euro.


Ora ipotizzando i costi per gli alberi e la relativa manodopera, 40.000 euro ad essere generosi, i conti non quadrano. Perché questa differenza ? Quali razionali la giustificano ?


Da cittadino, spero che la qualità finale dei lavori giustifichi questo spaventoso incremento, anche se la pista ciclabile di Santa Bibiana, che da FIAB, sarebbe dovuta costare un quinto, mi fa temere il peggio… In tale caso, se fossi un magistrato, qualche domanda me la porrei…

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Published on January 23, 2018 00:36

January 22, 2018

I nemici dell’Esquilino

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Senza dubbio alcuno, l’Esquilino negli ultimi anni è stato protagonista nella definizione dal basso di tanti progetti di riqualificazione urbana: un esempio di partecipazione, di democrazia attiva e di proposizione di idee che è difficile trovare nel resto d’Italia e di Europa.


Penso ai progetti per la riqualificazione di Via Principe Eugenio, a Piazza Vittorio o Carlo Alberto partecipata o per ultimo, all’Asse della Cultura a via Giolitti. Eppure, nonostante questo fermento, all’impegno dei cittadini è spesso seguito il disinteresse e il menefreghismo dell’amministrazione capitolina.


Si sperava, con la vittoria del Movimento Cinque Stelle, con i suoi proclami sul mettere i cittadini al centro della politica, che le cose potessero cambiare: purtroppo i fatti stanno mostrando il contrario. Porto ad esempio la gara d’appalto per la riqualificazione dei guardini di Piazza Vittorio, indetta il 10 aprile 2017 per la manutenzione delle pavimentazioni e dei volumi, la realizzazione di nuovi percorsi nel verde, l’eliminazione di barriere visive, la creazione di un vero orto botanico con la piantumazione di 1.200 nuove essenze arboree, provenienti da ogni parte del mondo, il ridisegno delle aree naturalistiche, la trasformazione della collina artificiale che nasconde l’accesso alla centrale di controllo della metropolitana in una “collina acrobatica”, con strutture ludiche per i più giovani, la riapertura dell’area archeologica dei Trofei di Mario e il ripristino della fontana di Rutelli, è ferma da illo tempore.


Questo perchè non si riesce a mettere in piedi la commissione chiamata a esaminare le buste con le offerte: ora i capisco i problemi che si hanno nel confrontarsi con la burocrazia ignava e accetto anche il fatto che il nuovo codice degli appalti sia di complessa applicazione, però, avendo a che fare ogni giorno con gare pubbliche, di importo ben più elevato dei 2 milioni e 875 mila euro previsti per quei lavori, posso dire di non avere mai assistito a una situazione così imbarazzante.


Oppure, penso al progetto di Carlo Alberto, coperto da un velo di oblio. Ma ciò che mi desta più perplessità è la questione di via Giolitti: la posizione politica dei Cinque Stelle è chiara, opposizione pregiudiziale a qualsiasi forma di riqualificazione.


Passi per la guerra ai murales, anteponendo le paturnie di un loro attivista alla benessere della collettività o per la colossale presa in giro della pista ciclabile, ma seriamente, perchè astenersi come Ponzio Pilato sulla mozione del I Municipio che propone di utilizzare i negozi di proprietà comunale per il commercio di qualità e per le attività culturali, in modo che possano essere un volano per la riqualificazione di un intero quadrante della Città ? Oppure, a che pro il silenzio della Raggi sull’Ex Teatro Apollo o sul trenino della Casilina ?


L’impressione è che l’attuale amministrazione, a ogni livello, voglia continuare nel degrado tale via… Perchè ? Che interessi poco chiari difendono ? Oppure è un vergognoso mix di indifferenza e incapacità ?


Eppure, basterebbe poco, per invertire il trend: un gesto forte da parte dei candidati alla Presidenza della Regione Lazio, un impegno a destinare Via Giolitti 212, invece che essere dismesso, a servizi culturali per il Rione: ciò non significa buttare in mezzo alla strada gli eventuali occupanti, ma trovare soluzioni condivise, analoghe al MaaM, che tutelino le diverse esigenze e che fungano da pungolo per il Campidoglio.

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Published on January 22, 2018 07:35

Centocelle e dintorni: perchè la periferia è bellezza

Proloco Dol... Locavori Di Origine Laziale




Quando si parla di Roma le prime immagini che vengono in mente sono sicuramente il Colosseo, San Pietro, l’altare della Patria, poi ci sono le periferie, quelle invece nell’immaginario collettivo in genere sono poco illuminate e con grandi palazzi che accolgono lavoratori stanchi a fine giornata.



Eppure le periferie sono in molti casi il cuore pulsante del cambiamento, da lì spesso partono e prendono vita progetti collettivi volti a fare economia di rete, ed è così che nascono piccoli spazi di eccellenza che risplendono e fanno risplendere periferie che poi tanto buie non sono. Quando nel 2006 Vincenzo Mancino inaugura ProlocoD.O.L. lo fa con la passione di chi ha voglia far conoscere l’artigianato gastronomico laziale, punta su eccellenze che rischiavano di andare perse, come il Conciato di San Vittore, e ancora scommette sulle potenzialità della rete e della filiera corta. Oggi D.O.L. è una realtà solida che offre…


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Published on January 22, 2018 04:55

January 21, 2018

L’oblio sulla grotta della natività di Roma. A chi fa paura il Lupercale

L’ha (ri)scoperta nell’angolo sud occidentale del colle Palatino, nel novembre 2007, la Soprintendenza archeologica di Roma. Si trova nell’area dei palazzi di Augusto, in asse tra il Tempio di Apollo e l’attuale Basilica di S. Anastasia, a ridosso di  quest’ultima e prospiciente il Circo Massimo. E’ sepolta sotto 16 metri di terra e finora è stata solo esplorata da una …


Sorgente: L’oblio sulla grotta della natività di Roma. A chi fa paura il Lupercale

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Published on January 21, 2018 12:55

Viva Sant’Antonio










 


Questa domenica salto la solita rubrica dedicata ai potenziali eroi dello steampunk all’italiana, per parlare di quella che è forse la vera festa rionale dell’Esquilino, ossia Sant’Antonio Abate, celebrato oggi a Sant’Eusebio con la benedizione degli animali.


Per farlo, mi ricollego a un tema già trattato, la Basilica di Giunio Basso: questa, come detto, era stata trasformata dal patrizio goto Valila in una chiesa dedicata a Sant’Andrea. Chiesa che, nel Medioevo aveva assunto lo stranissimo nome di cata barbara, abbreviazione di come probabilmente veniva chiamata dal popolino dell’Esquilino ai tempi della sua fondazione: Santa Andrea catà (domum) barbarum patricium ossia Sant’Andrea presso il palazzo del patrizio barbaro, il che era ben poco rispettoso per il povero Valila.


Il cardinale Pietro Capocci, che aveva avuto una vita avventurosa, era stato arciprete in Inghilterra, generale contro le truppe di Federico II e temuto responsabile del fisco pontificio nell’Urbe e nell’agro romano, implacabile nemico di ogni evasore fiscale, in vecchiaia era diventato titolare di Santa Maria Maggiore: per cui, per aumentare la magnificenza della basilica aveva deciso di fare costruire una cappella dedicata a Santa Barbara, in cui fu sepolto.


Inoltre, nel suo testamento il cardinale aveva ordinato ai suoi esecutori, i cardinali Odo da Châteauroux e Giovanni Gaetano Orsini, ricordati in un’iscrizione sopra il portale dell’attuale chiesa, realizzato da uno dei tanti Vassalletto, di far costruire nelle vicinanze di S. Maria Maggiore, con una buona parte della sua fortuna personale, un ospedale, con chiesa e convento annessi. L’ospedale, dedicato secondo le ultime volontà del cardinale a S. Andrea Apostolo (si chiamò in seguito “S. Andreas de Piscinula iuxta S. Mariam Maiorem“), fu ultimato solo dopo varie e complicate vicende finanziarie, nelle quali dovettero intervenire più volte Urbano IV e Clemente IV, il quale, per risparmiare, invece che costruire una chiesa nuova, inglobò nel complesso Sant’Andrea Catabarbara.


Terminati così i lavori, Clemente IV fu in grado, nel 1265, di consegnare l’opera al primo rettore, il frater Sanguineus dell’Ordine di S. Antonio di Vienne, un ordine ospedaliero e monastico-militare medievale, i cui membri di questo ordine, chiamati anche cavalieri del fuoco sacro, si dedicavano alle cure degli ammalati di ergotismo, il fuoco di Sant’Antonio, e di altre malattie della pelle.. Venivano anche chiamati i cavalieri del tau, per la loro divisa che era formata da una veste e da un manto neri, con una croce di sole tre braccia di colore azzurro, cucita sopra il cuore


Frater Sanguineus si mise subito al lavoro e in poco tempo, l’ospedale divenne l’equivalente medievale del nostro San Gallicano, tanto che la leggenda narra che vi fosse ricoverato anche San Francesco.


Questo perché a quanto pare, i metodi empirici dei frati, pomate realizzate con grasso di maiale come emolliente, il che fece associare nell’iconografia popolare Sant’Antonio Abate al porcellino, e sciroppi fatti con polvere di marmo, il che li trasformò in un flagelli per le antichità romane, tanto che Giulio II minacciò di bruciarli a fuoco lento, se avessero continuato nell’abitudine di sminuzzare e triturare ogni statua che fosse capitata loro tra le mani, risultavano essere molto più efficaci della media dei medicinali dell’epoca.


Così gli antoniani, anche per la loro insistenza nel chiedere elemosine, Dante, nella Divina Commedia li spernacchia per questo con i versi


di questo ingrassa il porco Sant’Antonio

e altri assai son ancor più porci,

pagando di moneta senza conio


accumularono ricchezze e privilegi: il loro rettore a mangiava a scrocco della mensa papale e poteva asportarne gli avanzi in teoria a beneficio dei ricoverati dell’ospedale di Sant’Andrea, in pratica, per la mensa dei frati.


Questa ricchezza fu impiegata nel 1308 per ristrutturare e ampliare l’ospedale: Sant’Andrea fu chiusa al culto e ovviamente fu costruita una nuova chiesa, dedicata a Sant’Antonio, affacciata su una grande piazza, dove, a partire dal 1437, per onorare il loro patrono, i frati il 17 dicembre, giorno della sua festa, cominciarono a benedire gli animali.


Evento che, in una società agricola, crebbe sino a diventare una delle feste principali della città. “Porci, somari, pecore, cavalli […] pieni di fiocchi bbianchi e rrossi e gialli”, così il Belli descrive una festa in cui gli armenti dei poveri si mischiavano con lussuose carrozze di principi e cardinali, trainate da cavalli sontuosamente agghindati, in un caos senza fine, testimoniata da Pinelli e da un racconto del povero Goethe, che aspettandosi un incontro romantico vi fu trascinato a tradimento dalla sua amante Faustina.

.

La cerimonia si ripeteva spesso per diversi giorni. Sin dalle prime ore del mattino si assisteva alla sfilata di tutti gli animali, tra due ali di folla, sino alla Chiesa dove un sacerdote, munito di aspersorio, benediceva gli animali spruzzandoli con acqua benedetta.


Dato che gli antoniani, come detto in precedenza, erano assai attratti dalla vile pecunia, in cambio di tale benedizione, chiedevano laute offerte: intuendo il business, altre parrocchie di Roma cercarono i fare cerimonie simili, approfittando del fatto che molti nobili chiedevano funzioni private e riservate solo ai propri animali. Il che scatenò nei secoli una quantità industriale di risse, gli antoniani erano assai maneschi e di cause legali, che ebbero fine solo nel 1831, quando il cardinale vicario dovette intervenire per rimettere ordine in questa situazione minacciando la sospensione a divinis per chi

avesse compiuto il rito al di fuori della chiesa di Sant’Antonio.


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Nel 1481 la chiesa di Sant’Antonio subì un primo rifacimento per volere del cardinale Costanzo Guglielmi; nel 1596 nel piazzale davanti la chiesa dal rettore dell’ospedale Charles Anisson fu eretta la la “Colonna dell’Abiura“, così denominata in memoria del re di Francia, Enrico IV, che aveva abiurato il protestantesimo a favore del cattolicesimo con una solenne cerimonia nella basilica di S.Pietro il 17 settembre 1595


La colonna era sormontata da una croce ed era inserita su una base quadrata di marmo alle cui estremità vi erano i gigli bronzei di Francia recanti da un lato un Crocifisso e dall’altro una Madonna: nel 1880 fu smontata e trasferita nel cortile che fiancheggia la navata destra della basilica di S.Maria Maggiore, dove si trova tuttora


Un altro restauro fu eseguito agli inizi del Settecento ad opera di un architetto della scuola di Alessandro Galilei. Però, i tempi stavano cambiando: le migliorate condizioni igieniche e le modifiche dell’alimentazione, si mangiava sempre più grano e meno segale, il cui fungo parassita, l’ergot, provocava il fuoco di fuoco di Sant’Antonio, avevano sminuito il ruolo dei frati, che apparivano sempre più dei mangia pane a tradimento.


Per evitare una pessima fine, nel 1774 il Capitolo generale degli antoniani decise l’unione con l’Ordine di Malta, che tra l’altro aveva una sua commenda proprio dalle parti di piazza Vittorio, nei pressi della chiesa distrutta di San Giuliano Ospedaliere, decisione confermata Il 17 dicembre 1776 papa Pio VI con la bolla Rerum humanarum conditio.


Così la chiesa fu affidata ai camaldolesi, i quali convinti che la benedizione degli animali fosse una cerimonia pagana, cercarono di abolirla: ma il buon proposito si infranse dinanzi a una folla inferocita di romani, che la mattina del 17 dicembre del 1778 si presentarono armati sino ai denti davanti alla chiesa, minacciando di linciare i frati, se la tradizione non fosse stata rispettata. Così i camaldolesi dovettero cedere dinanzi a cause di forza maggiore.



 


Con l’Unità d’Italia, l’Esquilino cambiò forma: la piazza davanti Sant’Antonio fu lottizzata, riducendosi a via Carlo Alberto, mentre piazza Cimbra, da buchetto che era davanti Sant’Eusebio, si trasformò nella nostra Piazza Vittorio… Così per problemi di traffico la benedizione degli animali cambiò sede, continuando la tradizione sino ad oggi…










 


E Sant’Antonio ? Nel 1928 l’intero complesso fu acquistato dalla Santa Sede e la chiesa, restaurata per volontà di Pio XI, fu assegnata ai cattolici russi di rito bizantino, pur mantenendo la dedica a S.Antonio Abate, mentre l’antico ospedale fu trasformato in un celebre centro di studi russi ed orientali denominato “Collegio Pontificio Russicum”.


Chiesa che merita di essere visitata, per essere spiazzati della strana fusione tra stile bizantino e barocco…


 

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Published on January 21, 2018 11:23

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Alessio Brugnoli
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