Emanuela Navone's Blog, page 4

August 8, 2023

ChatGPT e scrittura creativa: quali vantaggi?

La scrittura creativa è un viaggio affascinante verso mondi immaginari e storie coinvolgenti.

Grazie all’avanzamento della tecnologia, gli scrittori possono sfruttare strumenti innovativi per potenziare la loro creatività. Uno di questi strumenti è ChatGPT, un modello di linguaggio avanzato sviluppato da OpenAI.

In questo articolo, esploreremo cinque vantaggi derivanti dall’utilizzo di ChatGPT nella (per la) scrittura creativa.

E sì: ChatGPT ha aiutato anche a scrivere questo articolo 😉

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Photo by Tobias Bjørkli on Pexels.com

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ChatGPT è una fonte inesauribile di ispirazione per gli scrittori. Con la sua vasta base di conoscenza, può generare idee originali, personaggi intriganti e trame avvincenti.

Gli scrittori possono interagire con ChatGPT, porre domande, esplorare scenari e ricevere risposte creative che stimolano la loro immaginazione.

Questa interazione con un’intelligenza artificiale reattiva apre nuove prospettive e sbloccherà persino quelle idee che sembravano inaccessibili.

L’ho usato qualche volta per strutturare alcune “tazzine” (si legga: idee di storie) e mi sono trovata bene: ChatGTP è in grado di indirizzare la storia con coerenza e dà spunti interessanti. Ovviamente, è doveroso rimarcarlo, spetta poi allo scrittore sviluppare il racconto/romanzo/ecc.

Risparmia tempo nella pianificazione

Pianificare una storia può richiedere tempo e sforzo (ne so qualcosa, ahimè).

ChatGPT semplifica questo processo fornendo aiuto nella creazione di intrecci e trame. Gli scrittori possono delineare le loro idee e ricevere suggerimenti per la struttura narrativa.

Con la collaborazione di ChatGPT, si risparmia tempo prezioso, e questo consente agli autori di concentrarsi maggiormente sulla stesura e lo sviluppo dei personaggi.

Non solo: in caso di non fiction (ma funziona anche per la fiction, sperimentato), ChatGPT struttura anche la trama in capitoli, dando una breve descrizione. Allo scrittore “basta” rimboccare le maniche e procedere.

Migliora il tuo stile

Uno dei vantaggi di ChatGPT è il suo adattamento alla voce e allo stile dello scrittore. Interagendo con il modello, è possibile affinare il proprio stile di scrittura, ricevendo suggerimenti per migliorare la grammatica, il ritmo e la coerenza del testo.

Questo processo di affinamento aiuta gli scrittori a crescere, a superare blocchi creativi e a sviluppare una voce unica.

In effetti, se addestrato, ChatGPT è in grado di scrivere con la nostra voce. Occorre tempo, certo, ma i suggerimenti dell’IA, spesso, sono davvero interessanti (altrettante volte, invece, com’è logico che sia, un po’ banalotti).

Correzione automatica

La correzione automatica di ChatGPT è uno strumento prezioso per migliorare la qualità del testo.

Gli scrittori possono utilizzare questo modello per individuare errori ortografici, grammaticali o di punteggiatura e ricevere suggerimenti per le correzioni. Questo aiuta a risparmiare tempo nella fase di revisione, garantendo che il testo finale sia pulito e professionale.

È davvero interessante, questo aspetto, perché unendo ChatGPT al correttore di Microsoft Word il testo ne esce molto più pulito. Certo (e per fortuna), l’editing richiede ancora competenze umane elevate ed è (per il momento) davvero difficile che la macchina possa sostituire l’uomo.

Esplora nuovi generi e stili

ChatGPT è versatile e può adattarsi a diversi generi e stili di scrittura. Gli scrittori possono utilizzare il modello per sperimentare con nuovi generi letterari o sviluppare voci creative che vanno al di là dei loro comfort zone.

Questa libertà esplorativa aiuta gli autori a crescere e a maturare, aprendo porte verso nuove opportunità creative.

Una volta ho provato a strutturare il plot di un romance: impresa riuscita, anche se è ancora lì, in attesa di essere sviluppato. Non è proprio il mio genere, mi sa 😉

L’utilizzo di ChatGPT nella scrittura creativa, quindi, offre numerosi vantaggi che potenziano la creatività degli scrittori. Dall’ispirazione illimitata alla correzione automatica, passando per l’ottimizzazione dello stile e l’esplorazione di nuovi generi, ChatGPT diventa un alleato affidabile nel percorso di creazione letteraria. Tuttavia, è importante ricordare che, nonostante le potenzialità di questa tecnologia, il vero cuore della scrittura creativa rimane sempre l’immaginazione, il talento e la passione dello scrittore. E, come vedremo in un prossimo articolo, ChatGPT ha potenzialità, ma ancora numerosi limiti.

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Published on August 08, 2023 23:00

August 1, 2023

Il gerundio: come (non) usarlo

Il gerundio è una forma verbale che viene spesso utilizzata in scrittura per descrivere azioni in corso.

Tuttavia, è importante utilizzarlo con cura e attenzione per evitare errori che potrebbero compromettere la chiarezza e l’efficacia del testo.

In questo articolo, esploreremo il modo gerundio e come impiegarlo correttamente, focalizzandoci su tre aspetti per evitare errori antipatici e, purtroppo, comuni.

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Lake Effect Clouds Seen by Satellite by NASA Goddard Photo and Video is licensed under CC-BY 2.0

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Il gerundio è una forma verbale che termina in “-ando” per i verbi della prima coniugazione e “-endo” per quelli della seconda e terza coniugazione. Viene usato per descrivere azioni in corso o simultanee rispetto all’azione principale della frase. Ad esempio, “Stefania camminava ridendo”, in cui “camminava” è l’azione principale e “ridendo” è il gerundio che descrive un’azione in corso contemporanea al camminare.

Il gerundio può essere utilizzato per aggiungere dinamismo e vivacità ai dialoghi e alle descrizioni. Tuttavia, bisogna prestare attenzione a come viene impiegato per evitare errori che possono rendere il testo confusionario, pesante o poco naturale.

Tre errori da evitareSoggetto diverso

A differenza di lingue come l’inglese, ad esempio, il gerundio deve essere usato con lo stesso soggetto della frase principale.

Luca guardava la televisione, sbadigliando.

Questa frase è corretta perché il gerundio riguarda lo stesso soggetto: “Luca” .

La settimana era finita male, non riuscendo a finire i lavori prefissati.

In questo caso, il gerundio non è legato al soggetto della frase principale, ma, si ipotizza, alla persona che sta parlando (non riuscendo io a finire…). Questa costruzione non soltanto è confusionaria, ma anche grammaticalmente sbagliata e va evitata.

Gerundio “multitasking”

Non si può usare il gerundio per azioni che non sono contemporanee.

Luca guardava la televisione, mangiando una mela.

Questa frase è corretta perché è plausibile che Luca riesca a mangiare una mela e a guardare la televisione contemporaneamente.

Luca si alzò dal divano, aprendo la porta.

Questa frase, invece, non va bene, perché prima Luca si alza dal divano, poi apre la porta: non può fare entrambe le cose allo stesso tempo.

Troppe azioni

L’uso eccessivo del gerundio può appesantire il testo e, soprattutto, renderlo poco scorrevole.

Luca si alzò dal divano e aprì la porta, cercando di non far rumore, guardandosi intorno e tremando.

Esprimere troppe azioni consecutive con il gerundio può confondere il lettore e rendere la narrazione poco chiara. Opta per una varietà di costruzioni grammaticali e utilizza il gerundio solo quando è davvero necessario per mantenere l’equilibrio e il ritmo del testo.

Luca si alzò dal divano e aprì la porta. Guardandosi intorno, cercò di non far rumore. Tremava.

In conclusione, il gerundio può certamente arricchire la nostra scrittura, ma va utilizzato con attenzione e consapevolezza. Evitare errori come l’uso del gerundio con soggetti diversi, l’uso per azioni non simultanee e o l’abuso nella narrazione aiuta a mantenere la coerenza e la chiarezza del testo. Impiega il gerundio solo se strettamente necessario; per tutti gli altri casi, affidati alla varietà dei modi verbali della nostra lingua.

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Published on August 01, 2023 23:00

July 25, 2023

4 errori nei dialoghi: quali sono e come evitarli

I dialoghi sono la linfa vitale di una storia e di una narrazione coinvolgente, ma spesso alcuni errori (piccoli, spesso; enormi, altrettanto spesso) possono minare l’efficacia di queste conversazioni tra personaggi.

In questo articolo, esploreremo 4 esempi comuni di errori nei dialoghi e come evitarli.

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Photo by NEOSiAM 2021 on Pexels.com

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Nei dialoghi, è essenziale evitare di sovraccaricare il lettore con informazioni superflue o già note.

È proprio qui, nella provincia di Genova, in Liguria, che durante la Seconda guerra mondiale i cosiddetti ‘pipetti’ attaccavano le persone dall’alto.

Le precisazioni geografiche a cosa servono, se nel testo si evince già che la storia è ambientata a Genova, in Liguria?

Invece, concentriamoci sul nucleo dell’informazione essenziale per la trama.

As you know, Bob…

L’uso del “As you know, Bob” è un errore frequente nei dialoghi, in cui un personaggio spiega a un altro qualcosa che entrambi conoscono già.

Come sapete, vostra maestà, gli Ylsides hanno attaccato il nostro avamposto, che si trova proprio al confine con il regno dei Goblin.

Il riferimento a conoscenze comuni risulta innaturale: quando ti viene la tentazione di scrivere, in un dialogo, “come sai”, fermati: sicuramente stai per dare un’informazione scontata.

È meglio far emergere tali informazioni attraverso azioni, reazioni o confronti con eventi passati.

Informazioni che l’interlocutore conosce già (as you know, parte 2)

I personaggi devono parlarsi come se si stessero scambiando informazioni nuove e rilevanti.

Ho parlato con mio fratello Mario.

Se il personaggio ha solo un fratello, non ha senso specificare il nome o il fatto che sia suo fratello. Mettere solo “Mario”, se è l’unico personaggio a chiamarsi così (il lettore è attento e se ne ricorda) o “mio fratello”, se Mario è il nome anche di un altro personaggio.

Evitare dettagli ridondanti e focalizzarsi su ciò che rende la conversazione interessante e, soprattutto, significativa per la storia.

Anticipazioni di dialoghi

Quando un personaggio anticipa ciò che sta per dire, si crea una doppia esposizione che può risultare poco naturale.

Am Shaegar drizzò la schiena alla richiesta del sovrano e iniziò a raccontare com’era finito lì. «Mi sono svegliato in una prigione goblin e…»

Non ha senso, nella narrazione, scrivere “iniziò a raccontare com’era finito lì”: verrà già scritto nel dialogo!

Altro esempio:

Felnor guardò Am Shaegar e spiegò cosa fosse la meteora. «La meteora è adorata dal culto di Akbaa…»

Anche in questo caso, l’aggiunta di “e spiegò cosa fosse la meteora” è ridondante e, per questo, superflua.

In conclusione, i dialoghi ben scritti sono fondamentali per una scrittura creativa coinvolgente. Evitare informazioni superflue, l’uso di “As you know, Bob”, evitare di dire cose ovvie e di anticipare il dialogo aiuta a creare conversazioni fluide e realistiche tra i personaggi. Prestando attenzione a questi errori, possiamo migliorare la qualità delle nostre storie e garantire che i dialoghi siano una forza trainante per coinvolgere i lettori.

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Published on July 25, 2023 23:00

July 18, 2023

Perché leggere è importante? 3 aspetti chiave

La scrittura creativa è un viaggio affascinante e stimolante verso mondi immaginari e verità nascoste.

Per intraprendere questo percorso con successo, un autore deve innanzitutto nutrire la mente e l’anima con la lettura.

In questo articolo, esploreremo tre aspetti cruciali che sottolineano l’importanza della lettura per scrivere bene.

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Photo by Kinga Longa on Pexels.com

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I libri ben scritti (attenzione! Non necessariamente i libri ben scritti sono bestseller) sono delle vere e proprie fonti di ispirazione per gli aspiranti scrittori.

Offrono un’opportunità di apprendere nuove tecniche di scrittura, arricchire il proprio vocabolario e acquisire uno stile più fluido.

La lettura di autori esperti ci permette di assorbire, quasi inconsciamente, il modo in cui costruiscono le frasi, i dialoghi coinvolgenti e i personaggi tridimensionali.

Ogni libro ben scritto è un tesoro di conoscenze che ci insegna a migliorare la nostra abilità di comunicare emozioni e idee attraverso le parole.

Infatti, a quasi a tutti è stato detto: prendi spunto dai libri che leggi, dai tuoi autori preferiti, e magari scopiazza anche un po’; non è niente di allarmante né di grave. Attingere alla scrittura di autori bravi (ri-attenzione: autori bravi non vuol dire autori bestseller) fortifica il nostro stile, la nostra consapevolezza e la nostra cassetta degli attrezzi (per scrivere).

L’importanza di leggere i classici

La letteratura classica è un patrimonio culturale che va oltre il tempo e lo spazio.

Leggere i classici è fondamentale per uno scrittore, poiché offre una prospettiva storica e artistica che arricchisce la comprensione della letteratura e dell’essere umano.

Le opere classiche sono state tramandate di generazione in generazione proprio perché possiedono elementi intramontabili: personaggi indimenticabili, trame avvincenti, temi universali.

Esplorando i classici, un autore può scoprire nuove idee e trame, trovare ispirazione e capire come la scrittura sia evoluta nel corso dei secoli.

E oserei anche dire: alcuni classici (molti, se non tutti) sono veri e propri corsi di scrittura creativa.

Qualsiasi classico, sia di narrativa italiana sia di narrativa straniera, ha qualcosa da insegnare. Lo so, a scuola ce li hanno spesso imposti, quindi è per questo che consiglio sempre di leggerli (o rileggerli) in età adulta: la prospettiva è (radicalmente) differente.

L’importanza, anche, di leggere libri scritti male…

… per poter dire: io posso fare di meglio!

La lettura di opere meno riuscite, infatti, è altrettanto importante quanto leggere i capolavori.

Questa pratica ci aiuta a sviluppare il senso critico e a individuare gli errori e le debolezze che dobbiamo evitare nel nostro stile.

Trovare un testo scritto in modo approssimativo o poco coinvolgente può spingerci a pensare: “Io posso fare di meglio!”

Questa consapevolezza ci motiva a lavorare sodo per migliorare, a esplorare nuove soluzioni creative e a superare gli ostacoli che incontriamo lungo il nostro percorso; che, per inciso, sono tanti.

In conclusione, leggere è il nutrimento della mente di uno scrittore. La lettura di libri ben scritti arricchisce la nostra abilità di scrivere, mentre i classici ci insegnano le basi della letteratura e ci connettono alle generazioni passate. Allo stesso tempo, esplorare scritti meno riusciti ci stimola a crescere e migliorare costantemente. Quindi, prenditi il tempo per immergerti in libri di vario genere e di diverse epoche, e scoprirai come la lettura diventi il fondamento solido su cui costruire una scrittura creativa (nel senso che “crea”) e coinvolgente. Manuale gratuito di self-publishing

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Published on July 18, 2023 23:00

July 16, 2023

Parole a tu per tu: Iana Pannizzo

Parole a tu per tu è la nuova rubrica letteraria dedicata ad autori e autrici, vecchi e nuovi, famosi ed emergenti. Mi piaceva dar voce a tanti autori e autrici che magari hanno meno spazio in giro per il web, oppure ne hanno già ma un coin in più non poteva che far loro bene… e così ho ideato questa nuova rubrica, in collaborazione con il Collettivo Scrittori Uniti. Sarà a cadenza settimanale, escludendo agosto.

La nostra ospite, oggi, è Iana Pannizzo, autrice, tra l’altro, del recente Per amore di Margot.

Ciao, Iana! Spero tu stia bene. Ti ringrazio di aver acconsentito a questa breve intervista. Iniziamo con una domanda semplice semplice e magari banalotta: da quanto scrivi? Da cosa è nata questa passione?

Ciao Emanuela, sono io che ringrazio te per avermi dato l’occasione di parlare dei miei romanzi. Scrivo da quando ero adolescente. Avevo quindici anni quando scrissi il mio primo lungo racconto che allora intitolai “Quella Casa”. Era di genere gotico. Qualche tempo fa, cercando alcune foto, mi è capitato di rileggerlo. Ovviamente era una scrittura parecchio acerba. Non so da dove sia nata questa passione, probabilmente dai molti libri letti sin dalla tenera età. Allora, come adesso del resto, non avevo molti amici, così la lettura finisce per farti compagnia, evadere dalla realtà e sognare. Da ragazzina amavo leggere Stephen King.

Il romanzo che presenti sul mio blog, Per amore di Margot, affronta un tema difficile: l’elaborazione del lutto. È un argomento che non tutti sentono di poter affrontare? Com’è stato per te?

Questo romanzo nasce dopo la perdita dei miei genitori. Purtroppo non sono il tipo di persona che si abbandona alle lacrime, ma mi sono resa conto che in qualche modo dovevo incanalare questo dolore in qualcosa che mi avrebbe permesso di sfogare tutta l’amarezza. Ovviamente non parla di me e dei miei genitori, ho preferito metabolizzare il lutto attraverso personaggi che si potessero identificare con il lettore. C’è Ugo, ma anche Dalila e Basilio. Tutti e tre hanno perso il loro amore più importante ma ognuno reagisce in maniera diversa. Ci sono diverse filosofie di pensiero tra i personaggi. Lo scopo del romanzo è quello di indurre il lettore a porsi delle domande, a riflettere sui valori della vita, ma non solo. Vedi, quando perdiamo qualcuno è troppo facile che gli altri ci dicano che il tempo lenisce tutte le ferite, che il dolore passerà con gli anni. Quello che non capisce la gente è che molte persone vanno davvero aiutate, che restano ferme e non vanno più avanti. Certi dolori hanno bisogno di essere sfogati, urlati, ma si ha paura e così all’improvviso colui che soffre diventa “l’alieno” con i quale ci si sente a disagio. Ed ecco perché è un argomento che non tutti sentono di poter affrontare. Perché si ha paura di guardarsi dentro.

Ci lasci un estratto del romanzo, così che il lettore possa leggerlo?

Certamente. Scelgo questo estratto perché in questo capitolo due persone che hanno subito la stessa perdita, la persona amata, hanno pensieri e reazioni diverse.

Ugo se ne stava seduto in silenzio sul bordo di una sedia a sdraio che aveva tirato fuori da un capannone. Stava pensando alla sua Margot da qualche parte in un universo parallelo. Aveva sparso le sue ceneri sperando in una sua apparizione ma lei non si era palesata neanche in sogno. Gli sembrava di impazzire. Voleva rivederla a tutti i costi. Dove si trovava adesso? Gli mancava come l’aria. Dalila, che era rimasta fuori ad aspettare che Antonio andasse via con la sua barca solo per seguirlo con lo sguardo, decise di fargli compagnia. Prese anche lei una sedia dal capannone e si sedette. Aveva la schiena sempre più dolorante e le gambe gonfie. Chiuse gli occhi per un istante.

– Mi dispiace che tu stia così male, Ugo. Io posso capirti. Anche se sono passati molti anni, mio marito mi manca come il primo giorno. Ma non fare il mio stesso errore, non smettere di vivere per rincorrere un ricordo.

– Esiste il paradiso, Dalila? Esiste Dio?

– Non lo so. Paradiso e inferno sono proiezioni della nostra mente, Ugo. Si forma tutto nella nostra testa e ci appigliamo a qualsiasi cosa pur di non perdere il contatto con chi ci ha lasciato. Quando ho perso mio marito avrei voluto morire anch’io. Ho pensato tante volte di togliermi la vita per non soffrire più, che non ci fosse più ragione di vivere. Ma sono ancora qui. Il richiamo della vita è stato più forte. Sono stata una vigliacca? Non lo so. Quel che so è che ho smesso di vivere e non ho più conosciuto l’amore da quando sono rimasta vedova.

– Non ne avevo idea, Dalila. Mi dispiace tanto.

– Non devi dispiacerti. Le cose brutte accadono. La vita prende e la vita dà. Si gioisce e si piange e tu devi solo accettare il tuo destino perché non ci puoi fare niente.

Dalila chiuse gli occhi e rivide sé stessa il giorno del suo matrimonio, con l’abito bianco lungo e stretto in vita, i lunghi capelli biondi raccolti in uno chignon. Rivide suo marito bello come il sole e tutti gli invitati sorridenti che applaudivano fuori dalla chiesa. Gli invitati, la funzione, gli anelli e i chicchi di riso fuori dalla chiesa. Era un giorno di primavera e lei sorrideva ignara del destino avverso che si sarebbe abbattuto su di lei come un tornado che tutto distrugge e porta via.

– Mi chiedi se esiste Dio. Non lo so. La fede l’ho perduta molti anni fa. Ho sempre cercato delle risposte senza mai trovarle. La vita è ingiusta, Ugo ma noi dobbiamo vivere ugualmente.

– Cosa dovrei fare secondo te? Lasciarmi alle spalle Margot?

– Margot sarà sempre una parte di te e non smetterà mai di esserlo. Con il tempo diventerà un ricordo tenero, sarà la proiezione della tua malinconia nei gesti quotidiani. Tu sei ancora giovane, Ugo. Non sprecare la possibilità di essere nuovamente felice.

Ugo pensò a Fernanda e come quella notte se n’era andato via come un ladro. Per un attimo provò vergogna per il suo comportamento.

– Negli ultimi mesi ho conosciuto una donna, ma non è la stessa cosa, non è la mia Margot.

– È naturale. Nessuna mai sarà Margot.

Dalila si girò in direzione dell’albergo e si accorse che Antonio era andato via. Non aveva fatto caso alla sua barca che si allontanava verso la sponda opposta del lago. Si rammaricò per questo. Si strinse ancora di più nella sciarpa. Una coltre spessa di nebbia nascondeva le montagne. Si alzò e rimise a posto la sedia a sdraio.

– Datti la possibilità di vivere ancora, Ugo. Non fare il mio stesso sbaglio.

Per amore di Margot non è il primo romanzo che hai pubblicato. Ho trovato interessante anche Storie dell’altra favola. Di retelling ce ne sono tantissimi (oserei dire ahimè): cosa ti ha spinto a metterti in gioco anche in questo caso?

Ho sempre amato le favole, ma volevo spezzare il cliché del bello, buono e simpatico a tutti i costi. E cosa c’è di meglio di una principessa o dell’innocente cappuccetto rosso, che tra l’altro è la mia favola preferita. Ho umanizzato i personaggi e storpiato le favole perché come lessi qualche tempo fa, siamo tutti buoni o cattivi, dipende chi scrive la favola. Niente di più vero. In questi cinque racconti, cappuccetto rosso non è certo una bambina e neanche così innocente così come la bella Biancaneve. Sono storie a sfondo psicologico che prendono in esame il potenziale aggressivo che vive in ognuno di noi, perché noi vogliamo essere sempre i buoni ma spesso non lo siamo e dobbiamo rendercene conto.

Come scrittrice, hai particolari routine che vuoi condividere con noi?

Nessuna routine particolare. Di solito, quando rimango da sola a casa mi preparo una bella tazza di caffè e comincio ad ascoltare la musica adatta che potrebbe ispirarmi. Mi preparo una scaletta con degli argomenti da sviluppare e traccio i lineamenti fisici dei personaggi. Scrivo in inverno perché in estate mi dedico alla lettura e soprattutto alle mie figlie che sono in vacanza. Prendo degli appunti però e faccio molte ricerche. Il prossimo romanzo sarà nuovamente a sfondo gotico.

Tutti i tuoi romanzi sono autopubblicati. Che cosa pensi dell’autopubblicazione italiana del 2023? Sei stata anche nell’area Self del recente Salone del Libro. Che esperienza è stata?

Il self publishing sta prendendo una piega vertiginosa tra gli autori. Se da un lato credo sia un bene per chi, come me, realizza il sogno di vedere il proprio romanzo pubblicato, dall’altro forse ci si dovrebbe concentrare di più su prodotti che abbiano davvero qualcosa da dire. Troviamo davvero di tutto. Per fortuna ci sono anche storie interessanti ed autori davvero molto bravi.

Quella del Salone del Libro 2023 è stata un’esperienza molto utile dal mio punto di vista e non finirò mai di ringraziare il Collettivo Scrittori Uniti per avermi dato l’opportunità di parteciparvi.  Ho conosciuto molti autori simpatici ma anche pronti a tutto pur di vendere il loro libro e mettersi in mostra. Andare al Salone comunque è una crescita personale e anche se vendi poche copie va bene lo stesso. Prendi coscienza della gente, della tipologia del lettore, impari a proporti, a rapportarti anche con gli altri autori così diversi da te, a chiederti infine, perché continui a scrivere, a crederci nonostante le delusioni. Io mi sono posta la domanda parecchie volte e tutte le volte non ho trovato che una sola risposta: scrivo perché ho qualcosa da dire.

L'articolo Parole a tu per tu: Iana Pannizzo proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.

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Published on July 16, 2023 06:21

July 11, 2023

Un ordine che ha senso

La scrittura è richiede non solo creatività, ma anche precisione e cura nella scelta delle parole.

Un aspetto fondamentale per ottenere un testo fluente e coerente è l’ordine delle azioni e degli aggettivi.

In questo articolo, esploreremo quattro principi chiave per uno stile di scrittura efficace.

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Photo by Archie Binamira on Pexels.com

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Il primo principio riguarda l’uso degli aggettivi.

Quando si utilizzano più aggettivi per descrivere qualcosa, è importante inserirli in un ordine che abbia senso.

Ad esempio, se vogliamo descrivere una rivelazione, possiamo definirla prima “inaspettata” e poi “sconcertante”, e non il contrario: prima la rivelazione, per me, sarà inaspettata, soltanto dopo sarà sconcertante.

Oppure, per descrivere un gelato, o una torta, diremo: una torta bella e gustosa, e non il contrario, perché prima vediamo la torta, e dopo la assaporiamo.

Questo ordine di senso rende ogni frase più fluida e comprensibile per il lettore. È un dettaglio, lo so, ma spesso i dettagli fanno la differenza; così si dice, no?

Sequenze di azioni

Il secondo principio riguarda le sequenze di azioni

Le azioni dovrebbero seguire un ordine logico, proprio come le pedine di un dominio.

Ad esempio, invece di scrivere Mario uscì dalla stanza aprendo la porta, è preferibile utilizzare una sequenza più chiara e ordinata come Mario aprì la porta e uscì dalla stanza.

Prima apre la porta, poi esce dalla stanza.

Inoltre, è consigliabile evitare l’uso eccessivo del gerundio, che dovrebbe essere impiegato con parsimonia. Ad esempio, invece di scrivere i suoi occhi si riempirono di affetto, pensando al loro amore, è meglio scrivere pensò al loro amore e gli occhi si riempiono di affetto.

Azioni… che tornano indietro

Immaginiamo di voler far chiamare Mario da qualcuno, ma nel momento in cui fa partire la chiamata, viene interrotto.

La domanda è: lo chiama o no? Come lo dobbiamo rendere chiaro al lettore

È importante seguire l’ordine delle azioni e non tornare indietro. Se scriviamo “chiama Mario”, il lettore si aspetterà che la chiamata venga effettuata, non che venga solo avviata e poi interrotta.

Quindi, è necessario mantenere la coerenza e la progressione logica delle azioni nel testo. Qui, possiamo usare verbi deboli come provare a: Mario provò a chiamare Luigi, ma venne interrotto.

Dopo… dopo… dopo…

Prendiamo la frase: dopo aver aperto il cancello, Luigi uscì. Frasi come queste rallentano il ritmo della lettura e possono rendere il testo meno scorrevole. È preferibile utilizzare una forma più diretta e concisa.

Ad esempio, invece di scrivere dopo aver aperto il cancello, Luigi corse in strada, possiamo semplicemente scrivere Luigi aprì il cancello e corse in strada. In questo modo, eliminiamo l’inutile “dopo” e rendiamo il testo più vivace e coinvolgente.

In conclusione, uno stile di scrittura efficace richiede l’ordine delle azioni e degli aggettivi che abbiano un senso logico. Dobbiamo evitare di mescolare le sequenze di azioni, mantenere la coerenza delle azioni svolte e utilizzare espressioni più concise e dirette. Questi principi aiutano a creare testi scorrevoli, comprensibili e coinvolgenti per i lettori. Ricordiamoci che la scrittura è un’arte, e l’arte richiede disciplina e cura nei dettagli.

L'articolo Un ordine che ha senso proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.

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Published on July 11, 2023 23:00

June 30, 2023

Parole a tu per tu: Chiara Domeniconi

Parole a tu per tu è la nuova rubrica letteraria dedicata ad autori e autrici, vecchi e nuovi, famosi ed emergenti. Mi piaceva dar voce a tanti autori e autrici che magari hanno meno spazio in giro per il web, oppure ne hanno già ma un coin in più non poteva che far loro bene… e così ho ideato questa nuova rubrica, in collaborazione con il Collettivo Scrittori Uniti. Sarà a cadenza settimanale, escludendo agosto.

Oggi, la nostra prima ospite è Chiara Domeniconi, autrice di libri autobiografici e di poesie.

Il libro di cui ci parla, nello specifico, è la silloge Mani in Extasy, selezionato per partecipare al Premio Strega Poesie.

Ciao, Chiara, come stai? Ti ringrazio di aver acconsentito a partecipare a questa intervista. La prima domanda che ti faccio è semplice. Scrivere poesie è difficile e si rischia spesso di cadere nei cliché o nella banalità. Cosa ti ha spinto a scrivere questa raccolta?

Ciao, sto bene, grazie a te. Più che spingermi qualcosa sono nate dentro di me come capita spesso con quello che scrivo, o ancora, come qualcosa che fosse già lì e avesse la necessità di venire fuori. Anche se lo posso considerare il giusto seguito di Come un chiodo nella carne, il mio libro autobiografico del 2020. 

 C’è un messaggio dietro ogni poesia e in generale dietro ogni silloge. Non voglio tanto che tu ci dica qual è il tuo quanto che tu ce lo mostri con una breve poesia, o un estratto, da Mani in Extasy.

Lo posso dire con una delle mie poesie preferite, “BlasfeMia”. È negli incroci che succedono le cose…Cioè… sono proprio e per assurdo le croci che ci portiamo sulle spalle il sale della vita, gli incroci di fatti, situazioni, persone, gioia e dolore. Vita e morte. Nella vita sì che bisogna mischiare! Sennò non c’è gusto, nel bene e nel male.

“BlasfeMia”

Credo.

Perché è nelle cose che si incrociano

che succedono le cose.

Così, per caso, o no.

Così per volontà casuale o voluta.

Così, perché si fa o arriva.

La vita è fatta di croci e incroci.

Di chiodi che ti si infilano nella carne e nelle ossa.

Per il cambiamento.

Perché la morte fa più paura quando si è felici e

allora meglio tenersi il dolore e vivere e morire

tristi.

In croce. Inchiodati alla vita.

E fanno male i chiodi quando dicono la verità

proprio nel momento più bello.

Quando ti ricordano che l’inferno e il paradiso

sono sulla terra e la vera morte e già dentro la vita e

Dio Sei tu, la tua extasy e la tua salvezza e

resurrezione.

La vita è fatta di croci e incroci tra uomini e donne

che possono chiudere o separare mari e moltiplicare

pani e pesci e ridare la vista ai ciechi senza far

aprire loro gli occhi.

Perché abbiamo tutti paura.

Perché siamo tutti su croci, con o senza buoni o

cattivi chiodi, tutti i giorni, lungo incroci di

uomini e donne e azioni e fatti.

La tua silloge è stata candidata al Premio Strega Poesia di quest’anno. Come ti senti? È un bel traguardo!

Felice, mi sento felice e nel posto giusto. Una bella sensazione, una bella tappa più che un traguardo. Niente finisce e niente inizia. È tutto un continuo. Crediamo e ci disperiamo che le cose finiscano, spariscano e si distruggano, ma è solo viaggio, cambiamento e trasformazione. Nessuna meta, nessuna morte.

Parliamo di te come scrittrice. Oltre a Mani in Extasy, hai pubblicato svariati romanzi, tra cui Diversamente abile e Come un chiodo nella carne. Entrambi affrontano temi difficili, come la disabilità e l’anoressia. Cosa ti ha spinto a toccare argomenti che spesso, purtroppo, sono ancora tabù?

Li ho vissuti, questo mi ha spinto in primis. E vedendo appunto quanto sono ancora tabù, questo mi ha motivato maggiormente a scrivere e a non smettere di farlo.

A me piace molto conoscere vizi, tic e routine di ogni scrittore. Tu ne hai? Scrivi a ore particolari? Hai qualche routine? Ti dai scadenze?

Notte. Ho sempre dormito poco, fin da piccola. Ora, da grande, ancora meno. Mi sveglio alle tre: gatto, sigarette, caffè. Occhiali… Un’occhiata alle scorpacciate di chef Rubio in trattoria per distrarmi. Guardo poco la tv. Scadenze solo con le case editrici, le riviste, le presentazioni. Per passione, ovviamente, no. Anche se poi molto verrà usato anche per “lavoro”.

E veniamo alla domanda scomoda, ne farò una per ogni intervista e non potete sfuggirmi 😊 Cosa ne pensi dell’editoria di oggi? La trovi troppo commerciale, troppo consumistica?

Forse sì. Molte pubblicazioni simili ma ci sono tante case editrici che sanno fare il loro dovere e stanno emergendo. Credo la gente capirà, possa capirne il valore e farle uscire dalla nicchia finalmente e prima o poi.

Cosa c’è nel futuro di Chiara Domeniconi autrice? Ci fai uno spoiler?

Un’altra silloge a marchio SBS, presentazioni in giro per l’Italia, con la mia agente Sheyla Bobba e il Collettivo Scrittori Uniti con cui parteciperò anche al contest di Noale il 15 settembre. Ho qualche idea che mi frulla per la testa tra musica e teatro…

Grazie, Chiara!

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Published on June 30, 2023 23:00

June 20, 2023

Ho voglia di smettere

Penso che chiunque, scrittore indie o pubblicato da una casa editrice, si sia trovato davanti a questo momento critico.

Perché scrivo, se non mi legge nessuno?

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Photo by Rafael Cerqueira on Pexels.com

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Dopo l’ultima esperienza al Salone del Libro di Torino, nella libreria Self, che è stata per me fallimentare sotto ogni aspetto (organizzazione, vendite, lato “umano”), ma di cui ho deciso di non parlare dopo una riflessione lunga un mese, mi sono posta questa scomoda domanda: perché continuare a scrivere se nessuno legge? Che senso ha comunicare messaggi che solo una decina di persone riceverà?

In effetti, questa è una questione che affligge molti scrittori, sia self/indie che pubblicati da case editrici. Vorrei fare una precisazione: sto parlando di autori poco conosciuti, non di quelli che hanno successo (sia nel self-publishing siacon le case editrici) e che quindi hanno un vasto pubblico e riscontri positivi. Spesso, il cosiddetto “plancton” letterario si stanca dopo qualche anno e lascia tutto perdere.

Tempo fa, stavo conversando con un’autrice che mi ha confidato di essere tentata di smettere di scrivere. Vendeva poco e non riceveva molte gratificazioni, quindi non vedeva più un motivo per continuare. All’epoca, ero sorpresa perché avevo appena iniziato a lavorare nel mondo editoriale, sia come professionista che come aspirante scrittrice, ed ero entusiasta. Mi chiedevo come fosse possibile smettere di scrivere. La mia risposta era “mai!”

Ora, invece, capisco quella scrittrice e molti altri autori che, scoraggiati, si sono dedicati ad altre cose. Il lavoro editoriale che svolgo da anni, fortunatamente, mi dà sempre grandi soddisfazioni (non solo economiche, ma anche personali), mentre scrivere diventa sempre più difficile.

Arrivo al punto da pensare: domani smetterò.

Che fare?

Mi trovo nella situazione di molti altri autori ed è difficile trovare la motivazione per continuare a scrivere e dare consigli a chi si trova nella mia stessa situazione. In effetti, questo articolo è uno dei pochi che parla principalmente di me. Spero di non annoiarti!

Ho diversi progetti in corso: un romanzo terminato, una raccolta di racconti quasi completata, una raccolta di poesie (che dovrei pubblicare ma che non ho il coraggio di dare in pasto agli squali, siccome è molto intimista) e tre romanzi in lavorazione. Potresti dirmi: “Be’, non sei messa così male.”

Tuttavia, mi manca la forza (e la volontà) di fare il passo successivo: pubblicare o inviare i miei scritti a un editore o a un agente. Ciò che mi blocca è sapere che, a parte i soliti lettori fedeli (che per fortuna non sono pochi), nessun altro avrà il piacere (o il dispiacere) di leggere le mie opere. Mi chiedo: dopo che i miei affezionati lettori avranno letto il libro, chi altro lo leggerà? O meglio ancora, lo leggerà qualcun altro? O finirà per diventare plancton letterario, fagocitato da un pesce più grande?

Certo, più di una persona dirà: va be’, ma uno scrive soprattutto per se stesso. Non sono d’accordo. Io ho sempre scritto per gli altri, per aiutarli (coi manuali) e per dar loro un messaggio. Se scrivessi per me, continuerei con i diari che ho dal 2000.

Questo è un periodo di riflessione, di attesa. Di nuovo. Forse, il consiglio che mi sento di dare è quello di aspettare. La crisi potrebbe essere temporanea e magari tra un mese, cinque o un anno, il mio stato d’animo sarà diverso.

Spero che sia così.

Per il resto, ringrazio tutti coloro che hanno letto i miei libri e che magari li leggeranno in futuro. Chiudo le persiane e lascio che solo una sottile lama di luce accarezzi il cassetto in cui ripongo i miei manoscritti.

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Published on June 20, 2023 23:00

June 13, 2023

Come (non) uccidere la tensione

La tensione si crea con poche frasi, ma con altrettante si uccide.

Saper dosare il detto e il non detto è fondamentale per creare quel senso di attesa nel lettore che lo spingerà a proseguire la lettura.

Se invece si vuole a tutti i costi spiegare, o anche solo mostrare troppo, la maschera cala rivelando l’inganno.

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Photo by Eneida Nieves on Pexels.com

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Che cos’è la tensione in una storia? Questa volta preferisco prima mostrarla con un esempio, e soltanto dopo dare qualche cenno teorico.

Gli estratti sono di Ancient Lights di Algernon Blackwood, racconto contenuto in Selve Oscure (Abeditore, a cura de La bottega dei traduttori). Il protagonista è un perito agrimensore che deve incontrare il proprietario di una casa deciso a far abbattere il bosco lì vicino. Il protagonista, recandosi presso l’abitazione dell’uomo, si imbatte nel bosco in questione e decide di visitarlo.

Tuttavia, nell’attimo in cui si addentrò tra gli alberi, il vento cessò di ululare e una quiete immobile calò sul mondo […]. Si tamponò la fronte e si rimise il cappello verde di feltro, ma un ramo basso glielo fece subito volar via dal capo e, mentre si chinava, un ramoscello oscillò come un elastico e lo colpì in faccia.

È chiaro, anche se l’autore non ce lo dice espressamente, che non tutto nel bosco è come sembra: il fatto che il vento cessi di ululare e che cali una quiete immobile è il sipario che si alza su una scena, o una soglia che conduce da un posto all’altro. Fondamentale in narrativa e imprescindibile nei passaggi di tensione. In questa prima parte, però, nulla ancora ci fa capire che cosa dovremo aspettarci. Anzi, subito dopo Blackwood smorza la tensione:

Ai margini del sentiero c’erano dei fiori, su entrambi i lati s’intravedevano alcune radure, curve di felci ricoprivano gli angoli più umidi, e l’odore di terra e fogliame era ricco e dolce […]. “Che boschetto incantevole,” pensò mentre svoltava verso uno spiazzo dove la luce tremolava come ali argentate.

Piano piano, però, a questa sensazione di tranquillità si aggiunge un senso di straniamento. Non paura, non ancora, ma l’impressione, già avuta all’inizio, che non tutto è come sembra.

Un fruscio agitò le felci e il fogliame, qualcosa sfrecciò sul sentiero una decina di iarde più avanti, si fermò di colpo con il capo inclinato per guardare, poi si rituffò nel sottobosco con la rapidità di un’ombra. L’uomo sussultò come un bambino spaventato, per ridere subito dopo di quel suo sobbalzo causato da un semplice fagiano [da notare i continui rilanci e cali di tensione]. Udì il suono distante di ruote su strada e si chiese perché lo trovasse così piacevole. «Il buon vecchio macellaio con il suo carretto,» si disse, e poi si rese conto di aver preso la direzione sbagliata e che aveva finito con il perdersi. La strada avrebbe dovuto essere alle sue spalle, non davanti a lui.

A poco a poco, il nostro protagonista capisce non solo di essersi perso, ma di non riuscire assolutamente a ritrovare l’uscita. E il pensiero che va al mondo esterno, richiamato da alcune frasi e parole, fa emergere il disagio, disagio che aumenta (pari passo con la tensione) allorché il protagonista si accorge di un individuo davanti a sé:

«Sto andando alla fattoria del signor Lumley,» spiegò. «Questo è il suo bosco, credo…» e poi si interruppe, perché non si trattava affatto di un uomo, ma solamente di un gioco di luci, ombre e fogliame. […]Eppure, era straordinario il modo in cui la mente poteva essere doppiamente ingannata, perché gli sembrò quasi che l’uomo avesse risposto, che avesse parlato – o forse era solo il frusciare dei rami? […]. Le parole gli risuonarono in testa, ma certo era solo la sua immaginazione: «No, non è il suo bosco. È il nostro.»

Da qui in poi, il racconto prende un crescendo di tensione sempre maggiore fino a raggiungere il climax. Da notare come, fino alle battute finali, non si sappia effettivamente se il bosco sia infestato o se è solo l’immaginazione del protagonista. E anche in questo caso, non arriva una spiegazione bensì un accenno che lascia il lettore libero di decidere.

Mostrare la tensione (non raccontarla!)

Questo esempio, sebbene lungo, spero abbia chiarito, più di una o due frasi teoriche, che cosa sia la tensione in una storia e soprattutto come questa debba essere scritta. Ho preso come esempio un racconto fantastico perché l’ho letto proprio ieri e mi ha dato lo spunto per questo articolo, ma la tensione è presente in qualsiasi genere.

Scrivere una scena di tensione (o un intero racconto, come nel nostro esempio) è allora dare un sentore di qualcosa (di sbagliato, di diverso, di preoccupante), senza dire che cosa, fino a quando questo qualcosa non emergerà con prepotenza, spiazzandolo.

Una scena particolarmente riuscita di tensione non dovrebbe mai dire chiaramente che c’è tensione ma mostrarla (logico!) e soprattutto farla percepire. È come quando qualcosa, ad esempio, ci spaventa: non pensiamo “sono spaventato” ma proviamo lo spavento; non pensiamo, o almeno non subito, nel qui e ora, “questa cosa mi spaventa”, ma sentiamo, vediamo, percepiamo qualcosa che ci farà compiere determinate azioni.

Da notare come Blackwood, nemmeno una volta, descrive lo stato d’animo del protagonista. Si limita a descrivere, invece, quello che gli accade: quello che vede, che sente, e come reagisce. Spesso usa l’esitazione, altrettanto spesso dosa alti e bassi, ma mai spiega.

Spiegare la tensione è ucciderla

In qualsiasi scena di tensione, quindi, l’errore da non fare è spiegarla, forzare il lettore dicendogli: “Ehi, guarda che accadrà qualcosa, fa’ attenzione!”. Il lettore vuole vivere il qualcosa, non saperlo già prima.

Non sono una da “golden rules”, ma in questo caso ne ho trovate tre.

Ribattere sempre su qualcosa vuol dire annoiare.

Il lettore odia sentirsi spiegare le cose. È sufficientemente intelligente da arrivare da solo da A a B senza che l’autore lo prenda per mano; anzi, se si sente preso per mano si arrabbia. Il fatto che, mentre scrive una scena di tensione, l’autore ribatta sempre su qualcosa (lo stato d’animo del protagonista, ad esempio, o l’ambiente ch’egli ha intorno…) non aumenta la tensione ma la riduce in maniera drastica. È come se Blackwood avesse scritto, nel racconto, ogni tre righe: l’uomo era agitato; l’uomo si sentiva preoccupato; l’ansia stava salendo in lui, eccetera.

Calcare troppo su qualcosa vuol dire anticiparlo.

Anche calcare troppo su un aspetto della tensione non va bene: stiamo anticipando. Se il protagonista di Ancien Lights avesse visto il bosco e si fosse detto: è bello ma c’è qualcosa di strano, questo avrebbe fatto sì capire che qualcosa non andava, ma avrebbe anticipato con una frase l’intero senso dell’intero racconto. Giocare sul non detto, invece, permette alla tensione di fluire, aumentare, rompere l’argine.

Anticipare vuol dire uccidere la tensione.

Arriviamo all’ultima delle golden rules. Anticipare è uccidere la tensione. Non bisogna mai, ma mai, farlo. Già anticipare qualcosa è sbagliato, perché, a meno di rari casi, se anticipo poi non ho più bisogno di mostrare dopo, e magari andava fatto il contrario. Se anticipo scrivendo: l’uomo entrò nel bosco e si accorse subito che c’era qualcosa di strano, mi sono perso una buona parte dei lettori più esigenti.

Che, si sa, sono i migliori con cui confrontarsi.

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Published on June 13, 2023 23:00

June 6, 2023

Gli altri inganni del tell (sono sconvolta!)

Mostra, non raccontare: è una delle “golden rules” della scrittura creativa.

A volte è necessario seguirla alla lettera, altre c’è un certo margine di… manovra.

Oggi vediamo quando è bene evitare appendici del tell.

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Photo by Matt Hardy on Pexels.com

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Ho scritto già parecchio sullo show, don’t tell, ma sono argomenti di cui puoi parlarne per giorni e giorni e avrai sempre qualcosa di nuovo da dire. Anche perché, come tanti altri difetti, anche il tell si spande a macchia d’olio: lo leggo dappertutto e allora lo uso anche io.

Sì, perché il tell non solo è un difetto, in alcuni casi, di stile a livello macro, ma anche un difetto di stile a livello micro. In questo caso, però, è anche più semplice evitarlo.

Sono sconvolto

C’è stato un periodo, qualche annetto fa, in cui in ogni romanzo che leggevo ogni personaggio era sconvolto, per diverse situazioni. In un testo, addirittura, la protagonista era sconvolta dall’inizio alla fine della storia. Sembrava che questo aggettivo venisse usato a mo’ di intercalare! Tanto per citare un esempio, il partner della protagonista decide di lasciarla, e lo fa, lasciandola… sola e sconvolta.

Se proprio non ci entra in testa di usare poco il tell e preferiamo usare aggettivi invece di mostrare (e comunque non è un errore, attenzione!), almeno apriamo il dizionario dei sinonimi e contrari!

Infatti, ho fatto l’esempio di “sconvolto”, ma potrei menzionarne tantissimi altri, come: confuso, curioso, scosso, felice, contento, gioioso…

Con voce… con sguardo…

Talvolta l’escamotage dello scrittore, per evitare ad esempio avverbi (una scrittura raccontata soffre spesso di “enteologia”), si fa ricorso ad alcune locuzioni.


Maria guardò Mario con sguardo accorato.


«Be’, il proverbio parla chiaro: chi non muore si rivede… per ora» disse Luigi con voce tagliente.


Attenzione! Usare locuzioni di questo tipo non è un errore perché danno comunque un certo tono al personaggio. Tuttavia, abusarne è scorretto.

Se in ogni dialogo o in ogni azione usiamo queste locuzioni, anche se non soffriamo di “enteologia” è pur sempre un sinonimo di malattia da tell.

All’inverosimile, oltre l’inverosimile

C’è spesso un uso frequente di “all’inverosimile” o “oltre l’inverosimile” per enfatizzare un’azione, uno stato d’animo. Anche in questo caso, però, siamo a rischio tell.


Luigi era furioso oltre l’inverosimile.


Mario urlò all’inverosimile.


Okay che “inverosimile” indica qualcosa che non è vero, reale, e quindi in questi casi in esempio indica essere davvero furiosi o urlare tanto o con voce molto alta; tuttavia, non rende l’idea del sentimento provato dal personaggio o dell’impatto dell’azione svolta e quindi è bene evitarlo, preferendo mostrare sentimento e azione.

-issimo

Anche l’uso di superlativi è frequentissimo (!) in scritture che soffrono di tell, e anche in questo caso per enfatizzare.


Mario e Maria si abbracciarono fortissimo.


Quella situazione mi aveva reso scocciatissimo.


Mi lanciò un’occhiata seccatissima.


Per non parlare, poi, del passe-partout bellissimo/a che viene usato spesso a mo’ di riempitivo… e che quando lo leggo sento i vermi rosicchiarmi la pancia…

Il consiglio è sempre lo stesso: mostrare.

Questi esempi fanno capire come, se da un lato a volte è tollerato l’uso del tell (come nel caso di “con voce”, “con sguardo”), in altri è preferibile evitare, modificare la frase e renderla più incisiva. Non sempre, d’accordo, perché non tutto un testo può essere in show, ma almeno un po’. Troppo tell rallenta la lettura, non fa immedesimare il lettore e alla lunga potrebbe annoiarlo.

L'articolo Gli altri inganni del tell (sono sconvolta!) proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.

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Published on June 06, 2023 23:00