Vera Q.'s Blog, page 24
February 8, 2015
Vuoti comunicanti.
E così lasci a me l’onere di spiegarti la Vita.
E non posso.
E non voglio.
E tu riempi gli spazi cercando al di fuori di te.
Lacune, crateri, distanze.
L’Assenza.
Ma è troppo vasto il Conoscere per soddisfarti.
E ti fa dubitare di te stesso e del mondo indifferente che ti circonda.
E non è il volo ciò che ti manca.
Ma il farlo come vuoi tu ti fa perdere la rotta e il piumaggio.
E le grida sguaiate d’incitamento dei tuoi amici gabbiani, il più delle volte, sembrano risa.
E non credo che il serpente si interroghi sulla complessità delle sue spire.
Vera Q.
E non posso.
E non voglio.
E tu riempi gli spazi cercando al di fuori di te.
Lacune, crateri, distanze.
L’Assenza.
Ma è troppo vasto il Conoscere per soddisfarti.
E ti fa dubitare di te stesso e del mondo indifferente che ti circonda.
E non è il volo ciò che ti manca.
Ma il farlo come vuoi tu ti fa perdere la rotta e il piumaggio.
E le grida sguaiate d’incitamento dei tuoi amici gabbiani, il più delle volte, sembrano risa.
E non credo che il serpente si interroghi sulla complessità delle sue spire.
Vera Q.
Published on February 08, 2015 11:36
January 31, 2015
Ossessione.
La tua stretta m'impedisce di respirare.
Un assedio.
E sei un nodo scorsoio. Mi serri. Mi strozzi, m'impicchi.
E non posso sfuggire al tuo cappio.
Sei un suicidio ambulante. Contagioso, dilagante.
Filo spinato, gabbia, prigione, cinta.
Incombi, un'ombra carica di possesso.
Controlli, perlustri, ispezioni.
Pressante, maniacale. E fragile, e malfermo.
Ma se davvero vuoi un gatto, accetta di non esserne il padrone.
Vera Q.
Un assedio.
E sei un nodo scorsoio. Mi serri. Mi strozzi, m'impicchi.
E non posso sfuggire al tuo cappio.
Sei un suicidio ambulante. Contagioso, dilagante.
Filo spinato, gabbia, prigione, cinta.
Incombi, un'ombra carica di possesso.
Controlli, perlustri, ispezioni.
Pressante, maniacale. E fragile, e malfermo.
Ma se davvero vuoi un gatto, accetta di non esserne il padrone.
Vera Q.
Published on January 31, 2015 15:06
January 27, 2015
Piccolo estratto dal primo capitolo de "La croce"
1. Notturnia
Prendi la tua Arroganza e intrecciala.
Fanne un robusto cappio.
Forte, vigoroso, tale da reggere la Presunzione che ti contraddistingue.
E impiccati nel Giardino dei Sentimenti, all'albero della Comprensione, arbusto che in te non è mai riuscito a mettere radici.
«Aglio?»
«Funziona» rispose Strigoia. La voce era tagliente. Un fastidioso ronzio affilatissimo.
La femmina asciutta dominava, imperturbabile, la spianata.
E la cocente brezza estiva imprigionava l'esile figura in un caldo amplesso stagnante. Quanto unilaterale.
Dragaica, frattanto, la fissava. E pendeva dalle sue labbra. E si beava di ogni indecifrabile pausa.
Adesso il crepuscolo lambiva i filari. Ripudiava gli ultimi sprazzi di luce, sconfessandoli. Le sagome grigie della pioppaia s’imponevano aspre, e l'odore della notte saliva maestoso dall'umida terra.
Così, Dragaica fece un balzo all'indietro. Una capriola lesta.
E corse al primo albero, arrampicandosi frenetica. Agile, una fanciulla acerba, primaverile.
Arti in movimento, tutto un fremito, per domare il tronco con un abbraccio sgraziato, potente e scomposto. Una sfida muscolare. Nervosa.
«Crocifisso?» domandò di getto alla sorella, con veemenza. Era piena d’anima, e l'intero cosmo era per lei da mungere.
«Ma per favore...»
«Paletto nel cuore? Acqua Santa?»
«Sì al primo, no alla seconda. E niente scampagnate diurne, l'abbronzatura è per la plebe» concluse Strigoia, stringata, stracarica di quel terzo grado petulante. E si voltò verso gli argini del canalone artificiale, vittima soprattutto della calura.
E dunque, si guardò attorno studiando una quercia. Sognante. Cupida di solitudine.
La piccola, la pupetta, era incontenibile. E la pazienza di Strigoia inesistente.
Si arrogò, pertanto, una piccola pausa dall'interrogatorio.
Difatti, aprì le ali e cercò il cielo.
«Se mi lasci sola lo dirò a nostra Madre» miagolò maligna Dragaica. E ondeggiava. Era in cima, in alto, altissimo. Sulla sommità del flessuoso pioppo. Sconfitto, suo.
Strigoia chiuse gli occhi, chiuse le ali e chiuse le braccia al petto.
«Che cosa diavolo vuoi adesso?» ruggì graffiante. Il visetto appuntito.
«Dimmi di loro.» Dragaica si lanciò nel vuoto, lieve, una piuma. Una corrente ascensionale incrociò quel suo planare, cullandola.
Il fossato rigurgitava energia briosa: la frenetica attività degli insetti colmava il silenzio del tramonto, e le rane, a pelo d'acqua, attendevano la preda immerse in uno specchio palustre, un succo verdognolo screziato da oblunghi aloni marroni. E quella tovaglia macchiata di sugo ribolliva.
Oltre, la sterile periferia della città di mare; oltre, la baia; oltre, l'infinito.
«Parlami degli uomini, un'altra volta» insisteva la piccola. Una raffica d'innocenza morbosa.
E Strigoia sorrise, arrendevole.
Respirava la Terra, figlia dei suoi anfratti bui.
Era un parto della Notte. Un'abitante della tenebra. E non desiderava essere altro.
Sicché salutò l'imbrunire, avvolta dall'oscurità. Come di consueto. Come le diceva il suo istinto.
«Caldi, sudati...» replicò vellutata, e l'acquolina l'assalì. Ardente, incontrollabile, matta.
E voleva bere, e voleva dissetarsi, e voleva riempirsi, e zavorrarsi fino a saturazione. E poi dilaniare, e poi strappare, e poi mordere. Ed affondare, tutta, nel rosso.
[continua nell'ebook]
Vera Q.
Prendi la tua Arroganza e intrecciala.
Fanne un robusto cappio.
Forte, vigoroso, tale da reggere la Presunzione che ti contraddistingue.
E impiccati nel Giardino dei Sentimenti, all'albero della Comprensione, arbusto che in te non è mai riuscito a mettere radici.
«Aglio?»
«Funziona» rispose Strigoia. La voce era tagliente. Un fastidioso ronzio affilatissimo.
La femmina asciutta dominava, imperturbabile, la spianata.
E la cocente brezza estiva imprigionava l'esile figura in un caldo amplesso stagnante. Quanto unilaterale.
Dragaica, frattanto, la fissava. E pendeva dalle sue labbra. E si beava di ogni indecifrabile pausa.
Adesso il crepuscolo lambiva i filari. Ripudiava gli ultimi sprazzi di luce, sconfessandoli. Le sagome grigie della pioppaia s’imponevano aspre, e l'odore della notte saliva maestoso dall'umida terra.
Così, Dragaica fece un balzo all'indietro. Una capriola lesta.
E corse al primo albero, arrampicandosi frenetica. Agile, una fanciulla acerba, primaverile.
Arti in movimento, tutto un fremito, per domare il tronco con un abbraccio sgraziato, potente e scomposto. Una sfida muscolare. Nervosa.
«Crocifisso?» domandò di getto alla sorella, con veemenza. Era piena d’anima, e l'intero cosmo era per lei da mungere.
«Ma per favore...»
«Paletto nel cuore? Acqua Santa?»
«Sì al primo, no alla seconda. E niente scampagnate diurne, l'abbronzatura è per la plebe» concluse Strigoia, stringata, stracarica di quel terzo grado petulante. E si voltò verso gli argini del canalone artificiale, vittima soprattutto della calura.
E dunque, si guardò attorno studiando una quercia. Sognante. Cupida di solitudine.
La piccola, la pupetta, era incontenibile. E la pazienza di Strigoia inesistente.
Si arrogò, pertanto, una piccola pausa dall'interrogatorio.
Difatti, aprì le ali e cercò il cielo.
«Se mi lasci sola lo dirò a nostra Madre» miagolò maligna Dragaica. E ondeggiava. Era in cima, in alto, altissimo. Sulla sommità del flessuoso pioppo. Sconfitto, suo.
Strigoia chiuse gli occhi, chiuse le ali e chiuse le braccia al petto.
«Che cosa diavolo vuoi adesso?» ruggì graffiante. Il visetto appuntito.
«Dimmi di loro.» Dragaica si lanciò nel vuoto, lieve, una piuma. Una corrente ascensionale incrociò quel suo planare, cullandola.
Il fossato rigurgitava energia briosa: la frenetica attività degli insetti colmava il silenzio del tramonto, e le rane, a pelo d'acqua, attendevano la preda immerse in uno specchio palustre, un succo verdognolo screziato da oblunghi aloni marroni. E quella tovaglia macchiata di sugo ribolliva.
Oltre, la sterile periferia della città di mare; oltre, la baia; oltre, l'infinito.
«Parlami degli uomini, un'altra volta» insisteva la piccola. Una raffica d'innocenza morbosa.
E Strigoia sorrise, arrendevole.
Respirava la Terra, figlia dei suoi anfratti bui.
Era un parto della Notte. Un'abitante della tenebra. E non desiderava essere altro.
Sicché salutò l'imbrunire, avvolta dall'oscurità. Come di consueto. Come le diceva il suo istinto.
«Caldi, sudati...» replicò vellutata, e l'acquolina l'assalì. Ardente, incontrollabile, matta.
E voleva bere, e voleva dissetarsi, e voleva riempirsi, e zavorrarsi fino a saturazione. E poi dilaniare, e poi strappare, e poi mordere. Ed affondare, tutta, nel rosso.
[continua nell'ebook]
Vera Q.
Published on January 27, 2015 16:27
Maledizione!
Cari, care,
come avrete notato il mio account FB è stato rimosso.
Il motivo è piuttosto banale: Vera Q. non è il mio nome reale.
Seccante, terribilmente seccante.
Potrei sbloccare il profilo inserendo i miei dati sanciti da un documento d’identità, ma sia chiaro: quella foto con le occhiaie e la pinzona in capo, non la mostrerei neppure a mia madre.
Inoltre pubblico su Amazon con Vera Q., ho account mail, Twitter e Goodreads con Vera Q., e di certo non ho alcuna intenzione di cambiare un qualcosa che è in essere da ormai tre anni. Chiamasi marketing.
Sto procedendo per passi, nella speranza di risolvere. Cosa che, a naso, profuma di bettola dismessa.
Non so se questo scherzo derivi da una procedura standard di stampo nazista, o se qualche anima pia abbia sentito la necessità impellente di dare del suo meglio, e proprio nel giorno dell’uscita de “La croce”.
Qualora ci fosse lo zampino umano, ebbene, uomo o donna che tu sia, sei ufficialmente maledetto.
Al solito, puoi crederci o non crederci, la sostanza rimane invariata.
Tuttavia ti auguro, in caso di matrimonio, che proprio in quella data tu abbia una diarrea tale da non riuscire a trattenere il tuo sacro orifizio e di slittare nel tuo stesso liquame rovinando al suolo con l’ovvio risultato di mesi di gesso.
Nell’ipotesi che l’eventualità nozze fosse già avvenuta, la disfatta accadrà a Natale e proprio mentre spacchetti i tuoi fottuti regali. Niente dissenteria, però.
Vomiterai a spruzzo su ciascun commensale, il quale, a sua volta, vomiterà a spruzzo su ciascun commensale. Un Natale caldo. E bagnato. E fetido.
E in qualche modo risorgerò, non abbiate timore.
Del resto uno zombie è per sempre.
Baciotti.
Vostra
Vera Q.
come avrete notato il mio account FB è stato rimosso.
Il motivo è piuttosto banale: Vera Q. non è il mio nome reale.
Seccante, terribilmente seccante.
Potrei sbloccare il profilo inserendo i miei dati sanciti da un documento d’identità, ma sia chiaro: quella foto con le occhiaie e la pinzona in capo, non la mostrerei neppure a mia madre.
Inoltre pubblico su Amazon con Vera Q., ho account mail, Twitter e Goodreads con Vera Q., e di certo non ho alcuna intenzione di cambiare un qualcosa che è in essere da ormai tre anni. Chiamasi marketing.
Sto procedendo per passi, nella speranza di risolvere. Cosa che, a naso, profuma di bettola dismessa.
Non so se questo scherzo derivi da una procedura standard di stampo nazista, o se qualche anima pia abbia sentito la necessità impellente di dare del suo meglio, e proprio nel giorno dell’uscita de “La croce”.
Qualora ci fosse lo zampino umano, ebbene, uomo o donna che tu sia, sei ufficialmente maledetto.
Al solito, puoi crederci o non crederci, la sostanza rimane invariata.
Tuttavia ti auguro, in caso di matrimonio, che proprio in quella data tu abbia una diarrea tale da non riuscire a trattenere il tuo sacro orifizio e di slittare nel tuo stesso liquame rovinando al suolo con l’ovvio risultato di mesi di gesso.
Nell’ipotesi che l’eventualità nozze fosse già avvenuta, la disfatta accadrà a Natale e proprio mentre spacchetti i tuoi fottuti regali. Niente dissenteria, però.
Vomiterai a spruzzo su ciascun commensale, il quale, a sua volta, vomiterà a spruzzo su ciascun commensale. Un Natale caldo. E bagnato. E fetido.
E in qualche modo risorgerò, non abbiate timore.
Del resto uno zombie è per sempre.
Baciotti.
Vostra
Vera Q.
Published on January 27, 2015 08:00
January 24, 2015
Detestabile.
Non devi piacermi. Né poco, né tanto. Né nulla.
Non è richiesto e nemmeno imposto e neppure preteso.
E credevo, e lo credevo davvero, che alla tua età avessi una certa dimestichezza con la Vita.
E pensavo, e lo pensavo davvero, che alla tua età sapessi che, in ogni caso, c'entra il Caso.
E il circo è pieno di clown che non fanno ridere.
E ti regalerò un rosario di supposte.
So, so che saprai come snocciolarlo.
Vera Q.
Non è richiesto e nemmeno imposto e neppure preteso.
E credevo, e lo credevo davvero, che alla tua età avessi una certa dimestichezza con la Vita.
E pensavo, e lo pensavo davvero, che alla tua età sapessi che, in ogni caso, c'entra il Caso.
E il circo è pieno di clown che non fanno ridere.
E ti regalerò un rosario di supposte.
So, so che saprai come snocciolarlo.
Vera Q.
Published on January 24, 2015 18:02
January 18, 2015
Volgarmente 2.0
Sciami di leccaculo all'arrembaggio di natiche aulenti.
Secrezioni, umori, succhi: quanta linfa sprecata!
E nessun mocio riuscirà mai a sanare completamente quel secreto.
E con tutta quella saliva, Dio si sciacqua i testicoli.
Vera Q.
Secrezioni, umori, succhi: quanta linfa sprecata!
E nessun mocio riuscirà mai a sanare completamente quel secreto.
E con tutta quella saliva, Dio si sciacqua i testicoli.
Vera Q.
Published on January 18, 2015 11:38
January 17, 2015
Matematica.
Alla vita somma i sogni, e dividi la gioia dal dolore, e sottrai i ricordi, e moltiplica per il plotone dei tuoi anni, ed otterrai un numero periodico.
Una stringa di cifre, all'infinito.
Perché questo sei. Questo siamo.
E si tende all'intero senza mai raggiungerlo.
Vera Q.
Una stringa di cifre, all'infinito.
Perché questo sei. Questo siamo.
E si tende all'intero senza mai raggiungerlo.
Vera Q.
Published on January 17, 2015 16:32
January 9, 2015
Tic, tac.
Il tempo non ti scappa come uno starnuto. Né ti consuma.
Il tempo non ti aggredisce con i suoi artigli.
Non precipita. Non si accanisce.
Il tempo non aspetta. Non fa giustizia. Non cura. E non dimentica.
Il tempo, semplicemente, ti abbandona, e allo scadere del tempo non c'è più tempo.
Vera Q.
Il tempo non ti aggredisce con i suoi artigli.
Non precipita. Non si accanisce.
Il tempo non aspetta. Non fa giustizia. Non cura. E non dimentica.
Il tempo, semplicemente, ti abbandona, e allo scadere del tempo non c'è più tempo.
Vera Q.
Published on January 09, 2015 15:33
January 6, 2015
Chi sono.
Ricordi quand'eravamo bambini? Esploravamo il cuore del bosco col cuore in gola.
"Se incontri una cosa cattiva, corri. Corri", mi dicevi.
Ed ora che sono passati anni, e ti sei ritrovato a bussare alla mia porta, e proprio perché ti ho voluto bene, ti dico: "Corri. Corri più forte che puoi".
Vera Q.
"Se incontri una cosa cattiva, corri. Corri", mi dicevi.
Ed ora che sono passati anni, e ti sei ritrovato a bussare alla mia porta, e proprio perché ti ho voluto bene, ti dico: "Corri. Corri più forte che puoi".
Vera Q.
Published on January 06, 2015 14:27
January 3, 2015
Quel che ho da dirti. Versione 2.0
Tutto in te stona.
Sei volubile, inelegante.
Un walzer stridente di squilibri.
E oscilli, danzante, con quelle tue insopportabili contraddizioni di borghese in affanno.
E mi cerchi! E mi assilli, e non sei un uomo, sei un morbo.
Sei la Rovina.
Ed ogni volta che m'infetti è come essere citati nel libro di ringraziamenti di Hitler: non sai se offenderti o prendere direttamente il cric.
Vera Q.
Sei volubile, inelegante.
Un walzer stridente di squilibri.
E oscilli, danzante, con quelle tue insopportabili contraddizioni di borghese in affanno.
E mi cerchi! E mi assilli, e non sei un uomo, sei un morbo.
Sei la Rovina.
Ed ogni volta che m'infetti è come essere citati nel libro di ringraziamenti di Hitler: non sai se offenderti o prendere direttamente il cric.
Vera Q.
Published on January 03, 2015 07:43