Csaba Dalla Zorza's Blog, page 1464

July 3, 2021

Aspettando il Festival di Venezia 2021: tutte le madrine (e i padrini) degli ultimi venti anni

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04La bellezza, naturalmente. Ma non solo. Anche la raffinatezza, il talento, l’empatia. Queste le caratteristiche che accomunano le madrine – e i padrini – che si sono succeduti in oltre vent’anni alla Mostra del Cinema di Venezia. Attrici, attori e modelle che hanno sempre portato al Lido la loro forte identità. Come farà di certo anche Serena Rossi che aprirà la 78a Mostra nella serata del 1° settembre, sul palco della Sala Grande e guiderà la cerimonia di chiusura l’11 settembre, quando saranno annunciati i Leoni e gli altri premi ufficiali.

Serena Rossi è la ventesima madrina nella storia della Biennale del Cinema. A introdurre questa figura, che ha il compito di traghettare pubblico e protagonisti della Mostra dal debutto alla consegna dei premi, è stato nel 2000 il visionario e innovativo direttore Marco Müller, che per quell’edizione, la 57a, scelse per il nuovo ruolo Chiara Caselli. Una novità poi confermata negli anni dall’attuale direttore Alberto Barbera, anche perché, come ha scritto L’Europeo ormai vent’anni fa, il Festival «è intrecciato con l’evoluzione del costume nazionale in un groviglio di industria cinematografica, spettacolo, moda e arte».

Nel ruolo di madrina si sono dunque alternate in quest’ultimo ventennio personalità e bellezze molto differenti, che hanno caratterizzato l’edizione del Festival anche con la scelta del look. E così ecco nel 2009 il prorompente fascino mediterraneo di Maria Grazia Cucinotta, con i suoi capelli neri sciolti e un audace decolleté in animalier Roberto Cavalli. O la più sofisticata Isabella Ragonese, che nel 2010 s’è presentata in Laguna con camicia, longuette e cravatta e onde alla Farrah Fawecett. E ancora un’inedita Vittoria Puccini in versione gipsy in bianco Valentino nel 2011, e l’anno successivo una raffinatissima Kasia Smutniak, sempre in Valentino ma rosa fiorito.

Venezia, naturalmente, non è solo questione di stile, ma anche di sentimenti e di sogni che a volte si avverano. Come nel caso di Alessandra Mastronardi, padrona di casa della 76ª edizione nel 2019, che ha raccontato: «Qualche anno fa ero stata invitata a Venezia e avevo portato mia madre sul red carpet (aveva gli occhi che le brillavano come una bambina!). “Magari un giorno la madrina sarai tu” se ne uscì. E io: “Essì, come no…”».

Una parentesi in questo viaggio tutto al femminile è stato rappresentato dagli unici due padrini nella storia del Festival, Alessandro Borghi nel 2017 e Michele Riondino l’anno successivo.

Per tutte (e tutti), è di rito ormai dare il via al grande evento mediatico con uno shooting a piedi nudi, in tiro con l’abito da sogno, sul bagnasciuga del Lido. Una sorta di battesimo a cui non s’è sottratta neanche la madrina Anna Foglietta lo scorso anno, il primo nella storia della Mostra senza pubblico, all’insegna del distanziamento sociale e delle limitazioni rese necessarie della pandemia di Covid-19.

Nel suo discorso inaugurale per quella che era stata definita l’«edizione zero» della Mostra, quella della ripartenza dopo l’incubo pandemico, Foglietta aveva parlato di un futuro tutto da immaginare e costruire. Un messaggio di speranza che, come in una staffetta, ha scelto di raccogliere la madrina di quest’anno. «So quanto sia stato difficile sorridere in questo ultimo anno e mezzo. Ma in questo momento così delicato, tenere vivo e forte il desiderio di tornare a fare quello che sappiamo fare, e di tornare a sorridere, è tutto», ha spiegato Serena Rossi, reduce da un anno di successi tra cinema e televisione (la serie tv Mina Settembre e lo show Canzone segreta). L’attrice si è augurata di «ritrovare quei sorrisi dimenticati, vorrei che illuminassero le sale cinematografiche e tutti i luoghi del Festival».

Nella gallery sopra, tutte le madrine (e i padrini) della Mostra del Cinema di Venezia che l’hanno preceduta.

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Published on July 03, 2021 21:30

Sotto copertura, memorie di un attivista cinese

Attenzione: questo articolo potrebbe avere contenuti difficili da leggere per persone sensibili

«Quando sto filmando i respiri morenti di una animale, gli prometto che mostrerà la sua sofferenza al mondo». Xiao T, nome di fantasia, è un attivista cinese che lavora sotto copertura. Si introduce negli allevamenti mentendo sulla sua vera identità e sul motivo della sua presenza. E poi fotografa e filma tutto ciò che servirà a testimoniare e a raccontare gli abusi e le torture a cui vengono condannati milioni di animali ogni giorno negli allevamenti intensivi di tutti i paesi del mondo. Tra lui e gli animali di cui ha dovuto, con dolore, testimoniare l’agonia e la morte è nato un patto silenzioso. Ed è grazie a lui, e a quelli come lui, che abbiamo scoperto pratiche raccapriccianti. Abbiamo visto sulle nostre tv i maialini cannibalizzarsi tra loro, le scrofe allattare ingabbiate senza possibilità di movimento, i cani massacrati nei macelli clandestini del sud est asiatico, i visoni infetti che saltano impazziti nelle gabbiette di metallo. Abbiamo visto occhi impietriti dalla sofferenza davanti alle telecamere e animali – galline, polli, conigli, pulcini – condannati a pochi centimetri quadrati di spazio per la loro intera vita. Testimonianze dure e scomode che per molti sono stati stimolo al cambio radicale di abitudini di vita.

«Ho sempre voluto cercare di migliorare le condizioni di vita e il benessere degli animali, perché in Cina ci sono molte situazioni che devono cambiare: il commercio di carne di cane e gatto, l’allevamento di animali da pelliccia, il commercio di animali selvatici – racconta Xiao T che per ovvie ragioni di sicurezza non vuole che il suo nome venga reso noto e neanche la sua immagine – quindi circa 10 anni fa ho deciso di collaborare per dare una mano nel far crescere la consapevolezza su questi argomenti». Per farlo Xiao T si è rivolto a HSI, Humane Society International, un’associazione internazionale che opera in difesa del benessere animale, e si è messo a disposizione per azioni sotto copertura. «Per conto di HSI ho svolto molte indagini, a volte da solo, a volte con poche altre persone. Sono stato in molti allevamenti di animali da pelliccia nel nord della Cina: allevamenti di cani procioni, volpi e visoni. Tutti posti davvero molto tristi da visitare. E le condizioni erano cattive indipendentemente dall’allevamento da pelliccia scelto: per gli animali è in ogni caso una vita terribile e credo sia importante che essere riusciti a mostrare la realtà».

Diversi mesi per preparare le operazioni, pianificazione certosina e un cellulare pronto per le riprese. Ma anche l’inquietudine dello spettacolo che si troverà di fronte ogni volta.

Cosa si prova ad entrare in uno di questi posti?
«Prima di iniziare un’operazione provo sempre una sorta di trepidazione, perché so che quello che vedrò sarà davvero sconvolgente e non sarà facile da dimenticare. Una volta lì, cerco di concentrarmi sul lavoro, ma è difficile non sentirsi arrabbiati perché gli animali sono così disperati».

Il momento peggiore?

«L’uccisione degli animali è così traumatica da sentirsi male. E perché non sei in grado di fermarla. Ho visto filmati di investigazioni negli allevamenti di animali da pelliccia in Europa in posti come la Finlandia e la Polonia, e anche lì le condizioni sembrano davvero terribili. Immagino che probabilmente hanno provato la stessa paura che continuo a provare io. È come entrare in un altro mondo, ma io posso sempre andarmene mentre questi animali sono intrappolati lì per tutta la vita».

Hai mai avuto paura per la tua sicurezza?
«In azione siamo sempre un po’ ansiosi, suppongo perché vogliamo fare bene il nostro lavoro per gli animali e sappiamo che vedremo scene sconvolgenti di sofferenza animale. Ansia si, ma mai paura. Non hai tempo per avere paura perché devi stare all’erta e non perderti nulla. Ad esempio, in una fattoria stavo camminando lungo le file di gabbie in cui c’erano molte volpi che giravano follemente su loro stesse per l’angoscia, e ho notato una volpe nel mezzo che stava leccando le sbarre della sua gabbia più e più volte come se fosse impazzita. Se fossi stato troppo precipitoso per la paura, forse non avrei potuto notare tutto questo».

Hai trovato quello cercavi?
«Si. Le condizioni, le pratiche e le condizioni dello stato fisico e mentale degli animali negli allevamenti che abbiamo indagato, in particolare quelli di piccole e medie imprese, erano preoccupanti in termini di benessere degli animali e potenziali rischi per la salute pubblica. Siamo riusciti a filmare e quindi a testimoniare le terribili condizioni di vita di questi animali. Ho visto allevamenti di animali da pelliccia molte volte, ma mi hanno sempre sconvolto le minuscole gabbie in cui devono vivere: solo una piccola gabbia metallica vuota in cui passare l’esistenza. Non riesco a immaginare quanto debba essere deprimente e noiosa la loro vita. ma non è niente davanti alle sofferenze che provano morendo. Per questo è importante che il mondo veda la verità dietro l’industria delle pellicce. E la verità è davvero brutta».

Credi che questo tipo di azioni possano influenzare il senso comune sul benessere degli animali? «L’industria delle pellicce in Cina e nel mondo vuole far passare l’idea che gli animali sono ben curati e che il loro benessere è importante. Ma io ho visto la realtà e so che non è vero. E credo che le persone sarebbero davvero scioccate nel vedere quanto è grave la situazione. Se potessero vedere quello che vedo io non indosserebbero mai più la pelliccia».

Credi che grazie a queste azioni la produzione di pellicce possa finire?
«Questi animali sono nascosti in fattorie dove nessuno può vedere la loro sofferenza, quindi voglio mostrare a tutti cosa provano. Forse questo potrà aiutare a farla finita. Le pellicce cinesi vengono vendute anche in altri paesi come il Regno Unito e l’Italia, quindi penso che le persone dovrebbero vedere la sofferenza per cui stanno pagando. Ho sentito che il primo ministro inglese Boris Johnson sta pensando di vietare la vendita di pellicce nel Regno Unito e spero che sia vero. Invierebbe un messaggio potente».

La pandemia di Covid-19 ha stravolto le regole?
«Temevamo che non ci sarebbe stato permesso di entrare negli allevamenti a causa della situazione pandemica. Invece non abbiamo trovato nessuna precauzione particolare. Questo mi ha sorpreso. La trascuratezza del requisito di disinfezione era davvero allarmante soprattutto in un momento in cui il mondo già sapeva che il Covid-19 era scoppiato in molti allevamenti di animali da pelliccia in Europa e Nord America. Eravamo anche motivati ​​a vedere di persona se queste fattorie in Cina potessero anche generare pandemie e se avessero seguito le regole e gli standard del settore. Ma, a quanto pare, i proprietari delle fattorie non erano stati avvisati dei focolai di Covid negli allevamenti di animali da pelliccia stranieri e quindi le precauzioni richieste dallo standard industriale cinese non sono state seguite».

Tornerai in operazioni sotto copertura?
«Si, sicuramente. Gli animali hanno bisogno di noi perché noi possiamo essere la loro voce. So che il mio lavoro può aiutare gruppi di animalisti cinesi e gruppi come HSI a rendere possibile il cambiamento per gli animali. Hsi ha fatto in modo che le mie immagini fossero viste sui miei media di tutto il mondo. C’è così tanta sofferenza animale su questo pianeta che è facile sentirsi sopraffatti e impotenti, ma il mio lavoro mi aiuta a non sentirmi impotente perché so che posso fare la differenza».

La foto di apertura è dell’autore. Le altre foto non abbiamo scelto di metterle

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Published on July 03, 2021 21:30

Wine tour: tra le vigne del castello

[image error]Castello di Semivicoli, Abruzzo[image error]Castello di Spessa, Friuli[image error]Il Borro, Toscana[image error]Schloss Englar, Alto Adige[image error]Castello Monaci, Puglia[image error]Capofaro Locanda & Malvasia, Sicilia

Questo articolo è pubblicato sul numero 26-27 di Vanity Fair in edicola fino al 6 luglio 2021

Castello di Semivicoli
Al Wine Resort di Masciarelli a Casacanditella (Chieti), con le sue romantiche vedute sui vigneti, si conciliano natura, passione per l’enogastronomia e tanto relax: in piscina, nel parco, nelle suite in stile contemporaneo dell’antica dimora. È consigliato a chi ama il turismo slow, per scoprire luoghi nascosti d’Abruzzo, per passeggiare tra i filari, partecipare a merende e picnic.
Alla Tavola di Gianni, il temporary restaurant estivo, con i piatti locali si degustano le ottime etichette dell’azienda (castellodisemivicoli.com).

Castello di Spessa
Qui nel vino ci si immerge, letteralmente. Al Castello di Spessa Golf Wine Resort di Capriva del Friuli, su un’altura del Collio goriziano, la Vinum Spa è dedicata alla Vinoterapia. Circondato da un giardino all’italiana, da filari di Collio e Isonzo e dal percorso del campo da golf che s’intreccia con le vigne, il castello è l’ideale per un soggiorno tra benessere e natura. Si può pernottare in 4 strutture, ognuna con uno stile diverso, dalle suite con mobili d’epoca alle stanze più rustiche, e provare i prodotti locali in tre ristoranti, tra cui Il Gusto di Casanova, una sala (giustamente) appartata dedicata al celebre seduttore, che fu ospite della proprietà (castellodispessa.it).

Il Borro
L’atmosfera è magnifica: il Borro Relais & Châteaux, ricavato all’interno di un borgo medievale nella campagna toscana, a San Giustino Valdarno (Arezzo), è albergo e azienda agricola e vitivinicola biologica. Per soggiornare gli ospiti possono scegliere la Dimora Storica, Villa Casetta, Villa Mulino o le suite all’interno del borgo. Punto di forza, le degustazioni dei grandi vini della casa e la cucina dello chef Andrea Campani che usa materie prime a km zero e dell’orto biologico. Oltre alla piscina e alla spa, si vive sempre a contatto con la natura, tra passeggiate a cavallo, percorsi naturalistici a piedi o in bici (ilborro.it).

Schloss Englar
Ha il tipico fascino dell’antico castello del Sud Tirolo, dove rifugiarsi per stare tranquilli e sognare, nella grande sala dei cavalieri o tra i vigneti della tenuta a San Michele Appiano (Bolzano), di proprietà dei conti Khuen-Belasi dal 1640. L’ala ovest dell’edificio gotico è stata trasformata in albergo: 8 stanze, ognuna diversa dall’altra. Distesi al bordo della piscina, nel parco, si gode la vista delle vette delle Dolomiti. Passeggiando tra le vigne, si va invece alla scoperta di un terroir che regala grandi vini, come quelli della tenuta (schloss-englar.it).

Castello Monaci
Accarezzato dalla brezza di due mari, il castello, imponente fortificazione della prima metà del Cinquecento, si trova a Salice Salentino (Lecce) ed è circondato da 150 ettari di vigneti autoctoni, da cui si producono vini conosciuti in tutto il mondo. Nella proprietà, le Scuderie di Castello Monaci sono il nuovissimo wine resort dove tutto parla di tradizione, dagli arredi alla tavola. A disposizione degli ospiti piscina, spa, distese di ulivi per passeggiare, wine tour con degustazioni e l’orto biologico dove raccogliere le verdure da cucinare durante le cooking class (castellomonaci.com).

Capofaro Locanda & Malvasia
Un faro bianco in mezzo ai filari verdi di Malvasia che scendono verso il mare. Davanti, i contorni azzurrini di Stromboli e Panarea che appaiono e scompaiono come miraggi, dietro, una collina idilliaca protegge il luogo: Capofaro Locanda & Malvasia, a Salina, è una delle wine destinations più suggestive del Mediterraneo. Un hotel, con solo 27 tra suite e camere, tutte nelle case tipiche delle Eolie, alcune nel faro antico. Dove il vino e la pace regnano ovunque, nelle vigne intorno che toccano la piscina, negli abbinamenti dello chef (Gabriele Camiolo) che pesca dall’orto e dal mare, ma anche nella cucina nobiliare dei monzù, gli antichi cuochi delle case aristocratiche, e nelle degustazioni: un viaggio che da Salina porta in tutta la Sicilia, perché Capofaro è anche una delle cinque tenute della famiglia Tasca d’Almerita, e le etichette di famiglia si assaggiano tutte. Da quest’anno anche al Wine Bar, davanti alla vigna Anfiteatro, una conca sul mare che è praticamente la versione verde di un teatro greco, ed emoziona altrettanto. In lista 50 etichette di grandi vini. Se non bastasse, scegliete la camera 21: ha una cantinetta privata da riempire con l’aiuto del sommelier, i vini dei Tasca, ovvio, ma anche altri tesori in bottiglia scelti con cura. (testo di Laura Fiengo),

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Published on July 03, 2021 21:30

Da Ibra a Impero, il calcio fra cinema e tv

Calcio giocato, calcio parlato, calcio guardato. Al cinema, in televisione. La magia, ma anche il lato oscuro. Storie di uomini, storie di vita vissuta e raccontata senza infingimenti, con asprezza e verità. La vita di Ibra era già un film prima di diventarlo. Ma il suo I am Zlatan rischia di fare il botto. Il film, con uscita prevista in Italia nell’autunno 2021, è ispirato alla sua biografia (Io, Ibra, scritto con il giornalista David Lagercrantz).

Il trailer è già in circolazione. Le immagini, diffuse dallo stesso attaccante del Milan sui suoi profili social, mostrano alcuni dei momenti clou della sua straordinaria carriera: i primi calci al pallone, le giovanili nel Malmö, l’affermazione all’Ajax. A proposito: la leggenda racconta che quando Ibra – a soli 17 anni – entrò nello spogliatoio dei «Lancieri», guardò i vari campioni con aria di sfida e sentenziò: «Io sono Zlatan, e voi chi c**** siete?». Già questa, è una scena-madre.

Gli attori che interpreteranno il ruolo di Ibra sono Dominic Bajraktari Andersson (per il periodo dagli 11 ai 13 anni) e Granit Rushiti (dai 17 ai 23 anni). Il lungometraggio è stato scritto da Jakob Beckman e David Lagercrantz e diretto da Jens Sjorgen. Sarà distribuito in Italia da Lucky Red.

In contemporanea è stato battuto a Milano il primo ciak di Impero, la nuova serie tv Sky Studios e Èliseo entertainment prodotta da Luca Barbareschi. Si parla di calciomercato. I retroscena, i dietro le quinte, i misteri e gli intrighi del calcio parlato e trattato, prima ancora che giocato.

Attore protagonista, Francesco Montanari, noto per essere stato il Libanese in Romanzo Criminale e visto di recente ne Il Cacciatore e I Medici – Nel nome della famiglia. Con lui anche Elena Radonicich (1992, La porta rossa, Fabrizio De Andrè – Principe libero) e il grande Giancarlo Giannini, uno degli attori-mito della cinematografia italiana degli ultimi cinquant’anni. Impero è uno spaccato sulle piccole grandi miserie che ammorbano le trattative della campagna acquisti del calcio, tra scandali e rivelazioni. E’ la storia di un procuratore all’apice della sua carriera perde tutto, il lavoro, la felicità coniugale, il rapporto con il padre; e viene ingiustamente accusato. Dovrà riscattarsi.

https://www.youtube.com/watch?v=3gLmB...

Va infine segnalato, nella ricca produzione calcistica di questo periodo, anche un documentario che ricostruisce, con grandi interviste, la vita di Davide Astori, il capitano della Fiorentina improvvisamente scomparso il 4 marzo 2018. Il docufilm, realizzato da Edera con Cure2Children (fondazione che fornisce risorse per la cura dei bambini in tutto il mondo con cui Astori collaborava) e il Comune di Firenze, sarà disponibile da luglio sul canale Youtube di Edera e restituisce l’immagine di un uomo. prima ancora che di un calciatore, pulito, perbene, gentile di quella gentilezza così rara oggi nel mondo.

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Published on July 03, 2021 21:27

Zendaya e Tom Holland:il bacio che conferma l’amore?

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C’è una macchina ferma al semaforo, la freccia attivata scandisce il tempo di attesa prima di ripartire. All’interno ci sono due ragazzi di 24 e 25 anni, ascoltano musica, ridono, poi avvicinano i loro volti e si baciano. Sarebbe tutto abbastanza ordinario nella sua bellezza se i protagonisti di questo bacio non fossero Zendaya e Tom Holland, co-protagonisti di Spider -Man:No Way Home. La coppia d’innamorati che i fan aspettano da qualche anno. Almeno da quando li hanno rinominati i Tomdaya. 

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Il video pubblicato da Page Six lungo le strade di Los Angeles sembra confermare la storia d’amore tra i due.  Subito celebrata sul web con migliaia di commenti. «Hanno iniziato a vedersi mentre stavano girando Spider-Man» aveva detto una fonte a People nel luglio del 2017  quando erano iniziati i rumors sulla relazione. «Sono stati molto attenti a tenerlo privato ma sono andati in vacanza insieme e hanno cercato di passare più tempo possibile l’uno con l’altro».

Una notizia che in quel periodo Holland smentì ironizzando sul fatto che non andava in vacanza da anni. Zendaya zittì il gossip dicendo invece che quella con Tom Holland era un’amicizia molto forte, un legame profondo nato durante i mesi di press tour insieme. «Sono poche le persono che possono capire cosa signfichi tutto questo a 20 anni», aveva sottolineato.

Di recente la coppia era stata avvistata insieme nei pressi dell’abitazione che secondo quanto riferisce Page Six dovrebbe appartenere alla madre di Zendaya, Claire Stoermer. Un dettaglio che farebbe sembrare la storia tra i due giovani attori, qualcosa di serio. «Sono entrambi molto ambiziosi e si sfidano a vicenda» ha aggiunto una seconda fonte a People. «Soprattutto, si divertono molto insieme. Sembrano avere un senso dell’umorismo molto simile, amano scherzare e fare battute l’uno sull’altro».

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Published on July 03, 2021 03:44

July 2, 2021

Le Storie Siamo Noi, Michele: «Scappato di casa dopo il coming out»

Michele (nome di fantasia) ha 26 anni e da due anni si è allontanato dalla sua famiglia. Da quando ha deciso di fare coming out parlando con suo fratello e i loro genitori della sua omosessualità. Voleva dirgli che aveva voglia d’innamorarsi, di smettere di nascondersi. «Ma la loro reazione mi spiazzò» racconta dalle mura della sua stanza all’interno della casa famiglia Refuge. La prima struttura in Italia ad accogliere e proteggere le vittime di omotransfobia.  Da qui, ci chiede di restare anonimo, di non mostrare il suo volto e non utilizzare il suo nome reale.

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«Pensavo di essere al sicuro in famiglia, invece mi sono trovato davanti a un muro, fatto di silenzio. E con la paura che potesse trasformarsi in violenza». Così Michele ha lasciato tutto quello che fino a quel momento era stato una certezza. Ha riempito uno zaino e dopo aver contattato la Gay Help Line al numero verde nazionale 800 713 713, è salito su un treno. «Oggi parlo poco con la mia famiglia, accade solo via chat, molto di rado. Ho ancora paura».

Refuge, dove Michele ha trovato una nuova casa e una famiglia, è una struttura protetta che permette a chi arriva di non abbandonare il proprio percorso. Continuare gli studi, lavorare, avere un sostegno psicologico. «Lavoriamo molto anche sulla mediazione con la famiglia. Per affrontare il problema laddove si è creato quindi nel pregiudizio che ha spinto le persone ad allontanare questi ragazzi», spiega Alessandra Rossi, coordinatrice Gay Help Line. Oggi Michele continua gli studi universitari e lavora. «Desidero laurearmi presto per realizzarmi professionalmente. Nel futuro immagino una persona accanto a me. Una storia d’amore».

Potete scriverci la vostra storia via Whatsapp qui: +393472156843

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Published on July 02, 2021 23:10

Repubblica Ceca: libertà di cognome per le donne, non più il femminile del padre

Ancora una volta una questione di diritti si incrocia con tradizione e grammatica. Nella Repubblica Ceca si discute una legge che potrebbe cambiare lo storico modo di indicare il cognome delle donne con il suffisso -ova. Così abbiamo finora conosciuto tutte le donne provenienti dalla Repubblica Ceca: Alena Seredova, Eva Herzigova, Martina Navratilova. Solo per citare alcuni dei nomi più noti.

In tutti questi casi al nome del padre è stato unito il suffisso e il cognome è diventato femminile. Succede anche in altri paesi con lingue slave e la regola viene applicata anche per i nomi stranieri. Angela Merkel diventa Merkelova in ceco.

La legge in discussione permetterà di non prendere il suffisso, quindi di poter scegliere di tenere il cognome al maschile. Ne è conseguenza che non sarà così subito esplicitato nemmeno il sesso della persona. Il patronimico al femminile dovrebbe diventare facoltativo e di libera scelta senza la trafila burocratica che è ora necessario fare per cambiarlo.

La Slovacchia ha già adottato una legge del genere e anche l’Islanda, che ha il patronimico nel nome, ha adottato una legge che non impone più nomi maschili o femminili in base al sesso di nascita. I genitori possono scegliere anche di indicare il genere alla nascita, sarà poi la persona a decidere in base al suo percorso di vita.

Ondřej Profant, rappresentante di uno dei partiti che supportano l’iniziativa ha riferito al Washington Post di un sondaggio di Prague Radio International secondo cui il 28% delle residenti a Praga sarebbe pronto a cambiare il proprio cognome e l’11% fuori dalla capitale.

Il partito contrario al cambiamento si appella alla tradizione e non vorrebbe lo stravolgimento grammaticale che questo comporterebbe. I linguisti, come sempre in questioni del genere, obiettano che la lingua si evolve con la società.

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Published on July 02, 2021 22:14

Vela, un nastro rosso contro la violenza sulle donne

«Fermiamo questo stillicidio continuo di violenza sulle donne. Diamo un segnale forte tutti insieme e mettiamo un nastro rosso su tutte le nostre barche a vela il 4 luglio». Sono le parole di Stefano de Dominicis, velista e presidente dell’associazione 10000 Vele di Solidarietà, alla vigilia del 4 luglio. Quel giorno, per ribadire l’importanza di contrastare la violenza sulle donne, senza se e senza ma, il popolo della vela metterà sugli alberi di ogni imbarcazione un nastro rosso. Un grand flash mob sul mare che è un appello a tutti affinché ogni forma di violenza sulle donne non passi mai inosservata. Un simbolico e lunghissimo nastro rosso lungo gli ottomila chilometri di coste di mari e laghi del nostro Paese.

«Il mondo della vela, nelle sue incredibili varianti e peculiarità, ha imparato da tempo a considerare la parità di genere come un fatto assodato. A noi piace dire e pensare che in barca non ci sia differenza di genere, di età, di classe», continua Stefano de Dominicis. «Abbiamo questa fortuna e da brave marinaie e marinai crediamo che la fortuna debba essere condivisa».

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Basta ripercorrere i dati del 2020 per capire la gravità del fenomeno in Italia. Nel primo semestre gli assassini di donne sono stati pari al 45% del totale degli omicidi (dati Istat) contro il 35% dei primi sei mesi del 2019. Durante il lockdown la situazione si è ulteriormente aggravata raggiungendo il 50%  nei mesi di marzo e aprile 2020. «Ci vuole un cambio di rotta deciso che deve essere compiuto tutti assieme, donne e uomini, senza schieramenti di parte, pregiudizi o pensieri divisivi», sostiene  Giancarlo Crocicchia, uno degli organizzatori che ha lavorato alla realizzazione del sito in cui compaiono diverse opere fotografiche di Daniele Deriu, realizzate per il progetto «Se l’è cercata».

«Ho passato gli ultimi quattro anni a raccogliere dal web commenti sconcertanti a post e articoli di cronaca che raccontavano di ogni tipo di violenza perpetrata nei confronti delle donne in quanto donne, violenza che spesso sfociava nello stupro e nel femminicidio», spiega il fotografo Deriu. «L’espressione “se l’è cercata”, pronunciata apertamente oppure sottintesa, resta tra le più diffuse. Col mio progetto vorrei invitare le persone a riflettere sulla necessità che ognuno di noi prenda coraggiosamente consapevolezza del fatto che la violenza di genere esiste (ed è in aumento)  e sul linguaggio sessista e spesso privo di empatia che viene utilizzato nei commenti che ho raccolto, sia dagli uomini che dalle donne, e che riporto nelle mie immagini come uno specchio».

Qui, tutte le info per partecipare al flash mob.

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Published on July 02, 2021 22:10

Pedopornografia: allarme 2020, +132% dei casi

«Nel 2020 si è registrato un incremento di circa il 132%, rispetto al 2019 dei casi trattati dal Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia e un aumento del 77% dei casi di vittimizzazione dei minori per grooming, cyber bullismo, furto d’identità digitale, sextorsion». Sono dati preoccupanti quelli che arrivano dall’annuale relazione del Garante per la protezione dei dati personali.

«Il 68% degli adolescenti risulta essere stato, nel 2020, testimone di casi di cyberbullismo», ha aggiunto il Garante Pasquale Stanzione sottolineando che «sono dati allarmanti, che non possono non esigere un’assunzione di responsabilità collettiva rispetto a soggetti, quali i minori, le cui vulnerabilità possono renderli le vittime elettive delle distorsioni del web».

Le notizie di casi di pedopornografia sono quotidiane. Appena la scorsa settimana un uomo di 52 anni di Gorizia è stato arrestato e altre due persone sono state denunciate nell’operazione Web Oscuro della polizia postale con il sequestro di decine di migliaia di file di pornografia minorile e di criptovalute. L’uomo arrestato proponeva nel dark web cataloghi con minori che sarebbero stati disponibili per incontri sessuali.

Già Save The Children aveva denunciato l’aumento della pedopornografia durante il lockdown. Sono diventati più forti i fattori di rischio: aumento della vulnerabilità dei bambini, minore supervisione dei genitori, mancanza di reti extra familiari a cui rivolgersi, aumento della presenza on line e dei contenuti sessuali autoprodotti e scambiati.

La protezione dei dati personali e la funzione sociale della privacy sono diventati ancora più evidentemente necessari nell’ultimo anno. «La permanenza della condizione pandemica ci ha insegnato a convivere con le limitazioni dei diritti, tracciando tuttavia il confine che separa la deroga dall’anomia, dimostrando come la democrazia debba saper lottare, sempre, con una mano dietro la schiena».

Centrale è stata in quest’anno la tutela delle persone vulnerabili. «La protezione dei dati può rappresentare, infatti, un prezioso strumento di difesa della persona da vecchie e nuove discriminazioni e di riequilibrio dei rapporti sociali. In questo senso, la protezione dei dati si sta dimostrando anche e sempre più determinante per un governo sostenibile della tecnica; perché la democrazia non degeneri, in altri termini, in algocrazia (Forma di società basata sul dominio degli algoritmi secondo la definizione dell’Accademia della Crusca ndr)».

C’è allarme per i reati informati in generale, ma in particolare per quelli che coinvolgono minori. Da questo punto di vista il Garante segnala i rischi che vengono da piattaforme come Tik Tok su cui l’Autorità è dovuta intervenire esigendo «il rispetto degli obblighi imposti dal Regolamento europeo a tutela del minore on line: prima fra tutte, la verifica dell’età dell’utente». Per il garante serve una «reale pedagogia digitale e rendere effettiva la responsabilità per i contenuti illeciti diffusi: ogni dato “abbandonato” in rete è un dato perso».

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Published on July 02, 2021 21:40

Tepache, la bevanda detox all’ananas da fare in casa

È arrivato il periodo estivo, il caldo e la voglia di bibite fresche. Per chi ama le bollicine – e sa che non sempre fanno bene – il tepache è un grande alleato.

Conosciuta come la «bibita degli dei», l’origine del tepache è avvolto nel mistero. Molti sostengono che sia stata inventata dagli aztechi in Messico durante l’epoca preispanica, e che sia stata usata per festeggiare durante alcuni riti sacri, grazie al suo basso grado alcolico.

La parola «tepache» deriva da «tepatli», che significa «bibita di mais» in náhuatl, lingua aborigena centramericana. Altri invece dicono che siano stati i mayas ad inventarla, e che la parola «tepatzi», nella lingua opata, significa «luogo delle donne belle».

Dopo la conquista dell’America, il mais nella preparazione del tepache è stato sostituto per altri frutti, principalmente l’ananas.

Il Tepache è una bibita fermentata naturalmente; con il tempo, lo zucchero naturale presente nella buccia dell’ananas si trasforma in etanolo e anidride carbonica, creando sapore, aroma ed effervescenza molto particolari.

Come se non bastasse, il tepache fa anche bene all’organismo. Ottimo per la digestione, per l’eliminazione di ritenzione di liquidi e antiossidante. Contiene probiotici naturali che aiutano alla flora intestinale. Ha anche fibra e vitamina A, C, B, magnesio, calcio e ferro.

Molto simile alla ginger beer, il grado alcolico del tepache è di massimo 1,5%. Ma attenzione: se non si rispettano i tempi di fermentazione (che dipende fondamentalmente dalla temperatura), si rischio di esagerare con l’acidità e produrre aceto.

LA RICETTA PER FARE IL TEPACHE A CASA
La ricetta per fare il tepache in casa è molto semplice ed è stata condivisa persino dal sito ufficiale del governo del Messico, il Paese che si attribuisce l’invenzione.

In un contenitore di vetro, si lasciano le bucce di un ananas grande e ben maturo con circa 2 litri di acqua minerale e un cucchiaio di zucchero di canna. Le bucce devono essere pulite ma intere perché è lì che sono presenti i microorganismi che attivano la fermentazione. Si può aggiungere, facoltativamente, qualche pezzo di polpa, e in questo si riduce la quantità di zucchero. Chi ama i sapori speziati può aggiungere un pezzo di stecca di canela o chiodi di garofano.

Il contenitore si copre con un pezzo di tessuto per lasciare che entri l’aria ma non la polvere e si lascia in un luogo riparato. Dopo un giorno, potete togliere la schiuma che si formerà in superficie. Assaggiate la bibita finché trovate il punto di sapore che più vi piace. Dopo due giorni, potete travasare e conservare in frigorifero (per massimo 2-3 giorni). ¡Y qué viva México lindo!

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Published on July 02, 2021 21:40

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Csaba Dalla Zorza
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