Emanuela Navone's Blog, page 6
September 3, 2022
ESTRATTO: “L’Italia capovolta” di Stefano Venditti

Come estratto per te, oggi ho selezionato l’ultimo libro di Stefano Venditti: L’Italia capovolta. Accompagnato dalle foto suggestive di Gino Calabrese e dalla prefazione di Loris Arbati, il nuovo romanzo di Stefano è il viaggio di una famiglia da sud a nord, la fuga da un piccolo paese ormai disabitato alla ricerca di una vita migliore in città.
Un romanzo che ci ricorda di non dimenticare mai le nostre radici, e soprattutto che ci parla di un problema che ormai da anni attanaglia il nostro Paese: l’abbandono dei piccoli paesi rurali, e la conseguente perdita di folclore, dialetti, tradizioni.
Dovrebbe essere una giornata come tante, per la famiglia Gnaroma, ma non è così: dopo aver chiuso a chiave la porta della loro casa di Semoli, un paesino del sud Italia, la famiglia parte alla volta del nord. Per trovare lavoro, per cambiare vita, per dare ai figli un futuro migliore. Nonostante si integrino subito nella nuova comunità del nord Italia, gli Gnaroma hanno lasciato il cuore nel loro paese al sud, perciò decidono di ritornare, questa volta per una vacanza, così da rivedere i luoghi che li hanno visti crescere. È uno shock passeggiare per le vie di Semoli: case in vendita, serrande abbassate, silenzio denso come piombo… Finché, dall’uscio di un’abitazione, il capofamiglia degli Gnaroma vede uscire un volto noto…
Accompagnato dalle suggestive foto di Gino Calabrese, L’Italia capovolta non è soltanto la storia di una famiglia che come tante dal sud è emigrata al nord, ma anche e soprattutto la storia di piccoli paesi sparsi per tutto lo Stivale che, a causa di svariati fattori, tra cui la crisi economica, si stanno lentamente spopolando. Questo non provoca solo il deflusso di tante persone verso le città e i centri principali del Paese, ma anche la perdita di interi patrimoni culturali e folcloristici che, come i paesi che li hanno ospitati, stanno piano piano morendo.
Una storia, un romanzo, un grido di dolore e di speranza, affinché ciascuno di noi possa mantenere salde le radici che lo ancorano al proprio posto natio.
Sembrava una giornata qualunque. Una tranquilla giornata di inizio estate. All’apparenza era così, ma non per tutti nel piccolo comune di Semoli. Il sole era alto nel cielo e tutto faceva ben sperare in un giorno caldo e piacevole. La vita in paese pian piano prendeva forma col il trascorrere delle prime luci del mattino, ma in una casa del centro storico la famiglia Gnaroma era già sveglia da tempo.
In quella bella casa antica risalente alla fine del 1800, gli animi erano agitati per una partenza che avrebbe portato la famiglia Gnaroma verso una nuova destinazione, verso una nuova vita, verso un nuovo avvenire. In effetti, tra i vicoli del comune di Semoli, a quell’ora c’era un rumore diverso da quelli che di solito riecheggiavano nelle viuzze del centro storico. Un tintinnio di chiavi che chiudevano la porta di una casa gialla. Chiavi che sigillavano in pochi istanti una vita vissuta nella propria terra d’origine per spalancarne una nuova ricca di prospettive, di desideri, di ansie.
Quella porta che si chiudeva, apriva contemporaneamente un nuovo capitolo per la famiglia Gnaroma che, suo malgrado, aveva deciso di abbandonare la propria terra natia per trovare una nuova prospettiva di vita e di lavoro altrove. Lontano da quella che fino a ieri era la loro casa. Lontano da quella terra dove avevano le proprie radici. Lontano dagli affetti più cari e dalle proprie famiglie.
Un malinconico destino che accomunava la famiglia Gnaroma a tanti nuclei familiari che, prima di loro, nel secolo scorso, erano stati costretti a lasciare i propri luoghi natii per il medesimo problema che ancora oggi ha costretto la famiglia Gnaroma ad abbandonare la loro casa: la mancanza di lavoro e di prospettive che ancora oggi in molte parti d’Italia obbliga interi nuclei familiari a dirigersi o nei grandi centri nel nord Italia o addirittura all’estero. Un flusso emigratorio che non si è mai fermato dal secolo scorso.
Un flusso emigratorio che è cambiato negli anni. Non si parte più con la classica valigia di cartone e con tante speranze di una vita nuova, ma con un bagaglio culturale e professionale molto alto. Un bagaglio che va ad arricchire alcune zone d’Italia e a impoverirne altre. Un ciclo che non si è mai fermato, che ha cambiato forma e modalità ma che continua a sottolineare in maniera evidente quanto sia ancora profonda la linea di confine, in alcune zone d’Italia, tra la disperazione e la fame. Tra il provare “a campare” e una vita degna di essere vissuta.
Così la famiglia Gnaroma, con un nodo alla gola e con tanta rabbia in corpo, si avviava verso il centro del paese per salire a bordo della propria autovettura e iniziare un viaggio che avrebbe sicuramente aperto un nuovo orizzonte più luminoso per ogni singolo membro del nucleo familiare.
Ancora un mazzo di chiavi, quello della macchina, era la chiave di volta per aprire il nuovo capitolo della famiglia Gnaroma. L’accensione del motore aveva lo stesso valore del semaforo verde per dare il via al lungo percorso che avrebbe portato la famiglia verso una nuova meta, verso una nuova vita.
A mano a mano che il comune di Semoli diventava sempre più piccolo negli specchietti retrovisori della macchina della famiglia Gnaroma, innumerevoli erano i pensieri e le considerazioni che si affollavano nelle menti dei genitori che, insieme ai propri figli, stavano lasciando alle loro spalle quello che fino a ieri era il loro mondo, il loro universo. Oltre alla tristezza e a qualche lacrima che solcava le guance, soprattutto dopo aver salutato i propri cari, il sentimento che prevaleva era la rabbia.
Rabbia per essere stati costretti a dover abbandonare la propria casa, la propria terra. Rabbia perché, malgrado i numerosi tentativi di rimanere aggrappati alle proprie radici, anche loro avevano dovuto alzare bandiera bianca.
La casa lasciata alle loro spalle, acquistata e ristrutturata con tanti sacrifici, che era il punto di riferimento per la famiglia soprattutto nelle occasioni più importanti come feste o riunioni, ora era vuota. Il camino che rendeva speciali e particolarmente gioiose le principali festività dell’anno, ora era spento e freddo. L’atmosfera di gioia e di serenità che si avvertiva ogni volta che si apriva la porta di casa, ora aveva lasciato il passo a un silenzio più forte di mille parole.
Quella casa gialla nel cuore del centro storico doveva essere soprattutto, negli intenti del capo famiglia, un punto di riferimento. Una sorta di stella polare che dovesse guidare il cammino di ogni singolo elemento della famiglia Gnaroma per ritrovarsi tutti insieme attorno al focolare domestico, attorno al camino scoppiettante. Doveva essere un luogo speciale, un’oasi di tranquillità, una sorta di zona franca dove a farla da padrone doveva no essere la felicità e la gioia del ritrovarsi tutti sotto lo stesso tetto.
Ora, invece, quella casa gialla nel centro storico era un monumento alla tristezza, alla rabbia che ognuno prova quando è costretto a dover troncare con la sua terra d’origine.
Con il trascorrere dei minuti e delle ore, la famiglia Gnaroma si allontanava sempre più dalle proprie radici e si avvicinava a quella che sarebbe diventata la loro nuova casa in cui costruire tutti insieme nuovi ricordi, nuove aspettative. In quel lasso di tempo che doveva
pur trascorrere per raggiungere in macchina la “nuova vita”, molti erano gli spunti di riflessione dei genitori mentre i loro figli erano immersi in un sonno profondo dovuto principalmente al lungo e stressante viaggio in macchina.

Stefano Venditti nasce a Campobasso il 01/11/1973.
La passione per la scrittura e per il giornalismo matura già in tenera età quando alle scuole medie, al Convitto Nazionale “Mario Pagano”, diventa direttore del giornalino scolastico “Mare Nostrum”.
Crescendo il suo desiderio di scrivere e di raccontare storie inedite aumenta e decide di improntare il suo percorso professionale proprio al mondo del giornalismo e della comunicazione frequentando anche corsi e master specialistici a Roma e Milano sia nel campo dell’informazione religiosa, sia sportiva, anche televisiva, sia di web journalism.
Dal 1997 svolge la professione di giornalista e di addetto stampa e nel 2000 si iscrive all’Ordine dei Giornalisti del Molise nella sezione pubblicisti. Proprio per aumentare il proprio bagaglio culturale compie esperienza in tutti i campi della comunicazione e del giornalismo: quotidiani, settimanali, mensili, radio, TV, internet, web tv e dirige varie testate e uffici stampa.
Il periodo più formante a livello professionale lo svolge all’interno della redazione del quotidiano “Il Tempo” di Campobasso e nell’ufficio stampa del Cip Molise. Ma la sua vera passione è lo scrivere soprattutto di notizie che spesso non trovano il meritato risalto sugli organi di stampa.
La sua aspirazione lo porta anche a tenere lezioni di giornalismo nelle scuole di ogni ordine e grado della provincia di Campobasso e alla creazione di diversi giornali scolastici con il progetto “Newsparer game”, ma anche all’interno di programmi formativi di alcune associazioni di volontariato campobassane.
È stato anche relatore di alcuni seminari sullo sport paraolimpico della formazione continua promossi e organizzati dall’ODG del Molise.
Da giugno del 2018, con la moglie Maria e il figlio Marco, si è trasferito in Emilia Romagna per trovare nuovi stimoli e per allargare il proprio orizzonte professionale.
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August 30, 2022
Giri di parole e altre arrampicate sugli specchi

Una delle prime cose che insegnano nei corsi di scrittura creativa e in quelli di editing è: se puoi scriverlo con meno parole, fallo.
Ossia: evita circonlocuzioni aerobiche: ne va della scrittura.
In effetti, se ci sono solo due parole per dirlo, perché usarne quattro?
[image error]Sunset over the southern part of the Atlantic Ocean by NASA Johnson is licensed under CC-BY-NC-ND 2.0","created_timestamp":"0","copyright":"","focal_length":"0","iso":"0","shutter_speed":"0","title":"Sunset over the southern part of the Atlantic Ocean","orientation":"0"}" data-image-title="31730865656_3a09b8fd77_b" data-image-description="" data-image-caption="Sunset over the southern part of the Atlantic Ocean by NASA Johnson is licensed under CC-BY-NC-ND 2.0
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È un tipo di scrittura molto utile in certi casi (storie dal ritmo veloce, ad esempio, oppure manuali che devono essere fruibili per tutti e non solo per i “tecnici”), in altri invece si predilige uno stile, diciamo, magari più sostenuto. Anche in questo caso, però, la parola d’ordine rimane sempre (nei limiti): semplicità.
Ma quando una scrittura non è semplice?Innanzitutto quando, leggendo, soprattutto ad alta voce, ci sembra che manchi il respiro. Sicuramente siamo di fronte a un periodo lungo, con più subordinate o coordinate, e magari con un utilizzo sovrabbondante di connettivi.
La falce di luna che scendeva a picco sul lago, il quale lambiva le coste di Vallechiara, che era un piccolo borgo emiliano e meta turistica in un certo periodo dell’anno, andava a specchiarsi anche in una pozza un poco più in là, che però faticava a essere rischiarata del tutto.
Un periodo come questo, in un foglio A4 di Word con corpo Calibri 12 punti, prende quasi tre righe. Non troppe, ma nemmeno poche, soprattutto perché ci si “perde per strada” a causa dei numerosi incisi, che fanno perdere di vista il soggetto, ossia la falce di luna. Sarebbe opportuno depurarlo di ogni elemento pesante che, se utile ai fini della narrazione, andrà spostato altrove. In questo caso occorre sempre tenere presente che cosa si vuole dire in questo periodo specifico, e attirare l’attenzione del lettore su quello e soltanto quello. Ad esempio, se vogliamo attirare l’attenzione sull’immagine della luna, possiamo togliere qualsiasi riferimento a Vallechiara.
La falce di luna che scendeva a picco sul lago di Vallechiara andava a specchiarsi anche in una pozza un poco più in là, che però faticava a essere rischiarata del tutto.
Periodi pesanti possono essere dei tipi più svariati, spesso però il fil rouge è l’eccessivo impiego di avverbi, connettori (come nel caso di sopra) o gerundi (e ricordiamo che, se mal impiegato, il gerundio può provocare confusione).
Avendo letto per filo e per segno quanto recato sulla missiva, ed essendo ormai conscio di dover andare fino in fondo alla situazione, dopo che Pierpaolo ebbe consumato una veloce cena, e dopo essersi fatto una doccia ancor più veloce, uscì di casa.
Stessa lunghezza del periodo precedente, e anche in questo caso c’è qualche difficoltà a recepire il messaggio. A causa, ancora una volta, di una sovrabbondanza di informazioni (non infodump, almeno qui) che possiamo spostare altrove o riformulare.
Innanzitutto il gerundio: è davvero fondamentale? Una frase che inizia così sa sempre di “burocratese” e, a meno che non si tratti di un regolamento o altro, è meglio evitare.
Pierpaolo aveva letto per filo e per segno quanto recato sulla missiva ed era ormai conscio di dover andare fino in fondo alla situazione.
La frase è molto più snella e attira l’attenzione su due punti importanti: il contenuto della missiva e il fatto che occorre fare qualcosa.
Successivamente, l’uso ripetuto dell’avverbio ancora una volta appesantisce. Possiamo eliminarne uno, oppure entrambi. La leggibilità ne gioverà in tutti i casi.
Dopo aver consumato una veloce cena ed essersi fatto una doccia ancor più veloce, [Pierpaolo] uscì di casa.
[Pierpaolo] consumò una veloce cena, si fece una doccia ancor più veloce e uscì di casa.
Giri di parole più insidiosiFrasi lunghe “mozza-respiro” sono soltanto un esempio di leggibilità difficile, e sono l’esempio che balza agli occhi subito.
Ci sono anche altre circonlocuzioni che sarebbe bene evitare, più piccole e magari meno evidenti, ma che uno sguardo esperto scova subito.
Innanzitutto, le incertezze.
A volte la scrittura è incerta, ma questo non è un problema perché magari è il contesto a esserlo (ad esempio un personaggio che crede di poter far qualcosa ma non è sicuro), altre volte è incerta perché per primo è lo scrittore a esserlo.
Sono sicuro che poteva essere vero che Simona aveva tradito Loris con il cugino.
Perché “poteva essere”? Se è sicuro, via l’incertezza.
Sono sicuro che Simona aveva tradito Loris con il cugino.
O ancora.
Credeva di poter affermare con certezza di non aver bevuto quella sera.
Lunga, pesante, arrampicata sugli specchi.
Quella sera non aveva bevuto.
Abbiamo poi alcune locuzioni che possono essere tranquillamente sostituite da avverbi senza che la frase perda significato.
Nel caso in cui Matteo abbia mangiato, possiamo uscire subito.
Inserendo un più agevole “se”, guadagniamo in scorrevolezza.
Se Matteo ha mangiato, possiamo uscire subito.
Idem con “nel mentre in cui”.
Nel mentre in cui pioveva, mi ritrovai a camminare senza ombrello.
Mentre pioveva, mi ritrovai a camminare senza ombrello.
Altri esempi di arrampicate sugli specchi:
Giuliano ebbe modo di essere informato dal superiore che quel giorno non avrebbe lavorato > Giuliano venne informato dal superiore che quel giorno non avrebbe lavorato > confusione! Chi non lavora, Giuliano o il superiore? > Il superiore informò Giuliano che quel giorno non avrebbe lavorato.Giunsi/arrivai a capire di aver commesso uno sbaglio > capii di aver commesso uno sbaglio.Ebbero modo di constatare che nulla di quanto avevano richiesto era stato fatto > Constatarono che nulla di quanto avevano richiesto era stato fatto.
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August 28, 2022
ESTRATTO: L’ultimo sorriso di Alfonso Pistilli

Oggi per voi ho preparato un estratto del primissimo libro pubblicato da Policromia (PubMe Edizioni): L’ultimo sorriso di Alfonso Pistilli.
È stato pubblicato nell’estate del 2018 e quest’anno compie quattro anni!
Se non lo avete ancora fatto, vi consiglio vivamente di correre a comprarlo 
Tutti noi cerchiamo un sorriso in ogni angolo della vita, e talvolta lo troviamo laddove è impossibile. Alessandro Cocco, giovane venditore di vacanze a porta a porta, l’ha trovato in Halina, escort lituana trasferitasi a Bari, con la quale ha una profonda amicizia. Quando, al telegiornale, Alessandro apprende della sua morte, non vuole crederci, soprattutto dopo essere venuto a sapere che per la Scientifica si è trattato di suicidio. Conosceva davvero così poco la sua amica? O c’è dell’altro? Alessandro sa che un’intuizione può fare la differenza, per questo dà retta al suo sesto senso e inizia a indagare sulla vita di Halina, scoprendo, pezzo dopo pezzo, i tasselli di un intricato puzzle di cui l’amica è solo un dettaglio. Che cosa nasconde Mamadi Billè, calciatore del Bari e fidanzato di Halina? E Pietro Manetti, proprietario della squadra, che sembra aver avuto anch’egli una relazione con la escort? E chi è Suela, un’amica di Halina che vuole a tutti i costi aiutare Alessandro, aggiungendo ogni giorno una pagina al mistero? Tra partite di calcio, bevute con gli amici, uscite con la fidanzata e un antipatico ritornello che canta nella sua testa, Alessandro dissotterrerà a poco a poco una fitta rete di inganni e sotterfugi, ma imparerà altresì ad avere più fiducia in se stesso e a giocare un ruolo attivo al tavolo della sua vita. Chi regalerà l’ultimo sorriso alla sua amica Halina?
«In effetti, una vacanza in un paese esotico non sarebbe niente male, dovrei solo decidere chi portare con me, visto che la sua offerta termina domenica e io non so nemmeno se mio marito lo vedrò fino a domenica!»
Mi sono perso in quella bellezza così invadente al punto che il sorriso costruito e di circostanza, disegnato dalle sue labbra all’insù e dagli occhi neri e rotondi come due palle da biliardo numero otto, mi sembra al contrario quello di chi è interessato a ciò che le sto proponendo: una vacanza in un resort di lusso in Jamaica al miglior prezzo di sempre – almeno così ci è stato detto nell’ultimo meeting di presentazione dei nuovi prodotti aziendali.
Un attimo dopo aver udito quelle parole, l’immagine che ho di lei, una donna che ondeggia dandomi le spalle sui suoi fieri tacchi vertiginosi, mi conferma che anche questa vendita si è conclusa nel peggiore dei modi.
Do uno sguardo fugace alla villa che si apre innanzi a me: la folta vegetazione di platani orientali e piante grasse traccia un percorso tortuoso che si perde alla vista. L’erba appena irrigata inebria le narici e inumidisce l’aria torrida di un inizio settembre che raccoglie il testimone dal mese appena concluso per proseguire una delle estati più torride degli ultimi vent’anni.
Ah, sì…
Mi chiamo Alessandro Cocco e di professione faccio il venditore…
Alfonso Pistilli è nato a Bari quarantun anni fa e vive a Canosa. Lavora come impiegato in un’importante azienda della Distribuzione Organizzata. Dopo il liceo, ha conseguito la laurea in Economia all’Università degli studi di Bari.Negli anni universitari si sviluppa l’amore per Bari, una città che lo ha adottato e che ha imparato ad amare e apprezzare come solo i baresi sanno fare della propria città. Appassionato di viaggi, libri e sport. A perfezionare la passione per la letteratura sono stati i corsi di scrittura seguiti con Ruggero Ruggiero, Tommy Di Bari.
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August 23, 2022
Perché bisogna rileggersi (prima di ogni altra cosa)

Sembrerà banale, tuttavia rileggersi non è così scontato come sembra.
Non soltanto capita spesso, ma purtroppo a volte si rischia anche di commettere dei seri errori.
Che ancora più spesso si trasformano in veri e propri danni.
[image error]Antarctic mountains by NASA Goddard Photo and Video is licensed under CC-BY 2.0","created_timestamp":"0","copyright":"","focal_length":"0","iso":"0","shutter_speed":"0","title":"Antarctic mountains","orientation":"0"}" data-image-title="8145725224_769279904f_b" data-image-description="" data-image-caption="Antarctic mountains by NASA Goddard Photo and Video is licensed under CC-BY 2.0
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Non c’è ma che tenga: ci abbiamo impiegato tanto, magari mesi (o anni!), ora basta. È tempo di lasciare che la nostra creatura spicchi il volo.
Che male c’è?
Tanto. Ma tanto male.
Perché prima di fare qualsiasi altra cosa, qualsiasi dico, occorre rileggere. Non la veloce rilettura che facciamo dopo, magari sommaria perché tanto c’è l’editor/l’agente/l’editore ecc., ma una rilettura approfondita di quanto abbiamo scritto.
Se non sei uso a rileggere, magari ti chiederai il perché. Magari dirai che sei stato attento a scrivere, hai usato lo strumento di correzione ortografica di Word e co., hai riletto di volta in volta mentre scrivevi e via dicendo.
Tutto molto bello, ma non basta.
Senza una rilettura fatta come si deve (approfondita), rischi seri pericoli.
Vediamo quali.
Ah, i refusi…Allora, io detesto i refusi, sebbene sia la prima a lasciarne un po’ per strada, e sebbene siano un male ormai congenito (trovi refusi dappertutto, dal piccolo libro autoprodotto per tre persone al bestseller dell’anno), si cerca quanto meno di evitarli, di scovarli e di eliminarli.
Alcuni sono semplici da trovare, anche perché se sono errori di digitazione (e quando scriviamo velocemente, e magari distratti da altro, come social e notifiche varie) spesso il correttore di Word e co. ci viene in aiuto (praole invece che parole verrà segnato subito in rosso).
Altri sono infidi. Spazi doppi, lettere mancanti, lettere in più, parole troncate… Spesso sono parole già presenti nel dizionario, quindi Word e co. non li considerano errore. Oppure parole invertite in una frase, che Word e co. raramente ritengono sbagliate. E passano inosservate…
Alcuni esempi: atri invece che altri, insegnate invece che insegnante, risposte invece che riposte, posso anziché possono, prende anziché prendere, schierandosi anziché schiarendosi… E ancora: molto è meglio così, per fare anche un esempio di parole invertite.
Ho calcolato che insegnate al posto di insegnante viene scritto su due testi su tre di quelli che mi arrivano. Una volta l’ho scritto anche io
Sono errori che comunque con una robusta e attenta rilettura vanno via velocemente (e l’editor si accorge già da queste… piccolezze, diciamo, che non è stata fatta una rilettura).
Altri sono più tosti, e oltre a denotare una pressoché totale assenza di rilettura, sono indice anche di una disattenzione di livello cinquanta (su cento).
Mi sono distratto!Facendo una classifica degli errori più frequenti di una rilettura assente (e di una scrittura spesso disattenta), se la medaglia di bronzo va ai refusi, quella d’argento va alle distrazioni.
Sto parlando di quando scriviamo e abbiamo la mente impegnata anche in altro, magari sollecitata da altri impulsi (i social…), e quindi una frase, ad esempio, inizia in un modo e finisce in un altro… perché l’abbiamo iniziata, ci siamo fermati, abbiamo cazzeggiato e poi l’abbiamo ripresa (senza rileggerla, ovviamente).
Non appena proferite quelle parole, avevano già ferito la povera Olivia.
È evidente che nella frase qui sopra c’è stato un incidente di percorso. La struttura è chiaramente errata: il soggetto della subordinata è implicito, pensiamo sia una persona (visto che proferisce delle parole), mentre il soggetto della principale è “le parole” (dal plurale).
La frase può essere corretta o spostando la virgola (non appena proferite, quelle parole…), anche se l’inciso a mio avviso è pesante e comunque “stacca” troppo, oppure riscrivendola: non appena Mario ebbe proferito quelle parole, la povera Olivia si sentì ferita; o: le parole che Mario aveva proferito ferirono la povera Olivia.
Ci sono altri esempi simili che vedono soggetti diversi, confusioni o veri e propri errori di morfosintassi (per Raffaello ed Ezechiele, e anche per Olivia, Ortensia e gli altri gatti, sui loro visi si leggeva la preoccupazione). Da inguaribile positiva (in questi casi), spero sempre che siano errori di distrazione, velocità nel voler finire di scrivere e via dicendo, e non una totale ignoranza di come funziona la lingua italiana.
Chi è che è?Sul podio, a meritarsi la medaglia d’oro, abbiamo l’errore meno frequente (per fortuna!), ma il più difficile da scovare (e da correggere).
I già conosciuti buchi di sceneggiatura.
Nomi (propri, di città, di Stati…) che cambiano (Olivia si chiama Europa fino a pagina 34), che sono invertiti (Raffaello parla con Joker che però è da tutt’altra parte), che sono addirittura doppi (a pagina 50 c’è un’Olivia che ritorna anche a pagina 345, e non si capisce se è la stessa di pagina 50 o un’altra)… Colori, accessori, oggetti tra i più disparati che prima sono una pesca e poi una mela, armi che da colt diventano bazooka, personaggi che muoiono ma per qualche rito vudù tornano in vita, personaggi che finiscono le superiori a pagina 454 ma a pagina 564 devono ancora diplomarsi…
Potrei andare avanti all’infinito perché di plot holes così (e anche più gravi) ce ne sono tantissimi, ma penso tu abbia capito l’antifona. E spesso, ahimè, non sono così evidenti come gli esempi che ti ho fatto, e il povero editor/agente/editore/redattore/ecc. ne ha da lavorare…
Anche in questo caso i buchi di sceneggiatura evidenziano assenza di riletture, riletture sommarie oppure fatte dall’amico/a del cuore (o da Olivia, visto che viene citata spesso!).
E anche in questo caso un mese in più passato sopra il proprio testo può servire a molto.
Insomma, penso tu abbia capito che rileggersi è fondamentale. Può essere noioso, soprattutto se stiamo per mesi (o anni, ripeto!) su un testo, ma, come dice il proverbio… se si fa trenta si fa anche trentuno
Ps. Siccome Europa ha voluto dire la sua, mantengo qui sotto le sue parole
xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxPps. Non ho riletto il testo, giusto per rimanere in tema. Sai scovare i refusi?
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August 16, 2022
ESTRATTO: “Anime perfette” di Wilma Coero Borga

Per voi oggi ho riservato un estratto del romanzo di Wilma Coero Borga: Anime perfette (PubMe, Collana Policromia). Una delicata storia d’amore e spirituale che ci parla di destino, di speranza e di anime destinate a incontrarsi, sempre.
Quando credi di essere arrivato al capolinea e che nulla possa mutare ciò che appare inevitabile, il destino si trasforma in fato e tende la mano.
Il destino non si può modificare e il fato è imprevedibile. Invece, è consentito scegliere di agire per il bene o per il male, avvalendosi del libero arbitrio, che nel primo caso farà guadagnare tempo e nel secondo lo farà perdere, avvicinandoci o scostandoci dalla meta che ci attende.
Questo romanzo è la danza di tre anime che si incontrano e si allontanano, attratte dalla stessa melodia, l’amore, e dove il tempo, le coincidenze e le energie giocano un ruolo fondamentale.
Christian ha vissuto fino a cinquant’anni senza conoscere il vero amore. Un matrimonio sbagliato, a cui segue un egoismo misogino, lo conduce a una vita priva di vero sentimento.
Una donna, inaspettata, entra nella sua anima e non ne uscirà più.
Scopre di avere acquisito un dono: i sogni creano un contatto palpabile tra loro e gli mostrano ciò che accadrà molti anni dopo, svelando un fato che lo sorprenderà cambiando le carte in tavola e ribaltando le sue certezze.
Prestando attenzione alle coincidenze e ai messaggi dei consiglieri invisibili, si delineerà il cammino verso la sua vera meta.
Sofia, madre e moglie felice, è condotta dai piani del destino al cospetto di un fato che, anche quando sembra negativo, riserva un risvolto benevolo.
Giorgio, marito esemplare, confermerà la presenza dell’amore universale.
L’eredità del loro insegnamento di vita sarà utile per capire la magia dell’esistenza e verrà colta per costruire il futuro nell’amore che, anche quando indugia, vale sempre la pena aspettare.
Squillò il cellulare. Dall’altra parte rispose una signora che cercava un certo Christian. Le feci gentilmente notare che aveva sbagliato numero. Si scusò e mi salutò. Mi aveva distolta da un momento contemplativo. Sollevai le spalle e guardai negli occhi mio marito. Lui sorrideva, era sempre stato un tipo allegro. Ci trovavamo spesso qui, negli ultimi tre anni. In questo luogo tranquillo potevamo dialogare, riflettere, guardarci e comunicare senza emettere suoni. Quando gli rivolgevo alcune domande, le risposte erano da interpretare, ma non serviva parlare, ci eravamo sempre capiti con lo sguardo.
Stavamo aspettando i nostri figli. Camilla si era laureata e da anni viveva in Svizzera, dove lavorava come architetto. Là aveva conosciuto un ragazzo italiano, Samuele, che era suo marito da qualche anno. Dalla loro unione era nata una splendida bambina, Ottavia, un incanto che ci ha resi orgogliosi.
Eugenio era un genio di nome e di fatto. Dopo la laurea in Ingegneria meccanica aveva seguito un master in Spagna dove era rimasto a vivere. Lavorava a importanti progetti che ci hanno resi fieri di lui. Aveva conosciuto Maribel, ingegnere anche lei, e da qualche anno convivevano. La loro vita era allietata da tre anni e mezzo da un meraviglioso raggio di sole, Beatriz, per tutti Bea. Il mondo è femmina!
Giorgio e io ci incontravamo qui da quando mi aveva fatto credere che dormisse ancora, quella mattina in cui, mentre era a letto girato di spalle, lo avevo svegliato con un bacio, come facevo sempre per stuzzicarlo e invitarlo ad alzarsi insieme a me. La sua pelle ancora tiepida e il corpo immobile, come bloccato in un momento preciso, mi avevano fatto trasalire. Avrei voluto sparire, non esistere più ma, dopo quasi due anni di sofferenza pura, avevo capito che il mio tempo era ancora in marcia e dovevo andare incontro al mio destino.
Quanto amava Ottavia e Beatriz; gli occhi gli brillavano quando le vedeva o ne parlava. Erano ancora molto piccole e per questo viaggiavamo molto. Avrebbe voluto essere sempre con loro, un weekend a Barcellona e l’altro a Losanna.
Grazie alle mie bambine ero sopravvissuta. Mi ero anche ricordata che l’universo mi avrebbe potuto aiutare. Avevo ripreso a praticare l’auto trattamento Reiki e lentamente mi ero rasserenata, entrando di nuovo in contatto con la mia anima e con il resto del creato. Che stupida a non averci pensato prima, ma i miei pensieri erano stati a lungo offuscati dal dispiacere che era diventato un paraocchi e un alibi per crogiolarmi nella tristezza e nel dolore.
Giorgio era sempre con me, lo sentivo vicino, percepivo la sua presenza che mi proteggeva da me stessa e dagli altri. Era il mio consigliere, il mio amico, il mio compagno, il mio tutto. Gli altri mi passavano accanto ma non mi sfioravano, ero intoccabile, inavvicinabile, avviluppata nel bozzolo confortevole che avevo creato per continuare a vivere con lui. In più occasioni, negli ultimi mesi i miei figli mi avevano fatto capire in vari modi che avrei dovuto aprire il cuore anche al resto del mondo. Non ero vecchia e avevo diritto di vivere al meglio la mia esistenza. Sapevo a che cosa si riferissero, ma non mi importava. Frequentavo le amiche di tanto in tanto, vedevo i parenti ancora più di rado e facevo qualche viaggetto, oltre a quelli per raggiungere le mie nipotine. Inoltre, avevo la mia passione con cui mi dilettavo dimenticandomi del mondo: i miei progetti e le mie opere di design che ero riuscita a commercializzare grazie alle conoscenze di Giorgio. Una ditta di illuminazione, a cui avevo proposto le mie realizzazioni, aveva deciso di avviarne la produzione e la vendita all’ingrosso. Così, in pochi anni i nostri amici e conoscenti e alcuni parenti avevano almeno una lampada o un’applique Sofia all’interno della loro casa.
I miei figli e io avevamo deciso di trascorrere le vacanze estive insieme e, in memoria dei vecchi tempi, prenotammo una villetta in riva al mare sul litorale toscano. Forse, il loro intento era quello di farmi dire arrivederci alla mia metà, dandomi l’opportunità di salutare il passato e uscire dal guscio in cui vivevo. Ci eravamo dati appuntamento nel luogo in cui, ormai da tre anni, giaceva il loro padre, per salutarlo e parlare del nostro progetto davanti a lui. La Toscana ci era piaciuta sin da giovani e ci andavamo quasi ogni estate, quando i nostri figli erano ancora bambini.
Avrebbero passato la notte da me e l’indomani saremmo partiti con le loro auto verso San Vincenzo, tipica località turistica, ideale per le famiglie con bimbi.
Salutammo Giorgio e ci dirigemmo a casa mia, dove li lasciai affinché Bea e Ottavia facessero merenda, mentre io risalii in auto e proseguii per gli ultimi acquisti prima della partenza.
Mi trovavo imbottigliata nel traffico, quando squillò il cellulare. Era di nuovo la signora che cercava quel tale Christian. Risposi, sempre con cortesia, che aveva sbagliato numero, probabilmente invertendo qualche cifra. Dispiaciuta, si scusò ancora una volta e riagganciò. Mentre ero ferma e un po’ innervosita dal tempo che ci stavo mettendo per percorrere pochi chilometri a causa dell’ingorgo che si era creato all’ora di punta di quel pomeriggio inoltrato, l’occhio mi cadde su un manifesto pubblicitario sul lato destro della strada. Una pasta dentifricia prometteva risultati miracolosi, veniva pubblicizzata come antitartaro e sbiancante. A dimostrazione di ciò, accanto al prodotto c’era l’immagine di un sorriso smagliante e perfetto a trentadue denti. In quel momento il cassetto della memoria si aprì e mi ricordai di Christian, il dentista. Ebbi un’illuminazione. Telefonai alla signora recuperando il suo numero, memorizzato nel registro chiamate del cellulare, sperando che il traffico non si muovesse proprio in quel momento.
«Pronto, signora. Sono la persona a cui oggi ha telefonato due volte sbagliando numero» dissi velocemente.
«Sì, mi dica» rispose lei sorpresa.
«Il Christian che sta cercando è per caso un dentista?» chiesi senza girarci intorno.
«Sì» rispose ancora più stupita «si tratta di mio nipote; devo aver trascritto male il numero che mi ha dettato al telefono mia sorella. Ho bisogno di rintracciarlo perché mio marito ha un problema ai denti» aggiunse preoccupata.
«Allora aspetti. Forse posso aiutarla. Controllo la rubrica del mio cellulare. Spero di aver salvato il suo numero nella memoria della sim e di averlo ancora, così glielo posso dettare. Sono passati tanti anni e ho sostituito varie volte il telefono, ma la sim card è la stessa. Spero che lui non abbia cambiato numero, nel frattempo. Resti in linea, per favore!» Feci scorrere i nomi in rubrica sotto la C di Christian e la D di dentista e, con mia grande sorpresa, lo trovai. Ero felice per lei. «Signora, l’ho trovato! Scriva bene, glielo detto.» La signora, contenta, prese nota e me lo rilesse. In effetti alcune cifre non erano al posto giusto e invertendone un paio era arrivata al mio numero. Che strano, pensai. «Grazie, grazie davvero tanto, è stata gentilissima.»
Feci appena in tempo a rispondere «Prego, buona serata» che dovetti chiudere la telefonata perché la coda aveva cominciato a muoversi. Ero troppo contenta di averla aiutata, ma la fretta non mi fece soffermare sull’accaduto.
A casa mi aspettavano i miei due gioiellini e la famiglia riunita. Preparammo la cena insieme. Andammo a dormire presto, perché il giorno dopo ci attendevano circa quattro ore di macchina. Le valigie erano pronte, il latte e il cibo per le bambine pure, quindi non restava che rilassarsi e sprofondare nelle braccia di Morfeo.
L’autrice
Torinese di nascita, amante dei libri da sempre, all’età di venticinque anni, dopo essersi laureata in Scienze e Arti della Stampa, si trasferisce in Lombardia, in un paese in provincia di Pavia, dove crea la sua famiglia e in cui inizia l’attività professionale di grafica editoriale lavorando presso case editrici e tipografie, nelle quali si occupa di impaginazione libraria e di altri prodotti grafici.
Scrive da che ne ha memoria, ma solo da qualche anno ne ha acquisito consapevolezza. Cura i libri che scrive come se fossero dei figli, partoriti dai pensieri, dalle esperienze e dall’insegnamento della vita.
Nel 2002 esce il primo testo: Pavia. Sensazioni di un viaggio per la casa editrice La Goliardica Pavese e nel 2009 vede la luce la seconda fatica letteraria: La provincia di Pavia. Il volto inedito per le Edizioni Antares, entrambi presentati presso il Circolo Culturale La Barcela e altri contesti cittadini e provinciali, coadiuvata da persone che si sono distinte per aver divulgato la pavesità anche oltre confine.
Nella primavera del 2019 pubblica un volume sulla sua città di origine: Conoscere la mia città. TORINO. Alla scoperta della prima capitale del Regno Italico per Youcanprint, che presenta al Salone del libro di Torino a maggio 2019 e presso il Circolo dei Lettori di Torino a ottobre 2019.
A fine settembre 2019 esce l’opera narrativa: Profumo di nonna, nella collana Policromia delle edizioni PubMe, che presenta per la prima volta a Libri in Nizza nel mese di novembre 2019; nella stessa collana a ottobre 2021 viene pubblicato il racconto-saggio sull’Alzheimer: Perché mi chiami mamma?, presentato a novembre 2021 in diretta YouTube su Scambievolmente, nella cornice di Libri in Nizza, a Nizza Monferrato, presso la libreria Il Salotto di Bea.
A febbraio 2022 viene pubblicato il suo primo romanzo: Anime perfette, per Policromia – Edizioni PubMe e nello stesso mese un secondo romanzo: La più autentica soddisfazione, premiato con la pubblicazione dal Concorso Letterario Acqui inedito – romanzo familiare 2021, a cura di De Ferrari Editore.
L'articolo ESTRATTO: “Anime perfette” di Wilma Coero Borga proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
August 2, 2022
ESTRATTO: “La perla della speranza” di Maria Cristina Pizzuto

Ecco a voi un estratto dell’ultimo romanzo di Maria Cristina Pizzuto, prolifica autrice che ha pubblicato con svariate case editrici tra cui PubMe. La serie di Castel Marina, di cui oggi presento un estratto dell’ultimo romanzo, racchiude storia d’amore, gotico e romanzo di introspezione. La serie è composta da quattro romanzi, di cui i primi tre sono raccolti in La vendetta di Nirak, mentre il capitolo conclusivo è La perla della speranza.
Vi lascio le due sinossi, e un estratto de La perla della speranza.
Buona lettura!
La vendetta di Nirak
Questo libro raccoglie la trilogia delle avventure di Castel Marina, o meglio le peripezie all’interno di un castello di un piccolo borgo che sorge a picco sul mare. Sono storie raccontate da nonna Erica ai nipoti, in una delle tante vacanze invernali davanti a un caldo caminetto.
La storia inizia con la descrizione dell’infanzia e dell’adolescenza della signorina Elisabetta, la figlia del signor Nirak, padrone del castello, fino a un fatidico incidente che porterà la giovane alla morte e così anche a quella di suo padre. Il castello diventerà un albergo. Da qui si susseguono persecuzioni e vendette del fantasma di Nirak nei confronti dei clienti, alla ricerca di un’anima simile a quella della sua bambina deceduta per farla sua per sempre.
Ma lo spettro non ha fatto i conti con lo spirito di Elisabetta, che continuerà a proteggere le persone prese di mira dall’incubo del fantasma di suo padre.
Solo il sacrificio di Sabrina, molto simile caratterialmente a Elisabetta, porrà fine a tutte le vendette di Nirak, restituendo tranquillità alle generazioni future.
La perla della speranza
Un estratto da La perla della speranza
La perla della speranza è il seguito della trilogia La vendetta di Nirak.
Una comitiva di trenta persone si ritrova a fare un viaggio organizzato a Castel Marina. Per sette di loro, tuttavia, la vacanza si preannuncia diversa dal solito…
Tra gli spiriti e i fantasmi del passato e le vite dei protagonisti cariche di problemi irrisolti, il maestoso castello sulla scogliera è teatro di una commovente storia il cui filo rosso è uno e solo: il coraggio di sconfiggere i propri demoni.
Jacopo fece notare che ogni qualvolta uno di loro entrava in contatto con i fiori o con la perla, egli veniva aiutato a comprendere il suo malessere più inconscio.
A quel punto ebbe un’illuminazione: «Non può essere che, avendo venduto la perla, Ivan, è come se l’avessi buttata? E quindi è come se non avessi voluto accettare l’aiuto che ti veniva offerto?»
Gli venne in mente la sua amata Sabrina.
Quanto gli mancava e quanto avrebbe voluto che fosse lì con loro!
«E allora perché continuano a perseguitarmi con gli incubi?» protestò Ivan. «Se io non voglio aiuto, che non me lo diano! Io sto bene così.»
«Non mi pare che tu stia bene come dici. Ti devo ricordare le volte in cui sei stato ubriaco o in cui hai tentato di molestare Iris? L’abbiamo visto tutti!» gridò Emanuele.
«Potrebbe anche essere che ti rifiuti solo apparentemente di essere aiutato, ma nel tuo profondo lo vorresti e per questo continui ad avere gli incubi» rincarò la dose Jacopo pensando a ciò che gli aveva detto Sabrina nella grotta.
«Che mi lascino in pace, e lasciatemi stare anche voi!» disse in tono minaccioso Ivan. Non ne poteva più delle loro parole e si allontanò.
La sua fuga fu breve, poiché Rolando chiamò tutti a rapporto per far ritorno a Castel Marina.
Ivan rimase sempre in disparte e, una volta arrivati a destinazione, sparì subito nelle vie del paese senza dire parola. Gli altri ritornarono alle loro camere per rinfrescarsi prima della cena.
Ivan non si fece vivo per tutta la serata. La sua sedia rimase vuota. Il gruppo era preoccupato: dov’era? E, soprattutto, cosa stava facendo? Avevano paura della sua volubilità.
Fu Emanuele il primo a vederlo, quando rientrò in camera ubriaco fradicio; si era conciato peggio del solito. Fece finta di dormire per non alterarlo ulteriormente, e Ivan, come se niente fosse, si mise sotto le coperte e si addormentò. Solo l’alcol gli dava tranquillità a sufficienza per riuscire a dormire serenamente; una volta esauritosi l’effetto degli alcolici, però, ecco che gli incubi si ripresentavano vividi nel suo cervello, svegliandolo tremante e in un bagno di sudore.

Maria Cristina Pizzuto è nata a Milano e ha trascorso l’infanzia a Bresso.
All’età di tredici anni la famiglia si è separata, suo padre è rimasto a Bresso, (MI) mentre lei e il fratello, di dieci anni in meno, sono andati ad abitare a Gorgonzola (MI).
Ha fatto lì le superiori, un liceo scientifico aad indirizzo ambientale.
Ha fatto sei mesi di università alla Bicocca, facoltà di Geologia. Al secondo anno avrebbe potuto prendere l’indirizzo di Geologia marina ma si è fermata molto prima perché aveva capito che non era quella la sua vera vocazione. Appena ha trovato lavoro ha abbandonato l’università.
Scrive dalla terza media circa, in primis poesie, poi si è dedicata sia a quelle sia a scrivere racconti con tecniche diverse di scrittura.
Attualmente abita a Fara Gera d’Adda (BG).
L'articolo ESTRATTO: “La perla della speranza” di Maria Cristina Pizzuto proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
July 31, 2022
ESTRATTO: “Due corpi una sola mente” di Cosimo Mirigliano

Ecco per voi un estratto di Due corpi una sola mente di Cosimo Mirigliano, il suo primo romanzo che, insieme a L’estate interrotta, sta riscuotendo ancora adesso enorme successo.
Capitolo unoSi può amare un essere umano alla follia e non riuscire a dimostrarglielo in nessun modo, facendogli solo del male pur senza volerlo? Questa domanda non smette di tormentarlo, insieme a un’altra…Giacomo si trasferisce a Roma per sottrarsi a un tormento che gli causa un perenne conflitto con se stesso e con chi lo ama. In una Capitale di caos e vitalità, incontri casuali e profonda solitudine, affronta un percorso difficile verso la sua rinascita, accompagnato da tre personaggi che gli fanno da cornice.Luca, l’amico dello sballo, rappresenta la sua parte più distruttiva. Arturo, invece, da personaggio dai tratti ambigui che vive all’ombra di Giacomo, diventerà a poco a poco una figura cruciale per lo snodo dell’intera trama. E infine Gaya, l’unica donna del gruppo. Solare e briosa, rappresenta la parte integra di Giacomo, ma malgrado lo ami profondamente sarà costretta ad allontanarsi per il bene di entrambi.Il romanzo inizia proprio con la partenza di Gaya, e in un gioco di flashback narra l’arduo cammino di Giacomo per riordinare il puzzle della sua esistenza e creare un nuovo ragionevole futuro.
Dopo una notte di birra e sigarette, Giacomo si sveglia da solo nel letto che per sette anni ha diviso con Gaya. Oggi sarebbe stato il loro anniversario, e pensare che c’è chi dice che non vale la regola del settimo anno. Dall’ultima litigata sono trascorsi dodici giorni. E appena dodici ore da quando ha deciso di mettere fine a una situazione che da troppo tempo oramai non funzionava più.
Malgrado Gaya non ci sia, però, la stanza, o il bunker, come la chiama lui, è impregnata del suo odore. Si gira verso l’interno del letto e il cuscino rosa, morbido come le sue tette, è ancora lì.
Ho deciso io di finirla, e allora perché non capisco cosa sia successo davvero?
Squilla il cellulare. Lo afferra a tastoni e risponde. Sono gli amici dello sballo. Sì, sì, okay. Dopo cena appuntamento dall’egocentrica del gruppo. Sicuro che, all inclusive, ci rimedia anche una notte di sesso con la padrona di casa.
Chiusa la conversazione lancia tutto per aria — cuscini, lenzuola, piumone — e si dirige verso il bagno per farsi una doccia e togliersi di dosso l’ultima traccia di una notte senza senso con shampoo e bagnoschiuma in mano, entra in piedi nella vasca e rimane lì, nudo e fermo, a guardarsi intorno. Ovunque ci sono cose di Gaya: le sue boccette, i suoi profumi, ciuffi di capelli incastrati nello scarico, un pacco di assorbenti aperto e lasciato in bella vista. Ma soprattutto la cosa che gli ha sempre dato sui nervi: la piastra attaccata alla presa che penzola da una parte nel lavandino.
Un modo subdolo di farmi fuori, ci scommetto.
Con uno slancio esce dalla vasca, afferra tutto quello che c’è e lo scaraventa in un sacchetto della spesa.
A questo punto, vuoi per lo sfogo, vuoi per la sigaretta appena fumata, sente l’esigenza di sedersi sulla tazza e lasciarsi andare. Di corsa finisce di defecare, di pulirsi, di lavarsi e rientra in camera dimenticandosi del caos che lo attende.
Oggi, primo maggio 2013, ore dieci del mattino, alla radio nazionale lo speaker passa in rassegna i cantanti che si esibiranno al concertone in piazza San Giovanni. Come di consueto, prima gli artisti meno “artisti”, poi tutti gli altri, fino a concludere la serata con il grande ospite internazionale. Si adopera a fare dello zapping radiofonico sintonizzato su una frequenza che trasmette solo musica rock.
Alle tre e dieci del pomeriggio i pacchi di Gaya sono sistemati, il concerto è iniziato da qualche minuto e il pranzo è stato assaporato con lo stesso godimento con cui si gusta una preda rubata dalla trappola di un felino. Prende lo scooter e pensa che gli piacerebbe fare un giro al mare, prima di andare verso Trastevere. Casco in testa, documenti nel giubbotto e chiavi in mano, si appresta ad accomodarsi sulla sella nera e morbida del suo vecchio ciclomotore. Oggi la città è un parapiglia incredibile, metropolitana e mezzi pubblici di superficie vanno a rilento e la canicola amplifica i disagi. Ma a Giacomo non importa, vuole arrivare lì il prima possibile e, mentre sfreccia tra le vie del centro, gli scorrono dinanzi immagini lampo del suo passato e la ragione che l’ha condotto a lasciare Gaya.
Ma dai, in fondo ci amiamo, tutto passerà. È ancora possibile chiamarla e sistemare tutto.
O forse no. Stavolta non funziona così, vuole andare fino in fondo alla sua scelta. Senza quasi accorgersene si trova già in via del Mare. Come ogni anno da quando vive a Roma, il Primo Maggio lui deve andare a Ostia. Oggi viene aperta ufficialmente la stagione turistica: lidi, spiagge private e pubbliche, discoteche e un milione di abusivi riprendono a lavorare a pieno ritmo in un mondo dove non ci riesce nemmeno chi ha conseguito tre lauree, dottorato alla Regina o specializzazione alle Nazioni Unite. Loro, gli innominati, sono pronti, per ogni monetina non data, a lasciare l’autografo sulla fiancata della tua auto. Giacomo, invece, si beffa di tutti e al mare ci va sulle due ruote.
Accaldato e con la testa quasi infuocata per via del casco, arriva sulla “strada dei cancelli”, ma decide di proseguire in cerca di un luogo più isolato dove trovare un po’ di tranquillità. Parcheggia a ridosso della recinzione e si infila in un sentiero tracciato dai passi sulla sabbia. Poco più in là c’è un chiosco semideserto e lui ha voglia di birra e patatine.
Si avvicina al bancone e siede su uno sgabello, chiedendosi se ci sia qualcuno. Da una tenda sbuca una ragazza mora, alta come la Tour Eiffel, magra come un compasso e con due tette che fanno il giro del mondo in ottanta secondi. Insomma, una figa da paura. Come al solito, lui non può trattenersi dal fare il piacione e la tipa abbocca al suo seducente sorriso come un’anguilla all’amo di un pescatore. Battute su battute, si aprono reciprocamente il tanto che basta. Lei spiega che nonostante la crisi, ha voluto buttarsi in questo piccolo progetto con il fratello prendendo in gestione il chiosco. Lui allora le racconta che, crisi a parte, ha voluto chiudere una storia importante perché non si sentiva più completamente preso dalla sua ragazza.
L’ora avanza e la canicola inizia a scemare, ma l’alcool in corpo no. Appena inizia ad arrivare gente, Giacomo preferisce andarsene e lasciare la preda agli altri. Rivolge un saluto alla ragazza e si incammina al di là di una piccola duna. Recupera quello straccio di telo da mare che ha riposto nello zaino prima di uscire da casa e si sdraia sulla sabbia con una sigaretta tra le dita e una birra da sorseggiare lentamente, mentre il pomeriggio precipita verso il tramonto precoce della primavera. In lontananza, un signore porta a spasso il cane, una ragazza cinese si propone per un massaggio alla schiena e una coppia entra in acqua malgrado il caldo non sia ancora così intenso da poter fare il bagno. Saranno dell’Est, pensa, ma d’un tratto una frase in romanesco si leva in aria suonando come una sirena. A Giacomo è sempre piaciuto quell’accento, lo trova robusto e “testosteronico”.
Ricorda ancora quando, a diciotto anni, arrivato fresco dal paesello, aveva sentito il suo primo ma li mort… Che poi, diciamolo, sul momento gli era sembrata quasi un’altra lingua. Ma solo all’inizio. Erano bastati pochi mesi perché anche lui, come la schiera dei fuori sede che affollava l’università, assorbisse quel modo di parlare. Solo che, a differenza degli altri, Giacomo aveva sempre mantenuto una certa ritrosia. A parlare romanesco venendo da fuori, gli pareva di scimmiottare i capitolini veri, di essere un pappagallo che si fa bello a imitare la lingua dell’uomo. Lui invece rispettava troppo quella città, la sua storia e le sue parole che morivano a metà.
«Ma non dovevi venì alle sei?»
Così l’aveva accolto la sua prima padrona di casa.
Cinque del pomeriggio, ultimo piano d’un palazzo di via Lorenzo il Magnifico. Niente ascensore. Alla porta s’era presentata una donna sui cinquant’anni passati portati davvero male, seguita da uno scodinzolante barboncino color miele piuttosto in là con gli anni. Per qualche strana ragione gli ricordava la figura di Mamy nel film con Celentano Il Bisbetico Domato, ma a differenza della governante lei era bianca come un cadavere e aveva, oltrealla foresta amazzonica sulle braccia, anche dei fusti di pino sulle gambe. Sfoggiando un garbo squisitamente mascolino e un alito che avrebbe ammazzato anche una pantegana del Tevere, lo aveva fatto accomodare in salotto. Mentre parlava delle modalità di pagamento, del contratto che non avrebbe mai stipulato, dell’impossibilità di avere un qualsiasi arredo all’infuori di quello che già c’era, Giacomo aveva fissato incredulo i bigodini stretti sulla testa, il rossetto rosso spalmato a caso sulle labbra, i calzini da uomo lasciati sporchi in terra e le poltrone unte che regnavano come troni. Stava per alzarsi e sparire senza neanche salutarla quando qualcosa lo aveva trattenuto: una terrazza gigantesca che dava largo spazio alla vista. Da un lato tutta la zona della Tiburtina fino alle pendici di Tivoli, dall’altro il centro di Roma con Villa Borghese e la sua mongolfiera turistica. Aveva preso in affitto l’appartamento, stretto la mano alla strega e sulla porta, al momento di congedarsi, era stato ricompensato da un improvviso entusiasmo erotico del barboncino color miele che gli si era avvinghiato alla caviglia lasciandogli addosso ogni possibile schifezza attaccata al suo pelo.
La coppia sulla spiaggia continua a giocare con spruzzi e sghignazzi regalati al vento tiepido. Giacomo li osserva mentre scola la sua birra e fuma una sigaretta dietro l’altra. La testa è pesante, ma la mente è leggera e fresca. Il vocio scomposto dei bagnanti sulla spiaggia e nei parcheggi si sta a mano a mano trasformando in pacato suono che lascia solo la scia dell’ultima sillaba di ogni parola. Una strana eco, quasi sottovuoto, gli si insinua nell’udito, e molto lentamente Giacomo si lascia andare a un rilassamento uterino.
Un’ora dopo, è il trillo di un cellulare troppo vicino a svegliarlo di colpo, strappandolo al suo torpore di sogni e alcool. Seduto sulla spiaggia oramai deserta assapora gli ultimi secondi di silenzio prima di riprendere in mano la sua vita e affrontare un’altra serata inutile.
Sulla strada verso la capitale ammira le sfumature di colori che si creano di notte, le larghe strade striate dal giallo sfocato dei lampioni, i semafori lampeggianti, le insegne luminose che indicano la direzione anche a chi non ricorda il nome delle vie, i dialetti e le voci che echeggiano lungo i marciapiedi.
La vita dovrebbe essere sempre così, pensa.
Un lungo scorrere di eventi.
Per andare verso Trastevere, Giacomo fa sempre la solita strada, ma in quest’occasione sceglie di dilungarsi. Preferisce fare una piccola sosta per un’ultima sigaretta, prima di affrontare gli amici del piacere. Parcheggia vicino a Ponte Milvio e fa due passi a piedi, ma vorrebbe che diventassero quattro, otto, sedici, trentadue… Insomma, passi infiniti che potrebbero evitargli il peso di quest’ennesima inutile serata. Si accende una sigaretta e appoggia i gomiti sul grosso cordolo in cemento, ammirando lo skyline romano fatto di luci e alberi. Intorno a lui, complice l’uscita al cinema di un film popolare, il ponte si è riempito di lucchetti di ogni grandezza e colore, con dediche folcloristiche nelle lingue più disparate. Quei lucchetti, adesso, gli ricordano la storia con Gaya.
Anche quella, come il ponte, si è riempita a poco a poco di serrature, di fantasmi e di tanti, troppi, dettami che non è mai riuscito veramente ad accettare.
«Giacomo, mi hai stancata! Non trovare scuse, tu non mi ami, punto e basta. Ami solo quella tua bella faccia da stronzo e nessun altro, ma prima o poi ti stancherai anche di ammirarti allo specchio, solo che io non sarò più qui a sopportare le tue bugie. Quando si ama, si ama completamente l’altro in tutto quello che rappresenta.»
La sigaretta di Giacomo sembra non volersi spegnere mai, o forse è lui che non vuole lasciare quel luogo.
Si può amare un essere umano alla follia e non riuscire a dimostrarglielo in nessun modo, facendogli solo del male pur senza volerlo? Questa domanda non smette di tormentarlo, insieme a un’altra: perché è stato così urgente separarsi da Gaya?
Non era più normale sentirsi con il cappio al collo. E invece adesso, libero com’è, si sente più che mai un animale selvaggio che sbatte contro le pareti di una gabbia senza fenditure.
«Scusi, potrebbe indicarci la strada per arrivare a piedi a San Pietro?»
Una coppia è ferma dietro le sue spalle e aspetta una risposta. Giacomo, appena si riprende dall’irruzione, un po’ di getto e un po’ per abitudine ribatte che da diversi punti lungo il Tevere — se ci si fa caso — si vede il cupolone, e con un po’ di pazienza e un paio di scarpe meno alte ci si può arrivare senza tediare nessuno. Dopodiché li saluta e si dirige verso lo scooter. Mentre ripercorre i suoi due, quattro, otto, sedici, trentadue passi gli arriva una fitta all’addome, così si siede sugli scalini che danno sulla strada.
L’autore
Cosimo Mirigliano nasce a Siderno (RC) nel gennaio 1979, in un piccolo centro della Calabria, ma vive la sua adolescenza con i genitori e i suoi sette fratelli a Caulonia Marina, in provincia di Reggio Calabria.
Dopo la laurea in architettura presso l’Università degli Studi di Roma3 e qualche collaborazione tra la stessa Roma, Milano, Barcellona e Toronto, rientra in Europa e si trasferisce a Londra, la città che lavorativamente parlando lo ha formato più di altre realtà. Nel tempo libero continua a viaggiare e a coltivare passioni come la lettura, che lo sosterrà in seguito alla stesura di alcune sue prose e del romanzo d’esordio.
Nel 2004, all’interno di una raccolta, ottiene la pubblicazione della poesia “La notte”. Nel 2007 sarà la volta delle poesie “Stasera” e “10 settembre 2005”, entrambe edite da Aletti.
Nel 2016 esordisce col romanzo “Due corpi una sola mente”, che grazie al primo capitolo presente all’interno un blog raggiunge diverse decine di migliaia di letture e visualizzazioni in pochi mesi.
Il suo stile tipicamente classico giunge a noi rifacendosi anche ad autori più moderni, utilizzando comunque un lessico ricercato, riflessivo e mai ordinario, capace di descrizioni minuziose e sempre accuratamente dettagliate.
Sempre nel 2004, grazie a un’altra sua grande predisposizione artistica, partecipa in veste di attore allo spettacolo teatrale “I fisici”, tratto dall’omonima commedia grottesca del drammaturgo svizzero Friedrich Dürrenmatt, nel ruolo dell’infermiere McArthur.
Nel 2019, dopo il grande riscontro ottenuto col suo esordio, esce il suo secondo romanzo dal titolo “L’estate interrotta”, edito da Policromia (PubMe).
A fine 2020 la stessa Casa Editrice (PubMe), si prende l’incarico di ripubblicare il suo esordio “Due corpi una sola mente.”
Ha tenuto presentazioni nella Libreria Mangiaparole di Roma, nella Libreria Presenza di Milano, nella libreria Binaria di Torino e nel Circolo Cittadino di Latina, oltre a un firma copie presso la Mondadori Bookstore di Milano. In seguito all’arrivo della pandemia sono state interrotte le altre presentazioni in programma sia in Italia che all’estero.
Nel febbraio 2022 è stato tra gli ospiti telefonici nella trasmissione “Le lunatiche” in onda su Rai Radio Due.
Nel maggio 2022 Telesia TV ha trasmesso lo spot del suo libro “Due corpi una sola mente” nei suoi canali social e sugli schermi delle Metro e autobus delle città di Roma, Brescia, Genova e Milano e nei più importanti aeroporti d’Italia. Lo stesso video, per l’alto numero di preferenze ottenute, è stato vincitore del Contest Booknews ed è stato ritrasmesso dalla stessa TV nel luglio 2022.
Nel mese di settembre 2022 verrà trasmesso, sempre sui canali di Telesia TV, anche lo spot del libro “L’estate interrotta”.
Nel giugno 2022, presso la Rotonda Vassallo, ha partecipato, su invito del Sindaco del comune di Lerici, alla seconda edizione della manifestazione “Lerici Libraria” che ha riscosso tanto successo e grande presenza e interesse di pubblico, oltre ad avere visto la partecipazione di ospiti nazionali conosciuti anche a livello internazionale, come il giornalista Antonio Caprarica, Elisabetta Villaggio, Luca Palamara, Leo Ortolani, Alessandro Robecchi, Tea Ranno, Marco Cattaneo.
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L'articolo ESTRATTO: “Due corpi una sola mente” di Cosimo Mirigliano proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
July 19, 2022
Self-publishing ultima spiaggia: di questo e altri miti

Sappiamo tutti che il dibattito intorno all’autopubblicazione non terminerà domani e nemmeno fra qualche anno.
È la battaglia, chiamiamola così, fra tradizione e innovazione. Fra chi difende (per rimanere nella metafora) l’editoria tradizionale e chi si ribella cercando nuovi porti a cui approdare.
Una battaglia che, come tante, non ha né vinti né vincitori, ma due fronti lunghi ormai chilometri.
Mi autopubblico: sì o no?Questa è una domanda che tanti autori si sono posti, e si pongono, più di una volta nella loro carriera. La risposta tranchant, sì oppure no, va modulata poiché in un contesto come quello dell’editoria, che checché ne dicano è in continua evoluzione, non si può vedere tutto bianco o tutto nero.
C’è chi è propenso all’editoria tradizionale e c’è chi si lancia subito nell’innovazione (ormai nemmeno più tanto) del self-publishing (come ben sai, io sono più favorevole a quest’ultimo).
Chi invece è ancora indeciso, non può altro che informarsi, ascoltare, leggere, e tentare di discernere fra le varie risposte che troverà. Il che è come gettarsi a pesce in un ginepraio.
Lungi da me, in questo articolo, dibattere sui pro e sui contro dell’autopubblicazione (visto che ne ho già parlato), voglio soltanto ragionare su alcuni miti legati al self-publishing, e proprio perché miti, screditarli.
Due su tutti, uno a favore e uno contro.
Self-publishing sì: diventerò ricco in breve tempoSarà che ormai su internet si trova di tutto, sarà che le sue potenzialità sono infinite, fatto sta che sorgono di tanto in tanto siti che offrono servizi di autopubblicazione e che assicurano, basta seguire le loro direttive, un guadagno spropositato nel giro di poco tempo. Il motto più o meno comune è: “Pubblica su Amazon (o affini) e sarai ricco in X giorni” (magari seguendo un corso, generosamente offerto).
Niente di più sbagliato.
Certo, chiunque può arricchirsi vendendo i propri e-book o i propri cartacei, non lo nego e sono a conoscenza di soggetti (privati o aziende) che si sono fatti un nome grazie all’autopubblicazione (e anche scrittori che in seguito sono stati notati da grandi case editrici).
Ma non subito e non senza lavorare duramente.
Il “guadagno facile”, lasciamelo dire, non esiste, dai!
Piccolo aneddoto.
Quando ho aperto questo sito, un po’ di anni orsono, la prima cosa che mi sono chiesta è stata: e mo’ che faccio? Aprire un sito, pagare per farlo hostare e costruire, è come vendere un libro. Dopo l’apertura (dopo la pubblicazione), occorre guadagnare visibilità.
E quindi via a cercare consigli, corsi, farsi un’endovena di SEO e cose simili. Sono incappata in tanti corsi e infoprodotti che garantivano una visibilità immediata con scalata della classifica su Google per arrivare in prima pagina. Sono stata tentata anche di acquistarne qualcuno, o ad acquistare la consulenza, venduta, lasciamelo dire, a peso d’oro, di marketers più o meno famosi. Fortuna vuole, col senno di poi, che all’epoca non avessi tutti ’sti soldi da investire.
Infatti, il mio sito ha avuto sì visibilità, e si barcamena ancora oggi, ma solo e soltanto dopo un duro lavoro di pubblicazione di articoli e conseguente indicizzazione. Una sorta, quindi, di promozione indiretta.
Promozione: ecco la parola chiave.
Senza promozione non sarai mai visibile, né il tuo sito né tanto meno il tuo libro.
Tornando all’argomento di questo articolo: pubblicare un libro su Amazon o altrove non fa vendere subito (e quindi guadagnare pacchi di dinero), e neppure cercare di aggirare algoritmi che cambiano ogni mese e che in pochi conoscono.
Autopubblicarsi sì, certo che sì, se fatto nella giusta maniera e con criterio, ma credere che così si abbandonerà il lavoro e si andrà a vivere in qualche isola tropicale, proprio no.
Lavorare (e duramente) per far emergere il proprio libro, magari affidandosi anche ai servizi di promozione di gente seria ed esperta: allora sì che si potrebbe ottenere qualche buon frutto.
Self-publishing no: ultima spiaggia prima della fine del mondoAutopubblicarsi? Sia mai! Se proprio lo farò, sarà perché qualsiasi casa editrice su questa terra mi ha rifiutato.
Altro mito da sfatare: non è vero che il self-publishing è l’ultima spiaggia. Come ho scritto poc’anzi, conosco tanti soggetti che sono emersi, si sono fatti un nome e guadagnano una bella sommetta. E senza passare per la casa editrice.
Ti svelo un segreto che i “tradizionalisti” non ammetteranno mai: pubblicare con una casa editrice, anche grande, anche famosa, non equivale a vendere.
Ecco, l’ho detto, e odiami per questo.
Ma anche qui ho testimonianze di persone il cui libro è stato pubblicato da X ma che vendono meno di un self-publisher alla prima esperienza. I motivi sono svariati, prime fra tutti le esigenze di mercato (oh, anche in editoria esiste un mercato, esiste l’economia, esiste il marketing), che portano a preferire un libro anziché un altro.
Il self-publishing, quindi, non va considerato come il tentativo finale di qualcosa bensì come una scelta, ragionata, ripeto, frutto di altre scelte.
In conclusione, autopubblicarsi non è diventare ricchi e famosi in un amen, ma nemmeno la triste scelta dello scrittore che ahimè nessuno ha saputo valorizzare, e nessuno ha calcolato.È la decisione (ragionata ragionata ragionata) di un autore che ha ponderato rischi e vantaggi, e che nulla ha da recriminarsi.E tu cosa ne pensi?Scrivimelo nei commenti!
L'articolo Self-publishing ultima spiaggia: di questo e altri miti proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
July 5, 2022
Editore VS autore: l’impero colpisce (ancora)

Caro editore, o aspirante editore.
Questo articolo è per te. Per te che ogni giorno devi schivare i sassi che i tuoi autori ti tirano contro. Per te che ogni ora devi fronteggiare minacce di querela e quant’altro. Per te che fai il tuo lavoro ma raramente riceverai un grazie.
Questo articolo è per te (anche perché i “tipi di autore” di cui scriverò hanno l’ego talmente enorme da non rendersi conto che si sta parlando di loro).
Non solo gli editori sono cattive personeTalvolta i miei articoli vogliono gettare uno sguardo al di là, vogliono sollevare il sipario e considerare non soltanto il punto di vista dell’autore, ma anche dell’editore e di ogni altro professionista che lavora in editoria (e quindi trovi riflessioni dagli occhi non soltanto di chi scrive, ma anche di chi corregge e di chi pubblica).
Se da un lato parlare degli autori è sempre a rischio linciaggio, dall’altro è pur giusto dar voce anche a chi è dietro le quinte e si dà da fare perché nuove voci possano emergere.
Purtroppo, come in tutti i settori, anche in editoria c’è chi si fa la grana alle spese dell’autore ingenuo, e purtroppo c’è chi, poi, fa di tutta l’erba un fascio. E quindi: tutti gli editori sono cattive persone. Non ti fidare.
Con il risultato che l’editore serio, ahimè, deve ogni giorno fronteggiare pale e pale di… che certi tipi di autore gli gettano contro.
Attenzione! Nemmeno io voglio fare di tutta l’erba un fascio, e quindi parlo di “tipi di autore”. Non tutti, per fortuna!, sono così. Anzi, dei “tipi di autore” che vedremo adesso, e dai quali consiglio di scappare a gambe levate, non ce ne sono tanti. Con questo però non voglio dire che non esistano.
Ps. tutti gli esempi, sebbene possano sembrare esagerati, sono frutto dell’esperienza mia e delle persone con cui ho collaborato e che mi hanno raccontato le loro disavventure.
Tu discepolo, io MessiaUn esempio preso dal pro-wrestling (che seguo con piacere da quasi vent’anni). Tempo fa, Lottatore A personificava un Messia che avrebbe portato la verità a tutti (a suon di mazzate). Si accompagnava sempre con Lottatore B, il suo (unico) discepolo. In realtà, Lottatore B non era tanto un discepolo quanto lo schiavetto di Lottatore A: le prendeva al posto suo e finiva immancabilmente col sedere a terra quando Lottatore A si incavolava e se la prendeva con lui (praticamente sempre). E soleva dirgli: “Tu discepolo, io Messia”. In altre parole: “Tu esegui, io comando”.
Questo esempio per introdurre il primo “tipo autore”: l’autorimperatore.
L’autorimperatore (maschio, femmina, duo, trio…) considera l’editore alla stregua di mero esecutore dei suoi ordini. Non ritiene l’editore una persona ma un sottoprodotto umano da schiacciare a proprio piacimento ogni qualvolta c’è un problema o non gli va bene qualcosa. Ogni azione dell’editore (e di chi lavora per e con lui, come redattori, correttori di bozze, ufficio stampa…) è criticata con arroganza e saccenteria, partendo dalle correzioni sul testo, passando per impaginazione e copertina, fino ad arrivare a mettere in dubbio la professionalità dell’autore anche nella stessa pubblicazione e promozione (spesso accusando l’editore di qualsiasi crimine, anche e solo per quisquilie che si possono risolvere in poco tempo e senza dover passare per un tribunale).
Una gatta da pelare che ogni editore ha incontrato almeno una volta nella vita (e se non l’ha incontrata non sa che fortuna ha avuto, parola di chi c’è passata ed è stata rosolata a carni scoperte).
La soluzione? Ah, perché, esiste?
Scherzi a parte, aver a che fare con autori di questo tipo è difficile, perché ogni riscontro da parte loro è logorante sia sul piano professionale sia su quello umano, e l’editore (o chi lavora per e con lui) deve avere due… così per tenergli testa. È sempre bene, comunque, rimanere professionali (abbassarsi al loro livello equivale a dar loro ancor più materiale su cui ribattere e minacciare), ma facendo valere diritti e obblighi. Non raramente la situazione si risolve con la scissione del contratto da parte dell’editore: certe persone, meglio perderle che trovarle.
Caro amico, ti scrivo…Questo “tipo di autore”, in realtà, è un autorimperatore mascherato da grande amicone.
Sotto il profilo umano, è il peggior “tipo” che potrebbe capitare all’editore e al suo entourage (adesso vediamo perché).
Il Grande Amicone è, a prima vista e solo in apparenza, un vero amico, appunto. Durante i primi tempi l’editore è anche felice di averci a che fare, perché questo “tipo autore” è alla buona, rispettoso (sembra), pronto a risolvere insieme a te qualsiasi problema. A volte intende instaurare un rapporto che vada oltre la sfera professionale. Insomma, ti vuole essere amico e (almeno i primi tempi), lo è veramente.
Questi “tipi autore” si differenziano però dagli autori che ti sono davvero amici (e ce ne sono tantissimi, per fortuna!) perché, dopo un certo periodo (di regola è molto breve, in alcuni casi però rischia di allungarsi arrivando anche all’anno, ed è qui che l’editore, umanamente parlando, rimane fregato più duramente), svestono i panni del Grande Amicone per indossare quelli dell’autorimperatore.
Per quanto concerne i comportamenti, si veda sopra.
Dicevo, per l’editore e il suo entourage questo “tipo autore” è il più difficile da fronteggiare, soprattutto sul piano umano. È come se un amico, dall’oggi al domani, smettesse di essere tale e anzi, iniziasse ad accusarti di qualsiasi cosa (poca serietà, professionalità ecc.). Spesso, il rapporto termina senza che tu sappia il motivo (è capitato). Talvolta sono le quisquilie di cui parlavo sopra a interromperlo, e da lì per questo “tipo autore” diventi l’Editore da cui Stare alla Larga.
La soluzione? Non ce ne sono. In genere autori di questo tipo hanno brutte storie editoriali alle spalle, e basta un niente (anche un solo refuso) per etichettare il loro nuovo editore come “poco serio”. Oppure sono diffidenti per natura, o ancora sono autorimperatori con una marcia in più. È meglio, comunque, tenersi a debita distanza, soprattutto quando ci si accorge che questo “tipo autore” inizia a insidiarsi lentamente nella tua vita, con troppi messaggi, troppe chiamate e, sempre troppe, pretese. Di solito dietro si cela il “tipo autore” di cui sopra.
Cado dalle nubiQuesto “tipo autore”… non esiste.
Mi spiego meglio: non ha rapporti con l’editore e il suo entourage. Dopo le pratiche per la pubblicazione del romanzo, sparisce. Non partecipa a eventi della casa editrice, non si interessa della promozione, non risponde alle “call agli autori” per concorsi, manifestazioni, contest… Insomma, c’è ma non c’è.
E un bel giorno, poi, di punto in bianco si fa vivo, cadendo letteralmente dalle nubi, con richieste surreali e accuse altrettanto surreali alle quali l’editore risponde con pazienza e calma, come si farebbe con un bambino.
In effetti questi “tipi autori” vanno presi per mano e accompagnati, e, proprio come bambini, va spiegato loro tutto, e i capricci vanno sedati con amore e cura. È questa la soluzione, se questo “tipo autore” rimane nel rispetto dell’editore. In caso contrario, si veda tutto quanto è stato scritto per autorimperatori e Grandi Amiconi.
L'articolo Editore VS autore: l’impero colpisce (ancora) proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.
June 28, 2022
Microediting: 3 livelli

In genere io divido il lavoro di editing in micro e macro-editing.
Il primo tipo di lavoro, il microediting, sebbene venga considerato spesso poco e niente, è quello che rende effettivamente un libro pronto per essere pubblicato o inviato a un editore.
Te ne parlo in questo articolo.
Editing: micro e macroSebbene oggi rispetto anche solo a cinque anni fa vi sia più conoscenza del lavoro di editing, c’è sempre qualcuno che “cade dalle nubi”, non sa cosa voglia dire “editare” o abbia tutta una sua concezione al riguardo.
Questo succede perché non esiste il Corso per diventare editor ma soltanto tanti corsi in cui editor insegnano quest’arte dal loro punto di vista (e sono tutti punti di vista egualmente corretti e soddisfacenti).
Ciò che non condivido, di molti di questi corsi e di molti lavori di editing (ad esempio su testi che poi sono stati inviati alla redazione di Policromia, PubMe), è la scarsa o nulla attenzione al testo, sintatticamente, lessicalmente e grammaticalmente parlando.
Tanti colleghi storceranno il naso, ma a mio avviso l’editing non è solo intreccio, architettura narrativa, ambientazione e personaggi, ma anche cura del testo.
Perché se io, editore o redattore editoriale, ricevo un testo e mi dicono che è stato editato, mi aspetto che scorra a livello macro (quanto ho scritto sopra: intreccio, architettura…) e micro. Sennò devo rimetterci mano (e mi è capitato) e mi arrabbio (sono irascibile, mea culpa).
Tre livelli di microeditingConsidero il microediting come composto di tre livelli (senza tener conto dello stile, che attiene al macroediting, poiché fa parte di tutto quel lavoro atto a rendere scorrevole l’intreccio e la narrazione).
Il livello morfosintatticoSecondo Treccani, la morfosintassi è lo “studio sistematico delle regole che presiedono alla formazione di un enunciato linguistico (parole, sintagmi, frasi) mediante la combinazione di morfemi. La m. si occupa dei rapporti reciproci delle parole nella frase, come per es. nella concordanza fra nome e aggettivo (libro rosso, e non rossi o rosse), nome e verbo (il cane gioca e non il cane giocano)”.
La sintassi, dunque, e generalizzando, studia la frase e le relazioni fra le frasi.
Esempi di errori morfologici e sintattici possono essere: io mangiato mele, i miei genitori aveva comprato una casa, Mario a comprato una macchina, la gente avevano, chiunque andarono, ecc.
Sono errori di cui il microediting deve tener conto: l’editor deve correggerli o dire all’autore di correggerli. Un libro che contiene questi errori non può essere pubblicato per nessun motivo.
Il livello lessicaleGeneralizzando anche qui, il lessico riguarda l’insieme di parole di una lingua.
Occorre prestare molta attenzione all’uso corretto di ogni parola, durante i lavori di microediting. Spesso si tendono a dar per scontate le parole che compongono una frase, che siano sostantivi, verbi, avverbi o aggettivi, quando invece esse sono fondamentali per la corretta comprensione del testo.
Alcuni errori sono banali e saltano all’occhio subito perché palesi (egli era stato disegnato come relatore della conferenza: designato e non disegnato! Ho voluto a tutti i costi sopperire questi problemi: sopprimere e non sopperire! Porre limiti ai quali potrò aggirare: limiti che potrò aggirare!).
Altri, invece, sono infidi e spesso provocati da paronimi (infettare-infestare, lussureggiante-lussurioso, festini-festoni, sequela-sequenza, mancamento-marcamento, cognato-coniato), dall’accoppiamento di verbi, aggettivi o complementi che hanno diversa costruzione (esempio: Mario è interessato e responsabile della vostra formazione > essere interessato a qualcosa VS essere responsabile di qualcosa! Altro esempio: non mi capacito né credo a quelle parole > capacitarsi di qualcosa VS credere a qualcosa), o, infine, dall’uso di sostantivi, verbi, aggettivi sbagliati (rapportare al posto di portare, dormire il sogno dei giusti al posto di dormire il sonno dei giusti, barcollare nel buio anziché brancolare nel buio…).
Il livello grammaticaleNon è nemmeno il caso di sprecare troppo tempo: gli errori grammaticali vanno corretti. Punto. L’editor e il correttore non devono lasciar correre orrori come “si” anziché “sì”, come “li” anziché “lì” e così via… Occorre fare attenzione a che il verbo impiegato sia transitivo o intransitivo, e usarlo nel modo corretto; se il verbo è riflessivo va usata la particella “si” (il dubbio palesava la mente di Mario > il dubbio si palesava nella mente di Mario), e così via.
Dirlo all’autore, o intervenire sul testo: vanno bene entrambe le soluzioni, l’importante è che questi errori spariscano prima della pubblicazione.
Altri interventi di microeditingIl microediting non si risolve in questi tre livelli, ne abbiamo anche molti altri: l’ortografia (sopratutto anziché soprattutto, un po anziché un po’…), la semantica (scrittore provetto anziché alle prime armi), la fonosintassi (gran uomo invece che grand’uomo)…
Spesso si tratta di errori davvero piccoli, ma denotano poca cura (e, lasciamelo dire, anche una buona dose di ignorantia). Non soltanto l’autore fa brutta figura nel presentare un libro brutto a livello di microediting, o nel pubblicarlo, ma la stessa brutta figura la fa l’editor, perché uno si domanda: ma che ci sta a fare lì?
L'articolo Microediting: 3 livelli proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.


