Andrea Indini's Blog, page 80
February 2, 2020
"L'assalto alla lira? Fu un successo". E ora Soros sostiene le sardine

Soros rivendica l'attacco all'Italia e sostiene Santori & Co. Ora è pronto a tornare in campo con un progetto a favore della "società aperta" e delle migrazioni
"Nessun rimpianto, ho semplicemente anticipato gli eventi". Oltre a rilanciare il progetto da un miliardo di euro per mettere "in rete" le università progressiste, nel suo nuovo libro Democrazia! Elogio della società aperta, che da martedì arriverà anche nelle librerie italiane, George Soros rivendica con sfrontatezza tutto quello per cui in molti ambienti viene preso di mira e duramente critica. Se da una parte difende, infatti, il perseguimento di un mondo privo di frontiere dove i migranti siano liberi di muoversi ovunque vogliano, dall'altra si vanta delle sue incursioni finanziarie contro il nostro Paese. "Lo considero un mio successo", dice. Il suo attacco alla lira, in quel "mercoledì nero" del 1992, fu un durissimo colpo per l'Italia. Obbligò i vertici della Banca d'Italia a vendere 48 miliardi di dollari di riserve per sostenere il cambio e portò la nostra moneta ad una svalutazione del 30%.
"Ho sempre agito nel rispetto delle regole", dice oggi Soros in una intervista rilasciata al Corriere della Sera per promuovere il libro pubblicato con Einaudi. A distanza di quasi trent'anni da quell'attacco, il finanziere non solo difende ancora quell'operazione ("Ho sempre separato la mia attività sui mercati dalle mie critiche ai mercati") ma vuole addirittura spacciarsi per "un intellettuale". "Oggi mi considero così", dice rivendicando di averv sempre criticato "gli eccessi e i mercati senza controllo". Peccato che, anche grazie a quegli eccessi, ha ottenuto la fama dello speculatore e il bollino dello squalo della finanza. A suo dire le critiche, che oggi gli piovono ancora addosso, sono mosse da "persone ricche e potenti", che lo vogliono "distruggere perché colpisco i loro interessi", e "in misura sempre maggiore" dai politici. In realtà proprio dalla politica, in particolar modo quella progressista e radical chic, ha sempre ottenuto appoggi e applausi. Nel 1995, per esempio, come raccontò Bettino Craxi in una intervista (guarda qui), la colossale speculazione sulla lira gli valse, "a riconoscimento", una laurea ad honoris causa dell’Università di Bologna. L'indicazione arrivò, guarda caso, dal suo amico Romano Prodi.
Oggi Soros vanta un patrimonio da 8,3 miliardi di dollari e non molla di un millimetro il suo impegno per cercare di plasmare il mondo come lui vorrebbe. Dal sostegno alle rivoluzioni colorate, che hanno destabilizzato i Paesi del Nord Africa, i Balcani e il vicino Oriente, ai progetti a favore dell'accoglienza dei migranti, passando inevitabilmente per il contrasto a qualsiasi forma di nazionalismo, continua a essere in prima linea e a muovere le fila da dietro le quinta. Anche nei giorni scorsi si trovava al World Economic Forum di Davos per annunciare il nuovo progetto da un miliardo di dollari che servirà a mettere in rete una serie di università progressiste. Sarà una sorta di estensione della sua Central European University, l'ateneo che in Ungheria ha a lungo operato contro il premier Viktor Orban finché quest'ultimo non lo ha cacciato dal Paese obbligandolo a trasferirsi a Vienna. Il suo nuovo libro è stato pubblicato proprio per promuovere questa sua idea della società aperta dove, come spiega al Corriere della Sera, "i rappresentanti democraticamente eletti dovrebbero mettere gli interessi degli elettori davanti ai loro".
A Soros i "rappresentanti democraticamente eletti" vanno a genio solo quando i loro interessi collimano con i suoi. Nella sua black list ci sono ovviamente capi di Stato come Donald Trump, Vladimir Putin, Boris Johnson e ovviamente Viktor Orban. E poi, dice lui stesso, "come si chiama? Ah sì, Salvini". Dice di preferire i movimenti che partono dal basso, come "il fenomeno delle sardine" e i sindaci che si stanno impegnando contro il cambiamento climatico e a favore delle migrazioni interne. Al loro fianco ci sarà sempre lo squalo della finanza, pronto ad aprire il portafogli per plasmare l'Occidente e correggere quelle democrazie che non gli piacciono.
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sardine
Persone:
George Soros
Matteo Salvini
February 1, 2020
Perché la foto col re degli insulti svela la vera anima delle sardine

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che svela l'anima delle sardine
January 28, 2020
Ius soli, dl Sicurezza e sbarchi: Pd avanti a tutta immigrazione

All'indomani del voto, il governo riapre i porti e fa entrare altri 400 irregolari. E i dem preparano l'offensiva sui decreti Sicurezza e sullo ius soli
Galvanizzato dal risultato in Emilia Romagna e soprattutto dall'ennesimo flop elettorale del Movimento 5 Stelle, il Partito democratico ha messo l'acceleratore sulle politiche buoniste a favore degli immigrati. Che fosse questa la direzione che avrebbe preso la macchina giallorossa, era chiaro già da alcune settimane. Su certi temi fortemente divisivi, tuttavia, hanno preferito starsene più schisci in campagna elettorale in modo da perdere i voti degli indecisi. Adesso che il risultato è stato portato a casa (e che il fortino rosso è stato difeso) possono comodamente sbracare sapendo bene che i grillini, troppo presi a cercare di sistemare le proprie beghe interne, non gli faranno alcuna opposizione interna.
Le parole d'ordine sono arrivate già all'indomani della sbornia elettorale. Mentre il reggente Vito Crimi e compagni erano ancora intontiti dalla sberle degli elettori, i vertici del Pd hanno messo subito sul tavolo i dossier da infilare immediatamente nell'agenda di governo. E, manco a dirlo, uno di questi è appunto la revisione immediata dei decreti Sicurezza fatti digerire ai Cinque Stelle da Matteo Salvini quando sedevano al governo insieme. A lanciare l'assalto alla diligenza è stato, ieri mattina, il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, a La7. Dopo di lui tutti i big piddì si sono accodati senza ricevere alcun veto da parte degli alleati pentastellati. Per il momento non sappiamo in che modo intendano cambiarli. Si parla, tuttavia, di "revisione integrale". E per il presidente dei senatori dem Andrea Marcucci deve essere uno dei punti cardine di un governo, come il loro, che si prefigge di "frenare l'arroganza di Salvini".
Purtrotto la revisione dei decreti Sicurezza non è la sola idea balzana che i democratici si sono fissati in testa. Da giorni sembra essere tornata in auge la crociata per svendere la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati. A Casalecchio, nel corso di una conferenza stampa indetta nel suo comitato elettorale all'indomani della vittoria sulla leghista Lucia Borgonzoni, Stefano Bonaccini ha ritirato fuori una delle riforme più divisive (e più invise). "Penso che lo ius soli sia un provvedimento giusto per un Paese civile", si è limitato a dire rilanciando, tuttavia, la patata bollente nell'agone politico. Una boutade? Mica tanto. Una decina di giorni fa, incalzata dal radicale Riccardo Magi durante un question time alla Camera, il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese aveva già anticipato che il governo sta studiando una maxi sanatoria per regalare il permesso di soggiorno a buona parte degli irregolari che già si trovano sul nostro territorio. Non solo. Al vaglio del parlamento c'è poi la proposta di legge "Ero straniero" che, se approvata, porterebbe alla totale abrogazione del decreto flussi attraverso l'introduzione di quote di ingresso annuali e l'adozione di nuovi e più facili canali di ingresso. Misure che, abbinate allo ius soli, porterebbe alla riforma più buonista che il nostro Paese abbia mai visto nella sua storia.
Come se non bastasse, poi, non una sola nave carica di clandestini trova più la strada sbarrata. Ormai attraccano tutte (indisturbate) nei nostri porti. Certo, gli vengono fatti fare alcuni giorni di anticamera per salvare la faccia, ma poi Conte compagni danno sempre il via libera senza alcuni problemi. L'ultima (in ordine temporale) è stata la Ocean Viking a cui è stato dato il porto di Taranto per far scendere gli oltre 400 immigrati che ha a bordo da quattro giorni. Il disco verde alla nave dell'ong Sos Mediterranée è stato dato oggi. Ovviamente, subito dopo il voto di domenica.
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immigrazione
decreto sicurezza
sbarchi
January 27, 2020
Una lezione ai poltronari grillini: tradire Salvini non basta a vincere

La maledizione dei Cinque Stelle: perdenti anche con il ribaltone. E, dopo aver "subito" Salvini, ora si trovano al guinzaglio del Pd
In Emilia Romagna ha mosso i primi passi e in Emilia Romagna ha subito una di quelle battute d'arresto da cui è sempre difficile rialzare la testa. Che nel Movimento 5 Stelle qualcosa si sia rotto, è chiaro a tutti da più di un anno e mezzo. Il 32% incassato alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 è acqua passata. Tanto quanto lo sono i trionfi alle comunali a Torino e Roma dove a Beppe Grillo e compagni era riuscita l'impresa di piazzare Chiara Appendino e Virginia Raggi. Adesso non splendono più come un tempo. E in un lento ma costante logorio, già passato il 26 maggio 2018 attraverso la débâcle delle elezioni europee, si trovano a bruciare gli ultimi consensi che gli restano.
Il Movimento 5 Stelle non è finito. Ma sicuramente si trova in un cul-de-sac che difficilmente gli permetterà di intravedere una exit strategy vincente. Quella in cui si trova oggi è la stessa, drammatica posizione in cui era venuto a trovarsi all'indomani delle elezioni europee dell'anno scorsco durante le quali sprofondò al 17%. Allora a mettere sotto scacco matto Luigi Di Maio era stato Matteo Salvini, forte del 34% appena incassato. Oggi il "reggente" Vito Crimi si trova nelle mani del Partito democratico che, dopo aver ribaltato i rapporti di forza con l'alleato di governo, farà di tutto per diventare la guida di questo scassato esecutivo. Ma facciamo un salto indietro nel tempo e analizziamo le dichiarazioni rilasciate a caldo. "Non useremo questo voto per un regolamento di conti interni", aveva assicurato il leader leghista promettendo che non avrebbe mai usato i voti degli italiani "per chiedere mezza poltrona in più" nel governo. Al tempo le frizioni tra i due alleati erano consistenti ma mai quanto quelle che oggi dividono i grillini dai democratici. E poi, prima dell'estate delle trame di Giuseppe Conte e dei colpi bassi dei pentastellati, i livelli di consenso nel Paese erano ben altri rispetti a quelli di cui godono oggi i giallorossi.
Già allora, dal quartier generale dei grillini, era filtrato un certo "sconforto" nella gestione del movimento. Tanto che Di Maio, forse anche solo per inventarsi qualcosa da buttare in pasto ai suoi, aveva accusato la bassa affluenza alle urne ("soprattutto al Sud") e aveva invitato ad avere una maggiore attenzione ai territori. "Restiamo comunque ago della bilancia in questo governo", aveva poi concluso. Tuttavia, il ribaltamento dei pesi all'interno dell'esecutivo e il dilagare di Salvini nell'appeal sugli italiani avevano dimostrato il contrario. Tanto che nel giro di poche settimane erano venuti fuori tutti i problemi. Il leghista era andato per la sua strada finché Conte e i grillini non avevano iniziato a tramargli contro. Poi si era consumato lo strappo.
Per non morire al 17% Di Maio aveva pensato (erroneamente) di attaccarsi alla poltrona e cambiare alleato. Il patto con il Partito democratico gli ha fatto, se possibile, ancora peggio di quello con la Lega. E, a distanza di meno di cinque mesi, si è visto costretto a lasciare la guida politica del movimento e lasciare che i suoi si schiantassero sotto lo sguardo impotente di Crimi. L'attenzione al territorio non c'è stata e i consensi sono pressoché evaporati del tutto. Adesso, in un ovvio déjà vu, si ritrovano a gestire un nuovo ribaltamento di potere con Nicola Zingaretti e i suoi che già passano all'incasso. "È giusto che oggi si usi questo risultato per modificare l'asse politico del governo su molte questioni", ha subito avvertito il vicesegretario dem, Andrea Orlando. Già si torna a parlare di abrogazione dei decreti Sicurezza e dello ius soli per far virare il governo del tutto a sinistra.
Ora i Cinque Stelle potrebbero avere un'arma per riuscire a riprendere in mano il proprio destino: ammettere che sono maggioranza solo nei Palazzi romani e fare un passo indietro obbligando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a indire nuove elezioni. Ma difficilmente lo faranno. Preferiscono vivere ancora in questo limbo della politica in cui si credono ancora al 32%, come nel 2018.
Tag:
Movimento 5 Stelle (M5S)
Speciale:
Elezioni Regionali 2020 focus
Persone:
Matteo Salvini
Luigi Di Maio
Vito Crimi
Giuseppe Conte
January 26, 2020
L'Emilia Romagna resta rossa, il centrodestra vola in Calabria

Bonaccini batte la Borgonzoni e resta governatore. Il boom della Santelli. Berlusconi e Salvini in pressing sul governo. Tracollo dei Cinque Stelle: male ovunque
L'Emilia Romagna resta rossa, mentre il centrodestra strappa alla sinistra la Calabria. Al termine di una campagna elettorale durissima e senza esclusione di colpi, che dal piano regionale ha sempre sconfinato su quello nazionale, il governatore uscente Stefano Bonaccini inacassa il 51,39% delle preferenze e vince sulla leghista Lucia Borgonzoni (43,68%). In Calabria, invece, la vittoria del centrodestra è una valanga che travolge tutto: Jole Santelli spazza via la sinistra con il 55,82% e confina Pippo Callipo al 30,33%. In questo braccio di ferro, che finisce sostanzialmente in parità, c'è un unico sconfitto: il Movimento 5 Stelle. Tanto che da Silvio Berlusconi e da Matteo Salvini già parte l'assalto al carrozzone del governo Conte.
Si torna al bipolarismo. Il risultato di questa tornata elettorale di inizio anno ci riporta all'eterna sfida tra centrodestra e centrosinistra. Reduce dalle dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico, i Cinque Stelle, che agli ultimi appuntamenti non hanno fatto altro che logorare consensi su consensi, perdono ovunque. E lo fanno incassando un botto senza precedenti: in Emilia Romagna Simone Benini incassa appena il 3,6%, mentre in Calabria Francesco Aiello fa un po' meglio ma viene confinato al 6,7% e non entra nemmeno in consiglio regionale. Un vero e proprio tracollo che conferma il trend di un logorio che dalle elezioni politiche del 2018 in poi è diventato una costante e che ha, appunto, riportato al centro del confronto politico il braccio di ferro tra centrodestra e centrosinistra. Con un dato significativo: dopo la straordinaria vittoria dello scorso ottobre in Umbria, Forza Italia, la Lega e Fratelli d'Italia strappano un'altra Regione al mal governo della sinistra, la Calabria, che fino all'anno scorso era governata dal piddì Mario Oliverio finito indagato per abuso di ufficio in un'inchiesta della procura di Catanzaro. "Forza Italia ha una classe dirigente vincente - commenta il vice presidente di Forza Italia, Antonio Tajani - in tutta Italia c'è una classe dirigente in grado di condurre il centrodestra alla vittoria".
"In Emilia Romagna il problema non è vincere, è stravincere", aveva azzardato Matteo Salvini nei giorni scorsi. E, dopo ben 154 tappe elettorali, non indietreggia nemmeno dinnanzi ai primi risultati perché, come lui stesso spiega in una conferenza stampa convocata a spoglio iniziato da appena un'ora, assicura di averci messo "il sangue e l'anima" pur di provare di portare a casa un risultato che sarebbe stato a dir poco storico. "Che dopo settant'anni la partita sia stata aperta fino all'ultimo per me è importante", rimarca il Capitano secondo cui quella per espugnare il feudo rosso "è stata una cavalcata eccezionale, emozionante, commovente e stancante come poche". Di storico resta il fatto che, al netto della sconfitta della Borgonzoni, il Carroccio risulta il secondo partito più votato in Emilia Romagna subito dopo il Partito democratico. La sua soddisfazione, poi, non si ferma a questo dato. Per la prima volta, infatti, la Lega entra nel consiglio regionale calabrese. Ora, però, è già tempo di guardare a Roma. "Il Movimento 5 Stelle è scomparso - conclude - qualcosa domani cambierà".
Che adesso il governo Conte dovrà inevitabilmente fare i conti con questi risultati ne è convinto anche Silvio Berlusconi secondo cui adesso "si apre una fase nuova" che dovrà inevitabilmente portare a nuove elezioni. "Se la parola democrazia ha ancora un senso, si dovrà cambiare governo restituendo la parola agli italiani nei tempi più brevi possibile", spiega il leader di Forza Italia secondo cui gli "impietosi" risultati dei grillini "li condannano all'irrilevanza". Di questa irrilevanza hanno già dato prova nei mesi scorsi stando al governo con il Partito democratico. Tanto che Nicola Zingaretti, rinfrancato dal risultato incassato oggi, già si mette a parlare come l'azionista di maggioranza dell'esecutivo: "Possiamo dire che il 4 marzo 2018, quando tutta l'Italia parlava di un bipolarismo Lega-M5S, è alle nostre spalle...". E già c'è chi parla di un necessario ribaltamento dei rapporti in seno alla maggioranza giallorossa.
Speciale:
Elezioni Regionali 2020 focus
Persone:
Lucia Borgonzoni
Stefano Bonaccini
Jole Santelli
Pippo Callipo
Spillover, le vere origini del male che sta mettendo in ginocchio la Cina
Matteo Carnieletto
Andrea Indini

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che ora mette in ginocchio la Cina
January 24, 2020
Lo squalo Soros e le sardine
January 22, 2020
Il leone Sinisa e i conigli rossi


Sinisa tifa Salvini e la sinistra impazzisce

Gli insulti choc: "Malato mentale, meriti la morte"

L'assessore di Bonaccini: "Un serbo non potrebbe curarsi"Url redirect: http://blog.ilgiornale.it/indini/2020... leone Sinisa e i conigli rossi
January 21, 2020
Così scoppia l'incubo pandemia
Scoppia la psicosi per il nuovo virus (mortale) che arriva dalla Cina. E l'uomo si trova a fare i conti coi contagi incontrollati
Andrea Indini


Ecco i sintomi del misterioso virus cinese

In Cina esplode la bomba sanitaria

"Il rischio che arrivi in Italia"

A Fiumicino scatta l'allarme

C'è una persona in isolamento in Australia

"Il virus cinese passa attraverso la saliva"Url redirect: https://it.insideover.com/societa/lin... scoppia l'incubo pandemia
January 20, 2020
Caso Gregoretti, oggi il voto. Salvini: "Sono pronto alla prigione"

Oggi il voto in Giunta per le immunità del Senato. Salvini sfida i giallorossi: "Pronto ad andare a processo a testa alta". Ecco cosa può succedere ora
"Per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, prendere senza esitare la via della prigione". Il voto di oggi sul caso della nave Gregoretti è affidato a una citazione densa di significati evocativi. Matteo Salvini si affida direttamente a Giovannino Guareschi e posta la foto di un suggestivo scorcio di Comacchio accompagnata dalla frase che l'autore di don Camillo e Peppone, figure già ampiamente "arruolati" nel corso della campagna elettorale in Emilia-Romagna, pronunciò il 26 maggio 1954 quando venne recluso nel carcere di San Francesco del Prato a Parma. "Oggi - ha poi tuonato il leader del Carroccio durante un collegamento da Galatea - probabilmente decidono di mandarmi a processo perché ho difeso i confini del mio Paese e io a processo ci vado a testa alta".
Il voto di oggi in Giunta sarà un braccio di ferro che andrà avanti fino all'ultimo minuto. La partita viene giocata, da entrambe le parti, con continui tatticismi. La maggioranza giallorossa non partecipa ai lavori? E allora Salvini spariglia le carte chiedendo ai suoi uomini di voterà a favore del processo. Lo fa dicendosi pronto anche ad affrontare la galera e a farlo con lo stesso spirito di Guareschi. È di fatto questo il senso del post pubblicato questa mattina su Facebook e che rievoca i 409 giorni passati in cella dallo scittore quando il 15 aprile del 1954 venne condannato per diffamazione a mezzo stampa a seguito della denuncia di Alcide De Gasperi. Allora l'oggetto del contendere erano state due lettere del 1944 (rivelatesi poi false) in cui lo statista chiedeva agli Alleati di bombardare Roma per spingerne gli abitanti all'insurrezione contro i fascisti e gli occupanti nazisti. Oggi è, invece, la decisione dell'allora titolare del Viminale (e di tutto il governo gialloverde) di non far sbarcare nel porto di Augusta i 131 immigrati clandestini che si trovavano a bordo della Gregoretti prima che l'Unione europea non si fosse impegnata a fare la propria parte nella redistribuzione.
Il ragionamento è soprattutto legato ai numeri. Quelli dell'Aula non sono sufficienti a evitare il processo a Salvini. Da qui il ragionamento: allora tanto vale togliere qualasiasi "alibi" alla sinistra e ai Cinque Stelle, la cui ipocrisia è ormai sotto gli occhi di tutti, e fare in modo che il via libera al procedimento penale arrivi subito. Un atteggiamento che, insieme alla rinuncia dell'immunità, in molti leghisti ritengono rischioso, ma che di fatto anticiapa un esito abbastanza scontata del voto finale che ci sarà in Aula. Il punto è che un processo sulla vicenda che ha travolto il governo l'estate scorsa non farà altro che portare a galla anche le colpe del premier Giuseppe Conte e del capo politico dei Cinque Stelle Luigi Di Maio. Per quanto i due, che oggi siedono al governo con il Partito democratico, abbiano scaricato tutte le colpe sul leader leghista, è ovvio che le scelte erano state ampiamente condivise da tutto l'esecutivo. "Quando verrà chiamato a testimoniare al processo dirà che non vedeva i tg", si chiede Giancarlo Giorgetti. "Dirà che non leggeva i giornali e che non sapeva cosa faceva il suo ministro dell'Interno?".
Per quanto possa apparire assurdo, Conte e Di Maio vorrebbero far credere che la soluzione adottata per la nave Gregoretti non sia stata un'iniziativa collegiale che rientrava nel perimetro dell'indirizzo politico dell'esecutivo. Per Giulia Bongiorno la maggioranza sta elaborando "qualcosa di mai visto prima, un nuovo tipo di giustizia": la giustizia à la carte. "Vogliono che Salvini sia processato da solo - commenta la senatrice leghista - anche se il presunto sequestro di persona è avvenuto sotto gli occhi del mondo e certamente del governo". Non solo. I giallorossi vorrebbero anche decidere di prolungare l'agonia riviando tutto al prossimo 17 febbraio. Oggi pomeriggio il voto in Giunta per le immunità potrebbe, infatti, concludersi con un pareggio: cinque voti a favore (quelli del Carroccio) e cinque contro (Forza Italia e Fratelli d'Italia) dal momento che i commissari di maggioranza hanno deciso di non partecipare al voto. "Salvini è garantista per se stesso e giustizialista quando si tratta degli altri", tuona il segretario piddì Nicola Zingaretti accusando l'ex ministro di usare la giustizia "per fini politici". E Andrea Marcucci parla di giunta "illegittima" e di "pagliacciate".
Nel frattempo, però, l'Italia reale ferma per strada Salvini e lo invita a non mollare. Proprio come ha fatto questa mattina una donna nel corso di un incontro con i pescatori delle Valli di Comacchio. "Per fermarmi mi devono arrestare... vabbè che non manca molto", ha replicato lui. "In caso, da dentro, scriverò Le mie prigioni come Silvio Pellico...".
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