Andrea Viscusi's Blog: Unknown to Millions, page 54
July 7, 2015
Rapporto letture - Giugno 2015
Giugno è stato un mese insolitamente dedicato all'horror. Le mie letture infatti si sono stabilizzate su queste gener,e e per confermare la tendenza ho partecipato al festival La Serra Trema. Non che l'horror mi sia così lontano, ma generalmente parlo così tanto di fantascienza che mi fa strano un rapporto letture in cui non viene citata.
Il primo libro che ho completato a giugno è quello che si dice un classico.
Our Lady of Darkness
(Nostra signora delle tenebre in italiano) è infatti un romanzo di Fritz Leiber dai più considerato un masterpiece del genere. Leiber stesso è un autore di cui ho già parlato diverse volte in passato, principalmente perché la sua produzione è molto orientata sulla fantascienza, in questo caso però il focus va decisamente sul soprannaturale, anzi, sul paramentale. Il romanzo tratta essenzialmente di maledizioni, di presenze misteriose e di forze che l'uomo non è in grado di controllare. Sicuramente è una storia appassionante, e contiene una serie di idee davvero affascinanti, prima su tutte la megapolisomanzia, cioè la disciplina occulta che studia il potere soprannaturale generato dalle metropoli. Leiber è sicuramente bravo a mettere in campo tutte queste forze e teorie oscure, tuttavia quello che mi è mancato in questo libro è uno svolgimento classico della trama, un protagonista a cui affezionarsi e per cui parteggiare. Il protagonista infatti, per qualche ragione, mi è rimasto sempre distante e poco empatico, per cui pur rimanendo affascinato dalle idee non lo sono stato altrettanto dalla storia. Probabilmente il libro contiene anche tutta una serie di riferimenti alla cultura e letteratura dell'occulto che non ho saputo cogliere, e che arricchiscono notevolmente la letttura, quindi il mio giudizio potrebbe essere viziato. Non prendetemi quindi troppo in parola quando dico che per me è un voto 6.5/10, è probabile che in realtà meriti molto di più e sia io a non averlo capito del tutto.
Il secondo libro horror che ho letto è invece di un autore italiano, e nello specifico un collega della Factory: Andrea Berneschi, scrittore aretino specializzato in horror. Il suo
Necroniricon
è una raccolta di racconti horror, di lunghezza medio-breve, alcuni anche di una pagina o poco più. Negli oltre venti racconti contenuti c'è spazio per temi e declinazioni differenti del genere, anche se si trovano alcuni temi ricorrenti: quello dei morti viventi (chiamati o contestualizzati in modi diversi) è presente in almeno tre racconti, e altre tematiche di fondo, come il confronto tra normale e anomalo, si ripresenta spesso. La bravura di Berneschi sta nel fornire un punto di vista inusuale pur partendo da cliché ben conosciuti, come può esserlo la famiglia non-morta in I devitalizzati, o l'apocalisse zombie con una vecchina come sopravvissuta, oppure lo scopo dell'invasione aliena. Non per riportare sempre il discorso lì, ma l'approccio è simile a quello che si trova spesso nei racconti di fantascienza (tant'è che alcuni racconti, come Protozoi o La velocità del denaro si possono sicuramente ascriere anche alla sf), ed è per questo che in fondo reputo i due generi abbastanza affini. Nel complesso Necroniricon risulta una raccolta ricca di spunti, di facile lettura (grazie anche all'umorismo che emerge in quasi tutti i testi) e con più livelli di interpretazione, il giusto compromesso tra intrattenimento e approfondimento. Questo è a mio avviso uno dei migliori libri pubblicati dalla Factory finora (almeno tra quelli che ho letto), e pertanto non mi vergono a dargli un voto 8/10 pur trovandosi nello stesso post in cui ho dato a Lieber poco più della sufficienza.
Il primo libro che ho completato a giugno è quello che si dice un classico.
Our Lady of Darkness
(Nostra signora delle tenebre in italiano) è infatti un romanzo di Fritz Leiber dai più considerato un masterpiece del genere. Leiber stesso è un autore di cui ho già parlato diverse volte in passato, principalmente perché la sua produzione è molto orientata sulla fantascienza, in questo caso però il focus va decisamente sul soprannaturale, anzi, sul paramentale. Il romanzo tratta essenzialmente di maledizioni, di presenze misteriose e di forze che l'uomo non è in grado di controllare. Sicuramente è una storia appassionante, e contiene una serie di idee davvero affascinanti, prima su tutte la megapolisomanzia, cioè la disciplina occulta che studia il potere soprannaturale generato dalle metropoli. Leiber è sicuramente bravo a mettere in campo tutte queste forze e teorie oscure, tuttavia quello che mi è mancato in questo libro è uno svolgimento classico della trama, un protagonista a cui affezionarsi e per cui parteggiare. Il protagonista infatti, per qualche ragione, mi è rimasto sempre distante e poco empatico, per cui pur rimanendo affascinato dalle idee non lo sono stato altrettanto dalla storia. Probabilmente il libro contiene anche tutta una serie di riferimenti alla cultura e letteratura dell'occulto che non ho saputo cogliere, e che arricchiscono notevolmente la letttura, quindi il mio giudizio potrebbe essere viziato. Non prendetemi quindi troppo in parola quando dico che per me è un voto 6.5/10, è probabile che in realtà meriti molto di più e sia io a non averlo capito del tutto.
Il secondo libro horror che ho letto è invece di un autore italiano, e nello specifico un collega della Factory: Andrea Berneschi, scrittore aretino specializzato in horror. Il suo
Necroniricon
è una raccolta di racconti horror, di lunghezza medio-breve, alcuni anche di una pagina o poco più. Negli oltre venti racconti contenuti c'è spazio per temi e declinazioni differenti del genere, anche se si trovano alcuni temi ricorrenti: quello dei morti viventi (chiamati o contestualizzati in modi diversi) è presente in almeno tre racconti, e altre tematiche di fondo, come il confronto tra normale e anomalo, si ripresenta spesso. La bravura di Berneschi sta nel fornire un punto di vista inusuale pur partendo da cliché ben conosciuti, come può esserlo la famiglia non-morta in I devitalizzati, o l'apocalisse zombie con una vecchina come sopravvissuta, oppure lo scopo dell'invasione aliena. Non per riportare sempre il discorso lì, ma l'approccio è simile a quello che si trova spesso nei racconti di fantascienza (tant'è che alcuni racconti, come Protozoi o La velocità del denaro si possono sicuramente ascriere anche alla sf), ed è per questo che in fondo reputo i due generi abbastanza affini. Nel complesso Necroniricon risulta una raccolta ricca di spunti, di facile lettura (grazie anche all'umorismo che emerge in quasi tutti i testi) e con più livelli di interpretazione, il giusto compromesso tra intrattenimento e approfondimento. Questo è a mio avviso uno dei migliori libri pubblicati dalla Factory finora (almeno tra quelli che ho letto), e pertanto non mi vergono a dargli un voto 8/10 pur trovandosi nello stesso post in cui ho dato a Lieber poco più della sufficienza.
Published on July 07, 2015 23:00
July 5, 2015
Quanticat
Un paio di settimane fa, per ragioni che non sto a spiegare qui, ho ripescato il libretto Corti Terza Stagione, pubblicato alcuni anni fa dalle compiante Edizoini XII, che contiene alcuni (credo tre) miei racconti. Sfogliandolo a caso l'occhio mi è caduto proprio su uno dei miei racconti, che non ricordavo assolutamente di aver scritto, e che per qualche ragione non è nel mio archivio dei testi salvati (per abitudine li conservo tutti, anche quelli di poche centinaia di caratteri come questo). Rileggendolo mi sono detto: wow, è forte (lo so, un autore non dovrebbe compiacersi così tanto del suo lavoro, ma ho potuto giudicarlo proprio perché l'avevo completamente rimosso dalla memoria), e allora ho pensato di ripoporlo sul blog, visto che la reperebilità attuale di questo libretto (piccolo e geniale) è oggi pressoché nulla.
C'è una ragione se era in un libro intitolato Corti. È breve, ma breve davvero. Appena 800 caratteri, se ricordo bene. Eppure, oh... è forte.
C'è una ragione se era in un libro intitolato Corti. È breve, ma breve davvero. Appena 800 caratteri, se ricordo bene. Eppure, oh... è forte.
Quanticat
Erwin aveva evitato Ruth per tutta la mattinata. Ma quando lei gli montò sulle ginocchia non poté negarle la sua attenzione.
«Papà» chiese la piccola «dov’è Bertha?»
Il padre lanciò un’occhiata furtiva alla scatola sul pavimento della cucina. Era lì che la gatta dormiva, ed era lì che lui l’aveva trovata morta, quella mattina. Aveva coperto il giaciglio per evitare che Ruth la scorgesse.
«Tesoro, Bertha è…» Stava per rivelarle la triste perdita, ma si immobilizzò, perso nei profondi occhi di sua figlia, innocenti e pieni di speranza. Come poteva darle quel dolore?
«Bertha è nella scatola» concluse.
«Sta bene? Possiamo giocare?»
«No» ribatté deciso. «Non aprire quella scatola. Finché rimarrà chiusa, Bertha starà sempre bene».
Ruth sembrò sospettosa, ma lui non cedette. E se anche le aveva mentito, il dottor Schrodinger avrebbe fatto in modo che tutto il mondo credesse a quella bugia.
Published on July 05, 2015 02:30
July 3, 2015
Coppi Night 28/06/2015 - Johnny Mnemonic
Film visto e rivisto decine di volte, che fa addirittura parte della mia collezione di dvd. Ma non è mai spiacevole riguardarlo, anche se con il passare degli anni il gap tra la presunta tecnologia futuristica proposta e quella effettivamente raggiunta si è fatto sempre più esteso, e per certi versi imbarazzante. Vista oggi la tecnologia di Johnny Mnemonic ha qualcosa di ingenuo, come un dinosauro disegnato da un bambino: grandi apparecchi ferrosi e ticchettanti, la proiezione di come si poteva pensare che si sarebbe evoluta l'informatica alla fine degli anni 90. È interessante notare come non sembri tanto diverso da quello che si vede in roba parecchio più datata, come Metropolis. Viene quindi da chiedersi quand'è che il percorso tecnologico ha preso una strada diversa da quella che tutti ci aspettavamo da un secolo.
Ma questi sono discorsi che non c'entrano molto con il film. La storia, come presumo sia noto, è tratta da un racconto di William Gibson, padre ideologico del cyberpunk, ed è forse una delle manifestazioni cinematografiche più convincenti di questa corrente letteraria/intellettuale. Pochi anni dopo saremmo arrivati a Matrix che pur partendo da premesse simili ha portato poi in un'altra direzione (mi riferisco naturalmente solo al primo film, non ai due sequel).
Ma anche questo non c'entra molto con Johnny Mnemonic in sé. In realtà del film ho poco da dire, perché si tratta di un tale cult che qualunque parola sarebbe di troppo. Non dico che sia un capolavoro, ma senza dubbio si è guadagnato il suo ruolo di classico, e nonostante ad oggi possa far sorridere proprio per l'obsolescenza di certe scene (il salto finale nel cyberspazio ha una grafica inferiore a Super Mario 64), penso che continuerà a essere guardabile ancora per molti anni.
Ma questi sono discorsi che non c'entrano molto con il film. La storia, come presumo sia noto, è tratta da un racconto di William Gibson, padre ideologico del cyberpunk, ed è forse una delle manifestazioni cinematografiche più convincenti di questa corrente letteraria/intellettuale. Pochi anni dopo saremmo arrivati a Matrix che pur partendo da premesse simili ha portato poi in un'altra direzione (mi riferisco naturalmente solo al primo film, non ai due sequel).Ma anche questo non c'entra molto con Johnny Mnemonic in sé. In realtà del film ho poco da dire, perché si tratta di un tale cult che qualunque parola sarebbe di troppo. Non dico che sia un capolavoro, ma senza dubbio si è guadagnato il suo ruolo di classico, e nonostante ad oggi possa far sorridere proprio per l'obsolescenza di certe scene (il salto finale nel cyberspazio ha una grafica inferiore a Super Mario 64), penso che continuerà a essere guardabile ancora per molti anni.
Published on July 03, 2015 00:00
June 30, 2015
Film che non vedrete mai: Sei giorni sulla Terra
Di solito nell'occasionale rubrica di queto blog "film che non vedrete mai" propongo recensioni di film stranieri che con molta difficoltà arriveranno sul mercato italiano. Il caso vuole poi che io sia stato smentito, quando ad esempio con notevole ritardo
Synecdoche, New York
è sato doppiato e distribuito, ma l'idea di partenza è quella. In questo caso invece, le cose stanno diversamente. Questo infatti è un film italiano, per cui si presume che vi risulti molto facile da vedere. Solo che non lo farete: al termine di questo post saprete perché.
Sei giorni sulla Terra è un film del 2011 scritto e diretto da Varo Venturi (che interpreta anche un ruolo secondario). È un film di fantascienza, e già questo si può considerare un evento eccezionale, considerato che nel cinema italiano la sf è quasi inesistente (l'unico esempio notevole che mi viene in mente è Nirvana, ci sono poi alcuni prodotti ibridi come
L'arrivo di Wang
). Il tema principale del film è quello delle abduction, o comunque dell'influenza extraterrestre sull'umanità, ma in effetti ci si trova molto altro. Facciamo un piccolo riassunto, e avverto che ci saranno degli spoiler, non tanto sulla trama del film in sé quanto sulle idee che vi vengono esposte.
La storia segue le vicende del professor Davide Piso, un ufologo di fama internazionale con teorie molto particolari, che pratica abitualmente l'ipnosi regressiva sui pazienti che sono stati vittima di rapimenti alieni, per "estrarre" dal loro corpo le entità aliene che se ne impossessano. Lui ha infatti scoperto che è questo che gli extraterresti vogliono: gli umani sono il contenitore perfetto per la coscienza aliena e fonte di un'energia (di cui essi sono privi) chiamata fantasiosamente "anima". Gli alieni (al plurale, perché non si tratta di una sola ma di tredici razze, dai grigi ai rettiliani, dai nordici agli esseri di luce) hanno bisogno di anima per poter trascendere il loro stato attuale, ed è per questo che hanno opportunamente progettato la razza umana e tenuto sotto controllo la sua evoluzione con mirate alterazioni genetiche durante tutta la storia. La routine quotidiana di Piso cambia quando incontra Saturnia, una ragazza che a sua volta dice di essere stata rapita, e al cui interno il professore scopre la presenza di un'entità arcaica e potentissima, che si presenta come Hexabor di Ur. Hexabor non è solo un ospite nel corpo di Saturnia, ma lo può controllare a suo piacimento, ed è quindi il primo "successo" del millenario piano degli alieni. Intuendo la gravità del caso, Piso si rivolge ad altri specialisti per cercare di allontanare Hexabor, salvare Saturnia e incidentalmente tutta l'umanità.
Come già detto, la cosa sensazionale di questo film è la compresenza di decine di spunti in qualche modi afferenti a quelle che si possono classificare come "teorie del complotto". Non si tratta soltanto di abduction, antichi alieni, e connivenza dei governi mondiali con i poteri extraterrestri. Il film si spinge molto oltre, includendo nel quadro anche massoneria, esoterismo, satanismo, cabala e così via. Ogni dieci minuti un nuovo elemento si aggiunge alla storia, alimentando la rete interconnessa di complotti mondiali che fanno infine tutti capo al grande progetto di dominazione aliena. Tutto questo da una parte può sembrare esagerato, ma dall'altra, diciamolo, è davvero divertente. È come se stessimo guardando Mistero - Il film, scritto e diretto da Adam Kadmon. La forza di Sei giorni sulla Terra sta proprio nella sua spudorata connessione a tutte le più ridicole teorie del complotto (mancano giusto le scie chimiche e gli antivaccini), e nella capacità di collegarle tutte in modo anche originale, ad esempio mostrando le possessioni demoniache come un caso particolare di dominazione aliena, o con l'ingegnoso collegamento tra codici a barre e libro dell'Apocalisse. Per questo merita sicuramente la visione.
Quello che invece non regge più di tanto, è innanzitutto la trama, che dopo l'introduzione passa al solito plot thriller-poliziesco-spionistico, con il professore in fuga con la ragazza e i servizi segreti di mezzo mondo ad inseguirli, che sa tanto di già visto e di poliziottesco provinciale italiota. Inoltre le sequenze finali non sono chiarissime, anzi non sono sicuro che il finale sia davvero definito, ma forse questo rientra nelle intenzioni dell'autore. C'è da rilevare poi una certa carenza a livello tecnico, sia per quanto riguarda la recitazione che il montaggio e gli effetti speciali, piaga che sembra affliggere il cinema italiano di nicchia. Questi aspetti purtroppo vanno a discapito dell'eruzione di idee che sorregge la trama, rendendo la visione non troppo piacevole.
Ora, se dovessi sinceramente consigliare o meno questo film, sarei in dubbio. Questi aspetti al limite dell'amatoriale lo rendono una visione leggermente irritante, per cui ritengo che valga la pena impegnarsi solo se siete spettatori che godono nel veder espresse queste teorie assurde (come me), ma se ufologia e complotti vari vi lasciano indifferenti allora è meglio evitare. Peraltro non è nemmeno tanto facile da recuperare, io stesso l'ho scoperto e noleggatio in una videoteca (esistono ancora!). Per questo probabilmente rimarrà un film che non vedrete mai. Ma se vi siete incuriositi un minimo, concludo con il trailer, in modo da farvi decidere se spendere un'ora e quaranta in compagnia di Hexabor.
Un abbraccio, Adam.
Sei giorni sulla Terra è un film del 2011 scritto e diretto da Varo Venturi (che interpreta anche un ruolo secondario). È un film di fantascienza, e già questo si può considerare un evento eccezionale, considerato che nel cinema italiano la sf è quasi inesistente (l'unico esempio notevole che mi viene in mente è Nirvana, ci sono poi alcuni prodotti ibridi come
L'arrivo di Wang
). Il tema principale del film è quello delle abduction, o comunque dell'influenza extraterrestre sull'umanità, ma in effetti ci si trova molto altro. Facciamo un piccolo riassunto, e avverto che ci saranno degli spoiler, non tanto sulla trama del film in sé quanto sulle idee che vi vengono esposte. La storia segue le vicende del professor Davide Piso, un ufologo di fama internazionale con teorie molto particolari, che pratica abitualmente l'ipnosi regressiva sui pazienti che sono stati vittima di rapimenti alieni, per "estrarre" dal loro corpo le entità aliene che se ne impossessano. Lui ha infatti scoperto che è questo che gli extraterresti vogliono: gli umani sono il contenitore perfetto per la coscienza aliena e fonte di un'energia (di cui essi sono privi) chiamata fantasiosamente "anima". Gli alieni (al plurale, perché non si tratta di una sola ma di tredici razze, dai grigi ai rettiliani, dai nordici agli esseri di luce) hanno bisogno di anima per poter trascendere il loro stato attuale, ed è per questo che hanno opportunamente progettato la razza umana e tenuto sotto controllo la sua evoluzione con mirate alterazioni genetiche durante tutta la storia. La routine quotidiana di Piso cambia quando incontra Saturnia, una ragazza che a sua volta dice di essere stata rapita, e al cui interno il professore scopre la presenza di un'entità arcaica e potentissima, che si presenta come Hexabor di Ur. Hexabor non è solo un ospite nel corpo di Saturnia, ma lo può controllare a suo piacimento, ed è quindi il primo "successo" del millenario piano degli alieni. Intuendo la gravità del caso, Piso si rivolge ad altri specialisti per cercare di allontanare Hexabor, salvare Saturnia e incidentalmente tutta l'umanità.
Come già detto, la cosa sensazionale di questo film è la compresenza di decine di spunti in qualche modi afferenti a quelle che si possono classificare come "teorie del complotto". Non si tratta soltanto di abduction, antichi alieni, e connivenza dei governi mondiali con i poteri extraterrestri. Il film si spinge molto oltre, includendo nel quadro anche massoneria, esoterismo, satanismo, cabala e così via. Ogni dieci minuti un nuovo elemento si aggiunge alla storia, alimentando la rete interconnessa di complotti mondiali che fanno infine tutti capo al grande progetto di dominazione aliena. Tutto questo da una parte può sembrare esagerato, ma dall'altra, diciamolo, è davvero divertente. È come se stessimo guardando Mistero - Il film, scritto e diretto da Adam Kadmon. La forza di Sei giorni sulla Terra sta proprio nella sua spudorata connessione a tutte le più ridicole teorie del complotto (mancano giusto le scie chimiche e gli antivaccini), e nella capacità di collegarle tutte in modo anche originale, ad esempio mostrando le possessioni demoniache come un caso particolare di dominazione aliena, o con l'ingegnoso collegamento tra codici a barre e libro dell'Apocalisse. Per questo merita sicuramente la visione.
Quello che invece non regge più di tanto, è innanzitutto la trama, che dopo l'introduzione passa al solito plot thriller-poliziesco-spionistico, con il professore in fuga con la ragazza e i servizi segreti di mezzo mondo ad inseguirli, che sa tanto di già visto e di poliziottesco provinciale italiota. Inoltre le sequenze finali non sono chiarissime, anzi non sono sicuro che il finale sia davvero definito, ma forse questo rientra nelle intenzioni dell'autore. C'è da rilevare poi una certa carenza a livello tecnico, sia per quanto riguarda la recitazione che il montaggio e gli effetti speciali, piaga che sembra affliggere il cinema italiano di nicchia. Questi aspetti purtroppo vanno a discapito dell'eruzione di idee che sorregge la trama, rendendo la visione non troppo piacevole.
Ora, se dovessi sinceramente consigliare o meno questo film, sarei in dubbio. Questi aspetti al limite dell'amatoriale lo rendono una visione leggermente irritante, per cui ritengo che valga la pena impegnarsi solo se siete spettatori che godono nel veder espresse queste teorie assurde (come me), ma se ufologia e complotti vari vi lasciano indifferenti allora è meglio evitare. Peraltro non è nemmeno tanto facile da recuperare, io stesso l'ho scoperto e noleggatio in una videoteca (esistono ancora!). Per questo probabilmente rimarrà un film che non vedrete mai. Ma se vi siete incuriositi un minimo, concludo con il trailer, in modo da farvi decidere se spendere un'ora e quaranta in compagnia di Hexabor.
Un abbraccio, Adam.
Published on June 30, 2015 23:00
June 27, 2015
La vita vince sempre (tranne al Jurassic World)
Jurassic World è uscito da poco più di una settimana e già ha incassato stratilioni, piazzandosi nella top-qualcosa dei film di maggior successo ever. Il quarto capitolo della serie giurassica (anche se è idealmente un seguito diretto del primo Jurassic Park) ha catturato subito i fan di tutto il pianeta affascinandoli e sconvolgendoli... un po' quello che era il piano di John Hammond per il parco stesso (a dimostrazione che non servono i dinosauri veri, basta il "circo delle pulci"). Ora, diciamolo pure, Jurassic World è un film nel migliore dei casi mediocre. Ci sono validissimi motivi per ritenerlo un brutto film sotto tutti i punti di vista (narrativo, tecnico, scientifico, intrattenitivo), ma questa non è una recensione quindi non parleremo di JW in sé. Se comunque volete sapere cosa ne penso, potete leggere la recensione pubblicata dal paleontologo Andrea Cau sul blog Theropoda, che riassume bene o male le mie stesse impressioni.
Quello che mi interessava affrontare in questo post è quanto emerge come messaggio da Jurassic World, che cosa lo spettatore trae, in modo più o meno diretto, dalla visione. Certo, mi direte subito, non è un film fatto per avere un "senso profondo", è puro intrattenimento (anche se non ci riesce), quindi perché andare a cercare significati nascosti? Perché, di fatto, questi significati ci sono, ma sono così sommersi che probabilmente nemmeno chi ha realizzato il film si è accorto di averli inseriti. Non si tratta infatti di interpretazioni o metafore ma di paradigmi, strutture mentali occulte sul quale il film è stato costruito e che contribuisce a veicolare al pubblico.
No, non sto parlando del messaggio anti-consumistico anti-social, inserito con tanta grossolaneria nella prima parte del film che sembra di vedere una parodia. E nemmeno della possibile interpretazione metatestuale del film suggerita da qualcuno, secondo la quale JW parla in realtà della riproposizione di un franchise vent'anni dopo il suo successo iniziale, manovra ormai all'ordine del giorno nell'industria cinematografica. Questo potrebbe essere un arogmento interessante, ma non è quello che ci interessa, adesso.
Il vero tema nascosto è quello del rapporto tra "uomo e natura", il confronto sempre attuale tra i meccanismi che regolano la vita su questo pianeta e la possibilità e opportunità di alterarli. È chiaro che il film, come tutti quelli della serie, verte in modo centrale su questo argomento, e il messaggio immediato che se ne trae è "ci sono forze che non siamo in grado di controllare, e non dovremmo farlo". Fin qui tutto regolare, niente di nuovo, ma un messaggio sempre utile ribadire. Eppure ci sono delle sfumature ben diverse tra Jurassic World e il suo padre di una generazione prima, il Jurassic Park basato in maniera abbastanza diretta sul libro scritto da Michael Crichton. C'è una differenza fondamentale tra il film del 1993 e quello del 2015, ed è così sottile che in realtà non emerge alla prima visione. Proviamo a ripercorrere alcuni elementi essenziali delle due trame, che pur sviluppandosi con sequenze molto simili (a volte deliberatamente identiche) sottintendono un'interpretazione ben diversa.
In JP il parco dei dinosauri è in costruzione, e il milionario suo ideatore chiede la consulenza di qualche specialista prima di iniziare l'attività. Nello staff del parco c'è però una talpa, che ha intenzione di vendere il prezioso DNA mesozoico ad altri offerenti, e per farlo è disposto a scatenare il caos all'interno della struttura, liberando tutti gli animali per poter fuggire col bottino nel marasma conseguente. I visitatori si trovano così a confrontarsi con decine di bestie preistoriche in libertà, trovandosi spesso in situazioni di pericolo. Si scopre poi che nonostante tutte le misure di controllo (in particolare il sesso predeterminato per tutti gli animali clonati), i dinosauri hanno trovato comunque il modo di riprodursi. "La vita vince sempre", sentenzia all'inizio del film il teorico del caos, dottor Malcolm.
In JW siamo in parco già funzionante e aperto al pubblico, che però sta perdendo il suo appeal, e per calamitare di nuovo l'attenzione spinge le sue tecniche di splicing genetico creando un ibrido con svariati superpoteri. L'ibrido riesce a fuggire dal suo recinto e inizia a seminare morte e distruzione ovunque passa. I gestori del parco cercano quindi di fermarlo, impiegando tutti i mezzi a disposizione, ma falliscono quasi sempre, fino all'epica battaglia finale 3 vs 1 in cui l'ibrido viene eliminato, azzerando così tutti i disastri arrecati nel suo killing spree. "Servono più denti" è la frase che ha portato sia al problema che alla soluzione.
Può sembrare che le due trame in qualche modo convergano: in fondo si basa sempre di una situazione di pericolo creata dalla scarsca cautela di qualche persona troppo avida, con tutte le conseguenze del caso. Ma le differenze ci sono, e stanno tutte nel ruolo che gli umani assumono nelle due storie. Se è ovvio che ad innescare tutto c'è l'intervento dell'uomo (raccolta e replica del DNA di creature estinte), quello che succede una volta che i dinosauri tornano liberi è ben diverso nei due casi. In JP, per la maggior parte del tempo i personaggi umani sono coinvolti solo in modo collaterale, trovandosi in un ambiente poco familiare in cui animali poco familiari si muovono a loro piacimento. Il primo attacco del T-Rex ignora quasi del tutto i piccoli primati e si concentra quasi esclusivamente sull'automobile, oggetto apparentemente più consistente e appetitoso. In seguito sempre il T-Rex attaccherà dei gallimimus, e alla fine del film i velociraptor. Questi ultimi sono forse l'unica specie che mostra di avere un particolare accanimento per gli uomini, ma la cosa si può spiegare all'interno del film con la loro presunta intelligenza, e capacità di comprendere chi è stato a "imprigionarli". Per il resto, tuttavia, tanto nel film che nel libro da cui è derivato, ci si trova sempre di fronte a scene di "natura selvaggia" che risultano incidentalmente pericolose, come potrebbe esserlo un safari nella savana o una regata sul Rio delle Amazzoni. L'uomo è spettatore, e deve trovare il modo di salvarsi.
In JW la prospettiva cambia. L'ibrido mostra fin da subito la sua precisa volontà di uccidere, distruggere, e lo fa in modo creativo e deliberato. Attenzione, anche questo è opportunamente giustificato in-universe, con l'idea che la creatura sia stata progettata appositamente per essere intelligente e cattiva, e si comporta di conseguenza. Tuttavia, l'atteggiamento dell'Indominus (ho evitato finora di usare questo nome terribile, ma ero a corto di sinonimi) è fin troppo umano. E non solo il suo: i velociraptor che rispondono ai comandi, cambiano fazione, e poi si schierano di nuovo con il loro alpha, fanno lo stesso. Gli pterosauri liberati dalla voliera sembrano avere l'esclusivo obiettivo di calare sulle frotte di spettatori per catturarli. Anche il T-Rex (che come confermato dalle fonti ufficiali è narrativamente lo stesso del primo film) interviene solo quando convocato, fa la sua parte e se ne va con una quasi letterale strizzata d'occhio. Tutti i dinosauri di Jurassic World esistono e si muovo solo in funzione dell'uomo. Non hanno una propria volontà, pulsioni, spinte biologico-evolutive. Sono definite soltanto in base al loro atteggiamento verso gli uomini.
Questa è la differenza fondamentale tra i due film, ed è il paradigma dal quale gli autori sono (probabilmente in modo inconsapevole) partiti, portando in sala qualcosa che rafforza nel pubblico il suo già radicato pregiudizio specista. L'idea che l'uomo sia il gradino finale della scala evolutiva, e che questo si esprima a maggior ragione confrontandolo con creature estinte milioni di anni prima (anche su questo ci sarebbe da discutere, perché molti cladi di dinosauri sono di fatto tuttora viventi, ma questo è un altro argomento). Quella stessa distorsione che ci porta a rifiutare il fatto che discendiamo dalle scimmie, ignorando che questa affermazione è fondamentalmente errata.
Attenzione, quando mi riferisco al pregiudizio specista, non mi riferisco al concetto che "l'uomo è parte della natura" e quindi è tenuto a rispettarla e non alterarla. La specie umana, al momento, è indubbiamente in grado di decidere della vita di migliaia di altre specie, e questo la pone in un certo senso su un gradino più alto di molte di queste, ma solo in senso allegorico. La realtà dei fatti è che la vita, gli ecosistemi, l'intero pianeta, rispondono a leggi molto più antiche e incontrollabili, a cui noi stessi siamo sottoposti, e che prescindono in tutti i sensi dalla nostra volontà. In questo non siamo diversi da quei brachiosauri clonati che si trovano a brucare alberi cresciuti 80 milioni di anni dopo la loro morte. L'evoluzione è una staffetta*, e sì, dottor Malcolm, aveva ragione lei: la vita vince sempre, ma gioca sempre in squadra da sola.
*perdonate l'autocitazione
Quello che mi interessava affrontare in questo post è quanto emerge come messaggio da Jurassic World, che cosa lo spettatore trae, in modo più o meno diretto, dalla visione. Certo, mi direte subito, non è un film fatto per avere un "senso profondo", è puro intrattenimento (anche se non ci riesce), quindi perché andare a cercare significati nascosti? Perché, di fatto, questi significati ci sono, ma sono così sommersi che probabilmente nemmeno chi ha realizzato il film si è accorto di averli inseriti. Non si tratta infatti di interpretazioni o metafore ma di paradigmi, strutture mentali occulte sul quale il film è stato costruito e che contribuisce a veicolare al pubblico.No, non sto parlando del messaggio anti-consumistico anti-social, inserito con tanta grossolaneria nella prima parte del film che sembra di vedere una parodia. E nemmeno della possibile interpretazione metatestuale del film suggerita da qualcuno, secondo la quale JW parla in realtà della riproposizione di un franchise vent'anni dopo il suo successo iniziale, manovra ormai all'ordine del giorno nell'industria cinematografica. Questo potrebbe essere un arogmento interessante, ma non è quello che ci interessa, adesso.
Il vero tema nascosto è quello del rapporto tra "uomo e natura", il confronto sempre attuale tra i meccanismi che regolano la vita su questo pianeta e la possibilità e opportunità di alterarli. È chiaro che il film, come tutti quelli della serie, verte in modo centrale su questo argomento, e il messaggio immediato che se ne trae è "ci sono forze che non siamo in grado di controllare, e non dovremmo farlo". Fin qui tutto regolare, niente di nuovo, ma un messaggio sempre utile ribadire. Eppure ci sono delle sfumature ben diverse tra Jurassic World e il suo padre di una generazione prima, il Jurassic Park basato in maniera abbastanza diretta sul libro scritto da Michael Crichton. C'è una differenza fondamentale tra il film del 1993 e quello del 2015, ed è così sottile che in realtà non emerge alla prima visione. Proviamo a ripercorrere alcuni elementi essenziali delle due trame, che pur sviluppandosi con sequenze molto simili (a volte deliberatamente identiche) sottintendono un'interpretazione ben diversa.
In JP il parco dei dinosauri è in costruzione, e il milionario suo ideatore chiede la consulenza di qualche specialista prima di iniziare l'attività. Nello staff del parco c'è però una talpa, che ha intenzione di vendere il prezioso DNA mesozoico ad altri offerenti, e per farlo è disposto a scatenare il caos all'interno della struttura, liberando tutti gli animali per poter fuggire col bottino nel marasma conseguente. I visitatori si trovano così a confrontarsi con decine di bestie preistoriche in libertà, trovandosi spesso in situazioni di pericolo. Si scopre poi che nonostante tutte le misure di controllo (in particolare il sesso predeterminato per tutti gli animali clonati), i dinosauri hanno trovato comunque il modo di riprodursi. "La vita vince sempre", sentenzia all'inizio del film il teorico del caos, dottor Malcolm.
In JW siamo in parco già funzionante e aperto al pubblico, che però sta perdendo il suo appeal, e per calamitare di nuovo l'attenzione spinge le sue tecniche di splicing genetico creando un ibrido con svariati superpoteri. L'ibrido riesce a fuggire dal suo recinto e inizia a seminare morte e distruzione ovunque passa. I gestori del parco cercano quindi di fermarlo, impiegando tutti i mezzi a disposizione, ma falliscono quasi sempre, fino all'epica battaglia finale 3 vs 1 in cui l'ibrido viene eliminato, azzerando così tutti i disastri arrecati nel suo killing spree. "Servono più denti" è la frase che ha portato sia al problema che alla soluzione.
Può sembrare che le due trame in qualche modo convergano: in fondo si basa sempre di una situazione di pericolo creata dalla scarsca cautela di qualche persona troppo avida, con tutte le conseguenze del caso. Ma le differenze ci sono, e stanno tutte nel ruolo che gli umani assumono nelle due storie. Se è ovvio che ad innescare tutto c'è l'intervento dell'uomo (raccolta e replica del DNA di creature estinte), quello che succede una volta che i dinosauri tornano liberi è ben diverso nei due casi. In JP, per la maggior parte del tempo i personaggi umani sono coinvolti solo in modo collaterale, trovandosi in un ambiente poco familiare in cui animali poco familiari si muovono a loro piacimento. Il primo attacco del T-Rex ignora quasi del tutto i piccoli primati e si concentra quasi esclusivamente sull'automobile, oggetto apparentemente più consistente e appetitoso. In seguito sempre il T-Rex attaccherà dei gallimimus, e alla fine del film i velociraptor. Questi ultimi sono forse l'unica specie che mostra di avere un particolare accanimento per gli uomini, ma la cosa si può spiegare all'interno del film con la loro presunta intelligenza, e capacità di comprendere chi è stato a "imprigionarli". Per il resto, tuttavia, tanto nel film che nel libro da cui è derivato, ci si trova sempre di fronte a scene di "natura selvaggia" che risultano incidentalmente pericolose, come potrebbe esserlo un safari nella savana o una regata sul Rio delle Amazzoni. L'uomo è spettatore, e deve trovare il modo di salvarsi.
In JW la prospettiva cambia. L'ibrido mostra fin da subito la sua precisa volontà di uccidere, distruggere, e lo fa in modo creativo e deliberato. Attenzione, anche questo è opportunamente giustificato in-universe, con l'idea che la creatura sia stata progettata appositamente per essere intelligente e cattiva, e si comporta di conseguenza. Tuttavia, l'atteggiamento dell'Indominus (ho evitato finora di usare questo nome terribile, ma ero a corto di sinonimi) è fin troppo umano. E non solo il suo: i velociraptor che rispondono ai comandi, cambiano fazione, e poi si schierano di nuovo con il loro alpha, fanno lo stesso. Gli pterosauri liberati dalla voliera sembrano avere l'esclusivo obiettivo di calare sulle frotte di spettatori per catturarli. Anche il T-Rex (che come confermato dalle fonti ufficiali è narrativamente lo stesso del primo film) interviene solo quando convocato, fa la sua parte e se ne va con una quasi letterale strizzata d'occhio. Tutti i dinosauri di Jurassic World esistono e si muovo solo in funzione dell'uomo. Non hanno una propria volontà, pulsioni, spinte biologico-evolutive. Sono definite soltanto in base al loro atteggiamento verso gli uomini.
Questa è la differenza fondamentale tra i due film, ed è il paradigma dal quale gli autori sono (probabilmente in modo inconsapevole) partiti, portando in sala qualcosa che rafforza nel pubblico il suo già radicato pregiudizio specista. L'idea che l'uomo sia il gradino finale della scala evolutiva, e che questo si esprima a maggior ragione confrontandolo con creature estinte milioni di anni prima (anche su questo ci sarebbe da discutere, perché molti cladi di dinosauri sono di fatto tuttora viventi, ma questo è un altro argomento). Quella stessa distorsione che ci porta a rifiutare il fatto che discendiamo dalle scimmie, ignorando che questa affermazione è fondamentalmente errata.
Attenzione, quando mi riferisco al pregiudizio specista, non mi riferisco al concetto che "l'uomo è parte della natura" e quindi è tenuto a rispettarla e non alterarla. La specie umana, al momento, è indubbiamente in grado di decidere della vita di migliaia di altre specie, e questo la pone in un certo senso su un gradino più alto di molte di queste, ma solo in senso allegorico. La realtà dei fatti è che la vita, gli ecosistemi, l'intero pianeta, rispondono a leggi molto più antiche e incontrollabili, a cui noi stessi siamo sottoposti, e che prescindono in tutti i sensi dalla nostra volontà. In questo non siamo diversi da quei brachiosauri clonati che si trovano a brucare alberi cresciuti 80 milioni di anni dopo la loro morte. L'evoluzione è una staffetta*, e sì, dottor Malcolm, aveva ragione lei: la vita vince sempre, ma gioca sempre in squadra da sola.
*perdonate l'autocitazione
Published on June 27, 2015 01:12
June 24, 2015
La Serra trema - San Miniato (PI), 26-27 giugno
Segnalo un evento che non mi riguarda direttamente, nel senso che non si tratta di una presentazione di uno dei miei libri. Avevo già fatto presente che a fine giugno sarei stato a questa manifestazione, e ora a pochi giorni dalla data d'inizio (scusate lo scarso preavviso) confermo il tutto.
La Serra trema è un evento dedicato all'horror, in particolare al cinema pseudoamatoriale, tant'è che la definizione completa è "Festival del cinema artigiano macabro rurale". Oltre al cinema il festival si interessa anche delle altre declinazioni dell'horror, come quelle letterarie e fumettistiche, e lo confermano la presenza di case editrici come Dunwich e il panel su Dylan Dog in programma. La manifestazione si svolgerà a La Serra, località di San Miniato che giustifica il termine "rurale" nella descrizione dell'evento, considerando che dista una decina di chilometri dal più vicino supermercato e forse il doppio dal più vicino cinema, tanto per fare un esempio. Ma è anche zona di tartufi e di cacciagione, e in questo periodo anche di girasoli, quindi lo sforzo per raggiungerla è pienamente ripagato.
Tra i vari partner dell'evento c'è anche la Factory Editoriale I Sognatori , ed è in veste di esponente del gruppo che sarò presente anch'io, e nello specifico interverrò direttamente (insieme ad altri colleghi) sabato 27, alle ore 17:30, per una mezz'ora di chiacchiere dedicate appunto al progetto della Factory e alle sue pubblicazioni più in tema con la manifestazione. Ora, I Sognatori non è una casa editrice specializzata in horror, ma l'ampiezza dei generi trattati (dalla fantascienza al thriller, dal fantasy allo slipstream al weird) mette a disposizione un bel po' di materiale di cui trattare. Ci sarà forse modo anche di fare qualche acceno al mio Spore .
In ogni caso, intervento a parte, sarò lì per tutta la giornata di sabato, mentre il venerdì saranno altri factoriani a presiedere il nostro banchetto, con Andrea Berneschi (finora unico autore horror "puro" della scuderia) a salire sul palco durante la retrospettiva su Dylan Dog.
Quindi se siete appassionati del genere, l'appuntamento è ghiotto, anche per la presenza di numerosi ospiti di rilievo nel panorama underground cinemato-letterario orrorifico. Potete consultare il programma completo per scoprire chi altro ci sarà, oppure seguire gli aggiornamenti sulla pagina facebook.
La Serra trema è un evento dedicato all'horror, in particolare al cinema pseudoamatoriale, tant'è che la definizione completa è "Festival del cinema artigiano macabro rurale". Oltre al cinema il festival si interessa anche delle altre declinazioni dell'horror, come quelle letterarie e fumettistiche, e lo confermano la presenza di case editrici come Dunwich e il panel su Dylan Dog in programma. La manifestazione si svolgerà a La Serra, località di San Miniato che giustifica il termine "rurale" nella descrizione dell'evento, considerando che dista una decina di chilometri dal più vicino supermercato e forse il doppio dal più vicino cinema, tanto per fare un esempio. Ma è anche zona di tartufi e di cacciagione, e in questo periodo anche di girasoli, quindi lo sforzo per raggiungerla è pienamente ripagato.Tra i vari partner dell'evento c'è anche la Factory Editoriale I Sognatori , ed è in veste di esponente del gruppo che sarò presente anch'io, e nello specifico interverrò direttamente (insieme ad altri colleghi) sabato 27, alle ore 17:30, per una mezz'ora di chiacchiere dedicate appunto al progetto della Factory e alle sue pubblicazioni più in tema con la manifestazione. Ora, I Sognatori non è una casa editrice specializzata in horror, ma l'ampiezza dei generi trattati (dalla fantascienza al thriller, dal fantasy allo slipstream al weird) mette a disposizione un bel po' di materiale di cui trattare. Ci sarà forse modo anche di fare qualche acceno al mio Spore .
In ogni caso, intervento a parte, sarò lì per tutta la giornata di sabato, mentre il venerdì saranno altri factoriani a presiedere il nostro banchetto, con Andrea Berneschi (finora unico autore horror "puro" della scuderia) a salire sul palco durante la retrospettiva su Dylan Dog.
Quindi se siete appassionati del genere, l'appuntamento è ghiotto, anche per la presenza di numerosi ospiti di rilievo nel panorama underground cinemato-letterario orrorifico. Potete consultare il programma completo per scoprire chi altro ci sarà, oppure seguire gli aggiornamenti sulla pagina facebook.
Published on June 24, 2015 10:59
June 22, 2015
Coppi Night 14/06/2015 - A.C.A.B.
Non sono sicuro che il titolo si scriva come acronimo puntato o tutto di seguito, comunque il senso è quello, all cops are bastards. Si tratta di un film che più volte era stato proposto nel corso delle Coppi Night ma che finora non aveva mai vinto, e che per la verità avevo sempre osteggiato. Le caratteristiche di base infatti lo rendono ben lontano dai miei standard di gradimento: un film italiano e con tematica politica, cosa c'è di peggio? Beh, sarebbe peggio se volesse anche essere una commedia, e fosse recitato per più di metà da bambini (cfr:
La mafia uccide solo d'estate
). Stavolta però ho voluto risolvere per sempre la questione, e ho deciso di appoggiarlo.
E col senno di poi, posso dire che tutto sommato non mi è dispiaciuto. Mi aspettavo un film "di denuncia", che mostrasse gli abusi delle forze dell'ordine, tema che, per carità, è sicuramente importante, ma non è il tipo di argomento che mi piace vedere sviluppato in un film. Sospettavo quindi di vedere quindi una storia che puntasse a senso unico contro la polizia (nello specifico, i "celerini" della squadra mobile che sono incaricati di gestire la sicurezza durante particolari eventi come manifestazioni, partite ecc). Invece, sorprendentemente, il film si presta a più interpretazioni, fornendo punti di vista alternativi e senza incanalare l'opinione in una direzione univoca.
Quello che voglio dire è che, immaginando idealmente che esistano due schieramente pro- e contro-celerini, credo che entrambi riterrebbero la loro posizione rafforzata dopo la visione di questo film. È vero che gli agenti abusano della loro autorità, anche al di fuori dei loro incarichi ufficiali e senza la divisa addosso, ma d'altra parte si vede come ci sono fazioni che non aspettano altra occasione che quella di scatenare guerriglia urbana proprio contro di loro. Per me che non ho una posizione definita in questa battaglia, ne risulta banalmente che la verità sta nel mezzo, o forse, meno banalmente, da nessuna parte.
Sono rimasto quindi piacevolmente sorpreso, anche perché ho avuto la conferma che, tutto sommato, questi attori italiani che vediamo solitamente impegnati in commedie di basso rango e dal valore comunicativo pari a zero, se messi all'interno di una storia ben scritta e diretti da qualcuno che sa il suo mestiere, non si rivelano così cani. Viene così confermata la teoria così abilmente esposta nella serie Boris, di come la mediocrità derivi non tanto dall'assenza di capacità dei professionisti del settore quanto dalla mancanza di voler proporre qualcosa di diverso. Pensiero che, pur essendo in qualche modo rassicurante, lascia un certo retrogusto agrodolce.
E col senno di poi, posso dire che tutto sommato non mi è dispiaciuto. Mi aspettavo un film "di denuncia", che mostrasse gli abusi delle forze dell'ordine, tema che, per carità, è sicuramente importante, ma non è il tipo di argomento che mi piace vedere sviluppato in un film. Sospettavo quindi di vedere quindi una storia che puntasse a senso unico contro la polizia (nello specifico, i "celerini" della squadra mobile che sono incaricati di gestire la sicurezza durante particolari eventi come manifestazioni, partite ecc). Invece, sorprendentemente, il film si presta a più interpretazioni, fornendo punti di vista alternativi e senza incanalare l'opinione in una direzione univoca.Quello che voglio dire è che, immaginando idealmente che esistano due schieramente pro- e contro-celerini, credo che entrambi riterrebbero la loro posizione rafforzata dopo la visione di questo film. È vero che gli agenti abusano della loro autorità, anche al di fuori dei loro incarichi ufficiali e senza la divisa addosso, ma d'altra parte si vede come ci sono fazioni che non aspettano altra occasione che quella di scatenare guerriglia urbana proprio contro di loro. Per me che non ho una posizione definita in questa battaglia, ne risulta banalmente che la verità sta nel mezzo, o forse, meno banalmente, da nessuna parte.
Sono rimasto quindi piacevolmente sorpreso, anche perché ho avuto la conferma che, tutto sommato, questi attori italiani che vediamo solitamente impegnati in commedie di basso rango e dal valore comunicativo pari a zero, se messi all'interno di una storia ben scritta e diretti da qualcuno che sa il suo mestiere, non si rivelano così cani. Viene così confermata la teoria così abilmente esposta nella serie Boris, di come la mediocrità derivi non tanto dall'assenza di capacità dei professionisti del settore quanto dalla mancanza di voler proporre qualcosa di diverso. Pensiero che, pur essendo in qualche modo rassicurante, lascia un certo retrogusto agrodolce.
Published on June 22, 2015 01:00
June 18, 2015
Perché Samantha Cristoforetti è un'eroina
Come tutti nel mondo sanno, la settimana scorsa si è conclusa la missione 42 (mind this number) sulla ISS, che comprendeva tra l'equipaggio di bordo l'italiana Samantha Cristoforetti. Ora che ho esaurito le nozioni prese da wikipedia, passiamo all'oggetto di questo post.Durante i lunghi 200 giorni di permanenza della Cristoforetti (Astrosamantha per amici e uccellini) sulla stazione spaziale, si sono succeduti tanti commenti sul suo ruolo e la sua occupazione all'interno della missione. La presenza di una donna italiana nello Spazio (la prima, per inciso) è stata per lo più motivo di vanto e orgoglio nazionale, ma ci sono state anche reazioni avverse, e molte di queste si sono scatenate proprio in concomitanza con il rientro di Astrosamantha dalla missione, quando è stato un fiorire di "ebbasta non se ne pole più, ma chi è sta cretina e che ha fatto di così eccezionale?" Ci sono stati anche commenti di personaggi "illustri", gente che ha un seguito di pubblico e la cui opinione viene presa in considerazione e riportata dai giornali, che si muovevano su questo tono. "Se lei è un'eroina, cosa sono le donne che tutti i giorni si spaccano la schiena e poi hanno la famiglia da portare avanti? Mia nonna ha cresciuto quattordici figli, era più stupida di lei?" Uscite del genere sono accompagnati da valanghe di like e commenti di supporto. Personalmente, non ho la pretesa di far cambiare opinione a nessuno. E dubito anche che uno qualunque di quelli che hanno espresso accordo per un discorso del genere possano capitare su questo blog (se non cercando di scoprire qualcosa sull'osso del pene). Quindi probabilmente questo è un post senza pubblico, ma mi piacerebbe provare a spiegare perché Samanta Cristoforetti è davvero un'eroina, perché la consideriamo tale e merita questo titolo.
Lasciamo pure da parte tutta la sfilza di primati che ha accumulato (prima italiana nello Spazio, donna con permanenza più lunga nello Spazio, ecc...), anche se, in effetti, per alcuni è bastato molto meno ad essere proclamati eroi nazionali. Lasciamo anche stare il banale discorso anti-populista "Ah, ma quando la nazionale di calcio vince i mondiali sono tutti eroi e nominati cavalieri, quando si tratta di scienza non conta nulla, gli italiano ragionano col pallone al posto della testa", anche se, in effetti, ci sarebbe da discuterne. Io stesso, d'altra parte, non sono un fan di prima linea di Astrosamantha, ho seguito le sue avventure sporadicamente, eppure il poco che mi è arrivato mi ha convinto.
Il punto è che, per la prima volta nella storia dell'esplorazione spaziale italiana (ammesso che questa storia esista), ad andare nello Spazio è stato uno di noi. E quando parlo di noi, intendo noi seguaci della fantascienza, noi gente cresciuta coi dinosauri spiegati da Piero Angela, noi che cerchiamo di invividuare le costellazioni di notte... Samantha, da lassù, ci ha lanciato decine di segnali, ammicchi, citazioni. I più non le hanno colte, come quando i giornali hanno riportato il suo ultimo saluto senza capire che cosa significasse quel "Addio, e grazie di tutto il pesce", che non poteva non essere il commiato della missione 42. Ma noi ce ne siamo accorti, eccome!
Ecco perché la Cristoforetti ha riscosso tanto successo, tutto meritato. Con poche semplici battute ci ha fatto sentire tutti parte di un'unica squadra, e tutti più vicini alla Luna. Ci ha mostrato che c'è davvero spazio per noi, lassù, e di questo le siamo grati. È questo che fanno gli eroi: cambiare la dimensione umana di coloro che incontrano.
Tutta questione di marketing? Solo una strategia di comunicazione, un'abile sfruttamento delle possibilità offerte dai social network, che all'epoca di Parmitano ancora non erano diffusi? Probabile. Ed è quasi sicuro che Astrosamantha non avrebbe avuto tanto seguito (nel senso: tanti follower), se non avesse avuto modo di twittare le sue foto. Ma insomma, per una volta sembra che i social abbiano davvero svolto un ruolo importante nell'unire le persone, e potremmo anche perdonarli.
Published on June 18, 2015 23:40
June 15, 2015
Coppi Night 07/06/15 - Brain Damage
Quando un horror si muove sul sottile filo dell'assurdo possono venire fuori tanto delle schifezze incomprensibili quanto dei cult indimenticabili. Statisticamente il primo caso è il più frequente, ma basta che una volta su cento si verifichi il secondo per compensare tutti gli sforzi. Questi film fa parte di quel 1%.
Brain Damage (portato in Italia con il sottotitolo La maledizione di Elmer) è un film che si presenta come qualcosa di atipico fin dalle prime scene, quando una coppia di anziani si dispera mettendo la casa a soqquadro alla ricerca di qualcosa che è sparito dalla vasca da bagno. Si scoprirà poi che a essere scappato è appunto Elmer, una piccola creatura dalle fattezze copromorfe (essenzialmente sembra una cacca umana con gli occhi) capace di parlare e con un formidabile potere: Elmer è in grado di secernere una sostanza blu lattiginosa, che agisce sul cervello e induce uno stato di benessere e allucinazione, inducendo dipendenza. In cambio di questo paradiso, Elmer chiede solo di essere nutrito, preferibilmente con cervelli umani (vivi). Elmer fugge quindi dai suoi precedenti possessori e si rifugia da Brian, il giovane protagonista del film. Convince Brian a provare la sua speciale sostanza e da quel momento lo ha in suo potere, facendosi portare in giro (nascosto sotto i vestiti o appeso alla nuca) a caccia di cervelli da ingurgitare, nel corso di scorribande notturne di cui poi Brian non ricorda nulla. Il fratello e la ragazz di Elmer però si accorgono del suo cambiamento (soprattutto quando si chiude in bagno e ride come un ossesso stando nella vasca da solo), e pur non potendo rivelare il suo segreto, il ragazzo arriva a capire che qualcosa effettivamente non va in lui. Cerca così di liberarsi di Elmer, ma la cosa si dimostra tutt'altro che facile.
Questo film è eccezionale sotto diversi punti di vista. Innanzitutto è divertente, perché Elmer è un gran simpaticone e vederlo muoversi e chiacchierare in tono suadente è davvero spassoso, a maggior ragione considerando che è un pupazzo di gomma animato come oggi non se ne fanno più (in questo senso mi ha ricordato molto i vermi della serie di videogiochi Worms: fisionomia, movimenti e attitudine sono molto simili). Brain Damage è anche estremamente cinico, l'antitesi del politically correct, e alcune scene sono eccezionali in questo senso (pare infatti che la stessa troupe abbia rifiutato di girarle per quanto erano disgustose e irrispettose... se lo vedete capite subito a quale mi riferisco). In più, per essere un horror orientato allo splatter (di scene crude ce ne sono in abbondanza, ma anche queste puntano più a divertire che spaventare) ha una trama essenzialmente solida e coerente. Certo, la premessa di base è piuttosto straordinaria, ma non più di tanti altri horror "seri". Inoltre c'è anche tutta una mitologia dietro Elmer e la sua specie, che aggiunge al tutto una dimensione storica notevole. La trama in sé non ha niente di innovativo, ma per un film del genere è sicuramente di buon livello, e batte facilmente metà della cinematografia horror attuale. Infine, credo che Brain Damage abbia anche livelli di lettura multipli, e non si fermi alla sola superficie. Il collegamento tra Elmer e la dipendenza dalle droghe è evidente, quindi citare questo è abbastanza scontato, ma non credo che ci si fermi qui. Nella sua dipendenza dalla droga di Elmer, Brian arriva a conoscere un mondo diverso da quello in cui vivono gli altri, raggiunge uno stato di sinestesia in cui i sensi si mescolano e tutto è più armonioso. Per lui tutto questo è reale, anche più delle vittime che si lascia dietro di notte in notte, di cui in effetti non sa niente. Si può quindi arrivare a pensare che Elmer non sia soltanto una metafora della droga, ma anche il punto di accesso per una realtà più vasta, superiore, nella quale però il ragazzo si trova isolato dal resto del mondo. La scena finale, l'immagine su cui il film si chiude bruscamente, è abbastanza indicativa di questa interpretazione, con quella luce che fuoriesce dalla testa di Brian.
Forse sto esagerando, forse voglio leggere troppo in un film che è stato pensato solo per mettere insieme qualche effetto speciale valido (per l'epoca). Eppure, analizzando la ridotta produzione del regista/autore del film, si nota che sembra sempre esserci qualcosa di più, sotto la superficie fracassona (l'ultimo film ha per protagonisti un uomo col pene indipendente e una donna con sette clitoridi). Ma anche senza andare a scomodare filosofie, altri mondi e altri realtà, Brain Damage rimane un film di ottimo intrattenimento, che nonostante sia un po' lento rispetto agli standard contemporanei riguarderei subito.
Brain Damage (portato in Italia con il sottotitolo La maledizione di Elmer) è un film che si presenta come qualcosa di atipico fin dalle prime scene, quando una coppia di anziani si dispera mettendo la casa a soqquadro alla ricerca di qualcosa che è sparito dalla vasca da bagno. Si scoprirà poi che a essere scappato è appunto Elmer, una piccola creatura dalle fattezze copromorfe (essenzialmente sembra una cacca umana con gli occhi) capace di parlare e con un formidabile potere: Elmer è in grado di secernere una sostanza blu lattiginosa, che agisce sul cervello e induce uno stato di benessere e allucinazione, inducendo dipendenza. In cambio di questo paradiso, Elmer chiede solo di essere nutrito, preferibilmente con cervelli umani (vivi). Elmer fugge quindi dai suoi precedenti possessori e si rifugia da Brian, il giovane protagonista del film. Convince Brian a provare la sua speciale sostanza e da quel momento lo ha in suo potere, facendosi portare in giro (nascosto sotto i vestiti o appeso alla nuca) a caccia di cervelli da ingurgitare, nel corso di scorribande notturne di cui poi Brian non ricorda nulla. Il fratello e la ragazz di Elmer però si accorgono del suo cambiamento (soprattutto quando si chiude in bagno e ride come un ossesso stando nella vasca da solo), e pur non potendo rivelare il suo segreto, il ragazzo arriva a capire che qualcosa effettivamente non va in lui. Cerca così di liberarsi di Elmer, ma la cosa si dimostra tutt'altro che facile.Questo film è eccezionale sotto diversi punti di vista. Innanzitutto è divertente, perché Elmer è un gran simpaticone e vederlo muoversi e chiacchierare in tono suadente è davvero spassoso, a maggior ragione considerando che è un pupazzo di gomma animato come oggi non se ne fanno più (in questo senso mi ha ricordato molto i vermi della serie di videogiochi Worms: fisionomia, movimenti e attitudine sono molto simili). Brain Damage è anche estremamente cinico, l'antitesi del politically correct, e alcune scene sono eccezionali in questo senso (pare infatti che la stessa troupe abbia rifiutato di girarle per quanto erano disgustose e irrispettose... se lo vedete capite subito a quale mi riferisco). In più, per essere un horror orientato allo splatter (di scene crude ce ne sono in abbondanza, ma anche queste puntano più a divertire che spaventare) ha una trama essenzialmente solida e coerente. Certo, la premessa di base è piuttosto straordinaria, ma non più di tanti altri horror "seri". Inoltre c'è anche tutta una mitologia dietro Elmer e la sua specie, che aggiunge al tutto una dimensione storica notevole. La trama in sé non ha niente di innovativo, ma per un film del genere è sicuramente di buon livello, e batte facilmente metà della cinematografia horror attuale. Infine, credo che Brain Damage abbia anche livelli di lettura multipli, e non si fermi alla sola superficie. Il collegamento tra Elmer e la dipendenza dalle droghe è evidente, quindi citare questo è abbastanza scontato, ma non credo che ci si fermi qui. Nella sua dipendenza dalla droga di Elmer, Brian arriva a conoscere un mondo diverso da quello in cui vivono gli altri, raggiunge uno stato di sinestesia in cui i sensi si mescolano e tutto è più armonioso. Per lui tutto questo è reale, anche più delle vittime che si lascia dietro di notte in notte, di cui in effetti non sa niente. Si può quindi arrivare a pensare che Elmer non sia soltanto una metafora della droga, ma anche il punto di accesso per una realtà più vasta, superiore, nella quale però il ragazzo si trova isolato dal resto del mondo. La scena finale, l'immagine su cui il film si chiude bruscamente, è abbastanza indicativa di questa interpretazione, con quella luce che fuoriesce dalla testa di Brian.
Forse sto esagerando, forse voglio leggere troppo in un film che è stato pensato solo per mettere insieme qualche effetto speciale valido (per l'epoca). Eppure, analizzando la ridotta produzione del regista/autore del film, si nota che sembra sempre esserci qualcosa di più, sotto la superficie fracassona (l'ultimo film ha per protagonisti un uomo col pene indipendente e una donna con sette clitoridi). Ma anche senza andare a scomodare filosofie, altri mondi e altri realtà, Brain Damage rimane un film di ottimo intrattenimento, che nonostante sia un po' lento rispetto agli standard contemporanei riguarderei subito.
Published on June 15, 2015 09:38
June 12, 2015
Rapporto letture - Maggio 2015
Nuova tornata di letture, e questo mese devo ammettere che sono stato davvero monotematico, dedicandomi in pratica esclusivamente alla fantascienza. In compenso ho alternato bene tra romanzi e racconti, autori italiani e internazionali, opere recenti e datate. Entriamo nel dettaglio.
Ebbè con tutti che ne parlano alla fine ho letto anch'io L'uomo di Marte di Andy Weir, già sapendo che Ridley Scott ne sta realizzando un film. Avevo letto commenti in gran parte positivi e posso in linea di massima confermarli: questa storia di sopravvivenza estrema in un ambiente che non ha niente che favorisca la vita umana è davvero appassionante. Il protagonista viene abbandonato (creduto morto) su Marte, e qui deve cavarsela da solo fino all'arrivo dei soccorsi... quattro anni dopo. La storia è narrata principalmente in prima persona, attraverso il diario di bordo, ma in seguito facciamo incursioni anche in altri personaggi, sulla Terra o in viaggio tra i due pianeti. La cosa che più funziona è sicuramente l'accuratezza con cui l'astronauta disperso applica nozioni scientifiche (chimica, fisica, botanica, matematica, ingegneria) per trovare la soluzione ai suoi problemi. In questo senso è probabilmente un libro molto adatto a un pubblico moderatamente geek, anche perché il narratore è estremamente ironico e il tono per lo più leggero. Insomma, un'ottima avventura, che si spera non perda qualcosa nella trasposizione su schermo. Voto: 8/10
Passiamo quindi al primo autore italiano. Ho già parlato in passato di Silvio Donà, soprattutto recensendo il suo precedente romanzo di fantascienza Pinocchio.2112. Questo nuovo libro, uscito pochi mesi fa, si colloca in uno scenario simile, ma segue un percorso diverso.
Extasia
si svolge in un mondo esausto, potremmo quasi dire post-apocalittico anche se non ci sono cenni evidenti di un'apocalisse, solo un generale disfacimento della società attuale. I protagonisti sono due ragazzini, fratello e sorella, abituati alla vita di strada dominata dalla malavita, dalle droghe (tra cui l'extasia del titolo) e da un Morbo letale che colpisce all'improvviso e consuma i corpi delle vittime. I ragazzi, dopo essere finiti sulla lista nera di pericoloso clan criminale, tentano di trovare una via d'uscita, anche letterale, dalla città in cui hanno sempre vissuto, confrontandosi lungo il cammino con una serie di personaggi (qualcuno amichevole, qualcun altro meno). Ora, quando si parla di protagonisti ragazzini è facile pensare che si tratti di un romanzo di formazione o uno young adult, ma in questo caso non è così. In realtà entrambi i protagonisti, per quanto anagraficamente giovani, sono già abbastanza "formati". E non ci sono sottotrame sentimentali, state tranquilli. Il libro è soprattutto un'avventura, a tratti feroce, con alcune successive rivelazioni che tengono su il ritmo. Forse alcuni personaggi comprimari sono un po' stereotipati: il villain cattivo fino in fondo, il bravo dottore ingenuo e gli scienziati ossessionati dalla ricerca... tuttavia nell'insieme la storia regge. Forse Pinocchio.2112 aveva qualcosa in più, per uno sviluppo della storia più complesso, ma anche questo rimane comunque un buon libro, accessibile a qualunque pubblico. Voto: 7/10
Continuiamo con autori italiani, e uso il plurale non a caso, perché la raccolta di racconti Cielo e ferro è scritta in coppia da Italo Bonera e Paolo Frusca. Anche di loro avevo già letto qualcosa, e se risalite a ottobre 2012 (!!!) potete trovare il commento a Ph0xGen!. Questo libro dal titolo impronunciabile era un'ucronia in cui l'Impero Austriaco ha esteso il suo dominio su tutta l'Europa, e a sua volta Cielo e ferro gioca con la storia, stavolta però più sui toni della distopia. La raccolta infatti è composta da racconti (alcuni scritti da entrambi gli autori, altri da uno solo dei due) ambientati in un futuro prossimo, in cui la crescita del potere di un leader religioso fondamentalista ha trascinato il mondo verso un baratro di violenza e oscurantismo. La cosa interessante è come questa religione viene presentata, una sorta di ibrido delle maggiori religioni monoteiste, che prende da ognuna principalmente gli aspetti peggiori. È molto suggestivo scoprire come questa ha raggiunto la popolarità e accumulato fedeli, e vedere le conseguenze che questo ha portato nella politica globale. Chiarito lo scenario, c'è da dire che i racconti sono svincolati tra loro, alcuni anzi hanno pochi elementi a caratterizzarli all'interno del contesto, tuttavia il tono cupo e la cappa opprimente rimangono costanti per tutta la raccolta. È sicuramente auspicabile (e credo che sia già in corso d'opera) l'approfondimento della storia avrahamita. Voto 7.5/10
Tornando ai masters of science fiction, ecco un romanzo breve di Larry Niven che mi sono trovato sul kindle non ricordo bene perché. Una storia di fine del mondo imminente, che inizia quando il protagonista si accorge che la luna è molto più luminosa di quanto dovrebbe essere. Capisce quindi che probabilmente il sole ci ha fatto uno scherzo e sta diventando una nova, e ci sono solo poche ora prima che tutto il pianeta sia incenerito. Seguiamo così la sua avventura con la ragazza che frequenta, mentre anche qualcun altro sembra accorgersi dell'anomalia ma nessuno ha intenzione di lanciare l'allarme, soltanto godersi l'ultima notte. Sempre che sia tutto vero.
Inconstant Moon
risulta una storia gradevole, per la verità non così straordinaria dal punto di vista della speculazione fantascientifica, ma comunque una buona lettura. Voto 6.5/10
Per ultima c'è l'opera di un altro autore italiano, Fabio Lastrucci, anche questo un ebook che mi stazionava nel kinde da tempo, dato che mi è già capitato di leggere qualcosa dell'autore (non mi ricordo dove o quando).
Utopia morbida
si potrebbe definire un romanzo breve, anche se, devo essere onesto, ho qualche difficoltà a riassumerne i tratti essenziali. Sostanzialmente la storia verte sulla possibilità di creare un "mondo ideale" sfruttando le capacità mentali dello stato di sogno (uhm, does it ring a bell?), e assistiamo alla creazione di questa utopia alla quale si oppongono le autorità. Il problema però è che la storia è forse troppo frammentata, i brevi capitoli con decine di personaggi rendono difficoltoso seguire il dipanarsi della vicenda, per cui non sono riuscito del tutto a comprendere "cosa succede", nonostante i temi e i richiami siano chiari. Probabilmente questo libro avrebbe avuto bisogno di uno sviluppo più ampio e soprattutto più "rilassato", senza il bisogno di mettere continuamente in campo nuovi personaggi. Qualche buona idea c'è, ma non riesce a emergere efficacemente. Voto: 5/10
Ebbè con tutti che ne parlano alla fine ho letto anch'io L'uomo di Marte di Andy Weir, già sapendo che Ridley Scott ne sta realizzando un film. Avevo letto commenti in gran parte positivi e posso in linea di massima confermarli: questa storia di sopravvivenza estrema in un ambiente che non ha niente che favorisca la vita umana è davvero appassionante. Il protagonista viene abbandonato (creduto morto) su Marte, e qui deve cavarsela da solo fino all'arrivo dei soccorsi... quattro anni dopo. La storia è narrata principalmente in prima persona, attraverso il diario di bordo, ma in seguito facciamo incursioni anche in altri personaggi, sulla Terra o in viaggio tra i due pianeti. La cosa che più funziona è sicuramente l'accuratezza con cui l'astronauta disperso applica nozioni scientifiche (chimica, fisica, botanica, matematica, ingegneria) per trovare la soluzione ai suoi problemi. In questo senso è probabilmente un libro molto adatto a un pubblico moderatamente geek, anche perché il narratore è estremamente ironico e il tono per lo più leggero. Insomma, un'ottima avventura, che si spera non perda qualcosa nella trasposizione su schermo. Voto: 8/10
Passiamo quindi al primo autore italiano. Ho già parlato in passato di Silvio Donà, soprattutto recensendo il suo precedente romanzo di fantascienza Pinocchio.2112. Questo nuovo libro, uscito pochi mesi fa, si colloca in uno scenario simile, ma segue un percorso diverso.
Extasia
si svolge in un mondo esausto, potremmo quasi dire post-apocalittico anche se non ci sono cenni evidenti di un'apocalisse, solo un generale disfacimento della società attuale. I protagonisti sono due ragazzini, fratello e sorella, abituati alla vita di strada dominata dalla malavita, dalle droghe (tra cui l'extasia del titolo) e da un Morbo letale che colpisce all'improvviso e consuma i corpi delle vittime. I ragazzi, dopo essere finiti sulla lista nera di pericoloso clan criminale, tentano di trovare una via d'uscita, anche letterale, dalla città in cui hanno sempre vissuto, confrontandosi lungo il cammino con una serie di personaggi (qualcuno amichevole, qualcun altro meno). Ora, quando si parla di protagonisti ragazzini è facile pensare che si tratti di un romanzo di formazione o uno young adult, ma in questo caso non è così. In realtà entrambi i protagonisti, per quanto anagraficamente giovani, sono già abbastanza "formati". E non ci sono sottotrame sentimentali, state tranquilli. Il libro è soprattutto un'avventura, a tratti feroce, con alcune successive rivelazioni che tengono su il ritmo. Forse alcuni personaggi comprimari sono un po' stereotipati: il villain cattivo fino in fondo, il bravo dottore ingenuo e gli scienziati ossessionati dalla ricerca... tuttavia nell'insieme la storia regge. Forse Pinocchio.2112 aveva qualcosa in più, per uno sviluppo della storia più complesso, ma anche questo rimane comunque un buon libro, accessibile a qualunque pubblico. Voto: 7/10
Continuiamo con autori italiani, e uso il plurale non a caso, perché la raccolta di racconti Cielo e ferro è scritta in coppia da Italo Bonera e Paolo Frusca. Anche di loro avevo già letto qualcosa, e se risalite a ottobre 2012 (!!!) potete trovare il commento a Ph0xGen!. Questo libro dal titolo impronunciabile era un'ucronia in cui l'Impero Austriaco ha esteso il suo dominio su tutta l'Europa, e a sua volta Cielo e ferro gioca con la storia, stavolta però più sui toni della distopia. La raccolta infatti è composta da racconti (alcuni scritti da entrambi gli autori, altri da uno solo dei due) ambientati in un futuro prossimo, in cui la crescita del potere di un leader religioso fondamentalista ha trascinato il mondo verso un baratro di violenza e oscurantismo. La cosa interessante è come questa religione viene presentata, una sorta di ibrido delle maggiori religioni monoteiste, che prende da ognuna principalmente gli aspetti peggiori. È molto suggestivo scoprire come questa ha raggiunto la popolarità e accumulato fedeli, e vedere le conseguenze che questo ha portato nella politica globale. Chiarito lo scenario, c'è da dire che i racconti sono svincolati tra loro, alcuni anzi hanno pochi elementi a caratterizzarli all'interno del contesto, tuttavia il tono cupo e la cappa opprimente rimangono costanti per tutta la raccolta. È sicuramente auspicabile (e credo che sia già in corso d'opera) l'approfondimento della storia avrahamita. Voto 7.5/10
Tornando ai masters of science fiction, ecco un romanzo breve di Larry Niven che mi sono trovato sul kindle non ricordo bene perché. Una storia di fine del mondo imminente, che inizia quando il protagonista si accorge che la luna è molto più luminosa di quanto dovrebbe essere. Capisce quindi che probabilmente il sole ci ha fatto uno scherzo e sta diventando una nova, e ci sono solo poche ora prima che tutto il pianeta sia incenerito. Seguiamo così la sua avventura con la ragazza che frequenta, mentre anche qualcun altro sembra accorgersi dell'anomalia ma nessuno ha intenzione di lanciare l'allarme, soltanto godersi l'ultima notte. Sempre che sia tutto vero.
Inconstant Moon
risulta una storia gradevole, per la verità non così straordinaria dal punto di vista della speculazione fantascientifica, ma comunque una buona lettura. Voto 6.5/10
Per ultima c'è l'opera di un altro autore italiano, Fabio Lastrucci, anche questo un ebook che mi stazionava nel kinde da tempo, dato che mi è già capitato di leggere qualcosa dell'autore (non mi ricordo dove o quando).
Utopia morbida
si potrebbe definire un romanzo breve, anche se, devo essere onesto, ho qualche difficoltà a riassumerne i tratti essenziali. Sostanzialmente la storia verte sulla possibilità di creare un "mondo ideale" sfruttando le capacità mentali dello stato di sogno (uhm, does it ring a bell?), e assistiamo alla creazione di questa utopia alla quale si oppongono le autorità. Il problema però è che la storia è forse troppo frammentata, i brevi capitoli con decine di personaggi rendono difficoltoso seguire il dipanarsi della vicenda, per cui non sono riuscito del tutto a comprendere "cosa succede", nonostante i temi e i richiami siano chiari. Probabilmente questo libro avrebbe avuto bisogno di uno sviluppo più ampio e soprattutto più "rilassato", senza il bisogno di mettere continuamente in campo nuovi personaggi. Qualche buona idea c'è, ma non riesce a emergere efficacemente. Voto: 5/10
Published on June 12, 2015 01:00
Unknown to Millions
Il blog di Andrea Viscusi since 2010
Libri, fantascienza, serie tv, Futurama, Doctor Who
Libri, fantascienza, serie tv, Futurama, Doctor Who
- Andrea Viscusi's profile
- 81 followers

