Wu Ming 4's Blog, page 97
December 17, 2014
Per smontare la macchina delle panzane sul caso #Marò. Dodici punti di Matteo Miavaldi
[Proseguiamo la disamina critica del caso Marò riprendendo da East on line, freschi di pubblicazione, questi dodici punti del giornalista Matteo Miavaldi, autore del libro I due marò. Tutto quello che non vi hanno detto (Alegre, Roma 2013) e di diversi articoli apparsi qui su Giap. Chi vuole lasciare commenti può farlo sotto il post originale. Buona lettura. WM]
Si preannunciano giorni convulsi, all’insegna della schizofrenia politica, intorno all’annosa questione marò in India. Proviamo a mettere un po’ di punti fermi per orientarci meglio tra le cose che verranno dette e scritte.
Cos’è successo ieri in tribunale?
Gli avvocati di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone avevano intenzione di presentare due istanze separate per prolungare il soggiorno in Italia del primo e far tornare a casa per Natale il secondo.
Latorre è in Italia da metà settembre per proseguire la riabilitazione dopo l’attacco ischemico che ha subìto qui a New Delhi: la Corte suprema ha accordato una licenza in scadenza il prossimo 13 gennaio e il governo indiano – prima che i giudici si pronunciassero – aveva fatto sapere di non aver nulla in contrario al ritorno di Latorre in Italia per motivi medici (occhio che questa cosa è importante, poi la riprendiamo). La richiesta era di poter rimanere in Italia per altri quattro mesi, a fronte anche di un’operazione cardiochirurgica alla quale Latorre potrebbe doversi sottoporre il prossimo 8 gennaio.
Girone è rimasto in India e nell’istanza aveva presentato alcune (forse due, non è chiaro) perizie mediche che indicavano lo stato di malessere dei suoi figli (un maschio e una femmina). I due soffrirebbero di “sindrome da stress post traumatico”, si legge negli stralci divulgati dalla stampa, poiché sono convinti di non poter più rivedere il padre e credono gli verrà comminata la pena di morte. Girone non vede i suoi figli dallo scorso mese di marzo.
E i giudici cos’hanno detto?
Il presidente della Corte ha detto che istanze di questo genere “non si prenderebbero in considerazione da nessuna parte del mondo”, che “anche le vittime hanno i propri diritti” e, soprattutto, che se avesse acconsentito a richieste simili allora avrebbe dovuto farlo per tutti gli altri detenuti nel paese.
Davanti a queste obiezioni, gli avvocati hanno deciso di ritirare le istanze, probabilmente in attesa di tempi e condizioni migliori.
Ad esempio quali?
La Corte suprema chiuderà per le vacanze di Natale fino al prossimo 5 gennaio. Da quella data i legali dei marò potrebbero provare di nuovo a tastare gli umori della Corte, facendo leva – almeno per quanto riguarda le condizioni di salute di Latorre che mi dicono essere preoccupanti – sul sostanziale accordo del governo indiano e sul fatto di non aver ricevuto un rifiuto da parte della Corte dopo la valutazione delle istanze, bensì di averle ritirate prima di sottoporle ufficialmente al vaglio dei giudici (che infatti, le avessero accettate, avrebbero richiesto il parere dell’accusa e del governo, rinviando l’udienza).
Come abbiamo reagito in Italia?
Male, nel senso che nessuno – nemmeno chi scrive – si aspettava una reazione del genere da parte della Corte. Questo perché si dava per scontato un accordo diplomatico “segreto” che avrebbe addolcito la posizione della Corte. Cosa che, evidentemente, ancora non c’è. E questo è un bel problema, poiché se il governo Renzi in tutti questi mesi non è riuscito a tessere accordi informali con la controparte indiana – così da chiudere questa diatriba lunga ormai tre anni attraverso il dialogo, come auspicato da Roma – allora significa che l’Italia si dovrà affidare solo alla clemenza della Corte suprema. E sarebbe un bel rischio.
Perché?
Perché i rapporti con la Corte suprema indiana hanno raggiunto i minimi storici quando, nel marzo del 2013, il governo Monti ha prima convinto i giudici a dare una “licenza elettorale” ai due marò – condizione abbastanza inusuale, siccome pare avrebbero potuto votare alle elezioni politiche dall’ambasciata – e poi, una volta arrivati in Italia, ha mandato a dire alla Corte suprema indiana che l’agreement firmato dall’ambasciatore Mancini per conto dello Stato italiano, dove ci si impegnava solennemente a riconsegnare i marò all’India al termine della licenza, non valeva più niente: avevamo cambiato idea.
All’epoca la reazione della Corte fu scomposta e irruenta, analisti indiani scrivevano sui quotidiani locali che una cosa del genere non era mai capitata “nemmeno col Pakistan”: minacciarono di sospendere l’immunità diplomatica dell’ambasciatore e sostanzialmente sfidarono l’Italia a incorrere nella collera indiana. L’Italia cedette, ma quel giochino come paese siamo destinati a pagarlo almeno fino alla fine di questa vicenda.
Però l’India ci calpesta in spregio ai diritti umani!
Questa è una cosa che si sente e si legge troppo spesso ed è una posizione francamente indifendibile, considerando le condizioni di cui i due marò hanno potuto godere nel loro attuale status – davanti alla giustizia indiana – di indagati per duplice omicidio: non hanno mai passato un solo giorno in carcere, hanno ottenuto diverse licenze per tornare a casa (tre Latorre, due Girone). Condizioni assolutamente eccezionali che, dal punto di vista della Corte suprema, sono state ripagate col tentato tranello del marzo 2013.
L’India però ci aveva fatto credere che le cose stessero andando bene, e invece adesso ci sbatte la porta in faccia!
Anche qui, se ne può discutere. Da quando la questione marò è passata in mano al governo Renzi, c’è stata solo una telefonata tra il primo ministro indiano Narendra Modi e il nostro premier in cui Modi ha detto che questa è una questione giuridica e quindi se ne occupano i giudici. Ovvero, se n’è lavato le mani.
Prima, erano successe due cose.
Uno: Renzi ha detto tante grazie a Staffan De Mistura, diplomatico di lungo corso che aveva gestito il caso marò dall’inizio, probabilmente per dare un segnale di #cambiamento, e l’ha messo fuori dalla gestione della diatriba. De Mistura era un interlocutore molto considerato qui in India; uno che riusciva a sedersi a prendere un té con l’allora ministro degli Esteri Salman Khurshid e fare un comunicato stampa congiunto in cui si smontava una volta per tutte la palla del rischio della pena di morte per i marò (sulla quale invece in Italia abbiamo continuato a cavalcare strumentalmente, senza considerare che in casi del genere la pena qui in India non si applica e che dal 1990 ad oggi è stata comminata la pena capitale solo tre volte, per due terroristi – un pakistano e un kashmiro – e un serial killer indiano).
Ora chi sta gestendo i rapporti diplomatici con l’India? Non si capisce.
Abbiamo mandato in India una delegazione parlamentare che però non è stata ricevuta da NESSUN politico indiano; i vari ministri degli Esteri non sono mai venuti qui in India, e nemmeno il primo ministro Renzi.
Due: Renzi ha dato mandato a un pool di giuristi, coordinato dall’inglese Daniel Bethelem, di preparare una richiesta di attivazione delle procedure per l’arbitrato internazionale. Richiesta che pare sia pronta ma ancora ce la teniamo nel cassetto.
Perché?
Forse perché i tempi dell’arbitrato internazionale sono stimati intorno ai tre anni e, soprattutto, non siamo nemmeno sicuri che la richiesta vada in porto. Oltretutto, l’arbitrato non tratterebbe i fatti che vengono contestati a Latorre e Girone, bensì la giurisdizione su quei fatti. Detto più semplice: l’arbitrato eventualmente dovrà decidere chi, tra India e Italia, abbia la giurisdizione dell’incidente dell’Enrica Lexie.
Ma se è avvenuto in acque internazionali! La giurisdizione è nostra!
Non è proprio così, questa è una delle molte bombe al panzanio che vengono sganciate a ripetizione e che ormai molti danno per assodate. Invece no. Il fatto è avvenuto a 20,5 miglia nautiche dalla costa indiana (ci sono le rilevazioni satellitari ed è un dato che anche l’Italia ha riconosciuto) in un tratto di mare che si chiama zona contigua. L’India dice che quel tratto, secondo le proprie leggi, rientra nell’area della totale giurisdizione indiana. L’Italia dice che no, non sono acque territoriali e quindi la giurisdizione è di Roma. Sono due interpretazioni concorrenti del diritto internazionale e quindi, se non ci si mette d’accordo tra Italia e India, si dovrà ricorrere a un tribunale internazionale per dirimere la questione.
Nota: ancora oggi gli esponenti di Fratelli d’Italia, nell’interrogazione parlamentare di questo pomeriggio, dicono che l’incidente è avvenuto a 32 miglia nautiche. Qualcuno li avverta.
Però i marò sono soldati italiani e quindi devono essere giudicati da un tribunale italiano, hanno l’immunità funzionale!
Questo lo diciamo noi italiani però, almeno molti. Diversa l’opinione dell’India, che contesta l’immunità funzionale considerando il servizio antipirateria svolto dai marò a bordo di una nave civile un’attività di tipo privato, non a difesa dello Stato (e non, ovviamente, un’azione di guerra).
Quindi adesso che si fa?
Le dichiarazioni giunte fino a questo momento, e il rientro dell’ambasciatore Daniele Mancini in Italia disposto dal neoministro degli Esteri Gentiloni, lasciano intendere un irrigidimento della posizione Italia, ma si capirà meglio quando Renzi dirà qualcosa in merito (ancora non l’ha fatto).
Si potrebbe avviare la procedura di arbitrato internazionale, facendo la voce grossa e mettendo però a rischio la posizione di Girone, che è ancora qui in India.
Si potrebbe provare, per l’ennesima volta, a chiedere supporto agli organi internazionali (Onu) alla Ue e agli “alleati” per fare pressioni sull’India, ma anche qui ci si espone a uno scontro con l’India dal quale rischieremmo di uscire con le ossa rotte, considerando che Narendra Modi (al governo da sei mesi) è in una sorta di stato di grazia diplomatico – ad esempio, aspetta che il “nostro alleato americano” Barack Obama arrivi qui a Delhi per essere ospite d’onore della parata per la Festa della Repubblica del 26 gennaio – e che chi, secondo Roma, avrebbe dovuto spendersi per la causa italiana, non l’ha fatto mai.
Al massimo, in passato, abbiamo portato a casa la “preoccupazione” e i moniti della ministra degli Esteri dell’Ue Cathrine Ashton, che qui in India nessuno ha calcolato.
Consideriamo anche che, qui in India, l’affare marò è un non-caso: all’indomani del rifiuto della Corte suprema per le licenze di Latorre e Girone non c’è una dichiarazione di un politico indiano, manco a pagarla.
Tanto li tengono lì e se ne fregano così possiamo continuare a fare affari con l’India…
Altra bomba al panzanio. Qui un po’ di numeri: le esportazioni italiane in India nel 2013 sono scese dell’11 per cento. Ancora più chiaramente, citando dal pezzo: «Nel complesso l’Italia ha un peso dell’1,15% sul totale del commercio indiano (fonte Dipartimento indiano del Commercio). Tale valore era dell’1,7% nel 2008-2009 ed e’ da allora in lieve diminuzione. L’India invece cattura lo 0,9% del commercio totale dell’Italia con il resto del mondo (fonte Istat), valore piu’ o meno costante dal 2008, se si esclude un picco dell’1,1% nel 2011».
The post Per smontare la macchina delle panzane sul caso #Marò. Dodici punti di Matteo Miavaldi appeared first on Giap.







December 10, 2014
Tolkien to-Day: la lotta di liberazione della Terra di Mezzo
Nel giorno delle anteprime del film che conclude la trilogia de Lo Hobbit esce su “La Repubblica” un pezzo di Wu Ming 4. Si tratta di una panoramica su quanto è cambiata l’aria intorno a Tolkien negli ultimi tredici anni, quelli dell’occupazione jacksoniana dell’immaginario. Si può leggere sul sito dell’AIST.
The post Tolkien to-Day: la lotta di liberazione della Terra di Mezzo appeared first on Giap.







December 7, 2014
UGO, l’Unica Grande Opera. Costruiamo insieme l’#8D2015
Tra un anno esatto, una grande giornata di mobilitazione.
Capita che qualcuno usi le parole giuste per esprimere quello che avevi in testa e ti accingevi a scrivere tu stesso. In questo caso, a farlo sono stati Salvatore Settis e Tomaso Montanari, addirittura su un quotidiano mainstream come La Repubblica. La sintesi dei loro articoli coincide con quanto dicono da tempo comitati di cittadini e movimenti di base: esiste Una Grande Opera, una sola di cui l’Italia abbia concreto bisogno, ed è salvare il territorio, metterlo in sicurezza, risanarlo. Salvarlo dal dissesto idrogeologico che fa allagare le città e franare le montagne ogni volta che piove un po’ più forte; ma anche liberarlo dalla cementificazione e dal peso che insiste sulla sua superficie; dall’inquinamento e dall’immondizia. E non ultimo, aggiungeremmo noi, dalla militarizzazione, vero e proprio scippo di suolo pubblico a fini bellici.
Insomma, tutto il contrario di quello che si accinge a fare lo «Sblocca Italia», decreto che ha per nome un’antifrasi, dato che il fine reale è congestionare il Paese.
Chiamiamola UGO. È l’Unica Grande Opera, l’unica che valga la pena realizzare e che darebbe lavoro a decine di migliaia di persone. Un serio investimento di denaro, energie, intelligenza collettiva, per evitare catastrofi e riqualificare il territorio, che rimane risorsa primaria e che rappresenterebbe in realtà un risparmio sulle ecocatastrofi future.
Per fare una cosa del genere, si capisce, occorrerebbero una prospettiva e una visione completamente diverse da quelle imperanti. Servirebbe un’altra idea di progresso, non più misurata in metri cubi di cemento, appalti e fatturati, ma in qualità reale della vita, fatta di salute, tutele, socialità, cultura, felicità. Occorrerebbe immaginare un sistema di trasporto pubblico in cui la velocità di spostamento sia meno importante della capillarità; in cui l’impatto leggero sia un valore aggiunto; in cui invece di costruire nuovi raccordi, bretelle, tangenziali, per incentivare il traffico automobilistico, si lavori per potenziare il trasporto pubblico. Bisognerebbe ragionare sul recupero delle aree urbane dismesse (basi militari, caserme, distretti produttivi abbandonati) e sulla loro restituzione allo spazio pubblico; e ancora, bisognerebbe pensare a come incentivare le filiere corte contro la grande distribuzione; ecc. ecc. Inutile farla tanto lunga, ci siamo capiti perfettamente, sono cose che sanno tutti.
Esiste in questo paese una forza politica che possa farsi carico di un mutamento di prospettiva così radicale?
Se parliamo di una qualche forza politica organizzata per raccogliere voti, la risposta ovviamente è no.
Se spostiamo lo sguardo, però, vediamo, sparsi per tutto lo Stivale e le isole, centinaia di comitati territoriali – almeno uno in ogni provincia – che portano avanti battaglie reali contro lo scempio del territorio, per la salvaguardia della salute e per un rapporto diverso con i luoghi in cui si vive. Se non fosse per loro, la devastazione del paesaggio e l’ingiustizia ambientale sarebbero oggi ancora più mostruose.
È giusto, come fanno anche Settis e Montanari, invocare Una Grande Opera di risanamento, ma è altrettanto importante riconoscere l’opera di migliaia di attivisti, senza i quali saremmo circondati da chissà quanti altri ecomostri, autostrade che portano al nulla, ferrovie senza treni, impianti eolici inutili, parchi cittadini abbandonati, edifici pericolanti, immondizia, centrali nucleari, frane, inondazioni. Se si facesse l’elenco di quanti progetti dannosi e demenziali sono riusciti a bloccare e di quanti spazi dimenticati sono riusciti a riutilizzare, ne verrebbe fuori la mappa di una resistenza che ha impedito e impedisce ogni giorno il collasso psicogeologico dell’Italia.
E invece, questi movimenti, grandi, piccoli o piccolissimi, vengono accusati dagli alfieri dello sviluppismo di voler fermare il “progresso”, di essere “conservatori”, di essere “nimby”.
La verità è che questi soggetti, completamente autorganizzati e autofinanziati, sono modelli di esercizio della cittadinanza attiva e andrebbero tenuti in grande considerazione, perché sono una risorsa politica nel senso più pieno del termine. Sono esperienze che non si rassegnano all’affondamento del paese sotto una colata di cemento, fango e pattume. Spesso intorno a questi movimenti si sviluppano analisi, inchieste, studi, che vanno a dimostrare la miseria dell’attuale gestione del territorio e la sua perniciosità, che suggeriscono ipotesi alternative all’ottusità e alla miopia delle grandi opere e di chi le ordina, progetta, finanzia.
Il vecchio modello di sviluppo è duro da scalfire quando la presa di posizione critica viene dalla periferia, da un angolo d’Italia, da un “cortile”. Eppure, spesso è proprio dalla sfida della periferia al centro che nascono le lotte in grado di cambiare qualcosa. Mentre assistiamo alla celebrazione dell’Expo milanese con i suoi appalti cementiferi che ingrassano le organizzazioni criminali, vediamo anche fare capolino da dietro l’orizzonte la vittoria del movimento contro il Tav in Val Susa. Ormai anche gli ultimi giapponesi con l’elmetto rimasti a difendere quell’inutile scempio devono arrendersi all’evidenza che si tratta soltanto di una gigantesca voragine mangiasoldi, utile solo a far girare a vuoto la ruota del PIL.
Gino e Pino camminano per la strada quando, di fronte ai loro piedi, vedono un ripugnante escremento. Pino lo indica e dice a Gino:
– Se lo mangi, ti dò dieci euro!
Gino è nauseato, ma pensa che dieci euro sono pur sempre dieci euro, e allora si china sul disgustoso reperto, lo raccoglie e, reprimendo i conati, lo mangia in due bocconi. Pino, impressionato, non può fare altro che congratularsi e dargli i dieci euro.
Pochi metri più avanti, i due si imbattono in un altro escremento. Stavolta è Gino a fare la proposta a Pino:
– Se lo mangi, ti ridò i tuoi dieci euro!
Pino è schifato, ma 1) gli brucia di aver perso la somma; 2) non vuole essere da meno, e allora pure lui si china e ingurgita l’escremento. Gino si congratula e gli ridà i soldi. La passeggiata prosegue, ma pochi metri dopo Pino si ferma di colpo.
– Che c’è? – gli chiede Gino.
– C’è che siamo due scemi! – dice Pino. – Abbiamo mangiato sterco e nessuno dei due ci ha guadagnato niente!
– La vedi così perchè sei ignorante! L’importante è che l’economia si muova!
I valsusini, accusati di voler “fermare l’economia” perchè non vogliono mangiare sterco, resistono da vent’anni e potrebbero resisterne altrettanti. Perché chi la dura la vince.
Altrove le cose vanno in modo diverso. Al capo opposto del paese, la lotta degli abitanti di Niscemi (CL) contro il Muos sembra quella delle formiche contro l’elefante. Un elefante americano che ha posato il suo pesante deretano in mezzo alla Sicilia per non andarsene più. “Sauron”, così i niscemesi chiamano la radioantenna alta oltre cento metri, con in cima un faro rosso fuoco, la più alta delle 46 che costellano le colline recintate, dove sorge la base militare americana, proprio in mezzo a una riserva naturale. Il dibattito sulla concreta pericolosità di quelle antenne imperversa da tempo, a suon di perizie e controperizie, ma intanto la base sta là, e nella migliore delle ipotesi serve a una superpotenza per condurre operazioni militari in giro per il mondo, nella peggiore aumenta l’incidenza dei tumori della popolazione locale.
Da un estremo all’altro c’è una vasta gamma di situazioni e lotte diversissime tra loro, ma evidentemente accomunate da un’idea del rapporto con il territorio e della sua gestione che contraddice lo stato delle cose. Anche la lotta più piccola e meno consapevole, anche quella più “nimby”, volente o nolente mette una manciata di sabbia negli ingranaggi di un modello economico insostenibile ben rappresentato dallo «Sblocca Italia» di Lupi e Renzi.
Poco più di un mese fa, guardando da dietro un cancello l’Occhio di Sauron che scrutava la notte siciliana, rischiarata anche dall’inquinamento luminoso della base US Navy, sorta di astronave atterrata in mezzo al paesaggio, ci domandavamo una cosa.
Tutte queste situazioni di lotta territoriale non dovrebbero costituire una vera e propria rete? E per farlo, non dovrebbero innanzitutto contarsi? Se esistesse una rete di questo tipo, la periferia non sarebbe più tanto periferica, e la piccola lotta locale potrebbe riverberare su tutto il territorio nazionale e magari anche continentale. Se può esistere un discorso comune, allora può esistere anche una lotta comune.
Tentativi in questo senso ce ne sono già molti, ma spesso si concentrano su un solo aspetto del “diritto al paesaggio”, come la Rete Stop Enel o il Coordinamento Nazionale No Triv, o la solidarietà per una specifica battaglia oltre i suoi confini “naturali” (es. i No Muos fuori da Niscemi). Tentativi fatti in passato, come l’esperienza di Mutuo Soccorso, erano forse prematuri e si sono scontrati con interessi di tribù, correnti e parrocchie micropartitiche nel frattempo scomparse.
Grazie all’associazione Re:Common, nei primi mesi di quest’anno, abbiamo vissuto e animato un esperimento di scrittura collettiva “trasversale”, con l’esplicito obiettivo di far nascere un “noi”, una soggettività plurale a partire da esperienze diverse: dalla Riviera del Brenta al Salento, da Livorno alla Val Susa, passando per il Monte Amiata, i rappresentanti di sei comitati hanno dato vita ai racconti dell’antologia GODIImenti, Abbecedario di Resistenza alle Grandi Opere Dannose, Inutili e Imposte.
Ci siamo resi conto, in questa occasione, di quanto possa essere fecondo un simile confronto, e di quanto la narrativa sia il linguaggio più adatto per darne conto, perché le storie usano il particolare, l’aneddoto per raccontare l’universale, il comune. Ed è proprio di questo che ci sarebbe bisogno: una rete che tenga insieme le diverse realtà, per ragionare su ciò che le accomuna senza però farne una regola, che poi si riversi sui dettagli e li cancelli alla vista. Una terra di mezzo tra il singolo esempio e la teoria astratta: come nella metabasi di Epicuro e Lucrezio, dobbiamo mettere insieme le esperienze, sottolineare le somiglianze, produrre possibili associazioni, ma senza cancellare le caratteristiche tipiche dei singoli casi e luoghi.
Certo, sarebbe un progetto dispendiosissimo. Provare a costituire una rete del genere è un’impresa che potrebbe impiegare anni e potrebbe facilmente rivelarsi la fatica di Sisifo. Ma questo non impedisce almeno di pensare a un passo preliminare di tipo comunicativo.
Un’insorgenza. Una metabasi dei movimenti per il diritto al paesaggio.
Non il rituale concentramento nella Capitale, ma, al contrario, il manifestarsi contemporaneo e incontrollato di tutte le realtà, là dove sono attive e producono saperi. Ognuna secondo le modalità che preferisce: corteo, occupazione, blocco, sit-in, convegno, concerto, festa, spesa proletaria, azione diretta… Il tutto preceduto da un anno di incontri, laboratori, inchieste: con la lotta all’Expo a fare da catalizzatore, ma proiettandoci già oltre il Grande Evento, per rivendicare ovunque, in ogni angolo del paese, che la resistenza esiste, che ha già vinto moltissime battaglie e liberato molti territori. Uniti, si può puntare a un obiettivo ancora più vasto.
Tra un anno esatto a partire da oggi cadrà il decennale della «Battaglia di Venaus».
L’8 dicembre 2005, due giorni dopo un violentissimo sgombero per mano della polizia, trentamila persone sbaragliarono le forze dell’ordine, abbatterono la recinzione e riconquistarono il terreno del presidio No Tav, vero e proprio villaggio costruito per impedire l’avvio del cantiere CMC. Una vittoria politica importantissima, che costrinse i fautori della Torino – Lione a rinunciare a Venaus e spostare in Val Clarea l’ingresso del “cunicolo geognostico”. Grazie alla vittoria nella battaglia di Venaus, l’apertura del cantiere fu posticipata di oltre sei anni, con conseguenze per il progetto probabilmente fatali, perché più passa il tempo e più magagne si scoprono, e il TAV Torino – Lione appare sempre più chimerico, insensato, nocivo.
Riconquistando il terreno del cantiere, il movimento No Tav – che è profondamente antifascista – celebrò nel modo migliore l’anniversario del Giuramento della Garda, inizio ufficiale della Resistenza in Val Susa. Era un altro 8 dicembre, quello del 1943.

Venaus, 8 dicembre 2005.
– Stanno arrivando…
- Stanno ancora arrivando…
- Continuano a stare arrivando!
- Merda!!!
L’8 dicembre 2005 fu una data spartiacque nella storia dei movimenti contro le Grandi Opere Inutili e Imposte, come il 20 ottobre 1983 – la «Notte degli arresti» a Viadana - lo era stato per il movimento antinucleare e ambientalista. Con la lotta di Viadana, il movimento antinucleare “forò il velo”, e molti capirono che era destinato a crescere. Nel 1987 una vittoria referendaria portò alla chiusura delle centrali nucleari, ribadita da un secondo referendum nel 2011.
L’8 dicembre 2o05 i No Tav “forarono il velo” a loro volta e irruppero con forza nell’immaginario nazionale. In altre parti d’Italia, molti cominciarono a interessarsi a quella lotta e a trarne ispirazione. Gli stessi No Tav dissero più volte che «l’8 dicembre può accadere ovunque». Poco tempo dopo, a Vicenza nacque il movimento No Dal Molin, e da lì in avanti è stata un’esplosione di No Muos, No Tap, No Expo, OpzioneZero, movimenti No Tav in diverse parti d’Italia (Terzo Valico, Brennero, Firenze…) e innumerevoli altre realtà. Anche mobilitazioni già in corso, come quella contro il ponte sullo Stretto di Messina, ne sono state rivitalizzate. Nulla è più stato come prima.
Tra un anno esatto.
Martedì 8 dicembre 2015.
Dieci anni dopo la battaglia di Venaus.
Mobilitazione nazionale simultanea e molteplice contro lo scempio dei territori, i baracconi mangiasoldi, le devastazioni ambientali, e per avere UGO, l’Unica Grande Opera che valga la pena fare: risanamento e messa in sicurezza dei territori, lotta al dissesto idrogeologico, decongestione del paesaggio.
Proponiamo l’8 dicembre come data “gravitazionale”. Alcune iniziative potrebbero avere inizio il giorno prima, o prolungarsi fino al giorno dopo e oltre. Ciascuna situazione deciderà cosa è meglio fare. L’importante è muoversi insieme e muoversi ovunque.
Ecco qua. Lanciamo questo sasso nello stagno, sperando che non ne esca un mostro tentacoluto per tirarci sotto e che invece dai cerchi nell’acqua possa nascere una visione di futuro.
The post UGO, l’Unica Grande Opera. Costruiamo insieme l’#8D2015 appeared first on Giap.







December 4, 2014
La magia militante di Mariano Tomatis. Da «Donne a metà» a L’#ArmatadeiSonnambuli

Ve lo si conta noi come incontrammo Mariano
di Wu Ming 1
Da un anno collaboriamo intensamente con Mariano Tomatis, scrittore, illusionista e storico della magia. Tale collaborazione sta contribuendo all’evoluzione della Wu Ming Foundation e producendo momenti di autentica meraviglia.
Molti ci chiedono: «Ma dove e come vi siete incontrati con Tomatis?» E ovviamente chiedono a lui: «Ma dove e come vi siete incontrati tu e Wu Ming?»
Abbiamo pensato di far apparire tre colombe con una fava, raccontando in un unico post:
– il convergere dei nostri percorsi;
– cos’è successo nell’ultimo anno;
– cosa collega gli studi di Mariano e il mondo de L’Armata dei Sonnambuli.
Non molti se n’erano accorti, ma i nostri libri sono sempre stati pieni di riferimenti e omaggi – più o meno nascosti – a magia, illusionismo e mentalismo. Mariano se n’è accorto leggendo Point Lenana e, andando a ritroso, li ha trovati quasi tutti (cfr. il suo racconto qui sotto). In 54 c’è addirittura un personaggio soprannominato «Houdini». E ovviamente, L’Armata dei Sonnambuli è un carnevale di citazioni.
È stato così fin da prima di Wu Ming, dai tempi del Luther Blissett Project. Nella comunicazione e nelle performances blissettiane abbondavano i riferimenti all’illusionismo e a un paranormale farlocco (la telecinesi-guerriglia degli «attacchi psichici»). Nel primissimo numero della rivista Luther Blissett appariva questa spiazzante immagine:

Immagine senza commento tratta dal n.0 di «Luther Blissett. Rivista di guerra psichica e adunate sediziose», pubblicata a Bologna nell’aprile 1995, pag. 14. Clicca per sfogliare o scaricare tutti i numeri dal sito dell’archivio Grafton 9.
Che dovessimo prima o poi incrociare Mariano era scritto, insomma.
Mariano è partito dall’illusionismo e ha ampliato sempre di più l’esplorazione, spostandosi ogni volta a un livello più alto, costantemente propulso da queste domande: cos’è «magia» oggi? Se «magico» è ciò che si distingue dall’ordinario, si staglia dal fondale del quotidiano e produce meraviglia, come mai è tanto raro vedere la magia associata alla contestazione dell’esistente, al pensiero critico sul mondo, alle prassi che aboliscono lo stato delle cose presenti? Perché le figure dell’illusionista e del mentalista sono il più delle volte intrise di superomismo e machismo e legate a un immaginario conservatore? Perché le «storie» – the narratives – che i maghi raccontano coi loro trucchi sono così frequentemente reazionarie?
Prendiamo ad esempio una storia che tutti conosciamo: un maschio vestito di tutto punto – abbigliato per ostentare potere – lega una donna seminuda, la chiude in una cassa, la sevizia e la sega in due senza che la vittima metta mai in discussione il proprio ruolo e la sorte che deve subire. È la rappresentazione acritica di un femminicidio. È il supplizio della Dalia Nera, ma prima del documentario di Mariano Donne a metà ben pochi ci avevano fatto caso. E ben poche, cosa forse più grave. Che figata, una donna immobilizzata, infilzata da lame e segata in due! Applausi.
Nel suo documentario, Mariano rivela la matrice politica del trucco, proposto anche in minacciosa polemica contro le donne che lottavano per il diritto di voto, e dice: troppi maghi procedono con il pilota automatico, abbandonandosi ad automatismi sociali, a consuetudini mai messe in discussione, e non riflettono mai su quali potentissimi simboli stiano maneggiando in maniera irresponsabile.
Ponendosi questi problemi, e studiando percorsi di magia non conformista, Mariano è giunto al concetto di «Magic Experience Design» – che è al centro del suo libro più recente, L’arte di stupire, scritto insieme a Ferdinando Buscema - e poi a quello di «magia militante», che lo ha portato a coniugare prestidigitazione e lotta No Tav.
Alla base c’è la convinzione che la nuova magia non debba più svolgersi sul palcoscenico di un teatro o in uno studio televisivo. La nuova magia in realtà è una sorta di “performance art” che non ha più pareti intorno, il cui fine è far vedere da fuori l’ordito del mondo, cristallizzare in un momento di meraviglia una critica dei dispositivi e delle relazioni di potere in cui siamo avviluppati. Questo è molto vicino alla poetica del narrare che nel corso degli anni abbiamo sintetizzato in vari modi: «aprire l’officina», «mostrare la sutura» etc. La sfida è spiegare il trucco senza rinunciare alla meraviglia, anzi, cercando di indurre nuova meraviglia con la spiegazione del trucco. Tutto si sposta a un livello più alto, la contraddizione si acuisce, l’equilibrio è più difficile da mantenere, ma c’è il vantaggio che tutti devono essere più consapevoli, più vigili.
Ecco che la magia diventa anche critica della magia, come nella tecnica di montaggio e narrazione grazie a cui Mariano ci fa vedere con nuovi occhi il trucco della donna segata in due, illuminando la relazione di potere che fa apparire “normale” il femminicidio. E in un mondo fondato sulla disuguaglianza tra i generi il femminicidio è normale.
Femmicinidio è quando un uomo uccide una donna per un motivo legato al suo essere donna, perché andava «rimessa al suo posto», perché aveva osato rifiutare quell’uomo, aveva osato sfidarlo, o semplicemente – forse senza nemmeno accorgersene – aveva osato disattenderne le aspettative.
Femminicidio è quando l’uccisione di una donna serve a difendere o ribadire la disuguaglianza tra i generi.
Il femminicida non ha bisogno di razionalizzare questo movente, spesso non ne è nemmeno conscio: ci vive dentro, al movente, e non si è mai guardato da un «fuori».
Ai «negazionisti» che si arrampicano sugli specchi per smentire l’esistenza del femminicidio andrebbe chiesto: quante volte avete visto il trucco della donna segata in due a generi invertiti? Quante illusioniste esistono in proporzione ai colleghi maschi, e quante di loro hanno un «valletto» seminudo che possono seviziare, infilzare, squartare e segare a piacimento?
Questa è la magia «a un livello più alto» di Donne a metà: fae apparire all’improvviso un femminicidio prima invisibile.
In un puntuale intervento su adolescenti e violenza di genere che prende le mosse da Donne a metà, Federica Zangirolami ha scritto:
«Credo che la questione (letteralmente) di vita o di morte sia quella di non smettere di porsi delle domande, non dare nulla per scontato e non porsi acriticamente di fronte a ciò che ci viene raccontato, dai media ma anche dai nostri pari. Chi, prima di aver visto Donne a metà, aveva mai pensato di interpretare in chiave aggressiva un mago che mette in scena la donna tagliata a metà? Alla stessa stregua dovremmo domandarci cosa sfugge alla nostra vista, cosa ci siamo disabituati a vedere. Quali stereotipi ci guidano nel rapporto con l’altro sesso? Giustifichiamo gli atti violenti? Con quale motivazione? Legittimiamo l’uso della violenza dei nostri figli o alunni nei confronti degli altri? Abbiamo mai domandato loro come si comportano con l’altro sesso, cosa pensano delle molestie, delle prevaricazioni, della violenza?»
Proprio grazie al documentario abbiamo conosciuto Mariano. Pensandoci, è strano che non fosse entrato nel nostro radar molto prima.
A parlarci di lui per la prima volta è Loredana Lipperini. La sera del 2 novembre 2013 si passeggia e si chiacchiera per Bologna dopo la presentazione di Morti di fama, e a un certo punto Loredana dice a Wu Ming 1: – Ma voi lo conoscete Mariano Tomatis? Ah, non lo conoscete? Dovete conoscerlo, guarda che siete fratellini! – E si mette a parlare di Donne a metà e del libro appena uscito per Sperling & Kupfer, Te lo leggo nella mente.
E così Wu Ming 1 si guarda il documentario, resta a bocca aperta e lo consiglia agli altri WM, poi si divora Te lo leggo nella mente, e lo consiglia agli altri WM, poi si beve in un pomeriggio ROL: Realtà O Leggenda?, vertiginosa controinchiesta sul presunto sensitivo torinese, e nel frattempo anche gli altri WM hanno drizzato le antenne:
– Questo è il tizio che fa per noi!
Stavamo finendo la stesura de L’Armata dei Sonnambuli. Da anni ci occupavamo di mesmerismo e magnetismo animale, quindi di ipnosi, e quindi di suggestione, e quindi di mentalismo. Da tempo sentivamo l’esigenza di far leggere il libro in anteprima a un «esperto», per capire se le scene di mentalismo avessero coerenza narrativa e plausibilità scenica.
Nello scrivere quelle scene abbiamo camminato su lame di rasoi: le magnetizzazioni sono descritte alludendo sempre a qualcos’altro che in realtà sta succedendo. Tanto noi quanto il lettore di oggi sappiamo che non esiste il «fluido magnetico universale», quindi quando un personaggio ne «magnetizza» un altro o più altri, e quella «magnetizzazione» ha evidenti effetti, in realtà sta succedendo altro: suggestione, ipnosi «ericksoniana», pavlovismo sociale…? In realtà l’ altro che sta accadendovuole essere è un’allegoria aperta. Qualcuno ci ha letto una riflessione sul biopotere, o sulla manipolazione mediatica, o sui social network, o sulla psicanalisi, o tutto questo insieme. Il punto è che il fluido non c’è, nel romanzo non ci sono superpoteri, e le descrizioni del magnetismo sono sempre ambivalenti.
Così, ci è venuta l’idea di contattare Mariano e mandargli il libro, chiedendogli un parere da mentalista su quelle descrizioni.
E invece è stato lui a contattare noi, bruciandoci sul tempo! Ci ha scritto dicendo che aveva appena scritto un libro insieme a Buscema – L’arte di stupire – e gli sarebbe piaciuto farcelo leggere in anteprima, perché da poco aveva iniziato a seguirci e trovava diversi echi e parallelismi tra le rispettive riflessioni e attività.

A quel punto c’è stata la lettura incrociata e in anteprima dei due libri, che per combinazione avevano anche le stesse iniziali, LADS:
L‘
Armata / Arte
Dei / Di
Sonnambuli / Stupire.
Ma era solo l’inizio: nel loro libro, Mariano e Ferdinando avevano scritto della nuova magia che deve uscire dai teatri, e un personaggio de L’armata dei sonnambuli, Léo Modonnet, elucubra a lungo su cosa sia il nuovo teatro che che deve uscire dai teatri, perché il palcoscenico è per la strada, la Rivoluzione ha creato un nuovo pubblico etc. Capita così che nei due libri ci siano frasi molto simili.
Noi abbiamo scritto una breve nota per la quarta di copertina de L’arte di stupire:
«Dalla soglia invisibile di un museo delle meraviglie privo di pareti, Tomatis e Buscema indicano l’orizzonte e annunciano un nuovo mattino dei maghi. Quei maghi, ci dicono, non saranno un’élite: quei maghi saremo noi, noi tutti, nessuna casta sapienziale, nessun superuomo, magia al popolo! Fuori dagli spazi ristretti dei teatri e dei club, fuori dalla scatola sempre meno magica della TV, fuori dagli antri degli scuroveggenti e dei paragnosti figli di paragnosti, incanto e consapevolezza possono e devono unirsi, per arricchire di vita la vita, per danzare con undici gambe, per raccontare e far vivere storie con ogni mezzo necessario.»
Mariano ha fatto molto di più: non si è limitato a “vidimare” le scene di suggestione e mentalismo ne L’Armata dei Sonnambuli, ma ha proposto un intero catalogo di idee per la promozione del libro, per i suoi spin-off transmediali e per la sua prosecuzione «in 3D».
Quel che è accaduto dopo, beh, lo lasciamo raccontare a lui.
⁂
Te lo si conta io come incontrai Wu Ming
di Mariano Tomatis
Il 9 gennaio 2014 una troupe della BBC mi ha chiesto cosa pensassi di Wu Ming. Nel tempo di un tweet, ho lasciato un po’ spaesata la giornalista Lucy Ash, limitandomi a rispondere: «Sono maghi, per l’uso che fanno delle parole per evocare magia, cambiare la realtà, alterare le percezioni e mettere il mondo sotto-sopra.» Una risposta improvvisata e un po’ vaga, che merita una riflessione più ampia.
Magic in the Moonlight (2014), l’ultima commedia di Woody Allen, si apre nella Berlino del 1928. Il mago Wei Ling Soo sta facendo sparire un elefante tra gli applausi.

Wei Ling Soo nel film di Woody Allen, “Magic In The Moonlight” (2014).
Dal momento che il film si svolge quasi tutto nel sud della Francia, Marzia Gandolfi si è interrogata sullo strano incipit “tedesco”, cogliendo nel pachiderma qualcosa che sfugge a un primo sguardo; forse un riferimento obliquo al
collasso della Germania sotto i colpi della crisi e del nazismo. […] Magic in the Moonlight apre proprio sul ‘palcoscenico’ di Berlino e davanti a un pubblico che a breve non vedrà più l’elefante nella stanza perché sceglierà di ignorarlo, ignorando col pachiderma una tragedia evidente. Nemmeno la magia può volatilizzare un elefante e una verità, la sparizione è soltanto un’illusione prodotta da un prestigio, una rimozione dal campo visivo che prima o poi ricompare.
Non è il primo elefante in cui mi sono imbattuto in questi anni. Raccontando il mago Silvan – e per suo tramite la condizione dell’illusionista nel disincantato mondo moderno – Paolo Sorrentino rifletteva sul suo isolamento:
La solitudine è la sua unica compagna di lavoro. A quale collega telefoni quando non riesci a trovare il trucco per far scomparire un elefante?
Una dimensione che avevo sperimentato sulla pelle, ma in cui non volevo indulgere. È stato l’incontro con Wu Ming e la comunità di Giap a porre un freno a quello struggente (e un po’ patetico) autocompiacimento. Mi accorsi di aver accettato a lungo una definizione di “mago” troppo ristretta; al di fuori del perimetro dei “club magici” esistevano colleghi che studiavano la sparizione dell’elefante nel qui e ora, rifiutando lo stretto ambito del teatro. Ritrovai lo stesso animale tra le pagine di New Italian Epic di Wu Ming (qui), nell’ambito di una riflessione sul potere delle storie di inculcare visioni del mondo:
L’idea che molte persone siano vittime di un incantesimo malvagio ha origine dal nostro scontrarci, ogni giorno, con esempi del genere. Questa gente non ragiona, ci diciamo, ha la mente controllata da un potere superiore. Consoliamoci, perché non possiamo farci nulla: è colpa dei giornali, è colpa della televisione, è colpa dei farmaci e delle droghe. Niente di tutto questo. È il nostro cervello a funzionare così. Lo ha spiegato bene George Lakoff in un famoso aneddoto: se entri in una classe e ordini agli studenti: «Non pensate a un elefante», quelli subito ci penseranno, con tutto il contorno di grandi orecchie, proboscidi e zanne d’avorio. Negare un concetto attiva quel concetto nella testa delle persone.
Un discorso che mi ricordava le prime lezioni alla scuola di magia: mai e poi mai – di un mazzo di carte – bisogna dire al pubblico che “non è truccato”; excusatio non petita, la negazione inquina il pensiero e insinua sospetti.
In ogni gioco di prestigio c’è un elefante da nascondere: compito del mago è di rendere invisibile il trucco. Quali sono le migliori strategie – testuali, meccaniche, psicologiche – per farlo? Più ne esploravo le attività, più la Wu Ming Foundation mi appariva come un laboratorio permanente impegnato in una riflessione sistematica su questi temi. Ma se temi come la persuasione subliminale, la manipolazione delle menti e la comunicazione efficace evocano dispendiosi corsi in alberghi di lusso, curati da guru motivazionali innamorati del proprio ombelico, la comunità aggregata intorno al blog Giap bandiva i termini “esclusivo” ed “élitario” e dimostrava capacità (e profondità) di analisi per me fino ad allora inconcepibili. Le stesse tematiche erano affrontate in una prospettiva storica, politica e letteraria – dimensioni sconosciute ai sacerdoti del self help – e si allargava all’analisi della creazione di storie, della tecnicizzazione dei miti e della manipolazione delle narrative.
Di più, tanta analisi non contribuiva solo allo sviluppo dell’arte dell’inganno (alla base dell’attività di un mago) ma consentiva di interpretare dinamiche sociali e politiche che nulla avevano a che fare con l’intrattenimento: le strutture di potere rivelavano l’uso di tecniche persuasive tipiche dell’illusionismo; il populismo mostrava di alimentarsi delle stesse retoriche studiate a tavolino nei circoli magici (dettaglio colto alla perfezione dal Renzi-mentalista di Maurizio Crozza); gli uomini politici incarnavano l’archetipo dello sciamano («Curerò il cancro in tre anni!») per ammantarsi di un’aura la cui efficacia “performativa” è nota sin dall’antichità.

Massimo Bucchi su “Repubblica”, 18.1.2014.
Chiusi nelle loro stanze (“ermetiche” nei due sensi) e gelosi dei propri trucchi, molti illusionisti non sfruttano l’opportunità di confrontarsi con il mondo della cultura e aprirsi a una “fertilizzazione reciproca”. La paura di farsi rubare i segreti impedisce loro di cogliere quanto gli stessi potrebbero giovarsi del contributo di chi opera fuori dalla cerchia degli illusionisti. A partire dai Wu Ming.
“Maghi” sui generis sin dall’epoca di Luther Blissett, le loro azioni sovversive potrebbero ispirare interi trattati di arte magica. L’illusionista e art performer Harry Kipper, sulle cui tracce “Chi l’ha visto?” sguinzagliò una troupe, era solo il frutto dell’immaginazione del collettivo bolognese, proprio come l’identità dell’enigmatico sensitivo Doctor Q. era stata creata ad arte dal mentalista americano Alexander Conlin per alimentare un’aura di mistero intorno ai suoi trattati.

Due illusionisti fittizi. A sinistra il misterioso “Dr. Q”. A destra Harry Kipper.
Cosa ci faceva il mago Silvan sulla Rivista di guerra psichica e adunate sediziose di Luther Blissett (N. 0, aprile 1995, p. 14), definito “UN EROE” senza giri di parole? Non era intriso di magia Point Lenana (Einaudi 2013), l’oggetto narrativo non identificato di Wu Ming 1? E c’era una vaga risonanza tra la beffa di Satana a Viterbo (1995) di Luther Blissett e la mia beffa del Santo Graal (1996); tra le performance di Darko Maver e la fotografia farlocca di Pierre Plantard; tra l’interesse di Luther per la psicogeografia e il mio per le strampalate geometrie esoteriche di Rennes-le-Chateau.
Grazie all’intensa collaborazione avviata con loro un anno or sono – un’esplicita fertilizzazione incrociata, non priva di feconde contaminazioni reciproche – il mondo dell’illusionismo deve alla Wu Ming Foundation stimoli preziosi e letteralmente “inauditi”. Eccone alcuni.
Via lo sguardo dall’ombelico!

La risposta concorde alla controrivoluzione al termine dell’Esercizio I, rispettivamente a Torino, Mantova e Carpi.
Presentandosi con un nome che non è un nome (“Wu Ming” significa “senza nome”) da sempre il collettivo bolognese sottolinea la maggiore importanza dell’opera rispetto all’artista individuale. Chiedere a un illusionista di tenere a bada l’Ego sembra un controsenso: come può il mago – incarnando una figura dai poteri superiori – accogliere l’invito a ridimensionare il proprio personaggio? Eppure collocare al centro lo spettatore e il suo stupore, mantenendosi ai margini dell’azione magica, è il “comandamento nuovo” di un filone illusionistico molto recente, cui io e Ferdinando Buscema abbiamo dedicato il libro L’arte di stupire (Sperling & Kupfer 2014). Scrivendo e mettendo in scena con Wu Ming il Laboratorio di magnetismo rivoluzionario, la parola d’ordine è stata quella di presentare L’armata dei sonnambuli con il contributo di un intero collettivo di illusionisti, nessuno dei quali doveva spiccare sugli altri. Nelle sue molteplici edizioni (Torino, Mantova, Carpi) si sono alternati prestigiatori diversi. Salvaguardando il nucleo della presentazione-spettacolo, il laboratorio ha dimostrato la possibilità di rendere “scalabile” uno show di magia, slegato dalle singole identità dei suoi protagonisti: tra la prima edizione torinese e la più recente a Brindisi (in versione circense) non c’è alcun protagonista in comune. E in alcune occasioni gli stessi Wu Ming hanno preso in mano la bacchetta magica, assumendo su di sé – per una volta in modo letterale – l’identità del mago da palcoscenico, confondendo ulteriormente il confine tra gli autori del romanzo e i suoi “prosecutori con altri mezzi”.
L’archivio e la strada
Il Laboratorio di Magnetismo Rivoluzionario è nato come prosecuzione transmediale de L’armata dei sonnambuli. Concepirlo ci ha imposto un’inedita riflessione sui rapporti tra romanzo storico e illusionismo. L’ispirazione è venuta dalla frattura avvenuta nel 1785 tra Nicolas Bergasse e Franz Anton Mesmer; dal drammatico scontro era nata una frangia eretica di magnetisti dietro i cui incontri si celavano intenti rivoluzionari (ben documentati da Robert Darnton). L’introduzione di un elemento di fantasia – i Cahiers de Magnetisme Révolutionnaire che avrei individuato a Lione – ci ha consentito di elaborare (e animare) un intero “mondo” in cui collocare ciascuna performance.

Nicolas Bergasse, “Cahiers de Magnetisme Révolutionnaire” (Torino, Lione e Praga, 1804).
Ma se gli archivi hanno fornito un contesto verosimile, dovevamo estendere la riflessione alla seconda parte del binomio da sempre valorizzato dalla Wu Ming Foundation: la strada. Bando al clicktivism: ogni riflessione che resti sulla carta (o sul web) è morta. La scorsa primavera Luca Cientanni mi ha coinvolto come illusionista in una giornata di raccolta fondi organizzata a Bussoleno dal movimento No TAV. Il suo invito ha spalancato prospettive impensabili, costringendoci a riflettere sui (fino ad allora, potenziali) risvolti militanti dei giochi di prestigio: saremmo riusciti a concepire – e mettere in scena, of course! – una “magia No TAV”? Il Laboratorio di magnetismo rivoluzionario è sceso in strada il 26 aprile 2014 con l’aiuto di Alberto Perono Cacciafuoco, un illusionista di Bussoleno, e ha coinvolto decine di persone in esperimenti magici in tema con la lotta valsusina.

Alberto Perono Cacciafuoco durante il Laboratorio itinerante di Magnetismo Rivoluzionario di Bussoleno (26 aprile 2014).
Uno dei giochi mirava a rendere virale un volantino contro la linea ad alta velocità. Un altro era esplicitamente rivolto ai bambini. Battuta più volte nel corso dei mesi, la strada ha fino a oggi ispirato svariate “pillole magiche rivoluzionarie”:
Nina, la corsa a zig-zag e il movimento No TAV
Una magia per piccoli militanti No TAV
Novissima Oculistica Terapia di Allucinazione Visiva
Qualche mese prima – per scaldare i motori – avevo girato “Let the Poker free”, un video tutorial che insegna un gioco di prestigio a sostegno della liberazione di Chiara, Mattia, Claudio e Niccolò, i quattro attivisti No TAV in carcere con l’accusa di terrorismo.
Libri (magici) al popolo!
Il 28 ottobre 2014 con Wu Ming abbiamo assistito a Bologna alla conferenza di Robert Darnton “Libraries, the Internet, and the Future of Books”. Direttore della biblioteca di Harvard, lo storico statunitense ha illustrato gli sforzi compiuti per offrire un accesso libero e gratuito a migliaia di documenti disponibili in formato digitale. L’impresa, che gli è costata un lungo braccio di ferro contro colossi come Google e Amazon, è culminata un anno fa nella Digital Public Library of America, un gigantesco database di risorse digitali distribuite in tutti gli Stati Uniti.

“Free-to-all”, iscrizione sulla Boston Public Library.
È stato L’armata dei sonnambuli a farmi conoscere Darnton, una delle principali fonti di ispirazione del romanzo dei Wu Ming, e il comune supporto all’idea di un libero accesso alla cultura mi ha fatto tornare a casa con un progetto preciso: quello di rendere disponibile un catalogo, continuamente aggiornato e annotato, di libri e documenti in formato digitale su illusionismo, mentalismo, mesmerismo, ipnosi e metapsichica – tutto ad accesso gratuito. Sparso su molti siti diversi, tale materiale è spesso difficile da individuare e consultare senza una guida. Grazie all’aiuto di Mauro Ballesio, oggi la “Biblioteca magica del popolo” è uno strumento a disposizione degli appassionati che vogliono approfondire storia e tecniche dell’illusionismo, senza la necessità di spendere cifre enormi nelle librerie antiquarie. L’archivio – il cui materiale supera oggi le 500 unità tra libri, articoli e documenti – testimonia un’inesauribile e appassionata ricerca di stupore dall’antichità ai giorni nostri.
Programmi e impulsi utopici
Se la rivoluzione si dovrà fare con ogni mezzo necessario, sottovalutare la bacchetta magica sarebbe un errore. Allargando lo sguardo oltre i confini dei circoli magici, gli illusionisti hanno scoperto intellettuali come Furio Jesi, Yves Citton (e gli stessi George Lakoff e Wu Ming), i cui contributi hanno un’enorme portata nel dibattito sul ruolo delle illusioni, delle storie e dei miti nel mondo contemporaneo. Durante l’edizione carpigiana del Laboratorio di magnetismo rivoluzionario abbiamo messo in scena un esplicito (e surreale) “spettacolo della goffaggine” che – mettendo in burletta la figura muscolare del mago – nasceva all’incrocio tra le riflessioni di Wu Ming 4 ne L’eroe imperfetto (Bompiani 2010) e quelle di Citton in Mitocrazia (Alegre 2013). Ma se il Laboratorio ha offerto l’occasione di concepire a tavolino un preciso “programma utopico”, in questi mesi abbiamo individuato “impulsi utopici” un po’ in tutto il mondo. Al mago svedese Arkadia basta piegare e spiegare il programma degli Sverige Demokraterna (“Democratici Svedesi”) per svelarne le quattro (inquietanti) parole d’ordine.
Alcune performance del duo Penn & Teller avrebbero entusiasmato Furio Jesi; in due numeri davvero sorprendenti (“Il gioco dei tre bussolotti” e “L’uomo tagliato in tre”) gli illusionisti di Las Vegas svelano senza scrupoli il trucco utilizzato: contro ogni aspettativa, ciò non minaccia in alcun modo lo stupore dell’esibizione. Nella prima parte del numero l’appello è all’emozione e all’irrazionalità; la seconda invoca un piacere di segno opposto, del tutto razionale, che nasce dall’apprezzamento dei tecnicismi dietro la magia – quella “sutura” che nella prima parte non si scorgeva.

Chi dubita dei risvolti filosofici della magia si ricrederà davanti al contributo sovversivo e raffinato di Penn & Teller.
Le narrative teatrali dei maghi (e in primis dei mentalisti) possono essere tanto convincenti da produrre effetti di vera e propria fede nel paranormale. L’ideale sarebbe mantenere (come spettatori) e coltivare (come illusionisti) un equilibrio che metta insieme incanto e disincanto. Definire strategie che contribuiscano a tale bilanciamento è piuttosto complesso, e il tema è ampiamente dibattuto tra gli addetti ai lavori. Il problema se l’era già posto Furio Jesi, suggerendo di usare – per ogni mito di cui si voglia denunciare la genesi artificiale – l’arma dell’ironia. Ampliando l’analisi, Wu Ming 1 ha coniato l’espressione di “evidenziare la sutura” per definire un ottimo (e complementare) antidoto all’ipnosi incantatoria, potenzialmente indotta da qualunque narrativa fittizia.
La magia: un’arte marziale?
Tra le pagine de L’eroe imperfetto mi sono imbattuto nell’espressione “arte marziale” per definire la letteratura. Secondo le più recenti interpretazioni della sua figura, il prestigiatore non è che uno storyteller con gli effetti speciali. L’incontro tra queste due idee mi ha costretto a rileggere le storie dell’illusionismo in una nuova ottica, offrendomi un punto di vista che dava le vertigini. In questa prospettiva la magia può trascendere di gran lunga la semplice ricreazione. Concentrando il focus sullo stupore, l’illusionista può offrire agli spettatori una scintilla preziosa; violando le aspettative, costringendo a cambiare punto di vista e mettendo in scena l’incredibile, un gioco di prestigio ben calibrato può risvegliare dallo stato di sonnambulia e costringere ad aprire gli occhi su frammenti in ombra della realtà.

L’iconografia dei trucchi magici da palcoscenico abbonda di elementi gore – e sotto le lame c’è sempre una donna.
Non necessariamente stimoli del genere richiedono un’esibizione live. Il mio cortometraggio “Donne a metà” racconta la storia di una performance illusionistica vecchia di un secolo – la donna segata in due – per mostrarne le narrative implicite e incoraggiare uno sguardo più consapevole. “Magic for Palestine” individua nella tecnica del deja-vu uno strumento potente nell’arsenale di un prestigiatore. “Magia e rivoluzione” ritrae l’illusionista più importante della mia vita, il cui unico strumento magico è stata l’inversione della narrativa dominante.
E se Nicolas Bergasse fosse stato vivo oggi, avrebbe certamente sfruttato la Rete per diffondere i suoi esercizi rivoluzionari; due secoli più tardi, ci abbiamo pensato noi a realizzare i videotutorial su YouTube che avrebbe firmato lui.
Magia militante e mainstream
Il 9 maggio 2014, prima di una presentazione congiunta a Bologna, Wu Ming 1 mi ha portato a vedere il murales di Blu sul centro sociale Xm24. Quella del writer bolognese gli era parsa una vicenda del tutto allineata alla concezione di stupore cui facevo riferimento nel libro L’arte di stupire: una meraviglia non fine a se stessa, ma con precisi risvolti politici. Qualche mese più tardi la storia mi è sembrata perfetta per il palcoscenico di WIRED 2014, l’evento londinese cui sono stato invitato a intervenire come illusionista il 16 ottobre 2014. La vicenda mostrava il meccanismo fondamentale alla base di quello che con Wu Ming avevamo battezzato “magnetismo rivoluzionario”. Fulcro dell’azione di Blu — che con la sua opera aveva salvato dalla distruzione la struttura bolognese — era il “gigantismo stuporoso” utilizzato per paralizzare psicologicamente il nemico. La tecnica ha una controparte oscura nello “Shock and Awe”, la dottrina militare teorizzata durante l’attacco sull’Iraq, in nome della quale la messa in campo di una forza bellica spropositata servì per annientare — anche e soprattutto dal punto di vista psicologico — il nemico.
Durante la mia magic lecture “How magic can be the elixir of life” (rivedila qui | guarda dietro le quinte) ho commentato l’imponente opera di Blu facendo riferimento all’ultimo film di Sorrentino: «Questa è La grande bellezza di cui andiamo orgogliosi in Italia.»
Per definire questa forma insolita di illusionismo, gli organizzatori dell’evento hanno scritto sul mio badge “Militant Magic”: una definizione ambiziosa, per onorare la quale dovevo evidenziare la capacità dello stupore di portare a galla il conflitto e raccontare gli ultimi. Ho preparato il pubblico al finale del mio intervento citando una nota (e cinica) battuta sul genere umano: «La cosa più difficile da spiegare a un uomo vissuto 50 anni fa? In tasca ho un dispositivo con cui potrei accedere all’intero scibile umano e lo uso per guardare fotografie di gatti.» La risata che ne è seguita non si è ripetuta quando ho raccontato della migrante siriana che ha portato a bordo di un barcone un gatto, conquistando così (e solo così) l’attenzione di tutti i quotidiani: in sala è calato il gelo, e a quella temperatura ho potuto “somministrare” l’ultima regola – quella che invitava a usare la meraviglia per fottere il Sistema.

“Fotti, ehm… manometti il sistema con le stranezze”
Qualche mese prima, a Mountain View (California), Google mi aveva invitato a esibirmi nel suo quartier generale e lì avevo presentato uno degli esercizi di magnetismo rivoluzionario – “Distinti ma concordi” – intitolandolo “L’esperimento di mesmerismo più veloce e divertente del mondo”.
@marianotomatis questo è l'hangout più obliquo nella recente ma già densa storia del romanzo! #ArmatadeiSonnambuli #SilvanInLasVegas
— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) August 9, 2014
Oggetti narrativi non identificati
Gli spettatori del Laboratorio di Magnetismo di Torino e Mantova hanno trovato, nel foyer dei rispettivi teatri, il playbill dell’evento: un libretto souvenir illustrato, ispirato a quelli in vendita a Broadway, contenente foto di scena, la biografia degli autori, la presentazione dello spettacolo e i suoi retroscena. Per farne un oggetto narrativo ancora più spiazzante, e dal momento che accompagnava uno spettacolo di illusionismo, lo abbiamo strutturato (anche) come una collezione di giochi di prestigio interattivi; le cinque storie raccontate riprendono i cinque atti in cui è suddiviso lo spettacolo e coinvolgono il lettore in altrettanti “esercizi” di magnetismo che può sperimentare a distanza, limitandosi a seguire le istruzioni sul libro. Il playbill può essere scaricato nelle due versioni: Torino 6 maggio 2014 | Mantova 5 settembre 2014.
Il 21 settembre 2014 un secondo playbill, declinato in chiave di guida turistica, manuale di debunking ufologico e riflessione sull’arte di stupire, ha accompagnato la Camminata spirituale sul Monte Musinè, che in origine avrebbe dovuto condurre Wu Ming 1 ma che, in seguito a un infortunio, è stata assegnata a me. La presenza di diversi Giapster, l’escursione preparatoria di due settimane prima e la scelta delle storie per accompagnare l’ascesa ha collocato l’evento nel contesto dell’Alpinismo Molotov, una delle più recenti e oblique associazioni nate nell’ambito della Wu Ming Foundation. Il playbill escursionistico può essere scaricato da qui.
Circo! (paragrafo a cura di Wu Ming 2)
Il Piccolo Circo Magnetico Libertario (PCML) nasce dall’incontro tra Giacomo Costantini, Mariano Tomatis e Wu Ming 2. L’idea è quella di innestare giocolieri e acrobati nel già collaudato Laboratorio di Magnetismo Rivoluzionario, così da ottenere una presentazione-spettacolo de L’Armata dei Sonnambuli che possa calcare la pista di un circo.
Questa pazza miscela di letture, musica, illusioni, funamboli & magie doveva debuttare il 6 novembre scorso, a Brindisi, sotto il tendone del Circo El Grito, con il nome-ombrello di Laboratorio Circense di Magnetismo Rivoluzionario. Poi, all’ultimo momento, l’improvvisa defezione di Mariano ha portato a un’ulteriore rimescolamento degli ingredienti. Wu Ming 2 si è lanciato in alcuni numeri di magnetismo rivoluzionario – tra i quali la Novissima Oftalmo Terapia con Allucinazioni Percettive (NO TAP) – mentre Giacomo e Fabiana Ruiz Diaz si sono fatti aiutare nei loro numeri dall’artista e clown cileno Gon Alarcon e da Timoteo Grignani alla batteria.
La serata ha visto la partecipazione di 200 spettatori, con le tribune dello chapiteau riempite di un pubblico molto vario: il bello del circo, infatti, è che non ci sono né porte né scale all’ingresso. Entrare sotto il tendone è più facile che sedersi in un teatro o in una libreria, eppure, una volta dentro, si rimane catturati, presi da una bolla narrativa che nessuno spazio all’aperto riesce a riprodurre.
Per questo motivo, Fabiana, Giacomo, Gon e WM2 hanno deciso di riproporre il PCML, con l’aggiunta di Robert Tiso al cristallofono, sorta di organo fatto di bicchieri, antenato fai-da-te della glassharmonica, lo strumento – inventato da Benjamin Franklin – che Franz Anton Mesmer faceva suonare in sottofondo alle sue sedute magnetiche.
Lo spettacolo si terrà a Roma, il 27 e 28 dicembre, h. 21, sempre sotto il tendone del Circo El Grito, già montato in questi giorni di fronte all’Auditorium Parco della Musica, per la prima edizione di ECCÌ! El Grito Christmas Circus – Festival di Circo Contemporaneo Italiano. Dal momento che i posti sono limitati, consigliamo di prenotarsi.
Info, numeri e contatti si trovano qui.
Europe’s Troublemakers, 19.2.2014.
Paolo Sorrentino, Tony Pagoda e i suoi amici, Feltrinelli, Milano 2012.
George Lakoff, Non pensare all’elefante!, Fusi orari, Roma 2007.
“[Luther] Blissett usò il nome di uno dei fondatori del progetto, l’ex punk Harry Kipper, quando sguinzagliò le troupe di “Chi l’ha visto?” sulle tracce di un presunto illusionista inglese – mister Kipper, appunto – scomparso nel nulla: e non in circostanze normali, ma mentre tracciava la parola ART in mountain bike, nel Nord Italia. Disparve sulla T, grossomodo a Udine.” in Loredana Lipperini, “La beffa firmata da Luther Blissett”, Repubblica.
Ad esempio in Claude Alexander Conlin, The life and mysteries of the celebrated dr. Q, Nelson Enterprises, Columbus, 1946 (I ed. 1921).
Mémoires de J.-P. Brissot (Vol. 2), Perroud, Parigi 1911, p. 54 cit. in Robert Darnton, Il mesmerismo e il tramonto dei lumi, Medusa, Milano 2005, p. 79. L’estratto si trova anche sul Playbill del Laboratorio di Magnetismo Rivoluzionario del 6 maggio 2014 a Torino.
L’intero lavoro è descritto nei dettagli in Mariano Tomatis, “Il Laboratorio di magnetismo rivoluzionario”, Blog of Wonders, 23.6.2014.
The post La magia militante di Mariano Tomatis. Da «Donne a metà» a L’#ArmatadeiSonnambuli appeared first on Giap.







December 3, 2014
Da oggi in libreria «Il derby del bambino morto» di Valerio Marchi #QuintoTipo

La libreria Rebel Storie fondata da Valerio in via dei Volsci 41, S. Lorenzo, Roma.
Oggi, due settimane dopo Diario di zona di Luigi Chiarella (Yamunin), arriva “nelle migliori librerie” il secondo titolo della collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1, ovvero torna in libreria Il derby del bambino morto di Valerio Marchi (1955 – 2006).
Non si tratta solo di una riedizione ma di un vero e proprio aggiornamento a cura di Claudio Dionesalvi e Wu Ming 5. Tante persone si sono impegnate perché questo libro importante, attualissimo e necessario tornasse a circolare. Tra tutte, qui ringraziamo Emanuela Del Frate.
In questo post vi proponiamo un estratto del primo capitolo, carrellata storica e sociologica sulle tensioni legate al derby Roma – Lazio.
Ricordiamo che è possibile abbonarsi ai primi quattro titoli della collana. L’abbonamento costa 45 euro, quindi lo sconto è superiore al 30%. Puoi pagare con PayPal…

-
…oppure puoi farlo tramite bonifico bancario a questo Iban: IT68I0569603215000003459X60, o fare un versamento con bollettino postale sul ccp n. 6538238 (con oggetto “Abbonamento Quinto Tipo”), entrambi intestati a Edizioni Alegre soc. cooperativa giornalistica, Circonvallazione Casilina 72/74 00176 Roma.
Ovviamente, dal sito di Alegre è possibile comprare, senza abbonamento ma comunque con il 15% di sconto, ciascuno dei libri della collana.
⁂
Innanzitutto è tensione. La città non parla d’altro, un esorcismo di massa per acquietare il senso di ansiosa attesa, di speranza e di timore, che il derby porta in sé.
Nei giorni che precedono la partita lo avverti in chiunque, anche se per motivi differenti. Nel popolo dell’Olimpico come in quello di Sky Tv, in chi odia il calcio e sa che ne sarà subissato e in chi semplicemente teme il disordine, il traffico, la violenza. La stampa locale sforna pagine, la forza pubblica flette i muscoli.
Il derby strappa l’anima alla città e la strizza per un lungo istante.
Si dice che questo clima sia frutto della storica mediocrità delle due società, della supremazia cittadina vissuta come unico traguardo possibile in stagioni spesso fallimentari. Alla consueta tensione da derby si andrebbe a sommare l’ansia indotta dall’equivalente di una finale, un’andata-ritorno che può valere un intero campionato.
Pur presentando elementi di verità – la possibilità di raggiungere traguardi extra-cittadini può mitigare in alcuni il tormento – questa lettura “provinciale” cozza però con la storia stessa del calcio romano e delle sue radicate faziosità.
Già dal primo incontro (campo della Rondinella, 8 dicembre 1929, Lazio-Roma 0-1) i dirigenti laziali dovettero infatti portare i loro giocatori in ritiro ai Castelli, «onde non farli condizionare dall’atmosfera caldissima che si respirava nella capitale». Inoltre le autorità, temendo incidenti, tennero il giorno prima della partita un vertice in cui si decise di schierare seicento uomini tra polizia, carabinieri e volontari della milizia.
A suscitare i timori dei gerarchi era di certo il temperamento sanguigno dei popolani romanisti, che tra parentesi tenne ben lontani dallo stadio i borghesi laziali, ma soprattutto la possibilità che schiamazzi e turbolenze potessero turbare l’immagine – diremmo oggi – della città-vetrina del regime.
Il clima cittadino, insomma, era già allora accesissimo.

Derby Lazio – Roma, 8 dicembre 1929, subito prima della partita.
E già allora la rivalità sociale e culturale, oltre che calcistica, tra le due tifoserie – una radicata nelle enclave borghesi della zona nord e l’altra nei rioni ancora popolari del centro storico, in quelli operai del boom edilizio umbertino e nei ghetti delle estreme periferie – non restava limitata alle consuete forme dello sberleffo quotidiano o domenicale.
Il 24 maggio del 1931, per esempio, in un Lazio-Roma disputato allo stadio Nazionale, la turbolenza del pubblico conquista l’attenzione della stampa:
«L’arbitro ha appena fischiato la fine che vediamo giocatori laziali e romanisti alle prese; accorrono dirigenti a separarli e accorre anche la folla che stazionava sulla pista; la confusione è grande e ad accrescerla sopravviene l’invasione di campo da parte del pubblico. La forza pubblica ha un gran da fare per sgomberare il terreno di gioco e vi riesce solo dopo molti stenti e senza aver potuto impedire molte colluttazioni non precisamente verbali.»
Per la cronaca, a entrambe le società viene squalificato il campo per una giornata: la Lazio perché gioca in casa e la Roma per «le gravi responsabilità della sua tifoseria».
Che intorno al calcio, alle due squadre cittadine, al derby si avverta uno stato di tensione, traspare, sempre nel 1931, anche dalla denuncia di un avvocato sul
«malvezzo che da qualche tempo va dilagando nell’ambiente sportivo della capitale: le telefonate anonime. Insulti triviali contro la Roma o contro la Lazio, spesso raccolti da donne e da bambini in assenza di genitori. Mascalzonate!».
L’utilizzo del telefono, all’epoca ancora socialmente limitato, si tinge nella denuncia del solerte avvocato di tinte teppistiche che cozzano con la conclamata asserzione di un “tifo” come malattia di matrice strettamente
popolare.
Un anonimo fondo della metà degli anni Trenta, che riporto – per dirla in termini calcistici – in ampia sintesi, sembra confermare l’ansia sociale che già in quei primi anni di dispute circonda il derby. Linguaggio arcaico a parte, potrebbe essere dei nostri giorni:
«Ci viene segnalato da più parti un caso increscioso, avvenuto domenica scorsa a campo Testaccio durante e in fine della partita tra i pulcini della Roma e della Lazio. Una parte del pubblico ha inveito con le più basse e triviali espressioni contro i piccoli azzurri […] Quei ragazzini sarebbero stati fatti bersaglio anche di qualche […] proiettilino a portata di mano. Persino la gentile signora di uno dei più attivi dirigenti laziali è stata svillaneggiata e insultata […] Giunte le cose a un punto simile, è necessario parlare alto e ben chiaro.
È notorio, senza tema di smentita, come nella grande, entusiasta, educata, sportivissima massa di tifosi che segue la Roma si sia da qualche tempo infiltrata una minoranza tumultuosa di mascalzoni, che macchiano con il loro contegno teppistico il buon nome della gloriosa società romana.
Crediamo perciò di gettare un buon seme rivolgendoci ai dirigenti della Roma, invitandoli a intervenire con energia per un’eliminazione severa dalle scalee del Testaccio degli elementi indesiderabili. Essi sono pochi, sempre gli stessi,
e con molta facilità individuabili […] una minoranza fuori della legge che sbava solo livori e provocazioni […] Testaccio deve essere ripulito presto. Non sarà difficile, volendo.»
La realtà del derby romano, oltre i ricordi un po’ bonari della tendenza “Il bel tempo che fu”, sono dunque le continue scazzottate sugli spalti, ma soprattutto il clima di tensione e attesa che coinvolge l’intera città, a cui i giornali contribuiscono da par loro “pompando” a dovere l’avvenimento.
Nei derby del 24 maggio 1931 e del 21 febbraio 1937, ad esempio, ci si inizia a picchiare prima tra giocatori e quindi tra tifosi nel frattempo scesi in campo.
La polizia stenta non poco in entrambe le occasioni a ristabilire il perturbato ordine.
Da quei lontani anni d’anteguerra in tema di derby è cambiato quasi tutto, ovvero quasi niente. Sono scomparse le differenze socio-culturali tra le due tifoserie che continuano imperterrite a odiarsi e disconoscersi, le due società si sono dotate di moderni centri sportivi ma hanno perso la propria casa-stadio; l’odore dell’Olimpico non sarà mai quello di campo Testaccio, ma a controllare la baracca sono sempre le stesse società. Il calcio nel suo insieme è divenuto una fogna, ma non è che l’esterno, il mondo reale, profumi di rosa.
Di nuovo, almeno rispetto ad allora, c’è da un lato la comparsa sugli spalti dello stadio della cultura ultras e dall’altro il ruolo totalitario assunto nel soccer dal sistema televisivo; di antico, ma ormai a livelli di densità e spessore allarmanti, la coltre d’ansia che ammanta l’intera società, e che nelle cento sfaccettature del sistemacalcio trova contemporaneamente impulso e sfogo.
A partire dal 1973 la cultura ultras muta la geografia dello stadio. Dopo una lunga e sempre più violenta serie di scontri, l’11 marzo 1973 i tifosi laziali vengono infatti… [Prosegui la lettura]
The post Da oggi in libreria «Il derby del bambino morto» di Valerio Marchi #QuintoTipo appeared first on Giap.








December 2, 2014
#Evola: fermare il virus!
Sincronicità. Abbiamo ricevuto questo appello poco prima delle ultime notizie che stanno mettendo in subbuglio vasti ambienti della destra romana, “post”-fascista e neofascista, istituzionale e “di sottobosco”. Arresti, perquisizioni, imputazioni per associazione mafiosa… Indagato anche l’ex-sindaco Gianni Alemanno.
L’operazione della Procura di Roma, secondo i giornali, si chiama «Terra di Mezzo». Il riferimento tolkieniano ci è subito risuonato alle orecchie: da anni lavoriamo per smontare la strumentalizzazione di J.R.R. Tolkien fatta dall’estrema destra “nostrana”, soprattutto romana, e più precisamente di derivazione “evoliana”. Per dire, uno dei sedicenti massimi “esperti” di Tolkien è segretario della Fondazione Julius Evola.
Ribadiamo che è un unicum in tutto il pianeta: solo in Italia Tolkien era finito in simili luoghi. Quando lo racconti all’estero strabuzzano gli occhi.
Perché l’operazione della Procura contro fasciomafiosi di vario calibro porta l’allusivo nome di «Terra di Mezzo»?
Forse solo perché sonda una “terra di mezzo” tra (post-)fascismo e criminalità organizzata, connubio che peraltro non è una novità? Oppure c’è dell’altro, un riferimento più preciso? Ci sono “fans del Tolkien in salsa Evola” tra gli arrestati e i semplici inquisiti? Plausibilissimo. Lo stesso Alemanno è uso citare a tutto spiano brani del Signore degli Anelli. E alcuni dei nomi usciti sui media sono a un solo grado di separazione – al massimo due – dal “pensatore” razzista e antisemita. Persino nell’immaginario pop: pensiamo a quel Massimo Carminati che ha ispirato “il Nero” di Romanzo criminale, ex-discepolo di Evola.
Sincronicità, si diceva. Proprio mentre rimuginavamo su tutto questo, ci è arrivato – quanto mai attuale – il testo sul “virus Evola” che pubblichiamo sotto. Ce l’ha mandato uno degli autori, Enrico Manera, che i lettori di questo blog ben conoscono. Il lavoro di Enrico su Furio Jesi è stato molto utile anche per la decostruzione del “Tolkien evoliano” propinato in Italia.
È in corso da anni un tentativo di “ripulitura” e riabilitazione della figura e del pensiero razzista di Evola. Tentativo che trova terreno fertile nella fase che stiamo vivendo, durante la quale si moltiplicano conflitti “diversivi” contro capri espiatori non certo nuovi (migranti, Rom e Sinti ecc.) e le destre xenofobe europee fanno con rinnovato vigore lo sporco lavoro di sempre: deviare le proteste, fomentare guerre tra poveri, confondere gli sfruttati, salvare il sistema da conflitti reali che ne minerebbero le basi.
Prima di augurarvi buona lettura, ricordiamo una frase di Alemanno del settembre 2012: «Un’oscura maledizione pesa sulla regione Lazio». Noi l’abbiamo anche spiegato, da dove inizia. E abbiamo predetto che avrebbe continuato a colpire la destra “post”-fascista di Roma e provincia. Di questo racconto-realtà (la “maledizione abissina” di Affile) abbiamo parlato il 27 aprile 2013 alla European Resistance Assembly di Correggio (RE), l’audio dell’intervento è qui, c’è anche la traduzione consecutiva in tedesco, il tutto dura un’ora e venticinque minuti.
Nuovi modi di raccontare la Resistenza – WM1 & WM2 a Correggio, feat. Lidia Menapace
Nuovi modi di raccontare la Resistenza – WM1 & WM2 a Correggio, feat. Lidia Menapace
E ora, davvero, buona lettura.
Aggiornamento. Qualche ora dopo, sui giornali l’operazione era chiamata non più «Terra di Mezzo», ma «Mondo di Mezzo». Il riferimento resta comunque “tolkieniano”, preso dalla cosmogonia norrena a cui Tolkien si ispirò.
⁂
Chi fu Julius Evola e quale virus diffonde chi lo celebra
«Ma qui vale attirare l’attenzione anche sull’opera distruttrice che l’ebraismo, così come secondo le disposizioni dei “Protocolli”, ha effettuata nel campo propriamente culturale, protetto dai tabù della Scienza, dell’Arte, del Pensiero. E’ ebreo Freud, la cui teoria s’intende a ridurre la vita interiore ad istinti e forze inconscie, o a convenzioni e repressioni; lo è Einstein, col quale è venuto di moda il “relativismo”; […] lo è lo Stirner, il padre dell’anarchismo integrale e lo sono Debussy […], Schönberg e Mahler, principali esponenti di una musica della decadenza. Ebreo è Tzara, creatore del dadaismo, limite estremo della disgregazione della cosidetta arte d’avanguardia, e così sono ebrei Reinach e molti esponenti della cosiddetta scuola sociologica, cui è propria una degradante interpretazione delle antiche religioni.»
Julius Evola, Introduzione a I “Protocolli” dei “Savi Anziani” di Sion, (terza edizione, 26°- 35° migliaio), La Vita Italiana, Roma 1938 (datata settembre 1937), pp. XXV-XXVI
Stanno accadendo alcune cose in un contesto molto specifico della cultura italiana, apparentemente marginale e poco rilevante, che sono però sintomatiche e forse paradigmatiche di alcuni processi culturali in corso nella nostra società.
In una lettera redatta in inglese e inviata alle mailing list della European Association for the Study of Religion (EASR), sigla che include il gotha della storia delle religioni europea, un professore italiano, vicepresidente di quella stessa associazione e membro del consiglio direttivo dell’organizzazione federata italiana (SISR), pubblicizza un convegno dedicato all’«eredità» culturale di un noto esoterista, fascista e propagandista antisemita italiano del secolo scorso: Julius Evola (1898-1974). Nel testo della mail si accredita Evola come studioso di calibro, autore di pubblicazioni notevoli nel campo della storia delle religioni, e si invita alla rivalutazione del suo lavoro senza animosità né pregiudizi, per assegnargli finalmente il posto che merita nella storia della storiografia. L’intento dichiarato è quello di riabilitare accademicamente e scientificamente le opere dedicate alle religioni e al religioso di un pensatore fascista.
Per comprendere il tipo di operazione che si è svolta a Roma il 29 novembre scorso, è utile fornire qualche informazione sul contesto in cui si è celebrato il convegno. Patrocinato da un folto gruppo di logge massoniche, l’incontro è organizzato da un centro studi sulle «scienze ermetiche» che nel la sua « mission », improntata alla tolleranza universale e a un umanesimo spiritualizzante, menziona per ben due volte l’intento di affratellare le diverse «razze umane». La presentazione del convegno è affidata a un cerimoniere dai titoli altisonanti che si diffonde sul valore culturale del pensiero evoliano «a prescindere dai suoi presunti [sic] orientamenti politici, più o meno condivisibili [sic]». L’opacità di questa breve e retorica contestualizzazione della figura di Evola nella storia italiana risulta evidente al lettore esperto. Last but not least , il convegno è organizzato in collaborazione con la Fondazione Julius Evola, un ente notoriamente lontano dall’interrogazione critica del pensiero dell’eroe cui è dedicata.
Intendiamoci: in un regime democratico e liberale un’operazione del genere è legittima, nella misura in cui, entro i limiti di legge, chiunque può studiare ciò che vuole e organizzare simposi anche stravaganti . In questo caso, un problema serio di opportunità si pone, però, se tra i relatori figurano diversi docenti di discipline differenti che insegnano nelle università italiane. Non per nulla l’iniziativa, pubblicizzata nell’ambito degli studi religionistici, ha scatenato un putiferio presso la comunità scientifica internazionale informata dell’evento. L’autore di un importante volume sullo studio della religione in ambito accademico sotto il fascismo interbellico ha immediatamente risposto censurando una riabilitazione mascherata da interesse storico-storiografico, additandone la continuità con alcuni passati tentativi “alchemici” di filtraggio dello studioso serio dall’ideologo fascista e antisemita e richiamando al carattere esausto (oltre che molesto) di questo genere di iniziative.
Altre mail sono seguite, più o meno ostili all’iniziativa: alcune, tra cui un paio provenienti da studiosi di fama e calibro mondiali, gridano apertamente allo scandalo, altre cercano di gettare acqua sul fuoco, altre ancora mostrano di condividere l’atteggiamento metodologico difensivo per cui si tratta di saper distinguere il valore (scientifico e culturale) dell’opera dall’eventuale disvalore dell’uomo. Il parallelo apologetico, prevedibile quanto ormai logoro, con le vicissitudini politiche di Martin Heidegger e Carl Schmitt è stato puntualmente utilizzato dall’estensore della lettera iniziale.
Lo scambio epistolare elettronico si fa a questo punto articolato e complesso, ma la questione che ci sentiamo di sollevare concerne la situazione storico-culturale in cui questo episodio si inscrive e di cui è al tempo stesso sintomo e paradigma. Durante il lungo ventennio berlusconiano, nell’accademia italiana si sono aperte le porte della redenzione al pensiero pseudoscientifico, pseudostoriografico e antimodernista: un processo sottilmente revanscista che ha accompagnato le ben più crasse riabilitazioni promosse o tollerate dai governi di centro-destra. In pratica, ciò che prima non poteva essere messo per iscritto perché svergognatamente ideologico, è stato possibile dirlo e farlo passare come rispettabile risultato di una volenterosa pratica storiografica. Nella storia delle religioni italiana si è assistito così all’ingresso prepotente di ogni sorta di infiltrazione metafisica, filoesoterica e perennialista: una paradossale reazione contro quell’unica accademia europea che aveva da sempre coerentemente sviluppato ed espresso i corretti anticorpi storicisti contro le prospettive ermeneutico-fenomenologiche destrorse, irradiantisi dalla figura controversa di uno studioso pur importante e significativo come il romeno Mircea Eliade.
Ma torniamo all’oggetto dello scandalo. Chi è Julius Evola?

Stravaganze di Google. Come si vede, abbiamo cercato «Evola» e basta. Sarà che molti ispanofoni latinoamericani digitano il nome del virus confondendo – com’è normale dalle loro parti – la b e la v, e quindi il nome «Evola» è frequentemente associato all’epidemia. Ad ogni modo, visti i molti sottotesti (nemmeno troppo “sotto”!) razzistici dell’informazione sull’allarme-Ebola (allarme divenuto ben presto cavallo di battaglia di fascisti e leghisti), l’accostamento risulta fecondo di “sguardi obliqui” su entrambi gli argomenti e perciò produttivo di senso.
Nato a Roma nel 1898, ha una educazione filosofica ed estetica tipica per il periodo e un’attività giovanile di pittura dadaista. Ufficiale nella Grande guerra, è turbato dai cambiamenti dovuti all’impatto della società di massa su quello che restava dell’ancien régime europeo. Nel dopoguerra arriva l’“illuminazione” con la scoperta di uno spiritualismo di marca indoeuropea che si associa alla speculazione filosofica del più spinto irrazionalismo tedesco. In Teoria e fenomenologia dell’individuo assoluto, 1927-1930 compaiono gli elementi caratteristici del suo pensiero: una sintesi di metafisica ottocentesca, esoterismo e spiritualismo. Frequenta circoli mistico-magici, collabora con riviste del settore («Ultra», «Ignis», «Atanor»). Interessato al fascismo italiano e alla romanità, ne critica la vicinanza con il cattolicesimo (1928, Imperialismo pagano ), per poi fondare la rivista «La Torre», votata a un fascismo eroico e aristocratico. Apprezzato in Germania, Evola non farà breccia nella profana, essoterica e provinciale mentalità fascista, per poi venire riscoperto dal neofascismo esoterico post-bellico.
Per tutti gli anni Trenta si dedica a ricerche sul mondo dei simboli, sullo spiritualismo, sull’alchimia e pubblica su riviste del fascismo intransigente e antisemita («La Vita Italiana» e «Il Regime Fascista » ) articoli legati a una visione del mondo antiborghese e cavalleresca. Nel 1934 pubblica Rivolta contro il mondo moderno , nel 1937 Il mito del sangue , nel 1941 Sintesi di dottrina della razza . Nel 1938 in Romania incontra, ammirato, Corneliu Codreanu, leader della Guardia di ferro, il movimento paramilitare fascista cristiano integralista, violentemente antisemita, dedicato all’arcangelo Michele.
Dopo la scoppio della guerra chiede di partire volontario a combattere contro l’Unione sovietica, ma non viene arruolato. Nel 1943, in Germania, sarebbe tra i pochi italiani che ricevono Mussolini liberato dal Gran Sasso. C ollaboratore del Sichereitsdienst (SD), il servizio di sicurezza delle SS, aderisce alla RSI su posizioni aristocratiche e reazionarie. Vive le ultime fasi della guerra come lo scontro dei custodi della “Tradizione” e dello “Spirito” occidentale contro le forze materialiste e corrotte delle odiate democrazie europee e dei partigiani attivi nei movimenti di liberazione.
In seguito a un bombardamento su Vienna rimane paralizzato agli arti inferiori. Tornato a Roma trova lo spirito legionario per sostenere ideologicamente i movimenti della destra italiana con il testo Orientamenti (1950), pubblicato sulla rivista Imperium . Nei documenti giudiziari è indicato come il “padre spirituale” del gruppo che sotto il nome di Far (Fasci di azione rivoluzionaria-Legione nera) nei primi anni cinquanta mette a segno attentati dinamitardi nella capitale: tra i personaggi coinvolti figurano noti rappresentanti dell’Msi. Il 1953 è l’anno del fondamentale Gli uomini e le rovine , in cui trovano posto i consolidati concetti di tradizione, gerarchia e diseguaglianza. Di fronte a una modernità che erode le fondamenta e distrugge l’ordine sociale, il credo politico esposto consiste nella restaurazione di un ordine tradizionale e gerarchico per mano del soldato politico in piedi tra le rovine del mondo occidentale. Dopo Cavalcare la tigre (1961), nel 1963 pubblica Il Fascismo visto dalla Destra , in cui attribuisce al fascismo il merito di aver rivitalizzato antichi simboli e di aver teorizzato un nuovo tipo di uomo. A partire dal 1968 verrà venerato da giovani discepoli, che riconoscono in lui un “Maestro” (e che ne sono ancora oggi i divulgatori). Nel 1974, dopo ulteriori difficoltà cardiache, muore a Roma.
Dopo la morte, Evola è rimasto punto di riferimento costante per tutte le realtà della destra radicale. Nel 1998 il suo centenario è stato riccamente celebrato dall’intera destra italiana: libri, mostre, convegni, centinaia di pagine web sono a lui dedicati. È un autore di culto anche per l’euroasiatismo ed è di interesse per alcuni ambienti di fondamentalismo islamico.
Tutto questo è, in estrema sintesi, l’Evola uomo, pensatore e mito politico che un certo bipolarismo metodologico, ricorrente nelle scienze umane, vorrebbe separare dallo studioso di religione/i con il cordone sanitario della bibliografia promossa, citata, edita e riedita in genere dagli stessi impresari del suo successo. Ma chi è l’Evola storico delle religioni?
Nella sua opera si trovano soggetti e principi espressi dal perennialismo esoterico di René Guénon (cicli storici, crisi della modernità, simbolismo) che appaiono estremizzati e politicizzati in direzione di un differenza qualitativa tra mondo moderno e mondo tradizionale. Quest’ultimo è caratterizzato dalla dimensione spirituale: come tale non è affrontabile con i concetti validi nel consueto spazio-tempo e dunque non può essere adeguatamente studiato con il metodo storico. Laddove autorevoli storici delle idee sostengono che il pensiero evoliano non abbia prodotto nulla di significativo in termini di conoscenza e guadagno scientifici , chi ne raccoglie l’eredità invece esalta il valore delle varie monografie su argomenti come ermetismo, tantra, buddhismo, taoismo, alchimia, Sacro Graal.
Ora, Evola certamente conosceva la vasta produzione letteraria in materia tra ‘800 e ‘900. Nella sua opera si trovano continui riferimenti ai miti di una età aurea, di una “Tradizione” primordiale, di Iperborea, di Atlantide e in particolare di una civiltà nordica portatrice di una superiore spiritualità “maschile” e “solare”, contrapposta a tratti “femminili” e “lunari” di rango inferiore. La spiritualità nordica è per lui espressione della razza “aria”, aristocratica e guerriera, «dello spirito», un argomento che si affianca all’esaltazione di un modello sapienziale “eroico”: da qui il valore sacrale degli archetipi e dell’azione, la centralità degli aspetti magici del reale e il fascino per i presunti poteri paranormali esperibili dai più “elevati” spiritualmente.
Tali dati relativi a un sapere ermetico ed erudito non avevano pertinenza storico-storiografica rispetto ai criteri standard dei termini: si tratta piuttosto di veri e propri “materiali mitologici”, su cui la storia della storiografia ha effettivamente e legittimamente molto da dire e da indagare, per mettere in luce i pregiudizi ideologici e gli interessi pratici degli autori che se ne occupavano, come su Evola è stato fatto da studi storici solidi e documentati, non suscettibili di fascinazione per l’oggetto della loro ricerca. Il punto che intendiamo sottolineare è che proprio nei lavori dell’Evola “storico delle religioni” si produce – a detta dei suoi stessi apologeti – una “rottura di livello” sul piano ermeneutico, che non può essere accettata senza problemi da chi non ne condivida i presupposti metafisici. Evola deve essere cioè considerato a partire da un “neo- paganesimo” teorizzato, creduto e, per così dire, “praticato”. I suoi lavori tradiscono infatti una chiara intenzione pragmatica, cioè una funzione indistinguibile dalla riflessione politica e dal razzismo nel segno della rivoluzione conservatrice. Sono appunto quegli studi che, violando i principi elementari dell’epistemologia scientifica dell’antropologia e della storia, ne hanno fatto un punto di riferimento per il neofascismo e le destre radicali; e da questo punto di vista è noto come la teoria evoliana dell’azione abbia influenzato i protagonisti dell’eversione “nera” nella storia politica italiana.
Come tutto questo, se anche fosse possibile prescindere dal nazismo e dall’antisemitismo di Evola, sia compatibile con uno studio scientifico della religione, è davvero per noi un mistero. Non lo è invece il fatto che la storia delle religioni italiana attraversa da anni una profonda crisi, teorica e metodologica: zavorrata da simili ipoteche – responsabili di un tentativo di indottrinamento all’apprezzamento del paranormale, del sovrannaturale e persino delle ideologie di destra estremista – la ricerca accademica in chiave localistica e antiscientifica ha raggiunto livelli di retroguardia allarmanti.
Se torniamo al nostro scambio di lettere iniziale e lo prendiamo come segnale di un incendio, vediamo ora chiaramente che qui è in corso un tentativo di ammantare di rispettabilità scientifica uno dei principali esponenti del fascismo e dell’antisemitismo del secondo dopoguerra da parte di docenti delle università di stato, alcuni dei quali sono anche rappresentanti di importanti associazioni di settore e tradiscono rapporti di promiscuità intellettuale con controverse figure dell’estrema destra nostrana. Questi intellettuali, che come tutti gli accademici sono anche responsabili dell’avanzamento delle carriere e dell’accreditamento di giovani ricercatori , insegnano, fanno didattica, propagano idee: formano cervelli e persone. In quanto studiosi, crediamo che l’università sia costituita in primo luogo dalle comunità di ricerca che vi lavorano e dagli studenti che la popolano, pagano le rette e meritano di accedere a un sapere critico, intellettualmente onesto, fondato scientificamente ed epistemologicamente, ancorato ai valori costituzionali e antifascisti della Repubblica italiana.
A fronte di tutto questo, riteniamo che l’episodio che viene qui raccontato sia molto grave e tale da sollecitare il mondo accademico italiano, in primis i docenti afferenti al settore disciplinare direttamente coinvolto, a prendere posizione con sollecitudine e forza, perché l’istituzione universitaria non risulti più compromessa con iniziative para-scientifiche di analoga ambiguità.
Il testo, espressione del comune sentire di un gruppo di lavoro di studiosi di differenti discipline storiche, è stato redatto con il contributo di Roberto Alciati, Leonardo Ambasciano, Luca Arcari, Sergio Botta, Francesco Cassata, Cristiana Facchini, Enrico Manera, Emiliano Rubens Urciuoli.
The post #Evola: fermare il virus! appeared first on Giap.








November 30, 2014
Lo Hobbit: un viaggio verso la maturità
Finalmente è stato tradotto e pubblicato in Italia uno dei saggi più importanti e più accessibili su Lo Hobbit. Pubblicato in inglese quasi vent’anni fa, Lo Hobbit: un viaggio verso la maturità, dell’americano William H. Green è una lettura critica e approfondita del primo romanzo di J.R.R. Tolkien (ed è anche il libro che ha ispirato il laboratorio tenuto da Wu Ming 4 a Bologna nella primavera scorsa). Green studia l’impianto narrativo del romanzo, ne rileva l’architettura, i temi dominanti, le costanti che ritornano; ma anche le contaminazioni e i debiti con la letteratura vittoriana per bambini e per ragazzi, soprattutto quella popolare di grande diffusione. Ne fornisce poi una lettura psicanalitica che, al netto di qualche rigidità junghiana, presenta brillantemente la storia in chiave di “scoperta del sé” e dialettica tra figura paterna e materna.
Il saggio dimostra quanto la previsione di C.S. Lewis fosse azzeccata:
“Lo Hobbit, d’altra parte, risulterà divertente ai lettori più piccoli, e solo anni dopo, alla decima o dodicesima lettura, essi cominceranno a capire quale abile maestria e profonda riflessione ne abbiano fatto un qualcosa di così compiuto, così accessibile e, a modo suo, così vero. Le predizioni sono pericolose: ma Lo Hobbit potrebbe dimostrarsi un classico.” (Times Literary Supplement, 2 ottobre 1937).
Non solo Lo Hobbit è diventato un classico, ma soprattutto è proprio vero che ogni volta che lo si rilegge ci si accorge di qualcosa di nuovo. E’ la dote delle buone narrazioni, quella di rinnovarsi continuamente, di rivelare sempre ulteriori livelli di profondità.
Forse se Peter Jackson e le sue co-sceneggiatrici avessero letto il saggio di Green si sarebbero risparmiati di stravolgere la struttura del racconto e le dinamiche psicologiche tra i personaggi, con inserti su inserti, e deviazioni su deviazioni dalla vicenda principale, e avrebbero potuto provare a narrarci visivamente la storia originale, che di per sé è già abbastanza ricca. Perché quella di Bilbo Baggins non è soltanto la storia di un piccolo placido borghese che scopre la propria voglia di avventura e il proprio coraggio, ma soprattutto è il viaggio di un uomo di mezza età verso la maturità fino a quel momento procrastinata.
Se l’edizione italiana avesse potuto avere una prefazione (non ce l’ha per problemi contrattuali), sarebbe stata del curatore Roberto Arduini, presidente dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, e sarebbe stata questa, dove tra l’altro si svelano le vicissitudini occorse per rintracciare l’autore – che nel frattempo ha cambiato vita e ha adottato un nome d’arte – e per acquisire i diritti del libro.
Roberto Arduini presenterà il libro insieme a Wu Ming 4 alla libreria Modo Infoshop di via Mascarella 24/b, a Bologna, il 17 dicembre, giorno dell’uscita nelle sale del terzo capitolo della trilogia cinematografica di Jackson. La presentazione sarà alle ore 19:00, quindi volendo dopo si può andare direttamente al cinema…
Dato che è ben difficile che un libro così di nicchia possa aprirsi la strada dello scaffale nelle librerie, ricordiamo che lo si può acquistare direttamente dal sito dell’editore.
Buona lettura.
Approfittiamo dell’occasione di questo post per segnalare un’entusiastica recensione di Difendere la Terra di Mezzo, scritta da Franco Pezzini, massimo esperto italiano di letteratura fantastica-horror vittoriana. E’ uscita su “L’Indice dei Libri del mese” di novembre.
The post Lo Hobbit: un viaggio verso la maturità appeared first on Giap.








November 21, 2014
Radio Giap Rebelde | Seminario sull’uguaglianza all’Unical, 8 ottobre 2014 #ArmatadeiSonnambuli

Scaramouche visto da Paola Loprete aka Morpheus. Clicca sull’immagine per aprire il fotostream su Flickr.
L’8 e 9 ottobre 2014, in quel di Cosenza, WM1 e WM5 hanno tenuto un seminario sull’idea di uguaglianza ne L’Armata dei Sonnambuli. L’evento era parte del Dottorato in Politica, cultura e sviluppo, Dipartimento di Scienze politiche e sociali, Università della Calabria. Per l’ideazione e organizzazione ringraziamo Andrea Olivieri, Elena «Mrs. Wolf» Musolino, Valentina Fedele, Nicola Fiorita, Carmelo Buscema, Enzo Giacco e Agostino Conforti. Sono intervenuti e hanno supportato l’iniziativa i due coordinatori del dottorato Alberto Ventura e Paolo Jedlowski, oltre ai docenti Renate Siebert, Laura Corradi, Elisabetta Della Corte e Giorgio Giraudi. Per la partecipazione, l’amicizia, il sostegno e la tormenta de cerebros non possiamo non ringraziare Claudio Dionesalvi, Gianfranco Tallarico, Fabio Cuzzola, Giuliano Santoro e Milena Jedlowski.
Quella che segue è la registrazione completa della prima giornata, con abstract che si possono leggere durante l’ascolto. Seguirà la sessione della mattina dopo, con le relazioni di Elma Battaglia (del collettivo Ateneo ControVerso) e Giuseppe Bornino (del collettivo Il Filo di Sophia).
Presentazione del seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
PRESENTAZIONE DEL SEMINARIO — 7’02”
Paolo Jedlowski e Andrea Olivieri.
Relazione di Wu Ming 1 — Seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
RELAZIONE DI WU MING 1: FIGURE DELL’UGUAGLIANZA NE L’ARMATA DEI SONNAMBULI — 1h o9’40”
Approccio obliquo — Non «sulla» ma «nella» Rivoluzione francese: dal complemento di argomento allo stato in luogo — Pensare e fare la rivoluzione: da Q a Manituana — I moventi della rivoluzione americana — 2008-2009: false partenze — Verso la Rivoluzione par excellence — Ponti e pontieri tra rivoluzione americana e rivoluzione francese — La Révolution è mappata in scala 1:1 — Autodisciplina e serendipità, autodisciplina nella serendipità — «Una guerra civile tra gli storici» (Daniel Guerin) — Robespierre descritto come il nonno di Stalin e il bisnonno di Pol Pot — Il film di Eric Rohmer di cui WM1 non ricordava il titolo è La nobildonna e il duca — [E ancora non era uscito Assassins’ Creed: Unity, che riscalda la brodaglia delle rappresentazioni più banali di Robespierre e dei rivoluzionari] — Si gioca l’89 contro il ’93, ma molte conquiste attribuite all’89 sono in realtà del ’93 — Il Terrore fu richiesto dal basso — Robespierre e il tentativo di incanalare il Terrore nella politica — Termidoro — Il libro di Sophie Wanich [La Liberté ou la mort. Essai sur la Terreur et le terrorisme] (e l’inutile, invadente prefazione di Slavoj Žižek all’edizione inglese) — Il monumento repubblicano, il contromonumento monarchico e l’antimonumento revisionista — Il culo del cavallo di Garibaldi — La statua del Nettuno del Giambologna (c’è una precisa mattonella…) — Ci siamo imbattuti in Robert Darnton — Cosa si leggeva davvero in Francia prima della Rivoluzione? — Il contributo sovversivo della maldicenza — Il mesmerismo e il tramonto dei lumi — Magnetismo e rivoluzione — «Solo suggestione»? — Rapporto di minoranza — Cose scoperte dai magnetisti: l’ipnoterapia — La cantante [Alama Kanté] operata sotto ipnosi — Un’operazione chirurgica con sedazione per ipnosi è visibile su YouTube — L’autoimmolazione dei monaci vietnamiti — Cose scoperte dai magnetisti: l’inconscio e l’effetto placebo — Per cosa sta il sonnambulismo nel nostro romanzo?
Prima figura dell’uguaglianza: D’Amblanc — Tutt* possono curare tutt* — «A fin di bene» — L’approccio opposto al magnetismo: l’uomo che si fa chiamare Laplace — Anacronismo calcolato: Laplace è un fascista, pensa come la destra radicale del Novecento — L’ordine nuovo è il passato remoto — Cos’è la controrivoluzione? — Anche a fin di male.
Seconda figura dell’uguaglianza: Marie — La tricoteuse figura calunniata — Il protagonismo delle donne nella Rivoluzione — Il potere giacobino spaventato da questo protagonismo — la cittadinanza, l’uguaglianza di genere, la Costituzione del 1793;
Terza figura dell’uguaglianza: Léo/Scaramouche — Sulla scia di Goldoni — Léo emerge da sotto i ponti con una visione — La Rivoluzione è il Nuovo Teatro — L’inizio della politica-spettacolo — Altro anacronismo: Léo è un esponente dell’avanguardia teatrale del Novecento — Il protagonismo popolare si esprime in Scaramouche nonostante l’intento di Léo, almeno all’inizio, sia narcisistico/egoistico — Evoluzione di Léo;
Quarta figura dell’uguaglianza: il folle — Rivoluzione a doppio taglio: gli albori della psichiatria — La scena mitica: Philippe Pinel e le catene — Verso altre catene: l’invenzione del manicomio — Il medico come attore, la cura come “scena” — Quali sono i diritti di un folle? — Follia e magnetismo.
Postilla alla relazione — Seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
POSTILLA DI WM5 ALLA RELAZIONE — 6’10”
Qual è l’origine del concetto di uguaglianza operante in quei giorni — Torniamo a Darnton — Sopravvivenze di mentalità contadina nelle soggettività artigiane e operaie del periodo — Il compagnonnage — Il 1789 (non) visto dal 1788.
Interventi di Nicola Fiorita e WM5 — Seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
DISCUSSIONE: NICOLA FIORITA E WM5 — 20’26”
Districandosi tra più ruoli: organizzatore e scrittore (membro del collettivo Lou Palanca) — Il filo comune dei libri di Wu Ming — Come ci si fa potere? — Non basta cambiare prospettiva, bisogna sapere dove sta la mattonella.
Quinta figura dell’uguaglianza: la scrittura collettiva — Ma come si fa a scrivere da soli? — Complessità della rivoluzione — Si può “setacciare” la rivoluzione?— La rivoluzione deve rivoluzionarsi — il mito delle origini di Q — Piano quinquennale — Anche scrivendo romanzi rosa… — Sincronicità fortunata — Come affrontiamo i conflitti tra di noi — Mediazione al rialzo — Massimalismo — Vedersi fisicamente — Anti-idealismo.
Interventi di Renate Siebert, WM5, Nicola Fiorita, WM1 — Seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
DISCUSSIONE: RENATE SIEBERT, WM5, NICOLA FIORITA E WM1 — 24’36”
Non solo collettivo di scrittura, ma collettivo di ricerca —La ricerca per questo romanzo è proseguita fin quasi alla fine — Gallica.fr — Accesso alle fonti primarie molto semplice — Ai tempi di Q era diverso — Questo è il nostro romanzo storico — Nel Quinto Atto c’è un cambiamento: l’irruzione all’interno del filone dei romanzi di poetiche e tecniche sperimentate nell’altro, quello degli “oggetti narrativi non—identificati” — Point Lenana — Ormai il romanzo storico ci stava stretto — L’Armata dei Sonnambuli è la summa di diciannove anni di lavoro — In cantiere per sei anni — Lavoriamo sempre a più progetti contemporaneamente — Mohawk Valley — Emilio Salgari a Calcutta — Adesso stiamo scrivendo un libro per bambini — Un altro modo di usare la storia — Scrivere per bambini senza smussare gli spigoli — Poi un libro di storie della Grande guerra — Una delle ispirazioni: Ummagumma dei Pink Floyd — Nessuno ha mai indovinato chi scrive cosa, perché è impossibile — È difficile ascrivere a uno solo di noi parti di testo più lunghe di un paragrafo — I cambiamenti di stile non corrispondono a “cambi di mano” — Tutti devono cimentarsi su tutti i personaggi — Il “calcio totale” olandese degli anni ’70 — Intanto si gioca il derby Catanzaro – Cosenza — Le narrazioni del “tradimento della rivoluzione” — «I capi hanno tradito» — Proletari senza rivoluzione di Renzo Del Carria — «Chiamate un tecnico» — I libri di Valerio Gentili — Il grano e il loglio: la voga complottista — Vedere ovunque false flag operations della CIA attiva una narrazione consolatoria e reazionaria — Egitto, Tunisia: tirare in ballo la CIA aiuta a rilasciare endorfine — Il coltello nel burro — Tutte le controrivoluzioni devono presentarsi come rivoluzioni — Il ritorno al licenziamento per rappresaglia presentato come il “nuovo” — Nessuno si presenta mai come reazionario, sono tutti “innovatori” — Non c’è “precettistica” rivoluzionaria, la prossima rivoluzione sarà diversa, ma ci sono riferimenti a cui si torna sempre — Ogni nuova rivoluzione retroagisce su come leggiamo quella francese — Il discorso della rivoluzione ritorna con le “primavere arabe” — Ben Ali e Mubarak occupavano la casella dell’ordine simbolico corrispondente al tiranno — A un certo punto, nella politica italiana, tutti tiravano in ballo la ghigliottina — La rivoluzione francese è ancora nostra contemporanea — La rivolta di Haiti e la Marseillaise.
Discussione a tutto campo — Seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
DISCUSSIONE: ALBERTO VENTURA, PAOLO JEDLOWSKI, LAURA CORRADI, GIORGIO GIRAUDI, WM5, WM1 — 51’28”
Perché si ritorna alla rivoluzione francese? — Le conseguenze della Rivoluzione continuiamo a viverle: destra e sinistra, il parlamentarismo, lo stato—nazione… La Rivoluzione è a monte della nostra era — Codice civile e scelte urbanistiche di molte nostre città risalgono all’arrivo di Napoleone — la rivoluzione inglese di cent’anni prima non rappresenta una cesura minimamente paragonabile e non ha “fatto tradizione” sul continente — Per la prima volta si mettono in discussione i rapporti di proprietà in maniera direttamente politica — Nel calderone della Révolution nasce il socialismo — Gli Enragés — La Congiura degli Eguali — La macchina mitologica della Révolution continua a funzionare — Sopravvivenze di mentalità — Basi materiali e “vita precedente” del concetto di uguaglianza — La persistenza di mentalità preindustriale nella riottosità dell’operaio-massa — Amianto di Alberto Prunetti e la mia storia di famiglia — L’operaio con un piede nelle campagne — Il passaggio da una composizione di classe all’altra è sfumato — Irruzione di Claudio Dionesalvi che comunica il risultato del derby, scontenti i catanzaresi presenti in aula — L’importanza del farsi le domande giuste: quali sono le origini dell’uguglianza — Contadini e artigiani — Il vostro e il nostro fare ricerca — I monumenti si sfaldano in una molteplicità di storie — Un modo di lavorare in gruppo che potenzia i singoli — Anche la nostra scienza è “finzionale”, nel senso di “narrativa” — Tornando alle origini dell’uguaglianza — Il ruolo dell’Illuminismo — Immanuel Kant: Per un’antropologia pragmatica — Il buon realismo è quello che conosce il possibile e non solo l’attuale — Jacques Rancière, Il maestro ignorante — Il tema illuministico centrale nel romanzo è questo: c’è un bene possibile e praticabile in questa vita dagli uomini — La vostra è una scrittura proletaria e molto corporea — Non c’è una donna nel collettivo — Il vostro attivismo, “Omnia sunt communia” etc. — Insurrezione o guerra di lunga durata — Quanto è “decolonizzato” il vostro lavoro? — I nostri romanzi mostrano anche limiti, deliri e pochezze delle insurrezioni — L’influenza zapatista e l’interesse per il Rojava — Lotta armata e lunga gittata — Sbagliato anche dire che “il potere” non vada preso mai — Sulla questione di genere: i personaggi femminili di Q facevano schifo — Sappiamo che tutti hanno il mito di Q ma noi no — Ci sono voluti anni di lavoro — Il punto di svolta è stato Timira — Difficoltà del lavoro su Marie — Marie ci diceva: “Non sono il vostro pupazzo né la vostra bandiera” — La figura del “maschio sensibile” che sa “valorizzare la donna”… Non si scappa… Non si finisce mai di decostruire — Il pilota automatico e la proroga di sei mesi chiesta all’Einaudi — Il resto del lavoro avverrà fuori dalla cornice del romanzo storico — Sulla questione del “decolonizzare” — La genesi del peculiare razzismo italiano — La mefitica triade — La “vox plebis”, la voce dei sanculotti, è anche razzista e sessista — Si decostruisce anche il proletariato — ANPI e rastafariani uniti nella lotta — La questione del potere — Come immaginate il rapporto tra idee, saperi e prassi — L’invarianza è la lotta tra le classi — Perché mi dico comunista — “Dittatura” ed estinzione dello stato — Rimando alla recensione di Bifo de L’Armata dei Sonnambuli — Il potere non è un palazzo, è relazioni di potere — Non si è univocamente “senza potere” — Altra faccenda sono i poteri costituiti, ma non sono tutto il problema del potere — La grande lezione di Michel Foucault è la microfisica del potere — Le due fisiche, quella dove basta Newton e quella dove non basta più — Io sono un problema del potere, un problema di potere.
The post Radio Giap Rebelde | Seminario sull’uguaglianza all’Unical, 8 ottobre 2014 #ArmatadeiSonnambuli appeared first on Giap.








Radio Giap Rebelde | Seminario sull’uguaglianza all’Unical , 8 ottobre 2014 #ArmatadeiSonnambuli

Scaramouche visto da Paola Loprete aka Morpheus. Clicca sull’immagine per aprire il fotostream su Flickr.
L’8 e 9 ottobre 2014, in quel di Cosenza, WM1 e WM5 hanno tenuto un seminario sull’idea di uguaglianza ne L’Armata dei Sonnambuli. L’evento era parte del Dottorato in Politica, cultura e sviluppo, Dipartimento di Scienze politiche e sociali, Università della Calabria. Per l’ideazione e organizzazione ringraziamo Andrea Olivieri, Elena «Mrs. Wolf» Musolino, Valentina Fedele, Nicola Fiorita, Carmelo Buscema, Enzo Giacco e Agostino Conforti. Sono intervenuti e hanno supportato l’iniziativa i due coordinatori del dottorato Alberto Ventura e Paolo Jedlowski, oltre ai docenti Renate Siebert, Laura Corradi, Elisabetta Della Corte e Giorgio Giraudi. Per la partecipazione, l’amicizia, il sostegno e la tormenta de cerebros non possiamo non ringraziare Claudio Dionesalvi, Gianfranco Tallarico, Fabio Cuzzola, Giuliano Santoro e Milena Jedlowski.
Quella che segue è la registrazione completa della prima giornata, con abstract che si possono leggere durante l’ascolto. Seguirà la sessione della mattina dopo, con le relazioni di Elma Battaglia (del collettivo Ateneo ControVerso) e Giuseppe Bornino (del collettivo Il Filo di Sophia).
Presentazione del seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
PRESENTAZIONE DEL SEMINARIO — 7’02”
Paolo Jedlowski e Andrea Olivieri.
Relazione di Wu Ming 1 — Seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
RELAZIONE DI WU MING 1: FIGURE DELL’UGUAGLIANZA NE L’ARMATA DEI SONNAMBULI — 1h o9’40”
Approccio obliquo — Non «sulla» ma «nella» Rivoluzione francese: dal complemento di argomento allo stato in luogo — Pensare e fare la rivoluzione: da Q a Manituana — I moventi della rivoluzione americana — 2008-2009: false partenze — Verso la Rivoluzione par excellence — Ponti e pontieri tra rivoluzione americana e rivoluzione francese — La Révolution è mappata in scala 1:1 — Autodisciplina e serendipità, autodisciplina nella serendipità — «Una guerra civile tra gli storici» (Daniel Guerin) — Robespierre descritto come il nonno di Stalin e il bisnonno di Pol Pot — Il film di Eric Rohmer di cui WM1 non ricordava il titolo è La nobildonna e il duca — [E ancora non era uscito Assassins’ Creed: Unity, che riscalda la brodaglia delle rappresentazioni più banali di Robespierre e dei rivoluzionari] — Si gioca l’89 contro il ’93, ma molte conquiste attribuite all’89 sono in realtà del ’93 — Il Terrore fu richiesto dal basso — Robespierre e il tentativo di incanalare il Terrore nella politica — Termidoro — Il libro di Sophie Wanich [La Liberté ou la mort. Essai sur la Terreur et le terrorisme] (e l’inutile, invadente prefazione di Slavoj Žižek all’edizione inglese) — Il monumento repubblicano, il contromonumento monarchico e l’antimonumento revisionista — Il culo del cavallo di Garibaldi — La statua del Nettuno del Giambologna (c’è una precisa mattonella…) — Ci siamo imbattuti in Robert Darnton — Cosa si leggeva davvero in Francia prima della Rivoluzione? — Il contributo sovversivo della maldicenza — Il mesmerismo e il tramonto dei lumi — Magnetismo e rivoluzione — «Solo suggestione»? — Rapporto di minoranza — Cose scoperte dai magnetisti: l’ipnoterapia — La cantante [Alama Kanté] operata sotto ipnosi — Un’operazione chirurgica con sedazione per ipnosi è visibile su YouTube — L’autoimmolazione dei monaci vietnamiti — Cose scoperte dai magnetisti: l’inconscio e l’effetto placebo — Per cosa sta il sonnambulismo nel nostro romanzo?
Prima figura dell’uguaglianza: D’Amblanc — Tutt* possono curare tutt* — «A fin di bene» — L’approccio opposto al magnetismo: l’uomo che si fa chiamare Laplace — Anacronismo calcolato: Laplace è un fascista, pensa come la destra radicale del Novecento — L’ordine nuovo è il passato remoto — Cos’è la controrivoluzione? — Anche a fin di male.
Seconda figura dell’uguaglianza: Marie — La tricoteuse figura calunniata — Il protagonismo delle donne nella Rivoluzione — Il potere giacobino spaventato da questo protagonismo — la cittadinanza, l’uguaglianza di genere, la Costituzione del 1793;
Terza figura dell’uguaglianza: Léo/Scaramouche — Sulla scia di Goldoni — Léo emerge da sotto i ponti con una visione — La Rivoluzione è il Nuovo Teatro — L’inizio della politica—spettacolo — Altro anacronismo: Léo è un esponente dell’avanguardia teatrale del Novecento — Il protagonismo popolare si esprime in Scaramouche nonostante l’intento di Léo, almeno all’inizio, sia narcisistico/egoistico — Evoluzione di Léo;
Quarta figura dell’uguaglianza: il folle — Rivoluzione a doppio taglio: gli albori della psichiatria — La scena mitica: Philippe Pinel e le catene — Verso altre catene: l’invenzione del manicomio — Il medico come attore, la cura come “scena” — Quali sono i diritti di un folle? — Follia e magnetismo.
Postilla alla relazione — Seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
POSTILLA DI WM5 ALLA RELAZIONE — 6’10”
Qual è l’origine del concetto di uguaglianza operante in quei giorni — Torniamo a Darnton — Sopravvivenze di mentalità contadina nelle soggettività artigiane e operaie del periodo — Il compagnonnage — Il 1789 (non) visto dal 1788.
Interventi di Nicola Fiorita e WM5 — Seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
DISCUSSIONE: NICOLA FIORITA E WM5 — 20’26”
Districandosi tra più ruoli: organizzatore e scrittore (membro del collettivo Lou Palanca) — Il filo comune dei libri di Wu Ming — Come ci si fa potere? — Non basta cambiare prospettiva, bisogna sapere dove sta la mattonella.
Quinta figura dell’uguaglianza: la scrittura collettiva — Ma come si fa a scrivere da soli? — Complessità della rivoluzione — Si può “setacciare” la rivoluzione?— La rivoluzione deve rivoluzionarsi — il mito delle origini di Q — Piano quinquennale — Anche scrivendo romanzi rosa… — Sincronicità fortunata — Come affrontiamo i conflitti tra di noi — Mediazione al rialzo — Massimalismo — Vedersi fisicamente — Anti-idealismo.
Interventi di Renate Siebert, WM5, Nicola Fiorita, WM1 — Seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
DISCUSSIONE: RENATE SIEBERT, WM5, NICOLA FIORITA E WM1 — 24’36”
Non solo collettivo di scrittura, ma collettivo di ricerca —La ricerca per questo romanzo è proseguita fin quasi alla fine — Gallica.fr — Accesso alle fonti primarie molto semplice — Ai tempi di Q era diverso — Questo è il nostro romanzo storico — Nel Quinto Atto c’è un cambiamento: l’irruzione all’interno del filone dei romanzi di poetiche e tecniche sperimentate nell’altro, quello degli “oggetti narrativi non—identificati” — Point Lenana — Ormai il romanzo storico ci stava stretto — L’Armata dei Sonnambuli è la summa di diciannove anni di lavoro — In cantiere per sei anni — Lavoriamo sempre a più progetti contemporaneamente — Mohawk Valley — Emilio Salgari a Calcutta — Adesso stiamo scrivendo un libro per bambini — Un altro modo di usare la storia — Scrivere per bambini senza smussare gli spigoli — Poi un libro di storie della Grande guerra — Una delle ispirazioni: Ummagumma dei Pink Floyd — Nessuno ha mai indovinato chi scrive cosa, perché è impossibile — È difficile ascrivere a uno solo di noi parti di testo più lunghe di un paragrafo — I cambiamenti di stile non corrispondono a “cambi di mano” — Tutti devono cimentarsi su tutti i personaggi — Il “calcio totale” olandese degli anni ’70 — Intanto si gioca il derby Catanzaro – Cosenza — Le narrazioni del “tradimento della rivoluzione” — «I capi hanno tradito» — Proletari senza rivoluzione di Renzo Del Carria — «Chiamate un tecnico» — I libri di Valerio Gentili — Il grano e il loglio: la voga complottista — Vedere ovunque false flag operations della CIA attiva una narrazione consolatoria e reazionaria — Egitto, Tunisia: tirare in ballo la CIA aiuta a rilasciare endorfine — Il coltello nel burro — Tutte le controrivoluzioni devono presentarsi come rivoluzioni — Il ritorno al licenziamento per rappresaglia presentato come il “nuovo” — Nessuno si presenta mai come reazionario, sono tutti “innovatori” — Non c’è “precettistica” rivoluzionaria, la prossima rivoluzione sarà diversa, ma ci sono riferimenti a cui si torna sempre — Ogni nuova rivoluzione retroagisce su come leggiamo quella francese — Il discorso della rivoluzione ritorna con le “primavere arabe” — Ben Ali e Mubarak occupavano la casella dell’ordine simbolico corrispondente al tiranno — A un certo punto, nella politica italiana, tutti tiravano in ballo la ghigliottina — La rivoluzione francese è ancora nostra contemporanea — La rivolta di Haiti e la Marseillaise.
Discussione a tutto campo — Seminario sull’uguaglianza — Unical 8 ottobre 2014
DISCUSSIONE: ALBERTO VENTURA, PAOLO JEDLOWSKI, LAURA CORRADI, GIORGIO GIRAUDI, WM5, WM1 — 51’28”
Perché si ritorna alla rivoluzione francese? — Le conseguenze della Rivoluzione continuiamo a viverle: destra e sinistra, il parlamentarismo, lo stato—nazione… La Rivoluzione è a monte della nostra era — Codice civile e scelte urbanistiche di molte nostre città risalgono all’arrivo di Napoleone — la rivoluzione inglese di cent’anni prima non rappresenta una cesura minimamente paragonabile e non ha “fatto tradizione” sul continente — Per la prima volta si mettono in discussione i rapporti di proprietà in maniera direttamente politica — Nel calderone della Révolution nasce il socialismo — Gli Enragés — La Congiura degli Eguali — La macchina mitologica della Révolution continua a funzionare — Sopravvivenze di mentalità — Basi materiali e “vita precedente” del concetto di uguaglianza — La persistenza di mentalità preindustriale nella riottosità dell’operaio—massa — Amianto di Alberto Prunetti e la mia storia di famiglia — L’operaio con un piede nelle campagne — Il passaggio da una composizione di classe all’altra è sfumato — Irruzione di Claudio Dionesalvi che comunica il risultato del derby, scontenti i catanzaresi presenti in aula — L’importanza del farsi le domande giuste: quali sono le origini dell’uguglianza — Contadini e artigiani — Il vostro e il nostro fare ricerca — I monumenti si sfaldano in una molteplicità di storie — Un modo di lavorare in gruppo che potenzia i singoli — Anche la nostra scienza è “finzionale”, nel senso di “narrativa” — Tornando alle origini dell’uguaglianza — Il ruolo dell’Illuminismo — Immanuel Kant: Per un’antropologia pragmatica — Il buon realismo è quello che conosce il possibile e non solo l’attuale — Jacques Rancière, Il maestro ignorante — Il tema illuministico centrale nel romanzo è questo: c’è un bene possibile e praticabile in questa vita dagli uomini — La vostra è una scrittura proletaria e molto corporea — Non c’è una donna nel collettivo — Il vostro attivismo, “Omnia sunt communia” etc. — Insurrezione o guerra di lunga durata — Quanto è “decolonizzato” il vostro lavoro? — I nostri romanzi mostrano anche limiti, deliri e pochezze delle insurrezioni — L’influenza zapatista e l’interesse per il Rojava — Lotta armata e lunga gittata — Sbagliato anche dire che “il potere” non vada preso mai — Sulla questione di genere: i personaggi femminili di Q facevano schifo — Sappiamo che tutti hanno il mito di Q ma noi no — Ci sono voluti anni di lavoro — Il punto di svolta è stato Timira — Difficoltà del lavoro su Marie — Marie ci diceva: “Non sono il vostro pupazzo né la vostra bandiera” — La figura del “maschio sensibile” che sa “valorizzare la donna”… Non si scappa… Non si finisce mai di decostruire — Il pilota automatico e la proroga di sei mesi chiesta all’Einaudi — Il resto del lavoro avverrà fuori dalla cornice del romanzo storico — Sulla questione del “decolonizzare” — La genesi del peculiare razzismo italiano — La mefitica triade — La “vox plebis”, la voce dei sanculotti, è anche razzista e sessista — Si decostruisce anche il proletariato — ANPI e rastafariani uniti nella lotta — La questione del potere — Come immaginate il rapporto tra idee, saperi e prassi — L’invarianza è la lotta tra le classi — Perché mi dico comunista — “Dittatura” ed estinzione dello stato — Rimando alla recensione di Bifo de L’Armata dei Sonnambuli — Il potere non è un palazzo, è relazioni di potere — Non si è univocamente “senza potere” — Altra faccenda sono i poteri costituiti, ma non sono tutto il problema del potere — La grande lezione di Michel Foucault è la microfisica del potere — Le due fisiche, quella dove basta Newton e quella dove non basta più — Io sono un problema del potere, un problema di potere.
The post Radio Giap Rebelde | Seminario sull’uguaglianza all’Unical , 8 ottobre 2014 #ArmatadeiSonnambuli appeared first on Giap.








November 18, 2014
Arriva in libreria #Diariodizona di Luigi Chiarella (Yamunin). Ecco le prime pagine. #QuintoTipo

Luigi Chiarella aka Yamunin
[Finalmente arriva «nelle migliori librerie» il titolo n.1 della collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1 per le Edizioni Alegre: Diario di zona di Luigi Chiarella (Yamunin). Una storia di storie di lavoro, psicogeografia e resistenza nella Torino degli anni Dieci. Una storia di storie cresciute giorno dopo giorno per le strade, sul blog Satyrikon e su Twitter. Eccovi le primissime pagine.]
Autunno
Apro la finestra su via Verdi, giù di sotto il solito passaggio di persone fra le bancarelle. Visto dall’alto è tutto un brulicare di colori, suoni, etnie. Una brezza leggera porta zaffate di incenso. Guardo in su, il sole illumina ancora la Mole. Cerco di individuare il nido del falco pellegrino fra le colonne del secondo terrazzino della guglia che si allunga nel cielo, non lo vedo. Faccio scivolare lo sguardo lungo il profilo della cupola. Come faccio? mi chiedo guardando le lastre di pietra di Luserna che riflettono il sole.
Respiro ma non come vorrei, impossibile respirare con il peso che sento sullo stomaco, con questo incenso che appesta l’aria. L’aria pesante di Torino.
Come faccio senza lavoro?
Rientro in casa, riavvio il computer e accedo alla pagina internet della banca, mi trema la mano, lo vedo dalla freccetta del mouse.
Pago l’affitto e quanto ho guadagnato con l’ultimo spettacolo si è volatilizzato. Ultimamente ho avuto solo contratti da comparsa, la qualità di lavoro richiesta però è da professionista. Ma i soldi scarseggiano e perciò si taglia, e cominciano a tagliare dal basso: niente contratti da mimo. Ti chiamano proponendoti di fare il provino come comparsa, così hanno la stessa qualità ma a prezzi stracciati. Farlo notare non è servito a niente. Prendere o lasciare.
Manca il lavoro e mi manca il senso di continuare a fare teatro a queste condizioni.
Respiro e chiudo la pagina dopo aver salvato la ricevuta del bonifico.
Un mese di lavoro a ridosso dell’estate, ora il vuoto.
Niente.
Va bene, mi dico, devo darmi da fare e trovare un altro lavoro al più presto.
A Torino ad agosto.
Va bene un cazzo.
⁂
Vaffanculo!
Lo dico mentre stampo decine di curriculum, e li infilo in una busta di plastica.
Mi rado la barba, prendo un libro e infilo tutto nella borsa. Vado in cantina e tiro fuori la bicicletta, le do una pulita rapida e comincio a pedalare per la città. Il caldo è atroce, il peso nello stomaco è un po’ diminuito, pedalare mi fa bene.
Supero piazza Castello e prendo via Garibaldi.
Svolto in via San Francesco d’Assisi, lego la bicicletta in piazza Palazzo di Città e mi inoltro nelle vie del quadrilatero.
Entro in ristoranti, pizzerie, gelaterie a lasciare curriculum, parlo con i gestori. Forse a settembre, mi dicono, adesso siamo al completo.
Pranzo con un gelato, il telefono resta muto.
Chiamo io, ho voglia di sentirla, di sentire mia moglie:
– Come va?
– Così… tu?
– Così… hai trovato?
– Ancora no.
– Devi trovare qualcosa, mi hanno chiamato…
– Cosa dicono?
– Che ha cestinato il plico col nostro progetto senza neppure aprirlo.
– …
– Ci sei?
– Sì.
– Mi hanno detto che mentre lo buttava ha detto “cosa credono di fare questi?”.
– Stronzo.
– Come facciamo?
– Troverò qualcosa.
Di tanto in tanto lo incontro, lo stronzo, sotto i portici di via Po, col solito sorriso da pubbliche relazioni, e mi piacerebbe tanto togliermi un sassolino dagli anfibi e dirglielo che “ne sai una sega di teatro, amigo, una sega”. Però intanto è il nostro progetto a essere stato cestinato, i suoi progetti pare viaggino bene.
Mi siedo, apro il libro che ho nello zaino, La Rivoluzione teatrale di Mejerchol’d:
«Nel lavoro dell’attore è particolarmente importante che esista un ponte lanciato verso il futuro. Se non siete in grado di rendervi conto dell’evoluzione che sta compiendo in questo momento l’umanità, se non siete capaci di scorgere e di raggruppare a destra i capitalisti e a sinistra i lavoratori, se non vi sentite ispirare dalle strabilianti conquiste della scienza e della tecnica, già oggi in grado di farci capire che stiamo lavorando indefessamente alla creazione di valori nuovi, allora in generale non dovete recitare. Se nel recitare la parte che vi verrà assegnata non ricorderete tutto questo, se non verserete nei vostri successi la fiamma di tutti gli immensi successi che gli operai raggiungono nel mondo intero, sarà meglio che non recitiate.»
Chiudo il libro, in testa mi spunta il pensiero sovvertire il fallimento del presente. Dove l’ho letto? Da dove comincio? Mi guardo intorno, le strade sono vuote, pochi turisti in giro. Trovo un lavoro per mantenere la famiglia e nello stesso tempo lavoro ai progetti teatrali che abbiamo in sospeso, mi dico. Non è facile.
Ma che altro posso fare?
Mi lascio il centro alle spalle, pedalo fino al Lingotto e ancora più in giù: ancora pizzerie, librerie, gelaterie, negozi di giocattoli.
Raggiungo la sede di un paio di distributori di libri scolastici, consegno il mio curriculum, mi chiedono se ho mai lavorato nel settore dei libri scolastici. Me lo chiedono anche se la risposta la possono leggere sul foglio che gli consegno. Rispondo di sì, certo. Conosco il lavoro, ne conosco i ritmi folli.
Mi dicono che, nel caso, c’è da lavorare dalle sette di mattina fino alle sette di sera davanti al banco, poi alla chiusura si fa inventario fino a quando non si è finito. Mi dicono anche che si deve lavorare veloci e precisi, senza discussioni che fanno perdere tempo.
E quanto sarebbe la paga, nel caso? Chiedo. Mi dicono che la paga è sui cinque euro l’ora.
Mi faranno sapere, e mentalmente li mando affanculo.
Mi fermo su una panchina in riva al Po, parco del Valentino, guardo il fiume e lascio scorrere un paio di lacrime.
Torno a casa, ceniamo in silenzio.
– Hai trovato qualcosa?
– Ancora no.
– Entro quando?
– Fine mese.
– Dai.
⁂
Al mattino non riesco a prendere neppure una tazza di caffè, ho l’inferno in pancia. Ci manca solo il caffè, mangio un paio di biscotti.
Mi preparo in fretta, stampo altre copie del mio curriculum rivisto e corretto e le infilo nella borsa. Mi porto dietro anche una raccolta di poesie di Majakovskij, anche se so che non avrò tempo per leggere. Il suo peso mi rassicura. Prendo la bicicletta dalla cantina e riparto.
Domani è ferragosto.
Be’, vaffanculo.
Prendo il telefono, scorro la rubrica e chiamo persone che non sento da mesi. Chiamo per un lavoro, cerco di non far trapelare l’ansia, la paura che ho di perdere tutto. Recito la parte di chi tutto sommato sta bene. Come se.
– Ciao Turi.
– Oh ciao, come va?
– Tutto sommato bene, e te?
– Sì, bene, dimmi.
– Ehm, scusa se ti chiamo così, è che sto cercando lavoro e…
– Uhm, da me non c’è niente, il magazzino è al completo. Mi puoi mandare il curriculum, lo giro a una persona che conosco.
– Sì, ok.
– Ti farò sapere.
– Grazie Turi, grazie mille.
– Figurati, ciao.
– Ciao.
Metto il telefono in tasca, mi stendo sulla panchina a guardare il cielo fra le foglie e i rami. Respiro e mi tiro su, afferro il manubrio e monto in sella. Pesto sui pedali e percorro la strada interna del parco del Valentino. Supero la zona dei locali, le stalle dei cavalli della polizia, il castello, tiro dritto e aggiro il borgo medievale. Mi fermo e mi avvio verso il fiume che scorre poco più in là. Mi siedo e guardo l’acqua. Alcune canoe scivolano leggere sull’acqua. Guardo e un brivido mi corre per la schiena.
“Una brutta situazione non può che peggiorare”.
Dov’è che l’ho letto?
Non ci finisco giù, ma neanche per il cazzo.
Torno a casa.
⁂
Il 31 agosto l’ho passato in silenzio.
Pochi giorni fa ho fatto l’ultimo colloquio, Turi è stato gentile, ma il suo conoscente ha dato uno sguardo al mio curriculum e mi ha liquidato con “ti terrò presente, vedremo se riparte qualcosa a ottobre”. Eravamo in un ufficio su corso Galileo Ferraris, ero arrivato lì in bici con calma ascoltando Mr Beast dei Mogwai. Ero in anticipo e mi sono fermato davanti all’ingresso della Gam, l’ultima mostra a cui siamo andati è stata quella dedicata a Carlo Mollino, dopo mesi passati dentro il teatro Regio ero curioso di vedere le altre opere dell’architetto, le foto, i progetti. Fermo davanti all’ingresso del museo ripesco dalla memoria le immagini delle scrivanie, del tavolo vertebrato, delle sedie, i prototipi delle auto da corsa; le foto viste al museo di Rivoli, i bellissimi ritratti femminili soprattutto.
Dopo venti minuti di attesa entro nell’ufficio, le finestre danno sul monumento a Vittorio Emanuele II, mi accoglie sorridente e avviamo il colloquio, breve. Poi i saluti con tanto di in bocca al lupo e ci risentiremo a ottobre.
Ma non ho tempo per arrivare a ottobre.
In casa c’è meno tensione ma nello stomaco ho un piccolo inferno. Di giorno parliamo appena del lavoro, solo vaghi accenni, di notte ci addormentiamo in un abbraccio che dà sollievo.
Non è ancora successo niente ma non mollo. Non cedo. Esco sul balcone e guardo la Mole. Mi dà sollievo il suo profilo: la base solida, il resto slanciato e la guglia che punta il cielo fin lassù.
Mi arriva una telefonata:
– Ciao.
– Ti disturbo?
– No, figurati.
– Senti, so che ti stai sbattendo in giro per un lavoro, qua da me stanno cercando letturisti.
– Letturisti?
– Sì, per fare le letture dei contatori dell’acqua. Ti andrebbe?
– Sì, sì, certo che sì.
– Ok, segnati il numero del responsabile e prendi un appuntamento. È una brava persona, si sbatte un sacco, se tutto va bene cominci subito.
– Leo…
– Sì?
– Grazie.
– Ma figurati.
– Che la forza sia con te, cognato jedi.
– Che tu sia con la forza. Dai.
yamunin #DiariodiZona pic.twitter.com/Xek0mvYrXj — yamunin (@yamunin) November 21, 2013
Tools. #DiariodiZona pic.twitter.com/ZkMDYBFam6 — yamunin (@yamunin) October 15, 2013
“Nido” di contatori dell’acqua, con perdita. #DiariodiZona pic.twitter.com/8lc0sbDHpJ — yamunin (@yamunin) July 15, 2013
Da oggi e per sempre. / #DiariodiZona pic.twitter.com/FtMfltHRWW — yamunin (@yamunin) September 6, 2013
- Lei chi è e come fa a sapere il mio nome?! – C’è scritto sul citofono. – … #DiariodiZona #Torino (#MLMV) — yamunin (@yamunin) February 6, 2014
Infernotto. #DiariodiZona pic.twitter.com/EmNXZ1SnDy — yamunin (@yamunin) August 9, 2013
Uno dei più balordi. #DiariodiZona – buongiorno pic.twitter.com/SFD8z2tBWG — yamunin (@yamunin) July 16, 2013
Un po’ di foto dal #Diariodizona: http://t.co/DGVnQ6X22i #QuintoTipo cc @Wu_Ming_Foundt — yamunin (@yamunin) November 18, 2014
«In pochi han fotografato l’Italia di oggi con l’umana precisione di @yamunin in #DiarioDiZona» Bot @Einaudieditore. pic.twitter.com/5obFh5X5UZ — Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) November 18, 2014
- Lei che ci fa qua? E cos’ha in mano?! – Una cosa pericolosa. – E che cos’è?!! – Un libro. – Ha voglia di scherzare! – No. #DiariodiZona — yamunin (@yamunin) December 20, 2013
The post Arriva in libreria #Diariodizona di Luigi Chiarella (Yamunin). Ecco le prime pagine. #QuintoTipo appeared first on Giap.








Wu Ming 4's Blog
- Wu Ming 4's profile
- 49 followers
