Andrea Viscusi's Blog: Unknown to Millions, page 22
April 19, 2019
Come finirà Game of Thrones
L'ultima stagione di Game of Thrones si è fatta aspettare più del solito e ha lasciato tanto tempo ai fan per speculare su ipotesi e teorie, da quelle più scontate alle assurdità complete. Nel giro di poche settimane si concluderà una delle saghe più seguite dell'epoca contemporanea delle serie tv, e anche se molti (io per esempio) hanno forti dubbi sulla qualità delle ultime stagioni, è indubbio che GoT ha già lasciato il segno.
E via via che i fili si annodano e misteri si sciolgono, la questione più importante che rimane sul piatto è: come finirà Game of Thrones? Ovvero, chi sarà alla fine a conquistare il tanto agognato Trono di Spade? Con l'inizio della final season sono saltati fuori articoli, podcast e dirette streaming, centinaia di migliaia di parole per affrontare questo argomento. E la cosa un po' mi stupisce, perché con tutto il rispetto per questi professionisti del nerdom, la questione mi sembra di una banalità estrema. E la cosa paradossale è che tra tutti i commenti, leak, headcanon ed esegesi che mi è capitato di vedere (sicuramente una parte infinitesima di quanti ce ne sono in giro), nessuno sembra considerare questa possibilità.
Quindi adesso ve lo dico io, come finisce Game of Thrones. Ovvero, risponderò a quella domanda: chi siederà sul Trono di Spade?
La risposta, banale e lampante, è una sola: nessuno.
Non ci sarà nessuno sul Trono di Spade. Non lo intendo in senso metaforico, proprio in senso letterale: nessuno diventerà il nuovo legittimo sovrano, nessuno sarà Re degli Andali, dei Primi Uomini, Protettore del Regno eccetera eccetera. A dirla tutta, il Trono di Spade non esisterà più.
Può sembrare una soluzione estrema e forse anche provocatoria, ma è l'unico finale tematicamente coerente. Anzi, l'unico possibile, per rispettare il tema di fondo della serie, quello che potremmo considerare come l'arco narrativo dell'intera saga.
Tutta la storia di Game of Thrones si basa sul concetto che il potere è fallibile, corruttibile, perverso. Anche quando si manifesta negli individui più virtuosi finisce per condurre a storture, come abbiamo visto nella prima scena del pilot, quando Ned Stark esegue la sentenza capitale su un disertore colpevole soltanto di portare l'avviso dell'imminente attacco dei white walkers. La stessa identica cosa che continua a ripetersi in scala sempre più ampia nel seguito della serie. Tutto ciò che succede in otto stagioni non è altro che una conseguenza di questo assunto di base, l'intrinseca deformazione del potere, legittimo o usurpato che sia. Tutti i personaggi si sono confrontati con questa idea e hanno fallito, pagando in prima persona, spesso con la vita. Finora nessuno è riuscito davvero a opporsi al paradigma del potere costituito. Anche la Regina dei Draghi, tanto solerte nel liberare gli schiavi dai loro padroni, alla fine dei conti sembra molto determinata a riprendere il potere che è convinta le spetti per nascita, e si dimostra piuttosto permalosa quando qualcuno rifiuta inginocchiarsi a lei, per essere una che intende "rompere il meccanismo".
"When you play the game of thrones, you win or you die", ci viene detto molto presto, e finora si è dimostrato sempre vero. In effetti si potrebbe molto facilmente dedurre che anche quando vinci, la vittoria è solo temporanea, e a sua volta porterà con ogni proababilità alla morte. Il gioco del trono non si può vincere davvero. L'unica strategia è limitare le perdite, ovvero, non giocare.
Questo è il compimento naturale della serie. Una presa di coscienza dei protagonisti rimasti in campo, che realizzano di non poter cambiare niente finché continueranno a perpetuare gli stessi schemi. Finché qualcuno siederà sul Trono di Spade, finché ci sarà un Trono di Spade, la storia continuerà a ripetersi. La minaccia esterna degli zombie di ghiaccio è soltanto il catalizzatore che dovrebbe permettere ai più intelligenti di raggiungere questa consapevolezza. La fine del Regno, la fine del gioco. Solo così potranno tornare tutti a essere liberi, e magari anche rimanere vivi.
Non c'è un altro finale che abbia senso dal punto di vista tematico. Sì certo, ci saranno di mezzo le battaglie, in qualche modo sconfiggeranno o faranno arretrare gli zombie, il popolino acclamerà i draghi e tutte quelle cose lì. Ma il punto principale della storia è che il punto della storia deve cambiare. Altrimenti tutto quello che c'è stato finora perde ogni significato.
Ovviamente, non so se la serie finirà davvero così. Quindi questo è un How it should have ended fatto in anticipo. Ma seriamente, qualunque fine diversa da questa traviserebbe in modo completo e colpevole il senso dell'intera storia, facendo crollare tutta l'impalcatura narrativa messa su fin dal primo minuto. Poi si sa, per il fanservice si può fare questo e anche peggio. D'altra parte ci sono spin-off da produrre e gadget da vendere, quindi una speranza che tutto cambi perché niente cambi deve rimare viva nello spettatore bulimico.
Vedremo tra qualche settimana se hanno osato mantenersi coerenti alla loro opera o si sono piegati alle necessità del fandom. Adda passà l'inverno.
E via via che i fili si annodano e misteri si sciolgono, la questione più importante che rimane sul piatto è: come finirà Game of Thrones? Ovvero, chi sarà alla fine a conquistare il tanto agognato Trono di Spade? Con l'inizio della final season sono saltati fuori articoli, podcast e dirette streaming, centinaia di migliaia di parole per affrontare questo argomento. E la cosa un po' mi stupisce, perché con tutto il rispetto per questi professionisti del nerdom, la questione mi sembra di una banalità estrema. E la cosa paradossale è che tra tutti i commenti, leak, headcanon ed esegesi che mi è capitato di vedere (sicuramente una parte infinitesima di quanti ce ne sono in giro), nessuno sembra considerare questa possibilità.Quindi adesso ve lo dico io, come finisce Game of Thrones. Ovvero, risponderò a quella domanda: chi siederà sul Trono di Spade?
La risposta, banale e lampante, è una sola: nessuno.
Non ci sarà nessuno sul Trono di Spade. Non lo intendo in senso metaforico, proprio in senso letterale: nessuno diventerà il nuovo legittimo sovrano, nessuno sarà Re degli Andali, dei Primi Uomini, Protettore del Regno eccetera eccetera. A dirla tutta, il Trono di Spade non esisterà più.
Può sembrare una soluzione estrema e forse anche provocatoria, ma è l'unico finale tematicamente coerente. Anzi, l'unico possibile, per rispettare il tema di fondo della serie, quello che potremmo considerare come l'arco narrativo dell'intera saga.
Tutta la storia di Game of Thrones si basa sul concetto che il potere è fallibile, corruttibile, perverso. Anche quando si manifesta negli individui più virtuosi finisce per condurre a storture, come abbiamo visto nella prima scena del pilot, quando Ned Stark esegue la sentenza capitale su un disertore colpevole soltanto di portare l'avviso dell'imminente attacco dei white walkers. La stessa identica cosa che continua a ripetersi in scala sempre più ampia nel seguito della serie. Tutto ciò che succede in otto stagioni non è altro che una conseguenza di questo assunto di base, l'intrinseca deformazione del potere, legittimo o usurpato che sia. Tutti i personaggi si sono confrontati con questa idea e hanno fallito, pagando in prima persona, spesso con la vita. Finora nessuno è riuscito davvero a opporsi al paradigma del potere costituito. Anche la Regina dei Draghi, tanto solerte nel liberare gli schiavi dai loro padroni, alla fine dei conti sembra molto determinata a riprendere il potere che è convinta le spetti per nascita, e si dimostra piuttosto permalosa quando qualcuno rifiuta inginocchiarsi a lei, per essere una che intende "rompere il meccanismo".
"When you play the game of thrones, you win or you die", ci viene detto molto presto, e finora si è dimostrato sempre vero. In effetti si potrebbe molto facilmente dedurre che anche quando vinci, la vittoria è solo temporanea, e a sua volta porterà con ogni proababilità alla morte. Il gioco del trono non si può vincere davvero. L'unica strategia è limitare le perdite, ovvero, non giocare.
Questo è il compimento naturale della serie. Una presa di coscienza dei protagonisti rimasti in campo, che realizzano di non poter cambiare niente finché continueranno a perpetuare gli stessi schemi. Finché qualcuno siederà sul Trono di Spade, finché ci sarà un Trono di Spade, la storia continuerà a ripetersi. La minaccia esterna degli zombie di ghiaccio è soltanto il catalizzatore che dovrebbe permettere ai più intelligenti di raggiungere questa consapevolezza. La fine del Regno, la fine del gioco. Solo così potranno tornare tutti a essere liberi, e magari anche rimanere vivi.
Non c'è un altro finale che abbia senso dal punto di vista tematico. Sì certo, ci saranno di mezzo le battaglie, in qualche modo sconfiggeranno o faranno arretrare gli zombie, il popolino acclamerà i draghi e tutte quelle cose lì. Ma il punto principale della storia è che il punto della storia deve cambiare. Altrimenti tutto quello che c'è stato finora perde ogni significato.
Ovviamente, non so se la serie finirà davvero così. Quindi questo è un How it should have ended fatto in anticipo. Ma seriamente, qualunque fine diversa da questa traviserebbe in modo completo e colpevole il senso dell'intera storia, facendo crollare tutta l'impalcatura narrativa messa su fin dal primo minuto. Poi si sa, per il fanservice si può fare questo e anche peggio. D'altra parte ci sono spin-off da produrre e gadget da vendere, quindi una speranza che tutto cambi perché niente cambi deve rimare viva nello spettatore bulimico.
Vedremo tra qualche settimana se hanno osato mantenersi coerenti alla loro opera o si sono piegati alle necessità del fandom. Adda passà l'inverno.
Published on April 19, 2019 01:00
April 15, 2019
Rapporto letture - Marzo 2019
Mese di letture abbastanza intense e con una discreta varietà di generi, autori e temi, alla faccia di quelli che dicono che leggo sempre la solita roba e che c'è un mondo là fuori che non conosco e che in effetti non so chi siano ma sono sicuro che in giro ci sono queste voci.
Confesso: di Margareet Atwood non avevo mai letto nulla. Sì, lo so, il racconto dell'ancella, la distopia, non la chiamate fantascienza ché sennò lei si incazza, come se un tizio a Bora Bora si inventa un piatto composto da una pasta di farina lievitata e cotta con sopra salsa di pomodoro e mozzarella e insiste a dire che no quella mica è una pizza, come ti viene in mente? Insomma, questo per dire che partivo un po' prevenuto con
Fantasie di stupro
, che è poi una raccolta di racconti, cosa evidente visto che è pubblicata dalla casa editrice Racconti. I racconti sono per lo più di ambientazione contemporanea e inscrivibile nel mainstream (niente distopie a sto giro) e per la maggior parte mi hanno dato l'impressione di chiudersi mezza pagina troppo presto. Sembra che la Atwood arrivi al climax della vicenda e poi non lo affronti, ma si percepisce del metodo in questo approccio, non è una questione di incapacità o superficialità. La percezione è che porti il lettore al punto focale della storia e poi gli lasci decidere da solo cosa ne vuole trarre. Non tutti i racconti sono dello stesso livello, alcuni hanno tematiche più labili, ma in generale è comunque una lettura discreta. Voto: 6.5/10
Vi ricordate la Guerra Senza Nome? Probabilmente no, io invece non l'avevo mai dimenticata. Qualche anno fa parlai sul blog di Mort(e), romanzo di Robert Repino in cui le formiche dichiaravno guerra all'umanità usando come soldati animali da compagnia resi bipedi, antropoidi, parlanti e senzienti. Mort(e) è appunto il nome che si era scelto il gatto di casa Sebastian allo scoppio della guerra. In quel libro Mort(e) diventa un eroe di guerra ma poi arriva a chidersi le ragioni di questo conflitto, ed entrerà in contatto con alcuni dei pochi umani sopravvissuti che gli promettono di potergli far ritrovare Sheba, la cagnolina che viveva con lui prima della trasformazione. A distanza di tre anni ho scoperto che Repino ha scritto due sequel, a cominciare dal romanzo breve
Culdesac
. Culdesac è un personaggio che compare nel primo romanzo, comandante della Red Sphynx, la squadra felina di assassini in cui aveva militato Mort(e) durante la guerra. Ed è proprio durante la guerra che è ambientata questa storia, centrata appunto sul punto di vista di Culdesac, animato da un rancore insaziabile nei confronti degli umani. La Red Sphynx riceve l'ordine di stazionarsi in una cittadina conquistata e difenderla dagli attacchi degli umani, missione che a Culdesac non piace visto che la sua squadra è addestrata alle incursioni rapide e letali, non al controllo del territorio. Ma c'è evidentemente un piano della Regina, perché la Regina vede tutto, e Culdesac dovrà capire da solo cosa vuole da lui. A parte le crude sequenze della guerra, che nel primo romanzo mancavano poiché era ambientato dopo la sostanziale sconfitta degli umani, in Culdesac vengono poste questioni interessanti, che poi sono quelle che si affacciano più o meno in tutta la serie. Se il cambiamento degli animali ha aumentato la loro capacità di pensiero, significa che ha aumentato anche la loro capacità emotiva? Sono forse più empatici, più propensi all'amore, più "umani" nel senso in cui si intendono quei valori che dovrebbero contraddistinguere l'uomo dalle altre specie? Culdesac non si pone questi problemi, lui è un assassino e tutto quello di cui ha bisogno è la caccia, ma intorno a lui il mondo è cambiato e qualcosa si sta muovendo, anche tra gli animali. Voto: 7.5/10
E dopo questo breve prequel, sono passato anche a
D'Arc
, che invece è un romanzo completo. D'Arc, come Joan D'Arc, è il nome che Sheba sceglie per sé dopo che Mort(e) decide di darle la pasticca con gli ormoni che le permettono di trasformarsi (che la Regina gli aveva offerto alla fine del primo libro). La regina è morta, le formiche sono allo sbando, la guerra è finita, e Mort(e) e D'Arc si ritirano nei boschi, ad allevare formiche giganti. Ma dalla vicina città di castori qualcuno viene a chiedere il loro aiuto, e nonostante all'inizio Mort(e) sia riluttante, alla fine i due decidono di aiutarli. La realtà è che anche se la Regina è morta, la guerra non è finita, e forse non finirà mai. La Regina, che vede tutto, ha visto probabilmente la propria fine e ha fatto piani per il seguito. Ci sono altre creature che sentono la sua chiamata e che sanno di dover agire per eliminare la minaccia degli umani, e se necessario anche quella degli animali trasformati. Mort(e) vorrebbe tenersi fuori da tutto questo, lui ha già dato abbastanza, ma al contrario D'Arc vuole trovare la propria strada e parte quindi senza di lui. La cosa notevole di questo secondo capitolo della serie è vedere come il percorso di consapevolezza che nel primo volume è stato compiuto da Mort(e) adesso viene seguito da D'Arc, ma con ideali e obiettivi molto diversi. Ed è proprio dal conflitto tra i loro diversi approcci che nasce il senso del libro: un eroe riluttanto contro un'eroina entusiasta, uniti da un legame profondo, che però devono entrambi riuscire a travalicare. Anche qui ci sono battaglie, c'è un nuovo nemico, ci sono tradimenti e morti, ma sono tutte situazioni che serovno a mettere alla prova il loro rapporto e i loro diversi schemi di valori. Nessuno dei due ha ragione in assoluto, entrambi sbagliano, entrambi crescono e capiscono. Il finale è straziante, e lascia la voglia di saperne di più, e infatti è previsto un nuovo capitolo, secondo le ultime news in uscita quest'anno, ma chissà. Quanto darei perché questa serie fosse tradotta in italiano... Voto: 8/10
Ultimo libro letto è un altro romanzo breve, opera prima di Enrico Bordignon, collega autore di Moscabianca.
Animale e nume
è un libro molto particolare, una storia semplice nella sua concezione ma complessa nei temi che si spinge a toccare e intrecciare insieme. Abner Misau è un pittore, un filo pieno di sé come sanno esserlo certi artisti, che viene convocato da un team di astronomi per offrire la sua interpretazione su alcune strane osservazioni di corpi celesti. Da qui si arriva a ricalcare le orme di un dimenticato astrologo vittima dell'inquisizione, si ripercorre l'invasione e lo sterminio dei popoli del centro america e si finisce in visioni lisergiche fatte di colori autocoscienti che potrebbero essere la più concreta manifestazione di Dio. In poche pagine questa storia pone un sacco di domande, su religione e arte, sul rapporto tra creatore e creatura, artista e opera, percezione e significato. Non ci sono risposte, ma se mai esistesse una risposta a questo tipo di domande probabilmente non avremmo bisogno né di religione né di arte né di artisti né di significati. Voto: 7.5/10
Confesso: di Margareet Atwood non avevo mai letto nulla. Sì, lo so, il racconto dell'ancella, la distopia, non la chiamate fantascienza ché sennò lei si incazza, come se un tizio a Bora Bora si inventa un piatto composto da una pasta di farina lievitata e cotta con sopra salsa di pomodoro e mozzarella e insiste a dire che no quella mica è una pizza, come ti viene in mente? Insomma, questo per dire che partivo un po' prevenuto con
Fantasie di stupro
, che è poi una raccolta di racconti, cosa evidente visto che è pubblicata dalla casa editrice Racconti. I racconti sono per lo più di ambientazione contemporanea e inscrivibile nel mainstream (niente distopie a sto giro) e per la maggior parte mi hanno dato l'impressione di chiudersi mezza pagina troppo presto. Sembra che la Atwood arrivi al climax della vicenda e poi non lo affronti, ma si percepisce del metodo in questo approccio, non è una questione di incapacità o superficialità. La percezione è che porti il lettore al punto focale della storia e poi gli lasci decidere da solo cosa ne vuole trarre. Non tutti i racconti sono dello stesso livello, alcuni hanno tematiche più labili, ma in generale è comunque una lettura discreta. Voto: 6.5/10
Vi ricordate la Guerra Senza Nome? Probabilmente no, io invece non l'avevo mai dimenticata. Qualche anno fa parlai sul blog di Mort(e), romanzo di Robert Repino in cui le formiche dichiaravno guerra all'umanità usando come soldati animali da compagnia resi bipedi, antropoidi, parlanti e senzienti. Mort(e) è appunto il nome che si era scelto il gatto di casa Sebastian allo scoppio della guerra. In quel libro Mort(e) diventa un eroe di guerra ma poi arriva a chidersi le ragioni di questo conflitto, ed entrerà in contatto con alcuni dei pochi umani sopravvissuti che gli promettono di potergli far ritrovare Sheba, la cagnolina che viveva con lui prima della trasformazione. A distanza di tre anni ho scoperto che Repino ha scritto due sequel, a cominciare dal romanzo breve
Culdesac
. Culdesac è un personaggio che compare nel primo romanzo, comandante della Red Sphynx, la squadra felina di assassini in cui aveva militato Mort(e) durante la guerra. Ed è proprio durante la guerra che è ambientata questa storia, centrata appunto sul punto di vista di Culdesac, animato da un rancore insaziabile nei confronti degli umani. La Red Sphynx riceve l'ordine di stazionarsi in una cittadina conquistata e difenderla dagli attacchi degli umani, missione che a Culdesac non piace visto che la sua squadra è addestrata alle incursioni rapide e letali, non al controllo del territorio. Ma c'è evidentemente un piano della Regina, perché la Regina vede tutto, e Culdesac dovrà capire da solo cosa vuole da lui. A parte le crude sequenze della guerra, che nel primo romanzo mancavano poiché era ambientato dopo la sostanziale sconfitta degli umani, in Culdesac vengono poste questioni interessanti, che poi sono quelle che si affacciano più o meno in tutta la serie. Se il cambiamento degli animali ha aumentato la loro capacità di pensiero, significa che ha aumentato anche la loro capacità emotiva? Sono forse più empatici, più propensi all'amore, più "umani" nel senso in cui si intendono quei valori che dovrebbero contraddistinguere l'uomo dalle altre specie? Culdesac non si pone questi problemi, lui è un assassino e tutto quello di cui ha bisogno è la caccia, ma intorno a lui il mondo è cambiato e qualcosa si sta muovendo, anche tra gli animali. Voto: 7.5/10
E dopo questo breve prequel, sono passato anche a
D'Arc
, che invece è un romanzo completo. D'Arc, come Joan D'Arc, è il nome che Sheba sceglie per sé dopo che Mort(e) decide di darle la pasticca con gli ormoni che le permettono di trasformarsi (che la Regina gli aveva offerto alla fine del primo libro). La regina è morta, le formiche sono allo sbando, la guerra è finita, e Mort(e) e D'Arc si ritirano nei boschi, ad allevare formiche giganti. Ma dalla vicina città di castori qualcuno viene a chiedere il loro aiuto, e nonostante all'inizio Mort(e) sia riluttante, alla fine i due decidono di aiutarli. La realtà è che anche se la Regina è morta, la guerra non è finita, e forse non finirà mai. La Regina, che vede tutto, ha visto probabilmente la propria fine e ha fatto piani per il seguito. Ci sono altre creature che sentono la sua chiamata e che sanno di dover agire per eliminare la minaccia degli umani, e se necessario anche quella degli animali trasformati. Mort(e) vorrebbe tenersi fuori da tutto questo, lui ha già dato abbastanza, ma al contrario D'Arc vuole trovare la propria strada e parte quindi senza di lui. La cosa notevole di questo secondo capitolo della serie è vedere come il percorso di consapevolezza che nel primo volume è stato compiuto da Mort(e) adesso viene seguito da D'Arc, ma con ideali e obiettivi molto diversi. Ed è proprio dal conflitto tra i loro diversi approcci che nasce il senso del libro: un eroe riluttanto contro un'eroina entusiasta, uniti da un legame profondo, che però devono entrambi riuscire a travalicare. Anche qui ci sono battaglie, c'è un nuovo nemico, ci sono tradimenti e morti, ma sono tutte situazioni che serovno a mettere alla prova il loro rapporto e i loro diversi schemi di valori. Nessuno dei due ha ragione in assoluto, entrambi sbagliano, entrambi crescono e capiscono. Il finale è straziante, e lascia la voglia di saperne di più, e infatti è previsto un nuovo capitolo, secondo le ultime news in uscita quest'anno, ma chissà. Quanto darei perché questa serie fosse tradotta in italiano... Voto: 8/10
Ultimo libro letto è un altro romanzo breve, opera prima di Enrico Bordignon, collega autore di Moscabianca.
Animale e nume
è un libro molto particolare, una storia semplice nella sua concezione ma complessa nei temi che si spinge a toccare e intrecciare insieme. Abner Misau è un pittore, un filo pieno di sé come sanno esserlo certi artisti, che viene convocato da un team di astronomi per offrire la sua interpretazione su alcune strane osservazioni di corpi celesti. Da qui si arriva a ricalcare le orme di un dimenticato astrologo vittima dell'inquisizione, si ripercorre l'invasione e lo sterminio dei popoli del centro america e si finisce in visioni lisergiche fatte di colori autocoscienti che potrebbero essere la più concreta manifestazione di Dio. In poche pagine questa storia pone un sacco di domande, su religione e arte, sul rapporto tra creatore e creatura, artista e opera, percezione e significato. Non ci sono risposte, ma se mai esistesse una risposta a questo tipo di domande probabilmente non avremmo bisogno né di religione né di arte né di artisti né di significati. Voto: 7.5/10
Published on April 15, 2019 02:30
April 6, 2019
Border, o il confine tra noi e loro
Tra un Capitan Marvel e un Roma, un teaser di Endgame e uno di Tarantino, in pochi si sono considerati
Border
, film svedese di un regista che ha fatto un altro film che boh nemmeno io lo conoscevo. In realtà non sapevo dell'esistenza del film, finché la settimana scorsa mi sono detto "ho voglia di andare al cinema" e la scelta era tra questo e Aldo Baglio, quindi, beh, ok era divertente quella cosa di Ajeje ma ecco. Quindi mi sono trovato per la prima volta da tanto tempo a vedere un film di cui non sapevo praticamente nulla oltre al trailer (esperienza da ripetere, peraltro). E a sorpresa mi sono trovato con qualcosa di attinente al mio solito campo di interesse.
Stop. Per quelli di voi che ancora credono negli spoiler, fermatevi qui. Ci sono due cose principali del film che possono essere spoilerate. La prima è uno spoiler minore, nel senso che è una rivelazione che serve a cementare la premessa quindi non la ritengo davvero pericolosa, e la esporrò nel prossimo paragrafo. Quindi se non volete saperlo, ciao ciao. Non sbirciate nemmeno perché metterò delle parole in grassetto che vi potrebbero saltare agli occhi. Metto un'immagine di mezzo per darvi modo di non spostare lo sguardo, più di così non posso fare.
Protagonista del film è Tina, una donna con deformità piuttosto evidenti causate da un difetto genetico. Oltre al suo aspetto neandertaliano, ha anche una sorta di super-olfatto che le permette di percepire emozioni come paura, vergogna, rabbia. Questo suo talento è messo a frutto lavorando alla dogana, dove annusa i viaggiatori e riesce a scoprire quelli che nascondono qualcosa. Un giorno alla dogana passa Vore, un uomo con deformità stranamente simili alle sue, del quale non riesce a percepire le emozioni. Ah, e Vore è un uomo ma ha la vagina. Comunque, lui sembra riconoscerla e lei prova una strana attrazione nei suoi confronti, capisce che sono in qualche modo simili per cui lo ospita a casa sua. Dopo una serie di incontri e un rapporto sessuale decisamente woman empowering (altro che Capitan Marvel, appunto), Vore le rivela la verità: loro due sono dei troll, due dei pochi sopravvissuti di questa razza che è stata sistematicamente sterminata dagli umani.
Qusta rivelazione arriva più o meno a metà film e come dicevo non è quella che veramente cambia il senso del film. Tina era già stata presentata come diversa dalle persone "normali", la sua vita era già piuttosto misera e insoddisfacente. Conoscere la natura della sua diversità non cambia niente della sua miseria e insoddisfazione, le dà solo un contesto. E non ha importanza se i troll di cui si parla siano proprio i troll della mitologia, o se sia solo un termine convenzionale con cui si può indicare questa specie antropomorfa. Se per esempio "troll" fosse il modo con cui nelle leggende ci si riferisce ai sopravvissuti dei Neanderthal, non cambierebbe nulla. Ci sono anche altri elementi che si ricollegano ad alcuni miti nordici ma appunto non sono determinanti.
Certo una volta appreso questo Tina si confronta con il suo padre (che è quindi adottivo, e sa cosa è successo ai suoi veri genitori troll), caccia il suo compagno scroccone, intensifica il rapporto con Vore e si mette a correre nuda nei boschi. Abbraccia quella diversità di cui è sempre stata al corrente ma che non ha mai potuto esprimere, convinta che fosse un problema. Scopre che invece la diversità può essere qualcosa di cui andare fiera, soprattutto se c'è qualcuno con cui condividerla.
Tutto molto bello, e molto empowering, ancora. Ma non è così che finisce. A questo punto del film infatti avevo un po' il sospetto che la storia si riducesse al protagonista che scopre di essere "speciale", abbandona i costrutti della società e torna alla comunione con la natura, trova uno uguale a lui e sono tutti felici. E invece no. Ed è questa la parte significativa del film, quella che non spoilererò.
Tina si trova dover fare una scelta: deve decidere se è più importante la sua natura di troll o i valori sui quali ha impostato la sua vita. Perché è una goduria mangiarsi gli insetti (come Vore le ha insegnato a fare), è liberatorio starsene nudi sotto la pioggia, e tutte quelle cose che fanno i troll. È bello far parte di qualcosa, avere finalmente un senso di appartenenza e poter dire "ecco, io sono così, noi siamo così". Ma forse questa appartenenza non è davvero la cosa primaria, non è ciò che ci definisce davvero. Perché che merito c'è nell'essere ciò che si è per natura? E anche se questa natura ti rende diverso da coloro che ti circondano, anteporre l'appartenenza a tutto il resto è la strada più facile, quella che implica meno responsabilità. Mi comporto così perché è così che facciamo noi: questo è il ragionamento di Vore, che all'inizio fa presa anche su Tina, ma poi arrivano i dubtti.
Anche se è difficile, anche se è doloroso, non è nella propria origine che sta quella differenza, quel confine tra noi e loro. È un messaggio attualissimo, perché è facile applicare la stessa logica sostituendo i due elementi dell'equazione: il "noi" possono esssere i troll quanto i vegani o i musulmani o gli interisti, i "loro" possono essere i negri o i maschi o i vecchi o i cani. Quante di queste contrapposizioni si basano solo sull'idea che c'è un confine tra i due gruppi, e le nostre azioni sono giustificate per il solo fatto di far parte di uno di essi?
Ma non è così. Alla fine dei conti, vale sempre quel maledetto assioma dello showdontell, che forse funziona quasi più nella vita vera che in narrativa. Sono le nostre azioni che ci definiscono. Noi siamo ciò che facciamo, che siamo umani, troll, neanderthal, o quello che vi pare. E loro, anche, chiunque siano, sono ciò che fanno. Solo su questo è giusto basare le proprie decisioni. Non c'è altra distinzione che tenga.
Stop. Per quelli di voi che ancora credono negli spoiler, fermatevi qui. Ci sono due cose principali del film che possono essere spoilerate. La prima è uno spoiler minore, nel senso che è una rivelazione che serve a cementare la premessa quindi non la ritengo davvero pericolosa, e la esporrò nel prossimo paragrafo. Quindi se non volete saperlo, ciao ciao. Non sbirciate nemmeno perché metterò delle parole in grassetto che vi potrebbero saltare agli occhi. Metto un'immagine di mezzo per darvi modo di non spostare lo sguardo, più di così non posso fare.
Protagonista del film è Tina, una donna con deformità piuttosto evidenti causate da un difetto genetico. Oltre al suo aspetto neandertaliano, ha anche una sorta di super-olfatto che le permette di percepire emozioni come paura, vergogna, rabbia. Questo suo talento è messo a frutto lavorando alla dogana, dove annusa i viaggiatori e riesce a scoprire quelli che nascondono qualcosa. Un giorno alla dogana passa Vore, un uomo con deformità stranamente simili alle sue, del quale non riesce a percepire le emozioni. Ah, e Vore è un uomo ma ha la vagina. Comunque, lui sembra riconoscerla e lei prova una strana attrazione nei suoi confronti, capisce che sono in qualche modo simili per cui lo ospita a casa sua. Dopo una serie di incontri e un rapporto sessuale decisamente woman empowering (altro che Capitan Marvel, appunto), Vore le rivela la verità: loro due sono dei troll, due dei pochi sopravvissuti di questa razza che è stata sistematicamente sterminata dagli umani.
Qusta rivelazione arriva più o meno a metà film e come dicevo non è quella che veramente cambia il senso del film. Tina era già stata presentata come diversa dalle persone "normali", la sua vita era già piuttosto misera e insoddisfacente. Conoscere la natura della sua diversità non cambia niente della sua miseria e insoddisfazione, le dà solo un contesto. E non ha importanza se i troll di cui si parla siano proprio i troll della mitologia, o se sia solo un termine convenzionale con cui si può indicare questa specie antropomorfa. Se per esempio "troll" fosse il modo con cui nelle leggende ci si riferisce ai sopravvissuti dei Neanderthal, non cambierebbe nulla. Ci sono anche altri elementi che si ricollegano ad alcuni miti nordici ma appunto non sono determinanti.
Certo una volta appreso questo Tina si confronta con il suo padre (che è quindi adottivo, e sa cosa è successo ai suoi veri genitori troll), caccia il suo compagno scroccone, intensifica il rapporto con Vore e si mette a correre nuda nei boschi. Abbraccia quella diversità di cui è sempre stata al corrente ma che non ha mai potuto esprimere, convinta che fosse un problema. Scopre che invece la diversità può essere qualcosa di cui andare fiera, soprattutto se c'è qualcuno con cui condividerla.
Tutto molto bello, e molto empowering, ancora. Ma non è così che finisce. A questo punto del film infatti avevo un po' il sospetto che la storia si riducesse al protagonista che scopre di essere "speciale", abbandona i costrutti della società e torna alla comunione con la natura, trova uno uguale a lui e sono tutti felici. E invece no. Ed è questa la parte significativa del film, quella che non spoilererò.
Tina si trova dover fare una scelta: deve decidere se è più importante la sua natura di troll o i valori sui quali ha impostato la sua vita. Perché è una goduria mangiarsi gli insetti (come Vore le ha insegnato a fare), è liberatorio starsene nudi sotto la pioggia, e tutte quelle cose che fanno i troll. È bello far parte di qualcosa, avere finalmente un senso di appartenenza e poter dire "ecco, io sono così, noi siamo così". Ma forse questa appartenenza non è davvero la cosa primaria, non è ciò che ci definisce davvero. Perché che merito c'è nell'essere ciò che si è per natura? E anche se questa natura ti rende diverso da coloro che ti circondano, anteporre l'appartenenza a tutto il resto è la strada più facile, quella che implica meno responsabilità. Mi comporto così perché è così che facciamo noi: questo è il ragionamento di Vore, che all'inizio fa presa anche su Tina, ma poi arrivano i dubtti.Anche se è difficile, anche se è doloroso, non è nella propria origine che sta quella differenza, quel confine tra noi e loro. È un messaggio attualissimo, perché è facile applicare la stessa logica sostituendo i due elementi dell'equazione: il "noi" possono esssere i troll quanto i vegani o i musulmani o gli interisti, i "loro" possono essere i negri o i maschi o i vecchi o i cani. Quante di queste contrapposizioni si basano solo sull'idea che c'è un confine tra i due gruppi, e le nostre azioni sono giustificate per il solo fatto di far parte di uno di essi?
Ma non è così. Alla fine dei conti, vale sempre quel maledetto assioma dello showdontell, che forse funziona quasi più nella vita vera che in narrativa. Sono le nostre azioni che ci definiscono. Noi siamo ciò che facciamo, che siamo umani, troll, neanderthal, o quello che vi pare. E loro, anche, chiunque siano, sono ciò che fanno. Solo su questo è giusto basare le proprie decisioni. Non c'è altra distinzione che tenga.
Published on April 06, 2019 02:46
April 3, 2019
I miei vent'anni con Futurama
Il 28 marzo del 1999 andava in onda Space Pilot 3000, il primo episodio di Futurama. All'epoca avevo tredici anni non ancora compiuti e di Futurama non seppi nulla per almeni altri tre.
Questo per mettere subito in chiaro che no, non è stato un colpo di fulmine, non ero lì fin dal primo minuto starry eyed davanti la tv, non schiumavo dall'hype (che nel 1999 non esisteva proprio come concetto) e vivevo benissimo senza Futurama. Quindi posso parlare dei vent'anni di questa serie con una certa rilassatezza, senza dover stare a rincorrere i dogmi del SEO che vorrebbero far uscire questo articolo il 28 marzo alle ore 08:40 per accalappiare il traffico in entrata all'apertura degli uffici. Ma alla fine è vero, in un certo senso Futurama la vita un po' me l'ha cambiata, quindi questi vent'anni è giusto celebrarli. E siccome su questo blog ne ho già parlato e non mi va di fare il post su diciotto cose che non sapevi su Futurama, parlerò invece di come ho sviluppato il gusto per la serie.
Il primo episodio che ho visto è A fishfull Dollars, quello in cui Fry diventa ricco e compra l'ultima scatola di acciughe del mondo, e si scontra con Mom che vuole utilizzare l'olio di acciuga per i suoi scopi. Naturalmente all'epoca non sapevo il titolo dell'episodio, perché in tv non passavano i titoli, nemmeno quelli tradotti in italiano (per lo più trasposti in senso letterale, senza cogliere i calembour). Venni a sapere di Futurama da un amico, un compagno di classe delle scuole medie che mi raccontava di questo cartone nuovo dove c'era un robot che beveva e ruttava, e che altro serviva per volerlo guardare? Ma già allora non ero così sensibile all'entusiasmo per cui non corsi subito a sintonizzarmi su Italia 1 il giorno dopo, mi capitò di vedere quel primo episodio per caso, e lo riconobbi proprio come uno di quelli di cui mi aveva parlato (ripensandoci a posteriori questo significa che probabilmente era già la prima replica della stagione, perché lui l'aveva già visto e davano lo stesso episodio).
Era divertente, l'ambientazione curiosa e poi avevo già letto tutto Asimov, parecchio Fredric Brown (almeno quello che si trovava in italiano) e forse stavo affrontando Dune, iniziando sciaguratamente dai preludi. Quindi insomma, era roba per me. Iniziai a seguirlo con più attenzione.
Il momento di svolta ci fu quache tempo dopo, d'estate. La domenica spesso andavamo al mare, a Viareggio. Col treno, andavo alla stazione in bicicletta, la incatenavo lì (non proprio davanti la stazione, un po' defilata perché fosse meno esposta a furti). Il viaggio d'andata di solito era gradevole, anche perché partivamo prima della media degli altri, col treno delle 7:50 o giù di lì. Prima delle 9 eravamo già in spiaggia mentre il grosso della gente arrivava dalle 10:30 in poi. Di solito andavamo al Bagno Felice perché aveva anche il campetto da calcio e una partita in mattinata si faceva sempre. Il viaggio di ritorno invece era una tortura. Tutti riprendevano il treno nello stesso momento e a parte quella volta in cui invece di prendere il treno che da Viareggio andava a Firenze via Luca prendemmo quello via Pisa e ci costrinsero a scendere a Pontedera, la sopravvivenza sui quei vagoni, dopo una giornata di sole, sabbia e salsedine, schiacciati nei corridoi come... beh, come acciughe, ecco, insomma era un momento di sconforto.
Spesso prima di tornare alla stazione prendevamo un gelato o una granita o una bottiglia di coca per caricarci prima di affrontare il viaggio. Una di quelle domeniche avevamo lasciato la spiaggia un po' prima del solito e quindi facemmo un giro sulla passeggiata prima di andare a prendere il treno. Io e il mio amico, quello stesso che mi aveva parlato di Futurama per la prima volta, entrammo alla Galleria del Disco, che c'è ancora ma è molto diversa da com'era. E lì trovai il cofanetto della prima stagione di Futurama. Sto parlando di videocassette, sto parlando di un'epoca in cui internet era una connessione dial-up 56k che si pagava a scatti al minuto e se chiamava la zia si interrompeva. Non solo non esisteva lo streaming, ma ancora dovevano nascere i torrent, e se Emule girava già non era ancora arrivato da noi. Forse c'era giusto Napster, ma tre ore per scaricare una canzone che poi non era quella che cercavi era abbastanza frustrante.
Non mi ritenevo così appassionato di Futurama da volere il cofanetto. In realtà non credevo nemmeno che si dovesse essere particolarmente appassionati per fare quell'acquisto. Futurama mi piaceva, ce l'avevo davanti, avevo un po' di soldi: perché no? Credo fosse l'estate del 2001, i gadget nerd non erano ancora uno status symbol e sì, le torri gemelle erano ancora in piedi. Non c'era bisogno di giustificazioni particolari. Durante il viaggio di ritorno in treno, quando si liberò un posto a sedere (di solito a Lucca si svuotava di una buona metà), mi misi a guardare le cassette e mi accorsi che la copertina di ognuna delle tre formava un disegno unico. Era pieno di particolari, alcuni li riconoscevo e altri no, ma ero sicuro che avessero tutti un significato preciso. Non sapevo nemmeno se avevo davvero visto tutti gli episodi, ma nei giorni dopo mi ci misi e li guardati tutti più volte.
Nelle stagioni successive non fui così costante nel seguirlo, perché l'orario di trasmissione in tv non mi facilitava la visione diretta. In media arrivavo a casa alle 15 o poco prima, e riuscivo a vedere solo gli ultimi 2-3 minuti quando lo davano alle 14:30. Per rimediare programmai il videoregistratore in modo che registrasse in automatico le puntate. Nel pomeriggio la guardavo, e se mi piaceva abbastanza la tenevo, altrimenti ci registravo sopra. Più volte mi pentii di aver registrato sopra un episodio che col senno di poi mi resi conto che meritava di essere tenuto. Ricordate: no streaming, no torrent, e Futurama non si trovava nemmeno al noleggio DVD, quello self service con la tesserina ricaricabile. No, non sto inventando, DVD e VHS hanno convissuto per un certo periodo, almeno in casa mia.
Credo di essermi reso conto di avere un problema con Futurama quando ho capito che non ce n'era più. Mi ci volle un po' ad accorgermi che le puntate che giravano erano sempre le stesse. Non lo sapevo ancora, ma la serie era stata interrotta dopo quattro stagioni, e in tutto ne esistevano una sessantina, di cui un paio mai trasmessi in tv (questa è una di quelle cose che non sapevate di Futurama, ma è storia per un altro post, se mai avrò voglia). Ebbi lo stimolo di documentarmi per capire se mi mancava qualcosa o se davvero non c'era altro, e allora appresi la triste raltà. E fu lì che mi sembrò terribile, ingiusto, che il mondo non meritasse Futurama. Era troppo intelligente, troppo coerente, troppo profonda perché la gente lo capisse. Grazie a dio non avevo nessuno con cui condividere quella passione e all'epoca non esistevano ancora le subreddit, altrimenti avrei preso probabilmente la strada del fandom tossico integralista come succede oggi a Rick & Morty.
Mi rifugiai quindi nei gadget. Di lì a poco mi ritrovai maggiorenne, con un lavoro e un conto in banca, ebbi la disponibilità di una carta prepagata mia e quindi potevo spendermi quei soldi nelle cazzate che volevo. Action figure, portachiavi, mazzi di carte. Toynami, Kidrobot, Funko. Con i dvd iniziai a seguire la serie in lingua originale, e fu come scoprirla di nuovo da capo. Anche se tante battute le ho fisse in testa nella loro versione doppiata, che poi tutto sommato non era così male salvo parecchie battute non tradotte.
Poi vennero i film, ero già all'università. Appena uscito Bender's Big Game lo scaricai subito, perché era già iniziata l'era delle cose che si scaricavano, e feci la punta su Ebay (era ancora più diffuso di Amazon, anche se per poco) appena fu disponibile il dvd in italiano. Perché lo volevo, e glielo dovevo. Si diceva che la serie fosse stata rimessa in produzione proprio grazie alle ottime vendite di dvd e accessori vari, per cui se con i miei soldi potevo aiutare Futurama a vivere era il minimo che potessi fare.
Il resto è abbastanza recente da poter essere trovato su questo blog. Io ho iniziato a sostenere di essere il maggior esperto italiano di Futurama e giuro, nessuno mi ha mai contraddetto quindi lo sono davvero, no?
Futurama è finito, non ci sono indizi su un suo possibile ritorno. Se doveva essere il potere necromantico di Netflix a resuscitara, sarebbe dovuto già succedere. Non è successo, non succederà. Quello che abbiamo di Futurama è già tutto quello che c'è.
A me mancano ancora un po' di accessori, ad esempio non ho l'action figure di URL che credo ormai sia introvabile, e non ho mai avuto la fortuna di trovare il peluche del Robodiavolo. Maledico chi ha pensato che fosse una buona idea sprecare uno slot di action figure per Nudar, ma tutti erano eccitati per il ritorno della serie e si sono fatti prendere dall'entusiasmo per il nuovo personaggio, presumo. Peraltro, Nudar lo andai a comprare in un negozio di fumetti a Viareggio. Era giusto la settimana dopo quell'incidente con il treno che esplose ammazzando un sacco di gente. Me lo ricordo perché scendere con il treno alla stazione a poche centinaia di metri da dove era avvenuto il disastro mi fece un certo effetto. Ripresi il treno immediatamente successivo, appena una mezz'ora dopo.
Ma forse è un bene sapere che c'è qualcosa che ancora mi manca di Futurama, qualcosa che potrei scoprire o trovarmi davanti all'improvviso. Intanto, quel cofanetto di VHS ce l'ho ancora, anche se in qualche punto il nastro si era rovinato e l'immagine sfarfallava, e comunque non ho più un videoregistratore e non potrei più vederlo. Ma c'è, so dov'è, e so tutto quello che significa, che è in parte quello che ho scritto qui e in molte altri parti tante altre cose.
Ho parlato di me, non di Futurama. Ma è un po' come quando a un funerale parli della persona che se n'è andata, in realtà parli di come tu hai conosciuto quella persona. Non c'è altro modo di farlo.
Tanti auguri. Here's to another lousy twenty years.
Questo per mettere subito in chiaro che no, non è stato un colpo di fulmine, non ero lì fin dal primo minuto starry eyed davanti la tv, non schiumavo dall'hype (che nel 1999 non esisteva proprio come concetto) e vivevo benissimo senza Futurama. Quindi posso parlare dei vent'anni di questa serie con una certa rilassatezza, senza dover stare a rincorrere i dogmi del SEO che vorrebbero far uscire questo articolo il 28 marzo alle ore 08:40 per accalappiare il traffico in entrata all'apertura degli uffici. Ma alla fine è vero, in un certo senso Futurama la vita un po' me l'ha cambiata, quindi questi vent'anni è giusto celebrarli. E siccome su questo blog ne ho già parlato e non mi va di fare il post su diciotto cose che non sapevi su Futurama, parlerò invece di come ho sviluppato il gusto per la serie.
Il primo episodio che ho visto è A fishfull Dollars, quello in cui Fry diventa ricco e compra l'ultima scatola di acciughe del mondo, e si scontra con Mom che vuole utilizzare l'olio di acciuga per i suoi scopi. Naturalmente all'epoca non sapevo il titolo dell'episodio, perché in tv non passavano i titoli, nemmeno quelli tradotti in italiano (per lo più trasposti in senso letterale, senza cogliere i calembour). Venni a sapere di Futurama da un amico, un compagno di classe delle scuole medie che mi raccontava di questo cartone nuovo dove c'era un robot che beveva e ruttava, e che altro serviva per volerlo guardare? Ma già allora non ero così sensibile all'entusiasmo per cui non corsi subito a sintonizzarmi su Italia 1 il giorno dopo, mi capitò di vedere quel primo episodio per caso, e lo riconobbi proprio come uno di quelli di cui mi aveva parlato (ripensandoci a posteriori questo significa che probabilmente era già la prima replica della stagione, perché lui l'aveva già visto e davano lo stesso episodio).
Era divertente, l'ambientazione curiosa e poi avevo già letto tutto Asimov, parecchio Fredric Brown (almeno quello che si trovava in italiano) e forse stavo affrontando Dune, iniziando sciaguratamente dai preludi. Quindi insomma, era roba per me. Iniziai a seguirlo con più attenzione.
Il momento di svolta ci fu quache tempo dopo, d'estate. La domenica spesso andavamo al mare, a Viareggio. Col treno, andavo alla stazione in bicicletta, la incatenavo lì (non proprio davanti la stazione, un po' defilata perché fosse meno esposta a furti). Il viaggio d'andata di solito era gradevole, anche perché partivamo prima della media degli altri, col treno delle 7:50 o giù di lì. Prima delle 9 eravamo già in spiaggia mentre il grosso della gente arrivava dalle 10:30 in poi. Di solito andavamo al Bagno Felice perché aveva anche il campetto da calcio e una partita in mattinata si faceva sempre. Il viaggio di ritorno invece era una tortura. Tutti riprendevano il treno nello stesso momento e a parte quella volta in cui invece di prendere il treno che da Viareggio andava a Firenze via Luca prendemmo quello via Pisa e ci costrinsero a scendere a Pontedera, la sopravvivenza sui quei vagoni, dopo una giornata di sole, sabbia e salsedine, schiacciati nei corridoi come... beh, come acciughe, ecco, insomma era un momento di sconforto.
Spesso prima di tornare alla stazione prendevamo un gelato o una granita o una bottiglia di coca per caricarci prima di affrontare il viaggio. Una di quelle domeniche avevamo lasciato la spiaggia un po' prima del solito e quindi facemmo un giro sulla passeggiata prima di andare a prendere il treno. Io e il mio amico, quello stesso che mi aveva parlato di Futurama per la prima volta, entrammo alla Galleria del Disco, che c'è ancora ma è molto diversa da com'era. E lì trovai il cofanetto della prima stagione di Futurama. Sto parlando di videocassette, sto parlando di un'epoca in cui internet era una connessione dial-up 56k che si pagava a scatti al minuto e se chiamava la zia si interrompeva. Non solo non esisteva lo streaming, ma ancora dovevano nascere i torrent, e se Emule girava già non era ancora arrivato da noi. Forse c'era giusto Napster, ma tre ore per scaricare una canzone che poi non era quella che cercavi era abbastanza frustrante.Non mi ritenevo così appassionato di Futurama da volere il cofanetto. In realtà non credevo nemmeno che si dovesse essere particolarmente appassionati per fare quell'acquisto. Futurama mi piaceva, ce l'avevo davanti, avevo un po' di soldi: perché no? Credo fosse l'estate del 2001, i gadget nerd non erano ancora uno status symbol e sì, le torri gemelle erano ancora in piedi. Non c'era bisogno di giustificazioni particolari. Durante il viaggio di ritorno in treno, quando si liberò un posto a sedere (di solito a Lucca si svuotava di una buona metà), mi misi a guardare le cassette e mi accorsi che la copertina di ognuna delle tre formava un disegno unico. Era pieno di particolari, alcuni li riconoscevo e altri no, ma ero sicuro che avessero tutti un significato preciso. Non sapevo nemmeno se avevo davvero visto tutti gli episodi, ma nei giorni dopo mi ci misi e li guardati tutti più volte.
Nelle stagioni successive non fui così costante nel seguirlo, perché l'orario di trasmissione in tv non mi facilitava la visione diretta. In media arrivavo a casa alle 15 o poco prima, e riuscivo a vedere solo gli ultimi 2-3 minuti quando lo davano alle 14:30. Per rimediare programmai il videoregistratore in modo che registrasse in automatico le puntate. Nel pomeriggio la guardavo, e se mi piaceva abbastanza la tenevo, altrimenti ci registravo sopra. Più volte mi pentii di aver registrato sopra un episodio che col senno di poi mi resi conto che meritava di essere tenuto. Ricordate: no streaming, no torrent, e Futurama non si trovava nemmeno al noleggio DVD, quello self service con la tesserina ricaricabile. No, non sto inventando, DVD e VHS hanno convissuto per un certo periodo, almeno in casa mia.
Credo di essermi reso conto di avere un problema con Futurama quando ho capito che non ce n'era più. Mi ci volle un po' ad accorgermi che le puntate che giravano erano sempre le stesse. Non lo sapevo ancora, ma la serie era stata interrotta dopo quattro stagioni, e in tutto ne esistevano una sessantina, di cui un paio mai trasmessi in tv (questa è una di quelle cose che non sapevate di Futurama, ma è storia per un altro post, se mai avrò voglia). Ebbi lo stimolo di documentarmi per capire se mi mancava qualcosa o se davvero non c'era altro, e allora appresi la triste raltà. E fu lì che mi sembrò terribile, ingiusto, che il mondo non meritasse Futurama. Era troppo intelligente, troppo coerente, troppo profonda perché la gente lo capisse. Grazie a dio non avevo nessuno con cui condividere quella passione e all'epoca non esistevano ancora le subreddit, altrimenti avrei preso probabilmente la strada del fandom tossico integralista come succede oggi a Rick & Morty.
Mi rifugiai quindi nei gadget. Di lì a poco mi ritrovai maggiorenne, con un lavoro e un conto in banca, ebbi la disponibilità di una carta prepagata mia e quindi potevo spendermi quei soldi nelle cazzate che volevo. Action figure, portachiavi, mazzi di carte. Toynami, Kidrobot, Funko. Con i dvd iniziai a seguire la serie in lingua originale, e fu come scoprirla di nuovo da capo. Anche se tante battute le ho fisse in testa nella loro versione doppiata, che poi tutto sommato non era così male salvo parecchie battute non tradotte.
Poi vennero i film, ero già all'università. Appena uscito Bender's Big Game lo scaricai subito, perché era già iniziata l'era delle cose che si scaricavano, e feci la punta su Ebay (era ancora più diffuso di Amazon, anche se per poco) appena fu disponibile il dvd in italiano. Perché lo volevo, e glielo dovevo. Si diceva che la serie fosse stata rimessa in produzione proprio grazie alle ottime vendite di dvd e accessori vari, per cui se con i miei soldi potevo aiutare Futurama a vivere era il minimo che potessi fare.
Il resto è abbastanza recente da poter essere trovato su questo blog. Io ho iniziato a sostenere di essere il maggior esperto italiano di Futurama e giuro, nessuno mi ha mai contraddetto quindi lo sono davvero, no?
Futurama è finito, non ci sono indizi su un suo possibile ritorno. Se doveva essere il potere necromantico di Netflix a resuscitara, sarebbe dovuto già succedere. Non è successo, non succederà. Quello che abbiamo di Futurama è già tutto quello che c'è.
A me mancano ancora un po' di accessori, ad esempio non ho l'action figure di URL che credo ormai sia introvabile, e non ho mai avuto la fortuna di trovare il peluche del Robodiavolo. Maledico chi ha pensato che fosse una buona idea sprecare uno slot di action figure per Nudar, ma tutti erano eccitati per il ritorno della serie e si sono fatti prendere dall'entusiasmo per il nuovo personaggio, presumo. Peraltro, Nudar lo andai a comprare in un negozio di fumetti a Viareggio. Era giusto la settimana dopo quell'incidente con il treno che esplose ammazzando un sacco di gente. Me lo ricordo perché scendere con il treno alla stazione a poche centinaia di metri da dove era avvenuto il disastro mi fece un certo effetto. Ripresi il treno immediatamente successivo, appena una mezz'ora dopo.
Ma forse è un bene sapere che c'è qualcosa che ancora mi manca di Futurama, qualcosa che potrei scoprire o trovarmi davanti all'improvviso. Intanto, quel cofanetto di VHS ce l'ho ancora, anche se in qualche punto il nastro si era rovinato e l'immagine sfarfallava, e comunque non ho più un videoregistratore e non potrei più vederlo. Ma c'è, so dov'è, e so tutto quello che significa, che è in parte quello che ho scritto qui e in molte altri parti tante altre cose.
Ho parlato di me, non di Futurama. Ma è un po' come quando a un funerale parli della persona che se n'è andata, in realtà parli di come tu hai conosciuto quella persona. Non c'è altro modo di farlo.
Tanti auguri. Here's to another lousy twenty years.
Published on April 03, 2019 23:00
March 27, 2019
Rapporto letture - Febbraio 2019
Oh, ma com'è che qui siamo alla fine del mese e ancora non abbiamo fatto un rapporto letture del mese prima? Me ne sarò dimenticato? Forse non ho letto nulla? Può essere che sia finito al gabbio e non ho accesso a internet? No invece, niente di tutto questo. Il mondo continua a girare, e i report sulle letture mensili fioccano. Per ora.
Primo da segnalare è
Central Station
, un non-proprio-romanzo di Lavie Tidhar, autore multiforme che si sta facendo notare negli ultimi anni nell'ambito della sf. Dico che non è proprio un romanzo perché si tratta di una composizione di racconti, tutti incentrati su personaggi diversi che si muovono nella Central Station del titolo, cioè lo spazioporto che sorgerà a Tel Aviv tra qualche decennio. Ora, siccome ho già fatto un esame abbastanza corposo nel mio articolo per Stay Nerd, non mi voglio ripetere troppo e rimando a quello per l mie impressioni generali. Aggiungo solo che per come ne avevo sentito parlare in giro mi aspettavo qualcosa di diverso, di imprevisto e rivoluzionario, invece al contrario questo libro costruisce proprio a partire dai topoi della sf. Lo fa in modo intelligente e gradevole, quindi non è un male, ma l'hype mi aveva portato a pensare tutt'altro. Una piccola annotazione anche sulla traduzione che presenta diversi refusi e imprecisioni, con una Carmel che a volte diventa Carmen e qualche inglesismo, ad esempio "pretend" tradotto come "pretendere" oppure "i see" tradotto come "vedo" invece di qualcosa tipo "capisco". Non inficiano granché la lettura ma è un po' come trovarsi in bocca la sabbia mentre mangi le cozze. Voto: 7.5/10
E siccome più o meno insieme a Central Station era uscita anche un'altra raccolta sempre di Lavie Tidhar, mi sono letto anche Terminale Terra così da rimanere nello stesso territorio. In questa raccolta le storie sono tutte slegate tra loro, ma si riferiscono comunque alla "mitologia" che emerge da Central Station, con concetti, eventi e riferimenti al nucleo narrativo della serie. In un certo senso alcuni racconti guadagnano dal fatto di prendersi un respiro più ampio rispetto a quelli dell'altro libro, perché non si ha più la sensazione di trovarsi a girare sempre intorno alle solite vicende. L'ultimo racconto, una sorta di Truman Show nell'epoca post-social fino ai confini del Sistema Solare, è davvero d'impatto. Voto: 7/10
E per concludere proseguo la mia lettura in differita di Robot, questa volta con il numero 82. Come semrpe una mixed bag, tra autori italiani e internazionale il livello qualitativo sale e scende. Il racconto di Amal El-Mohtar per quanto suggestivo mi è parso fin troppo didascalico (e a voler essere pignoli non ha niente di fantascienza), poco dopo quello di Maurizio Cometto sembra contraddire i temi di fondo del precedente quando risolve il suo climax in un rapporto sessuale molto al limite dello stupro e/o zoorastia (e a voler essere pignoli non ha niente di fantascienza). Elena Di Fazio propone un misto tra loop temporale/universo parallelo/infezione zombie da funghi, un insieme curioso ma con buone potenzialità, se non fosse che si basa su due protagonisti che sembrano cercarsi ossessivamente anche se non sembrano così legati. Charles Stross riscrive la guerra fredda mettendoci di mezzo i Grandi Antichi, sfruttando atmosfere simili a quelle della sua serie della Lavanderia. Daniele Brolli si porta a casa la storia più convincente, un racconto che si muove abilmente sul filo del non detto, con giovani protagonisti che si confrontano con un mondo letteralmente in disfacimento. Gli articoli devo ammettere che non li ho nemmeno letti tutti, perché pagine e pagine di approfondimento su una serie tv (che oggi c'è, domani puff!) francamente mi sembrano uno spreco per una rivista trimestrale, ma qui probabilmente è un problema mio.
Primo da segnalare è
Central Station
, un non-proprio-romanzo di Lavie Tidhar, autore multiforme che si sta facendo notare negli ultimi anni nell'ambito della sf. Dico che non è proprio un romanzo perché si tratta di una composizione di racconti, tutti incentrati su personaggi diversi che si muovono nella Central Station del titolo, cioè lo spazioporto che sorgerà a Tel Aviv tra qualche decennio. Ora, siccome ho già fatto un esame abbastanza corposo nel mio articolo per Stay Nerd, non mi voglio ripetere troppo e rimando a quello per l mie impressioni generali. Aggiungo solo che per come ne avevo sentito parlare in giro mi aspettavo qualcosa di diverso, di imprevisto e rivoluzionario, invece al contrario questo libro costruisce proprio a partire dai topoi della sf. Lo fa in modo intelligente e gradevole, quindi non è un male, ma l'hype mi aveva portato a pensare tutt'altro. Una piccola annotazione anche sulla traduzione che presenta diversi refusi e imprecisioni, con una Carmel che a volte diventa Carmen e qualche inglesismo, ad esempio "pretend" tradotto come "pretendere" oppure "i see" tradotto come "vedo" invece di qualcosa tipo "capisco". Non inficiano granché la lettura ma è un po' come trovarsi in bocca la sabbia mentre mangi le cozze. Voto: 7.5/10
E siccome più o meno insieme a Central Station era uscita anche un'altra raccolta sempre di Lavie Tidhar, mi sono letto anche Terminale Terra così da rimanere nello stesso territorio. In questa raccolta le storie sono tutte slegate tra loro, ma si riferiscono comunque alla "mitologia" che emerge da Central Station, con concetti, eventi e riferimenti al nucleo narrativo della serie. In un certo senso alcuni racconti guadagnano dal fatto di prendersi un respiro più ampio rispetto a quelli dell'altro libro, perché non si ha più la sensazione di trovarsi a girare sempre intorno alle solite vicende. L'ultimo racconto, una sorta di Truman Show nell'epoca post-social fino ai confini del Sistema Solare, è davvero d'impatto. Voto: 7/10
E per concludere proseguo la mia lettura in differita di Robot, questa volta con il numero 82. Come semrpe una mixed bag, tra autori italiani e internazionale il livello qualitativo sale e scende. Il racconto di Amal El-Mohtar per quanto suggestivo mi è parso fin troppo didascalico (e a voler essere pignoli non ha niente di fantascienza), poco dopo quello di Maurizio Cometto sembra contraddire i temi di fondo del precedente quando risolve il suo climax in un rapporto sessuale molto al limite dello stupro e/o zoorastia (e a voler essere pignoli non ha niente di fantascienza). Elena Di Fazio propone un misto tra loop temporale/universo parallelo/infezione zombie da funghi, un insieme curioso ma con buone potenzialità, se non fosse che si basa su due protagonisti che sembrano cercarsi ossessivamente anche se non sembrano così legati. Charles Stross riscrive la guerra fredda mettendoci di mezzo i Grandi Antichi, sfruttando atmosfere simili a quelle della sua serie della Lavanderia. Daniele Brolli si porta a casa la storia più convincente, un racconto che si muove abilmente sul filo del non detto, con giovani protagonisti che si confrontano con un mondo letteralmente in disfacimento. Gli articoli devo ammettere che non li ho nemmeno letti tutti, perché pagine e pagine di approfondimento su una serie tv (che oggi c'è, domani puff!) francamente mi sembrano uno spreco per una rivista trimestrale, ma qui probabilmente è un problema mio.
Published on March 27, 2019 10:25
March 21, 2019
1001 post
Il post precedente sul Thunbergate è il millesimo post di Unknown to Millions. Me ne sono accorto andando ad aprire la pagina per il post successivo, che è questo, e che quindi è il 1001°.
Siamo a marzo 2019, è passata forse da un decennio l'epoca in cui questo sarebbe stato un evento da festeggiare. Voglio dire, un blog principalmente testuale, nel 2019? Quale sarà mai l'engagement, dov'è la call to action finale "e voi che ne pensate?" che ha fatto la fortuna di tanti ministri?
Insomma, questo per dire che non ritengo questa cifra un traguardo ragguardevole, ma c'è gente là fuori che per molto meno pare che porti sulle spalle il peso del mondo, quindi boh, qualcosa forse vuol dire. È vero che nell'ultimo periodo (un paio d'anni circa) ho notevolmente diminuito la mia presenza qui sopra, cosa dovuta oltre a un certo cambio di abitudini anche a una generale disaffezione verso la rete che sto sperimentando ultimamente.
Non mi metto a fare la lagna che ormai tutti stanno sui social e reagiscono come scimmie ammaestrate che hanno appena scoperto il pollice opponibile e lo tirano su di continuo, anche se ne sono abbastanza convinto. Il blog ha retto dieci anni, penso potrà reggerne altrettanti se la rete non collassa prima. O magari smetto la settimana prossima, vai a sapere.
C'è da dire che ho iniziato sconosciuto tra i milioni, e sempre lì sto. Coerene alla mia mission, scusate se è poco.
Tanti auguri e mille di questi post.
Siamo a marzo 2019, è passata forse da un decennio l'epoca in cui questo sarebbe stato un evento da festeggiare. Voglio dire, un blog principalmente testuale, nel 2019? Quale sarà mai l'engagement, dov'è la call to action finale "e voi che ne pensate?" che ha fatto la fortuna di tanti ministri?
Insomma, questo per dire che non ritengo questa cifra un traguardo ragguardevole, ma c'è gente là fuori che per molto meno pare che porti sulle spalle il peso del mondo, quindi boh, qualcosa forse vuol dire. È vero che nell'ultimo periodo (un paio d'anni circa) ho notevolmente diminuito la mia presenza qui sopra, cosa dovuta oltre a un certo cambio di abitudini anche a una generale disaffezione verso la rete che sto sperimentando ultimamente.
Non mi metto a fare la lagna che ormai tutti stanno sui social e reagiscono come scimmie ammaestrate che hanno appena scoperto il pollice opponibile e lo tirano su di continuo, anche se ne sono abbastanza convinto. Il blog ha retto dieci anni, penso potrà reggerne altrettanti se la rete non collassa prima. O magari smetto la settimana prossima, vai a sapere.
C'è da dire che ho iniziato sconosciuto tra i milioni, e sempre lì sto. Coerene alla mia mission, scusate se è poco.
Tanti auguri e mille di questi post.
Published on March 21, 2019 09:37
March 16, 2019
Perché Greta ha ragione e voi avete torto
Insomma ieri lo sapete c'è stata questa cosa delle manifestazioni un po' in tutto il mondo, soprattutto di ragazzi che hanno bigiato la scuola, eheh, furbi loro, e sono andati per le strade con cartelli che variano da "what i stand for is what i stand on" a "mi si stanno scaldando le birre". La mascotte di questo sommovimento globale è quella ragazzina svedese, Greta Thunberg, che ha sedici anni ma è ancora una bambina, per nulla sessualizzata, non come certe sedicenni che ci siamo capiti no, ha il viso tondo da puttino e va in giro con le treccine e il cappello di lana perché al suo paese fa freddo, almeno per ora.
A molti Greta non sta simpatica. Eminenti personalità pubbliche e private hanno espresso perplessità su questo personaggio, che per molti è troppo artefatto, una figura costruita a tavolino apposta per poter smuovere le masse e far abboccare il popolo bue (di cui ovviamente non fa parte chi espone l'idea, perché i buoi non sono mai quelli dei paesi tuoi, sono sempre gli altri) e portarlo in piazza a protestare, come è successo come questo Friday for Future, eheh, mica scemi, gli scioperi sempre di venerdì così ci si allunga il weekend.
Greta non sta simpatica neanche a me. La sua icona e la sua narrazione sono così palesi che potrebbe benissimo essere un fantoccio con un ventriloquo che le tiene una mano su per il colon e le fa scrivere i cartelloni. Diffido di questi storytelling, per usare una parola cara ai magnaschei. Il nome di Greta lL'ho messo lì nel titolo come clickbait perché avete bisogno di essere triggerati per leggere un testo di più di dodici parole emoji incluse. Eppure, ieri ho visto le immagini e i post di queste proteste in tutto il mondo ed ero contento per loro. E quando ho visto invece commenti negativi, ostili, sprezzanti, ho avvertito uno strano fastidio.
E lì mi sono preoccupato. Perché, alla fine ammecheccazzomenefregammé, se uno stronzo qualunque su facebook dice che quei ragazzini farebbero meglio ad andare a lavorare? Succede sempre quando ci sono delle manifestazioni, che ci sia una fazione opposta che scredita chi era presenta e i loro argomenti, e quando mai questo mi ha irritato? Anche quando fosse una manifestazione che promuove valori a me cari, chessò, un raduno di abducted o un matrimonio pastafariano, non me la prendo mica se arriva qualcuno a dire che quelli lì sono tutti degli imbecilli e andassero a zappare l'orto invece di fare tanto casino. E invece stavolta ho sentito quel prurito ai polpastrelli che non sentivo da tanto, quello che mi ha portato a contravvenire a una delle mie regole e discutere su facebook con degli sconosciuti. Orrore. I did not sign for this.
Allora ho cercato di capire come mai la cosa stavolta suscitasse in me questa reazione. Ci sono arrivato la sera, senza averci mai davvero pensato, lasciando che le subroutine del cervello girassero in background per risolvere il problema. E come spesso accade coi grandi dilemmi della vita, la soluzione è di una banalità disarmante.
Il punto è che non c'è motivo di essere contrari a queste manifestazioni.
Non c'è un solo motivo al mondo, nella storia, nella vita. Mai, in nessun posto, per nessuno.
Mi spiego meglio. Quando la gente manifesta, lo fa per promuovere una propria visione del mondo che ritiene importante. Io manifestante ti faccio vedere che questa cosa merita la tua attenzione. È una questione di ideologie, di sensibilità, di priorità. Ma proprio perché ci sono di mezzo ideologie, sensibilità e priorità, è normale che qualcuno non sia d'accordo. Che qualcuno abbia una visione opposta e quindi non voglia sostenere quell'idea, e consideri stupido, superficiale o manipolato chi invece ci crede. Facciamo degli esempi di cause per cui manifestare in ordine sparso di condivisibilità, per mostrare come ci sia sempre qualcuno che ha diritto di essere in disaccordo.
Se gli hippy manifestano per la liberalizzazione delle droghe, è normal che i proibizionisti non saranno d'accordo. Se gli operai manifestano per ridurre l'orario di lavoro, è normale che gli industriali non saranno d'accordo.Se i texani manifestano per la liberalizzazione delle armi, è normale che i pacifisti non saranno d'accordo. Se i cattolici manifestano contro l'aborto, è normale che le donne non saranno d'accordo.Se un comune manifesta contro la mafia, è normale che i mafiosi non saranno d'accordo.Se le mamme manifestano contro i preti pedofili, è normale che la chiesa non sarà d'accordo.
In tutti questi casi, per quanto una causa possa apparire nettamente giusta per una persona, può apparire nettamente sbagliata per un'altra. Per ragioni di ideologia, sensiblità, priorità. Ci possono essere punti di vista diametralmente opposti e per quanto molti difficili da comprendere, si sa che esistono. La fede in un'ideologia (politica, religiosa, sportiva) provoca gravi scompensi nelle capacità di ragionamento delle persone, questo è risaputo. È paradossale ma è così, ci siamo tutti abituati, lo vediamo tutti i giorni. Ci possono essere motivi perversi che portano a sostenere qualunque causa contraria al senso comune. Per dire, c'è gente che giustifica pure la zoofilia.
Ma nel caso del Friday for Future, di Greta, delle proteste per la conservazione del pianeta, il discorso è diverso. Chi può essere contrario a questa causa? Quale ideologia impone di distruggere l'ambiente?
Sì, eccolo lo sveglione con la maglietta rossa e i rasta che dice "cioè, zio, il capitalismo sfrenato, no, cioè lo vedi, come consuma tutto e ci ha portati al collasso invece di valorizzare le persone...", al che gli faccio cenno di sedersi e riprendo la parola. No, gli rispondo, il capitalismo non ti dice che devi distruggere l'ambiente: ti dice che devi fare tutto quello che serve per accumulare capitale, che non te ne frega nulla delle conseguenze delle tue azioni, puoi inquinare le falde, impoverire la gente diffondere la malaria, fregacazzo, basta che fai soldi. Però non è che devi distruggere il mondo. Anche perché da bravo magnaschei le vacanze te le vorrai pur fare in sullo yacht ormeggiato a Zanzibar, no? E allora mica possiamo finire tutti a Zanzibar con l'acqua fino alle ginocchia, bisogna che qualche posto sano continui a esistere. La distruzione degli ecosistemi è un effetto collaterale del capitalismo, non è il suo obiettivo.
Quindi si torna lì. Non c'è una ragione, per quanto perversa, per cui una persona possa essere contraria a questo messaggio. Indipendentemente da età, collocazione, ricchezza, razza, religione, orientamento sessuale, regime alimentare, o qualunque altra cosa che vi permetta di dividere un gruppo di persone in categorie separate. Cristosanto, anche un sostenitore dell'estinzione volontaria dell'umanità, pur augurandosi la fine della specie non ritiene di doversi portare il pianeta nella tomba. Se anche non te ne frega nulla del mondo, non hai niente da perdere dal fatto che qualcuno se ne occupi. È una situazione win-win per tutti, sempre, in qualunque condizione.
Ecco perché ho sopportato male tutti quei commenti che puntavano a screditare questo movimento. Perché sono illogici e/o falsi. Nella maggior parte dei casi, presumo, sono una posa. Un atteggiarsi a quello che ha-ha, io mica ci casco,ad andare dietro alla ragazzina con le trecce che manco ha messo su le tette ancora, che poi il nobel per la pace l'hanno dato pure a Obama, bella merda. Qualche ora di di ragionamento dovrebbero portare chiunque a concludere che, se anche non ti importa che il mondo bruci, non cambierà nulla se invece qualcuno soffia sulle fiamme. Anzi, ora che ho messo per iscritto tutto questo, basta qualche minuto, il tempo di leggere questo post. Scusa se non ho aggiunto emoji per facilitare la lettura.
Greta non mi piace. Ho idea che se ci trovassimo insieme a cena sarebbe una di quelle cacacazzo che vogliono la pizza di farina di kamut (che poi non lo sa che il kamut è un nome commerciale mica una varietà di grano, la scema) e la mozzarella senza lattosio ed è pure astemia anche se l'alcool è perfettamente naturale. Sarebbe una serata di sguardi di traverso e tanti silenzi imbarazzati. Ma Greta ha ragione. Lei, e tutti quelli che stanno con lei. Anche tutti quelli che la manovrano, per dio. Hanno tutti ragione, ma non nel senso che sanno loro cosa è giuto fare. Hanno ragione nel senso matematico del termine, come ha ragione la dimostrazione di un teorema: è una correttezza assoluta, che non ammette repliche, che fa parte dello stesso tessuto della realtà.
Greta Thunberg è un personaggio costruito? Può darsi. Il Friday for Future è stato ingigantito dai media? Probabile. Alle manifestazioni c'erano tanti ragazzi che volevano solo saltare un giorno di scuola? Sicuro. Questi bimbetti sono troppo piccoli per capire davvero il problema? Certo, come tanti adulti. Tutti quelli che hanno partecipato sono stati manipolati da qualche centro occulto di potere che vuole far diventare l'ambientalismo l'ideologia dominante? Magari. Di tutto questo di spuò discutore, ma niente toglie un solo grammo alla gravità del concetto di fondo.
Greta ha ragione. E se non siete d'accordo, in realtà non avete semplicemente torto. Non esistete proprio.
A molti Greta non sta simpatica. Eminenti personalità pubbliche e private hanno espresso perplessità su questo personaggio, che per molti è troppo artefatto, una figura costruita a tavolino apposta per poter smuovere le masse e far abboccare il popolo bue (di cui ovviamente non fa parte chi espone l'idea, perché i buoi non sono mai quelli dei paesi tuoi, sono sempre gli altri) e portarlo in piazza a protestare, come è successo come questo Friday for Future, eheh, mica scemi, gli scioperi sempre di venerdì così ci si allunga il weekend.
Greta non sta simpatica neanche a me. La sua icona e la sua narrazione sono così palesi che potrebbe benissimo essere un fantoccio con un ventriloquo che le tiene una mano su per il colon e le fa scrivere i cartelloni. Diffido di questi storytelling, per usare una parola cara ai magnaschei. Il nome di Greta lL'ho messo lì nel titolo come clickbait perché avete bisogno di essere triggerati per leggere un testo di più di dodici parole emoji incluse. Eppure, ieri ho visto le immagini e i post di queste proteste in tutto il mondo ed ero contento per loro. E quando ho visto invece commenti negativi, ostili, sprezzanti, ho avvertito uno strano fastidio.
E lì mi sono preoccupato. Perché, alla fine ammecheccazzomenefregammé, se uno stronzo qualunque su facebook dice che quei ragazzini farebbero meglio ad andare a lavorare? Succede sempre quando ci sono delle manifestazioni, che ci sia una fazione opposta che scredita chi era presenta e i loro argomenti, e quando mai questo mi ha irritato? Anche quando fosse una manifestazione che promuove valori a me cari, chessò, un raduno di abducted o un matrimonio pastafariano, non me la prendo mica se arriva qualcuno a dire che quelli lì sono tutti degli imbecilli e andassero a zappare l'orto invece di fare tanto casino. E invece stavolta ho sentito quel prurito ai polpastrelli che non sentivo da tanto, quello che mi ha portato a contravvenire a una delle mie regole e discutere su facebook con degli sconosciuti. Orrore. I did not sign for this.
Allora ho cercato di capire come mai la cosa stavolta suscitasse in me questa reazione. Ci sono arrivato la sera, senza averci mai davvero pensato, lasciando che le subroutine del cervello girassero in background per risolvere il problema. E come spesso accade coi grandi dilemmi della vita, la soluzione è di una banalità disarmante.
Il punto è che non c'è motivo di essere contrari a queste manifestazioni.
Non c'è un solo motivo al mondo, nella storia, nella vita. Mai, in nessun posto, per nessuno.
Mi spiego meglio. Quando la gente manifesta, lo fa per promuovere una propria visione del mondo che ritiene importante. Io manifestante ti faccio vedere che questa cosa merita la tua attenzione. È una questione di ideologie, di sensibilità, di priorità. Ma proprio perché ci sono di mezzo ideologie, sensibilità e priorità, è normale che qualcuno non sia d'accordo. Che qualcuno abbia una visione opposta e quindi non voglia sostenere quell'idea, e consideri stupido, superficiale o manipolato chi invece ci crede. Facciamo degli esempi di cause per cui manifestare in ordine sparso di condivisibilità, per mostrare come ci sia sempre qualcuno che ha diritto di essere in disaccordo.Se gli hippy manifestano per la liberalizzazione delle droghe, è normal che i proibizionisti non saranno d'accordo. Se gli operai manifestano per ridurre l'orario di lavoro, è normale che gli industriali non saranno d'accordo.Se i texani manifestano per la liberalizzazione delle armi, è normale che i pacifisti non saranno d'accordo. Se i cattolici manifestano contro l'aborto, è normale che le donne non saranno d'accordo.Se un comune manifesta contro la mafia, è normale che i mafiosi non saranno d'accordo.Se le mamme manifestano contro i preti pedofili, è normale che la chiesa non sarà d'accordo.
In tutti questi casi, per quanto una causa possa apparire nettamente giusta per una persona, può apparire nettamente sbagliata per un'altra. Per ragioni di ideologia, sensiblità, priorità. Ci possono essere punti di vista diametralmente opposti e per quanto molti difficili da comprendere, si sa che esistono. La fede in un'ideologia (politica, religiosa, sportiva) provoca gravi scompensi nelle capacità di ragionamento delle persone, questo è risaputo. È paradossale ma è così, ci siamo tutti abituati, lo vediamo tutti i giorni. Ci possono essere motivi perversi che portano a sostenere qualunque causa contraria al senso comune. Per dire, c'è gente che giustifica pure la zoofilia.
Ma nel caso del Friday for Future, di Greta, delle proteste per la conservazione del pianeta, il discorso è diverso. Chi può essere contrario a questa causa? Quale ideologia impone di distruggere l'ambiente?
Sì, eccolo lo sveglione con la maglietta rossa e i rasta che dice "cioè, zio, il capitalismo sfrenato, no, cioè lo vedi, come consuma tutto e ci ha portati al collasso invece di valorizzare le persone...", al che gli faccio cenno di sedersi e riprendo la parola. No, gli rispondo, il capitalismo non ti dice che devi distruggere l'ambiente: ti dice che devi fare tutto quello che serve per accumulare capitale, che non te ne frega nulla delle conseguenze delle tue azioni, puoi inquinare le falde, impoverire la gente diffondere la malaria, fregacazzo, basta che fai soldi. Però non è che devi distruggere il mondo. Anche perché da bravo magnaschei le vacanze te le vorrai pur fare in sullo yacht ormeggiato a Zanzibar, no? E allora mica possiamo finire tutti a Zanzibar con l'acqua fino alle ginocchia, bisogna che qualche posto sano continui a esistere. La distruzione degli ecosistemi è un effetto collaterale del capitalismo, non è il suo obiettivo.
Quindi si torna lì. Non c'è una ragione, per quanto perversa, per cui una persona possa essere contraria a questo messaggio. Indipendentemente da età, collocazione, ricchezza, razza, religione, orientamento sessuale, regime alimentare, o qualunque altra cosa che vi permetta di dividere un gruppo di persone in categorie separate. Cristosanto, anche un sostenitore dell'estinzione volontaria dell'umanità, pur augurandosi la fine della specie non ritiene di doversi portare il pianeta nella tomba. Se anche non te ne frega nulla del mondo, non hai niente da perdere dal fatto che qualcuno se ne occupi. È una situazione win-win per tutti, sempre, in qualunque condizione.
Ecco perché ho sopportato male tutti quei commenti che puntavano a screditare questo movimento. Perché sono illogici e/o falsi. Nella maggior parte dei casi, presumo, sono una posa. Un atteggiarsi a quello che ha-ha, io mica ci casco,ad andare dietro alla ragazzina con le trecce che manco ha messo su le tette ancora, che poi il nobel per la pace l'hanno dato pure a Obama, bella merda. Qualche ora di di ragionamento dovrebbero portare chiunque a concludere che, se anche non ti importa che il mondo bruci, non cambierà nulla se invece qualcuno soffia sulle fiamme. Anzi, ora che ho messo per iscritto tutto questo, basta qualche minuto, il tempo di leggere questo post. Scusa se non ho aggiunto emoji per facilitare la lettura.Greta non mi piace. Ho idea che se ci trovassimo insieme a cena sarebbe una di quelle cacacazzo che vogliono la pizza di farina di kamut (che poi non lo sa che il kamut è un nome commerciale mica una varietà di grano, la scema) e la mozzarella senza lattosio ed è pure astemia anche se l'alcool è perfettamente naturale. Sarebbe una serata di sguardi di traverso e tanti silenzi imbarazzati. Ma Greta ha ragione. Lei, e tutti quelli che stanno con lei. Anche tutti quelli che la manovrano, per dio. Hanno tutti ragione, ma non nel senso che sanno loro cosa è giuto fare. Hanno ragione nel senso matematico del termine, come ha ragione la dimostrazione di un teorema: è una correttezza assoluta, che non ammette repliche, che fa parte dello stesso tessuto della realtà.
Greta Thunberg è un personaggio costruito? Può darsi. Il Friday for Future è stato ingigantito dai media? Probabile. Alle manifestazioni c'erano tanti ragazzi che volevano solo saltare un giorno di scuola? Sicuro. Questi bimbetti sono troppo piccoli per capire davvero il problema? Certo, come tanti adulti. Tutti quelli che hanno partecipato sono stati manipolati da qualche centro occulto di potere che vuole far diventare l'ambientalismo l'ideologia dominante? Magari. Di tutto questo di spuò discutore, ma niente toglie un solo grammo alla gravità del concetto di fondo.
Greta ha ragione. E se non siete d'accordo, in realtà non avete semplicemente torto. Non esistete proprio.
Published on March 16, 2019 01:00
March 12, 2019
I miei articoli per Stay Nerd: gennaio-marzo 2019
Forse ancora non lo sapete, ma più o meno dall'inizio dell'anno ho cominciato a collaborare con
Stay Nerd
, testata online dedicata a tutto ciò che ruota intorno alla "cultura nerd" in generale: film, serie tv, videogiochi, fumetti, libri, eventi e così via. Il mio apporto sarà soprattutto nella rubrica dedicata alla narrativa, ma non è escluso che possa fare incursioni anche in altri reparti, nei casi in cui la mia competenza è sufficiente.
La mia partecipazione alla rivista spiega anche in parte la riduzione dei post qui sopra. In fondo capite bene che se posso scrivere su un sito che mi garantisce un pubblico molto più vasto (oltre che, ehm, una retribuzione) sono motivato a incanalare un po' delle mie risorse da quella parte. E siccome per scrivere lì sopra non posso fare i post scazzoni che mi permetto di fare qui in casa mia, ma c'è bisogno di documentazione, taglio professionale e rapidità, alla fine mi rendo conto che il tempo che dedicherei al blog spesso se ne va per quegli articoli.
Ma alla fine dei conti, visto che i miei articoli su Stay Nerd riguardano sempre argomenti che potrei trattare qui, penso che possa essere d'interesse per il pubblico affezionato di Unknown to Millions di vederseli segnalati. Quindi ho deciso che periodicamente (ogni 2-3 mesi, a seconda della frequenza dei post), segnalerò anche qui i miei pezzi pubblicati di là. Questo è servizio pubblico, gente.
Doctor Who 11: rigenerazione fallita?
Il mio primo articolo in assoluto è già un'eccezione, perché appunto non tratta di libri. Riconoscendo la mia vasta esperienza in materia di Doctor Who , mi è stato chiesto di fare una panoramica della stagione 11 da poco conclusa. Come sa chi ha seguito i miei commenti agli episodi, sono satto molto critico, e nell'articolo ho confermato le perplessità pur senza addentrarmi troppo nello specifico. Spoiler free, legge pure senza timore.
Lavie Tidhar: al crocevia di due secoli di fantascienza
Mi sono preso la briga di leggere Central Station e Terminale Terra, due recenti pubblicazioni arrivate in italia dell'autore israeliano, e in questo articolo ne ho tratto una visione d'insieme. Chiaramente citerò entrambi i titoli anche nell'imminente rapporto letture, ma buona parte di quello che ho da dire si trova già qui.
I nerd non esistono, secondo la Guida all'immaginario nerd
È freschissima di stampa la Guida all'immagianrio nerd, una delle tante corpose guide della Odoya. In questo caso il volume riveste un'importanza particolare perché affronta un fenomeno complesso e non sempre trattato con l'attenzione che meriterebbe. Che poi se non si parla del ruolo del nerd su un sito che si chiama Stay Nerd, dove altro? Questo articolo a mio avviso offre diversi spunti di riflessioni sul tema, e ho osato muovere anche qualche critica allo stesso mondo nerd. Perché se non critichi i nerd su un sito che si chiama Stay Nerd, dove altro?
Per il momento questi sono i miei contributi, aggionerò quando necessario con le prossime aggiunte, se proprio vi scomoda andare lì e cercarmi tra gli autori.
La mia partecipazione alla rivista spiega anche in parte la riduzione dei post qui sopra. In fondo capite bene che se posso scrivere su un sito che mi garantisce un pubblico molto più vasto (oltre che, ehm, una retribuzione) sono motivato a incanalare un po' delle mie risorse da quella parte. E siccome per scrivere lì sopra non posso fare i post scazzoni che mi permetto di fare qui in casa mia, ma c'è bisogno di documentazione, taglio professionale e rapidità, alla fine mi rendo conto che il tempo che dedicherei al blog spesso se ne va per quegli articoli.
Ma alla fine dei conti, visto che i miei articoli su Stay Nerd riguardano sempre argomenti che potrei trattare qui, penso che possa essere d'interesse per il pubblico affezionato di Unknown to Millions di vederseli segnalati. Quindi ho deciso che periodicamente (ogni 2-3 mesi, a seconda della frequenza dei post), segnalerò anche qui i miei pezzi pubblicati di là. Questo è servizio pubblico, gente.
Doctor Who 11: rigenerazione fallita?
Il mio primo articolo in assoluto è già un'eccezione, perché appunto non tratta di libri. Riconoscendo la mia vasta esperienza in materia di Doctor Who , mi è stato chiesto di fare una panoramica della stagione 11 da poco conclusa. Come sa chi ha seguito i miei commenti agli episodi, sono satto molto critico, e nell'articolo ho confermato le perplessità pur senza addentrarmi troppo nello specifico. Spoiler free, legge pure senza timore.
Lavie Tidhar: al crocevia di due secoli di fantascienza
Mi sono preso la briga di leggere Central Station e Terminale Terra, due recenti pubblicazioni arrivate in italia dell'autore israeliano, e in questo articolo ne ho tratto una visione d'insieme. Chiaramente citerò entrambi i titoli anche nell'imminente rapporto letture, ma buona parte di quello che ho da dire si trova già qui.
I nerd non esistono, secondo la Guida all'immaginario nerd
È freschissima di stampa la Guida all'immagianrio nerd, una delle tante corpose guide della Odoya. In questo caso il volume riveste un'importanza particolare perché affronta un fenomeno complesso e non sempre trattato con l'attenzione che meriterebbe. Che poi se non si parla del ruolo del nerd su un sito che si chiama Stay Nerd, dove altro? Questo articolo a mio avviso offre diversi spunti di riflessioni sul tema, e ho osato muovere anche qualche critica allo stesso mondo nerd. Perché se non critichi i nerd su un sito che si chiama Stay Nerd, dove altro?
Per il momento questi sono i miei contributi, aggionerò quando necessario con le prossime aggiunte, se proprio vi scomoda andare lì e cercarmi tra gli autori.
Published on March 12, 2019 02:30
February 19, 2019
Rapporto letture - Gennaio 2019
Primo rapporto letture dell'anno! Siete eccitati? Chissà quali fantastiche avventure ci riserva questo 2019 partito sotto tutti i migliori auspici! Future is Bright.
Beh, mica tanto se leggi quel che ho letto io. Vediamo un po'.
Si inizia con Alessandro Forlani. Che se da una parte è una garanzia quanto a qualtà, dall'altra non è certo fonte di ottimismo. In realtà di T ho già parlato in abbondanza e in due parole lo si può inquadrare come "Ubik nell'epoca dei MMORPG". Ha poca utilità ripetere adesso quanto ho già approfondito nell'altro post, quindi vi rimando a quello, che è anche sostanzialmente spoiler free. Qui aggiungo soltanto un'ulteriore raccomandazione: Forlani è un autore dalla voce forte, non sempre facile da seguire ma che permette una soddisfazione notevole notevole se si riesce a sintonizzarsi sulle sue tematiche. Quindi se vi trovate un suo racconto davanti e comprensibilmente il vostro primo pensiero è "ma che è sta roba" non fatevi scoraggiare. Perseverate e sarete ricompensati. T si merita un bel voto 9/10, giusto perché immagino che il prossimo sarà anche meglio/peggio quindi devo tenermi da parte il punteggio pieno.
A novembre a Pisa sono stato a un panel tenuto da Chen Qiufan, autore cinese di fantascienza portato in tour in Italia da Francesco Verso in occasione della presentazione della raccolta L'eterno addio, composta da alcuni racconti già pubblicati in precedenza (come Buddhagram presente in
Nebula
) e altri inediti, tradotti per l'occasione. Qiufan (perché questo è il nome, l'ho imparato) è giovane, spiritoso e preparato, ed è stato molto interessante confrontarsi sulle diverse visioni della fantascienza che esistono in Cina e da noi (e per "noi" intendo in occidente, non Italia in particolare). Ciò per dire che ho affrontato l'antologia con un'idea già definita di cosa ci avrei trovato, e nonostante questo sono rimasto comunque sorpreso. I racconti di Chen si basano per lo più su un diffuso senso di straniamento, un divario che si apre tra la società nel suo complesso e i singoli individui che ne fanno parte. Questo disagio si declina in vari modi, ma porta in qualche modo i protagonisti a cercare una risposta diversa alle proprie domande, salvo poi (spesso) rendersi conto che anche quella risposta è già stata prevista, precotta e confezionata per metterla a loro disposizione. In questo il legame con Forlani qui sopra è insolitamente forte, ed è quasi un paradosso dato che sono quanto di più lontano si potrebbe immaginare in termini di genere, stile, obiettivi. I racconti di questa raccolta sono inquadrabili tutti come fantascienza ma non richiedono particolari nozioni per poter essere seguiti, solo una certa apertura e disposizione mentale, anche nei confronti di un diverso modo di narrare una storia. Insomma in Cina chi ha inventato lo showdontell non ha fatto molto successo. Voto: 8/10
Infine un autore che già conosco per alcune mirabili opere e che qui leggo per la prima volta in un genere diverso. Walter Tevis ha scritto L'uomo che cadde sulla Terra (da cui è stato tratto il film con David Bowie) e Mockingbird (conosciuto anche come Futuro in trance o Solo il mimo canta al limitare del bosco): entrambi capolavori riconosciuti della fantascienza. Ma con La regina degli scacchi si abbandona l'etichetta e si passa a un romanzo "mainstream": la storia di una ragazzina cresciuta in orfanotrofio che diventa campionessa di scacchi. Beth è una ragazza sfortunata: i suoi genitori muoiono in un'incidente, viene affidata a un'istituto femminile in cui sviluppa una dipendenza dai sonniferi e anche quando viene adottata finisce in una famiglia che forse non aveva davvero bisogno di una figlia da crescere. In tutto questo, scopre gli scacchi nel seminterrato dell'orfanotrofio e dopo le prime partite con il custode viene subito rivelato il suo talento, che la porta giovanissima a competere contro i campioni dello stato, della nazione, e poi del mondo intero. La sua abilità si scontra però con le sue pesanti carenze a livello affettivo, la sua incapacità di mostrare attaccamento o anche solo interesse per chiunque, oltre alla tendenza a sviluppare dipendenza da sostanze varie, dall'alcool agli ansiolitici. Il percorso di Beth è sicuramente descritto bene, ma ho avuto l'impressione che nella parte finale venga chiuso con troppa semplicità, come se da un momento all'altro lei si dicesse "bene, da ora in poi farò le cose come si deve" e puff!, ci riesce davvero. Non è così che si superano problemi di questo tipo e sono convinto che Tevis lo sappia bene, a giudicare le altre sue cose che ho letto. Quindi penso che avesse semplicemente perso interesse in questa storia, arrivato al climax del percorso scacchistico della ragazza. Simpatico il fatto che mi sia trovato a leggere questo libro con le sue occasionali descrizioni delle partite di scacchi proprio mentre stavo scrivendo Scrabble, quindi in un certo senso è stato propedeutico vedere come un autore del genere affrontava le descrizioni del gioco. Voto: 7/10
Beh, mica tanto se leggi quel che ho letto io. Vediamo un po'.
Si inizia con Alessandro Forlani. Che se da una parte è una garanzia quanto a qualtà, dall'altra non è certo fonte di ottimismo. In realtà di T ho già parlato in abbondanza e in due parole lo si può inquadrare come "Ubik nell'epoca dei MMORPG". Ha poca utilità ripetere adesso quanto ho già approfondito nell'altro post, quindi vi rimando a quello, che è anche sostanzialmente spoiler free. Qui aggiungo soltanto un'ulteriore raccomandazione: Forlani è un autore dalla voce forte, non sempre facile da seguire ma che permette una soddisfazione notevole notevole se si riesce a sintonizzarsi sulle sue tematiche. Quindi se vi trovate un suo racconto davanti e comprensibilmente il vostro primo pensiero è "ma che è sta roba" non fatevi scoraggiare. Perseverate e sarete ricompensati. T si merita un bel voto 9/10, giusto perché immagino che il prossimo sarà anche meglio/peggio quindi devo tenermi da parte il punteggio pieno.
A novembre a Pisa sono stato a un panel tenuto da Chen Qiufan, autore cinese di fantascienza portato in tour in Italia da Francesco Verso in occasione della presentazione della raccolta L'eterno addio, composta da alcuni racconti già pubblicati in precedenza (come Buddhagram presente in
Nebula
) e altri inediti, tradotti per l'occasione. Qiufan (perché questo è il nome, l'ho imparato) è giovane, spiritoso e preparato, ed è stato molto interessante confrontarsi sulle diverse visioni della fantascienza che esistono in Cina e da noi (e per "noi" intendo in occidente, non Italia in particolare). Ciò per dire che ho affrontato l'antologia con un'idea già definita di cosa ci avrei trovato, e nonostante questo sono rimasto comunque sorpreso. I racconti di Chen si basano per lo più su un diffuso senso di straniamento, un divario che si apre tra la società nel suo complesso e i singoli individui che ne fanno parte. Questo disagio si declina in vari modi, ma porta in qualche modo i protagonisti a cercare una risposta diversa alle proprie domande, salvo poi (spesso) rendersi conto che anche quella risposta è già stata prevista, precotta e confezionata per metterla a loro disposizione. In questo il legame con Forlani qui sopra è insolitamente forte, ed è quasi un paradosso dato che sono quanto di più lontano si potrebbe immaginare in termini di genere, stile, obiettivi. I racconti di questa raccolta sono inquadrabili tutti come fantascienza ma non richiedono particolari nozioni per poter essere seguiti, solo una certa apertura e disposizione mentale, anche nei confronti di un diverso modo di narrare una storia. Insomma in Cina chi ha inventato lo showdontell non ha fatto molto successo. Voto: 8/10
Infine un autore che già conosco per alcune mirabili opere e che qui leggo per la prima volta in un genere diverso. Walter Tevis ha scritto L'uomo che cadde sulla Terra (da cui è stato tratto il film con David Bowie) e Mockingbird (conosciuto anche come Futuro in trance o Solo il mimo canta al limitare del bosco): entrambi capolavori riconosciuti della fantascienza. Ma con La regina degli scacchi si abbandona l'etichetta e si passa a un romanzo "mainstream": la storia di una ragazzina cresciuta in orfanotrofio che diventa campionessa di scacchi. Beth è una ragazza sfortunata: i suoi genitori muoiono in un'incidente, viene affidata a un'istituto femminile in cui sviluppa una dipendenza dai sonniferi e anche quando viene adottata finisce in una famiglia che forse non aveva davvero bisogno di una figlia da crescere. In tutto questo, scopre gli scacchi nel seminterrato dell'orfanotrofio e dopo le prime partite con il custode viene subito rivelato il suo talento, che la porta giovanissima a competere contro i campioni dello stato, della nazione, e poi del mondo intero. La sua abilità si scontra però con le sue pesanti carenze a livello affettivo, la sua incapacità di mostrare attaccamento o anche solo interesse per chiunque, oltre alla tendenza a sviluppare dipendenza da sostanze varie, dall'alcool agli ansiolitici. Il percorso di Beth è sicuramente descritto bene, ma ho avuto l'impressione che nella parte finale venga chiuso con troppa semplicità, come se da un momento all'altro lei si dicesse "bene, da ora in poi farò le cose come si deve" e puff!, ci riesce davvero. Non è così che si superano problemi di questo tipo e sono convinto che Tevis lo sappia bene, a giudicare le altre sue cose che ho letto. Quindi penso che avesse semplicemente perso interesse in questa storia, arrivato al climax del percorso scacchistico della ragazza. Simpatico il fatto che mi sia trovato a leggere questo libro con le sue occasionali descrizioni delle partite di scacchi proprio mentre stavo scrivendo Scrabble, quindi in un certo senso è stato propedeutico vedere come un autore del genere affrontava le descrizioni del gioco. Voto: 7/10
Published on February 19, 2019 02:00
February 12, 2019
Projects update: Scrabble, traduzioni, Robot, fuori
Dai, sono passati due anni dall'ultimo post in cui facevo una panoramica sui progetti di scrittura in corso, penso di potermene permettere uno adesso. Cosa che faccio sempre malvolentieri, perché come dicevo già all'epoca mi pare più utile parlare delle cose compiute piuttosto che di quelle che "pensavo di fare questo" ma poi chissà che fine fanno.
Ed è infatti curioso notare come sostanzialmente i punti fondamentali della mia strategia siano gli stessi di allora. Nel post di allora parlavo infatti dell'idea di scrivere il Secondo Romanzo, e di iniziare a lavorare su traduzioni dei miei racconti da mandare in giro. Due danni dopo posso dire di non aver concluso nulla in tal senso.
O meglio. Scrabble di fatto esiste, come dimostra l'istogramma della lungehzza capitoli che vedete qui accanto. Dopo una gestazione durata circa tre mesi, il 20 gennaio ha visto la luce, e giusto un paio di giorni fa è uscito dall'incubatrice perché era nato un po' prematuro, ed è pronto per vedere il mondo. Un romanzo di trecento e rotte cartelle, uno young adult con protagonista un sedicenne sfigatello innamorato di una compagna di classe irraggiungibile. Posso dire che la storia mi è venuta fuori in buona parte come me l'ero immaginata già prima di questi due anni, e che è stato un piacere come tutte le volte vedere come certe cose vanno ad incastrarsi da sole come se le avessi progettate dall'inizio del mondo e invece no, ti escono quasi per caso, o forse per istinto, ma sono proprio giuste così. Cosa ne sarà ora di Scrabble?
La prima prova che subirà sarà un'impossibile competizione al Premio DeA Planeta. Sarò venale, ma l'idea di un anticipo di 150.000 € è sufficiente a motivarmi. Se non altro i tempi di valutazione sono molto rapidi, per cui già ad aprile saprò se il mio lavoro è di nuovo libero per essere proposto ad altri. So già che non posso vincere, se non altro per una ragione molto pratica: il Premio in questione cerca opere da tradurre per il mercato spagnofono, e Scrabble è di fatto intraducibile. Troppo complicato spiegare ora perché, ma a meno di non perdere o svuotare di significato una parte fondamentale di tutta la storia, è impossibile riportarlo in un'altra lingua. O quanto meno estremamente difficile, al punto di non rendere la traduzione una strada economicamente vantaggiosa.
E di questa via parliamo delle traduzioni. Che ho ottenuto in questi due anni? Beh, per il momento ho quattro racconti che hanno rimbalzato tra una rivista e l'altra producendo come reazioni una serie di "thank you for the opportunity of reading your story but i shall pass for this time." Ma questo non ci fermerà, quindi continuerò ad aggiornare la mia tabellina con i rifiuti ricevuti fino a che qualcuno per disperazione non scegliera di prendere il mio racconto in versione inglese. Per il momento non credo che ne farò tradurre altri, mi piaceva segnare almeno un punto prima di aumentare l'investimento, ma vedremo come va.
Comunque non è che nei due anni da quel famoso post non ho fatto niente. A parte racconti sparsi qua e là e la pubblicazione de Il lettore universale, mi sono anche dedicato un po' di sana formazione con editor, corsi e manuali, e devo ammettere che rispetto solo all'anno scorso sento di aver acquisito una consapevolezza ben maggiore delle mie capacità. Questo chiaramente non mi garantisce di poter sfornare un best seller dopo l'altro, ma quanto meno credo di poter lavorare con un'efficienza che non ho mai avuto prima.
E non vorrei sopravvaltuare una semplice coincidenza, ma di fatto i primi due lavori che ho portato a termine dopo questa fase di formazione sono i racconti lunghi Bootstrap e Locuste, che ho inviato all'ultima edizione del Premio Robot e che sono finiti uno tra i finalisti e uno tra i segnalati. In genere tutti i finalisti sono pubblicati sulla rivista nel corso dell'anno per cui è probabile che tra qualche mese potrete leggere almeno Locuste, e potrò finalmente avere la soddisfazione di comparire sulla più importante rivista di fantascienza italiana, risultato che inseguivo da un po' di tempo.
Dopodiché... ecco, le cose si fanno un più confuse. Non so bene quali saranno i miei prossimi obiettivi. Cioè. So quali altre cose ho intenzione di scrivere (ho anche avuto uno sprazzo per un sequel-non-proprio-sequel di DTS, ma ne so ancora troppo poco per poterne parlare io stesso), semmai non so bene dove farle arrivare. La strada che ho intenzione di intraprendere è quella che porta fuori: fuori dal genere, fuori dall'ambiente, fuori dall'etichetta della fantascienza in cui mi sono mosso praticamente da quando ho inziato a scrivere, più di dieci anni fa. Non per rinnegare la sf che è e rimane la mia passione principale e soprattutto il linguaggio più efficace per raccontare il mondo impossibile in cui viviamo o vivremmo, ma perché i confini e i paradigmi autoimposti di questo mondo cominciano a starmi stretti. E se c'è una cosa che ogni appassionato di fantascienza dovrebbe avere imparato è che i confinti vanno superati e i paradigmi abbattuti. Io voglio fare lo stesso, o almeno provarci. Probabilmente è un percorso destianto al fallimento ma preferisco alzare il tiro e fare cilecca, piuttosto che continuare a segnare coi tiri liberi.
Quindi, rinnovo l'appuntamento tra due anni qui si Unknown to Millions per scoprire com'è andata.
Ed è infatti curioso notare come sostanzialmente i punti fondamentali della mia strategia siano gli stessi di allora. Nel post di allora parlavo infatti dell'idea di scrivere il Secondo Romanzo, e di iniziare a lavorare su traduzioni dei miei racconti da mandare in giro. Due danni dopo posso dire di non aver concluso nulla in tal senso.
O meglio. Scrabble di fatto esiste, come dimostra l'istogramma della lungehzza capitoli che vedete qui accanto. Dopo una gestazione durata circa tre mesi, il 20 gennaio ha visto la luce, e giusto un paio di giorni fa è uscito dall'incubatrice perché era nato un po' prematuro, ed è pronto per vedere il mondo. Un romanzo di trecento e rotte cartelle, uno young adult con protagonista un sedicenne sfigatello innamorato di una compagna di classe irraggiungibile. Posso dire che la storia mi è venuta fuori in buona parte come me l'ero immaginata già prima di questi due anni, e che è stato un piacere come tutte le volte vedere come certe cose vanno ad incastrarsi da sole come se le avessi progettate dall'inizio del mondo e invece no, ti escono quasi per caso, o forse per istinto, ma sono proprio giuste così. Cosa ne sarà ora di Scrabble?La prima prova che subirà sarà un'impossibile competizione al Premio DeA Planeta. Sarò venale, ma l'idea di un anticipo di 150.000 € è sufficiente a motivarmi. Se non altro i tempi di valutazione sono molto rapidi, per cui già ad aprile saprò se il mio lavoro è di nuovo libero per essere proposto ad altri. So già che non posso vincere, se non altro per una ragione molto pratica: il Premio in questione cerca opere da tradurre per il mercato spagnofono, e Scrabble è di fatto intraducibile. Troppo complicato spiegare ora perché, ma a meno di non perdere o svuotare di significato una parte fondamentale di tutta la storia, è impossibile riportarlo in un'altra lingua. O quanto meno estremamente difficile, al punto di non rendere la traduzione una strada economicamente vantaggiosa.
E di questa via parliamo delle traduzioni. Che ho ottenuto in questi due anni? Beh, per il momento ho quattro racconti che hanno rimbalzato tra una rivista e l'altra producendo come reazioni una serie di "thank you for the opportunity of reading your story but i shall pass for this time." Ma questo non ci fermerà, quindi continuerò ad aggiornare la mia tabellina con i rifiuti ricevuti fino a che qualcuno per disperazione non scegliera di prendere il mio racconto in versione inglese. Per il momento non credo che ne farò tradurre altri, mi piaceva segnare almeno un punto prima di aumentare l'investimento, ma vedremo come va.
Comunque non è che nei due anni da quel famoso post non ho fatto niente. A parte racconti sparsi qua e là e la pubblicazione de Il lettore universale, mi sono anche dedicato un po' di sana formazione con editor, corsi e manuali, e devo ammettere che rispetto solo all'anno scorso sento di aver acquisito una consapevolezza ben maggiore delle mie capacità. Questo chiaramente non mi garantisce di poter sfornare un best seller dopo l'altro, ma quanto meno credo di poter lavorare con un'efficienza che non ho mai avuto prima.
E non vorrei sopravvaltuare una semplice coincidenza, ma di fatto i primi due lavori che ho portato a termine dopo questa fase di formazione sono i racconti lunghi Bootstrap e Locuste, che ho inviato all'ultima edizione del Premio Robot e che sono finiti uno tra i finalisti e uno tra i segnalati. In genere tutti i finalisti sono pubblicati sulla rivista nel corso dell'anno per cui è probabile che tra qualche mese potrete leggere almeno Locuste, e potrò finalmente avere la soddisfazione di comparire sulla più importante rivista di fantascienza italiana, risultato che inseguivo da un po' di tempo.
Dopodiché... ecco, le cose si fanno un più confuse. Non so bene quali saranno i miei prossimi obiettivi. Cioè. So quali altre cose ho intenzione di scrivere (ho anche avuto uno sprazzo per un sequel-non-proprio-sequel di DTS, ma ne so ancora troppo poco per poterne parlare io stesso), semmai non so bene dove farle arrivare. La strada che ho intenzione di intraprendere è quella che porta fuori: fuori dal genere, fuori dall'ambiente, fuori dall'etichetta della fantascienza in cui mi sono mosso praticamente da quando ho inziato a scrivere, più di dieci anni fa. Non per rinnegare la sf che è e rimane la mia passione principale e soprattutto il linguaggio più efficace per raccontare il mondo impossibile in cui viviamo o vivremmo, ma perché i confini e i paradigmi autoimposti di questo mondo cominciano a starmi stretti. E se c'è una cosa che ogni appassionato di fantascienza dovrebbe avere imparato è che i confinti vanno superati e i paradigmi abbattuti. Io voglio fare lo stesso, o almeno provarci. Probabilmente è un percorso destianto al fallimento ma preferisco alzare il tiro e fare cilecca, piuttosto che continuare a segnare coi tiri liberi.
Quindi, rinnovo l'appuntamento tra due anni qui si Unknown to Millions per scoprire com'è andata.
Published on February 12, 2019 23:30
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