Wu Ming 4's Blog, page 97
February 22, 2015
Da D’Annunzio a Ciccio Franco, ovvero: un paio di frottole neofasciste sulla #Calabria

A Gabriele D’Annunzio viene spesso attribuita la frase «Il lungomare di Reggio è il chilometro più bello d’Italia», ma… l’ha detta davvero? La risposta è nell’articolo qui sotto.
di Lou Palanca 2 *
Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni.
Questo è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine.
Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia.
- Giovanni Pascoli, Pensieri e discorsi, 1914
Gli anni d’inizio secolo li ho dedicati alla storia locale, ricostruita in particolare a partire dalle fonti orali. Mentre lavoravo ad un saggio sulla Rivolta di Reggio Calabria del 1970, ho avuto modo di consultare, presso il locale Archivio di stato, un’ampia documentazione di volantini e manifesti stampati nel giro dei due anni che incendiarono la città dello Stretto nella disputa per il capoluogo di regione, in quella che Tonino Perna ha definito:
«l’ultima grande lotta popolare del nostro Mezzogiorno, la prima lotta “etnica” di un ciclo di lotte e guerre che hanno insanguinato gli ultimi trent’anni del XX secolo .»
Tra i comunicati, molti ciclostilati in proprio, dei vari comitati spontanei nati in appoggio della causa pro “Reggio capoluogo”, uno mi aveva colpito in particolare. Portava in calce la firma di vari studiosi reggini ed elencava motivazioni, ragioni storiche, monumenti e giudizi sulla città da parte di poeti, scrittori, intellettuali, di ogni epoca.
La chiosa finale non lasciava dubbi sulla contesa con Catanzaro, Reggio doveva essere il capoluogo: «Perché, come sostenuto dal D’Annunzio, Vate d’Italia, ha il chilometro più bello d’Italia!»

Reggio Calabria, Lungomare Falcomatà. Foto di Saverio Autellitano.
Al tempo ancora muovevo i primi passi nella scoperta del filosofo Gilles Deleuze. Il mio orizzonte si poteva racchiudere fra il Pollino e lo Stretto, la citazione non aggiungeva nulla di più alla mia appartenenza e alla scelta già matura di restare in Calabria, del resto come insegnante in tutti i licei dove ho messo piede, in barba ad ogni programma ministeriale, non ho mai fatto studiare “Gabriele Rapagnetta” , né mai penso che lo farò.
M’incuriosiva invece la capacità del neofascismo di storpiare slogan, appropriarsi o deformare i miti e parole altrui a proprio uso e consumo, di creare leggende metropolitane ad hoc.
Di lì a qualche mese, l’uscita del bel libro di Agazio Trombetta La Via Marina di Reggio, che dedica un intero capitolo alla questione, ha contribuito in maniera decisiva a fugare ogni dubbio, con fonti e ricerche accurate sulla paternità della celebre frase.
A Reggio Calabria D’Annunzio non c’è mai stato.
L’unica volta che attraversò lo Stretto di Messina, in direzione della Grecia, a bordo del panfilo “Fantasia” era il 1895, trascorse gran parte del viaggio in cabina a lottare con il mal di mare, una debolezza sulla quale la pubblicistica dell’eroe-poeta ha sempre glissato.
Del resto come sottolinea Trombetta:
«La sua visione del mare potrebbe eventualmente riferirsi alla Reggio presismica e quindi in un periodo in cui la Via Marina non aveva l’aspetto di viale alberato, ma piuttosto quello della Real Palazzina che si snodava lungo l’asse più prospiciente il mare .»
Né al Vittoriale né fra le migliaia di documenti e libri custoditi nella Biblioteca Dannunziana c’è traccia della frase di D’Annunzio.
Questo non ha impedito che nel maggio del 2013 la regione Calabria, allora guidata dal governatore Scopelliti, lo stesso che da sindaco di Reggio Calabria dedicò al fascista Ciccio Franco un anfiteatro, finanziasse eventi in memoria di D’annunzio da realizzarsi al Salone del Libro di Torino.

Sul Lungomare c’è anche il monumento al capopolo neofascista Ciccio Franco, voluto dall’amministrazione Scopelliti.
In quell’occasione il neopresidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, Giordano Bruno Guerri, senza esitazione in conferenza stampa ha dichiarato:
«Per D’Annunzio il lungomare di Reggio era ‘Il più bel chilometro d’Italia’ e anche se non sappiamo esattamente in quale contesto abbia pronunciato questa frase possiamo attribuirla con tranquillità al poeta, vista l’assenza di smentite.»
Le dovute smentite Guerri le avrebbe trovate proprio a casa sua, se solo avesse avuto la compiacenza di leggere quanto aveva scritto Michela Rizzieri quand’era direttrice della Biblioteca Dannunziana.
Rispondendo allo storico Trombetta, la Rizzieri già nel marzo del 2001 afferma:
«La informiamo che, nelle ricerche da noi effettuate controllando l’indice dei nomi relativi alle lettere, alle biografie e alle opere di D’Annunzio, non abbiamo trovato nessuna citazione del poeta riguardante la via Marina di Reggio Calabria e neppure “il più bel chilometro d’Italia”» .
Una leggenda metropolitana che non risente del trascorrere del tempo né delle smentite storiche. Inizialmente creata ad arte per esaltare le bellezze rivierasche reggine, successivamente ha finito per avvalorare una primogenitura storica in prospettiva campanilistica, fino a diventare con il tempo verità indiscutibile di chiara matrice neofascista.
In realtà, la prima testimonianza storica che abbiamo dell’espressione «il più bel chilometro d’Italia» arriva da un evento sportivo.
E’ il 27 marzo del 1955 e a pronunciare la frase durante la radiocronaca dell’arrivo in volata del giro della Provincia di Reggio è – come testimoniato anche dall’allora giovane collega Adriano De Zan - il giornalista Nando Martellini.

Il cronista sportivo Nando Martellini, vero autore della frase sul chilometro più bello d’Italia.
I detrattori di Catanzaro al tempo, lavorando con più cura, avrebbero potuto scoprire molte fonti, più antiche, più nobili, più verificabili, sulla bellezza del lungomare reggino, ma nessuna di queste avrebbe potuto giustificare il loro revanscismo.
Tralasciando per motivi di spazio le citazioni greche e latine – del resto non credo che i boia-chi-molla avessero dimestichezza con le lingue classiche – basterebbe citare Boccaccio, il quale nel Decameron sostiene:
«Credesi che la marina da Reggio a Gaeta sia quasi la più dilettevole parte d’Italia»
Senza tornare al medioevo, chi veramente ha potuto ammirare le meraviglie del lungomare reggino e descriverlo con occhi di poeta, sono stati Pascoli e Quasimodo. Quest’ultimo ha anche vissuto e lavorato in riva allo Stretto prima di spiccare il volo verso gli ambienti dell’ermetismo.
«Boia chi Molla», come ti creo il mito.
L’onda lunga della retorica neofascista ha trovato linfa anche in altre narrazioni tossiche che meritano di essere decostruite.
Sempre della Calabria è Ciccio Franco, capopolo fascista ed in seguito senatore per ben cinque legislature, che nella sua ascesa politica durante la rivolta reggina si attribuisce la paternità del motto «Boia chi Molla».

Ciccio Franco intervistato da Oriana Fallaci durante la latitanza.
Una bugia ripetuta all’infinito secondo lo stile di Goebbels finisce per diventare verità acriticamente assunta dai media e dalla vulgata popolare.
«Ho inventato io il motto Boia chi Molla», taglia corto Ciccio Franco.
Ecco che nel corso dei decenni la rivolta neofascista di Reggio è stata identificata come la “Rivolta del Boia chi molla” e molti dei manifestanti, soprattutto quelli della seconda fase marcatamente fascista e violenta si sono spesso presentati con la definizione: «Sono un boia-chi-molla».

Febbraio 1971, i blindati dei carabinieri presidiano le strade del quartiere di Sbarre. Foto di Lello Spinelli – archivio Dia.
Lo slogan che si fa persona è la manipolazione realizzata della mente e del corpo dell’individuo.
In realtà il motto fu coniato anni prima dal fascista Roberto Mieville, divenuto, dopo il perdonismo togliattiano, deputato della Repubblica italiana nelle elezioni del ’48.
Durante la seconda guerra mondiale Mieville venne catturato e rinchiuso in un campo di prigionia in territorio statunitense. In quell’occasione ebbe modo di scrivere delle memorie pubblicate poi in Italia, nelle quali si manifesta tutt’altro che pentito della scelta fascista e dell’alleanza coi nazisti, e lancia per la prima volta lo slogan:
«E a Santa Fè, al tubercolosario erano stati avviati parecchi dei soldati costretti ai lavori nelle fonderie. E nel campo 6 da quaranta giorni, all’aperto, trecento sottufficiali vivevano a pane e acqua e non mollavano. E nel campo ufficiali era la medesima cosa: Boia chi molla!»
D’Annunzio e Ciccio Franco, il proto- e il post- fascista, il poeta “laureato” che detestava il popolo e il rozzo sindacalista che voleva guidare le masse, così lontani, così diversi, ma entrambi legati da vulgate che per lungo tempo hanno creduto di essere storia.
NOTE
* Lou Palanca 2 fa parte del collettivo di scrittori Lou Palanca, autori del romanzo Blocco 52 (Rubbettino, 2012). Qui un’intervista sul libro realizzata da Wu Ming 2.
Dalla prefazione a Cinque anarchici del Sud. Una storia negata di Fabio Cuzzola Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria 2001.
Il documento è conservato nel fondo intitolato alla memoria del giornalista Antonio Latella, all’epoca corrispondente de Il Tempo, e consultabile presso l’Archivio di stato di Reggio Calabria.
Sulle vicende del cognome del poeta si veda questa pagina.
Agazio Trombetta, La Via Marina di Reggio, Editrice Culture, 2001.
Trombetta, op. cit., pag. 121.
Il testo della dichiarazione è qui.
Il testo della lettera è riprodotto in Trombetta, op. cit., pag. 119.
L’episodio è riportato in Antonio Calabrò, Reggio è un blues, Disoblio Edizioni, 2013.
Giovanni Boccaccio, Decameron, giornata II, novella IV.
Sulla figura di Ciccio Franco, al di là della pubblicistica locale, si veda in particolare il 4° capitolo (Ciccio Franco: da capopopolo a senatore) in: Fabio Cuzzola, Reggio 1970. Storie e memorie della Rivolta, Donzelli 2007
Ciccio Franco, intervista tratta dal DVD Reggio Calabria 1970. La Rivolta, a cura di Domenico Calabrò, 2005
[Sito di camerati da non confondersi con il quasi omonimo campifascisti.it, dove invece si sta ricostruendo la mappa dei campi di concentramento fascisti, un arcipelago lager italianissimo e misconosciuto, realtà rimossa per decenni in nome del precetto “Italiani brava gente”, N.d.R.]
Mieville al rientro dalla prigionia fonda prima i Far (Fasci di Azione Rivoluzionaria) e successivamente entra a far parte del primo nucleo che darà vita al MSI.
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February 16, 2015
Marzo 2015: esce «Cantalamappa», un libro per sovversive e sovversivi dagli 8 ai 108 anni
La copertina di «Cantalamappa». Clicca per aprire l’immagine completa (PDF).
Dopo gli annunci “carbonari” dati in giro per l’Italia, tra le pieghe del Révolution touR, e le anticipazioni date su Twitter, finalmente diamo la notizia. Eccolo qui, sulla rampa di lancio. Cantalamappa, il primo libro che abbiamo scritto pensando a lettrici e lettori under 11. Non solo, ma soprattutto a loro.
Chi ha più fortuna e/o vive in una grande città (il che non sempre è una fortuna) potrebbe trovare Cantalamappa in libreria già sabato 15 marzo, ad ogni modo esce in tutta Italia due giorni dopo, cioè lunedì. Però, però… Non sarebbe male se lo prenotaste già ora alla vostra libreria di fiducia. Non sarebbe niente male.
Abbiamo un coautore: Paolo Domeniconi è l’artefice di tutte le illustrazioni, copertina compresa, e ha fatto davvero un gran lavoro. Ha interpretato al meglio lo spirito che abbiamo cercato di mettere nell’opera.
Non vogliamo rovinare nessuna sorpresa, se cliccate qui sopra e aprite il pdf della copertina troverete qualche accenno in più, il minimo indispensabile a incuriosire, compreso l’indice delle storie, che riproduciamo anche qui sotto… con un’aggiunta.
Ma, prima dell’indice, rispondiamo alla domanda che tutti avete sulle labbra, o meglio, negli occhi: com’è nata questa storia dei Wu Ming che diventano scrittori per l’infanzia?
L’idea nasce da Annalisa Angelini della Libreria Ulisse, in via degli Orti a Bologna, e da Tiziana Mascia della casa editrice Electa.
Nasce con una mail che Annalisa scrive a Wu Ming 2 il 19 settembre 2013:
«Mi ricordo della sua passione per il viaggio e il viaggiare, così ho pensato che ci piacerebbe averla come “conduttore” per una presentazione di uno dei più bei libri per ragazzi che si intitola Mappe.”
All’epoca, WM2 non sa nemmeno cosa sia, questo Mappe, ma Annalisa gliene regala una copia e da quel momento il libro – vincitore del Premio Andersen – diventa il protagonista di numerosi laboratori per piccoli lettori, dove WM2 parte dalle illustrazioni del volume, che sono appunto mappe, per raccontare storie legate a strani luoghi, rocce vulcaniche, vermi elettrici, mani che spuntano dal deserto e tazze di chai maziwa.
I bimbi e le bimbe si divertono, i laboratori piacciono, e così da un’idea ne nasce un’altra: quella di scrivere, questa volta con il collettivo al completo, un libro di racconti ispirati a luoghi della Terra: luoghi abitati da antiche leggende, oppure teatro di eventi memorabili, o ancora a mezza strada tra la realtà e la fantasia.
D’altra parte, Wu Ming ha sempre avuto un rapporto stretto con le mappe e i territori: dalla psicogeografia di Luther Blissett alla Terra di Mezzo di Tolkien, dal Sentiero degli Dei a Point Lenana, dalle carte d’epoca che punteggiano Manituana al viaggio di Grand River.
E quanto ai piccoli lettori, beh, abbiamo cominciato a frequentarne alcuni, tutti i giorni, da una decina d’anni…
Così ci siamo messi al lavoro. Il risultato sono le diciannove storie dei Cantalamappa.
LE STORIE DEI CANTALAMAPPA
Il cane di Glastonbury [Si svolge qui]
Il Verme Mongolo della Morte [Si svolge qui]
Dolcino e Margherita [Si svolge qui]
Hvítserkur [Si svolge qui]
Da Monte Scrocchiazeppi al Monte Kenya [Si svolge qui]
Micronazioni [Si svolge qui]
L’Isola del Tesoro [Si svolge qui]
Dov’è il centro del mondo? [Si svolge qui]
L’albero di Bottego… o di Mahamed? [Si svolge qui]
Il cinema nel deserto [Si svolge qui]
Toc e Patòc [Si svolge qui]
I naufraghi di Tristan da Cunha [Si svolge qui]
Rapa Nui [Si svolge qui]
Le repubbliche dell’ex-Rastovja [Si svolge qui]
Paperelle [Si svolge qui]
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February 12, 2015
Ascolta «Emilio Comici Blues», radiodramma musicale tratto da #PointLenana

Emilio Comici
Segnatevi l’appuntamento: domenica 15 febbraio alle 11:30 am su Radiouno Rai Friuli – Venezia Giulia (streaming qui) va in onda la prima puntata di Emilio Comici Blues, radiodramma musicato in tre atti di e con Wu Ming 1 e Funambolique. Presentazione di Piero Pieri. Tecnicamente sarebbe un «melologo», ma «radiodramma musicale» si capisce meglio.
Emilio Comici Blues è tratto dal libro Point Lenana di WM1 e Roberto Santachiara e racconta la vita di Emilio Comici (1901 – 1940), grande alpinista triestino, uno dei più grandi della prima metà del XX secolo, che potete vedere in azione nel video qui sotto, un vero e proprio “tutorial” di arrampicata filmato in Val Rosandra, vicino a Trieste.
Emilio Comici Blues nasce come reading musicale dal vivo, qui la scheda scritta un anno fa (pdf).
I Funambolique sono:
Paolo Corsini – piano, Fender Rhodes, tastiere
Sebastiano Crepaldi – flauto traverso, flauti di varie parti del mondo
Luca Demicheli – basso elettrico, voce
Ermes Ghirardini – batteria
Con Wu Ming 1 hanno già realizzato l’album (scaricabile qui) e lo spettacolo dal vivo (qui un live in Friuli) Arzèstula.
Date e orari della messa in onda di Emilio Comici Blues:
Puntata 1 – Domenica 15/02/2015 h. 11:30 (dur 21’22″)
Puntata 2 – Domenica 22/02/2015 h 11:30 (dur 20’23″)
Puntata 3 – Domenica 01/03/2015 h 11:30 (dur 25’51″)
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February 11, 2015
La famigerata foto. Chi manipola le fonti falsifica il presente e allontana la verità sulle #Foibe
Questo è solo un piccolo addendo al bellissimo post di Lorenzo Filipaz «Foibe o esodo? Frequently Asked Questions sul Giorno del Ricordo», che negli ultimi due giorni ha avuto un vero boom di visite.
Ripubblichiamo qui sopra la famigerata foto, stavolta con didascalia incorporata.
Infatti, un modo per contrastarne la falsificazione è farne apparire il senso già in Google Immagini, a colpo d’occhio.
Perché se ci limitiamo a pubblicarla con la spiegazione a parte, come abbiamo fatto nel post di Lorenzo, rafforziamo comunque la sua associazione con la parola chiave «foibe», e continuerà a essere “pescata” ignorando il contesto.
Diverso se la si fa girare per il web, pubblicata su un gran numero di blog, con avviso incorporato.
Il consiglio è: ripubblicatela ovunque potete, in questa versione, con un breve testo che, come questo che state leggendo, spieghi il senso della cosa. Aggiungete i nomi dei cinque fucilati la cui memoria viene costantemente negata:
Franc Žnidaršič
Janez Kranjc
Franc Škerbec
Feliks Žnidaršič
Edvard Škerbec
Aggiungete poi un link diretto all’intera sequenza fotografica di cui quest’immagine è parte.
Aggiungete un link al dossier sulle manipolazioni che questa foto da troppi anni subisce.
Aggiungete un link all’opinione di Michele Smargiassi, giornalista di Repubblica e studioso di fotografia, intitolata «Non dire falsa testimonianza».
E, se volete, un link alle FAQ preparate da Lorenzo.
Soprattutto, mantenete la calma di fronte a reazioni furibonde. Sono di corto respiro. L’importante è che questa foto non venga più travisata. Ci vorrà un po’ di tempo, ma otterremo il risultato. Per Franc Žnidaršič, Janez Jranjc, Franc Škerbec, Feliks Žnidaršič ed Edvard Škerbec.
@ervenrossetti è un’invenzione che quella foto parli di #foibe. Ti sembra lecito falsificare le fonti? @giuseppemaria
— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) February 11, 2015
.@Serena_Scarpia offende i morti chi falsifica le fonti, li priva della loro identità e occulta le colpe di chi li uccise @manginobrioches
— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) February 11, 2015
.@Serena_Scarpia e ti sembra “rispetto dei morti” quello che viene fatto ai fucilati sloveni di questa foto? @darkamex @manginobrioches
— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) February 11, 2015
.@VoceIdealista ma avete la coda di paglia? Quella foto è un falso e va detto con forza. Vi vanno bene i falsi? @MezzadridItalia — Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) February 11, 2015
.@VoceIdealista pensate si possa combattere una battaglia di memoria e rispetto per i caduti usando fonti falsi? @MezzadridItalia
— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) February 11, 2015
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February 6, 2015
Don #Inzoli manda avanti l’avvocato. Solidarietà a Matteo Pucciarelli
[Prosegue l’inchiesta di Giap sull’uso politico di querele e cause civili. Stavolta Luca Casarotti si occupa dell’ultima mossa di don Inzoli, uno dei potenti del mondo CL, per quindici anni presidente del Banco Alimentare, condannato dalla stessa Chiesa cattolica per abusi su minori.
Siamo stati tra i primissimi (e pochissimi) a occuparci della vicenda fuori da Crema, dove la notizia è rimasta a lungo confinata. Sono dovuti trascorrere sette mesi dal nostro post perché il suo nome apparisse nei media nazionali, dopo la sua imbarazzante comparsata a un convegno omofobo, occasione che ha radunato in una sola sala milanese il jet set catto-camerata-leghista lombardo.
Chiariamo un punto: noi abbiamo denunciato per anni – erano i tempi del Luther Blissett Project – gli abusi giornalistici e giudiziari generati dall’isteria di massa sulla pedofilia. Abbiamo fatto contrinformazione, ci siamo occupati di persecuzioni mediatiche, ingiuste detenzioni, condanne frettolose. La pece e le piume non sono dunque parte del nostro percorso. Il giudice, lo sbirro, il giustiziere che agita un cappio, l’indignato in zona Cesarini… Sono ruoli che lasciamo volentieri ad altri. Il punto era ed è un altro: abbiamo iniziato a seguire il caso perché i media nazionali, in piena concordia multipartisan, lo hanno fin da subito sepolto nel silenzio. Per lunghi mesi nessun grande mezzo di informazione ha dato la notizia – piuttosto rilevante per la vita pubblica! – che un boss ciellino, capo carismatico di un ente caritatevole di quelli che tutti hanno l’istinto di difendere, era stato riconosciuto dalla chiesa stessa colpevole di gravi abusi.
L’impressione, davvero forte, è che Inzoli sia stato tutelato dai media, e con impressionante serratezza di ranghi. Caso più unico che raro, in circostanze del genere. Chiunque altro – magari innocente – lo avrebbero spolpato vivo, lui invece restava innominato, persino nei giorni in cui le pagine si riempivano di chiacchiere sui preti pedofili.
Tutto ciò emanava cattivo odore, forse di «larghe intese», chissà… e a dire il vero lo emana ancora. Sì, perché dopo l’affaire del convegno milanese, tutti hanno parlato di Inzoli, ma descrivendolo perlopiù come un pretonzolo qualsiasi. Pochi hanno ricordato le sue cariche, i suoi incarichi nel braccio economico di CL, le sue amicizie ai vertici del mondo politico e nel cuore del capitalismo italiano.
Matteo Pucciarelli ha perforato quel velo, soprattutto nell’intervista al parlamentare di SEL Franco Bordo. Intervista che, come state per leggere, a Inzoli ha dato molto fastidio. Buona lettura – WM]
di Luca Casarotti
Nei giorni scorsi Matteo Pucciarelli, cronista di Repubblica reo di aver scritto due articoli sulla presenza di don Mauro Inzoli al noto convegno milanese sulla “famiglia tradizionale” (organizzato dalla Regione Lombardia con tanto di logo Expo 2015), ha ricevuto una diffida dal legale del sacerdote, che ritiene i due pezzi gravemente diffamatori e chiede al giornalista e a Repubblica di smentire tutto.
“Notizie altamente infamanti e offese, linciaggio mediatico”. Don Inzoli schiera gli avvocati pic.twitter.com/bWxCzfngaL
— Matteo Pucciarelli (@il_pucciarelli) February 4, 2015
Nell’ultimo anno su Giap si è parlato sia della vicenda Inzoli, con il corredo di silenzio mediatico che a lungo l’ha accompagnata, sia dell’uso politico del reato di diffamazione e delle relative cause civili per il risarcimento dei danni. La diffida a Pucciarelli, al quale va la solidarietà dei giapster, sta al punto di incrocio di questi due temi. Incrinatosi appena il riserbo con cui Repubblica ha trattato il caso Inzoli da giugno a pochi giorni fa, ecco che scendono in campo gli avvocati.
La diffida che #Inzoli ha fatto spedire a @il_Pucciarelli. Presto la commenterà su Giap @lucacasarotti. pic.twitter.com/wdhdFzluf8 — Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) February 5, 2015
Diciamo anzitutto che la diffida è una lettera con cui il legale di qualcuno che si ritiene in qualche modo danneggiato dal comportamento di qualcun altro chiede a questo qualcun altro di riparare al torto, perché in caso contrario ricorrerà alle vie legali. La diffida non è una querela né una citazione in giudizio: Inzoli non ha iniziato nessun procedimento, né penale né civile, contro Pucciarelli. E sarà difficile che lo faccia in futuro, per i motivi che spiegheremo.
Ciò non toglie che se io mi vedo recapitare la lettera di un avvocato in cui si dice che ho scritto degli articoli diffamatori nei confronti di un personaggio potente, e questa lettera è indirizzata anche al direttore del giornale per cui lavoro e al gruppo editoriale che possiede il giornale per cui lavoro, qualche timore, almeno sulle prime, mi può anche venire.
Vediamo allora cosa dicono gli articoli che l’ex presidente del Banco alimentare ed ex-vicepresidente della Compagnia delle opere ritiene gravemente lesivi della sua persona, e quali argomenti vengono spesi nella diffida.
I due pezzi in questione sono questa cronaca e quest’intervista al deputato di Sel Franco Bordo, che conosce bene Inzoli, perché è cremasco come lui.
Dice il difensore di Inzoli che Pucciarelli non può scrivere che il suo assistito è un prete pedofilo, perché la giustizia italiana non lo ha mai stabilito. Ma la Congregazione per la dottrina della fede sì, e in via definitiva. Per farlo ha svolto un’istruttoria, ha raccolto e valutato delle prove: quindi, ritenendo fondata l’accusa, ha irrogato una pena nell’esercizio dei poteri che le competono. Il provvedimento sanzionatorio è stato emesso da un’autorità riconosciuta dall’Italia, tanto che le restrizioni alla libertà di movimento (divieto di svolgere attività di accompagnamento di minori, divieto di entrare nella diocesi di Crema) che il decreto vaticano impone ad Inzoli si applicano sul territorio italiano.
Se assumiamo per valido (come in effetti dobbiamo fare, perché normalmente è così che accade) il criterio per cui si può attribuire a Tizio di aver commesso un fatto che gli porta discredito nell’opinione pubblica quando questo fatto sia accertato definitivamente dall’autorità preposta, allora dobbiamo concluderne che i titoli e le frasi degli articoli di Repubblica in cui si attribuisce ad Inzoli di essere pedofilo, rientrano nell’esercizio del diritto di cronaca, dal momento che il fatto è accertato inoppugnabilmente dall’autorità che ha su di lui la “giurisdizione spirituale”.
Compito della giustizia italiana semmai è stabilire se il cittadino italiano Mauro Inzoli abbia commesso atti che la legge italiana prevede come delitti, e, nel caso, irrogare la relativa pena. Ma una cosa è stabilire che Tizio, cittadino dello stato X, ha commesso un reato secondo le leggi dello stato X (compito del potere giudiziario dello stato X, di cui un cronista potrà dar conto), altra cosa è poter liberamente e fondatamente scrivere che Tizio, sacerdote, ha fatto cose contrarie ai doveri del sacerdozio, e quelle cose sono atti di pedofilia, dal momento che così dice la Congregazione per la dottrina della fede (ciò che, allo stato degli atti, un cronista può già scrivere).
A seguire il ragionamento del legale di Inzoli, si dovrebbe coerentemente sostenere, chessò, che il Corriere della Sera non può definire Al Capone un notorio criminale, perché è stato giudicato negli Stati Uniti, o viceversa che il New York Times non può qualificare Riina come mafioso stragista, perché non è stato giudicato da un tribunale americano.
Non può essere infamante, lesivo della personalità e condurre al peggior discredito sociale – com’è detto nella diffida – il fatto che Pucciarelli riferisca che ad Inzoli è stato imposto un trattamento psicoterapeutico, perché di nuovo è la Congregazione per la dottrina della fede a dirlo, in un atto pubblicamente consultabile, tanto da esser stato diffuso con un comunicato riportato dal sito della stessa diocesi di Crema. Pucciarelli, che di mestiere fa il cronista, riferisce il fatto: la fonte è verificabile da chiunque.
Non può essere infamante, lesivo della personalità e condurre al peggior discredito sociale – com’è detto nella diffida – il fatto che negli articoli si riporti il soprannome di “Don Mercedes”. È vero che un nomignolo del genere non evidenzia la vocazione alla vita pauperistica del religioso, il che non giova alla sua reputazione, ma l’appellativo non è certo un’invenzione di Pucciarelli, che di mestiere fa il cronista, e infatti ne riporta l’esistenza. Perché non lo dovrebbe fare?
È un’inversione logica sostenere – com’è fatto nella diffida – che «Emerge dalla lettura che tutti i presenti al convegno sulla Famiglia avrebbero dovuto evitare Inzoli e gli organizzatori bandirlo»: Pucciarelli, che di mestiere fa il cronista, si limita a riportare le dichiarazioni dei politici di centrodestra che prendono le distanze dal sacerdote, confrontandole poi con i ben più calorosi atteggiamenti che le stesse persone avevano dimostrato in passato verso di lui.
Se «discredito» e «completa emarginazione del sacerdote» ci sono stati, se ne chieda conto agli autori delle dichiarazioni, non al giornalista che le riferisce.
Dice la diffida che tra le restrizioni cui è sottoposto Inzoli non c’è il divieto di presenziare a convegni sulla famiglia: ma Pucciarelli non ha mai sostenuto il contrario. Ha invece espresso un giudizio di opportunità: la presenza di un sacerdote sottoposto a restrizioni per gravi atti di abuso su minori è compatibile con i valori della famiglia tradizionale che il convegno dichiara di difendere? Il dubbio non pare essere peregrino, dato che le personalità presenti al convegno si sono precipitate a stigmatizzare l’apparizione di Inzoli in platea.
Don Inzoli, Maroni: Non lo conoscevo’. Ecco una foto de La Provincia che li ritrae a un convegno del 2004 http://t.co/ozDPnoPWy7
— Provincia di Cremona (@laprovinciacr) January 20, 2015
#Maroni insieme a #Inzoli a #Crema nel 2004 e a #Milano nel 2014. «Non conosco quella persona». Via @DanielaPF75 pic.twitter.com/MqSho1tJcE — Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) January 19, 2015
Ultima questione sollevata dalla diffida, l’intervista a Franco Bordo conterrebbe frasi insinuanti e sproporzionate.
Ora, a parte che non si capisce cosa ci sia di sproporzionato nelle dichiarazioni di una persona che dice di aver presentato un esposto in procura; Pucciarelli, che di mestiere fa il cronista, ha riportato le opinioni dell’intervistato. È rilevante l’opinione dell’intervistato? Sì, perché si tratta di un personaggio pubblico, un parlamentare. È rilevante il contenuto delle opinioni espresse? Sì, perché riguarda un personaggio pubblico, che ha rivestito ruoli apicali in Comunione e Liberazione e nella Compagnia delle opere.
Quindi, l’ho già scritto nell’altro mio post ma giova ripeterlo, questo è ciò che ritiene la Cassazione a proposito dei contenuti delle interviste:
«[l’intervista] è da ritenere penalmente lecita, quando il fatto in sé dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili di interesse pubblico all’informazione tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l’esercizio del diritto di cronaca». [Cass., N. 37140/2001]
Il legale di Inzoli dovrebbe sapere anche un’altra cosa: il fatto che il suo assistito non sia ancora stato interrogato e non abbia ancora ricevuto l’informazione di garanzia non significa necessariamente che non ci siano procedimenti penali aperti a suo carico. Le indagini preliminari hanno i loro tempi, fissati dal codice. Trascorsi quelli senza che sia recapitato un avviso di conclusione delle indagini, si potrà escludere con certezza che ci siano procedimenti aperti: ma prima no.
La diffida a un singolo giornalista si è resa possibile per una ragione precisa, e cioè che in questi mesi gli articoli sulla vicenda di Don Inzoli si contano sulle dita di una mano. Se il caso avesse ricevuto – come sarebbe dovuto accadere – una copertura diffusa e costante, sarebbe stato molto più difficile additare la “responsabilità” del cronista che rompe il cordone di silenzio mediatico e decide di occuparsi di un caso che è, a tutti gli effetti e sotto ogni aspetto, una notizia, e della più alta rilevanza.
Solidarietà a Matteo Pucciarelli e massima attenzione agli sviluppi del caso Inzoli.
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February 5, 2015
Una nota a «Patria e morte» di Wu Ming 1 | Lettera dello storico Luca Di Mauro

Pagine della prima apparizione su stampa del «Patto sociale costituzionale dell’Ausonia», 1820.
[WM1:] La pubblicazione dei primi appunti sparsi sul vittimismo ha di nuovo attirato l’attenzione sulla mia conferenza del 2011 Patria e morte. L’Italianità dai carbonari a Benigni. Nell’ultimo mese il file audio è stato ascoltato/scaricato migliaia di volte. L’ha ascoltato anche lo storico Luca Di Mauro, studioso delle società segrete ottocentesche e del Risorgimento, che mi ha mandato un’interessante lettera, disamina che diventa perorazione e difesa dei Carbonari, o meglio, dell’ala radicale ed egualitaria della Carboneria. Col permesso del mittente, la pubblico qui sotto.
Ricordo a tutt* che quella sera dopo di me parlò Wu Ming 2, il quale celebrò il centocinquantenario dell’Unità d’Italia… ricordando il centenario della guerra di Libia. La sua conferenza si intitolava Tripoli, suol del dolore e si può ascoltare qui.
[Chi ha letto Timira e Point Lenana capirà subito che quella sera, nella biblioteca di Rastignano, stavamo rovesciando e mescolando sul tavolo materiali di lavoro, dando in pratica anteprime mascherate dei due libri.]
⁂
Caro Wu Ming 1,
ti scrivo dopo aver ascoltato la conferenza Patria e morte. L’Italianità dai carbonari a Benigni, spezzone ormai decisamente datato ma di cui vengo a conoscenza solo adesso. Le mie osservazioni, quindi, possono giungere ormai fuori tempo massimo quando gli interessi di chi ha pronunciato quel discorso possono essersi spostati su altri argomenti.
Premetto che, da studioso del Risorgimento, ho molto apprezzato il tuo intervento e quanto sto per scrivere non scalfisce in alcun modo il mio accordo generale sulle cose da te dette ma riguardano unicamente un tassello che hai utilizzato per costruire il tuo discorso: il patto sociale costituzionale dell’Ausonia.
A mio avviso il suo inserimento in un filone risorgimentale nazionalista ed “aggressore” (pur certamente esistente) andrebbe quantomeno ripensato, come un’analisi ed una contestualizzazione del testo possono dimostrare.

Pierre-Joseph Briot (1771 – 1827)
La prima cosa che andrebbe corretta è la datazione: nella conferenza presentavi il testo come del 1820 (come del resto viene fatto acriticamente da moltissimi autori), presumibilmente sulla base del fatto che il testo appare per la prima volta in quell’anno in un libro francese intitolato Constitution et organisation des Carbonari e firmato da tal Saint Edme, personaggio assolutamente sconosciuto ma che storici autorevoli – come Francesco Mastroberti - identificano come il nom de plume del giacobino Pierre Joseph Briot, che certamente durante la propria permanenza nell’Italia meridionale durante il decennio francese aveva avuto “contatti” (e forse molto di più) con quegli ambienti che nello stesso periodo fondavano le prime vendite carbonare. Secondo Bianca Marcolongo – ed una serie di particolari del testo tendono ad accreditare questa versione – la costituzione ausoniana sarebbe, al momento della pubblicazione, già vecchia di un decennio e dunque ascrivibile all’attività clandestina della fine del regno di Giuseppe Bonaparte o, probabilmente, all’inizio di quello di Murat.
Venendo al fulcro delle mie osservazioni, l’articolo che determina i limiti geografici dell’Ausonia – una repubblica federale democratica ed egualitaria – è il primo che, nel testo originale francese, recita:
«L’Ausonie se compose de toute la péninsule italienne, limitée au levant par la Méditerranée, au sud par la même mer, à l’ouest par la crête des plus hautes Alpes, depuis la Méditerranée jusqu’aux montagnes les plus élevées du Tyrol, qui la sépareront, au septentrion, de la Bavière et de l’Autriche. Tous les anciens états vénitiens seront compris dans l’Ausonie jusqu’aux bouches du Cattaro. Ses limites avec la Turquie seront bornées par les monts de Croatie, Trente et Sienne comprises. Toutes les iles de l’Adriatique et de la Méditerranée, situées à moins de cent milles des côtes de cette nouvelle république, feront aussi partie de son territoire, et les troupes à sa solde les occuperont.»
La prima cosa da notare è l’estrema imprecisione dei riferimenti geografici presenti nel testo: se i confini meridionali ed occidentali sono dati dal mare e dalle cime più alte delle Alpi, la presenza di Sienne (Siena) tra le città vicine al confine orientale testimonia di una conoscenza dei luoghi per lo meno perfettibile da parte di chi (probabilmente un borghese della provincia lucana) aveva originariamente redatto il testo.
Venendo all’inglobamento di «tutti gli antichi stati veneziani» (che, concordo con quanto da te scritto altrove, non hanno alcuna base di continuità con l’italianità come oggi viene intesa), si tenga presente la situazione durante il decennio francese e, più in generale durante le guerre napoleoniche: il riferimento alle isole si riferisce con chiarezza alla Repubblica delle Sette Isole Unite – cedute da Venezia alla Francia con Campoformio – dove le lingue maggioritarie erano il “giudeo-italiano” ed il veneto. Le si voleva “annettere” per mantenerle nella forma repubblicana e sottrarle alla “tirannia” del protettorato turco e russo.
Nessun riferimento ai Balcani, dunque, e soprattutto un concetto di nazione che, per un carbonaro dell’Italia meridionale nel 1810, non è assolutamente scindibile dalla Rivoluzione e dalla Repubblica. L’Unità “familiare” non esiste ancora, tanto che l’Ausonia è una repubblica federale con amplissima autonomia locale e l’unico fattore di unità a priori è la lingua, che comunque nelle zone adriatiche dell’ex Serenissima, nel 1810 (da cui le mie osservazioni puntigliose sulla datazione), era rispettata.
Per concludere, e senza voler in alcun modo invalidare il ragionamento generale sul Risorgimento che – lo ripeto – condivido in toto, ritengo che il Patto d’Ausonia sia da ascrivere a quella componente (o, se preferisci, a quel Risorgimento tra i tanti) egualitaria, democratica, poi uscita sconfitta dal processo unitario. Ad immaginare il suffragio universale, le cariche elettive nell’esercito (come poi nella Comune di Parigi) ed addirittura un’embrione di Stato sociale ed eguaglianza sostanziale è l’ala più estrema e radicale della carboneria, che non è una formazione unitaria ma un arcipelago di posizioni diversissime unite praticamente solo dal rifiuto dell’assolutismo e dalla forma latomica di diffusione politica prescelta.
Con questo mi congedo, esprimendo ancora il mio apprezzamento per quanto in generale da te detto e la speranza di leggere presto qualche nuovo prodotto del tuo/vostro impegno.
Cordialmente,
Luca Di Mauro
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February 4, 2015
Radio Giap Rebelde | Lo Hobbit: un viaggio di crescita individuale – di Wu Ming 4
L’11 gennaio scorso Wu Ming 4 ha tenuto una lezione su Lo Hobbit al Museo del Videogioco di Roma, all’interno del ciclo di conferenze organizzato dall’Associazione Italiana Studi Tolkieniani e dedicate al primo romanzo di J.R.R.Tolkien. Nelle quasi due ore di conferenza è racchiuso un buon condensato della riflessione di WM4 sull’opera in questione, portata avanti anche su Giap.
Mettiamo a disposizione l’audio, corredato da un indice.
Durata: un’ora e cinquanta.
N.B. Se all’ascolto in streaming preferite il download, cliccate sulla freccia a destra del player (quella che punta agli antipodi).
Wu Ming 4 – Lo Hobbit: un viaggio di crescita individuale
Wu Ming 4 – Lo Hobbit: un viaggio di crescita individuale
Intro – 00:00
Libro e meta-libro – 3’41”
«In un buco nel terreno…» – 7’12”
Gandalf – 28’18”
I nani – 35’19”
Lo scassinatore borghese – 48’41”
Risveglio & partenza – 57’37”
Padre, madre… e solitudine – 1h02’07”
Troll, elfi, goblin… – 1h08’45”
…e Gollum – 1h13’27”
Nel bosco – 1h26’30”
Smaug il Terribile – 1h31’38”
Il tradimento onesto e il compimento dell’eroe – 1h42’43”
Pro memoria: domani sera, giovedì 5 febbraio, alle 19:00, Wu Ming 4 sarà alla libreria Gogol & Company, in via Savona 101, a Milano, insieme alla fondatrice della casa editrice Iperborea Emilia Lodigiani e al prof. Fulvio Ferrari, germanista e scandinavista, per parlare di “Tolkien e gli altri: miti e leggende nordiche nella fantasy contemporanea”.
[P.S. Non fatevi spaventare dall’eventuale neve… visto che si parla di Nord! ]
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Due #WuMingLab al Centro: «Racconti d’Oltremare» e «Bottega Bottego»
Anche quest’anno, come nel 2014, siamo riusciti a organizzare due Wu Ming Lab a sud della Linea Gotica: Macerata (7/8 marzo) e Tagliacozzo (8/10 maggio) , in provincia dell’Aquila.
In entrambi i casi, i laboratori seguiranno la struttura del Fantarchivio: due giorni di esperimenti narrativi intorno a un documento d’archivio, proposto e selezionato da Wu Ming 2. Scopo del lavoro: imparare attraverso quali trasformazioni è possibile costruire un racconto a partire da un frammento di mondo (una vecchia foto, un articolo di giornale, una sentenza, un contratto, una testimonianza orale…).
Il primo in ordine di tempo, sarà il Fantarchivio Racconti d’Oltremare, che userà come cavia la storia di Carlo Abbamagal e dei 50 (o 70) africani concentrati a Villa Spada di Treia (MC).
Su questa vicenda, la documentazione di partenza si fa via via più interessante, grazie a Matteo Petracci e all’Istituto Storico della Resistenza “Mario Morbiducci”. Pochi giorni fa, ad esempio, è arrivata in mailbox la scansione di una lettera, conservata all’Archivio Centrale dello Stato, Segreteria Capo della Polizia RSI, b. 49, f. “PAI Gruppo Neri”, Ministero dell’Interno, 14 maggio 1944:
Posta Civile 307
14 maggio 44 XXII
MINISTERO DELL’INTERNO
GABINETTO
ROMA
Gruppo dei neri della P.A.I.
Per il possibile interessamento, si comunica la seguente nota 5 corrente del Capo della provincia di Macerata:
“Si prega di voler intervenire presso i competenti organi affinché si provveda per l’immediato trasferimento da questa ad altra provincia del gruppo dei neri della P.A.I. (70 circa) concentrati nella Villa Spada di Treia.
Tale gruppo rappresenta un serio pericolo per la tranquillità di quella zona.
Infatti alcuni di essi si sono dati alla macchia unendosi ai ribelli (uno è persino capo di una banda); esplicano considerevole attività e sono quanto mai feroci.
Urge provvedere prima che abbiano a verificarsi nuovi e più spiacevoli incidenti”
PEL MINISTRO
(firma illeggibile)
Il Fantarchivio Racconti d’Oltremare si terrà il 7 e 8 marzo presso il CSA Sisma di Macerata. Per info e prenotazioni, potete far riferimento a questa pagina.
***
Il Fantarchivio Bottega Bottego è collegato a quello di Macerata tramite la figura di Vittorio Bottego, il più sanguinario di tutti gli esploratori-soldato spediti in Africa dalla Società Geografica Italiana.
Bottego morì a Daga Roba, vicino a Gidami, in Etiopia, durante uno scontro con gli Oromo. La sua spada, però, attraverso vari passaggi di mano, riuscì a tornare a Parma, la sua città natale. Da Parma, la sciabola venne spedita a Napoli, per la stessa ragione che portò sotto il Vesuvio una settantina di Etiopi, Eritrei e Somali: la 1^ Mostra Triennale delle Terre italiane d’Oltremare. Chiusa la mostra, mentre “i neri” finirono a Villa Spada di Treia, il prezioso cimelio sparì nel nulla. Un primo spunto narrativo potrebbe essere proprio questo: che fine ha fatto la sciabola di Vittorio Bottego?
Un secondo, più interessante aspetto della vita dell’esploratore, riguarda invece un altro “ricordo” delle sue scorrerie africane. Ecco come ne parla lo stesso Bottego, nel suo resoconto Il Giuba Esplorato, in data 21, 22 e 23 novembre 1892:
«Quasi tutti, me compreso, siamo colpiti da fortissime febbri, che, per qualche giorno, non ci lasciano. Acquazzoni torrenziali improvvisi, con folgori e tuoni, accompagnati da vento, bagnano e sconquassano la tenda che, non più ben tesa, mal può ripararmi. La mia gente, sebbene inferma, deve dormire allo scoperto su terreno umido e fangoso. […] Un giovinetto, con una mano tagliata, s’avvicina al campo, ripetendo lamentevolmente: «Mischin, mischin [1]». Lo faccio venire innanzi, e lo accolgo nella carovana. […] Il meschino Galla, Mahammed Chéder (fig. 22) mi racconta le sue sventure.
È di Bàle, vasta regione abitata da Arùssi, tuttora sconosciuta. Gli Scioani, tre volte, con intervallo di qualche anno, posero questa regione a ferro e fuoco. L’ ultima, qualche mese fa, anche la parte ove il meschino abitava fu devastata dagl’invasori: la sua capanna distrutta, gli animali rapiti, la famiglia dispersa; de’ suoi cari più nulla sa; ne ha perduto affatto la traccia. Rammenta, come fosse oggi, che, mentre tentava di togliere ai nemici uno dei cavalli portatigli via, fu da loro raggiunto, preso e condotto innanzi al Ras Amhàra. Questi, valendosi della ragion del forte, condannò come ladro lui, che giustamente riprendeva il suo, e gli fece, secondo la legge scioana, tagliare la destra. Dicendo così, Mahammed mi va mostrando il suo moncherino, la cui ferita non è ancora cicatrizzata. Egli, venuto una volta in questi paesi da bambino, col padre suo commerciante d’avorio, ricorda bene la strada fino al Ganàle, ma non dove sia l’acqua: mi seguirà volentieri, e ci condurrà purché lo prenda al mio servizio e lo assicuri del cibo.» [2]

Immagine tratta da L.Vannutelli, C. Citerni, L’Omo. Viaggio di esplorazione nell’Africa orientale, 1899
Durante il laboratorio Bottega Bottego, come pretesto per far pratica di svariate tecniche narrative, utilizzeremo la storia di Mahamed Keder, e in particolare il “silenzio archivistico” che coincide con la sua permanenza a Parma, prima di ripartire con Bottego per la sua seconda, fatale missione africana.
Il laboratorio si terrà dall’8 al 10 maggio al Casale Le Crete di Tagliacozzo. Info e contatti li trovate qui.
[1] Parola araba dalla quale derivò l’italiana «meschino»
[2] «Ora, tornato in Italia, posso dire che non ebbi a pentirmene. In più circostanze il povero Galla mi diede prove di fedeltà non dimenticabili. Per ciò l’ho condotto meco a San Lazzaro di Parma e ve lo tengo, vivente ricordo di questo viaggio.»
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January 31, 2015
Radio Giap Rebelde | Laboratoire Marie Nozière, #Diariodizona, #PointLenana
Da sinistra: Nella Zorà, Eleonora Frida Mino, Manuela Grippi, Lilyth (Laura Luchino), Gaia Elisa Rossi, Fantasy (Silvia Agnello) e Mariano Tomatis. Fotografia di Veronica Maniscalco.
È integralmente online il Laboratoire Marie Nozière, presentazione/performance/séance di magnetismo femminista ispirata alla protagonista del nostro romanzo L’armata dei sonnambuli.
Il Laboratoire è andato in scena il 28 gennaio 2015 nel teatro del Circolo Amici della Magia di Torino. Mattatrici dell’evento sono state Eleonora Frida Mino, Manuela Grippi, Fantasy (Silvia Agnello), Gaia Elisa Rossi, Lilyth (Laura Luchino) e Nella Zorà.
Dell’evento sono anche disponibili il programma di sala (vero e proprio «oggetto narrativo non-identificato») e l’album fotografico realizzato da Veronica Maniscalco.
⁂
Sempre a Torino, poche ore dopo il Laboratoire, ci siamo ritrovati alla libreria «Il ponte sulla Dora» per una scintillante presentazione del libro Diario di zona di Luigi Chiarella (Yamunin) e della collana Quinto Tipo diretta da WM1 per Edizioni Alegre.
Ecco la batteria degli interventi iniziali: Wu Ming 1, Yamunin, Stefano Jugo (il “Bot” di Einaudi su Twitter) e Mariano Tomatis. Durata: 46 minuti.
Qualcuno si chiederà: perché solo gli interventi iniziali e non la discussione?
La risposta è semplice: si è scaricata la batteria del tablet :-(
Un diario di zona del Quinto Tipo. «Messa cantata» per il compagno Yamunin
Un diario di zona del Quinto Tipo
(«Messa cantata» per il compagno Yamunin)
⁂
Dal Nordovest al Nordest. L’11 dicembre 2014 su Radio Rai Friuli – Venezia Giulia è andata in onda una puntata speciale del programma Riverberi, condotto dal critico musicale e sassofonista Piero Pieri.
Ospite negli studi di Trieste c’era Wu Ming 1, che ha parlato della sua produzione “solista” e “para-solista”, ovvero di New Thing (2004) e Point Lenana (2013). Pieri ha anche trasmesso brani dell’album Bioscop del Wu Ming Contingent.
Ecco la puntata integrale. Durata: 36’41”.
Riverberi. Piero Pieri intervista Wu Ming 1
Riverberi. Piero Pieri intervista Wu Ming 1
Cogliamo l’occasione per annunciare che Pieri ha prodotto una versione radiofonica di Emilio Comici Blues, reading/concerto di Funambolique + WM1 tratto da Point Lenana. Andrà in onda – sempre su Rai FVG, ascoltabile in streaming urbi et orbi – in tre puntate a febbraio-marzo. Comunicheremo con buon anticipo giorni e orari delle messe in onda.
Buon ascolto.
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January 21, 2015
#AlpinismoMolotov diventa un blog
Clicca e vai al blog.
Chi ha letto i racconti collettivi No Picnic on Rocciamelone e Alpinismo Molotov sul Triglav (Contro nazionalismi e alpinismi hipster, dal mondo di Julius Kugy) sa già cosa si intende per «Alpinismo Molotov».
L’idea è nata quando Point Lenana ha stimolato ripetuti incontri fra lettori/lettrici di Giap che amano andare in montagna ma detestano certi modi di andarci.
Una “banda di disparati” sparsi per il Nord Italia si è ritrovata in Val Susa ed è salita sulla montagna-simbolo della lotta No Tav. In quell’occasione è nata, quasi per accidente, l’espressione «Alpinismo Molotov».
Poco tempo dopo, una banda solo in parte coincidente con la prima si è ritrovata a Trieste, è andata in Slovenia e ha affrontato i saliscendi che portano alla groppa e alla testa di «Babbo Triglav», come lo chiamava Kugy.
Poi si sono aggiunte altre persone, si è discusso fitto fitto, ci sono state altre sortite… e si è deciso di aprire un blog, per analizzare e organizzare, riflettere e scarpinare. Come dicono gli zapatisti: «Camminare domandando».
Ebbene, da oggi quel blog è on line. Il primo post è una semplice, essenziale presentazione. Seguirà il manifesto dell’Alpinismo Molotov e poi, con calma, un sacco di roba. Un sacco da montagna, ovviamente. Buona lettura, buone escursioni.
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