Andrea Indini's Blog, page 82

December 16, 2019

Le sardine gettano la maschera: sono dalla parte dell'illegalità

Andrea Indini




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le sardine gettano la maschera
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Published on December 16, 2019 05:50

December 13, 2019

La lunga strada verso la Brexit

Brexit
Unione europea (Ue)




Andrea Indini




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Boris Johnson
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Published on December 13, 2019 11:42

December 11, 2019

Così Conte ci impone il Mes: "La Ue è una grande famiglia"

Andrea Indini




Incassato il via libera del M5s, il premier tira dritto sul trattato: "Basta sospetti, non avete nulla da temere". Ma è un bluff


I rischi, le trappole, il salasso. Rimane tutto nel nuovo accordo di riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), raggiunto nella notte dalla maggioranza. Alla fine anche il Movimento 5 Stelle, nonostante le riottosità dei ribelli, si inchina alla linea europeista del premier Giuseppe Conte. Che, dopo aver incassato il via libera sul Fondo salva-Stati, si fionda in parlamento per dipingere l'Unione europea come "una grande famiglia" e invitare gli alleati di maggioranza, che non più tardi di ieri erano pronti a far saltare il banco, a "non dividersi". L'appello, lanciato in vista del Consiglio europeo che inizierà domani, nasconde quella che è la realtà dei fatti: l'accordo, al di là della "logica del pacchetto" che chiede di far procedere di pari passo la riforma del Mes con l'unione bancaria e la Bicc, non rivede le ingenti rate da versare né tutela l'Italia da clausole pesantissime che, se attivate, potrebbero finire per metterci in ginocchio.


I toni sbandierati dai Cinque Stelle sono trionfalistici. "Siamo soddisfatti per la risoluzione di maggioranza che prevede le modifiche richieste", fanno sapere fonti pentastellate ai microfoni dell'agenzia Adnkronos arrivando addirittura a lodare l'alleato piddì ("serio e responsabile"). "Ci sarà il pieno coinvolgimento del Parlamento prima dei prossimi passi sul Mes - dicono - ogni decisione verrà presa ascoltando le Camere, non firmeremo nulla al buio". La stessa linea viene tenuta da Conte davanti alle Camere. Un tentativo (vano) di "vendere" un trattato che non trova consensi né in parlamento né nel resto del Paese. Anche perché, col senno di poi, il tira e molla degli ultimi giorni suona come una pantomima orchestrata ad arte per far digerire una riforma estremamente pericolosa per il Paese. "I Cinque Stelle - fa notare la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni - hanno fatto finta di ottenere qualcosa prima di cedere anche su questo...". Non è infatti un mistero che, come ha ricordato Gianluigi Paragone, il movimento è sempre stato contro il Mes. "Ci vogliono convincere che alla fine ne approveremo solo un po' - scrive su Facebook il senatore grillino - sono ridicoli".


Le parole pronunciate da Conte in parlamento sono state studiate attentamente per infondere tranquillità. "L'Italia non ha nulla da temere", assicura. "Il debito - continua - è pienamente sostenibile". E promette: "Lo dimostrano le valutazioni delle principali istituzioni internazionali, inclusa la Commissione europea e i mercati". Peccato che già in molti, a partire dall'Abi, hanno espresso le proprie preoccupazioni per un meccanismo che ci impone di sborsare, attraverso emissioni speciali di titoli di Stato, altri 125 miliardi e 395 milioni di euro nel caso in cui sull’Unione europea si abbatta una nuova crisi economica. Per far digerire questa mazzata Conte si aggrappa alla logica di pacchetto assicurando "l'equilibrio complessivo dei diversi elementi al centro del processo di riforma dell'Unione economica e monetaria e valutando con la massima attenzione i punti critici". In realtà, come fa notare anche la Meloni, questa strategia rischia di rivelarsi persino più rischiosa. Perché per quanto la vigilanza unica e la garanzia comune sui depositi, che costuiscono l'unione bancaria, possano anche essere convenienti, ad oggi è stata resa pubblica solo la riforma del testo del Fondo salva-Stati. "Non sappiamo ancora cosa c'è dentro al testo sulla garanzia dei depositi", avverte la leader di Fratelli d'Italia.





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Giuseppe Conte
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Published on December 11, 2019 01:38

December 10, 2019

Sardine sotto vuoto (di idee)

sardine




Andrea Indini




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Mattia Santori
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Published on December 10, 2019 01:39

December 8, 2019

L'ordine degli assassini: tra droghe, morte e leggende

Matteo Carnieletto
Andrea Indini




Viaggio nella setta islamica che affonda le radici nell'XI secolo e che ha fatto dell'omicidio un rituale sacro


Le lingue di fuoco si alzano verso il cielo, danzando verso una notte senza stelle. I piccoli lapilli rossi e gialli cadono sulla sabbia spegnendosi poco dopo, mentre tutt'attorno il silenzio è rotto solamente da qualche parola fugace pronunciata sottovoce. Il fumo intenso avvolge tutto in un odore intenso ed acre. Si crea un sottile velo grigio, che divide la realtà dal mistero. Gli occhi si socchiudono e gli istinti più primordiali si scatenano. I segreti si sussurrano: i culti devono essere infatti conservati a ogni costo. Anche con la morte. Soprattutto qui, tra gli adepti della setta degli assassini.


Assassini, dall'arabo al-Hashīshiyyūn, ovvero coloro che sono dediti all'hashish. Oppure nizariti. Parole diverse per indicare un movimento complesso, nato all'interno dell'islam sciita e attorno al quale sono nate diverse leggende, compresa quella del consumo sfrenato di droghe prima di commettere violenze inaudite. Ma la storia de L'ordine degli assassini, per citare il titolo di un bel libro scritto da Marshall G.S. Hodgson e da poco pubblicato dalla casa editrice Adelphi, è molto più complessa e allo stesso tempo tenebrosa.


La via di Ḥasan-i Ṣabbāḥ

"Sin dalla fanciullezza, dall'età di sette anni, mi sentii attratto dalle varie scienze e desiderai un'istruzione relgiosa; e fino all'età di diciassette anni perseguii e ricercai la conoscenza. Ma continuai a osservare il credo duodecimano dei miei padri". A parlare è Ḥasan-i Ṣabbāḥ, il fondatore del movimento, in un resoconto riportato nell'opera di Rashid ad-Din. È un cercatore, un uomo con una grande urgenza religiosa a cui non basta la tradizione trasmessa dai padri. Cerca e vuole di più, senza però trovarlo, fino a quando non si imbatte nel rigore di quello che poi diventerà il suo primo gruppo, i Nizariti appunto, di adepti: "Era timoroso di Dio, pio, astinente, e apprensivo quanto al bere; io avevo orrore del bere, poiché è definito nella tradizione (habar) 'il colmo della lordura e la madre delle offese'".


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Ma questo per Ḥasan non è un punto di arrivo. È solamente un punto di partenza: compie infatti un viaggio in Egitto, passando per Azerbaijan e Siria, e trova un Paese in profonda crisi. Torna dunque in Iran, a Isfahan, e comincia a girare nei principali centri religiosi sottoposti al dominio selgiuchide. È in questo periodo che comincia a progettare un piano apparentemente folle: la liberazione della fortezza di Alamut, che rimarrà a lungo il vero centro del potere nazirita, a circa cento chilometri da Teheran.


I selgiuchidi - che all'epoca controllavano un territorio che andava dall'Iran alla Siria, passando per l'Iraq - iniziano a temere questo movimento e cominciano a perseguitarlo. Gli attacchi si fanno sempre più frequenti e i naziriti sembrano sul punto di soccombere. È a questo punto che Ḥasan pensa alla vendetta: è il momento degli omicidi mirati.


Uccidere, morire e risorgere

Gli omicidi compiuti dai niziriti non sono mai casuali, ma sono rivolti a due principali categorie, come spiega Hodgson ne L'ordine degli assassini: i capi militari e i "personaggi pubblici di rilievo locale che osteggiavano le loro dottrine o iloro privilegi, o che incitavano all'odio controi di loro: legisti e capi cittadini". L'assassinio diventa uno dei momenti principali della vita dei naziriti: un racconto, più di tanti, spiega l'importanza di questo vero e proprio rituale per i credenti: una madre scoppia di gioia nel venire a conoscenza della morte del figlio. La gioia, però, si trasforma in dolore quando scopre che il figlio era sopravvissuto. Perché il carnefice molto spesso si trasformava in vittima: attaccando personaggi noti veniva presto trucidato da chi li difendeva. Ma il nizarita moriva col sorriso, certo di un futuro migliore nell'aldilà. Per questa serenità, quasi stoica, molti hanno cominciato a pensare che gli aderenti a questo gruppo facessero uso di hashish. Eppure, questa convinzione, non trova alcuna sponda nei testi e nelle storie che riguardano questo grupppo.


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Anzi, Hodgson ne prende le distanze, affermando che spesso i nizariti sarebbero stati vittime di vere e proprie leggende nere in quanto minoranza e cita a tal proposito un esempio significativo: "La gente narrava con orrore e raccapriccio la storia del giardino del signore di Alamut, dove erano delizie - fiori, profumi, vini, donne voluttuose - che l'immaginazione potesse concepire. Nel sonno indotto da una pozione magica, giovani bellissimi vi venivano condotti per godere a sazietà di quei piacere - e per essere inviati, nei giorni seguenti, a uccidere i potenti della terra al prezzo delle loro vite. A loro erano riservate le delizie del Paradiso, e una libertà irresponsabile in cui venivano meno i legami passati e futuri; e loro era il puro orrore di un gesto spaventoso e di una morte devota".


Vita e morte: non poteva essere altrimenti per questa setta eternamente contesa tra alto e basso. Tra giusto e sbagliato. Tra vita e morte, appunto.





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Published on December 08, 2019 08:38

December 6, 2019

Il governo è appeso a un filo: i 5 dossier che lo fanno tremare

Matteo Carnieletto
Andrea Indini




Dallo scandalo sul Mes alla rissa sulla manovra: ormai in maggioranza se le danno per tutto. Il governo è andato in tilt: elezioni anticipate in vista?


"Io non vorrei andare a votare, ma se ci costringono lo faremo. È un peccato ma dobbiamo prenderne atto". Matteo Renzi è stato chiaro: il governo giallorosso ha il 50 per cento delle possibilità di rimanere in piedi. Un modo, neppure troppo velato, per dire a Giuseppe Conte di stare sereno (un'espressione, questa, che ancora oggi fa tremare Enrico Letta) e che l'esecutivo ha buone possibilità di arrivare al panettone. Ma è davvero così? Difficile dirlo. Sicuramente la percentuale di sopravvivenza è infinitamente inferiore rispetto a quella prospettata dal leader di Italia Viva. Quel che è certo che ci sono almeno cinque dossier che stanno mettendo a rischio un governo guidato da un premier, reso debole dalle rocambolesche trame dell'estate scorsa, e sostenuto da una maggioranza sempre più frammentata e litigiosa.


1. La (Mes)sa in scena di Conte

Chiamatelo un po' come volete: Mes o Fondo salva-Stati. Oppure, più correttamente, la polpetta avvelata che l'Europa, tramite Conte, ha provato a servirci. Fatto sta che la riforma del Meccanismo europeo di Stabilità potrebbe aver già registrato la sua prima vittima: lo sposalizio tra Cinque Stelle e Partito democratico. Un matrimonio di convenienza nato unicamente per evitare le urne e sbarrare a Matteo Salvini la strada per Palazzo Chigi. Ma andiamo con ordine e ripercorriamo quella che, più che l'estate dei mojito, passerà alla storia come la stagione degli intrighi. Già perché pare che negli scorsi mesi, oltre a tramare con gli uomini del procuratore generale degli Stati Uniti, William Pelham Barr, Conte si sia impegnato, anche grazie all'appoggio del ministro dell'Economia Giovanni Tria, a portare avanti, tenendo all'oscuro il Parlamento, una riforma profondamente lesiva per il nostro Paese e per i risparmi degli italiani.


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Ora che Salvini ha fatto esplodere il bubbone, accusando Conte di "alto tradimento" e minacciando di portare il caso al Quirinale, anche Luigi Di Maio ha dovuto ricredersi sull'affidabilità del premier. Lo ha fatto sicuramente perché si è accorto che il Mes rappresenta un problema per l'Italia, ma soprattutto perché ha visto il Movimento 5 Stelle crollare drasticamente nei sondaggi. E così, quando l'avvocato del popolo si è presentato in parlamento per cercare di spiegare il pasticcio fatto l'estate scorsa, gli chiesto di prendere tempo con i burocrati di Bruxelles. "È del tutto inutile fissare la data della firma, se prima non si fanno le modifiche", ha detto il ministro degli Esteri. Una pia illusione, che è stata subito stroncata dal presidente dell'Eurogruppo, Mario Centeno, il quale ha detto che il Mes non può essere modificato. Cosa farà ora Di Maio? Sfiderà il presidente del Consiglio oppure chinerà il capo pur di salvare la poltrona?


2. Sono tasse amare

Decrescita felice o infelici per la crescita? Le teorie economiche del Movimento 5 Stelle sono per lo meno bizzarre e spesso dannose (si veda alla voce Ilva di Taranto). Purtroppo, per noi, trovano spazio in un altro partito che si è sempre fregiato di amare le tasse a tal punto da alzarle non appena ha l'occasione. E così, non appena Di Maio e compagni hanno siglato l'accordo con Nicola Zingaretti, si sono messi a partorire una manovra economica recessiva e l'hanno infarcita di balzelli, imposte e tasse. Ed è proprio su questo che nelle ultime ore si stanno registrando gli scontri più duri all'interno del governo. La maggioranza non è riesce proprio a trovare la quadra. Oltre a mancargli circa mezzo miliardo (euro più euro meno) per riuscire a chiudere il cerchio, i litigiosi alleati non riescono proprio a venirne una sull'impianto complessivo della legge di bilancio. Sentono tutti l'imminenza delle elezioni anticipate e capiscono che questa partita potrebbe segnare (in bene o in male) i prossimi appuntamenti elettorali. Il prossimo 26 gennaio, in occasione del voto in Emilia Romagna, avranno un assaggio del termometro politico del Paese. Certo, giocheranno in casa, in una Regione storicamente rossa, ma dovranno far digerire ai propri elettori una manovra che penalizza il tessuto industriale del territorio, uno scandalo che dal paese di Bibbiano si è allargato a macchia d'olio in tutto il Nord Italia e la riapertura del business dell'immigrazione. Anche qui i sondaggi li danno messi parecchio male. E per questo anziché sciogliere i nodi preferiscono rinviarli a data da destinarsi.


La partita sulla manovra economica è ancora lunga. Si trascinerà fino a fine mese. E avrà sicuramente ripercussioni in Europa. Italia Viva, il partito fondato da Renzi per pilotare dall'esterno questo esecutivo, pretende dagli alleati che vengano rimosse plastic e sugar tax. "A me pare che la situazione si stia ingarbugliando, fossi il presidente del Consiglio e ministri cercherei di trovare soluzioni e lavorare...". Il punto è che i Cinque Stelle non vogliono sentir ragioni. "Dobbiamo avere la costanza di finirla", ha replicato Di Maio ritenendo "sacrosanto" mettere tasse sia sulla plastica sia sullo zucchero. "Dobbiamo avere il coraggio di dire che le aziende devono usare contenitori riciclabili e che gli alimenti con troppo zucchero vanno limitati...". Peccato che molte imprese che investono in entrambi i settori si trovino proprio in Emilia Romagna e il fatto che fra un mese si voti proprio in quella regione ha trasformato la spartizione di un tesoretto da 500 milioni in una battaglia prettamente politica. "Italia Viva ai lavoratori italiani preferiscono le multinazionali delle bibite gassate, come la Coca Cola - lamentano dal Nazareno - non vuole diminuire le tasse sul lavoro ma pensa solo a togliere la sugar tax per favorire società per azioni che non hanno sede neanche in Italia".


3. Una figura di Malta

Per oltre un anno, il Movimento 5 Stelle ha sostenuto la politica dei porti chiusi di Matteo Salvini, condividendone in parte i successi, come la riduzione degli sbarchi, già iniziata, a dir la verità, dopo la "cura" Minniti. Poi, all'improvviso, dopo la caduta del governo, i grillini hanno portato avanti una politica ambigua, facendosi abbindolare dalle sirene dell'Europa. Ma non solo: i dem hanno cercato di attuare una vera e propria inversione a U, mettendo sul piatto la possibilità di cambiare approccio nel rapporto con le ong e il superamento dei decreti sicurezza.


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Infogram


Il nuovo governo gialloverde ha subito riscontrato vistosi problemi nella gestione del tema immigrazione. In primo luogo perché, pochi giorni dopo l’insediamento, si è assistito ad un primo non trascurabile aumento del numero degli sbarchi in Italia. Per superare le difficoltà, dalla Germania è arrivata la prima sponda politica al Conte II. In particolare, Berlino ha promesso iniziative politiche volte a rendere automatica e obbligatoria la redistribuzione dei migranti arrivati in Italia. Il tema è stato discusso nel vertice di Malta lo scorso 23 settembre, ottenendo solo promesse che non sono però mai state mantenute.


Anzi: il documento uscito dal vertice de La Valletta è stato disatteso, la riunione si è rivelata un flop e non ha prodotto alcun effetto significativo. Nonostante questo, il ministro dell’interno Luciana Lamorgese ha rivendicato l’aumento del numero dei migranti redistribuiti nel resto d’Europa, considerandolo come un “primo successo” del vertice maltese. Al contrario, i dati parlano solo di un lieve incremento delle redistribuzioni rispetto al periodo del precedente esecutivo. Nessuna novità, dunque. E i numeri parlano chiaro.


I due nodi in cui la maggioranza rischia costantemente di sfaldarsi riguardano soprattutto i rapporti con le ong e il memorandum con la Libia. Sul primo versante, nonostante dal Viminale siano arrivate costantemente le autorizzazioni alle navi png per entrare in Italia, la sinistra del Pd pretende ulteriori segnali di discontinuità. Sul secondo fronte invece, c’è una consistente parte dell’attuale coalizione di maggioranza che vorrebbe l’interruzione dei rapporti con Libia. Il rinnovo automatico del memorandum con Tripoli, il 2 novembre scorso, ha destato parecchie tensioni interne ai giallorossi, che potrebbero aumentare ulteriormente a gennaio. Questo perché in quel mese si voterà il rifinanziamento delle missioni militari all’estero e sul sostegno alle forze libiche la maggioranza potrebbe spaccarsi. Il M5S vorrebbe proseguire i rapporti con Tripoli, la sinistra del Pd promette invece già ora battaglia. Il rischio di spaccarsi è dunque grosso.


4. Il governo sbanda a sinistra

All'inizio a sostenere il Conte bis avrebbero dovuto essere solo il Movimento 5 Stelle e il Partito democratico. Poi si è aggiunta la terza gamba. La sinistra più dura: un manipolo di parlamentari eletti con Liberi e Uguali che ha dato all'esecutivo una connotazione (se possibile) ancora più sinistra. Infine è arrivato Renzi che, dopo mesi di tentennamenti, ha trappato con i dem e si è creato un partito a suo uso e consumo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la decisione di escludere i renziani dalla spartizione delle poltrone e adesso Conte si trova una spina nel fianco che può staccargli la spina da un momento all'altro. L'ex premier non solo ha portato via una raffica di parlamentari al segretario Nicola Zingaretti, ma gli ha anche eroso parecchio consenso. Tanto che adesso al Nazareno devono fare i conti anche con Italia Viva, non più soltanto col dilagare del centrodestra.


Se l'alleanza gialloverde si polarizzava su due opposti che a fatica riuscivano a parlarsi, l'intesa giallorossa risulta un'accozzaglia caotica di ideologia contrapposte. Quattro anime contrapposte che guardano solo ai propri interessi, tanto da non essere nemmeno riusciti a stilare un contratto entro cui far marciare l'azione di governo. Nato con l'orizzonte di evitare al centrodestra di andare al potere e soprattutto di dargli la chance di esprimere il prossimo presidente della Repubblica, quando nel 2022 Sergio Mattarella lascerà il Quirinale, adesso tira avanti al solo scopo di non perdere le poltrone che, ancora una volta, si sono accaparrati senza passare dalle elezioni. Il risultato è una sfilza di errori strategici sui tutti i tavoli più importanti che stanno costando caro al nostro Paese. E, anziché lavorare per sistemarli, preferiscono rinviare le scelte di qualche mese per prlungare questa pericolosa agonia.


5. La Cina è vicina (e gli Usa sempre più lontani)

Sono ormai lontani i tempi in cui Donald Trump elogiava il buon "Giuseppi". Certo, a margine del summit della Nato a Londra ha detto che il presidente del Consiglio italiano sta facendo "un lavoro fantastico", eppure solamente qualche giorno fa, il presidente americano aveva minacciato l'Italia, insieme alla Francia, di nuove sanzioni nel caso in cui avesse approvato la Web Tax. Ma non solo: a impensierire Washington sono innanzitutto le aperture del nostro Paese nei confronti della Cina di Xi Jinping. Il memorandum sulla Nuova via della Seta, siglato dal governo gialloverde, rappresenta ancora un vulnus aperto, così come i continui flirt dei grillini (e dell'ala dem legata a Romano Prodi) con Pechino. Gli Usa insomma potrebbero staccare la spina da un momento all'altro, nel caso in cui "Giuseppi" dovesse finire tra le zampe del dragone. Una fine praticamente certa per l'autoproclamato avvocato del popolo.


Ha collaborato Mauro Indelicato





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Published on December 06, 2019 23:03

December 4, 2019

Lo schiaffo della Ue a Conte: "Il testo del Mes non si tocca"

Andrea Indini




Il presidente dell'Eurogruppo durissimo coi giallorossi: "Non vedo motivo per riaprire il testo. Si firma a inizio 2020". E Gentiloni rincara: "La riforma non ci penalizza"


Giusto questa mattina, in una intervista alla Stampa, il premier Giuseppe Conte ha assicurato che il negoziato sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) "non è chiuso". "Finché non è stata apposta alcuna firma ci sono sempre margini per migliorare", ha poi aggiunto, quasi a rincuorare Luigi Di Maio. I rapporti tra i due sono ai minimi storici: il leader pentastellato non ha preso affatto bene l'informativa del presidente del Consiglio e, dopo essersene andato da Montecitorio senza nemmeno salutarlo, ha rivendicato il peso grillino in parlamento per far passare il nuovo Fondo salva-Stati. Ma la promessa dell'avvocato del popolo ("Finché non si firma tutto è in discussione") si è subito schiantata contro il muro di Bruxelles. Il presidente dell'Eurogruppo, Mario Centeno, ha messo in chiaro che non ci sono motivi per modificare il testo: "La firma sarà il prossimo anno, come previsto".


"Questa firma ci impegnerà per i prossimi cinquant'anni". In mattinata Di Maio ha rilanciato dalla propria pagina Facebook la crociata contro il Fondo salva-Stati. "Finché non avremo la certezza al 200% che l'Italia sarà al sicuro, non apporrò nessuna firma". Nelle scorse ore ha ottenuto da Conte il via libera a trattare la riforma del Mes in una logica di "pacchetto" con l'unione bancaria e l'assicurazione sui depositi. Nel Partito democratico molti pensano che sia solo una tattica per attendista nella speranza che nel frattempo qualcuno ceda: l'Unione europea o i parlamentari pentastellati. La pazienza, però, non è illimitata e, dopo lo scannatoio giallorosso è stato reso pubblico, da Bruxelles e da Strasburgo sono iniziate ad arrivare le prime bordate. "Il testo sarà firmato l'anno prossimo", ha messo in chiaro il portoghese Centeno aggiungendo, in apertura dei lavori dell'Eurogruppo, che non vede "alcun motivo" per modificare la bozza della riforma. "Abbiamo preso una decisione a giugno - ha poi chiosato - ora possiamo solo affrontare questioni tecniche". L'accordo politico, insomma, è chiuso. E difficilmente il governo italiano riuscirà a cavarsene fuori indenne. Uno schiaffo in pieno viso a Conte che si era speso per garantire al parlamento italiano l'ultima parola sull'impalcatura del Mes.


A dar man forte al presidente dell'Eurogruppo ci ha subito pensato il commissario europeo agli Affari Economici, Paolo Gentiloni (video). "I cambiamenti che sono stati in linea generale concordati - ha garantito - non penalizzano nessun paese, non vedo perché debbano danneggiare l'Italia". Non è, infatti, un mistero che, mentre i CInque Stelle si aspettano da Conte la determinazione per chiedere le modifiche al trattato, al Nazareno non gradiscono toni troppo aspri nel dibattito con i partner continentali. Per i dem il Mes è "un nuovo ombrello protettivo" e nella loro propaganda nascondono tutti i rischi per l'Italia. Il nuovo sistema è un grandissimo favore a Berlino e a Parigi. Non a caso, non appena è arrivato a Bruxelles, il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, ha auspicato una ratifica rapida in tutti gli Stati membri. Italia compresa, ovviamente. Nelle prossime ore le pressioni (indebite) su Conte si faranno sempre più stringenti. Il vero test, dopo l'Eurogruppo di oggi a cui ha partecipato il ministro dell'Economia Riccardo Gualtieri, sarà il Consiglio europeo che si terrà il 12 e 13 dicembre prossimi e in cui toccherà a Conte fare la propria parte. E in quell'occasione il bliff del premier sarà definitivamente smascherato.


[[video 1794332]]





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Published on December 04, 2019 06:53

Così Tria e Conte hanno nascosto la trattativa sul Mes in Europa

Francesco Curridori
Andrea Indini




Aumentano i dubbi sulla trattativa dell'estate scorsa: chi sapeva cosa? Perché Tria non ha mai riferito in commissione? E perché Conte ha tenuto all'oscuro gli alleati


C'è molto delle ricostruzioni, fatte dal premier Giuseppe Conte prima e dall'ex ministro dell'Economia Giovanni Tria dopo, che non torna. Chi sapeva cosa della trattativa sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes)? Per il presidente del Consiglio è stato fatto tutto "in modo regolare", mentre in una intervista a Repubblica l'ex titolare del Tesoro si è addirittura spinto a dire che "i due vicepresidenti del Consiglio fossero stati informati del buon risultato". Eppure Matteo Salvini continua a sbugiardarli, inchiodando l'avvocato del popolo alle sue colpe e accusandolo di "alto tradimento". Per vederci chiaro bisogna fare però un salto allo scorso giugno, quando la rottura non si era ancora consumata del tutto ma qualcuno già tramava per farlo saltare.


L'estate scorsa, in un messaggio svelato nei giorni scorsi dal leghista Claudio Borghi, Salvini aveva messo in chiaro a Conte l'importanza di chiamarsi fuori dalle imposizioni di Francia e Germania. "Noi non firmiamo un cazzo", gli aveva intimato senza troppi giri di parole. Ma la trattativa è andata avanti. Sotto banco, appunto. "I viceministri non erano miei viceministri ma di Conte, quindi non dovevo avvertirli io della trattativa", ha ammesso anche Tria rivelando a In mezz'ora che "in Consiglio dei ministri non se n'è parlato perché non è quello il luogo". E non è solo in Cdm che si sono guardati bene dal dire cosa stessero facendo a Bruxelles. Nemmeno in commissione sono stati toccati i punti della riforma. "Noi abbiamo reiteratamente invitato Tria a venire in Commissione e in Parlamento, senza sortire alcun effetto", ha spiegato il leader leghista ieri. "Ci è sempre stato detto 'tranquilli, non abbiamo preso alcun impegno'". Poi la doccia fredda quando sui giornali è uscito che "qualcuno, magari per motivi non esclusivamente di interesse nazionale, l'impegno lo aveva già preso".


Per legge, se ci sono dei punti rilevanti da esaminare e soprattutto dei trattati che riguardano questioni economiche, deve essere lo stesso ministro dell'Economia a presentarsi nelle commissioni competenti senza nemmeno essere convocato. "Tria non è mai venuto a riferire sul Mes alla V commissione della Camera (Bilancio, Tesoro e programmazione, ndr), da me presieduta", spiega al Giornale.it Borghi. Non solo. Prima dell'Eurogruppo dello scorso giugno era stato chiamato dalla VI commissione di Palazzo Madama, quella presieduta da Alberto Bagnai, ma non si è mai presentato. "A differenza dell'attuale ministro Roberto Gualtieri - conferma al Giornale.it il senatore leghista - Tria era un po' restio a presentarsi alle Camere". Quando lo ha fatto, in audizione dopo il Consiglio di giugno, parlò di tutt'altro. Alla domanda puntuale di Andrea De Bortoli (FdI), prima tergiversò, spiegando che il tema era materia di Eurogruppo e non di Ecofin, poi disse che c'erano molte questioni su cui soprassedeva. Al botta e risposta si può risalire recuperando lo stenografico del Senato. "Le chiedo se sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità ci può dire qualcosa di più, anche alla luce della risoluzione approvata lo scorso giugno in Parlamento", chiedeva il senatore di Fratelli d'Italia. "Abbiamo ottenuto quello che volevamo, le correzioni, in un ambito di generale compromesso", si era limitato a dire Tria ammettendo che all'Ecofin c'era "stata una battaglia anche molto dura su alcuni punti". Tra questi "le metodologie di stima della stabilità del debito". "Abbiamo ottenuto che non fosse approvato il fatto di pubblicare le metodologie perché si potessero utilizzare questi sistemi di calcolo in modo anticipato per fare un rating sui debiti - aveva poi concluso l'allora ministro dell'Economia - ci sono molte altre questioni, su cui non entro". Non una parola di più.


Insomma, Tria è sempre stato restio a rivelare i contorni della trattativa sulla riforma del Fondo salva-Stati. Borghi fa notare, però, che la reticenza dell'ex ministro a presentarsi in commissione viola gli articoli 4 e 5 della legge 234 che impegnano il governo, "prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo", a illustrare alle Camere "la posizione che intende assumere". Posizione che deve comunque tener conto "degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati". "Per quanto mi riguarda - spiega il deputato leghista che presiede la commissione Bilancio di Montecitorio - non avevo motivo di pensare che la trattativa fosse problematica perché su questo tema c'era assoluto allineamento tra la posizione della Lega e del Movimento 5 Stelle". Anche Bagnai, col senno del poi, ammette che la procedura adottata l'estate scorsa lascia molti dubbi. Anche perché le comunicazioni tra il suo ufficio e quello del dicastero di via XX Settembre avvenivano solo "per le vie brevi", ossia telefonicamente. "La prassi era quella - ci spiega - la cosa mi aveva anche un po' stupito... Ora, alla luce degli ultimi episodi, ho chiesto che venga sempre mantenuta traccia scritta".


A fronte di tutte queste rivelazioni appare un po' difficile credere a Conte quando dice che "tutti i ministri erano stati informati". Di certo il parlamento non è mai stato aggiornato. E qualche dubbio sorge sul fatto che tutto il governo fosse stato allineato sulle mosse del premier a Bruxelles. Persino Luigi Di Maio, che non ha certo preso bene le accuse mosse dal premier durante l'informativa di lunedì scorso, ha dovuto ammettere che, per quanto anche loro dei Cinque Stelle sapessero che "il Mes era arrivato ad un punto della sua riforma", erano convinti che dovesse rientrare in "un pacchetto che prevede anche la riforma dell'unione bancaria e l'assicurazione sui depositi". Così non è stato. Il pasticcio fatto da Conte in Europa l'estate scorsa è riuscito a scontentare tutti i partiti che siedono in parlamento. E, se dovesse entrare in vigore così, rischia pure di penalizzare duramente gli italiani.





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Published on December 04, 2019 01:19

December 3, 2019

Ora Di Maio sfida Conte: "Il Mes cambi o il M5s non lo vota"

Andrea Indini




Di Maio in difficoltà pubblica un post (condiviso da Dibba) contro la linea di Conte: "Così com'è non conviene all'Italia". E prova a rivendicare: "Siamo noi l'ago della bilancia"


"Tutti i ministri sapevano...". Dev'essere stata anche questa durissima accusa ad aver fatto imbufalire Luigi Di Maio a tal punto da non aver degnato Giuseppe Conte di un applauso, nemmeno quando i suoi stessi parlamentari lo facevano timidamente. Alla Camera, ieri mattina durante l'informativa del presidente del Consiglio sul Meccanismo europeo di stabilità, il gelo tra i due è calato sin da subito e, quando gli interventi sono terminati, non si sono scambiati nemmeno un saluto. Poi, quando all'avvocato del popolo è toccato parlare a Palazzo Madama, il leader grillino si è guardato bene dal presentarsi in Aula. La risposta a quell'attacco, poi, è arrivata solo oggi, via Facebook. E, tra mille distinguo, rivendica la centralità del Movimento 5 Stelle per l'approvazione del Mes e non riesce a fare altro che accusare Matteo Salvini: "Sta portando avanti una sporca campagna mediatica".


Nei venti allegati portati ieri in Parlamento e nei due discorsi pronunciati a Montecitorio e a Palazzo Madama, Conte difende a spada tratta i negoziati dell'estate scorsa che hanno portato a un rocambolesca riforma del Fondo salva-Stati. La sua linea è tesa a smontare, punto per punto, le accuse che in questi giorni gli vengono mosse da Salvini e, al tempo stesso, per far intendere a Di Maio che non può pestare troppo i piedi per terra. E questo deve infastidirlo non poco. "Il premier è spalmato sulle tesi del Pd...", lamenta il leader grillino con i suoi prima di decidere di non presentarsi al Senato per il secondo round del premier. E, sebbene si fiondi a rassicurare i cronisti sulla compattezza del Movimento 5 Stelle, a sentire le voci dei parlamentari pentastellati raccolte in serata dall'agenzia LaPresse l'impressione è che, se e quando il trattato passerà al vaglio delle Camere, la maggioranza potrebbe anche non reggere. Gianluigi Paragone è per il "no", senza mezzi termini. Lo motiva ricordando il programma elettorale in cui il M5s si è impegnato a liquidare il Mes. "Io - tuona - sono stato eletto sulla base di quello c'è scritto qui". Anche Mario Giarrusso è perplesso: "Io ho fatto due campagne elettorali contro il Mes, quelle che abbiamo vinto". E non ha alcuna esitazione sulla possibilità di schiacciare il pulsante rosso per bocciare la riforma.


Di Maio sa bene che il voto sul Mes può segnare la fine del Conte bis. Questa eventualità finisce pure sul tavolo della riunione con i ministri pentastellati accorsi alla Farnesina prima del Consiglio dei ministri di ieri sera. Molti senatori sono contrari. Per il momento non tutti vogliono uscire allo scoperto. Ma i numeri preoccupano. E così il lungo post pubblicato oggi su Facebook, che raccoglie persino il like di Alessandro Di Battista ("Concordo. Non così non conviene all'Italia. Punto"), sembra proprio teso a calmare i ribelli del movimento. "Continueremo ad essere ago della bilancia. Decideremo noi come e se dovrà passare questa riforma del Mes, che è una cosa seria e su cui gli italiani debbono essere informati accuratamente", scrive invitando il governo di cui è azionista di maggioranza a prendersi del tempo "per fare quelle modifiche che non rendano questo fondo un pericolo". L'Unione europea è disposta a concedergli non più di due mesi. Ma i margini di manovra, per come si è impegnato Conte lo scorso giugno, sono davvero esigui. Per questo il sussulto del capo politico grillino suona più come un grido di disperazione mentre i sondaggi lo danno sempre più in affanno.


Alle accuse che gli vengono mosse da Conte, poi, Di Maio replica timidamente. Si limita infatti a dire che "certamente" anche loro dei Cinque Stelle sapevamo che "il Mes era arrivato ad un punto della sua riforma", ma sapevano anche che "era all'interno di un pacchetto, che prevede anche la riforma dell'unione bancaria e l'assicurazione sui depositi". "Quelle tre riforme, una volta ultimate, ci potranno dare un quadro complessivo dei vantaggi e dei rischi per l'Italia", rivendica spostando il tiro contro Salvini. "Non so cosa sapesse lui e non mi interessa... mi basta vedere la sporca campagna mediatica che sta portando avanti per capire le sue intenzioni". L'arrampica sugli specchi non basta a sviare la fatica di rimanere al tavolo con Conte, nonostante tutte le balle raccontate, e soprattutto a sanare l'incompatibilità con il Partito democratico che non si farà problemi a votare una piano marcatamente anti italiano.





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Published on December 03, 2019 02:48

December 2, 2019

Così Conte ha dato l'ok al Mes nella calda estate delle trame

Dalla riforma del Mes agli incontri con i servizi segreti Usa, così Conte ha preparato la strada al nuovo governo. E si è assicurato la poltrona a Palazzo Chigi






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Andrea Indini




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quella lunga estate delle trame


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Published on December 02, 2019 01:23

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