Roberto Saviano's Blog, page 6

June 8, 2016

Il figlio di un carabiniere non diventa un camorrista vedendo Gomorra così come il figlio di un camorrista non diventa un carabiniere vedendo la serie televisiva Carabinieri

Ciro_615x340Il figlio di un carabiniere non diventa un camorrista vedendo Gomorra così come il figlio di un camorrista non diventa un carabiniere vedendo la serie televisiva Carabinieri. La trasformazione antropologica di un individuo in un criminale è un fatto assai complesso e, almeno agli studiosi di scienze sociali, non risulta che le serie televisive abbiano il potere di trasformare la vita degli uomini.


Se così fosse, la serie Don Matteo, dato il suo successo, avrebbe dovuto provocare una crescita impetuosa dei ragazzi che scelgono il sacerdozio, ma così non è stato. Appare evidente che gli attacchi contro Roberto Saviano sono strumentali e, pertanto, occorre comprendere quali siano le forze sociologiche che hanno trasformato l’autore di Gomorra in uno degli uomini più attaccati d’Italia.


L’ostilità dei politici di professione ha cause complesse. La serie televisiva Gomorra mostra che la criminalità organizzata, avendo avuto la tragica abilità di modernizzarsi, ha promosso una compenetrazione sempre più stretta tra economia legale e economia illegale, dando vita a un tipo di struttura criminale che il nostro ordinamento giuridico non sembra in grado di sconfiggere. Questa è la ragione per cui nessun politico di professione dichiara mai di avere un programma per la “distruzione” della camorra, ma, tutt’al più, di avere una strategia per il “contrasto” alla criminalità organizzata. La psicologia di un popolo si esprime innanzitutto attraverso le parole e le parole dei politici tradiscono la convinzione, radicata nella coscienza collettiva, che la camorra non sarà mai cancellata dalla faccia della terra.


Questa contraddizione, tra l’immensità del problema sociale e l’inadeguatezza della risposta politica, si trasforma, a livello della personalità individuale, in una lacerazione psicologica che produce imbarazzo, disorientamento e, infine, sofferenza. Il fascismo che, alleandosi con Hitler, aveva prodotto la società più brutta del mondo, si era dotato di un ordinamento giuridico che ridusse la mafia ai minimi termini. Il liberalismo, che ha prodotto la società più ricca e libera del mondo, si basa su un ordinamento giuridico che, in settant’anni di storia dell’Italia repubblicana, non ha mai distrutto la camorra. Lo stato di diritto, infatti, garantisce i diritti di tutti gli abitanti della città liberale. E siccome i camorristi hanno la cittadinanza italiana, godono delle medesime garanzie delle persone irreprensibili. I processi per mafia sono pertanto lunghi, costosi e costellati da mille difficoltà perché l’ordinamento italiano impone, per nostra fortuna, di essere il più possibile sicuri che la condanna sarà pronunciata contro un vero camorrista e non contro un innocente.


Anche quando si trovano in carcere, i camorristi sono rispettati nei loro diritti fondamentali, come mostra bene la puntata di Gomorra dedicata al periodo di carcerazione del boss don Pietro Savastano, il quale poteva ricevere le visite dei suoi parenti che utilizzava per impartire ordini all’esterno.
Il 26 maggio 1992, Rudolph Giuliani, sindaco di New York per sette anni, commentava la morte di Giovanni Falcone, affermando che l’unico modo di distruggere la mafia era quello di inviare l’esercito in Sicilia e dichiarare lo stato di guerra, con tanto di pena di morte e la conseguente sospensione delle libertà individuali.
In sintesi, l’opera di Roberto Saviano è lacerante perché mostra una contraddizione irrisolvibile tra il nostro bisogno di sicurezza e il nostro desiderio di libertà che Clifford Geertz, uno dei più grandi antropologi del Novecento, chiamava “antinomia insolubile”. La serie Gomorra ricorda che ci sono decine di assassini, come il personaggio di Ciro “l’immortale”, che si aggirano per le strade di Napoli. Ogni tanto, la polizia riesce ad arrestare uno di loro che però viene subito sostituito da altri aspiranti camorristi. Tutto ciò, corrispondendo al vero, come dimostra il video dell’omicidio di Mariano Bacioterracino dell’11 maggio 2009, produce una profonda sofferenza in quei politici di professione che vorrebbero cambiare questa realtà, ma non sanno da dove iniziare perché non riescono a cogliere la causa profonda da cui ha origine il male. E così, amando Napoli, ma non potendo eliminare la camorra, elaborano una strategia psicologica per lenire la loro sofferenza: se non è possibile distruggere la camorra, è possibile distruggere la credibilità di chi descrive la camorra.
 
L’“anti-savianesimo”, come fenomeno culturale, nasce dal contrasto tra il desiderio ardente di eliminare la camorra e la sua frustrazione permanente. È un problema sistemico che si ripercuote a livello della personalità individuale. La credenza secondo cui, sostituire Gomorra con una serie televisiva colma d’amore, aiuterebbe la lotta contro la camorra, è anch’essa espressione di una sofferenza collettiva, tanto più acuta perché basata sul rifiuto della realtà.


Alessandro Orsini, fonte: Il Messaggero.


 


 




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Published on June 08, 2016 07:39

June 3, 2016

Uccidono per la droga non per le serie tv

viva_camorra_615x340Mischiare i piani, confondere le idee, è un’arte; bisogna saperlo fare e trovare chi si assume la responsabilità di veicolare parole spacciandole per informazione, per “il caso”, per “l’opinione”, per “la polemica” del giorno. A Napoli c’è un gioco di strada che la crisi economica ha di molto fiaccato. Un gioco che dopo “Pacco, doppio pacco e contropaccotto” (1993) film di Nanni Loy, cult per la mia generazione, non ha smesso di mietere vittime. Anzi, chi come me è cresciuto in provincia conosce molti provinciali che negli anfratti del Rettifilo di Napoli non riuscivano a resistere alla tentazione di mettere alla prova la propria furbizia nel puntare sulla carta giusta, per strappare una banconota da cinquantamila lire e tornare dagli amici di provincia a vantarsi di essere riuscito a truffare i truffatori. A nessuno veniva in mente di incolpare Nanni Loy per il gioco delle tre carte, nessun genitore pensava fosse per quel film che i loro figli facessero filone (marinassero la scuola) per andare a Napoli a farsi fregare soldi.


Leggo poi su Facebook lo status divertente di un amico giornalista, Claudio Pappaianni. È un ricordo del luglio 1998. Claudio vive a Piazza Cavour, in pieno centro storico, alle porte della Sanità. È alla fermata della Metro dove aspetta un amico. Vede avvicinarsi bambini in sella a una bicicletta, quello che sta dietro imbraccia un fucile ad acqua. Teme di essere lui il bersaglio, ma non è così, colpiscono un loro coetaneo e gli urlano “Muori!”. Giochi di strada o gli effetti di “Baywatch” sui bambini di Napoli degli anni Novanta?


Ma veniamo alle cose serie. A Napoli si spara e non per gioco, non per emulazione, ma per conquistare piazze di spaccio. Chi perde tempo a parlare d’altro, chi indugia sulle presunte e assurde proprietà emulative di film, serie e libri, ammetta di non capire nulla di ciò che accade e o di parlare in assoluta cattiva fede. I ragazzini in strada hanno modelli molto più vicini da emulare e sono i loro padri e i loro fratelli maggiori. L’omicidio a Marano del 7 maggio scorso è la risposta alla cosiddetta strage delle Fontanelle. A Marano due killer ammazzano in un’officina Giuseppe e Filippo Esposito, padre e fratello di Emanuele Esposito, secondo le indagini esecutore della strage delle Fontanelle, il cui mandante sarebbe Antonio Genidoni. Esposito chiama Genidoni al telefono che è agli arresti domiciliari a Milano e in una conversazione intercettata (è agghiacciante, ascoltatela, è reperibile online) Genidoni medita vendetta: «Ora gli devo mettere le bombe e gli uccido pure i neonati. Con le bombe! Non si usano più le pistole ora!». Tutto questo da Milano, dove Esposito e Genidoni saranno arrestati il 9 maggio.


Ma torniamo a Napoli. Henry John Woodcock, il magistrato che ha istruito il processo alla “paranza dei bambini” parla agli studenti della facoltà di Giurisprudenza della Federico II e dice cose fondamentali. La prima: più che Gomorra i bambini come modello prendono i terroristi islamici. La seconda: a Carnevale i ragazzini in alcune zone si sono travestiti da Emanuele Sibillo (il babyboss ucciso a Forcella l’anno scorso) e non da Genny Savastano. Ma la più importante a mio avviso è questa e riporto le parole di Woodcock: «Una delle prime soluzioni da considerare ai recenti fenomeni criminali giovanili potrebbe essere la legalizzazione delle droghe leggere. Questa affermazione che può sembrare strana fatta da un magistrato ha invece un senso ben preciso: molti omicidi vengono commessi per una piazza di spaccio della droga e questo spiega perché c’è gente che è disposta a morire per un portone, per un basso dove si vende marijuana».


Teniamole presenti queste parole quando il 27 giugno in Parlamento andrà in discussione la proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis presentata dall’intergruppo parlamentare guidato da Benedetto Della Vedova.


Teniamole presenti perché non è per mera imitazione che avvengono gli omicidi, ma per denaro, profitto, guadagno. “Gomorra” è stereotipo da combattere, uccidono come in “Gomorra”, insultano come in Gomorra, in “Gomorra” manca un personaggio positivo, in “Gomorra” manca speranza. Parole utili ad alimentare dibattiti inutili, a riempire le ultime pagine dei giornali, quando ormai non si ha più voglia di costruire nulla che somigli anche vagamente a informazione.




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Published on June 03, 2016 07:51

May 3, 2016

Elezioni Roma, il pericolo di confondere i piani

giachetti_615x340 Quello che colpisce una volta di più in questa campagna elettorale è il mescolarsi dei piani.


Berlusconi che si autodefinisce paladino dei moderati e per questo si distanza dai lepenisti Salvini (che il mio correttore automatico continua a scrivere Salumi) e Meloni, ma poi candida Alessandra Mussolini con il chiaro intento di prendere voti proprio dalla parte che non vorrebbe rappresentare.


E Roberto Giachetti che espelle a poche ore dalla presentazione delle liste Nathalie Naim “colpevole” di essere stata rinviata a giudizio per diffamazione a mezzo stampa, mettendo così sullo stesso piano una querela dei gestori di bancarelle sul Tevere a un procedimento per corruzione. Mi verrebbe da dire che Giachetti ha preso il peggio del metodo 5stelle che per altro, come insegna il caso Livorno, non è seguito più nemmeno dal Movimento che ormai valuta caso per caso.


Da chi si candida alla guida della Capitale mi aspetterei capacità di discernimento e non applicazione cieca di una norma che peraltro, nella maggior parte dei casi, si preferisce ignorare.


Ecco come Sergio Rizzo, sul Corriere della Sera, sintetizza il motivo della querela a Nathalie Naim:



“Tre anni fa Nathalie Naim, allora consigliere del primo municipio, aveva osato criticare le manifestazioni notturne estive sulle banchine del Tevere come fonte di disagi per i residenti e i malati ricoverati negli ospedali a causa dei rumori assordanti. L’aveva fatto con una lettera al Corriere in risposta a un intervento pubblicato qualche giorno prima da alcuni operatori di quelle manifestazioni, che l’avevano subito querelata”.





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Published on May 03, 2016 06:36

April 20, 2016

L’innamoratore

innamoratore_piedimonte_615x340Quando ti arriva fra le mani il libro di un amico, un romanzo di cui hai sentito parlare per anni, è una specie di liberazione: intanto così la smette di tormentarti con le sue afflizioni sentimentali e con i ragionamenti sulle questioni di cuore, ma soprattutto vedi nascere la creatura che hai tanto atteso, e che in fondo ti sembra di conoscere già, parola per parola.


L’innamoratore (Rizzoli) è certamente il libro più maturo di Stefano Piedimonte, quasi una summa dei suoi romanzi precedenti. Resta l’ironia caustica che ne contraddistingue la scrittura, ma è anche dolente, riflessivo, malinconico. Come ogni romanzo dovrebbe fare, ti costringe a guardarti dentro e, in questo caso, anche di fianco, nell’altra metà del tuo cuore.


Le vicende di Ivan Sciarrino, che per mestiere fa “l’innamoratore” (viene cioè assoldato da uomini facoltosi per rubare le donne ai loro rivali, per ferirli e rovinarli) sono un pretesto per osservare l’amore di sbieco, senza essere scoperti.


Sulla bandella del romanzo “La sposa americana” di Mario Soldati, Attilio Bertolucci si domandava nel 1977: “È ancora possibile scrivere un romanzo d’amore, non sull’amore?”, traendo poi la conclusione che quello di Soldati era sì un romanzo d’amore, ma era anche “un repertorio acuto e straziante di dati sull’estrema solitudine del discorso amoroso”.


Rileggendo oggi quelle parole, calandole in una contemporaneità fatta di incertezza, di solitudine, della ricerca spasmodica di amore da tutte le fonti possibili, non posso fare a meno di pensare a L’innamoratore, libro che disegna un affresco del nomadismo sentimentale vissuto non più solo dai giovani, ma anche – ed è lì che produce più danni – nell’uomo adulto, formato, che avrebbe forse voluto piantare le sue radici nel terreno già da molto tempo.


E che sia proprio l’amore l’unica medicina possibile dei nostri giorni? Un farmaco da prendere in dosi massicce – e quante più volte è possibile – per dimenticarsi di sé e per lenire le ferite inflitte dalla solitudine?


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Published on April 20, 2016 06:28

April 8, 2016

COLOMBIA, DAL PAESE UNA LEZIONE DI CIVILTÀ

colombia_gay_615x340Studio la Colombia da molti anni e, se i problemi di criminalità sono tantissimi, è un dato di fatto che la Corte Costituzionale di Bogotà, stabilendo che i diritti dei cittadini eterosessuali e omosessuali debbano essere equiparati, ha dimostrato che si può avere senso civico pur avendo problemi urgenti da risolvere. Per di più, la possibilità per coppie dello stesso sesso di contrarre matrimonio, viene dopo quella di poter adottare.


E qui è fondamentale notare come al centro del dibattito ci siano, da sempre, non barricate in difesa della famiglia tradizionale, ma i diritti dei minori, soprattutto, come dice la corte “aquellos en situación de abandono, a tener una familia”: il diritto che i bambini in situazioni di abbandono  hanno a poter far parte di una famiglia.


Nel 2015 è diventata legale in Colombia prima la stepchild adoption, quella che ha spaccato per intenderci il nostro parlamento “progressista”, e poi le adozioni vere e proprie, perché lì è evidentemente chiaro che l’orientamento sessuale non ha alcuna connessione con l’idoneità a crescere un figlio. Una lezione di civiltà da un paese dilaniato da crisi economica e criminalità.




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Published on April 08, 2016 08:56

In nome di Regeni, il reato di tortura

regeni_lapresse_615x340 Chiediamo all’Egitto verità per Giulio. Ed è sacrosanto farlo. Ma siamo l’unico Paese d’Europa a non avere una legge contro le brutalità di Stato.


Quanti modi ci sono per dire che un uomo o una donna sono stati vittime di tortura? Infiniti. Ma potremmo, volendo, anche omettere la parola tortura. E potremmo, volendo, anche far passare quella tortura per un atto legittimo in determinate condizioni. E potremmo, volendo, anche far finta che il reato di tortura non esista. O potremmo, volendo, far arenare la proposta di legge sul reato di tortura in Parlamento, in modo che il reato non esista davvero. Potremmo però utilizzare il termine tortura perché ci piace pensarci in prima linea nella difesa dei diritti delle persone. Potremmo fare del nostro essere un Paese civile solo una questione di parole, che però dietro non hanno nulla. Non hanno leggi che le sostengano, non condanne che facciano giurisprudenza.


Esistono atti internazionali che molto chiaramente sanciscono come torturare inteso nei suoi più diversi significati (infliggere dolore fisico per estorcere informazioni o confessioni, commettere su una persona atti brutali e sadici, procurare dolore fisico prolungato) sia un reato da giudicare e punire con procedure e sanzioni sue proprie. Dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, ratificata dal nostro Paese nel 1988, ci troviamo al cospetto di atti che proibiscono la tortura ma che farebbero esplicito rimando all’esistenza di un testo che fornisca strumenti idonei a ogni singolo paese per prevenire e punire efficacemente chiunque abbia commesso questo genere di reato.



«Ciò che è accaduto attiene a una pagina nera nella storia del nostro Paese. E se vogliamo affrontare quella pagina nera, la prima cosa da fare è introdurre subito il reato di tortura».



 


La pagina nera è l’irruzione della polizia alla Diaz durante il G8 di Genova e questa dichiarazione è di Matteo Renzi. Parole pronunciate un anno fa, quando la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per gli orrori di Genova imponendo, e non solo invitando, l’introduzione nel nostro codice penale del reato di tortura.


Di fatto è rimasta l’Italia a non avere in Europa nel proprio codice penale un testo che riguardi il reato di tortura. In Inghilterra, Francia, Austria, Belgio, Danimarca, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera e finanche in Turchia, il reato esiste e come tale è punito. E in Germania non sarebbe del tutto corretto dire che non esista, perché come lessi qualche anno fa sul “Sole24ore” ci sono «norme assimilabili alla fattispecie. In particolare i maltrattamenti fisici e psichici in generale sono puniti con la reclusione fino a 3 anni – elevata a 5 per fatti gravi – che passa da 1 a 10 se compiuti da un pubblico ufficiale».


Quindi davvero siamo il fanalino di coda, ultimi quando si tratta di far rispettare la dignità delle persone qui da noi, pronti a temporeggiare e a trovare giustificazioni e scappatoie, e sempre in prima linea quando accade, invece, che un paese straniero si comporti come noi. Scoviamo mille differenze pur di marcare la distanza. Giulio Regeni è stato torturato in Egitto e ucciso. Regeni è stato torturato e ucciso come un egiziano in Egitto, ma anche come è accaduto ad alcuni italiani in Italia. Mi si dirà: in Egitto è prassi, qui da noi non lo è. Qui da noi può capitare e il numero di persone torturare è infinitamente più esiguo. Ma a me non interessa quante persone sono state vittime di tortura, a me interessa che fino a quando non esisterà un reato di tortura, non esisterà nemmeno tortura.


Ecco perché chiedere giustizia e verità per Giulio Regeni vuol dire anche fare del nostro finalmente un Paese civile. Facciamo pressione, ma pressione vera, sul Parlamento perché passi in tempi record questa legge, soprattutto se vogliamo far valere i diritti violati dei cittadini italiani al di fuori dei confini nazionali.


Verità per Giulio significa verità anche per chi non sa che nome dare a ciò che ha vissuto. Significa tutelare le forze dell’ordine e la loro funzione che è di protezione dei cittadini.


Significa isolare chi ha commesso un reato e non schermarlo, e non nasconderlo dietro l’inesistenza di quel reato. Se torturare è reato, facciamo in modo che il reato esista perché se la situazione dovesse, nonostante gli atti gravissimi che sono accaduti nel nostro Paese, nonostante la condanna di Strasburgo, rimanere invariata, vorrà dire che torturare sarà considerato un modo solo un po’ scorretto di risolvere certe situazioni, un metodo poco ortodosso, ma non condannabile. E la volta buona, chi sa quando sarà.


Fonte: L’Antitaliano.




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Published on April 08, 2016 05:53

April 6, 2016

Sanghenapule nella mia città? Napoli è solidale solo nella sconfitta

sanghenapule_615x340Il mio sogno sarebbe portare Sanghenapule a Napoli, ma Napoli paradossalmente è una città solidale solo nella sconfitta, non puoi chiederle di accoglierti se non per curare delle ferite. A Napoli nulla mai cambierà perché la politica è senza coraggio.
Matteo Renzi ha capito che l’immobilità a Napoli è la vera zavorra e anche lui ha gettato la spugna prima ancora di raccogliere la sfida. Perché a Napoli si vince solo dopo anni di sconfitte e questa politica non ne vuole sapere di lottare e di perdere.


Questa politica si illude di poter utilizzare quello che c’è e cambiarlo, modificarlo. Ma è un’illusione, così come dobbiamo abituarci a considerare tramontata l’utopia di una Napoli che attiri il Mediterraneo, che attiri il sud del mondo facendo da collante e collegamento.
La verità triste è che da Napoli, chi vuole cambiare, va via.





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Published on April 06, 2016 08:13

Ecco Scianel di Gomorra 2: la odierete. E saprete che è una donna reale

cristina_donadio_615x340E lei è Cristina Donadio, Scianel in Gomorra – la serie 2. Annalisa, sorella di Zecchinetta. La chiamano Scianel perché sua madre gestiva un bancarella di profumi. Donna spietata nella finzione, iena dai capelli di paglia e occhi verdi, attrice straordinaria nella realtà.
La odierete, la sentirete autentica. Saprete che è una donna reale, che in sé racchiude doti di capo vero. Quando hanno ucciso la boss Annunziata D’Amico, Nunzia la «passilona», sorella e compagna di boss, ho pensato che la storia di Scianel fosse attuale e servisse a raccontare una terra dove per comandare, che tu sia uomo o donna, devi essere una iena.


Ne ho parlato qui su Repubblica con Silvia Fumarola.




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Published on April 06, 2016 08:04

April 1, 2016

Non lasciate morire il diritto all’eutanasia

malati_terminali_2_615x340Il 3 marzo scorso, in seduta congiunta, le Commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera hanno iniziato il dibattito sulla proposta di legge sull’eutanasia. Il disegno di iniziativa popolare è stato depositato nel 2013 dall’associazione Luca Coscioni e da allora aspetta che il Parlamento se ne occupi.


Solo per una coincidenza, pochi mesi fa l’editore e/o ha pubblicato un libro che ho letto con molto interesse: “La casa blu” di Massimiliano Governi. È un libro intimo, sussurrato. Leggerlo è stato come ingoiare una lametta perché affronta, appunto, il più difficile dei temi: il suicidio assistito, la morte dolce. E lo narra come un viaggio, come un canto da ascoltare senza pregiudizi. Una prospettiva attraverso cui guardare il mondo con gli occhi di chi parte per non tornare e con gli occhi di chi resta per vivere e comprendere.


Il libro nasce da ore trascorse a indagare i pensieri degli uomini e delle donne che vanno in Svizzera, in Olanda o in Belgio per morire dolcemente. Persone che non sono sole e non scelgono la morte per disperazione, ma per vivere dignitosamente fino all’ultimo respiro. Persone che accanto hanno familiari con tanta voglia di essere presenti e di comprendere. Persone che accanto hanno l’esperienza piena di empatia dei militanti del Partito Radicale e dell’Associazione Luca Coscioni. E al termine del viaggio la consapevolezza che quella scelta è l’unica possibile per chi la compie.


“La casa blu” è una preghiera e un inno alla vita: ecco perché, proprio ora che il Parlamento sembra stia iniziando un percorso che non sarà privo di ostacoli, candido il libro di Massimiliano Governi al Premio Strega. Lo faccio perché in un Paese come l’Italia, dove il rispetto dei diritti civili e delle libertà individuali sembra venire sempre dopo tutto il resto, la letteratura non può che essere questo: racconto del nostro tempo. Lo candido allo Strega perché dare attenzione a questi temi significa avere una corretta informazione, significa non dover mai più sentir parlare di contrapposizione tra “partito della vita” e “partito della morte”, ma sempre e solo di libertà di scelta, che è un diritto che ci appartiene e che spesso ci è negato. I diritti coincidono con la dignità, esistono perché c’è vita, negarli significa sottrarre dignità, fare in modo che per ottenerli si faccia ricorso a scorciatoie che spesso sono faticose e soprattutto molto dolorose.


Ho letto un appello che trovo doveroso ascoltare e accogliere, un appello rivolto all’Istat dai parenti di persone malate che hanno preferito morire quando ancora potevano decidere cosa fare della propria vita, persone che hanno esercitato un diritto fondamentale: il diritto di scegliere prima che sia troppo tardi. Tra i firmatari c’è Chiara Rapaccini, la compagna di Mario Monicelli che, malato di tumore, si è suicidato il 29 novembre 2010. Appresi di quella morte mentre ero in onda con “Vieni via con me”, dove avevo raccontato la storia d’amore tra Mina e Piero Welby. Rimasi colpito da quella scelta, ma ne compresi profondamente le motivazioni. Con lei ci sono Luciana Castellina, che è stata molto vicina a Lucio Magri, morto per scelta nel 2011 con suicidio assistito; Francesco Lizzani, figlio di Carlo Lizzani suicidatosi nel 2013; e Carlo Troilo, fratello di Michele Troilo, suicidatosi nel 2004 mentre stava morendo di leucemia. Tutti hanno chiesto di ripristinare nelle statistiche che annualmente l’Istat produce sul numero di suicidi in Italia, il movente – non le modalità, che potrebbero provocare un effetto emulazione – ma il movente. Questa voce è stata eliminata nel 2010, eppure nel 2009 su 3.000 suicidi, più di 1.000 furono dovuti a malattia. Stessa proporzione nei tentativi di suicidio.


Questo dato è fondamentale venga ripristinato ora che i parlamentari italiani saranno impegnati nella discussione sul fine-vita; è fondamentale perché il dibattito esca dai confini incerti delle convinzioni personali e degli orientamenti religiosi – dove si arenerà senza speranza – e per una volta parta da una base di razionalità: quante sono le persone che fanno ricorso a una morte violenta per porre fine alle proprie sofferenze o che emigrano per morire? Da qui si dipani un discorso che tenga al suo centro una scelta che nessuno può imporre, ma che a nessuno può essere negata. Spero che in questo dibattito, il libro di Massimiliano Governi possa trovare posto, perché talvolta la letteratura può toccare corde che statistiche, ragionamento e razionalità non riescono a raggiungere.


Fonte: L’Antitaliano.


 




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Published on April 01, 2016 05:58

March 25, 2016

Il patto con la Turchia fallimento d’Europa

erdogan_ue_615x340Ad agosto del 2008 fu firmato a Bengasi il trattato tra Italia e Libia e nel 2010 il numero di clandestini che raggiunsero le coste italiane diminuì sensibilmente. Secondo Frontex, dal 2008 al 2009 gli sbarchi calarono del 74 per cento. L’infame accordo tra Gheddafi e Berlusconi chiamato “Trattato di amicizia e cooperazione” prevedeva la costruzione di lager commissionati alla Libia che all’Italia sarebbero costati circa 5 miliardi di dollari in 20 anni, prezzo che fu presentato come risarcimento all’ex colonia.


Ora assistiamo a un nuovo accordo a Bruxelles tra capi di Stato e di governo europei e Turchia, che riceverà tre miliardi di euro e alcune concessioni politiche in cambio del blocco dei profughi ai confini con l’Europa. Non solo, anche i profughi sbarcati in Grecia saranno condotti in Turchia. E se l’obiettivo è quello di contrastare il traffico di esseri umani, nella pratica si otterrà l’esatto contrario.


Qualche sera fa ascoltavo “Radio Radicale”: la presidente della Camera Laura Boldrini parlava di generazioni e responsabilità. Ha parlato della generazione che ha combattuto l’ultima guerra mondiale, di quella che ha ricostruito materialmente e moralmente l’Italia, di quella che ha lavorato perché si affermassero diritti senza i quali oggi ci sembrerebbe impossibile poter vivere. Ha parlato delle donne che dopo il 1946 hanno smesso di essere madri e mogli e sono diventate cittadine. Ha ricordato che il matrimonio riparatore e il delitto d’onore sono stati aboliti solo nel 1981. E che solo nel 1996 lo stupro è divenuto reato contro la persona e non più contro la morale. Tutto questo ora viene dato per scontato, eppure solo qualche decennio fa un uomo che stuprava una donna, per non essere perseguito, bastava che la sposasse. E un delitto commesso per “vendicare” una relazione extraconiugale poteva godere di sconti di pena.


Alla mia generazione spetta un compito strano, andare indietro nel tempo per recuperare strumenti che ci tornano utili oggi. Spetta dare seguito alla meravigliosa utopia che alcuni visionari antifascisti confinati a Ventotene nel 1941 mettevano per iscritto: l’utopia di poter davvero costruire un’Europa unita, mentre l’Europa era in guerra. Ed è nel rapporto con i flussi migratori la sfida che la mia generazione deve superare. Sulla stessa linea, il consiglio che Riccardo Magi, segretario di Radicali italiani, dà a questo governo. Magi sottolinea come, ancora una volta, la logica dell’emergenza abbia prevalso sulla responsabilità e come, di nuovo, si sia appaltato a un paese che non si distingue per democraticità il controllo delle frontiere. Prima alla Libia di Gheddafi, oggi alla Turchia di Erdogan.


Non so Matteo Renzi dove trovi il coraggio di dichiarare, a difesa dell’accordo, che nel testo c’è un riferimento esplicito «ai diritti umani, alla libertà di stampa, ai valori fondanti dell’Europa». Magi propone un approccio differente, rispettoso della nostra storia e di quello che abbiamo vissuto come emigranti e come paese che sa accogliere, che ha competenze ma scarsi mezzi. Chi è in Grecia ora, stando all’accordo, dovrà essere condotto in Turchia. Da lì cercherà nuove strade per l’Europa, ancora una volta affidandosi a trafficanti di esseri umani. Magi suggerisce di stringere un accordo bilaterale Italia-Grecia per evitare che queste oltre 40mila persone cadano nelle mani dei trafficanti. Suggerisce di riconoscere, una volta in Italia, ai profughi provenienti dalla Grecia una protezione umanitaria temporanea che «permetterebbe il rilascio immediato di un permesso di soggiorno». Muniti di permesso di soggiorno, i rifugiati potranno viaggiare e sarà impossibile poterli respingere.


È questo l’unico mezzo che l’Italia ha per esercitare pressioni sui paesi europei, per portare attenzione sull’ennesimo fallimento e l’ennesima violazione dei diritti umani. Del resto, conclude Magi, «i fondi enormi destinati alla Turchia sarebbero più che sufficienti per finanziare programmi efficaci di reinsediamento e ammissione umanitaria a livello Ue». Non abbiamo scelta. Non possiamo decidere se essere solidali o non esserlo. Dobbiamo accogliere, ne va del nostro futuro. Quello che sta accadendo in Francia, decine di migliaia di persone d’inverno, chiuse in lager, nel fango e in tende fatiscenti, se ce lo avessero raccontato dieci anni fa avremmo stentato a crederlo. C’è stata un’accelerazione nella storia che ha reso accettabili questi orrori. Noi, come generazione e in quanto italiani potremmo fare la differenza. Basta avere coraggio e guardare oltre.


Fonte: L’Antitaliano.




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Published on March 25, 2016 03:41

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