Andrea Viscusi's Blog: Unknown to Millions, page 11

November 29, 2021

Doctor Who 13x04 - Village of the Angels

I Weeping Angels sono universalmente riconosciuto come una delle migliori invenzioni del Doctor Who moderno, grazie anche a un episodio introduttivo eccezionale (Blink, scritto dal caro Steven Moffat) che li ha fatto diventare subito uno dei mostri "classici", che stanno lassù sul podio con Dalek, Cybermen, e Sontaran. La cosa interessante che è successa con gli angeli e che li differenzia da questi altri è che, essendo stati sfruttati molto poco (escluso qualche breve cameo, ci sono solo quattro storie con protagonisti gli angeli, inclusa questa di adesso) hanno mantenuto buona parte del loro mistero e pericolosità, per una versione orizzontale del principio di conservazione del ninjutsu per cui un nemico che compare poco continua a essere minaccioso. Mentre i Sontaran hanno quasi sempre una vena comica, come abbiamo visto appena due episodi fa, e pure i Dalek e Cybermen hanno avuto le loro occasioni dissacranti, i Weeping Angels sono ancora inquietanti come la prima volta che li abbiamo visti, al punto che il Dottore stesso ne ha un certo timore. Quindi fa sempre piacere sapere che vedremo una nuova storia in cui loro sono il nemico principale, anche se ci auguriamo in realtà che non accada così di frequente.


Village of the Angels, come prevedibile, è un episodio semi-filler nel serial Flux, in cui lasciamo parzialmente da parte la trama principale del conflitto cosmi che era invece al centro dell'episodio precedente. Dottore e compagni si ritrovano di nuovo sbalzati altrove, stavolta perché è lo stesso angelo che ha occupato il Tardis a condurli in in una cittadina isolata degli anni 60. Qui il Dottore parte alla ricerca dell'anomalia che deve essere la causa che li ha attirati lì, mentre Dan e Yaz si mettono invece a indagare sulla scomparsa di una bambina (e che fine avrà fatot mai, con gli angeli in giro?). Il tutto viene naturalmente ostacolato dall'intrusione dei Weeping Angels, che si manifestano in molte occasioni e costringono i personaggi al solito assedio. Il meccanismo ormai è noto fin da Blink e forse in questo senso si ha qualche ripetizione di troppo delle catchphrase che si sono accumulate col tempo, come appunto Don't blink e That which contains the image of an angel is an angel. Comunque la tensione rimane sempre abbastanza alta, grazie soprattutto al mistero intorno a Claire, la ragazza che avevamo già visto brevemente nel primo episodio della stagione, che sembra in qualche modo legata agli angeli e costringe il Dottore a entrare nella sua mente per indagare. All'esterno invece il dottor Jericho fa la sua discreta figura, e riesce a diventare un personaggio efficace in memorabilel nel pochissimo tempo che gli viene dedicato.

Dove l'episodio soffre un po' di più è proprio nel modo in cui i Weeping Angels conducono il loro attacco coordinato. Per alzare la posta c'è sempre il rischio di introdurre nuove regole e regalargli nuovi poteri, come quello di comunicare in maniera diretta o quello di ricostituire un disegno fatto a pezzi (???). Anche la nozione che al secondo zap di un angelo si sia inevitbailmente morti viene introdotta qui per la prima volta e contraddice ciò che è già stato visto in passato, in particolare in The Angels Take Manhattan. Inoltre c'è anche una sorta di fraintendimento di base, per cui sembra che basti toccare gli angeli (invece di esserne toccati) per venire sbalzati nel tempo, ma non dovrebbe funzionare così, perché quando gli angeli sono fermi perché osservati sono letteralmente di pietra, non sono "immobili ma coscienti", sono davvero critallizzati in una forma inorganica e incapaci di compiere qualunque azione. Sono tutte piccole incosistenze che minano in parte il coinvolgimento, soprattutto perché se mi cambi le regole del gioco io non so più quando dovrò avere paura e quando invece sentirmi al sicuro. C'è anche da considerare che la minaccia degli angeli funziona principalmente se la vittima è da sola, perché se ci sono due o più persone a conoscenza del loro funzionamento, basta che rimanga una sola a osservarla a turno, mettendosi d'accordo su quando sbattere gli occhi: difficile che tutti battano le palpebre proprio nel medesimo millisecondo!

Comunque al di là di queste sottigliezzze da fanboy cacacazzi, la storia rimane abbastanza interessante, almeno quella che ha a che fare direttamente con gli angeli, mentre al solito alla povera Yaz tocca il subplot inutile. Ci sono momenti di tensione ben costruita e soluzioni visive interessanti, come l'angelo fiammeggiante. Anche la soluzione finale del mistero è intrigante, e riesce a collegare in maniera abbastanza naturale questa avventura alla trama orizzontale di Flux, anche se forse si inizia a sovradimensionare il ruolo della Division, al rischio di farla diventare questa entità onnipotente (come se ne mancassero, in questo serial) che ha sempre manovrato i fili e di cui nessuno sapeva niente. L'inseguimento finale nel cimitero degli angeli però è una scena davvero intensa, e il momento finale in cui il Dottore sembra arrendersi e optare per la semplice fuga mi ha fatto davvero sentire un brivido, come non mi succedeva dai tempi di Villa Diodati... e probabilmente non è un caso che l'autrice che affianca Chibnall in questo episodio sia proprio la stessa del migliore di tutta la run del Tredicesimo Dottore.

La puntata si conclude ovviamente con un altro cliffhanger, stavolta davvero impressionante ma che probabilmente, come in tutti i casi precedenti, si sgonfierà in un attimo appena iniziato l'episodio successivo. Qualcuno ha già ipotizzato che questa immagine finale sia la conferma della fan theory secondo cui i Weeping Angels sarebbero Timelord condannati, ed è per questo che hanno poteri temporali e si nutrono di energia temporale potenziale, ma non credo che si arriverà a niente del genere. Alla fine Village of the Angels, nonostante qualche sbavatura nell'uso di questo villain epico, è un altro valido episodio di questa stagione sorprendente, e una degna aggiunta al campionario di apparizioni degli angeli. Poteva andare molto, molto peggio.

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Published on November 29, 2021 02:00

November 25, 2021

Doctor Who 13x03 - Once, Upon Time

I primi due episodi di questo serial sono stati senza dubbio interessanti, hanno riacquisito quel sapore di Doctor Who che era mancato troppo spesso nelle passate stagioni, e dopo un primo episodio di setup e uno semi-filler, adesso siamo arrivati sostanzialmente all'episodio-spiegone. In Once, Upon Time (e forse non è stata nemmeno una grande idea un titolo del genere a così breve distanza da Twice Upon Time) veniamo catapultati qua e là avanti o indietro nel tempo al fine di ottenere vari elementi delle storie di diversi personaggi incontrati finora: il Dottore, Yaz, Dan e Vinder, e inoltre ci viene aggiunta anche Bel, viaggiatrice solitaria (e ovviamente badass) sopravvissuta al flux.

Da una parte questa puntata ha degli elementi positivi. Lo sfasamento temporale permette di costruire le scene con i protagonisti ma al di fuori dal loro ruolo, e questo riesce a trasmettere il senso generale di confusione. Ovviamente anche il breve cameo del Dottore-Ruth, o il Fugitive Doctor, è sempre piacevole, e riaccende la sperenza che questa incarnazione del Dottore che lavora per la Division diventi prima o poi protagonista, perché, ammettiamolo, è davvero forte. Potrebbe essere una delle migliori cose introdotte da Chibnall nella serie. Vedere inoltre il passato perduto del Dottore, quando faceva parte della Division è intrigante e utile a dare qualche informazione sulla natura della minaccia in corso. Anche alcune tracce di backstory per Vinder sono utili a collocare questo personaggio all'interno della storia presente.

Dall'altra parte però, ci sono anche molti aspetti piuttosto meh e altri esplicitamente goffi, che si riesce ad amalgamare in una storia coerente. La stessa struttura frammentata dell'episodio è un problema, quando il filo conduttore è una comodissima distorsione temporale per cui ognuno si trova proprio laddove è utile che si trovi, e il Dottore riesce comunque a raggiungerli. E le backstory in alcuni casi non hanno davvero niente da dire, come nel caso di Yaz (povera, cara Yaz, semre relegata al ruolo più inutile, quando finirà questa sofferenza per lei?) e anche di Dan, le cui sottotrame non hanno praticamente nessuno svolgimento. C'è anche un discreto problema con la risoluzione della puntata: il Dottore impiega lo stesso trucco visto nel passato, per trasportare uno di quei "guardiani del tempo" al suo posto e ristabilire così l'ordine, però... possibile che fosse così semplice? E i malvagi Swarm/Azure si limitano a dire "ah beh, ok, allora noi andiamo, eh" come se la cosa non avesse nessun valore per loro: ma non erano lì per distruggere il tempo, non erano lì per sconfiggere il Dottore una volta per tutte dopo eoni di attesa? Invece no, schioccano le dita e ciao.

Un altro problema piuttosto notevole è la natura della battaglia in corso. I cattivi evocano dei concetti molto interessanti, ovvero una guerra tra lo Spazio e il Tempo, che è qualcosa di profondo e mindblowing: il Tempo come entità senziente (e malevola: time is evil) che è stata imbrigliata dallo Spazio, proprio su questo pianeta, ma che sta cercando di ribellarsi. È un'idea con un potenziale enorme, però ci viene soltanto raccontata, non vediamo e non capiamo cosa questo comporta: rimane tutto nelle parole misteriose ed evocative di Swarm, che per carità, ha un gran fascino, ma insomma vorrei capire meglio che cosa sto rischiando.

Anche perché, il subplot di Bel l'avventuriera ci mostra l'universo dopo il passaggio del flux, e... beh, non è che sia così tragica. Nel primo episodio del serial l'impressione era che il flusso fosse una tempesta cosmica che annichilisce completamente la materia, e si sono visti anche dei pianeti interamente disgregati; ora invece si scopre che sì ok, è stato brutto ma tutto sommato ce la siamo cavata. La situazione non sembra peggiore di un'alluvione o un uragano, qualcuno ci è rimasto ma alla fine i mondi sono sopravvissuti e c'è ancora tanta gente in giro. Questo ridimensione enormemente la portata della minaccia come ci era stata presentata all'inizio, e quindi fa crollare molte delle aspettative. In genere, le stakes di una storia dovrebbero salire man mano che si procede, non scendere.

Si prova a ritirare su l'attenzione con l'introduzione di un (altro) nuovo personaggio, che appare al Dottore dicendogli che quello che sta succedendo è tutto programmato ed è tutto causa sua. Un'entità che a quanto pare tutto vede tutto sa e tutto può, come se ancora non ne avessimo abbastanza  di creature onnipotenti, e che ha tutto l'appeal della Eloise Hawking di Lost. Inutile in questo caso teorizzare chi possa essere, la sua apparizione è così breve e dall'intento così palesemente teaser che discuterne sarebbe cedere alla trappola.

In generale tutta la puntata soffre un po' di quel difetto a cui ci ha abituato Chibnall per cui i personaggi dialogano principalmente a mezzo di exposition: si spiegano continuamente le cose, si dicono cose che dovrebbero sapere già, e a volte le dicono a sé stessi perché si rivolgono in realtà al pubblico: per esempio a un certo punto il Dottore in mezzo al vortice temporale dice "ah, sto per essere trascinata di nuovo su Time nel passato!" quando è una cosa che abbiamo già visto e capito, e sarebbe bastato mostrarcela apparire lì per capire cosa era successo. Ma l'esempio più clamoroso è Bel l'avventuriera, che nel suo messaggio registrato a Vinder rivela con una naturalezza da Miss Italia che porta dentro di sé "il nostro finora non ancora nato figlio". Una battuta comica nella sua goffaggine.

Su Bel e Vinder si potrebbe aprire un altro capitolo di speculazione, ma purtroppo la questione non ci appassiona abbastanza per poterci interessare alla loro identità. Ci sono concrete possibilità che si tratti dei genitori del timeless child, perché proprio non possiamo fare a meno di rievocare questa aggiunta alla lore, ma anche in questo caso soffermarsi a esaminare le ipotesi non è molto utile.

Accontentiamoci di un cliffhagner finale che conduce probabilmete a un altro episodio di quasi-filler, ma che se non altro ci riporta in scena i Weeping Angels. Alla fine in questa terza parte di Flux sono riemersi molti dei difetti riscontrabili finora sotto la conduzione di Chibnall, comunque l'interesse per la stagione rimane abbastanza alto.

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Published on November 25, 2021 01:30

November 15, 2021

Doctor Who 13x02 - War of the Sontarans

Se il primo capitolo del serial Flux era un setup, questo è principalmente una divagazione. Il Dottore e compagi si ritrovano inspiegabilmente sbalzati nel tempo e nello spazio (invalidando del tutto il cliffhanger della puntata precedente, ma anche questo è normale per DW) e poi si separano. Il Dottore rimane incastrata nella guerra di Crimea; Yaz finisce in quello strano edificio che avevamo già visto di sfuggita e che scopriamo essere il tempio di Atropos sul pianeta Time, giusto perché sia chiaro che si sta parlando di cose importanti; Dan torna nella sua epoca, ma trova una timeline diversa da quella normale perché nel frattempo i Sontaran hanno invaso e preso possesso della Terra.


I Sontaran sono un altro degli avversari storici di DW, che nella serie moderna sono tornati nella quarta stagione e poi sono comparsi principalmente come membri isolati con intenzioni comiche, quindi questa è la prima volta da molto tempo che li vediamo di nuovo in veste di nemico pericoloso. Per quanto goffi e ottusi, i Sontaran sono abbastanza tenaci da portare avanti campagne folli, e ogni tanto azzeccano un colpo, come quella volta all'epoca del Quarto Dottore in cui hanno invaso addirittura Gallifrey. Non è la prima volta che usano una strategia di invasione temporale sulla Terra, tanto che la frase "Sontarans perverting the course of human history" è diventata quasi una catchphrase. Stavolta a quanto pare hanno approfittato del flusso per condurre una manovra a tenaglia temporale alla Tenet, attaccando il presente e il passato. Bisogna riconoscere che l'episodio riescce a utilizzare i Sontaran al meglio, perché ne mostra sia la ferocia, con un paio di esecuzioni di prigionieri civili, sia la vanagloria. Il Dottore passa buona parte della puntata nel tentativo di fermare la guerra tra loro e l'esercito inglese, accompagnata da un paio di personaggi storici (che onestamente non conosco, credo che sia storia tipicamente british), e ci consegna la solita lezioncina su come la guerra sia inutile ed evitabile.

Parallelamente Dan cerca di scoprire cosa sta avvenendo nella sua epoca, anche questa occupata dai Sontaran, e nonostante abbia scoperto da tipo un'ora e mezzo che esitono alieni, astronavi, viaggi nel tempo, cani spaziali e così via se la cava molto bene. Anzi si può quasi dire che le sue scene siano le migliori, per intensità e umorismo, anche se l'attore è quasi incomprensibile quando parla. Viene da chiedersi perché abbiamo perso due stagioni con dei companion inutili quando era possibile crearne uno di questo tipo che avrebbe dato tutto un altro respiro alla serie. Peccato anche in questo caso per Yaz, che viene di nuovo sacrificata con la sottotrama più statica e utilizzata al solito come strumento per fare exposition, stavolta da parte dei due big baddies, Swarm e Azure (stavolta i nomi li ho capiti).

Il Dottore riesce naturalmente a sconfiggere i Sontaran, anche se di nuovo si potrebbe discutere sull'acutezza di un piano di guerra che prevede il periodico rientro dell'intero eserceito tutto nello stesso momento, forse i Sontaran non hanno mai avuto sindacati che diffondessero l'idea dei turni di lavoro. La minaccia viene annullata in parallelo anche nel presente da Dan e il suo fido Karvinsta (pun intended), e nessuno si lamenta delle trecento astronavi Sontaran distrutte nel porto di Liverpool, mentre si fa una gran tragedia per quelle in Crimea. La coppia Dan/Karvinista è di nuovo una delle più efficaci, e anche se per il momento si sono separati c'è da scommettere che li rivedremo insieme prima della fine di Flux.

Tolta di mezzo la minaccia temporanea dei Sontaran, si torna al filone princpale della trama, con il Dottore che arriva a sua volta nel tempo di Atropos, condotta dal Tardis agonizzante, che è qualcosa che fa sempre male vedere. Anzi visto il modo eviente in cui il Tardis sta soffrendo, probabilmente per qualche sofferenza cosmica del tessuto stesso del tempo, sarebbe stato meglio vedere il Dottore più preoccupata per la sua salute. Una volta in Atropos il Dottore incontra Swarm che riparte con le vaghe minacce e allusioni a un passato dimenticato, ma lascia andare anche qualche ottima one-liner come "Time is evil". Sarebbe davvero interessante vedere qualcos di estremamente concettuale come l'idea che il tempo stesso possa essere il nemico, e che invece Swarm e Azure si rivelino in qualche modo soltanto dei messaggeri o dei catalizzatori di questo conflitto epocale.

Tutto comunque fa pensare che il seguito del serial ci porterà nel passato remoto del Dottore, ovvero in quella parte retconizzata da Chibnall in cui c'era un Dottore prima del Dottore. Le potenzialità di questa nuova parte della sua vita sono enormi, c'è solo da sperare che non si torni a parlare di timeless child che è il vero peccato mortale di Chibnall. In ogni caso, anche questo secondo episodio funziona nel suo insieme, con una storia superficiale abbastanza avvincente e il setup di ulteriori misteri da svelare nel seguito del serial. Da notare anche la cura dell'aspetto tecnico, con una resa convincente di una battaglia campale tra soldati inglesi e alieni, e addirittura un'ottima CGI per l'esplosione di decine di astronavi sullo sfondo del porto di Liverpool. Anche la musica si è imposta più di come eravamo abituati ultimamente, sottolineando bene i momenti più intensi.

Flux per ora si sta rivelando un buon ritorno a Doctor Who come dovrebbe essere, e come avrebbe potuto essere anche negli ultimi quattro anni ma purtroppo non è stato. Il che se da una parte è rassicurante per il presente della serie, dall'altra irrita ancora di più per il potenziale sprecato della povera Whittaker.

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Published on November 15, 2021 02:30

November 6, 2021

Doctor Who 13x01 - The Halloween Apycalypse

E così inizia la fine. Dopo lo speciale di capodanno in cui metà degli occupanti del Tardis lasciavano la scena, iniziamo questa nuova mini-stagione di sei episodi chiamata Flux che riprende un po' la formula del "serial" che caratterizzava la serie classica di Doctor Who, con storie spalmate in media su 4-6 puntate (che però duravano intorno ai 20 minuti). Ma soprattutto ricominciamo con la consapevolezza che questa sarà l'ultima stagione di Chris Chibnall e Jodie Whittaker, che dopo un paio di speciali conclusivi lasceranno il passo per il ritorno di Russell T. Davies alla guida della serie con un nuovo Dottore di cui ancora non si sa nulla. Non voglio adesso ripetere il rant per cui ritengo che Chibnall non abbia mai capito il cuore di DW (ci ho fatto pure un video su Story Doctor, andate lì), ragione per cui sono estremamente sollevato del fatto che venga messo da parte. Ne riparleremo semmai a suo tempo, adesso concentriamoci sul presente.


Alla luce di tutto questo risulta pertanto appopriato che Flux metta in campo una minaccia che investe l'intero universo, cosa vista e rivista in DW, ma che fa sempre piacere. Questo episodio introduttivo in effetti introduce molti personaggi e situazioni nuove, oltre che riferimenti al passato, da cui Chibnall sembrava inizialmente rifuggire nella sua prima stagione e che invece sono diventati ordinari, forse anche troppo vista la sovversione della lore operata tramite il Timeless Child. A questo giro non solo abbiamo il ritorno dei Sontaran, ma anche dei Weeping Angels inventati da Moffat, che però sembrano essere minacce secondarie, mentre il big bad è una creatura di nuova invenzione (non ho colto il nome, forse non viene fatto), che ha tutta l'apparenza e la gravitas di un malvagio antico e potentissimo, che comunque non rinuncia allo stile nemmeno quando sta distruggendo l'universo. Il mostro sembra avere una particolare connessione privilegiata con il Dottore, e quando arrivano a interagire (telepaticamente o whatever) si fa riferimento al fatto che il Dottore non lo ricordi perché gli è stata rimossa ogni traccia di memoria, con un riferimento implicito proprio alle passate vite dimenticate del Dottore. Il fatto che il Dottore riveli di essere sulle tracce di contatti informati sulla Division, di cui avevamo appreso nell'episodio con la Doctor-Ruth, ci conferma che Chibnall ha tutta l'intenzione di mantenere in vita le novità da lui introdotte nella lore della serie.

Ma sofismi produttivi a parte, queta prima parte di Flux funziona abbastanza bene, considerando che si tratta tutto sommato di un capitolo introduttivo. Il Tardis sgombro di passeggeri appare più ospitale (nonostante le anomalie che sta manifestando) e Yaz sembra addirittura avere una personalità. Il nuovo companion Dan (che a quanto ho capito è un comico abbastanza conosciuto in UK) fa il suo lavoro, risulta abbastanza convincente nonostante il ruolo secondario, per cui almeno per il momento è una figura che funziona. Sorprendentemente efficace anche Karvinista, il cane antropomorfo che si presenta come un Chewbecca cinico, ma che riesce a risultare credibile. Gli altri personaggi secondari che compaiono hanno contributi ancora troppo scarni per poter essere valutati, la speranza è che le loro storie finora soltanto settate abbiano un ruolo attivo piuttosto che rivelarsi la tipica pistola di Checov a salve tanto utilizzata da Chibnall.

Al solito, a rifletterci per più di un minuto si notano tante ingenuità. Per quanto sia simpatica e cute l'idea dei cani spaziali venuti a salvare gli uomin (who's a good boy?), viene da chiedersi come mai non siano mai intervenuti in una delle trentaseimila occasioni precedenti in cui l'umanità era in pericolo, oltre che se sono dotati di astronavi capaci di resistere al flux, allora forse questa tempesta galattica non è così inarrestabile, e come mai nessun altro ha pensato di usare questa stessa tecnologia per salvare l'universo intero piuttosto che un singolo pianeta? Ma insomma, queste sono le sciocchezze classiche che si ritrovano in DW da sempre e che sono in un certo senso la sua forza, per cui si accettano senza troppa rigidità.

Tutto sommato quindi, The Halloween Apocalypse è un buon punto di partenza per il serial, e lasica ben sperare che Flux possa essere quanto meno un'avventura che abbia "il sapore" di Doctro Who. Spiace che Chibnall e Whittaker debbano trovare la loro via solo adesso che stanno per andarsene, ma le occasioni non sono mancate, non potevamo continuare ad aspettare per sempre. Inutile valutare per il momento una storia che sta solo iniziando, lasceremo i voti alla fine.

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Published on November 06, 2021 04:06

October 31, 2021

Rapporto letture - Agosto/Settembre 2021

Arrivo in extremis, ma eccomi finalmente con il rapporto lettura di fine estate 2021. Solita premessa sul fatto che l'estate per me non è un periodo di maggiori letture, anzi praticamente l'opposto, in questo periodo tanto più che avevo alcuni progetti da completare in quelle settimane (tipo il nuovo romanzo?) ed eventi che mi hanno portato via tempo (tipo presentazioni del nuovo romanzo?). Comunque, qualcosa abbiamo portato a casa.

Iniziamo con quello che sia un inedito assoluto per Unknown to Millions: una rilettura! Credo siano davvero vent'anni buoni che non rileggo un libro, perché ho sempre l'idea (giustificata ogni volta che vedo gli scaffali della libreria) che non ci sia tempo sufficiente per leggere cose già note. In questo caso però mi sono permesso un'eccezione, perché con tutto l'hype intorno a Dune non potevo presentarmi impreparato. Non sto qui a ripetere l'adorazione totale che ho per questa saga, o almeno per quella di Frank Herbert, perché le fanfiction dei suoi eredi sono una cosa ignobile, come ho avuto modo di spiegare ampiamente proprio qui sul blog in tempi non sospetti. Ho deciso quindi di rileggere il romanzo originale, per prepararmi alla visione del film di Villeneuve e anche per farne l'analisi strutturale su Story Doctor. Non mi metto a fare recensioni adesso, sarebbe come recensire I promessi sposi. Dico solo che riletto "da adulto" (la mia lettura iniziale della saga risale ai 15-17 anni) e con un'esperienza di vent'anni di lettura, formazione, scrittura, ecc, questo libro regge ancora alla grande. Nonostante alcuni difetti che le moderne convenzioni narrative condannerebbero (tipo i POV che saltano da un paragrafo all'altro tra i personaggi), la ricchezza e profondità del testo è davvero impressionante. E tutto questo pur avendolo ancora letto nella vecchia traduzione degli anni 70, senza nemmeno andare alla versione originale. Rileggendolo ho capito molto di più e molto meglio certe cose che forse a 15 anni ancora non potevo cogliere... forse come è successo allo stesso Paul quando ha scatenato la sua jihad, e solo dopo si è reso conto di cosa è successo davvero. Insomma, mi sento di dire che qui stiamo davvero parlando di un capolavoro che attraverserà le epoche. E forse ora grazie a Villeneuve raggiungerà tante altre persone, magari tutta una nuova generazione di lettori che saranno iniziati al Golden Path. Bi-lal kaifa
Passiamo poi a un po' di sana manualistica, che di solito non commento perché le ritengo letture "professionali", ma in questo caso mi sembra interessante fare qualche riflessione su La scrittura non si insegna , il pamphlet anti-corsi di scrittura di Vanni Santoni. So che a presentarlo così dico una bugia, ma niente di più grave di quanto fa Santoni stesso nel titolo, quindi non mi sento in colpa, perché il paradosso e la provocazione sono evidenti quando si pubblica un libro in cui si sostiene di non insegnare scrittura nonostante al tempo stesso si tengano corsi di scrittura. Lo capisco, è un gioco a cui gioco anch'io sui miei canali, è così che funziona l'aggancio iniziale. In realtà il punto di questo manualetto non è quello del titolo, o almeno lo si può ritrovare solo in parte. L'impressione iniziale è che Santoni sostenga che la scrittura si assorbe per osmosi, e che leggendo tanti bei libri ci si scopra capaci di produrre libri altrettanto belli, infatti buona parte del volume è dedicata a liste su liste di libri da leggere, soprattutto per quanto riguarda la narrativa moderna occidentale, dato che, bene o male, il canone del romanziere contemporaneo è quello. Ma la questione è più complessa di così, e l'autore stesso riconosce in qualche nota a più di pagina che lo studio e la conoscenza di modelli narrativi sono utili per la progettazione e produzione di storie. L'equivoco di fondo che si può creare intorno a questo manuale a mio avviso è su cosa si intende per "scrittura", perché qui l'impressione è che ci si riferisca principalmente alla scrittura di opere di literary fiction, quella roba che si cura tanto di "scrivere bene" ma che poi se non c'è niente da raccontare tutto sommato va anche bene perché la scrittura è bella. Il discorso sulla scrittura di Santoni è soprattutto un discorso sullo stile, sulla costruzione di un "voce autoriale" e quello, sono abbastanza d'accordo, non si insegna, perché deve essere un percorso personale. Percorso che, però, non può prescindere anche dallo studio e dall'apprendimento, e va da sé che se c'è qualcuno che impara, da qualche parte c'è qualcuno che insegna, magari non in maniera diretta ma attraverso lezioni trasmesse oltre le barriere dello spazio e del tempo. Non credo che Santoni sarebbe mai contrario alla lettura delle Lezioni americane di Calvino, per dirne una. E di conseguenza, non potrebbe esserlo nemmeno rispetto al Viaggio dell'eroe. Che poi un particolare modello/mauale/insegnante sia più o meno valido, utile o farlocco è normale. Ma la scrittura, come tutte le discipline, si impara eccome, un po' per osmosi, un po' per imitazione e un po', anche, per studio attivo. Questo stesso volume peraltro illustra numerosi principi e convenzioni della scrittura moderna, a volte coniando dei termini per definirli (come le banality, quelli che io chiamo giornalistismi) a volte omettendo l'etichette comunemente adottata dal resto del mondo, come per l'universale shodontell. Se affrontato con questa premessa, credo che questo sia comunque un manualetto utile, di lettura velocissima e con consigli preziosi, oltre che lunghe e approfondite liste di lettura.

E veniamo alla lettura tosta del bimestre, ma mi sento di dire, dell'intero anno. Tosta perché mi ha completamente devastato, mi ha sconvolto come non mi capitava davvero da anni. Ho amato tutta la saga della War With No Name di Robert Repino, e aveva alte aspettative per Malefactor , ma dio mio, non così. Ho pianto come un idiota soltanto a leggere il titolo dell'ultimo capitolo, e se ci ripenso ora che sono qui a scriverne mi torna su il magone. Facciamo un passo indietro: la saga della Guerra Senazome inzia con Mort(e) che avevo letto anni fa e mi aveva tanto esaltato che gli avevo dedicato un post intero. È la storia della guerra tra umani e animali, una Fattoria degli animali senza l'allegoria politica e con molta più violenza. Il nemico principale sono le formiche, la Regina che medita per migliaia di anni il suo attacco e poi scatena i suoi soldati contro la civiltà umana, al tempo stesso "elevando" tutti gli animali facendoli diventare versioni antropmorfe, bipedi, senzienti e parlanti, e desiderosi di ribellarsi ai loro padroni. Il primo libro non racconta della guerra, che vede gli umani sconfitti in pochi mesi, ma segue le gesta di Mort(e), un gatto domestico che si chiamava Sebastian ed è diventato un eroe di guerra, ma per tutto il tempo non ha smesso di cercare Sheba, la cagnolina con cui condivideva la cuccia. Mort(e) avrà un ruolo determinante negli equilibri della guerra, un ruolo che la Regina ha previsto, perché la Regina conosce tutto, anche la sua stessa disfatta (curiosamente, si trovano tematiche molto simili a quelle di Dune). Dopo Mort(e) sono usciti Culdesac , una novelette ambientata durante la guerra, e il secondo romanzo D'Arc , che prosegue la storia dieci anni dopo la fine della guerra, portando nuove minacce (sempre manovrate dalla Regina nel passato) e nuovi protagonisti, tra cui appunto Sheba, o meglio, D'Arc. Dopo di che arriviamo a questo Malefactor, che continua a poca distanza dal secondo libro, portando all'estremo il conflitto tra i tanti animali e i pochi umani che hanno ereditato il pianeta dopo la guerra. La cosa straordinaria che ho trovato in questo romanzo è la profonda umanità dei personaggi, e non lo dico per fare una battuta, ma questi gatti, cani, castori e pipistrelli parlanti sono così veri e vivi che davvero si sente di averli accanto, di essere cresciuti con loro. Dopo essersi separati, Mort(e) e D'Arc sono costretti a tornare insieme per affrontare una nuova minaccia, e ancora c'è il progetto a lungo termine della Regina, che sapeva tutto, vero agente del caos che continua a distruggere tutto in un ciclo infinito di guerre. Il ciclo deve essere spezzato, se gli animali vogliono sperare di vivere in pace, ma per riuscirci bisogna essere pronti a compiere dei sacrifici. Mort(e) è invecchiato, la sua mente si sta dissolvendo dopo lo scontro con i Sarcop del libro precedente, e non ne può più di combattere, ma c'è una cosa che lo guida: l'amore, profondo e incondizionato per D'Arc, e non è uno stucchevole amore romantico, è la dedizione totale a qualcuno che ti ha cambiato la vita. Ho letto le interviste di Repino, e racconta di come Sebastian e Sheba siano stati la sua ispirazione, questo gatto e quella cagnetta che dormivano nella stessa cuccia, che si proteggevano a vicenda dai pericoli di un mondo minuscolo, che era tutto ciò che conoscevano: è questo che Mort(e) e D'Arc continuano a fare, solo che il mondo adesso è e norme, e i pericoli coinvolgono tutti. È questo che si sente, la forza e la dedizione di creature che sono disposte a tutto pur di proteggere ciò che hanno caro: esiste una forma d'amore più nobile di questa? Potrei stare davvero per ore a parlarne, se solo non mi venisse da tirare su col naso. Credo di aver imparato tanto da questa saga, e ci sono citazioni che continuo a ripetermi: the water flows  / i know you, where have you been? / don't worry. don't be sad. i am strong. i will not leave you. / you and i will meet again, in the darkness, where you and i will be the only light. Credo onestamente di non aver letto nessuna serie così potente e coerente, e sicuramente sarà perché tocca tematiche a cui sono molto sensibile, ma Sebastian ormai è uno dei miei eroi assoluti. Rinnovo di nuovo l'appello agli editori in ascolto a dare un'occhiata a questa saga, leggere il primo libro (che funziona già di per sé, non è incompleto) e magari pensare di tradurlo. Mi offro di lavorarci io come traduttore a tariffe ridicole, se vi preoccupano i costi. Ma vi prego, vi prego, portatelo ai lettori, #traduceterepino. Io tutto quello che posso fare è parlarne (e forse lo farò ancora) e assegnare a Malefactor, in rappresentanza di tutta la saga, un inedito voto 10/10.

Ok torno a scrivere dopo aver fatto una pausa perché davvero mi stavo rimettendo a frignare, e ora posso parlare dell'ultimo libro letto a settembre, un titolo di Zona 42 che è il libro precedente al mio, il romanzo Dono di Alessandro Baoli, autore poco più che esordiente che però ha impressionato così tanto l'editore che hanno voluto subito portarlo a bordo della Zona. È una storia postapocalittica, ambientata in una Roma (mai nominata, ma si intuisce) bruciata da un sole letale, conseguenza estrema del cambiamento climatico fuori controllo, al quale sono sopravvissuti solo alcuni sparuti gruppi di umani. E anche qui ci sono gli animali, e sono in guerra con gli uomini, perché in questa nuova epoca di sofferenza gli uomini sono prede di scimmie e serpenti, che hanno intelletto e piani forse più sofisticati dei pochi disperati rimasti. La storia è narrata in prima persona da Dono, che è uno schiavo grato di esserlo, totalmente dipendente e adorante del suo padrone, che è per lui un semidio. La storia segue questo gruppo di derelitti che cerca di raggiungere una possibile fonte di salvezza, ma è soprattutto una storia di perversione estrema, perdita di tutto ciò che crediamo ci renda umani meritevoli di salvezza. I protagonisti non sono eroi, ma non sono nemmeno supercattivi, sono creature abiette e misere, e forse Dono proprio perché si compiace della sua posizione infima è il più onesto di tutto, nonostante menta a sé stesso e agli altri. In un certo senso sembra di leggere la storia di una di quelle bande di punk cattivi di Kenshiro, vista dalla loro prospettiva. La trama non è certo complessa ma la scrittura è forte e personale, e anche se si notano alcune sbavature di inesperienza, l'insieme riesce a trasmettere un senso soffocante di ansia e disperazione e tanto, tanto caldo. Voto: 7/10

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Published on October 31, 2021 03:00

October 23, 2021

404 - Fantascienza non conforme

Arrivo un po' in ritardo con questa segnalazione, perché si parla di un'uscita che risale al 10 ottobre, ma sono settimane piuttosto intense tra l'uscita di STM e tutto quello che comporta, presentazioni fiere podcast canali editing e poi c'è pure DUNE di mezzo che mica possiamo ignorarlo. Quindi mi scuso con tutte le persone coinvolte nel progetto se pare che li ho messi da parte, ma proprio fisicamente non ho avuto tempo fino a stamattina. Dopo l'excusatio non petita passiamo qindi all'annuncio: è uscito 404 - Fantascienza non conforme, un'antologia ideata e curata da Alessandro Forlani.

Se cercate "forlani" nel blog vedrete che ne ho parlato diverse volte commentando i suoi libri, e non faccio mistero di considerarlo uno dei migliori autori di fantascienza (e non solo) in circolazione oggi. Forlani già da diverso tempo si è ritirato dalla "vita editoriale" e preferisce produrre in autonomia i suoi testi tramite i canali di autopubblicazione, e lo stesso ha fatto con 404, che si colloca fuori dei canali editoriali non soltanto per la scelta self ma anche per il concept che lo ispira.


 

Quando Forlani mi ha contattato per partecipare all'antologia, mi ha chiesto di scrivere qualcosa di "fuori dagli schemi". Ma non nel senso per cui i Maneskin sono fuori dagli schemi, il senso era di scrivere un raconto di fantascienza che per temi, struttura, registro, stile o qualunque altra componente sarebbe difficilmente stato pubblicabile da qualsiasi editore rispettabile. Quindi l'idea era proprio quello di produrre un'antologia "scomoda", con storie che disturbano o mettono in difficoltà i lettori, al contrario di quanto normalmente viene chiesto. Ho pensato che fosse l'occasione giusta per proporre la storia Generazione D che avevo in testa da molto tempo, e che non avevo ancora scrito proprio perché ero pressoché sicuro che nessuno avrebbe voluto pubblicarla viste le tematiche tabù che affronta, una versione perversa de I figli degli uomini, che peraltro stavo leggendo proprio nelle settimane scorsa e ho scoperto che uno dei personaggi principali si chiama Julian, proprio come nel mio racconto. Coincidenza assurda oppure retcon, valutate voi.

Le altre autrici e autori coinvolte ne progetto sono alcuni nomi noti e altri meno della narrativa di genere italiana, tutti mediamente giovani (credo che non ci sia nessuno oltre i quarant'anni): Linda De Santi, Alberto Della Rossa, Irene Drago, Giuliana Leone, Maico Morellini, Ilaria Petrarca, Ambra Stancampiano, Fabio Ulcigai, Simone Volponi. L'introduzione è affidata ad Angela Bernardoni, che fa un ottimo lavoro nel tracciare il filo ideale che unisce queste storie nella visione di una fantascienza che non serve a consolare e nemmeno a predire, ma soprattutto a smuovere e sbattere fuori dalla comfort zone, mostrando gli estremi possibili della speculazione tecnologica o sociale che possono aiutare a interpretare il presente. Praticamente il pippone che faccio tutte le volte quando parlo della funzione della fantascienza, ma detto meglio.

Le illustrazioni dei racconti sono di Martina Biondini, che ha interpretato ognno dei racconti, e siccome erano troppo belli si è deciso di utilizzarli tutti come copertine: potete trovare infatti 404 in dieci diverse cover variant che rappresentano ognuno dei racconti. Personalmente trovo molto forte quella della versione Stancampiano che ha un deciso sapore di Memeverse (come d'altra parte il racconto stesso), ma scegliete pure la copertina che preferite, il contenuto è lo stesso


404 è acquistabile tramite amazon sia in cartaceo che in digitale. Meto il link alla "versione Viscusi", ma davvero, non mi offendo se acquistate una delle altre.

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Published on October 23, 2021 01:51

September 25, 2021

Dune di Villeneuve: SI - NO - UHM

Naturalmente tutti si aspettavano che scrivessi qualcosa. È da tipo un anno e mezzo che la meno con DUNE, e in particolare il Dune di Villeneuve che ora che il momento è arrivato non mi posso tirare indietro. Di fatti, già ho dedicato due video su Story Doctor al romanzo di Herbert, e ho fatto una puntata del podcast Reading Wildlife per una panoramica completa della saga e tutti i derivati. Ma in nessuno di questi casi si parla esplicitamente della resa del film di Denis Villeneuve che attualmente è nei cinema, quindi a un certo punto dovevo confrontarmi anche con questo.

Nel momento in cui scrivo ho visto il film al cinema per tre volte (di cui una in imax, ma non sono riuscito a vederlo in lingua originale), e non a caso tre visioni sono il numero minimo che considero per i film che analizzo sul canale youtube. Nel corso dell'ultima visione ho anche preso appunti per il post che scriverò adesso.

Quella che segue non è una recensione. Non credo di essere nella posizione di fare una recensione obiettiva, perché l'attesa per questo film, l'adorazione per il lavoro di Villeneuve e il mio coinvolgimento nella saga non mi permettono di distaccarmi abbastanza (ho già fatto l'errore una volta di esaminare un film troppo presto e no voglio ripeterlo). Farò un esercizio diverso, forse meno completo ma anche più specifico, e andrò a parlare di singoli aspetti del film dividendoli in tre categorie: SI - NO - UHM. Il SI sono le parti che funzionano, il NO le sbavature, gli UHM le perplessità o le cose che mi hanno lasciato spunti di riflessione irrisolti.

 

I criteri con cui separo nelle tre categorie considerano tutto ciò che sta intorno a Dune, quindi non sarà una semplice questione di fedeltà di adattamento (che non è necessariamente un valore), né confronto con le opere precedenti, né percezione del fandom o del pubbligo generalista, ma un amalgama di tutte queste (e altre) componenti, in modo da ricavare un quadro completo di cosa il lavoro di Villeneuve ha compiuto e potrebbe (avrebbe potuto) ottenere. Questo credo che sia l'approccio che mi permette di dare un'idea più precisa possibile di come ho assorbito e cosa ho tratto da quest'opera. Se poi vi interessa sapere "mi è piaciuto/non mi è piaciuto", fate voi le somme.

Parlerò di questo film come "parte uno" dando quasi per scontato che una "parte due" ci sarà. So bene che niente è ancora deciso, ma ai fini di questa analisi è inutile ricordare ogni volta "se ci sarà un seguito" quindi facciamo finta che sia tutto già previsto. Anche perché continuare a pensare che potrebbe non esserci la parte due mi fa male alla vita.

 

DUNE VILLENEUVE SI

Tecnica: leviamoci subito questo impiccio perché tanto c'è poco da dire. Tutti gli aspetti "tecnici" del film sono perfetti, e non mi aspettavo niente di diverso: fotografia, regia, sonoro, musica, interpretazioni, costumi, props, lingua ecc. Non avendo visto la versione originale mi rimane il dubbio che il doppiaggio abbia appiattito qualche battuta (in particolare le voci nelle visioni) ma ho potuto notare comunque che la trasposizione è stata fatta seguendo i termini in uso nella traduzione italiana, e questo è apprezzabile. Quindi va bene, il film è visivamente spettacolare, musicalmente soverchiante, attorialmente sublime. Questi sono anche elementi sui quali ho meno capacità di giudicare, quindi mi limito a dire che va tutto bene, almeno per quanto mi riguarda. Non è un momento in cui mi sia sentito annoiato, a disagio, disinteressato. Da qui in poi quindi mi riferirò più nello specifico ad aspetti più prettamente narratologici o duniversiani, sui quali ho qualche titolo in più per parlare.

La Voce: degli adattamenti che si son visti su schermo, il modo in cui viene mostrato il funzionamento della Voce è quello che mi ha convinto di più. Quando la vediamo "dall'interno" di chi la subisce (scena a colazione e gom jabbar) il tutto avviene come se il personaggio agisse senza rendersene conto, un blackout di pochi secondi che lo porta di fronte al fatto compiuto.

Duncan Idaho: uno dei personaggi secondari meglio resi da questo film, e meno male. Duncan è il vero action hero della storia, e riesce a essere convincente senza scomporsi troppo. Inoltre la sua dinamica da buddy di Paul lo rende il personaggio più caldo al di fuori della sua famiglia, così che il suo sacrificio diventa davvero una scena epica. Purtroppo Duncan era stato molto sacrificato negli adattamenti precedenti, qui invece ha avuto occasione di brillare. Il che è anche una mossa furba, se la prospettiva (come si è sentito suggerire) è quella di realizzare una trilogia che copra anche Messia di Dune, in cui Duncan ha un ruolo importante.

Battute: o meglio assenza di. In tutto il film ci sono letteralmente due battute (forse due e mezzo), tutte concentrate nella parte iniziale. Anche qui non mi aspettavo molto di diverso da Villeneuve, ma il rischio di creare qualche situazione comedy per andare incontro alla tendenza dei blockbuster sci-fi degli ultimi anni c'era. Ma Dune non è fatto per questo. Quelle uniche due battute sono nel trailer e possono bastare. In questo modo dimostriamo (come d'altra parte Villeneuve sta facendo già da diversi anni) che la fantascienza può essere seria, può essere epica, può essere arte, può essere universale. Bisogna solo averne il coraggio, e Villeneuve l'ha avuto. Grazie.

Gom Jabbar: la prova del gom jabbar è fenomenale. Meno parole, più reazioni. La Reverenda Madre spietata, ma schiacciata da un Paul davvero troppo forte, mentre Jessica si strugge in silenzio. Far recitare a lei la litania invece che a Paul, interrompendo la concentrazione di quel momento, è stata un'ottima scelta. Se confrontiamo questa sequenza con la stessa di Lynch, resa così goffa dai pensieri fuori campo, dobbiamo davvero ringraziare Shai Hulud che sia nato Denis Villeneuve.

Missionaria Protectiva: anche se non viene nominata, questa è la prima volta che viene affermato in un film che il Bene Gesserit ha diffuso leggende e profezie su Arrakis, in modo da "preparare una strada". Il percorso da Messia di Paul passa necessariamente da questo ruolo che è stato costruito per lui, ma nei film precedenti si era tralasciato, facendolo passare per un "vero" predestinato (nel video in cui analizzo il romanzo spiego meglio tutta questa faccenda). Adesso invece Paul capisce che i fremen lo ritengono un profeta perché così gli è stato fatto credere, e ho la sensazione che potrebbe anche decidere di sganciarsi da questo ruolo invece di accettarlo in pieno, come a volte nel romanzo tenta di fare.

Ornitotteri: ma era così difficile? Mi sono sempre chiesto perché negli altri film fossero sempre stati rappresentati come generici velivoli futuristici. Ovviamente non è così significativo avere o meno un affare che vola con le ali o i campi antigrativtà, però è una soddisfazione vedere finalmente quello che Herbert ha sempre raccontato. Inoltre gli ornitotteri (che mi sembra vengano sempre chiamati "thotper") sono davvero eleganti e suggestivi, ma qui si rientra nel punto "tecnico" quindi non mi dilungo.

Liet Kynes: mi è piaciuto come il personaggio è stato leggermente modellato, facendolo diventare più coinvolto nella vicenda. Nel romanzo Liet rimane abbastanza neutrale, anche se offre rifugio a Paul e Jessica perché vede in loro la profezia, per poi morire da solo (in un capitolo pieno di interessanti riflesisoni ecologiche che qui però non trovano spazio, vedi dopo gli UHM). Il Liet di Villeneuve invece sceglie di schierarsi, diventando così una parte essenziale della storia di Paul.

Il deserto: il deserto di Villeneuve è vivo. Nelle altre occasioni, Arrakis era un mondo ostile, il deserto pericoloso ma comunque soltanto un setting. Qui invece lo si percepisce davvero, si vede il vento continuo, la sabbia trasportata che si accumula sugli edifici, le dune smosse dal passaggio dei vermi, i tamburi, gli avvallamenti, la potenza della tempesta. In effetti la sequenza del volo con l'ornitottero nella tempesta a mio avviso è forse la migliore di tutto il film, perché tutto si combina: l'ornitottero, la forza naturale del deserto, le visioni di Paul, il messaggio finale di Jamis (vedi dopo): let go. In altri casi questa scena è stata praticamente omessa, qui diventa una delle più significative. Magnifico.

I vermi: parzialmente collegato al punto precedente, ma merita trattazione separata. Anche i vermi sono i migliori mai visti. Non si limitano a essere fauna locale ostile, ma si percepisce in loro una vera forza ancestrale, viene quasi da chiedersi se sono intelligenti e se non manifestino la volontà del pianeta (allegoricamente sì, ma in questo caso anche letteralmente). In precedenza i vermi per quanto maestosi e pericolosi non mi avevano mai trasmesso questo timore reverenziale. Benedetto sia il Creature e la sua acqua.

Le reazioni alla spezia: il modo in cui la spezia interagisce violentemente con l'organismo mi ha davvero colpito. La prima visione improvvisa di Paul durante il salvataggio della mietitrice, e poi il bad trip nella tenda sono entrambe scene davvero intense. In questo senso Villeneuve si è distanziato da quell'approccio psichedelico che si notava in Lynch (derivato probabilmente dal progetto di Jodorowsky) che io ho trovato sempre fuori luogo. Qui la spezia è qualcosa di forte e pericoloso, e se non sai come affrontarla rischi di rimanerci sotto.

I Sardaukar: fanno paura per davvero. In altri casi erano solo "soldati", nella miniserie anche piuttosto ridicoli per l'abbigliamento da moschettieri. Non c'era molta differenza tra loro e le forze delle altre case. Qui invece i Sardaukar sono i fanatici inarrestabili che meritano di essere: quando arrivano te ne accorgi, quando li senti parlare hai i brividi. Finalmente abbiamo reso giustizia al fatto che impiegarli in guerra contro una Casa sia davvero un atto terribile.

I fremen: anche a loro è stata resa giustizia. Quando li abbiamo visti in precedenza mi avevano sempre dato l'impressione di straccioni del deserto, profughi che si sono adattati a vivere in condizioni ostili ma potendo si affitterebbero un monolocale ad Arrakeen. I fremen di Villeneuve invece sono volutamente lontani dalla civiltà, abitano nel deserto per scelta, e non sono selvaggi primitivi: costruiscono attrezzi tecnologici, come le tute, le parabussole e i compattatori. I fremen sono mostrati già in lotta contro i padroni, e Stilgar lo rende chiaro al Duca: state lontani dai nostri sietch, lasciateci in pace. Non sono vittime, per quanto non abbiano i mezzi per opporsi alle forze delle Case combattono alla pari, e tengono testa anche ai Sardaukar. In generale il tema dell'oppressione dei nativi credo che sia più esaltato rispetto al romanzo, come dimostra la narrazione iniziale, e forse è un approccio capace di rendere più attuale la storia.

Jamis: il personaggio che non sapevo di amare. L'uso che viene fatto di Jamis nella parte finale del film, fin dalle visioni nella scena della tempesta (vedi sopra) mi ha sorpreso e affascinato. Jamis come mentore, la visione forse di un futuro alternativo, o forse solo la manifestazione del destino che si avvicina. "Quando togli una vita uccidi anche te stesso" e poiché "Paul Atreides deve morire perché il Kwisatz Haderach sorga", uccidere Jamis è uccidere Paul. Jamis è il maestro che insegna a Paul gli usi del deserto, perché il primo uso del deserto è la morte. Già nel libro questa sequenza era molto più significativa di quanto fosse stata resa nei film (infatit nella mia analisi l'avevo identificata come midpoint, e non è un caso che il film finisca qui), ma Villeneuve l'ha caricata ancora di più, così che si sente davvero il dramma di Paul nell'uccidere Jamis. Avrebbe potuto essere suo amico, avrebbe imparato molto da lui, ma la morte è il linguaggio che Paul deve imparare a parlare. Anch'io ho dato la mia acqua a Jamis.

 

DUNE VILLENEUVE NO

Parte 1: possibile che non venga comunicato che questo film è solo la prima parte della storia? Forse è una scelta della distribuzione italiana, perché a quanto so nella proiezione a Venezia sotto il titolo era scritto "part one" ma in ogni caso per chiunque non avesse seguito un minimo le vicende produttive non c'era nessun indizio a suggerire che fosse un film incompleto. Questo secondo me può rappresentare un grosso problema, perché parte del pubblico potrebbe sentirsi preso in giro. Non contesto la scelta di dividere in due il film, anzi sicuramente è meglio così, anche perché nonostante duri due ore e mezzo non c'è un momento di stasi, quindi è evidente che c'era davvero bisogno di molto spazio per sviluppare la storia (come dimostra lo sfacelo di Lynch). Però non rendere evidente che il film sia inconclusivo potrebbe creare qualche malumore nel pubblico, quindi non capisco questa scelta. Se è stata una cosa solo italiana, tanto meglio.

Finale: posto che il film doveva interrompersi, e che si interrompe al midpoint, non mi è piaciuta la scelta del finale. La scena generica dei fremen che si addentrano nel deserto, Chani che dice "è solo l'inizio" a beneficio di trailer mi sembra sprecare il climax creato con il duello con Jamis. Credo che avrebbe meritato portare avanti di qualche sequenza la storia fino al funerale, l'acqua donata ai morti, e l'attribuzione del nome. "Il tuo nome è Paul Muad'Dib" sarebbe stata secondo me una battuta finale molto più potente.

L'attacco agli Atreides: si è scelto di non insistere sul traditore all'interno degli Atreides e posso anche capirlo (qualcuno che l'ha visto con me aveva pensato che Jessica potesse essere una traditrice, quindi forse in qualche modo il sospetto è stato comunque trasmesso). Al netto di questo, la sequenza in cui gli Atreides vengono traditi e attaccati mi è sembrata troppo semplicistica, nel senso che la sicurezza sembra del tutto assente, pur sapendo che c'era il pericolo di attacchi (quanto meno di sabotaggi), e Leto che si avventura da solo di notte nei corridoi verso un cadavere quando la sicurezza non risponde... beh, forse li fa sembrare tutti fin troppo sprovveduti.

Jessica: una delle cose che avrei voluto da questo film era una Lady Jessica badass, visto che l'abbiamo vista sempre subalterna al figlio. Questa Jessica non è certo debole, ma nemmeno spicca quanto avrei voluto. In realtà, diciamola tutta, mi è mancata quella sequenza stupenda della cena di gala su Arrakis e di Duncan ubriaco che è presente nel romanzo e che non è mai stata adattata prima. Quella è una delle migliori per mostrare la forza di Jessica, ma non è stata inserita. Peccato.

La morte del Duca: questo è probabilmente il rammarico più grande. La morte di Leto è uno dei momenti più tragici di tutta la saga, e anche senza arrivare alle elaborate torture che aveva pensato Jodorowsky, credo che avrebbe meritato qualche minuto in più. Anche le sue ultime parole non mi sono sembrate così convincenti (nonostante, mi è stato fatto notare, sono uno dei motti degli Atreides, e si ritrovano anche nel libro), quindi avrei preferito qualcosa in più. Mi dispiace soprattutto perché Oscar Isaac era un Leto perfetto, e nelle scene su Caladan e all'arrivo su Arrakis si è davvero sentita tutta la sua autorità e il suo onore, è davvero il Duca che avevo sempre immaginato invece di quel baccalà di Lynch. Però non ci è stato dato modo di soffrire davvero della sua caduta. Mi mancherai.

Gli Harkonnen: resi benissmo, finalmente abbiamo anche un Barone che non è solo un folle sadico edonista, ma un freddo paranoico calcolatore. Però... troppo poco Harkonnen. Forse questo si inserisce in quella scelta di focalizzare la stora su Paul (vedi dopo UHM), ma le loro scene sono davvero ridotte al minimo. Rabban ha forse tre battute in tutto il film, credo che Bautista sia rimasto sul set non più di un paio d'ore...

Arco narativo: questo è un punto delicato, perché stiamo parlando di una storia che non finisce ma viene interrotta a metà, quindi tecnicamente "non possiamo giudicare"... se non che, quello che abbiamo viso finora si può giudicare, e la sensazione è che manchi qualche tassello importante per il setup dell'arco narrativo che dovrà compiersi nella seconda parte. Villeneuve ha creato soprattutto un'esperienza di immersione nel mondo di Dune, e da questo punto di vista è tutto perfetto. Ma se si va a distillare la storia dal worldbuilding, qualcosa scricchiola, qualcos'altro zoppica. Certo, può darsi che la parte due porti a compimento tutto quello che serve, ma stando al momento attuale, se dovessi giudicare questa storia (per quanto incompleta) dovrei comunque notare diversi squilibri. In generale manca a mio avviso un livello profondo di coinvolgimento emotivo per Paul, il film rimane piuttosto "freddo" e se non si viene rapiti dalla grandiosità delle scene si rischia di rimanere indifferenti. È vero da una parte che i romanzi hanno più o meno la stessa caratteristica, ma questa non è una giustificazione per riportare la stessa cosa anche sullo schermo. La speranza è che l'esperienza cinematografica sia così potente da non far soffrire troppo queste carenze, come d'altra parte vale per i romanzi, che non sono certo scritti in modo sublime ma hanno una tale potenza di worldbuilding che tutte le imperfezioni si perdonano. Mi sono interrogato molto sulla ragione di questo squilibrio, perché non posso credere che Villeneuve (e gli altri sceneggiatori al suo fianco, ma comunque anche lui era coinvolto nella stesura) abbia semplicemente sopravvalutato le proprie capacità. La mia sensazione, avendo seguito anche molte (non dico tutte, ma ci vado vicino) interviste e conferenze stampa, è forse l'opposto: essendo un fan dei libri fin da ragazzino (al contrario degli altri adattamenti precendti, che venivano da persone che con Dune non avevano nessun rapporto), Villeneuve ha in qualche modo dimostrato fin troppo rispetto verso l'opera, il che lo ha portato a realizzare una sorta di parafrasi visiva del romanzo senza imporre una sua visione personale che forse avrebbe potuto plasmare la storia in modo più completo e adatto al mezzo. Il problema è che appunto un film non funziona nello stesso modo di un libro (un libro di sessant'anni fa, peraltro) e quindi evocare le stesse sensazioni può non essere sufficiente. Può anche darsi che tutto questo ragionamento sia una mia razionalizzazione, perché amo Villeneuve, amo Dune, e voglio che questo film funzioni whatever the cost, però sentendo parlare il regista e tutti quelli che hanno lavorato con lui non riesco a scorgere niente di diverso dalla dedizione totale e passione assoluta, anche quando parlano della concreta possibilità che non ci sia un seguito della storia. Quindi io ti credo, Denis: hai fatto del tuo meglio, e nessuno avrebbe potuto ottenere altrettanto; se un problema c'è, è un peccato di troppo amore.

 

DUNE VILLENEUVE UHM

La storia di Paul: come ho già accennato prima, la mia impressione è che Villeneuve e i suoi sceneggiatori abbiano deciso di raccontare la storia focalizzandola su Paul, evitando quindi per buona parte tutti gli inserti (che nel libro sono abbondanti) in cui lui è assente, come tutte le scene su altri pianeti. In effetti il personaggio stesso è reso in modo più "umano", laddove nel libro sembra sempre molto impassibile, qui lo vediamo molto più fragile, e la cosa funziona. Non so se sia la scelta giusta, perché lascia fuori molte informazioni che rendono grandioso l'affresco duniano, però è una scelta che reputo interessante, se non fosse per i problemi del punto precedente. Il che ci porta a... 

Informazioni mancanti: raccontare quasi tutto dal POV di Paul fa sì che molte informazioni siano vaghe o del tutto omesse. Chi ha visto il film con me (ignaro dei libri) mi ha segnalato qualche difficoltà nel capire i rapporti di potere tra Impero/Landsraad/Bene Gesserit/Gilda. In effetti il modo in cui funziona questo universo non è spiegato molto nel dettaglio, e se da una parte mi sembra meglio omettere informazioni non rilevanti o sconosciute a Paul (come la presenza traditore) piuttosto che fare la sezione iniziale di infodump come Lynch, dall'altro temo che parte del pubblico potrebbe non comprendere la grandiosità dell'universo narrativo. Anche questa è una scommessa, probabilmente Villeneuve ha deciso che non poteva dire tutto e si è limitato alle nozioni strettamente necessarie, però forse trovare lo spazio per parlare di più della Gilda e dell'Imperatore avrebbe giovato e fissato punti importanti per il seguito. Quindi anche qui non contesto la scelta, ma ho dei dubbi sulla sua efficacia a lungo termine.

Chani uccide Paul: una delle prime visioni di Paul è Chani che lo uccide.Parliamone: è solo un'allegoria o uno dei possibili futuri, come con Jamis? Mi è venuto da pensare che sarebbe una strada narrativa interessante da percorrere, forse questo Paul non sarà così ansioso di diventare Muad'Dib e Chani diventerà una nemica? Non so, c'è da rifletterci. Forse non vuol dire nulla. Ma forse...

Ecologia: tutta la parte ecologicadi Dune è stata praticamente ignorata. Si accenna alle stazioni botaniche, ma non sembra esserci nessun piano dei fremen per inverdire il pianeta. È vero che questa parte potrebbe ancora arrivare nel seguito, ma in generale non sono stati forniti abbastanza appigli perché questo aspetto possa essere sviluppato, soprattutto perché ormai Liet è fuori dei giochi, e il personaggio che avrebbe dovuto portare avanti questa tematica era lei. Può darsi che tra i vari aspetti da trattare, si sia scelto di lasciare da parte questo, e lo posso capire. Però non so se mi convince del tutto. 

Gli assenti: Irulan, Feyd-Rautha, l'Imperatore, dove sono? Credo chesarebbe stato importante quanto meno nominarli, perché farli comparire all'improvviso nella seconda parte forse ne limita l'impatto. Sì è vero, l'Imperatore e sua figlia sono citati, ma quasi come entità piuttosto che come veri personaggi. Mentre Feyd-Rautha, che è uno degli avversari principali di Paul, praticamente la sua ombra, nemmeno viene nominato (a meno che Mohiam non si riferisse a lui quando accenna a "altre possibilità" dopo il gom jabbar). Introdurre un personaggio come Feyd nella seconda parte senza giustificare dove fosse fino a quel momento mi sembra difficile. E anche rimuoverlo del tutto, se non impossibile, certo potrebbe impoverire la storia. C'è anche da dire che, visto che quasi tutti i personaggi della prima parte sono morti e non saranno nella seconda, forse la scelta è stata proprio di non portare in scena quelle che saranno le star della seconda, facendogli ricoprire invece ruoli più rilevanti nel seguito: non avendoli mostrati, sono ancora aperte tutte le possibilità sia di casting che di narrazione. Fatto sta che qualche dubbio mi rimane su questa scelta.

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Ecco qui. Questo era quanto avevo da dire sul Dune di Villeneuve. Prego solo di poter fare un post simile, anche tra quattro o cinque anni. Bi-lal kaifa!

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Published on September 25, 2021 01:00

September 3, 2021

Sinfonia per theremin e merli

Ne ho parlato in abbondanza nei mesi (anni?) scorsi, ma finalmente posso fare il post che ha come titolo semplicemente il titolo stesso del libro: è arrivato Sinfonia per theremin e merli, il mio "secondo romanzo".

 

Uso le virgolette perché tecnicamente ne ho scritto un altro nel frattempo (quello Scrabble che leggerete tra non molto), e poi c'è Diario dal tempo profondo che ha la lunghezza per essere un romanzo ma io continuo a considerarlo un libro illustrato, ma se consideriamo il brutale criterio della pubblicazione, allora il secondo è questo. Il secondo romanzo esce nella stessa collana del primo, a sei anni da Dimenticami Trovami Sognami, sono tornato in casa Zona 42 per questa nuova corposa opera: mi pare che attualmente sia il volume più lungo nel loro, e considerando che DTS era invece il più breve, direi che così abbiamo compensato.

Questo è un post di annuncio quindi non voglio dilungarmi troppo a parlare di cosa racconta il libro, anche perché ho già anticipato molte cose nella newsletter e se non la seguite è solo colpa vostra. Mi limito a riportare qui quella che è la quarta di copertina:

Anni ‘60, colline fiorentine. Andrea Sarti vive nel casolare di famiglia, ha imparato a leggere a catechismo, è il primo della classe. Quando sulla Bibbia scopre il Libro dei Numeri è costretto a chiedersi cosa siano mai questi Numeri, e perché sono stati tutti cancellati. Andrea scopre che esiste la matematica. O almeno, esisteva: nel 1931 il Teorema di Incompletezza di Gödel ne ha infatti demolito gli assiomi, e la matematica ha smesso di funzionare come un incantesimo infranto. All'epoca, mentre le istituzioni crollavano per la crisi della matematica, la famiglia di Andrea ha cercato di salvarsi fuggendo da Firenze.Ora Andrea deve scoprire da solo se esiste un'alternativa. E deve farlo in fretta, perché le Camicie Nere sono sulle sue tracce. E se lo troveranno, lo aspetta l’Inquisizione. A guidarlo ci sono un antico diario, il theremin di nonno Alceste e il canto del suo merlo Gibbs.

Sinfonia per theremin e merli (da ora in poi, STM) è a oggi il romanzo che mi ha chiesto più impegno dal punto di vista della scrittura. Se da un certo punto di vista DTP è stato sfidante per la particolare natura "a incastro" rispetto alle illustrazioni, con STM invece la difficoltà derivava proprio dalla necessità della struttura narrativa e documentazione. Se siete scaltri potreste notare che nella mia bibliografia si trova già qualcosa con questo titolo, e infatti nel 2010-2011 scrissi un racconto con questo titolo, che arrivò in finale al Premio Robot e secondo classificato al Premio Giulio Verne (oggi non più attivo). Di conseguenza quella prima versione racconto, che deriva in realtà da un progetto ancora precedente legato alle compiante Edizioni XII, si trova in un'antologia che comunque è ormai fuori catalogo.

Questo libro riprende il concept di fondo e lo sviluppo che era presente in modo molto condensato in quello stesso racconto, ma espande enormemente il contesto narrativa, non solo nel presente della storia ma anche nel passato, quel 1931 in cui la matematica ha smesso di funzionare provocando la più grande Crisi dai tempi della Peste Nera. Questo quindi mi ha richiesto di studiare quell'epoca, in particolare la situazione tra Firenze e le colline circostanti, come Arcetri, Fiesole e Ontignano. Rispetto al racconto ho aggiutno personaggi, luoghi, snodi, conflitti, archi narrativi. È stato soprattutto questo che mi ha richiesto un notevole sforzo di progettazione e ristruturazione, che se è riuscita (e giudicheranno i lettori) è anche grazie ai suggerimenti di beta e alfa reader che mi hanno seguito nelle varie fasi del lavoro. Ho cercato di far confluire in STM non soltanto gli argomenti relativi al concept matematico/filosofico, perché questa è una storia, non un trattato né un documentario, e la storia la fanno le persone. Se nel racconto tutto era incentrato solo su Andrea, adesso abbiamo anche il punto di vista del nonno Alceste a guidarci negli anni '30, contrapposto a quello di sua moglie Dafne, la musicista che avrebbe potuto diventare la prima suonatrice di theremin italiana, in un altro mondo, in un altro universo. Allo stesso tempo ho approfondito molto di più le figure storiche presenti, in particolare matematici, fisici, ingegneri ed economisti che transitavano da Firenze in quell'epoca. Pur all'interno della divergenza storica da cui scaturisce la storia, anche loro hanno adesso un ruolo di primo piano.

Ma probabilmente di questi aspetti tecnici vi interessa il giusto. Magari ne parlerò più nel dettaglio in un video dedicato su Story Doctor, tra qualche mese, sia per esporre la struttura narrativa della storia sia per il processo di adattamento da racconto in romanzo. Per adesso, quello che conta, è che dopo dieci anni STM è davvero completo (quanto meno al meglio delle mie possibilità) ed è vostro.

Ci sarà occasione di parlarne nei prossimi mesi, anche di persona (ci sono già due presentazioni in anteprima programmate a Milano e Firenze). Per qualche dettaglio aggiuntivo sul libro e aggiornamenti sugli eventi, vi consiglio di seguire la pagina di Zona 42 e il mio instagram.

Wir mussen wissen.

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Published on September 03, 2021 02:04

August 12, 2021

Rapporto letture - Luglio 2021

Mese dedicato a fantascienza italiana distopica, non per un preciso disegno ma perché mi sono trovato a leggere due libri etichettabili in questo modo, anche se dobbiamo sempre ricordare per i bambini a casa che Le Etichette Non Contano, fatevi aiutare da un adulto se non sapete come usarle.

 

Il primo libro di cui parliamo è Scatole nere , romanzo d'esordio di Matteo Romiti, che a quanto dice la quarta di copertina è di origine italiana ma vive in francia. Quando ho saputo di questo libro ero moderatamente curioso, perché sono sempre ben disposto verso le "nuove voci" della fantascienza italiana, ma devo ammettere che dopo aver letto la presentazione sul sito dell'editore l'entusiasmo è un po' scemato. Dice infatti la fascetta: un thriller psicologico, una storia di fantascienza distopica, un romanzo di scissione e ricomposizione inconsueto e inquietante. Il racconto scurissimo di come quello che viviamo determina in modo incontrollabile ciò che diventeremo. Ora, a me che sono un po' sgamato di gergo editoriale, a me questa presentazione (che poi prosegue con una sinossi più o meno con lo stesso tono) puzza vagamente di supercazzola. Del tipo: guarda non so bene nemmeno io di che si parla, però c'è questa atmosfera cupa che non ti dico, proprio forte eh. Che per carità, può essere un approccio interessante e magari è proprio l'intenzione del libro, però è una partita rischiosa. Perché se scegli di tenermi trecento pagine a leggere qualcosa che non è una storia, o che comunque non mostra i tratti evidenti di quello che una storia dovrebbe avere, allora ci sono due possibilità per rendermi soddisfatto: o proponi un concept così mindblowing che ogni pagina che giro mi pare di cascare di nuovo nel buco del bianconiglio, oppure hai una scrittura così incredibile che è come se mi prendessi a schiaffi con le parole e non ci capisco nulla. Scatole nere però non ha nessuno dei due. Ci prova, forse, ma fallisce in entrambi i casi. L'ambientazione è un generico mondo distopico diviso in settori e afflitto da una pandemia (duh) per cui tutti sono sottoposti a rigidi controlli e non possono transitare liberamente: niente che non si sia visto centinaia di volte negli utimi 180 anni di fantascienza mondiale (con un imprevedile picco negli ultimi 18 mesi), per cui sul lato concept e worldbuilding non ci sono punti da segnare. La scrittura ha quella patina di ermetismo con le frasi secche ed enfasi continua (quando tutto è in tensione, niente è in tensione), senza segni di dialogo e personaggi che non hanno nomi ma vengono indicati continuamente con locuzioni tipo "la donna dai capelli fini". Se inizialmente questo stile crea un notevole straniamento, che è senza dubbio una delle sensazioni che il libro vuole suscitare, l'impatto non si stempera andando avanti e si continua a rimanere distanti e ignari della storia che si svolge. Quale sia questa storia che si svolge ho difficoltà a dirlo, perché se pure vengono presentati dei personaggi con delle caratteristiche riconoscibili (l'uomo in cerca della moglie, la donna con le spine all'interno, il medico contagiato), dopo aver inquadrato i protagonisti ci si trova soltanto ad avere gente che si muove, che prova ad andare da una parte o dall'altra, senza che sia chiaro perché lo facciano e quali rischi corrano. Tutto quello che viene raccontato è estremamente vago e confuso, offuscato da questa scrittura che tende a ricoprire le azioni con una pesante nebbia di fraseggi a vuoto. Ora, siccome io non ho la pretesa di essere infallibile, prima di parlarne mi sono andato a cercare un po' di commenti in giro, e ho trovato nella maggior parte dei casi semplicemente la ripetizione di quelle parole che si trovano nella quarta o nella cartella stampa (es: "Le scatole possono essere stanze, giardini, persone, proiezioni di una mente malata o semplicemente disperata"). Quindi deduco che nemmeno gli altri che lo hanno letto (bookblogger e magazine vari) ci abbiano capito granché, e si sono limitati a copiare le parole che avevano già a disposizione. C'è un commento uscito su un giornale di Valerio Evangelisti che ne parla bene come testo slipstream, e in un certo senso ha ragione, ma anche lui non va oltre le "atmosfere" che derivano dalla lettura, mentre per quanto riguarda temi, intreccio, coinvolgimento, e tutte quelle caratteristiche che dovrebbe avere una storia, nessuna menzione. Insomma, può essere un libro interessante come esercizio di scrittura ermetica, ma arrivati alla fine a me non è rimasto niente se non la locuzione "la donna dai capelli fini". A mio avviso (ma può benissimo essere un limite mio, come con Pynchon), questo non è ciò che deve fare la narrativa. Una scommessa persa, che avrebbe dovuto essere ponderata meglio, perché se ti mostri pretenzioso o sei davvero un fenomeno oppure finisci per passare da dilettante inconsapevole dei propri limiti. Voto: 4/10


Il secondo libro che ho letto è completamente diverso ma ha per certi versi alcune affinità con il precedente, nel senso che è un libro fortemente legato alla personalità dell'autore, che nel caso specifico è Michele Vaccari. Vaccari è un personaggio interessante nel panorama editoriale italiano, uno di quelli che ha saputo muoversi dall'underground e arrivare a toccare se pur fugacemente gli ambienti "rispettabili" della cultura mainstream senza perdere la sua dedizione alla controcultura. Urla sempre primavera si capisce molto meglio tenendo presente questo percorso e questo suo ruolo, non perché altrimenti sia incomprensibile (una storia da raccontare ce l'ha eccome, anzi più di una), ma i temi più profondi e l'identità del romanzo sono strettamente collegati alla visione e ai valori dell'autore, e forse mancando queste nozioni un lettore potrebbe non cogliere del tutto il messaggio del libro. Questo aspetto è a un tempo la forza e la debolezza del romanzo, perché richiede un certo coinvolgimento del lettore come parte attiva della narrazione, ed è a suo modo una scommessa, che in questo caso a mio avviso si può considerare ben giocata, nel senso che le possiblità di perderla ci sono ma solo nei casi in cui il piatto è ridotto, mentre quando il piatto è ricco allora è più facile vincerla (fuor di metafora: il piatto è appunto il coinvolgimento del lettore non solo in quanto lettore). La storia di USP copre cento anni di storia italiana centrata su Genova, dal 8 settembre 1943 al 8 settembre 2043, con tre generazioni della famiglia Delfino che attraversano, vivono e plasmano la storia, ognuno con una diversa idea di resistenza. Uno dei perni centrali della narrazione è il G8 del 2001, come evento che ha svelato le carte mostrando qual era il percorso che il mondo aveva intenzione di prendere e che, già a distanza di vent'anni, pare prorio che abbia tenuto fede alle promesse. Anche se non viene direttamente raccontato, il G8 è il punto di accumulazione dell'intera storia, che non per nulla parte dalla resistenza antifascista e arriva alla resistenza antigherusia, che è il sistema politico che si è instaurato a partire dal 2020 in Italia: un concilio di boomer che dichiarano candidamente di non avere alcun interesse per il futuro e le generazioni successive, e che pertanto vietano del tutto la nascita di nuovi bambini, così che il paese possa avviarsi finalmente a una meritata estinzione, in una riproposizione più oscura del piano non violento del VHEMT. La narrazione inizia da Zelinda, seconda generazione dei Delfino, che proprio in opposizione alle leggi della Gherusia ha concepito una figlia (Egle) ed è in fuga per impedire che venga catturata ed eliminata. Il romanzo è diviso in libri che raccontano la vicenda dal punto di vista di vari personaggi, e dopo Zelinda troviamo il Commissario, che porta la storia nel futuro del 2043 con un omicidio da risolvere in un'epoca in cui la gente non muore più se non di vecchiaia. La parte più corposa è poi la storia di Spartaco, padre di Zelinda che è stato partigiano prima e assassino poi, e che con le sue azioni ha deciso il destino del paese (e si potrebbe dire che ha segnato il punto di divergenza storico da cui inizia questa ucronia). Abbiamo poi la storia di Egle, cresciuta nei boschi con altri orfani e gli animali, anch'essi "liberati" dalla società e abbandonati in massa fuori dalla città. Egle è la chiave per cambiare il futuro, perché è dotata del potere di plasmare la realtà con i suoi sogni, con un meccanismo piuttosto affine a quello della retcon in DTS (non sto implicando plagi o ispirazioni, solo sensibilità affini). Quello che dicevo all'inizio, ovvero che è un libro molto personale, lo si ricava perché nonostante la storia cambi cinque protagonisti, in realtà si percepisce sempre la voce dell'autore che si rivolge al lettore, questo nonostante i personaggi siano caratterizzati in modo abbastanza diverso e non siano semplici contenitori di idee. È senza dubbio un romanzo molto politico, ma politico in senso universale, ovvero che parla dei valori più profondi che muovono le scelte delle persone nei momenti di crisi, e che solo raramente si identificano con una sigla parlamentare. Da questo punto di vista è un libro molto denso, che però perde in altre sitauzioni: in particolare la speculazione futura, ovvero il modo in cui viene descritto il mondo distopico del 2043 mi è sembrata piuttosto cheap, una sorta di retrofuturo, con delle trovate un po' grossolane come le mentefonate: quel tipo di futuro che si poteva immaginare leggendo la fantascienza degli anni 60 (al di là delle connotazioni politiche). Anche la parte finale con la rivoluzione di Egle è un po' affrettata e approssimativa, nel senso che il potere affidato nelle mani della ragazzina è troppo potente ma al tempo stesso troppo vago, così che basta dire "ora è così, ora è così" e la situazione si risolve. Non mi aspettavo di vedere la battaglia finale tra Orfani e Gherusia, non sarebbe stato appropriato, ma per com'è adesso in effetti non si capisce cosa abbia portato al cambiamento, a meno di non dire semplicemente "l'ha voluto lei", che non è una soluzione narrativa molto soddisfacente. Al netto di queste imperfezioni, USP è un libro potente e significativo, con le parti di Zelinda e Spartaco capaci davvero di scavare e ferire il lettore ricettivo. Non è un libro facile e come dicevo probabilmente richiede di avere una minima conoscenza della "poetica" dell'autore, visto che ve lo troverete seduto accanto che vi racconta con le sue parole tutto quello in cui crede e per cui si batte. Se però siete disposti ad ascoltarlo, qualcosa vi lascerà. Voto: 8/10

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Published on August 12, 2021 07:24

July 9, 2021

I miei articoli per Stay Nerd: aprile-giugno 2021

Consueto recap trimestrale delle cose che ho scritto altrove dove mi pagano per farle invece che stare a perdere tempo in questo immondezzaio che chi me l'ha fatto fare (scherzo ti voglio ancora bene Blogger, anche se temo che sarai tu ad abbandonarmi).

 


 

William Gibson starter kit - Beh lo dice il titolo, una panoramica del padre del cyberpunk che però il cyberpunk se l'è anche lasciato giustamente alle spalle.

Abbiamo sempre vissuto nella nave - Libri e altre storie di astronavi generazionali - Uno di quei topoi della sf che non stancano mai, a cui si sono cimentati prima o poi tutti i Grandi Autori e che anche in tempi recenti continua a riscuotere successo.

Star Wars è fantascienza anche se non lo è - Guida definitiva a un flame che dura da quarant'anni - Prima o poi ne dovevo parlare, era già capitato anche qui sul blog ai tempi del primo film della nuova trilogia. Finalmente ho messo in ordine i pensieri e ho fornito la mia versione definitiva sull'annosa questione dell'inclusione di SW nella fantascienza o meno. E poi lo so che triggera i fan, quindi divertimento assicurato.

Lezioni di civilità - La rappresentazione culturale in Civilization VI: Mi è sembrato corretto che dopo aver speso seimila ora di gioco in Civ6 coagulassi quest'esperienza in un articolo che parli di uno degli aspetti più interessanti di questo titolo, ovvero come sono state scelte e rappresentate le civiltà e i leader storici inclusi nel gioco. Leggibile anche se non sapete nulla ci Civilization o dei giochi di strategia in generale.

Ragnarok stagione due: non basta essere un dio per salvare il mondo - Mi sono guardato in due giorni tutta la seconda stagione della serie norvegese Ragnarok (visto che mi diverto sempre con le serie non anglofone) e ne ho parlato qui. Un prodotto che conferma la sua inclinazione teen e forse incespica un po', ma comunque interessante per chi vuole trovare una prospettiva diversa sullo scontro tra divinità.

La migliore fantascienza del Ventunesimo secolo - Senza alcuna pretesa di esaustività, ma soprattutto con un occhio di riguardo alla rappresentazione di tutte le più recenti correnti e movimenti, ecco la mia umile idea di quali sono i titoli di fantascienza must read dal 2000 in poi.

I migliori racconti di fantascienza - Dopodiché mi sono permesso di elencare anche quali siano i migliori racconti ever di fantascienza. Per priimo ci ho messo Asimov così siete tutti contenti.


Vi fa fatica leggere?

Say no more! Perché da giugno insieme ad Angela Bernardoni siamo partiti anche con il podcast Reading Wildlife, sempre ospitato da Stay Nerd, in cui ovviamente parliamo (ancora) di libri. Per ora sono usciti i primi due episodi, che trovate su spreaker, youtube e spotify.

Episodio 1 - Cosa aspettano a farci un film? - Una lista di libri di fantascienza da cui sarebbe stato bello trarre un film ma che ormai forse non lo avranno mai

Episodio 2 - Mondi senza adulti - Libri che raccontano di società in cui gli adulti sono scomaprsi o hanno abdicato, tra storie di formazione e scontro generazionale


Bonus track

Se vi ricorate qualche mese fa avevo segnalto il primo di una serie di articoli pubblicati sulla rivsita Argo e scritti da me e Maico Morellini, sullo stato della fantascienza italiana dagli anni 80 in poi. Sono usciti anche i pezzi successivi che coprono gli anni 2000 e 2010

Secondo dialogo - Nuove forme di simbiosi

Terzo dialogo - Scambi evolutivi verso il futuro

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Published on July 09, 2021 01:55

Unknown to Millions

Andrea Viscusi
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