Andrea Indini's Blog, page 83

November 28, 2019

La villa, il mutuo e il prestito: la bufera giudiziaria su Renzi

Andrea Indini




Nel mirino dei 700mila euro prestati per la casa. Si muove l'antiriciclaggio. Ma Renzi assicura: "È tutto regolare". E querela


Chi ha dato i soldi a Matteo Renzi per comprasi la villa che fu della famiglia Puccini? È anche a questa domanda che i pm della procura di Firenze stanno cercando di rispondere. L'acquisto dell'immobile, oltre 275 metri quadrati di salotti, camere, bagni e terrazze con altri 1.600 metri quadrati di giardino intorno, è finito nelle carte dell'inchiesta sulla Fondazione Open che, dopo aver visto indagato il presidente Alberto Bianchi, si è abbattuta sugli imprenditori che per anni hanno finanziato l'ex premier dalla sua ascesa nel Partito democratico al referendum costituzionale del 2016. Parte di quei soldi, come anticipato ieri dall'Espresso, sarebbero andati a coprire proprio l'acquisto dell'immobile nella prestigiosa Pian de' Giullari.


Il mutuo per comprare la villa

"Il Pd chieda al suo ex segretario Renzi spiegazioni sulla Fondazione Open. Io mi auguro che non ci sia nulla di irregolare, ma ormai il danno è fatto". Parlando con Repubblica, l'ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti mette Renzi con le spalle al muro e non gli lascia ampi margini di manovra. "Se guidi un partito, se poi vai a Palazzo Chigi, e se hai una Fondazione per la tua attività politica, una spiegazione ci vuole". All'ondata di accuse, però, l'ex premier replica alzando un muro insormontabile e minacciando una raffica di azioni civili con cui si pagherà il suo "meraviglioso mutuo da un milione di euro". Nelle prossime ore presenterà, infatti, due denunce penali e due denunce civili contro chi ha violato il segreto bancario e contro chi oggi ha scritto "delle cose incredibili" sul suo conto. Nell'inchiesta sulla fondazione nata nel 2012 per sostenere le sue iniziative politiche (tra cui anche la Leopolda) e usata, secondo gli inquirenti, come "cassaforte" fino al 2018, quando l'avvocato Bianchi l'ha chiusa, è infatti finito il "prestito" per l'acquisto della villa di via Pietro Tacca, a pochi passi da piazzale Michelangelo.


Il prestito da 700mila euro

"Ho chiesto un prestito a un carissimo amico perché per cinque mesi non avevo quella disponibilità", ha spiegato questa mattina lo stesso Renzi ai microfoni di Radio Capital. "Che però questa roba esca in questo modo, come avvertimento dopo quello che ho detto sul vulnus alla democrazia, dovrebbe farvi sobbalzare, perché non ho fatto niente di illegale. Di che cosa stiamo parlando?". Gli inquirenti, però, non la pensano così. A suo tempo, infatti, era stato detto che un mutuo acceso con il Banco di Napoli era servito a coprire 900mila euro. L'immobile, però, gli era costato 1,3 milioni di euro. E ora si parla di un "prestito anomalo". Il punto è capire chi glielo ha fatto. Secondo L'Espresso, arriverebbe dai fratelli Maestrelli, già finanziatori della Fondazione Open, che attraverso il conto dell'anziana madre Anna Picchioni gli hanno permesso di coprire la caparra di 400mila euro con quattro assegni da 100mila euro l'uno. Un'altra ipotesi, come spiega Fabrizio Boschi sul Giornale oggi in edicola, potrebbe essere che il leader di Italia Viva abbia prelevato i soldi "direttamente dalle casse della Fondazione Open".


La nomina dell'amico-finanziatore

Ai microfoni di Radio Capital Renzi ha assicurato che quanto fatto è "tutto regolare trasparente". Un prestito da "un carissimo amico", appunto. "Niente di illegittimo, c'è un atto formale, una scrittura privata, un bonifico". Eppure, come riporta il Corriere della Sera, questa operazione è stata segnalata già un anno fa dall'Unità antiriociclaggio (Uif) come "sospetta". Nello stesso calderone sarebbero poi finiti pure gli accertamenti sulle carte di credito messe a disposizione della fondazione Open a parlamentari come Luca Lotti, Maria Elena Boschi e Marco Carrai. E non solo. Nel mirino degli inquirenti ci sarebbe, infatti, anche la nomina di Riccardo Maestrelli nel consiglio di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti. A farla, nel 2015, era stato nominato proprio dal governo presieduto da Renzi.





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Published on November 28, 2019 00:57

November 27, 2019

Il tribunale dei ministri dà ragione a Salvini: "Le Ong sbarchino nei loro Paesi"

Andrea Indini




Il tribunale dei ministri annienta le tesi dei magistrati buonisti: "Lo Stato di primo contatto è quello della nave che ha provveduto al salvataggio"


Giusto una settimana fa la procura di Agrigento si è rimessa in testa di provare a inchiodare Matteo Salvini accusandolo dei reati di sequestro di persona e omissione di atti di ufficio. Per farlo hanno ritirato fuori il caso dei 164 immigrati clandestini che, dopo essere stati recuperati al largo della Libia, la Open Arms, la nave dell'ong spagnola fondata nel 2015 dal catalano Oscar Camps, aveva portato nel porto di Lampedusa. L'allora ministro dell'Interno li aveva bloccati una ventina di giorni nel tentativo di far rispettare il decreto Sicurezza. E così i pm hanno fatto fioccare un'inchiesta fotocopia di quella (già archiviata) sul caso Diciotti. E pensare che, come riportano il Corriere della Sera e il Fatto Quotidiano, anche il fascicolo sui 65 che si trovavano a bordo della "Alan Kurdi", la nave della ong tedesca Sea Eye, è stato liquidato dal tribunale dei ministri di Roma lo scorso 21 novembre. Certo, in questo caso le accuse sono omissione di atti di ufficio e abuso di ufficio, ma quel che conta è che le toghe hanno rimarcato un principio sacrosanto: "Le organizzazioni non governative devono sbarcare nel proprio Paese".


Sin da quando Salvini ha avviato la campagna contro l'immigrazione clandestina, i magistrati hanno fatto di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote. "Per me difendere il mio Paese è sempre una medaglia", ha ripetuto in più di un'occasione l'ex ministro dell'Interno tirando avanti nonostante le inchieste e i ripetuti tentativi di vari magistrati di smantellare i decreti Sicurezza per riaprire i porti italiani. Adesso, però, il tribunale dei ministri ha messo nero su bianco che la linea del leader leghista non solo è lecita ma dovrebbe anche essere rispettata a livello europeo. Sebbene la responsabilità di assegnare un "porto sicuro" all'imbarcazioni, che trasportano gli immigrati prelevati in mare, tocchi allo "Stato di primo contatto", le indicazioni ricavate da Convenzioni e accordi internazionali stabiliscono che "lo Stato di primo contatto non può che identificarsi in quello della nave che ha provveduto al salvataggio". Pertanto non spetta all'Italia farsi carico delle organizzazioni non governative che continuano a bussare alle loro porta. Nel caso della "Alan Kurdi", che dopo il "no" di Roma si era diretta a Malta, ha dunque fatto bene Salvini a bloccarla visto che l'imbarcazione batte bandiera tedesca. Anche perché, nonostante in alcuni casi le coste del Paese di riferimento della nave siano lontane, "la normativa non offre soluzioni precettive idonee ai fini di un intervento efficace volto alla tutela della sicurezza dei migranti". Nemmeno quando questi sono in pericolo.


Sul caso dei clandestini bloccati a bordo della Sea Eye lo scorso aprile non ci sarà dunque alcun processo. "Ora sono curioso di vedere a questo punto cosa decideranno le altre procure", ha rimarcato Salvini dopo l'archiviazione. Purtroppo, come già anticipa Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, il provvedimento del tribunale dei ministri non metterà la parola fine ad altre inchieste. Le motivazioni del collegio ministeriale di Roma restano comunque una vittoria politica per il leader leghista che ci ha subito tenuto a rimarcare che "finalmente" è stato riconosciuto da un giudice che "bloccare gli sbarchi non autorizzati di immigrati non è reato". E così, sulla scorta di questa sentenza, ha fatto ugualmente bene tutte le volte che da ministro dell'Interno ha spronato il governo a opporsi ai blitz delle ong straniere nei porti italiani. Anche quando, come nel caso della Sea Watch 3, Carola Rackete era addirittura arrivata a infrangere il divieto di ingresso e a speronare una motovedetta della Guardia di Finanza pur di entrare nel porto di Lampedusa (guarda il video). Peccato però che per la sinistra nostrana la capitana resterà sempre una campionessa di civiltà e il capitano il male assoluto. Il tutto in barba alla legge italiana.





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Published on November 27, 2019 01:18

November 26, 2019

Ombre cinesi su Beppe

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Published on November 26, 2019 08:06

November 24, 2019

La Chiesa a gamba tesa su Salvini: arriva il manifesto anti sovranista

Andrea Indini




A due mesi dalle regionali in Emilia Romagna, la Chiesa scende in campo contro Salvini. In arrivo il manifesto anti sovranista dal titolo Odierai il prossimo tuoi


Si sono sempre fronteggiati a distanza. Sin da subito tra l'arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi, fatto cardinale da papa Francesco lo scorso 5 ottobre, e il leader della Lega Matteo Salvini non è corso buon sangue. In più di un'occasione il porporato, che qualche mese fa non ha storto il naso quando alla festa del santo patrono sono stati serviti tortellini senza carne di maiale per non infastidire i musulmani, se ne è uscito incolpando i "porti chiusi" del leader leghista per i migranti che muoiono in mare. Da sempre considerato cappellano del Pd, la sua "promozione" è stata salutata con entusiamo non solo dagli ultrà dell'accoglienza, ma anche dalla sinistra più radicale e dalla comunità Lgbt. E ora, a due mesi dalle elezioni regionali in Emilia Romagna, arriva in libreria con un libro dal titolo già di per sé emblematico, Odierai il prossimo tuo (edizioni Piemme), che non solo è un manifesto anti sovranista ma anche un'accusa durissima all'ex ministro dell'Interno.


La mossa elettorale

Quando, nei giorni scorsi, è trapelata sui giornali la notizia che Zuppi e Salvini si fossero incontrati, è serpeggiato parecchio scetticismo. Perché i due sono ideologicamente lontanissimi e difficilmente potrebbero sedersi a un tavolo e trovare dei punti di contatto. "Non l'ho incontrato", ha subito smentito il leader del Carroccio parlando con i giornalisti a margine di un comizio a Rimini. "Sui giornali scrivono tante cose, ieri ho avuto una giornata ricca ma non ho incontrato Zuppi. L'ho scoperto anche io sul giornale". Capitolo chiuso. O quasi. Perché, da qui alle elezioni del prossimo 26 gennaio, i due torneranno a scontrarsi, anche se a distanza. E la doppia pagina che la Lettura del Corriere della Sera gli ha dedicato oggi, ribattezzandolo "l'anti sovranista", è la riprova che si andrà proprio in questa direzione. Il suo libro, che guarda caso viene pubblicato in piena campagna elettorale per le regionali, ripercorre i cavalli di battaglia della chiesa bergogliana e della sinistra anti leghista. "L'accoglienza non è un incubo da evitare, è il modo in cui la società cresce, ringiovanisce, matura", scrive il vescovo di Bologna denunciando il rischio di "non commuoversi più per la condizione di chi non ha nulla o è in pericolo".


Le tesi terzomondiste

"Qualche volta la povertà sembra una colpa e l'aiutare è ridotto a buonismo". Per Zuppi la ricetta sovranista per correggere la globalizzazione è non solo "ingenua", ma soprattutto "pericolosa". "L'enfasi sulle frontiere ha troppo in comune con le ossessioni dei nazionalismi che hanno avvelenato il secolo scorso con due guerre mondiali e il paganesimo della superiorità della razza - accusa il porporato - per dire che i diritti dei 'miei' sono più dei diritti dei 'tuoi' occorre coprire la realtà, creare narrazioni plausibili ma infondate, creare gerarchie tra persone, capri espiatori, nemici, congiure internazionali". Questo modo di pensare, a suo dire, genera odio contro "l'invasione dello straniero". "Oggi c'è ancora tanta fame, ma si rimprovera chi fugge - molti migranti cosiddetti economici - come se la povertà fosse una loro colpa e dovessero restare là, nella loro terra, 'a casa loro' - argomenta ancora - pensiamo come normale diritto di sovranità sbattere la porta in faccia senza nemmeno domandarci in maniera seria, almeno un po', perché sono venuti. 'Europa- fortezza' sembra a tanti una formula suggestiva, muscolare, ma copre una debolezza e ha gli occhi rivolti al passato, non prende sul serio nemmeno il declino demografico del nostro continente".


Nel pamphlet, di cui anche Repubblica oggi ha pubblicato ampi stralci, trovano spazio tutte le tesi che fanno gola ai fan dell'immigrazione. Non solo per quanto riguarda l'accoglienza senza se e senza ma. L'apertura di nuove moschee ("nel rispetto delle leggi") viene, per esempio, vista come l'occasione per favorire il dialogo con gli islamici, mentre la cittadinanza facile viene letta come un'occasione per integrare gli extracomunitari. "Se una legge come quella dello ius culturae venisse approvata - spiega Zuppi nel suo libro - porterebbe all'integrazione completa di migliaia di bambini che vivono fianco a fianco con i nostri figli, che studiano le stesse materie, che fanno il tifo per le stesse squadre e amano gli stessi eroi, per farli partecipare da protagonisti alla nostra cultura, alle nostre tradizioni e alla nostra civiltà - continua l'arcivescovo - regole chiare, diritti e doveri ma anche un' opportunità che rende l'integrazione sicura, duratura, possibile".


La partita per le regionali

Oggi Zuppi è il cardinale italiano più giovane. E la sua teologia collima con quella di papa Francesco che all'ultimo concistoro ha appunto voluto premiare questo "prete di strada" che si è formato nella comunità di Sant' Egidio. Una scelta che valica l'organigramma della Chiesa cattolica e che sconfina nella politica. Tanto che, come sottolinea già il Corriere della Sera, il suo Odierai il prossimo tuo può già essere considerato una sorta di manifesto anti sovranista. Anche in Vaticano viene avvertita la portata del voto in Emilia Romagna. La Regione "rossa" per eccellenza rischia davvero di passare, per la prima volta, nelle mani del centrodestra e per di più di una candidata leghista, Lucia Borgonzoni. C'è un sondaggio "segreto" che gira ormai da qualche settimana e che dà il presidente uscente Stefano Bonaccini e il Pd a rincorrere Salvini &Co. Già alle europee dello scorso maggio il Carroccio ha portato a casa più del 33% dei voti. Ora, però, sembra che il Partito democratico si sia del tutto asserragliato nelle grandi città lasciando al "capitano" la possibilità di dilagare nelle periferie e nelle campagne. Da qui il tentativo delle "sardine" (tutte allevate nell'acquario dem) di riprendersi le piazze catalizzando l'odio contro l'ex ministro dell'Interno. Un tentativo, che nonostante l'assist fornito anche da Zuppi, potrebbe cadere a vuoto.


Se Salvini e il centrodestra dovessero davvero riuscire nell'impresa di liberare l'Emilia Romagna dal giogo della sinistra, le ripercussioni di questo terremoto politico arriverebbero a farsi sentire sino a Roma. A quel punto Nicola Zingaretti non potrà più far finta di nulla, come ha invece fatto dopo la sonora sconfitta in Umbria, e il governo giallorosso avrebbe definitivamente le ore contate.





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Published on November 24, 2019 03:11

November 23, 2019

La grande trappola dietro il Mes

Andrea Indini




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i 4 punti che inchiodano Conte
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Published on November 23, 2019 08:16

November 19, 2019

Trenta costretta a traslocare: rinuncia alla casa da ministra

Andrea Indini




La Trenta lascerà l'appartamento in centro a Roma ma rivendica: "Non ho violato la legge". Poi grida al complotto: "Da ministro ho dato fastidio"


Alla fine, travolta dalle polemiche, Elisabetta Trenta ha rinunciato all'appartamento dello scandalo. Nelle prossime ore farà gli scatoloni e traslocherà dall'alloggio che le è stato assegnato quando aveva assunto la guida della Difesa. Centottanta metri quadrati in pieno centro a Roma per la modica cifra di 540 euro al mese. Fino a ieri diceva che non se ne sarebbe mai andata perché, conducendo "una vita di relazioni", ha bisogno di "una casa grande". Nella notte, poi, il repentino cambio di idea e la comunicazione a 24 Mattino su Radio 24 dell'istanza di rinuncia. Il marito la avrebbe già presentata, "pur essendo tutto regolare", per "salvaguardare la famiglia". Ovviamente non se ne andranno subito. "Lasceremo l'appartamento nel tempo che ci sarà dato per fare un trasloco e mettere a posto la mia vita da un'altra parte - ha sentenziato l'ex ministro - sono una cittadina come gli altri, chiedo e pretendo rispetto".


Nemmeno Luigi Di Maio e il Movimento 5 Stelle l'ha difesa. Così, scaricata da tutti e sotto il fuoco incrociato di maggioranza e opposizione, la Trenta ha dovuto fare un passo indietro. Lo ha fatto dopo quarantotto ore di polemiche e ultimatum che hanno dato l'ennesima riprova del doppiopesismo pentastellato. Ai microfondi i Radio 24 ha assicurato di essersi confrontata con il capo politico grillino e di averlo convinto delle sue ragioni. In chiaro, però, sono piovute solo bordate. Tanto che, nonostante le prime dichiarazioni in cui rivendicava il diritto a rimanere in quell'appartamento a poche centinaia di metri da piazza san Giovanni in Laterano, si è vista costretta a chiedere al marito Claudio Passarelli di presentare l'istanza di rinuncia. La decisione è arrivata solo per opportunità politica. Non è stata, infatti, accompagnata da alcun mea culpa. "La mia colpa è essere una persona per bene", ha rivendicato gridando, poi, al complotto: "Forse avrò dato fastidio a qualcuno quando facevo il ministro...". Non ammette che la sua possa essere stata una scelta inopportuna come le è stato fatto notare da più parti. "Si sta lasciando passare l'idea falsa che l'ex ministro abbia mantenuto la casa di servizio. Quell'alloggio è stato assegnato temporaneamente a mio marito. Ci dormo perché sono la moglie", ha poi puntualizzato spiegato che l'appartamento è stato assegnato al consorte "perché lo prevede il regolamento" che gli dà "le caratteristiche per usufruire di quella assegnazione".


Il refrain del "non ho violato alcuna legge" si scontra con quanto sta emergendo nelle ultime ore. Dopo che la procura militare della Capitale ha aperto un fascicolo per vederci chiaro su quanto accaduto, Fiorenza Sarzanini ha, infatti, svelato sul Corriere della Sera l'iter-lampo per tenersi la casa avuta da ministra. Sarebbero, infatti, bastate appena quarantotto ore perché l'alloggio venisse riassegnato al marito che è ufficiale dell'Esercito italiano con il grado di maggiore e attualmente svolge un incarico di prima fascia. "Lo abbiamo fatto per evitare ulteriori aggravi economici sull'amministrazione (a cui competono le spese di trasloco, ndr)", si è giustificata ieri. Grazie a questo trucco, anziché tornsene al Pigneto, dove vivevano prima, sono rimasti nel super appartamento in centro a Roma che consta di quattro camere, due bagni, un salone doppio, una cucina con terrazzo, il posto auto e la cantina.


Lo scontro con i Cinque Stelle avrà sicuramente ripercussioni nel movimento. E non solo perché quello della Trenta è l'ennesimo caso di grillini che fanno i furbetti con gli immobili. In passato avevano già fatto parlare sia l'affitto della casa di Rocco Casalini pagato coi soldi pubblici destinati al movimento sia gli alloggi popolari assegnati alla madre di Paola Taverna e al senatore Emanuele Dessì. Persino quest'ultimo si è fiondato a fare dei distinguo tra la sua situazione e quella della Trenta. "Io vivo in cinquanta metriquadri con altre quattro persone...", ha puntualizzato. All'ex ministro, questa corsa a scaricarla non è affatto piaciuto. "Non sono stata trattata bene", ha lamentato pur non mettendo in diuscussione la permanenza nel M5s. "Magari mi prenderò una pausa di riflessione".





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Published on November 19, 2019 01:13

November 18, 2019

Open Arms, Salvini è indagato. I pm: "Fu sequestro di persona"

Andrea Indini




Nuovo assalto della magistratura. Adesso l'ex ministro dell'Interno è indagato per aver provato a respingere la nave dell'ong spagnola che aveva a bordo 164 clandestini


I pm tornano a caricare Matteo Salvini. L'assalto è la fotocopia del caso Diciotti. L'ex ministro dell'Interno si ritrova nuovamente iscritto nel registro degli indagati della procura di Agrigento. Le accuse che gli hanno mosso contro sono sequestro di persona e omissione di atti di ufficio. A questo giro la magistratura lo vuole inchiodare per aver bloccato per diciannove giorni i 164 immigrati clandestini che, dopo essere stati recuperati al largo della Libia, la Open Arms, la nave dell'ong spagnola fondata nel 2015 dal catalano Oscar Camps, aveva portato nel porto di Lampedusa non appena il Tar del Lazio aveva annullato il divieto di ingresso in acque territoriali italiane firmato dal governo.


Stesso copione, stesse accuse, stesso teorema. In soccorso delle ong, che affollano il Mediterraneo facendo la spola dalle coste del Nord Africa ai porti italiani per aiutare i clandestini che tentano la rotta via mare per raggiungere il Vecchio Continente, si è fiondata (ancora una volta) la magistratura siciliana andando a indagare Salvini per un caso che risale allo scorso agosto, poco prima che il leader leghista facesse saltare il primo governo Conte. E gli spagnoli di Open Arms già esultano. "Venti giorni davanti alle coste di Lampedusa senza poter far sbarcare uomini, donne e bambini vulnerabili - ha scritto l'organizzazione non governativa su Twitter - 68 evacuazioni mediche, quindici persone recuperate dopo essersi gettate in acqua nel tentativo di raggiungere terra. Sequestro di persona". Accuse che non hanno assolutamente scalfito Salvini che non solo ha rivendicato quanto fatto quando sedeva sulo scranno più alto del Viminale ma che ha anche assicurato di essere pronto a "rifare tutto" una volta che tornerà al governo. "Altra indagine, altro processo per aver difeso i confini, la sicurezza, l'onore dell'Italia? - ha commentato - per me è una medaglia".


Adesso il fascicolo è sul tavolo del procuratore capo Franco Lo Voi che ha a disposizione dieci giorni per fare le proprie valutazioni e decidere se confermare o meno le ipotesi di reato, che sono state mosse contro Salvini, riformularle oppure chiederne l'archiviazione. Lo scorso marzo per un caso analogo, quello scoppiato nell'agosto del 2018 quando era stata bloccato la nave della Guardia costiera italiana "Ubaldo Diciotti" dopo che questa aveva soccorso 190 immigrati al largo dell'isola di Malta, il parlamento aveva negato agli stessi pm di Agrigento l'autorizzazione a procedere nei confronti del leader del Carroccio.





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Published on November 18, 2019 23:31

Si muove la procura militare: c'è un fascicolo sulla casa alla Trenta

Andrea Indini




La magistratura militare vuole vederci chiaro sulla grillina che è rimasta nell'appartamento anche dopo la fine dell'incarico al ministero della Difesa


Non un passo indietro. Elisabetta Trenta non intende lasciare l'appartamento in centro a Roma che le è stato assegnato quando era alla Difesa per il primo governo Conte. Lì dice di viverci molto bene. Perché ha "necessità di parlare con le persone in maniera riservata" e la metratura dell'alloggio le è sufficiente per permetterle questa "vita di relazioni e di incontri" che ha intrapreso dopo essere stata ministro. Per starci, come rivela lei stessa a Radio Capital, paga un affitto di 540 euro al mese. Il punto è che, obbligata dal regolamento ad andarsene tre mesi dopo la fine dell'incarico, ha trovato una sorta di escamotage per non fare gli scatoloni. Tanto che la procura militare ha già aperto un fascicolo per far luce su quanto accaduto.


Nelle interviste che rilascia a destra e a manca, la Trenta assicura a tutti quanti di aver il diritto di rimanere in quella casa (guarda la gallery). Anche a Di Maio, che ieri le ha chiesto spiegazioni, ha ripetuto lo stesso copione. E cioè che, essendo il marito ufficiale dell'Esercito con il grado di maggiore e svolgendo attualmente un incarico di prima fascia per cui è previsto una casa del medesimo livello di quella assegnata a lei, "per evitare ulteriori aggravi economici sull'amministrazione", a cui competono le spese di trasloco, è stato riassegnato loro lo stesso appartamento. I grillini, che la hanno portata al ministero e la hanno sempre sostenuta anche quando era entrata in conflitto sia con Matteo Salvini sia con i vertici militari, non hanno creduto a questa ricostruzione e la hanno scaricata chiedendole di lasciare la casa immediatamente. Anche la procura militare della Capitale sembra poco convinta sulla procedura seguita e, come spiega l'agenzia Adnkronos, ha aperto un fascicolo a modello 45. Al momento non ci sono indagati né ipotesi di reato. "Si tratta di un'indagine meramente conoscitiva per compiere i dovuti accertamenti sul caso", spiegano fonti della procura militare.


E, mentre la magistratura fa il suo corso, anche le opposizioni si muovono per sapere chi altro era a conoscenza del fatto che la Trenta vivesse ancora in quell'appartamento. Di Maio ha subito detto che lui non ne sapeva nulla. Ma Giorgia Meloni ha subito insinuato il dubbio sui suoi stessi compagni di partito. "Mi domando se in quell'appartamento che l'ex ministro reputa indispensabile 'per poter ricevere persone in massima riservatezza', la signora Trenta abbia mai incontrato anche quegli esponenti grilllini che oggi le puntano il dito contro", si è chiesta la leader di Fratelli d'Italia. D'altra parte è nel dna dei Cinque Stelle essere spregiudicati col mercato immobiliare. Già in passato il movimento si erano distinti per i casi dell'affitto della casa di Rocco Casalini pagato coi soldi pubblici destinati al movimento e gli alloggi popolari assegnati alla madre di Paola Taverna e al senatore Emanuele Dessì. Quest'ultimo, però, ci ha tenuto a sottolineare che lo scandalo che ha travolto la Trenta è diverso dal suo. "Anche io ho una vita di relazioni - ha ironizzato - ma vivo in 50 metri quadrati con altre quattro persone". Quel che è certo è che tra tutti quanti fanno il possibile per scontarsi l'affitto di casa.


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Published on November 18, 2019 07:10

La Trenta non lascia la casa: "Ho una vita di relazioni, mi serve un appartamento grande"

Andrea Indini




Imbarazzo nel M5s per la Trenta che si è tenuta l'alloggio da ministra in centro a Roma. Lei non se ne va e insiste: "Ne ho bisogno, ho una vita di relazioni"


"Ormai la casa è stata assegnata a mio marito e in maniera regolare. Per quale motivo dovrebbe lasciarla?". Nonostante le ripetute pressioni di Luigi Di Maio e del Movimento 5 Stelle, che a suo tempo l'hanno paracadutata al dicastero delle Difesa e che sempre la hanno difesa quando anche i militari mostravano malcontento nei suoi confronti, Elisabetta Trenta tira dritto per la sua strada e, dopo lo scandalo fatto scoppiare da Fiorenza Sarzanini dalle colonne del Corriere della Sera, si asserraglia in quella casa che ha ottenuto dopo essere diventata ministro e che adesso non intende più lasciare. "Avevo bisogno di un posto dove incontrare le persone, di un alloggio grande - ha spiegato - era necessaria riservatezza...".


"Tutto regolare". La Trenta continua a ribadirlo. Lo ha garantito anche a Di Maio. Ma quando ieri mattina il Corriere della Sera ha tirato fuori il caso dell'appartamento in centro a Roma è scoppiato un vero putiferio. Con i Cinque Stelle che, dopo i caso dell'affitto della casa di Rocco Casalini pagato coi soldi pubblici destinati al movimento e gli alloggi popolari assegnati alla madre di Paola Taverna e al senatore Emanuele Dessì, torna nell'occhio del ciclone per quel vizietto immobiliare di non fare le cose per bene. Altro che "onestà, onestà", la lista dei grillini furbetti si fa sempre più lunga. E adesso annovera pure l'ex titolare della Difesa che ha deciso di tenersi l'alloggio di servizio che le era stato assegnato anche dopo la fine della sua esperienza di governo. E, nonostante pure Di Maio sia intervenuto pubblicamente per chiederle di lasciare l'appartamento, non intende fare alcun passo indietro. "Gli ho spiegato che tutto è stato fatto correttamente", ha spiegato in una intervista al Corriere della Sera.


L'alloggio in pieno centro a Roma è stato assegnato ad aprile dell'anno scorso. Quando il primo governo Conte è saltato, secondo il regolamento, la Trenta avrebbe dovuto lasciare l'appartamento entro tre mesi. Il termine ancora non scaduto. Ma ecco lo stratagemma usato per tenerselo. Il marito è ufficiale dell'Esercito italiano con il grado di maggiore e attualmente svolge un incarico di prima fascia per il quale è previsto che gli venga data una casa del medesimo livello di quello che era stato assegnato alla moglie. "Pertanto - si è schermita l'ex ministro - avendo mio marito richiesto un alloggio di servizio, per evitare ulteriori aggravi economici sull'amministrazione (a cui competono le spese di trasloco), è stato riassegnato lo stesso precedentemente concesso a me". Le giustificazioni non hanno convinto né gli alleati di governo, che hanno annunciato interrogazioni urgenti all'esecutivo, né le opposizioni che invece hanno chiesto a Di Maio di intervenire personalmente.


Nononostante tutte queste pressioni, la Trenta è fermamente decisa a rimanere sulla propria posizione. "Un ministro durante la sua attività ha necessità di parlare con le persone in maniera riservata e dunque ha bisogno di un posto sicuro...", si è giustificata con il Corriere della Sera spiegando che, anche dopo la caduta del primo governo Conte, continua "ad avere una vita diversa". "È una vita di relazioni... di incontri". Nessun passo indietro, quindi. Alla faccia della richiesta di Di Maio di lasciare.





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Published on November 18, 2019 01:01

November 17, 2019

Zingaretti rilancia lo ius soli. Ira del M5s, rissa in maggioranza

Andrea Indini




Zingaretti torna a mettere in agenda la cittadinanza facile agli immigrati. I grillini frenano: "Metà del Paese è sott'acqua e pensate a questo?"


Ci riprovano con la cittadianza facile agli immigrati. È il loro chiodo fisso. La batosta delle ultime politiche non gli ha insegnato granché e così ecco Nicola Zingaretti tornare a mettere in agenda lo ius soli o tutt'al più lo ius culturae. Lo fa dalla convention del Partito democratico a Bologna, mentre il governo giallorosso affonda nella crisi dell'Ilva e nei conti una manovra economica profondamente segnata da nuove tasse e pesanti tagli. Per foderare l'elettorato più intransigente, anche in vista delle elezioni regionali in Emilia Romagna che danno il centrodestra in vantaggio di qualche punto, i dem sono tornati a soffiare sui temi cari ai talebani dell'accoglienza: l'abolizione della legge Bossi-Fini, la cancellazione dei decreti Sicurezza voluti da Matteo Salvini e, soprattutto, la riforma della cittadinanza italiana. Una deriva di sinistra estrema che non piace nemmeno ai Cinque Stelle. Che ora sembrano non poterne più dell'alleato: "C'è mezzo paese sott'acqua e uno pensa allo ius soli? Siamo sconcertati".


Il Pd vira (pericolosamente) a sinistra

Dopo le ultime batoste elettorali, Nicola Zingaretti e compagni sono tornati a premere l'acceleratore sui temi più cari alla sinistra radicale. Non che questa linea li abbia premiati al termine dell'ultima legislatura. Gli italiani hanno già bocciato sia lo ius soli sia la politica dell'accoglienza indiscriminata. Eppure eccoli di nuovo rimettere sul tavolo li stessi temi. In mattina è stato l'ex ministro Maurizio Martina ad aprire la questione tracciando i prossimi passi del Partito democratico in parlamento. "Non chiamateli decreti sicurezza", ha tuonato alla convention di Bologna. "Sono decreti Salvini e vanno superati", ha poi scandito proponendo sia di abolire la legge Bossi-Fini, che regola i flussi di ingresso in Italia, e di superare i due decreti Sicurezza che, su impulso del leader del Carroccio, sono stati approvati per combattere l'immigrazione clandestina e chiudere i porti alle ong straniere. "La prima norma per rendere sicura l'Italia è regolarizzare quelle persone - ha, infine, concluso - è una questione identitaria per il partito". Come se questo non bastasse ci ha pensato Zingaretti a metterci sopra il carico da novanta tornando a parlare di cittadinanza facile agli immigrati. "Per noi - ha detto - è una scelta di campo". Già nei prossimi giorni i gruppi parlamentari del Pd chiedereanno che vengano messi in agenda sia lo ius culturae sia lo ius soli.


La rissa nella maggioranza

La fuga in avanti di Zingaretti non ha fatto certo piacere ai Cinque Stelle che, pur avendo proposto lo ius soli nel 2013, recentemente ha cambiato idea sulla riforma della cittadinanza italiana. Già lo scorso settembre Dario Franceschini e Luigi Di Maio erano venuti a ferri corti sull'argomento. Non deve dunque stupire se oggi, quando i dem sono tornati a proporre la stessa ricetta, i grillini sono trasecolati. Nel giro di poche ore hanno, infatti, fatto trapelare sulle agenzie una forte irritazione. "C'è mezzo paese sott'acqua e uno pensa allo ius soli? Siamo sconcertati", hanno detto ai microfoni dell'Agi fonti pentastellate. "Preoccupiamoci delle famiglie in difficoltà, del lavoro, delle imprese - hanno continuato - pensiamo al Paese, già abbiamo avuto uno che per un anno e mezzo ha fatto solo campagna elettorale... noi vogliamo pensare a lavorare". In realtà più il governo giallorosso si occupa di lavoro più fa danni. Ne sanno qualcosa a Taranto dove il governo ha fatto scappare l'ArcelorMittal mandando in fumo 10.700 posti di lavoro e l'1,4% del pil. E ne sanno qualcosa anche le famiglie più povere che, come dimostrato da un recente report della Caritas, sono sfavorite proprio da quel reddito di cittadinanza che le avrebbe dovute aiutare. Sicuramente riproporre lo ius soli, per i dem, è una sorta di arma di distrazione di massa: cercano di ricompattare il proprio elettorato, spostando l'attenzione dai disastri sui dossier economici.


Il Carroccio è pronto a fare le barricate

Dopo l'annuncio di Zingaretti, Salvini ha fatto subito sapere che non permetterà che in parlamento passino certe misure. "Siamo pronti a dare battaglia, dentro e fuori il Parlamento", ha promesso l'ex ministro dell'Interno che non intende opporsi soltanto alla cittadinanza facile ma che farà di tutto affinché i giallorossi non smontino i decreti Sicurezza. Già nella scorsa legislatura Roberto Calderoli ha fermato lo ius soli seppellendolo sotto una valanga di emendamenti. "E sono pronto a rifarlo ora", ha promesso oggi il vice presidente del Senato. "Una misura che non serve a niente a chi non ha raggiunto i 18 anni, perché l’unica differenza, tra chi la ha la cittadinanza e chi non ha la ha, in termini di diritti è solo il voto, il diritto elettorale attivo e passivo, per il resto non cambia nulla". A meno che, come ipotizzato anche dal leghista, la riforma non venga abbinata all'abbassamento del diritto di voto a 16 anni. "In questo modo - è l'ipotesi - il Pd avrebbe qualche centinaia di migliaia di nuovi elettori".





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Published on November 17, 2019 08:10

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Andrea Indini
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