Antonio Gallo's Blog: MEDIUM, page 59

April 14, 2023

Elogio della nostalgia. In praise of nostalgia

“Wivenhoe Park, Essex” by John Constable, 1816 Il Libro
“La gente guarda sempre indietro con nostalgia, dimenticando che le persone a cui guardano avevano fatto la medesima cosa”.

Sì, è vero, anche a me è venuta una sensazione di nostalgia leggendo la recensione di un libro appena uscito in lingua inglese di cui vedete la copertina. L’articolo è apparso sulla prestigiosa rivista letteraria TLS con la riproduzione del dipinto di John Constable. L’accattivante titolo mi ha subito colpito: “L’erba era più verde. La nostalgia è quella di una volta?”
Strana parola la nostalgia. Noi la pronunziamo con l’accento sulla i, gli inglesi l’hanno acquisita nel loro dizionario e la pronunziano con l’accento sulla a. Il messaggio principale di “Rule, Nostalgia” è che l’idea del passato sia un posto migliore, un fatto che ha alimentato l’ascesa del populismo. La nostalgia sembra essere sempre con noi.
Il libro esplora come l’età dell’oro, illusoria e controversa, abbia perseguitato la Gran Bretagna sin dal medioevo e come possa liberarsi dalla sua dipendenza dal passato. L’autrice separa la storia dalla fantasia e fa risalire alle sue origini i potenti miti e le straordinarie storie che hanno plasmato la cultura britannica. Il libro è un trionfale viaggio all’indietro attraverso la storia del rapporto della Gran Bretagna con il proprio passato, una cronaca del loro stato di perenne nostalgia per un paradiso appena perduto.
Non ho ancora letto il libro, ma dai diversi estratti e dalle molte recensioni mi sono fatto la mia personale idea per quanto concerne questa fatidica parola e quello che mi lega a questo Paese. Hannah Rose Woods viaggia all’indietro nel suo libro per circa cinquecento anni. Il mio viaggio è molto più breve rispetto al suo, il sottotitolo del libro è “500 anni di nostalgia dei bei vecchi tempi”. Woods racconta la storia a ritroso, cominciando dal presente prossimo.
Il primo capitolo, “Keep Calm And Take Back Control”, tira i fili delle bizzarre paranoie della Gran Bretagna post-Brexit sull’Europa fino a raggiungere la prima vittoria elettorale di Margaret Thatcher nel 1979. L’ultimo capitolo torna dalla Gloriosa Rivoluzione del 1688 al XVI secolo, sfumando sullo spettacolo del pubblico teatrale che si dilettava nell’Enrico V di Shakespeare, a sua volta una resa nostalgica della battaglia di Agincourt nel 1415.
Dopo un viaggio in treno durato 45 ore, sbarcai su questa isola in un umido e piovoso pomeriggio a Dover nel mese di ottobre del 1961. Studente lavoratore, con tanta voglia di apprendere la lingua. A distanza di oltre mezzo secolo, dopo tanti viaggi, esperienze e conoscenze, mi scopro nostalgico rincorrendo i pensieri nostalgici della Woods. Difficile e complicato fare l’elenco dei ricordi e delle memorie che da quello sbarco si sono poi succeduti per circa settanta anni. Non mi resta che leggere la parola nostalgia a modo mio.
La nostalgia può influenzare la nostra percezione del passato in vari modi. E’ una sensazione sentimentale di ricordi per il passato che può ridurre la percezione del dolore e stimolare le proprie emozioni. Non è solo un’esperienza orientata al passato, ma può anche essere orientata al futuro. Motiva stati affettivi, comportamenti e obiettivi che migliorano la vita futura delle persone.
Può migliorare il benessere ed è innescata da stati affettivi negativi come tristezza, solitudine e mancanza di significato del vivere. Tuttavia, è stato rilevato che la nostalgia non ha alcun effetto significativo sulla percezione del tempo. Nel complesso, può influenzare la nostra percezione del passato e del futuro e può avere effetti sia positivi che negativi sul nostro benessere.
Non è solo un’esperienza orientata al passato, ma può anche essere orientata al futuro. Gli stati affettivi negativi come la tristezza, la solitudine e l’insensatezza innescano la nostalgia e questa, a sua volta, aumenta il benessere. Comporta la riflessione sulle esperienze passate, ma motiva stati affettivi, comportamenti e obiettivi che migliorano la vita futura delle persone. Le persone possono fare riferimento al loro passato nostalgico per ricordare a se stessi cosa si prova ad essere giovani e amati.
La nostalgia può aumentare l’ottimismo e le intenzioni di stare insieme. Pertanto è un’esperienza emotiva complessa che può essere sia passata che orientata al futuro. Può migliorare il benessere in vari modi se è vissuta come un’emozione straordinariamente positiva che migliora l’umore e aumenta il senso della vita. Può ridurre la percezione del dolore e fornire uno scorcio del proprio sé autentico. Può anche innescare ispirazione e motivazione e aiutare nella risoluzione dei problemi.
La nostalgia mobilita il sé, in particolare il sé sociale, e aumenta l’ottimismo, la connessione e l’autostima. Può anche aumentare il perseguimento di obiettivi sociali e fornire conforto psicologico. Per gli individui ad alto contenuto di nostalgia, questo sentimento indotto aumenta l’ottimismo attraverso la connessione e l’autostima. In sintesi, la nostalgia può migliorare il benessere fornendo conforto psicologico, aumentando la connessione sociale e l’autostima.

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“People have always looked back with longing; forgetting, in turn, that the people they looked back to were doing the same”.

Yes, it’s true, I too had a feeling of nostalgia reading the review of a book that just came out in English whose cover you see above. The article appeared in the prestigious literary magazine TLS with the reproduction of the painting by John Constable. The catchy title immediately struck me: “The grass was greener. Is nostalgia what it used to be?”
Nostalgia is a strange word. We pronounce it with the accent on the i, the English have acquired it in their dictionary and pronounce it with the accent on the a. The main message of “Rule, Nostalgia” is that the idea that the past was a better place fueled the rise of populism and that nostalgia is always with us.
The book explores how the illusory and controversial Golden Age has haunted Britain since medieval times and how it can break free from its dependence on the past. The author separates history from fantasy and traces its origins to the powerful myths and extraordinary stories that have shaped British culture. The book is a triumphal journey back through the history of Britain’s relationship with its past, a chronicle of their state of perpetual nostalgia for a paradise just lost.
I haven’t read the book yet, but from the various excerpts and many reviews I got my own personal idea about this word and what binds me to this country. Hannah Rose Woods travels backwards in her book about five hundred years. My journey is much shorter than hers, the subtitle of the book is “500 years of nostalgia for the good old days”. Woods tells the story backwards, starting with the near present.
The first chapter, ‘Keep Calm And Take Back Control’, pulls the strings of post-Brexit Britain’s bizarre paranoia about Europe all the way to Margaret Thatcher’s first election victory in 1979. The last chapter returns from the Glorious Revolution of 1688 to the 16th century, fading into the spectacle of theater audiences reveling in Shakespeare’s Henry V, itself a nostalgic rendering of the Battle of Agincourt in 1415. After a 45-hour train journey, I landed on this island in a humid and rainy afternoon in Dover in October 1961. Working student, with a great desire to learn the language.
More than half a century later, after so many travels, experiences and acquaintances, I find myself nostalgic chasing Woods’ nostalgic thoughts. It is difficult to make a list of recollections and remembrances that followed one another for about seventy years from that landing. I just have to read the word nostalgia in my own way.
Nostalgia is a common human experience that can have psychological benefits, such as counteracting loneliness and boredom12. However, it can also be painful, as waiting and forgetting can be3. Looking back at the past can provide perspective, but it is important to remember that the past is often romanticized and may not have been as idyllic as it is remembered1.
Nostalgia can affect our perception of the past in various ways. Nostalgia is a sentimental feeling of longing for the past, and it can reduce pain perception. It can also stimulate emotions and brand perception. Nostalgia is not just a past-oriented experience, but it can also be future-oriented. It motivates affective states, behaviors, and goals that improve people’s future lives.
Nostalgia can enhance well-being, and it is triggered by negative affective states such as sadness, loneliness, and meaninglessness. However, a study found that nostalgia has no significant effect on time perception. Overall, nostalgia can influence our perception of the past and the future, and it can have both positive and negative effects on our well-being.
Nostalgia is not just a past-oriented experience, but it can also be future-oriented. Negative affective states such as sadness, loneliness, and meaninglessness trigger nostalgia, and nostalgia, in turn, enhances well-being. Nostalgia involves reflecting on past experiences, but it motivates affective states, behaviors, and goals that improve people’s future lives.
People can reference their nostalgic past to remind themselves what it felt to be young and loved. Nostalgia can increase optimism and intentions to stay together. Therefore, nostalgia is a complex emotional experience that can be both past and future-oriented. Nostalgia can enhance well-being in various ways. Nostalgia is experienced as an overwhelmingly positive emotion that boosts one’s mood and increases a sense of meaning in life.
Nostalgia can reduce the perception of pain and provide a glimpse of one’s authentic self. It can also trigger inspiration and motivation and help with problem-solving. Nostalgia mobilizes the self, particularly the social self, and increases optimism, social-connectedness, and self-esteem.
Nostalgia can also increase social goal pursuit and provide psychological comfort.
For individuals high in trait nostalgia, induced nostalgia increases optimism via social-connectedness and self-esteem. In summary, nostalgia can enhance well-being by providing psychological comfort, increasing social-connectedness, and self-esteem, and mobilizing the self to pursue social goals and increase optimism.
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Published on April 14, 2023 12:39

April 11, 2023

Morire, dormire, sognare …

Morire, dormire, sognare … Il Libro
“Morire, dormire, sognare, forse: ma qui è l’ostacolo che ci trattiene: perchè in quel sonno della morte quali sogni possan venire, quando noi ci siamo sbarazzati di questo groviglio mortale: è lo scrupolo, questo, che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti …”
Lo sapeva bene Amleto. Il sonno è una parte importante della nostra routine quotidiana: passiamo circa un terzo della nostra vita a dormire. Un sonno di qualità, e averne abbastanza al momento giusto, è essenziale per la sopravvivenza, quanto il cibo e l’acqua.
Senza sonno non possiamo formare o mantenere i percorsi nel nostro cervello che ci consentono di imparare e creare nuovi ricordi, ed è più difficile concentrarsi e rispondere rapidamente.
Il sonno è importante per una serie di funzioni cerebrali, incluso il modo in cui le cellule nervose, i neuroni, comunicano tra loro. In effetti, il nostro cervello e il nostro corpo rimangono straordinariamente attivi mentre dormiamo.
Recenti scoperte dicono che il sonno svolge un ruolo di pulizia che rimuove le tossine nel cervello che si accumulano mentre siamo svegli. Tutti hanno bisogno di dormire, ma il suo scopo biologico rimane un mistero. Il sonno colpisce quasi ogni tipo di tessuto e sistema del corpo: dal cervello, cuore e polmoni al metabolismo, funzione immunitaria, umore e resistenza alle malattie.
La ricerca antica e moderna dimostra che una cronica mancanza di sonno, o un sonno di scarsa qualità, aumenta il rischio di disturbi tra cui ipertensione, malattie cardiovascolari, diabete, depressione e obesità. Il sonno è un processo complesso e dinamico che influisce sul modo in cui funziona nei modi che gli scienziati stanno soltanto ora iniziando a capire.
Questo libro lo dimostra. E’ uno studio sull “orologio circardiano” che ci conduce al sonno. Descrive come viene regolato il nostro bisogno di dormire e cosa succede nel cervello durante il sonno. La parola dice tutto: “circa diem”, “intorno al giorno”.
Tutto ruota sul e col pianeta. In 24 ore la Terra gira su se stessa e contemporaneamente naviga intorno al Sole nelle quattro stagioni della nostra vita. Un libro non facile da leggere e digerire. Non credo riuscirete a dormire meglio se lo leggete. Poco più di 400 pagine. Ecco la sua conclusione:
“La vita spesso consiste nel cogliere un’opportunità nel più breve tempo possibile, evitando un danno come un’infezione o ottenendo un vantaggio grazie ad una decisione saggia. Sono i nostri ritmi circadiani che ci aiutano ad aumentare le nostre possibilità di successo in un mondo dinamico. I ritmi circardiani riguardano la tempistica e non il tempo in sè. Regolano le azioni per produrre l’effetto migliore. Il nostro corpo ha bisogno delle sostanze giuste nel posto giusto, nella quantità giusta, al momento giusto della giornata, e un orologio anticipa e soddisfa queste diverse esigenze. La vita delle persone sagge e di quelle stolte finisce sempre con la morte, ma nel contesto di questo libro i saggi circardiani, nel complesso, vivranno più a lungo, saranno più felici e condurranno un’esistenza più soddisfacente.”
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Published on April 11, 2023 04:56

April 10, 2023

“Criticaster”: the word of the day. La parola del giorno: “Criticastro”

Writers through the ages have loved to insult critics, even if they also worked as critics themselves, as did the poet and reviewer Algernon Charles Swinburne, who died on this day April 10 in 1909. Here he is in 1872, arguing that nonetheless he should certainly not be counted among ‘the rancorous and reptile crew of poeticules who decompose into criticasters’. A criticaster is a small or bad critic, an impostor who does not deserve the true title; similarly, the more common poetaster, coined by Ben Jonson, and enthusiastically adopted thereafter, means a ‘trashy poet’. Handily, the suffix –aster, which in Latin denotes inexact likeness and so, in English, inferiority, may be applied to many other words. Extant are, for instance, philosophaster, grammaticas grammaticaster, and politicaster, all terms — like criticaster — that do not lack for objects today.
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Gli scrittori nel corso dei secoli hanno amato insultare i critici, anche se hanno anche lavorato come critici, come fece il poeta e recensore Algernon Charles Swinburne, morto il 10 aprile del 1909. Nel 1872, sostenne che lui non va certo annoverato tra ‘l’equipaggio rancoroso e rettile di “poeticuli” che si decompongono in “criticastri’. Un critico è un critico piccolo o cattivo, un impostore che non merita il vero titolo; allo stesso modo, il più comune “poetastro”, coniato da Ben Jonson, e successivamente adottato con entusiasmo, significa un “poeta trash”. Facilmente, il suffisso –aster, che in latino denota somiglianza inesatta e quindi, in inglese, inferiorità, può essere applicato a molte altre parole. Esistono, ad esempio, philosophaster, grammaticas grammaticaster e politicaster, tutti termini — come criticaster — che oggi non mancano di oggetti. (A word every day of the year)
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Il crìtico s. m. [dal lat. critĭcus, gr. κριτικός, propr. usi sostantivati dell’agg. prec.] (pl. -ci). — Chi per professione, o in determinate occasioni, esercita la critica, letteraria, artistica, politica, economica, ecc.: i c. ufficiali, i c. militanti; un insigne c.; un c. benevolo, ostile, acuto, severo, spassionato, settario, fazioso. Nel giornalismo, il redattore o collaboratore che scrive articoli di critica: c. letterario, c. d’arte, c. teatrale, c. musicale. Nelle sue varie accezioni, la parola è di norma usata al masch., anche con riferimento a donna. ◆ Spreg. critichétto, criticùccio, criticuzzo, criticónzolo, criticastro; accr. (scherz. o iron.) criticóne; pegg. criticàccio. (Treccani)
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Published on April 10, 2023 08:23

April 8, 2023

IKIGAI: basta la parola


Lorenzo de’ Medici morì l’8 aprile del 1492, aveva sempre saputo che la Repubblica fiorentina sarebbe stata il suo passatempo, come lo era stata per suo nonno e suo padre prima di lui: a governarla era il suo ikigai, o quel che dà significato o motivazione per la vita a questa parola. Giapponese, in origine significava “il valore di essere vivi”, è stata poi adottata in questo senso all’inizio del Novecento. Come il danese hygge (“intimità”), ikigai è diventata una tendenza di stile di vita nei paesi anglofoni, ma è un termine più fondamentale. Il tuo ikigai potrebbe essere quello di vivere in “hygge” permanente, o potrebbe essere quello di scalare montagne e quant’altro. Si esiterebbe a dire che ikigai significa esattamente la stessa cosa di “raison d’être” (francese, “ragione di essere”); da un lato ha l’idea di una vocazione o una chiamata (e quindi più vicino a “métier” in francese), ma può anche descrivere piccoli piaceri quotidiani come bere il caffè al sole. Puoi avere solo una ragion d’essere ma, fortunatamente, più ikigai è meglio è.
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Lorenzo de’ Medici, who died on this day April 8 in 1492, had always known that the Florentine Republic was to be his plaything as it was his grandfather’s and his father’s before him: to rule it was his ikigai, or whatever gives your life meaning or motivation. A Japanese word, it originally meant ‘the value of being alive’, and was then adopted in this sense at the beginning of the twentieth century. Like the Danish hygge (roughly, ‘cosiness’), ikigai has of late become a lifestyle trend in anglophone countries, but it is a more fundamental term. (Your ikigai might be to live in permanent hygge, or it might be to climb mountains and whatnot.) One would hesitate to say that ikigai means exactly the same thing as raison d’être (French, ‘reason to be’); on the one hand it has the idea of a vocation or calling (and so closer to métier in French), but it can also describe small daily pleasures such as drinking coffee in the sun. You can have only one raison d’être but, happily, the more ikigai the merrier.
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Published on April 08, 2023 04:27

April 4, 2023

Pensieri come prigioni … Thoughts like prisons …

Pensieri come prigioni … Thoughts like prisons …

“Non fare dei tuoi pensieri le tue prigioni”. È facile pensare così tanto che ci sentiamo imprigionati. Che tu sia perso nei tuoi pensieri, preso in una spirale di preoccupazione o che stia lottando per essere guidato dal tuo cuore, il consiglio qui è di non lasciare che credenze, paure o aspettative limitino la nostra vita. Una degna alternativa alla chiamata del mondo a pensare “fuori dagli schemi”. Il vittorioso Cesare mostra generosità e magnanimità nei confronti di Cleopatra e le dice con queste parole di non lasciare che le sue paure dominino la sua mente. Ma lei non si fida di lui, e dopo che se ne va si rivolge alle sue cameriere e dice: “Mi parla, ragazze, mi parla.”
William Shakespeare — “Antony & Cleopatra”, 5, 2

Make not your thoughts your prisons. It’s easy to overthink so much that we feel imprisoned. Whether lost in thought, caught in a spiral of worry, or struggling to be led by your heart, the advice here is not to let beliefs, fears, or expectations constrain our life. A worthy alternative to the corporate world’s call to think ‘outside the box’. The victorious Caesar is displaying generosity and magnanimity towards Cleopatra and tells her in these words not to let her fears dominate her mind. But she doesn’t trust him, and after he leaves she turns to her maids and says, “He words me, girls, he words me”.
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Published on April 04, 2023 06:53

April 3, 2023

Come si dice in inglese la parola “spruoccolo”?

Fabio Rampelli
“La difesa dell’italiano non ha colore”. Leggete l’intervista che l’on. Fabio Rampelli ha rilasciato a proposito della sua proposta di legge contro gli anglicismi. Il primo aprile ho riportato la notizia della sua iniziativa sulla mia pagina di FB. Confesso che l’avevo ritenuta un perfetto “pesce d’aprile”. Ho scoperto poi che era vera e, da interessato alla cosa per fatto personale, ho deciso di occuparmene. A dire il vero, non è la prima volta che ne scrivo, e a ben ragione, (i francesi direbbero: “pour cause” e questo sarebbe un francesismo!) Ma leggete prima l’intervista, poi il mio commento.
Onorevole Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera, è scoppiata una bagarre attorno alla sua proposta di legge per la tutela e la promozione della lingua italiana. Ah no, scusi, bagarre non si può dire: è un termine straniero. Rettifico: c’è “subbuglio” attorno alla sua proposta di legge per la tutela e la promozione della lingua italiana. È così?
«Mi pare che anche lei, come altri, non abbia compreso i contenuti della mia proposta di legge».
In verità si è capito che si citano multe da 5mila a 100mila euro per chi non privilegia la lingua italiana “nella fruizione di beni e servizi, nella comunicazione e nella pubblica amministrazione”. Ammetterà che sono sanzioni salate.
«Sono pronto a discutere della mia proposta e a fare degli aggiustamenti, se necessario, ma la rivendico con forza. Innanzitutto perché c’è un diritto alla comprensione che equivale al rispetto della democrazia. Se non ti fai capire o non vuoi farti capire significa che sei antidemocratico».
Chi usa termini stranieri è antidemocratico?
«Io sto parlando di pubblica amministrazione, di grandi aziende, della televisione di Stato: cioè di enti che devono essere al servizio dei cittadini italiani. Se parlano in inglese come possono aiutare chi non ha studiato, gli anziani che non conoscono le lingue o chi non ha avuto la possibilità di studiare? Se si rivolgono solo a pochi “eletti”, allora è aristocrazia, non è più democrazia».
Ma non crede che nel 2023 alcuni termini anglosassoni siano ormai entrati nel linguaggio comune?
«Io mi batto per la valorizzazione della lingua italiana, che fra l’altro è una lingua bellissima e dovrebbe essere apprezzata universalmente. In questa battaglia mi illudevo che potesse esserci il sostegno di tutti, perché la lingua italiana non è né di destra né di sinistra».
E invece giù critiche.
«Soprattutto dal cosiddetto “circo mediatico”, che ha tirato fuori adesso la mia proposta nel tentativo di attaccare il governo. Il problema è che parlano senza leggere. Ci sono tanti somari in giro. Io poi mi ispiro alla legge Toubon».
Cosa prevede?
«La legge Toubon, dal nome dall’ex ministro della Cultura francese, rende obbligatorio l’uso della lingua francese nelle pubblicazioni governative, nelle pubblicità, nei luoghi di lavoro, nei contratti e nelle contrattazioni commerciali, nelle scuole finanziate dallo Stato e in altre situazioni. Lo fa la Francia e nessuno dice niente, lo propone l’Italia e viene giù il mondo».
Forse per via delle multe elevate? Anche l’Accademia della Crusca ha detto che sanzionare chi parla straniero è “ridicolo”.
«Ripeto, sono pronto ad aggiustamenti e migliorie, ma non vedo perché l’Italia debba essere uno dei pochi Paesi a non valorizzare il proprio patrimonio linguistico e a preferire l’utilizzo di inglesismi perfino quando la traduzione in italiano è possibile. Con l’Accademia della Crusca c’è un’interlocuzione costante per difendere l’italiano dagli eccessi di esterofilia e nessuno vuole vietare le parole straniere, non c’è alcun obbligo per i singoli, ma non vedo perché Eni, Enel, Rai debbano privilegiare forestierismi».
Mesi fa, alla Camera, nell’invitare i colleghi deputati a sanificare le mani, lei volle precisare che per dispenser si intende dispensatore. Cos’è che proprio non le va giù dei “forestierismi”?
«Il discorso è un altro. È che dovrebbe essere interesse di tutti introdurre la tutela dell’italiano anche riconoscendola come lingua ufficiale della Repubblica».
Su questo, un’altra sua proposta di legge mira a modificare gli articoli 6 e 12 della Costituzione e tutelare il nostro inno nazionale, le cui radici, scrive, partono dal Risorgimento…
«Non ci vedo niente di strano e anzi mi stupisco delle polemiche. Paradossalmente la nostra Costituzione tutela le minoranze e non l’italiano. Vi pare normale? A me no. C’è un vuoto costituzionale da colmare».
Ma come la mettiamo con il vostro ministero del Made in Italy? Bisogna ribattezzarlo “fatto in Italia”?
«Allora non mi sono spiegato! È ovvio che se devi promuovere i prodotti italiani all’estero devi parlare in inglese, che è la lingua riconosciuta a livello globale. Ma se sei pubblica amministrazione e devi rivolgerti ai cittadini italiani perché devi dire jobs act o spending review? Non si può dire “contenimento della spesa”?».
Sia sincero, quando Giorgia Meloni si è definita underdog nel suo discorso d’insediamento le sono venuti i sudori freddi?
«Ancora? Ma allora non è chiaro: ognuno può dire ciò che vuole, non c’è alcuna privazione della libertà di parola. Né alcun veto. La mia proposta è rivolta a enti, grandi aziende, multinazionali che stipulano contratti incomprensibili in inglese e pertanto passibili di multa. Su questo la maggioranza è compatta e chi ci attacca ha la coda di paglia».
“Libero” — Brunella Bolloli, 2 aprile 2023
La proposta di legge dell’onorevole “fratello d’Italia” non segnala nulla di nuovo. La polemica sugli anglicismi, anglismi, inglesismi, chiamateli come volete, non è nuova. Sono stati scritti innumerevoli libri, articoli, ricerche, studi e atti di conferenze. Questa decisione dell’on. Rampelli è una sua proposta di legge avanzata già da tempo. Tutti, ormai, sanno che “una nuova parola su due è inglese. L’italiano diventa una lingua morta. In meno di 30 anni gli anglicismi sono raddoppiati e continuano a crescere. Si pensa e si scrive anche che la nostra identità rischia di andare in frantumi.” Cito dalla recensione di uno dei tanti libri scritti in merito e intitolato “Diciamolo in Italiano” che feci anni orsono. Stanno “assassinando” l’italiano, secondo molti. Se le cose stessero così, di cadaveri, la lingua di Britannia ne avrebbe seminato molti lungo il suo cammino nel tempo e nello spazio, visto e considerato che è anche lingua ufficiale dell’Europa, anche se la stessa Britannia non ne fa più parte.
Le cose stanno diversamente e spero di provarlo in maniera semplice e pratica, lontano da filosofismi o intellettualismi dei quali non so cosa farmene. La verità è che le lingue, tutte le lingue, e ovviamente le loro culture, nel mondo contemporaneo, con l’avvento delle nuove forme di comunicazione, sono destinate ad avere identità diverse da quelle che le hanno caratterizzato per secoli. Per alcuni studiosi questa è la quarta rivoluzione non ancora conclusa e completata: la “Infosfera”. Dopo Copernico, Darwin e Freud, questa in corso è destinata a mescolare tutto.
Se penso a come iniziai a studiare la lingua inglese, quella che oggi è sotto processo per tentato “assassinio” soltanto una manciata di anni fa, mi vien da sorridere. Ne ho scritto in diverse occasioni. Quando ero ancora “in cattedra” a scuola, mi sono trovato spesso in conflitto con i docenti di lettere di tutti gli istituti superiori.
Ho dovuto litigare con i cari colleghi di latino e greco i quali hanno sempre avuto uno spazio egemone, decisivo e determinante nella formazione culturale degli studenti italiani. Hanno sempre ritenuto che il latino non era una “lingua morta” (e non lo è affatto!) e le poche ore che fino a pochi anni fa venivano assegnate allo studio delle lingue moderne, in particolare all’inglese, era tempo perso.
Non si sono mai resi conto che fuori dalle mura della scuola il mondo stava cambiando inesorabilmente. Radio, cinema, televisione, telefono, fino all’arrivo del Commodore 64, agli inizi degli anni settanta, il primo pc alla portata di tutti, insieme alla diversa visione della cultura diventata improvvisamente un immenso “ipertesto” globale e liquido, avrebbe trasformato non solo la comunicazione linguistica, ma gli stessi contenuti culturali.
Adesso scoprono che ci sono troppi termini stranieri nella lingua italiana, troppi anglicismi, forestierismi, barbarismi, deviazioni linguistiche che danno vita a deviazioni mentali e culturali. Non si tratta di voler fare gli americani, ricordando una famosa canzone di Renato Carosone in auge negli anni cinquanta. In effetti il famoso musicista, con la sua canzone “Tu vuò fà l’americano” anticipava la storia.
Non credete a chi dice, teme e scrive che l’italiano sta prendendo il posto del latino nello status di “lingua morta”. Il latino non è mai morto, nè tanto meno quel possente antico “mostro” del greco antico. Quando andai a Corfu, un’isola della Grecia, scoprii che i greci moderni parlavano un fluente inglese.
Sia il latino che il greco antico sono lingue essenziali e decisive per lo studio delle lingue moderne e per la costruzione di una vera identità europea ed occidentale destinata a confrontarsi dall’interno della cultura greco-latina e mediterranea, non solo con quella anglo-americana, ma con altre ben diverse come la cultura araba e quelle orientali.
Quello a cui dobbiamo state attenti quando si parla di anglicismi e di invasione linguistica, per quanto riguarda specialmente noi Italiani, è il “travaso” dell’inglese nell’italiano. La voglia di fare non solo gli “americani”, alla Carosone, ma di atteggiarsi ad essere “globish”, parola che sta per “global english”, atteggiarsi e credere di conoscere davvero l’inglese.
Questi anglicismi di cui si parla e si legge qui da noi, gentile “fratello” Rampelli, sono pseudo anglicismi che raramente un vero anglofono comprende. Sono soltanto parole inglesi, usate quasi sempre in senso diverso. “Ad usum delphini” è il caso di dire, anche se il “delfino” non è morto e non è fesso!
Ma poi, lasciatemelo dire in tutta franchezza: ma voi li avete sentiti come parlano inglese Matteo (il Renzi) e Giggino? Avete avuto la possibilità di sentire come lo parla e lo usa Giorgia? Lo sappiamo bene, non ha avuto la possibilità di studiare il latino e il greco, ha frequentato soltanto un istituto professionale, ha soltanto la maturità linguistica.
Ma la nonna di mia moglie, nel secolo e nel millennio passati, era solita dire: “Chi vò filà, fila co’ spruoccolo!” (Dizionario Napoletano: “Quanno ‘a femmena vò filà, l’abbasta ‘nu spruoccolo”: Quando una donna vuol filare le basta uno sprocco (per intendere che la donna che si pone un obiettivo è pronta a tutto pur di ottenere quel che vuole).
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Published on April 03, 2023 05:04

March 31, 2023

Gogol, il primo aprile. Il giorno dei matti

Le memorie di un pazzo
Un conoscitore della follia «Riderò la mia amara risata.» (L’epitaffio sulla sua tomba) Per Fëdor Dostoevskij è lui il padre della letteratura russa, uno scrittore che con l’arma della satira ha denunciato i guasti della società. I personaggi di Gogol’ sono spesso maschere senz’anima che si consumano tra meschine ambizioni di carriera e totale incapacità di esprimersi umanamente. Figure grottesche, misere, ridicole, su cui l’autore sfoga tutto il suo disprezzo. Qualcuno li ha interpretati come «l’incarnazione di diversi stati psicologici nella loro manifestazione estrema» o «parziali riflessi del mondo inferiore del loro creatore, dei suoi dubbi e delle sue manie». Sta di fatto che con il suo famoso racconto Le memorie di un pazzo il lettore si può divertire. Gli abitanti di Pietroburgo un impietoso bestiario umano: c’è il «mercante mollusco», il bellimbusto «topo di fogna», «l’impiegato anfibio», abitante di quella «città palude» che lo circonda. II personaggio che Gogol’ inventa e indaga anche in altre sue opere (Il revisore, Il naso, Il cappotto) è l’impiegatuccio modello, prodotto della macchina burocratica, un uomo mite senza qualità che descrive in prima persona il proprio progressivo impazzimento. La società è organizzata in modo talmente folle che il protagonista riconquista alcuni tratti di umanità proprio quando perde l’uso della ragione: un vero e proprio atto d’accusa nei confronti del potere e una feroce derisione delle gerarchie che lo alimentano. Le memorie di un pazzo è stato considerato anche una sorta di «cronaca della follia». Psicologi e analisti sono arrivati a dichiarare che tutte le varie fasi della malattia sono descritte in modo così coerente e verosimile da far pensare che l’autore si fosse servito di documenti medico-clinici autentici. Gogol’, genio dall’animo irrequieto e ribelle, visse solo 43 anni. Poco prima di morire, in preda a una crisi religiosa, bruciò la seconda parte della sua opera più famosa, Le anime morte. (ALMAMATTO)
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Published on March 31, 2023 14:15

Not everybody will like this thought. Non a tutti piacerà questo pensiero

Photo@angallo
“Just as all creatures are born, grow up, become old and then must make way for others, so too nations, countries and peoples do the same. They give what they have to give, and then they die out, as if they are resting so that one day they can reawaken and offer new riches. We have seen this with all civilizations, and it is also the destiny of religions. A new religion appears in the world; it expands rapidly, extends its influence little by little, reaches a high point and then becomes fixed, ossified, and loses the great keys of life. Even the mysteries, even the temples of ancient Egypt, which had knowledge and power — what is left of them now? Where are the hierophants? Where is the knowledge? It has all been subjected to the immovable laws of life, for what is born must die and give way to something else. Only that which has no beginning has no end. Every religion, every philosophy, every science is in some way a form, and no form endures; after a while it must move aside to make way for another. But the principle, the Spirit, is eternal, and it is this that keeps incarnating in new forms. »
Omraam Mikhail Aivanhov
“Come tutte le creature nascono, crescono, invecchiano e poi devono lasciare il posto ad altre, così anche le nazioni, i paesi e i popoli fanno lo stesso. Danno quello che hanno da dare, e poi muoiono, come se fossero a riposare perché un giorno si risveglino e offrano nuove ricchezze. Lo abbiamo visto con tutte le civiltà, ed è anche il destino delle religioni. Una nuova religione appare nel mondo, si espande rapidamente, estende a poco a poco la sua influenza, raggiunge un punto alto e poi si fissa, si ossifica, e perde le grandi chiavi della vita. Anche i misteri, anche i templi dell’antico Egitto, che avevano conoscenza e potere — cosa ne rimane ora? Dove sono gli ierofanti? Dov’è il conoscenza? Tutto è stato sottoposto alle leggi inamovibili della vita, perché ciò che nasce deve morire e lasciare il posto a qualcos’altro.Solo ciò che non ha inizio non ha fine. Ogni religione, ogni filosofia, ogni scienza è in qualche modo una forma, e nessuna forma dura; dopo un po’ deve spostarsi per far posto a un altro. Ma il principio, lo Spirito, è eterno, ed è questo che continua ad incarnarsi in nuove forme. »
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Published on March 31, 2023 13:53

Sapere tutto e sapere niente. Knowing nothing and knowing everything

Photo@angallo
Sapere niente e sapere tutto sono esattamente uguali nel senso che entrambi gli stati sono ugualmente impossibili. È impossibile sapere assolutamente niente, poiché anche quello costituirebbe un tipo di conoscenza. Allo stesso modo, è impossibile sapere assolutamente tutto, poiché l’immensità dell’universo e la complessità della vita rendono questa impresa impossibile. Pertanto, sia sapere niente che sapere tutto sono ugualmente impossibili e quindi sono uguali.
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Knowing nothing and knowing everything are exactly the same.
Knowing nothing and knowing everything is exactly the same in the sense that both states are equally impossible. It is impossible to know absolutely nothing, as even that would constitute a type of knowledge. Likewise, it is impossible to know absolutely everything, as the vastness of the universe and the complexity of life make such a feat impossible. Therefore, both knowing nothing and knowing everything are equally impossible and thus are the same.
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Published on March 31, 2023 13:44

March 29, 2023

Una donna rivoluzionaria “matta” davvero …

Una donna rivoluzionaria “matta” davvero … Il Libro
Alexandra Kollontai, l’unica donna membro del comitato centrale bolscevico e primo ministro della previdenza sociale dell’URSS, è conosciuta oggi come una storica collaboratrice del movimento internazionale delle donne e come una delle prime leader bolsceviche ad opporsi alla crescita della burocrazia nel giovane stato socialista. I suoi Selected Writings trattano il movimento socialdemocratico prima della prima guerra mondiale, la storia del movimento delle donne russe e il dibattito tra donne “femministe” e “socialiste”; gli effetti della guerra sul socialismo europeo; le rivoluzioni; il ruolo svolto dalle donne negli eventi rivoluzionari; le prime manifestazioni della burocrazia e il ruolo della Kollontai come portavoce della “opposizione operaia”; e la moralità, la politica sessuale, la famiglia e la prostituzione. Include anche scritti della sua vita successiva come funzionario sovietico. Ogni sezione è introdotta da un commento in cui Alix Holt spiega i retroscena e colloca criticamente l’opera unica di Kollontai nei suoi contesti storici e biografici, dimostrando sia i suoi limiti necessari che la sua straordinaria portata.
Nasce il 31 marzo Aleksandra Michajlovna Kollontaj. Rivoluzionaria (1872–1952) paladina del libero amore, una vita da matta, ha collezionato una imponente serie di primati: prima donna eletta al Comitato esecutivo del Soviet di Pietrogrado, prima donna al mondo membro di un governo, «Commissaria del popolo» per l’assistenza sociale, prima donna a ricoprire la carica di ambasciatrice, una delle diciassette donne delegate all’Assemblea della Società delle Nazioni. Animatrice della corrente Opposizione operaia, fu espressione del dissenso interno, cui rinunciò per allinearsi, non senza dolorosi compromessi, alla disciplina di partito, riuscendo a superare indenne, pur se in uno stato di continua, ansiosa incertezza per la sua sorte, il periodo delle purghe staliniane, mentre vedeva intorno a lei scomparire a uno a uno i suoi compagni di battaglie e i suoi ex amanti. La sua non fu però solo la carriera di una rivoluzionaria, Aleksandra fu antesignana del femminismo in versione bolscevica e soprattutto sostenitrice del libero amore. Tra le organizzatrici del 1° Congresso delle lavoratrici russe, si impegnò perché le donne ottenessero il diritto di votare e di essere elette, pari salario rispetto agli uomini, diritto al divorzio e all’aborto (poi abolito da Stalin). Pur contraria al matrimonio, si sposò due volte. La prima, per sottrarsi alla tutela dei genitori, con un cugino dal quale divorziò presto. Visse poi una lunga, appassionata relazione con Aleksandr Sljapnikov, un «compagno» operaio metalmeccanico di tredici anni più giovane (messo a morte da Stalin). In seguito ebbe un altro grande amore che alla fine sposò, Pavel Dybenko, marinaio rivoluzionario divenuto ammiraglio (anche lui messo a morte da Stalin): questa volta la differenza di età era di diciassette anni. La vita sessuale «scostumata» liberamente esibita le valse spesso le maldicenze velenose e le allusioni sarcastiche dei «compagni», ma la Kollontaj non si lasciò intimidire. Convinta che il matrimonio fosse un’ulteriore forma di sfruttamento della donna, riteneva la libertà sessuale premessa alla realizzazione di una libera società socialista, e continuò a rivendicare per le donne pari diritti politici, sociali, economici, ma anche sessuali, rispetto agli uomini. Ha osato infrangere un tabù e rivendicare libertà sessuale per le donne. (ALMAMATTO)[image error]
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Published on March 29, 2023 08:36

MEDIUM

Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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