Emanuela Navone's Blog, page 35

July 22, 2018

Le 3 migliori piattaforme print on demand

Piattaforme print on demand: quale scegliere?

Nell’articolo di oggi ho voluto riassumere la mia esperienza con tre delle principali piattaforme print on demand eper aiutarti a scegliere quella giusta per te.


Sono tantissime le piattaforme print on demand, alcune funzionano come vere e proprie realtà editoriali, altre sono più limitate.


Ognuna, però, ha qualcosa che la differenzia dalle altre, e quindi scegliere può risultare più difficile, soprattutto se sei alle prime armi.


Per questo ho scritto questo articolo: per aiutarti a scegliere la piattaforma più adatta alle tue esigenze.


Iniziamo, allora.


Che cos’è una piattaforma print on demand?

Innanzitutto, cerchiamo di capire che cosa sono le piattaforme print on demand e perché sono utilissime per il self-publishing e ti evitano uno spreco di soldi.


Per spiegarlo, partirò dalle tipografie classiche, quelle che stampano un numero di copie a richiesta.


Ad esempio, hai appena pubblicato il tuo libro e vuoi anche qualche copia cartacea da vendere, oppure vuoi vendere il libro “fisicamente”, oltre all’e-book.


Una tipografia, sia digitale sia fisica, stamperà il numero richiesto di copie, e tu potrai farne l’uso che desideri: venderle per conto tuo oppure chiedere un conto vendita alle librerie.


Questo processo funziona, ma è lungo e dispendioso: lungo, perché per cercare le librerie che accettano conti vendita è difficile e prende tempo, dispendioso perché anche solo stampare una decina di copie da vendere per conto tuo costa. Inoltre, corri sempre il rischio di non riuscire a vendere, e ti rimangono delle copie a casa, che rischiano di prendere polvere.


Una casa editrice piccola, che magari non ha distribuzione, deve muoversi così: stampare le copie che decide di mettere in circolazione (e quindi qui parliamo di molte copie) e cercare conti vendita o canali aperti con le librerie. Spesso, purtroppo, capita che alcune (a volte anche tante) copie non sono vendute, e rimangono in magazzino. Di nuovo, a prendere polvere.


Per fortuna, negli ultimi anni sono nate le piattaforme di print on demand che semplificano molto il sistema di distribuzione, e fanno sprecare meno soldi, tempo e spazio (lo spazio dove accatasti le copie invendute).


Che cos’è, allora, una piattaforma print on demand?


È semplice. Una piattaforma print on demand stampa solo le copie richieste dai librai o effettivamente vendute.


Un breve esempio.


Hai il cartaceo del tuo libro e lo vuoi mettere in distribuzione. Dopo aver ottenuto il codice ISBN (che, lo ricordo, è essenziale affinché il tuo libro possa essere distribuito), carichi il file su una piattaforma print on demand. Questa stamperà le copie cartacee solo se richieste da un librario o vendute: non avrai, così, né il compito di cercare librerie che tengano il tuo libro, né copie in più di cui non sai cosa fare perché non riesci a venderle. Inoltre, sarà la piattaforma stessa a inviare le copie richieste o vendute; tu non dovrai fare nulla.


Più comodo e veloce, no?


Adesso vediamo nello specifico come funzionano alcune piattaforme POD.


Ne ho scelte tre, quelle che uso maggiormente.


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Amazon Kindle Direct Publishing – funzionalità BETA

Di recente, KDP ha integrato la pubblicazione con la funzionalità BETA, che ti permette di pubblicare anche la versione cartacea del tuo libro senza passare da Createspace.


Questa funzionalità, come ho scritto nell’articolo dedicato, è davvero semplice da usare e i tempi di implementazione dell’ordine sono brevi, una settimana-dieci giorni.


Una volta creata la versione Kindle del libro, sulla homepage troverai la sezione dove caricare il file per il cartaceo. Il procedimento è lo stesso per il digitale: dovrai inserire autore, sinossi, categorie, tag… In più, se non sei esperto di grafica, potrai scegliere la creazione guidata della tua copertina (come per il digitale).


Una volta caricato il file per il cartaceo, Amazon lo controllerà e ti permetterà di visionarlo pagina per pagina, prima di dare l’okay alla stampa.


Questo processo è importantissimo e Amazon ti blocca se qualche aspetto del libro non va bene: ad esempio, se ci sono più di tre pagine vuote, o se le eventuali immagini inserite eccedono i limiti della pagina.


Altro aspetto importante: Amazon ti assegna il codice ISBN gratuitamente.


In base al numero di pagine, KDP si prende un tot. per la stampa di ciascuna copia (ad esempio: per un libro di 250 pagine i costi di stampa sono di 3,50 euro circa). Le royalties sono al 60% e variano in base ai costi di stampa. Sempre per l’esempio precedente, un libro di 250 pagine ti farà guadagnare sui 3,50 euro circa a copia.


In questa pagina troverai tutte le informazioni relative ai guadagni della funzionalità BETA di KDP.


Purtroppo, il mercato di vendita di KDP è solo Amazon: non troverai il tuo libro altrove, né nelle librerie.


Riassumiamo quindi le caratteristiche principali della funzionalità BETA di KDP e i suoi pro e contro:


Procedura di pubblicazione veloce e intuitiva


Tempi di stampa relativamente brevi


Buone percentuali di royalty


Assegnazione ISBN gratis


Vendita limitata al mercato Amazon


Youcanprint

Ho iniziato a usare Youcanprint qualche mese fa, quando ho deciso di dare una distribuzione più ampia al mio libro (quale? Eccolo!).


Grazie a Youcanprint, infatti, il tuo libro sarà distribuito su tutti gli store online e ordinabile nelle librerie e dai librai.


Questo vuol dire che hai più possibilità di vendere, perché non tutti, ad esempio, hanno il Kindle e usano Amazon per i loro acquisti.


Youcanprint non è l’unica piattaforma print on demand ad avere una distribuzione più vasta, ma è senza dubbio quella più conosciuta.


Nel mio articolo su come pubblicare con Youcanprint ti ho mostrato quali sono i passaggi fondamentali per caricare il tuo libro sul loro sito; oggi cerchiamo di capire quali sono le funzionalità di questa piattaforma e cosa la differenzia dalle altre.


Innanzitutto, è notizia di questo mese che Youcanprint assegna, da adesso in avanti, l’ISBN gratis. Infatti, prima aveva un costo di 30 euro. La piattaforma, forse, ha deciso di omologarsi alle sue colleghe e non far pagare un elemento fondamentale per la distribuzione, ampliando il raggio di possibili acquirenti — io stessa ho sfruttato questa possibilità perché, detto tra noi, di spendere 30 euro non mi andava molto giù.


Youcanprint offre, inoltre, numerosi servizi accessori (a pagamento), quasi fosse una piccola realtà editoriale: impaginazione, realizzazione della copertina, promozione (booktrailer, kit per presentazioni, inserimento del tuo libro su riviste come Leggere:tutti o nelle cedole che mandano ai librai…). E con la distribuzione globale, il tuo libro sarà venduto in tutto il mondo!


Se hai un budget più ampio a disposizione, ti consiglio di acquistare uno di questi servizi, soprattutto promozionali: è un buon inizio per farti conoscere. Se, invece, hai un budget ridotto, comunque con Youcanprint hai la certezza che il tuo libro raggiungerà librerie e store online, con una diffusione molto vasta.


Le percentuali di guadagno con Youcanprint sono un poco più basse che, ad esempio, con Amazon: Youcanprint ti dà il 20% per ogni copia venduta online e nelle librerie e il 30% per ogni copia venduta sullo store Youcanprint.


Unico neo di una piattaforma print on demand ben fatta: i tempi lunghi.


Ho mandato le bozze del libro verso la metà di giugno, e il libro è stato pubblicato solamente verso la fine del mese; idem per quanto riguarda l’e-book — quando, invece, ad esempio con Amazon, i tempi di pubblicazione dell’e-book sono di 24/48 ore!


Riassumiamo allora le principali caratteristiche di Youcanprint:


Alta professionalità nella gestione delle bozze di impaginato e nel controllo della copertina


Possibilità di servizi accessori (a pagamento)


Vendita su tutti gli store online e in oltre 4000 librerie (su ordinazione da parte di cliente e libraio)


Royalties non altissime


Tempi di realizzazione e gestione degli ordini un po' lunghi


Ilmiolibro

Utilizzo Ilmiolibro per conto di un autore che seguo e devo dire che è una piattaforma print on demand ben strutturata. Inoltre, avendo contatti con quotidiani come La Repubblica, scegliendo alcuni metodi di promozione (li vediamo a breve), puoi avere una visibilità molto ampia.


Pubblicare su Ilmiolibro è facile ed è molto simile ad Amazon: inserisci i dati del tuo libro, carichi i file del cartaceo e della copertina e il gioco è fatto. Prima di mettere in vendita il tuo libro, però, devi per forza stamparne una (o più) copie — la stessa cosa vale per Youcanprint, mentre con  Amazon KDP puoi stampare senza pubblicare.


I tempi di elaborazione sono abbastanza veloci, e il guadagno dell’autore dipende dal numero di pagine e dai costi di stampa. Ad esempio, un romanzo di 500 pagine che costa 27 euro, farà guadagnare all’autore sui 9 euro a copia.


La pubblicazione su Ilmiolibro non prevede una distribuzione nazionale ma solo, come Amazon, sullo store Ilmiolibro.


Rispetto ad Amazon, però, se acquisiti la distribuzione Premium, otterrai un codice ISBN e la distribuzione su Ibs.it, Lafeltrinelli.it, Amazon, e la possibilità di ordine nelle librerie La Feltrinelli. Il costo è di 79 euro IVA esclusa.


Come scrivevo prima, hai anche la possibilità di rendere visibile il tuo libro sulle edizioni locali di repubblica.it e nelle edizioni culturali del network, per una settimana e, per un mese, come annuncio sponsorizzato su Google.


Ultimo ma non ultimo: ogni anno Ilmiolibro realizza il concorso Ilmioesordio, e il vincitore potrà essere pubblicato da case editrici come la Newton Compton.


L’unica pecca de Ilmiolibro è che spesso il sito è macchinoso da usare e certi argomenti non sono spiegati bene; inoltre, contattare lo staff è difficile se non impossibile.


Riassumiamo le principali caratteristiche di questa piattaforma print on demand:


Tempi di realizzazioni abbastanza veloci


Procedimento di caricamento libro e copertina veloce e intuitivo


Royalties discrete


Possibilità di pubblicità a pagamento sul gruppo repubblica.it e su Google


Ogni anno viene indetto il concorso ilmioesordio


Sito alcune volte macchinoso e lacunoso


Difficoltà di comunicare con lo staff


Prezzo un po' alto per la distribuzione premium


Conclusioni

In questo articolo ho cercato di sintetizzare le principali caratteristiche di tre delle migliori e più conosciute piattaforme di print on demand.


Spero di esserci riuscita e di averti chiarito un po’ le idee.


Non esistono solo Amazon, Youcanprint e Ilmiolibro, intendiamoci: ci sono tante altre piattaforme POD valide e che vale la pena usare, come ad esempio Streetlib (di recente si è, diciamo, fusa con Pubme).


Prossimamente cercherò anche altre piattaforme POD per aiutarti ancora di più a scegliere la migliore per te.


Se vuoi farmi sapere com’è la tua esperienza con una o più di queste piattaforme, scrivimi nei commenti!


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L'articolo Le 3 migliori piattaforme print on demand proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.

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Published on July 22, 2018 09:05

July 19, 2018

“L’ultimo sorriso” di Alfonso Pistilli: la prima uscita della collana Policromia

Imbarcarmi in nuove avventure è sempre stato il mio sogno e una sfida da affrontare.


Per questo ho deciso di collaborare con la piattaforma di autopubblicazione PubMe e aprire la collana editoriale Policromia.


E oggi, dopo un duro lavoro, esce il primo romanzo, firmato dall’esordiente Alfonso Pistilli: “L’ultimo sorriso”.


Il romanzo

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Tutti noi cerchiamo un sorriso in ogni angolo della vita, e talvolta lo troviamo laddove è impossibile. Alessandro Cocco, giovane venditore di vacanze a porta a porta, l’ha trovato in Halina, escort lituana trasferitasi a Bari, con la quale ha una profonda amicizia. Quando, al telegiornale, Alessandro apprende della sua morte, non vuole crederci, soprattutto dopo essere venuto a sapere che per la Scientifica si è trattato di suicidio.


Conosceva davvero così poco la sua amica? O c’è dell’altro?


Alessandro sa che un’intuizione può fare la differenza, per questo dà retta al suo sesto senso e inizia a indagare sulla vita di Halina, scoprendo, pezzo dopo pezzo, i tasselli di un intricato puzzle di cui l’amica è solo un dettaglio. Che cosa nasconde Mamadi Billè, calciatore del Bari e fidanzato di Halina? E Pietro Manetti, proprietario della squadra, che sembra aver avuto anch’egli una relazione con la escort? E chi è Suela, un’amica di Halina che vuole a tutti i costi aiutare Alessandro, aggiungendo ogni giorno una pagina al mistero? Tra partite di calcio, bevute con gli amici, uscite con la fidanzata e un antipatico ritornello che canta nella sua testa, Alessandro dissotterrerà a poco a poco una fitta rete di inganni e sotterfugi, ma imparerà altresì ad avere più fiducia in se stesso e a giocare un ruolo attivo al tavolo della sua vita.


Chi regalerà l’ultimo sorriso alla sua amica Halina?


Scopri di più su questo libro:



Che cosa ci svela l’autore

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Mi chiamo Alfonso Pistilli e scrivo di notte in una cameretta di un piccolo paese del profondo Sud Italia, Canosa di Puglia.


L’”Ultimo Sorriso” è il mio primo lavoro edito e nasce quasi per caso, come per caso è nata la passione per la lettura prima, per la scrittura poi.


Nonostante i miei quaranta (vi sento dire che non li dimostro affatto, grazie), sono da sempre una persona che non si avrebbe difficoltà a definire “iperattiva”. Io l’ho sempre considerato un lato positivo di me perché mi sono sempre detto che l’unico modo per combattere il tempo è viverlo.


Allora mi dedico allo sport, calcio e tennis soprattutto ma non disdegno qualche vasca di nuoto. Amo viaggiare per immergermi nelle culture di paesi diversi dalla nostra amata penisola. Ma la mia iperattività non si esprime solo nelle passioni; sono eternamente incapace di rilassarmi, dunque ho sempre bisogno di “fare” qualcosa. Ricordo che da piccolo dicevo sempre a mia madre: «Mamma, io mi annoio.» Dopo due minuti di inattività.


La passione della lettura nasce come un’esigenza; avevo bisogno di sconfiggere l’insonnia. Perché fissare un soffitto quando posso fissare delle lettere?


Nata per necessità si è presto trasformata in un piacere, libri su libri, divorati come per recuperare gli anni persi senza lettura fino a un giorno in particolare, quello in cui mio cugino Leo ha pronunciato una frase che tuttora è rimasta salda nella mia memoria: «Se ti piace così tanto leggere, perché non provi a scrivere?»


Io? A scrivere?


Ci risi su, poi però quelle parole non uscivano dal cervello, allora una sera lasciai il libro sul comodino e impugnai il mio iPhone. Non c’era bisogno di pensare a cosa avrei voluto scrivere, la storia era già dentro di me. Avrei dovuto solo dar vita ai personaggi e fargliela vivere.


Mentre scrivevo mi accorsi che molti particolari rimanevano ben fissi nella mia memoria nonostante normalmente non ci avessi dato alcuna importanza.


Scrivere è entrare in empatia con il lettore, è scendere nel profondo di me stesso dove le sensazioni sono primordiali, quasi istintuali ed accomunano ogni essere umano. È in quelle sensazioni che ci si ritrova come parte del tutto.


Da quel giorno con l’iPhone ne è passato di tempo e la vita mi ha dato una chance mettendo davanti al mio percorso una persona che non smetterò mai di ringraziare perché è stata la prima ad aver creduto in me, il “Maestro” Ruggero. A lui devo una grande crescita nella scrittura ma soprattutto nella curiosità di apprendere una materia ancora del tutto sconosciuta.


In seguito il mio percorso si è arricchito della creatività e infinita passione di uno scrittore, un amico, Tommy.


Nel frattempo “L’ultimo sorriso” subiva le modifiche che io stesso subivo, fino ad aver scritto la parola “FINE” in un misto di felicità e tristezza. Non sapevo se esserne felice, soddisfatto o triste per aver lasciato andar via Alessandro, Alessandra, Mamadi, Pietro, Halina.


Oggi il loro posto è stato preso da Paolo e Janet che stanno dando vita al mio secondo lavoro, che sarà un thriller finanziario, un intreccio tra finanza e politica ambientato nell’America della grande crisi del 2007.


“L’ultimo sorriso” nasce da un forte sentimento di rabbia. Ho sentito il bisogno di esternare uno stato dell’animo di gente come che si è sentita defraudata dagli avvenimenti.

L’ho fatto accostando la mia passione per i gialli, mi piacciono gli intrecci, ma soprattutto l’idea di riuscire “farvela”. Scrivere un giallo per me è una sfida con il lettore, un gioco, e io quando gioco voglio vincere. Poi per carità perderò, ma vendo cara la pelle.


Avrò vinto se almeno due volte leggendolo penserete “Mi ha fregato, non era come pensavo!”, oppure “Ecco perché!”


Con questa storia vi ho condotto in una città stupenda come Bari, che vive delle sue abitudini dei frutti di mare sui marciapiedi, che fa la Signora nei salotti del centro, che strizza l’occhio ai vacanzieri, che ahimè convive con un tessuto criminale che lavora nel sottobosco della legalità, che palpita per una squadra di calcio.


Nessun barese odia la sua città:è questo il segreto di una bella città, l’amore che i propri cittadini le rivolgono.


Ho cercato di condurvi un po’ per questa rabbia, forse facendovi conoscere aspetti non noti a tutti di certi ambienti e ho cercato di farlo mettendoci un po’ di me.


In questi giorni, per un crudele gioco del destino, quella squadra di calcio, così amata e così odiata, arriva all’epilogo triste delle carte in tribunale. È o non è cominciato tutto da quella scintilla di rabbia? Io penso di sì.


La collana Policromia

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A chi mi chiede che generi pubblica Policromia, rispondo: “Tutti”.


Perché dire che non pubblica libri di nessun genere è brutto, ma soprattutto è un errore madornale.


La narrativa mainstream, o non di genere, sfugge a qualsivoglia tentativo di etichettatura. Io però non voglio né etichettarmi, né essere troppo dispersiva.


Certo, Emanuela, ti nascondi dietro foglie di fico per non svelare che pubblichi tutto quello che ti capita.


Ecco, so che stai pensando questo.


Purtroppo, e per fortuna mia, non è affatto così!


Policromia è l’impiego di più colori nell’architettura e nella pittura, e in questa sua accezione letteraria ho deciso di interpretare il termine con l’unione di più generi in un unico romanzo.


I libri della collana non sono gialli, rosa, rossi, neri… sono tutti questi colori messi insieme. E non a caso, ovviamente.


Ogni libro da me scelto deve innanzitutto saper unire due o più di questi generi, e saper farlo bene.


Nel caso del libro di Alfonso Pistilli, i colori predominanti sono il giallo, il rosa e il verde: thriller, romance e introspezione.


Non guardo solo ai generi, certo.


Quello che cerca Policromia sono voci fuori dal coro, le voci di chi non ha paura di dissotterrare tabù o parlare di argomenti sensibili. Mi piacciono autori che non si nascondono dietro luoghi comuni o altre banalità.


Voci fuori dal coro, quindi.


Perché la letteratura, come il mondo, è bella perché varia. E soprattutto deve colpire il cuore dei lettori.


Se hai un romanzo nel cassetto e vuoi proporlo a questa collana editoriale, vai qui o qui.


L'articolo “L’ultimo sorriso” di Alfonso Pistilli: la prima uscita della collana Policromia proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.

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Published on July 19, 2018 23:00

July 11, 2018

Scrivere in prima persona: sì o no?

Scrivere in prima persona: sì o no?

Scrivere in prima persona è forse una delle tecniche più semplici e allo stesso tempo più difficili che esistano.


Da una parte, infatti, suona semplice perché, per molti autori, è più facile scrivere usando l’io narrante; è più facile esternare i pensieri e le emozioni.


Dall’altra parte, però, se non si è davvero bravi (o astuti), la prima persona può rappresentare una trappola: l’autore rischia di immedesimarsi troppo nel suo personaggio per sostituirsi a esso; oppure rischia di essere troppo “elementare”, banale, quasi semplicistico, e rendere la scrittura piatta e noiosa.


Se anche tu hai già scritto in prima persona o se vorresti farlo, allora leggi questo articolo: qui scoprirai come usare l’io narrante nel modo migliore possibile per far uscire la voce dei tuoi personaggi e limitare la tua.


Iniziamo!


La prima persona: solo da emergenti?

Innanzitutto, ci tengo a precisare e a rispondere alla domanda qui sopra, che spesso si sente nei “salotti” letterari internettiani o chiacchierando con altri autori.


Scrivere in prima persona è solo da emergenti?


Una recente recensione del mio romanzo (non sai ancora qual è? Male, male! Eccolo) ha puntato il mirino sul fatto che abbia scritto usando l’io narrante e che ciò sia “intrinseco” del fatto che abbia appena intrapreso questa carriera avventurosa.


Lungi da me fare digressioni su questo aspetto, ma ci tengo solo a specificare due cose: la prima è che, che scriva bene o da cani, di certo non lo faccio da ieri, anche se solo di recente ho iniziato a pubblicare; la seconda è che la scelta dell’io narrante, nel mio romanzo è stata frutto di numerosi tentativi di trovare la voce giusta.


Questo per dirti che scrivere in prima persona può essere sia una scelta da esordiente, perché magari ti aiuta, come scrivevo prima, a esternare meglio le tue emozioni; sia da autore già “rodato” o comunque frutto di scelte ponderate con attenzione.


Vogliamo ricordare che grandi nomi della letteratura classica, come Lovercraft o Melville, hanno scritto spesso in prima persona (basti pensare a Moby Dick o ad alcuni racconti di Lovercraft)?


Ciò detto, quale che sia la tua carriera e le tue scelte, se decidi di usare l’io narrante devi tenere a mente alcuni aspetti molto importanti, ed evitare errori altrettanto fondamentali.


Vediamoli subito.


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3 aspetti fondamentali dell’io narrante

Per primissima cosa, inquadriamo brevemente che cos’è l’io narrante:


Si scrive in prima persona quando l’autore mostra i fatti e i pensieri del suo personaggio entrando nella sua testa, vedendo e sapendo solo quello che vede e che sa lui.


Trattasi di una prospettiva limitatissima e opposta al narratore onnisciente, che invece vede tutto e conosce tutto.


Prima di iniziare a scrivere in prima persona (passami la ripetizione), devi però tenere a mente tre aspetti fondamentali di questo approccio.


Il primo è che deve essere il tuo personaggio a parlare.

In un certo senso, è come se tu ti annullassi per lasciare che il personaggio parli al posto tuo, con i suoi modi di dire, i suoi pensieri, le sue emozioni. Un errore frequente, lo vedrai meglio dopo, è sostituirsi al personaggio e usare la tua voce al posto della sua.


Il secondo aspetto riguarda il punto di vista.

Hai letto prima come la prospettiva dell’io narrante sia limitatissima, quindi non sono possibili sconfinamenti nella testa di altri personaggi (salvo che farlo in capitoli distinti), né il tuo personaggio può sapere cose di cui non è venuto a conoscenza, o vedere cose che non può vedere perché si trova da un’altra parte. Lo sconfinamento del punto di vista è un errore molto frequente, ma è semplice da evitare.


Il terzo e ultimo aspetto fondamentale dello scrivere in prima persona riguarda il corretto utilizzo dei tempi verbali.

Oggi va molto di moda scrivere in prima persona e al presente, ma è una narrazione difficile da portare avanti, soprattutto se decidi di coprire un lasso temporale molto vasto in poche pagine.


Mi spiego meglio.


Personalmente, preferisco usare la prima persona presente quando descrivo qualcosa che sta avvenendo in questo preciso istante.


Mi alzo dal letto, in bagno sciacquo il viso, faccio un salto in cucina a prendere il panino nel frigo e con un altro salto esco di casa.


Avrei molte difficoltà ad accelerare la narrazione e, usando sempre la prima persona, scrivere in poche righe avvenimenti che accadono a lunghe distanze l’una dall’altra.


Mi alzo dal letto, in bagno sciacquo il viso, faccio un salto in cucina a prendere il panino nel frigo e con un altro salto esco di casa. Non mi accorgo dell’auto che corre sulla strada che è subito buio. Le settimane successive sono un va-et-vien di immagini sfocate, ma dopo un mese riacquisto finalmente padronanza di me stessa.


Prendila come una considerazione soprattutto personale, ma usare la prima persona così mi sembra troppo… veloce.


Preferirei, allora, scrivere al passato per parlare di eventi già accaduti:


Mi alzai dal letto, in bagno sciacquai il viso, feci un salto in cucina a prendere il panino nel frigo e con un altro salto uscii di casa. Non feci in tempo ad accorgermi dell’auto che correva sulla strada che divenne buio. Le settimane successive furono un va-et-vien di immagini sfocate, ma dopo un mese riacquistai finalmente padronanza di me stessa.


A parte queste mie considerazioni, controlla attentamente il tempo narrativo scelto e il tuo intreccio. Banalmente, se racconti di fatti passati, usa il passato; se racconti di qualcosa che sta avvenendo adesso, usa il presente. Non mischiare presente e passato perché rischi un bel minestrone.


Scrivere in prima persona: qualche errore da evitare

Tenuti conto i tre aspetti fondamentali dell’io narrante, vediamo adesso quali sono gli errori da evitare.


In realtà, li hai già intravisti leggendo queste righe, ma è tempo di essere più specifici.


Degli errori da “scrittura in prima persona alle prime armi”, quattro sono i più antipatici:



Sostituirsi al personaggio
Dare più informazioni del dovuto
Usare un tempo verbale poco adatto alla narrazione
Essere “piatti”

I primi tre errori li hai già visti, l’ultimo no.


Riassumo brevemente.


Sostituirsi al personaggio

Il rischio di scrivere in prima persona è di sostituirsi al personaggio e usare la tua voce anziché la sua.


Come leggevi prima, devi annullarti e lasciare che sia il tuo personaggio a parlare.


Ad esempio, quindi, se sei una femminuccia e il tuo personaggio è un maschietto focoso, non c’è nulla di male se si sofferma a osservare il seno di qualche donna o il loro lato B. Se questo maschietto focoso è anche uno scaricatore di porto, che male c’è se inserisci qualche parolaccia qua e là, sempre senza esagerare (parliamo di letteratura e non di spazzatura)?


Oppure, se il tuo personaggio è una bambina di sei anni, dovrai per forza di cose lasciarla parlare con la sua voce e non cadere in ragionamenti da sedicenne o, peggio, da trentenne.


È molto difficile, soprattutto agli inizi, annullarsi nei propri personaggi. Il più delle volte, per evitare questo fastidio, si creano personaggi simili all’autore stesso, con stessi gusti e stesse idee. Però non si può sempre ricorrere a questo escamotage: è giusto imparare a parlare secondo diverse voci, un po’ come fa un attore sul set di un film. Anche lui si annulla nel personaggio che interpreta.


Dare più informazioni del dovuto

Ho già scritto alcuni articoli sugli errori del punto di vista e quindi non mi ci soffermerò troppo qui.


Come leggevi prima, la prospettiva del narratore in prima persona e io narrante è limitatissima: il tuo personaggio sa solo quello che gli dicono e vede e sente solo quello che ha davanti a sé, o poco distante.


Un esempio può essere questo, che ho riportato anche nell’articolo su questo errore del punto di vista:


Mi muovo circospetto lungo tutto il perimetro della casa. Sbircio da una finestra. La stanza è deserta. Mi appiattisco e mi avvicino alla porta di ingresso. Faccio per aprirla, quando Luigi, dietro di me, mi colpisce alla testa con un bastone.


Come faccio a sapere che Luigi è dietro di me e mi colpisce alla schiena con un bastone? Il tempo narrativo è al presente, la scena sta accadendo in questo momento, e quindi non posso sapere che Luigi è dietro di me. Al più potrò scrivere: Faccio per aprirla, quando un colpo alla testa mi stordisce.


Usare un tempo verbale poco adatto alla narrazione

È la considerazione che ti ho fatto prima: se scrivi di un evento che sta accadendo adesso, è meglio che usci il presente; se racconti qualcosa già accaduto, il passato.


Come hai visto nell’esempio, ti sconsiglio anche di usare il presente per parlare di un lasso temporale lungo in poche righe; al più, spezzetta la frasi in vari paragrafi.


Essere “piatti”

La piattezza è quando il personaggio non ha voce.


Attenzione! Questo è diverso da dire che il personaggio ha la tua voce.


In questo caso, non ne ha proprio.


Il tuo io narrante è monocromatico, per così dire. Non riesce a esternare le sue emozioni e parla come se fosse esterno a tutto. Il che non dovrebbe accadere, perché la prima persona è la prospettiva più interna al personaggio che esista.


Hai mai letto romanzi in prima persona, magari con più io narranti, dove le voci sembrano tutte uguali? Io sì, ma per correttezza non faccio nomi (alcuni sono anche molto conosciuti ed etichettati come casi editoriali).


Il problema, in questo caso, può essere risolto arricchendo la scrittura di immagini e usando i cinque sensi. Se non conosci bene il personaggio o i personaggi della tua storia, ti consiglio di creare una scheda e una biografia per sapere chi sono ed entrare nella loro testa.


Conclusioni

In questo articolo hai scoperto come scrivere in prima persona non sia così facile come sembra a prima vista: devi adottare alcuni accorgimenti ed evitare altrettanti errori.


La scrittura in prima persona non è un paravento dietro cui si nascondono gli emergenti e spesso è una scelta ponderata, di stile o di prospettiva.


Riuscire a creare un io narrante vivo e annullarsi nel personaggio, penso sia uno dei più grandi raggiungimenti in tema di scrittura.


Personalmente non amo molto scrivere in prima persona, ma se ciò capita, come nel mio romanzo, cerco sempre di far parlare il mio personaggio e nascondermi in un cantuccio.


E tu?


Scrivi in prima persona? Se sì, come ti trovi? Se no, come mai?


Scrivimelo nei commenti!


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L'articolo Scrivere in prima persona: sì o no? proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.

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Published on July 11, 2018 06:11

July 3, 2018

8 regole di scrittura di Neil Gaiman

Scrivere: gli 8 consigli di Neil Gaiman

Neil Gaiman è uno sceneggiatore, scrittore e fumettista britannico, autore di numerosi libri, tra cui i fantasy “L’oceano in fondo al sentiero” (2013) e “I ragazzi di Anansi” (2005).


Sulla scorta dei consigli di scrittura di Elmore Leonard, il quotidiano The Guardian ha chiesto ad altri autori di stilare le loro regole per una buona scrittura.


Oggi vediamo le 8 regole di Neil Gaiman.


8 regole di scrittura di Neil Gaiman
Regola numero 1: scrivi

Be’, in effetti quale regola più azzeccata se non questa?


Scrivi.


Un verbo semplice che racchiude un impegno profondo.


Si sa, chi scrive ha dentro di sé passione, creatività, immaginazione, ma anche moooolta (“o” aggiunte volontariamente) costanza e volontà.


Se scrivi in modo discontinuo, quando capita e mettendo in primo piano altre cose, difficilmente farai molta strada.


Il tuo libro faticherà a decollare e soffrirà anch’esso di discontinuità.


Quindi, la prima regola di Gaiman, ma che molti altri scrittori immagino approvino, è: scrivi.


In altre parole: porta la scrittura in primo piano e falla diventare un’abitudine.


Regola numero 2: metti una parola davanti all’altra, trova quella giusta e buttala giù

Mettere una parola davanti a un’altra è semplice, all’apparenza.


Fa parte di quello che mi piace considerare “delirio creativo”: ossia scrivere, scrivere e… scrivere, senza fermarsi a rileggere o a pensare.


Semplicemente lasciare correre l’immaginazione.


È faticoso anche continuare a scrivere, però.


Spesso ti ritrovi davanti al foglio bianco e non sai come partire, oppure sei partito ma qualcosa ti ha fermato e, per quanti sforzi tu faccia, proprio non riesci ad andare avanti.


In questo caso, mettere una parola davanti all’altra può essere davvero complicato.


Eppure, come per la prima regola, anche questa è fondamentale, com’è fondamentale superare il fastidioso blocco dello scrittore. E per superarlo, basta continuare a scrivere, qualsiasi cosa ti salti in testa.


Trovare la parola giusta… be’, qui devi davvero fermarti a pensare.


È difficile trovare la parola giusta che si incastri nella frase come un puzzle: o suona male, o è ridondante, oppure è già stata usata ma se metti un sinonimo rischi di far ridere.


Che fare?


Il mio personalissimo consiglio è di scrivere, innanzitutto, e poi, durante la revisione, controllare tutte quelle parole o frasi “dubbie”; se proprio non si riesce di sistemarle, riscrivere il periodo.


Regola numero 3: finisci quello che hai scritto. Qualsiasi cosa tu abbia da fare nel finirlo, finiscilo

Una delle cose più brutte e tristi, e che ti fanno perdere tempo, è lasciare incompiuto un libro.


Insomma, magari ci hai lavorato mesi e poi, perché hai da fare altro o non hai più idee (il che, però, se segui una scaletta non dovrebbe succedere), lo lasci a marcire nel cassetto o in un file del PC.


Una volta che hai iniziato a scrivere, finisci di farlo. Anche se ti sembra una boiata. Avrai tempo dopo per maledirti nel correggerlo.


Regola numero 4: metti il testo da parte, poi rileggilo fingendo di non averlo mai letto prima. Fallo leggere ad amici dei quali rispetti l’opinione e a cui piace il genere

Uno dei consigli più gettonati è di “lasciar riposare” un libro appena terminato, e poi riprenderlo dopo un po’ di tempo (settimane, mesi, dipende dalle tue esigenze) per rileggerlo con occhio critico e con la certezza di aver quel dovuto distacco che permette di correggerlo.


Se hai fretta di pubblicare o cercare un editore e fai tutto subito, rischi di non essere troppo “esterno” alla tua storia e di correggerla senza gli occhiali giusti.


È sempre meglio mettere da parte il libro per un po’, magari facendolo leggere ad amici, come suggerisce Gaiman, che potranno aiutarti con i loro consigli; oppure, ancora meglio, inviandolo a beta reader o lettori professionisti che lo leggeranno con sguardo ancora più critico.


Regola numero 5: ricorda: quando la gente ti dice che qualcosa è sbagliato o non va per loro, di solito ha ragione. Quando ti dice nello specifico cosa è sbagliato e come correggerlo, in genere ha torto

I consigli e i suggerimenti di amici, beta reader o lettori professionisti vanno sempre presi con le pinze, come anche le correzioni di un editor — anche chi fa questo lavoro da quarant’anni può sbagliare!


Durante la stesura del mio romanzo (ti interessa sapere qual è? Eccolo), mi sono confrontata con tanti beta reader e amici che mi hanno consigliato come migliorarlo e cosa togliere.


Ebbene, non posso che condividere il parere di Gaiman: se qualcuno ti suggerisce cosa non va, di solito ha ragione.


Queste persone leggono con occhio esterno e spesso a volte neanche ti conoscono. Non sanno nulla del tuo libro, se non di cosa parla, né sanno qualcosa di te.


Soprattutto, se leggono per lavoro, scoveranno immediatamente tutti quei piccoli, ma piccoli proprio, dettagli o quelle minuscole incoerenze che tu proprio non hai visto.


I loro consigli sono davvero preziosi.


Diverso è il caso di chi, magari credendosi editor di Mondadori ma non avendo l’esperienza necessaria o le competenze, decide di bacchettarti e correggerti.


Come scrive Gaiman: di certo ha torto.


Regola numero 6: correggi. Ricorda che, prima o poi, anche se non è perfetto, dovrai lasciarlo andare e scrivere altro. La perfezione è inseguire l’orizzonte. Va’ avanti.

Due punti fondamentali.


Il primo è correggi.


Il secondo è smetti di correggere.


Potrei anche fermarmi qui perché queste frasi si commentano da sole, ma siccome sono logorroica e ogni tanto pecco di immodestia, lasciami aggiungere un appunto.


La correzione è fondamentale e, se segui il mio blog, ormai sai cosa ne penso.


Non correggere un libro è come seminare un fiore e non bagnare la terra e pretendere che ne esca qualcosa. Per così dire.


Correggere troppo è un errore.


La perfezione non esiste, appunto, e, tranquillizzati, ci sarà sempre qualcosa del tuo libro che lascerai per strada. Succede anche nei libri delle grandi case editrici.


Correggere oltre il dovuto non solo ti fa perdere tempo, ma è dannoso perché, volendo ricercare questa dannata perfezione, rischi di riscrivere frasi già buone e rovinarle.


Regola numero 7: ridi delle tue battute

Devo commentarlo?


E divertiti ogni tanto!


La scrittura è anche quello

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Published on July 03, 2018 23:00

June 30, 2018

Uno scrittore famoso è davvero un bravo scrittore?

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Attenzione!
Post altamente polemico: continua la lettura a tuo rischio e pericolo

Penso che ognuno di noi, nel suo piccolo cuore di scrittore, coltivi il desiderio di diventare famoso, prima o poi.


Quanti iniziano facendo leggere i loro libri ad amici e parenti e vendendo qualche copia qua e là?


Quanti sperano che, perseverando, prima o poi qualche editore serio li noterà?


Ebbene, se anche tu fai parte di questa (sfortunata) cerchia, devo darti una brutta notizia. Anzi, due.


La prima è che capiterà raramente che un editore serio e magari big si accorga di te. O se davvero bravo e stupisci ogni editor (e per stupire un editor di certi calibri ce ne vuole), o hai il giusto supporto alle spalle. Oppure il tuo libro “vende”.


La seconda brutta notizia (ma in realtà non lo è così tanto) è che non devi essere famoso per essere, perdona la ripetizione, un bravo scrittore.


In tanti sono convinti che se si è bravi si diventerà famosi. O, rovesciando la frase e il suo significato, che uno scrittore famoso è per forza di cose molto bravo. Sennò perché lo sarebbe diventato?


Leggo da una vita e scrivo da molti anni, seppur abbia iniziato a pubblicare solo di recente. Questo non fa di me una scrittrice né brava né famosa, ma è per dirti che nel mondo dell’editoria ci bazzico da un po’.


E da un po’ ho capito che bravura non va sempre a braccetto con fama.


Vorrei tanto essere mia madre, che più volte al giorno mi ripete: “Il tuo libro è bellissimo e merita di stare in libreria!”


Sì, lo so, è mia madre e potresti pensare che sia di parte, ma se la conoscessi capiresti che anche se sono sua figlia, se ho scritto una cacata me lo direbbe tranquillamente.


Che poi, magari, il mio romanzo a te fa cacare, ma questo è un altro discorso.


Il problema (uno dei tanti) che affligge l’editoria italiana è che non va tanto la qualità, ma quello che vende.


Dai, non storcere il naso, e già ti vedo drizzare il mento e dire: “Eh sì, è arrivata la tipa dai monti che mi vuole far passare le braghe dalla testa”.


Basta farsi una passeggiata in libreria o sulle sezioni bestseller degli store online per farsi un’idea che quello che vende appartiene a un determinato genere, che, attenzione! Ogni tanto varia.


Quando uscì Twilight, le librerie si riempirono all’improvviso di doppioni sui vampiri e, sempre all’improvviso, la sezione horror vedeva bellimbusti scintillanti che, ahimè, soppiantarono ogni altro filone di questo genere.


E vogliamo parlare dei romanzi simil Il codice da Vinci? Adesso ce ne sono meno, ma un po’ di anni fa spopolavano.


Per arrivare alle care Cinquanta sfumature che, detto papale papale, hanno segnato una caduta della letteratura che nemmeno un volo dal centesimo piano.


Lo so, e non ho vergogna a dirlo: io sono una detrattrice di quel libro, come molti, e penso che la letteratura sia altro, ma anche questo è un altro discorso.


Dopo Christian e la sua amata, hanno spopolato migliaia (forse esagero, ma comunque sono tanti) romanzi à la Grey, tutti ovviamente richiestissimi dal pubblico e dagli editori.


In effetti l’erotico di questo tipo è forse uno dei generi che vende di più, soprattutto tra gli autopubblicati.


Ma di cosa dovevo parlare?


Ah, sì. Della bravura degli scrittori famosi.


È innegabile che ci sono tantissimi scrittori famosi e bravi, lungi da me dire il contrario, e basti pensare ai nostri classici e a tanti grandi nomi del panorama letterario.


Il problema è quando questa bravura viene, come dire, penalizzata a scapito della “vendibilità” di un libro.


In altre parole: molti editori pensano soprattutto all’oggetto in sé che non al suo contenuto. Se vende, bene, anche se è scritto da prima elementare e ha dei contenuti dubbi.


Non so te, ma io quando sento parlare di casi editoriali mi tiro un po’ indietro. La maggior parte di questi presunti “casi” è robbetta scritta solo a scopo di vendere e far guadagnare autore e editore.


Non voglio fare nomi, ma se segui l’editoria come me magari ne avrai già alcuni in mente.


Per concludere questa breve riflessione e non diventare troppo cattiva, voglio almeno darti una buona notizia: non preoccuparti se gli editori non ti cercano. Magari in quel momento hanno un’idea di marketing differente dalla tua (dal tuo libro). Non è perché il tuo libro sia scritto male. Forse, semplicemente, non rientra nei generi gettonati di quel periodo.


E con questo aspetto che il flame (si chiama così?) si scateni

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Published on June 30, 2018 23:00

June 27, 2018

Come pubblicare con Youcanprint

Pubblicare con Youcanprint: una scelta vincente

Nell’articolo di oggi ti mostrerò come pubblicare con Youcanprint il tuo libro.


Youcanprint è una piattaforma di autopubblicazione che offre davvero tante opportunità: dai servizi editoriali al marketing, dalla realizzazione grafica ai booktrailer.


Insomma, se vuoi essere affiancato in ogni passaggio della creazione e promozione del tuo libro, questa piattaforma ti sarà certamente di aiuto.


Alcuni servizi sono però a pagamento ma, vista l’alta visibilità di Youcanprint, puoi mettere in conto qualche spesa per avere un libro perfetto e una promozione efficace.


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Pubblica il tuo libro passo per passo

Come in ogni piattaforma, la prima cosa che devi fare è iscriverti.


Dopo l’iscrizione, vai su “Preventivo” e inizia a calcolare i tuoi costi di stampa: puoi anche stampare solo una copia del tuo libro e stamparne altre in seguito.


Per pubblicare con Youcanprint il formato cartaceo del tuo libro, pagherai solo i costi di stampa e spedizione e il codice ISBN (di proprietà di Youcanprint).


In questa schermata trovi tutti i passaggi per richiedere un preventivo gratuito e non vincolante.


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Informazioni iniziali

Innanzitutto, inserisci i tuoi dati: nome e cognome e titolo dell’opera.


Se hai già pubblicato il libro in un altro formato (ad esempio digitale e ti serve il cartaceo), nella tendina accanto all’opzione “Scegli l’opera a cui collegare questo servizio” indica il libro.


Se hai già il tuo codice ISBN, clicca su “Sono già in possesso di un codice ISBN”; in caso contrario, richiedilo a Youcanprint pagando una somma di 30 euro — a volte, però, lo mettono in promozione gratuita: iscriviti alla loro newsletter per essere aggiornato sulle novità!


Formato di stampa

In questa sezione dovrai scegliere il formato di stampa, la rilegatura, il tipo di copertina, eccetera.


Vediamoli uno per uno.



Formato di stampa. Youcanprint fornisce tantissimi formati, sia quelli classici, come il 15×21, sia più atipici, come il 10×15 (ad esempio per tascabili) o il 23×23, utili per libri illustrati.
Rilegatura. Puoi scegliere tra filo refe (per farti un’idea, è la rilegatura tipica dei libri cartonati), brossura fresata (la rilegatura dei tascabili) o punto metallico (se il tuo libro ha un numero di pagine ridotto).
Numero copie richieste. Queste sono le copie che richiedi di stampare per te. Puoi partire con una copia e poi stamparne altre al bisogno in un secondo momento.
Tipo di carta e grammatura copertina. Scegli tra le varie opzioni come vuoi che sia la carta della tua copertina. Ti consiglio una grammatura più altra affinché la copertina sia più resistente, e di tipo lucido, per distinguerla dall’interno. Con Youcanprint puoi anche scegliere copertine rigide (cartonate) con sovracoperta o con rivestimento stampato.
Plastificazione. Puoi scegliere la plastificazione lucida o opaca. La plastificazione rende la copertina del tuo libro più lucida o opaca a seconda dell’opzione desiderata. In genere quasi tutti i libri hanno la plastificazione lucida.
Tipo di carta e grammatura interni. La carta e la grammatura degli interni dovrebbero essere diversi rispetto alla copertina. Di solito, per un romanzo, si sceglie l’opzione usomano o, ancora meglio, avorio (se ci fai caso, infatti, i romanzi non hanno le pagine del tutto bianche) con grammatura tra gli 80 e i 100 grammi. Grammature più alte rendono più “pesante” il libro e sono indicate per saggi o libri illustrati. In quest’ultimo caso, però, ti consiglio opzioni come la patinata lucida o opaca.
Stampa. Scegli se stampare a colori o in bianco e nero.
Numero di pagine senza copertina. Indica di quante pagine è il tuo libro, comprensive anche delle pagine bianche.

Opzioni aggiuntive

Puoi scegliere già al momento del preventivo se aggiungere qualche servizio accessorio.


In caso contrario, ricorda che puoi acquistare questi servizi in qualsiasi momento.


Se vuoi proteggere il tuo libro durante la spedizione, scegli di farlo incellofanare (quindi rinchiuderlo in una busta trasparente); oppure puoi acquistare una fascetta da inserire sopra la copertina.


Se il tuo libro non è stato impaginato né ha la copertina, puoi chiedere allo staff di Youcanprint di farlo per te: l’impaginazione costa 25 euro, la creazione della copertina 10.


Inoltre, se prevedi di pubblicare anche la versione e-book del tuo libro, puoi già sceglierla durante il preventivo: la realizzazione dell’e-book in formato PDF è gratis; negli altri formati, come ePub e mobi, è a pagamento. Se vuoi che il tuo libro venga venduto anche nel mondo, scegli l’opzione Distribuzione Globale (59 euro una volta sola), oppure chiedi allo staff di Youcanprint la realizzazione di un booktrailer per promuovere il tuo libro (parte dal 139 euro).


Infine, se non hai tempo di creare segnalibri, brochure o volantini, scegli il Kit di presentazione: riceverai segnalibri, brochure, biglietti da visita e locandine da usare a tuo piacimento. Il costo parte da 79 euro per 25 pezzi di ogni elemento. La realizzazione grafica è a cura di Youcanprint ed è gratuita.


Il contratto

Youcanprint elabora anche un contratto che dovrai firmare e approvare prima della lavorazione del tuo libro.


Dopo un anno dalla sottoscrizione, potrai recedere in qualsiasi momento.


Se vuoi leggere una copia del contratto prima di pubblicare con Youcanprint, dai un’occhiata qui.


Consegna delle bozze e visto si stampi

Una volta effettuato il preventivo e sottoscritto il contratto, invia i file a Youcanprint per la revisione (per revisione si intende il controllo dell’impaginato e della copertina conformi ai servizi richiesti).


Puoi farlo contestualmente con il preventivo o in seguito all’indirizzo email che trovi sulla pagina del preventivo.


Dopo qualche giorno, lo staff di Youcanprint ti invierà le bozze del tuo libro così come saranno stampate, con anche il prezzo suggerito per la vendita.


Visiona attentamente le bozze, soprattutto dell’impaginato, prima di dare il visto si stampi, che è l’okay definitivo e che consentirà a Youcanprint di stampare il tuo libro e renderlo pronto per la pubblicazione.


Una volta visionate le bozze procedi al pagamento: solo dopo che Youcanprint lo avrà ricevuto provvederà a elaborare il libro per la stampa.


Giugno 2018: al momento ho richiesto a Youcanprint la pubblicazione del mio romanzo in forma digitale e cartacea e sono in attesa di ricevere la mia copia fisica: appena sarà nelle mie mani, ti farò sicuramente sapere come mi sono trovata.


Conclusioni: pro e contro di Youcanprint

Come ti ho scritto a inizio articolo, Youcanprint è una piattaforma molto utile per pubblicare il proprio libro.


Ha numerosi vantaggi, come la promozione e la possibilità di usufruire di servizi editoriali accessori, tuttavia una pecca è la “lentezza” dell’elaborazione del libro.


Ho fatto richiesta di pubblicazione verso il 10 di giugno e il mio libro è stato pubblicato in formato cartaceo solo ieri, 26 giugno. Per quanto riguarda la versione e-book, sono ancora in attesa dopo aver inviato loro il file per la lavorazione.


Per me non è un problema aspettare, ma se hai fretta o devi partecipare a concorsi, ti consiglio di muoverti con una quindicina di giorni in anticipo.


L’assistenza, però, è molto efficiente: sia tramite mail, sia tramite chat sul loro sito. Rispondono subito e sono molto professionali!


In definitiva, credo mi troverò bene con Youcanprint e sono rimasta soddisfatta di come hanno lavorato (tempistiche escluse); spero anche di essere soddisfatta della copia cartacea che ho richiesto.


Continua a seguirmi, perché ti terrò aggiornato

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Published on June 27, 2018 06:46

June 23, 2018

Il primo capitolo del mio nuovo libro in esclusiva per te!

Come già saprai, il prossimo 27 luglio uscirà il mio nuovo romanzo: “Cronache di Charma – Aequilibrium”.


Si tratta del primo volume di una “quadrilogia” fantasy ambientata nel mondo di Charma.


Oggi, per incuriosirti, ho deciso di condividere con te il primo capitolo del romanzo.


Quindi, bando alle ciance e buona lettura!


Ps1. Se non sai nulla di questo romanzo, dai un’occhiata al mio post di presentazione.


Ps2. Ti ricordo che fino alla data di uscita il libro è preordinabile su Amazon a soli 99 centesimi

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Published on June 23, 2018 23:00

June 19, 2018

Consigli di scrittura: le 10 regole di Elmore Leonard

I consigli di scrittura di Elmore Leonard

Nel 2001 il New York Times domandò allo scrittore Elmore Leonard di sintetizzare in dieci regole quanto avrebbe potuto insegnare sulla scrittura.


Leonard, che ci ha lasciati nel 2013, è stato uno scrittore, un produttore e uno sceneggiatore americano. Ha scritto numerosi romanzi e racconti, e tantissimi film, tra cui “Jackie Brown” di Quentin Tarantino, sono stati tratti dalle sue opere.


I più, tra cui anche Stephen King, lo considerano il re dei dialoghi, e il tributo da parte del Times è stato: “Ha reinventato il poliziesco, gli ha tolto quella polvere che aveva e lo ha regalato alle generazioni future.”


Che cosa può insegnare un artista di questo calibro? Certamente tante cose, e oggi per te ho pronti i suoi dieci consigli di scrittura che scrisse per il Times.


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Consiglio numero 1: evita di iniziare parlando del tempo

Leonard scrive: “Se è solo per creare atmosfera, e non è una reazione del personaggio al tempo, non andrai molto lontano.”


In effetti tanti libri iniziano parlando delle condizioni climatiche, forse per dare un senso di atmosfera al libro. Io stessa mi accorgo di farlo tante volte! In realtà, l’elemento “tempo”, da solo, può sì creare buone scene descrittive, ma è sempre meglio “integrarlo” ai sentimenti dei nostri personaggi.


Consiglio numero 2: evita i prologhi

“Possono annoiare, soprattutto quelli che seguono un’introduzione che viene dopo una prefazione.”


Nei saggi questo avviene, ma nei romanzi il prologo è visto come un antefatto, e si può metterlo dove si pare.


Ultimamente devo ammettere che trovo ben pochi prologhi in narrativa, ma i pochi che trovo sono ben scritti e c’entrano con la storia.


Ovvio, se il prologo che hai in mente c’entra poco, evitalo e passa subito al dunque.


Consiglio numero 3: nei dialoghi non usare altri verbi tranne che “disse”

Secondo Leonard, “la battuta appartiene al personaggio; il verbo è lo scrittore che ficca il naso.”


Il verbo dire è quasi trasparente, sta lì e non si vede, a differenza di altri verbi come affermare, dichiarare, annunciare, eccetera.


Sulla questione verbi c’è molta discordanza e ho letto tanti articoli che la pensano diversamente. In alcuni casi, il consiglio è l’opposto di quello di Leonard: proprio per evitare di ripetere di continuo il verbo “dire”, è meglio usare qualche suo sinonimo — sempre evitando verbi ridondanti o sconvenienti.


Personalmente, se posso evito incisi come “disse”, “parlò”, “annunciò” eccetera e passo direttamente all’azione, mostrando cosa fa il personaggio mentre sta parlando.


Consiglio numero 4: nei dialoghi non usare l’avverbio per modificare il verbo “dire”

“Lo scrittore si espone troppo, usando una parola che distrae e che può interrompere il ritmo dello scambio.”


In effetti l’uso dell’avverbio in coppia con il verbo dire (esempio: disse amaramente) è pesante e spesso non dà nulla in più al lettore.


Come ho già scritto in un precedente articolo sugli avverbi, è sempre meglio andare oltre il generico e cercare di spiegare perché, seguendo l’esempio sopra, la persona dice qualcosa amaramente, o in che modo trapela questa sua amarezza.


Consiglio numero 5: mantieni i punti esclamativi sotto controllo

Uno degli errori più frequenti, soprattutto dell’esordiente, è lanciare i punti esclamativi a casaccio, tipo “dove va, va”. I dialoghi di questi scrittori sono infarciti di punti esclamativi anche laddove non è necessario.


Secondo Leonard, “ti è permesso di usarne non più di due o tre ogni 100.000 parole.”


Consiglio numero 6: non usare mai “improvvisamente” o “s’è scatenato l’inferno”

Leonard qui è serafico: “Questa regola non richiede una spiegazione. Ho notato che gli scrittori che usano ‘improvvisamente’ tendono ad avere meno controllo nell’uso dei punti esclamativi.”


Consiglio numero 7: usa dialetti, patois e slang con moderazione

“Una volta che cominci a compitare foneticamente le parole nei dialoghi e a riempire le pagine di apostrofi, non sarai più in grado di fermarti.”


L’utilizzo di slang e dialetti nei dialoghi è sempre una bella cosa perché accresce la fisicità del personaggio, ma come sempre è meglio non esagerare.


Tuttavia mi sento di dissentire un poco con questa regola, poiché romanzi come la serie di Montalbano di Camilleri o “La paranza dei bambini” di Saviano sono memorabili proprio per la loro attaccatura al parlato.


Consiglio numero 8: evita dettagliate descrizioni dei personaggi

Leonard riporta l’esempio di “Colline come elefanti bianchi” di Hemingway: “Come sono ‘l’Americano e la ragazza che era con lui’? ‘Si era tolta il cappello e lo aveva messo sul tavolo’. Nel racconto, questo è l’unico riferimento a una descrizione fisica.”


Mi è stato più volte criticato l’uso pressoché assente di descrizioni fisiche dei personaggi dei miei libri, ma è una cosa che ho sempre detestato fare. Forse io sono esagerata perché riduco le descrizioni all’osso e magari dovrei almeno inserire qualche dettaglio, ma anche la sovrabbondanza di descrizioni fisiche può risultare noiosa — soprattutto qualora capitino in una scena d’azione.


Bisogna sempre trovare la linea di mezzo tra il non dire e il dire troppo, e tenere a mente la benedetta regola del “mostra, non dire!”, che so già mi tirerai dietro perché l’avrai letta mille volte

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Published on June 19, 2018 23:00

Consigli di scrittura: le 10 regole di Elmond Leonard

I consigli di scrittura di Elmond Leonard

Nel 2001 il New York Times domandò allo scrittore Elmond Leonard di sintetizzare in dieci regole quanto avrebbe potuto insegnare sulla scrittura.


Leonard, che ci ha lasciati nel 2013, è stato uno scrittore, un produttore e uno sceneggiatore americano. Ha scritto numerosi romanzi e racconti, e tantissimi film, tra cui “Jackie Brown” di Quentin Tarantino, sono stati tratti dalle sue opere.


I più, tra cui anche Stephen King, lo considerano il re dei dialoghi, e il tributo da parte del Times è stato: “Ha reinventato il poliziesco, gli ha tolto quella polvere che aveva e lo ha regalato alle generazioni future.”


Che cosa può insegnare un artista di questo calibro? Certamente tante cose, e oggi per te ho pronti i suoi dieci consigli di scrittura che scrisse per il Times.


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Consiglio numero 1: evita di iniziare parlando del tempo

Leonard scrive: “Se è solo per creare atmosfera, e non è una reazione del personaggio al tempo, non andrai molto lontano.”


In effetti tanti libri iniziano parlando delle condizioni climatiche, forse per dare un senso di atmosfera al libro. Io stessa mi accorgo di farlo tante volte! In realtà, l’elemento “tempo”, da solo, può sì creare buone scene descrittive, ma è sempre meglio “integrarlo” ai sentimenti dei nostri personaggi.


Consiglio numero 2: evita i prologhi

“Possono annoiare, soprattutto quelli che seguono un’introduzione che viene dopo una prefazione.”


Nei saggi questo avviene, ma nei romanzi il prologo è visto come un antefatto, e si può metterlo dove si pare.


Ultimamente devo ammettere che trovo ben pochi prologhi in narrativa, ma i pochi che trovo sono ben scritti e c’entrano con la storia.


Ovvio, se il prologo che hai in mente c’entra poco, evitalo e passa subito al dunque.


Consiglio numero 3: nei dialoghi non usare altri verbi tranne che “disse”

Secondo Leonard, “la battuta appartiene al personaggio; il verbo è lo scrittore che ficca il naso.”


Il verbo dire è quasi trasparente, sta lì e non si vede, a differenza di altri verbi come affermare, dichiarare, annunciare, eccetera.


Sulla questione verbi c’è molta discordanza e ho letto tanti articoli che la pensano diversamente. In alcuni casi, il consiglio è l’opposto di quello di Leonard: proprio per evitare di ripetere di continuo il verbo “dire”, è meglio usare qualche suo sinonimo — sempre evitando verbi ridondanti o sconvenienti.


Personalmente, se posso evito incisi come “disse”, “parlò”, “annunciò” eccetera e passo direttamente all’azione, mostrando cosa fa il personaggio mentre sta parlando.


Consiglio numero 4: nei dialoghi non usare l’avverbio per modificare il verbo “dire”

“Lo scrittore si espone troppo, usando una parola che distrae e che può interrompere il ritmo dello scambio.”


In effetti l’uso dell’avverbio in coppia con il verbo dire (esempio: disse amaramente) è pesante e spesso non dà nulla in più al lettore.


Come ho già scritto in un precedente articolo sugli avverbi, è sempre meglio andare oltre il generico e cercare di spiegare perché, seguendo l’esempio sopra, la persona dice qualcosa amaramente, o in che modo trapela questa sua amarezza.


Consiglio numero 5: mantieni i punti esclamativi sotto controllo

Uno degli errori più frequenti, soprattutto dell’esordiente, è lanciare i punti esclamativi a casaccio, tipo “dove va, va”. I dialoghi di questi scrittori sono infarciti di punti esclamativi anche laddove non è necessario.


Secondo Leonard, “ti è permesso di usarne non più di due o tre ogni 100.000 parole.”


Consiglio numero 6: non usare mai “improvvisamente” o “s’è scatenato l’inferno”

Leonard qui è serafico: “Questa regola non richiede una spiegazione. Ho notato che gli scrittori che usano ‘improvvisamente’ tendono ad avere meno controllo nell’uso dei punti esclamativi.”


Consiglio numero 7: usa dialetti, patois e slang con moderazione

“Una volta che cominci a compitare foneticamente le parole nei dialoghi e a riempire le pagine di apostrofi, non sarai più in grado di fermarti.”


L’utilizzo di slang e dialetti nei dialoghi è sempre una bella cosa perché accresce la fisicità del personaggio, ma come sempre è meglio non esagerare.


Tuttavia mi sento di dissentire un poco con questa regola, poiché romanzi come la serie di Montalbano di Camilleri o “La paranza dei bambini” di Saviano sono memorabili proprio per la loro attaccatura al parlato.


Consiglio numero 8: evita dettagliate descrizioni dei personaggi

Leonard riporta l’esempio di “Colline come elefanti bianchi” di Hemingway: “Come sono ‘l’Americano e la ragazza che era con lui’? ‘Si era tolta il cappello e lo aveva messo sul tavolo’. Nel racconto, questo è l’unico riferimento a una descrizione fisica.”


Mi è stato più volte criticato l’uso pressoché assente di descrizioni fisiche dei personaggi dei miei libri, ma è una cosa che ho sempre detestato fare. Forse io sono esagerata perché riduco le descrizioni all’osso e magari dovrei almeno inserire qualche dettaglio, ma anche la sovrabbondanza di descrizioni fisiche può risultare noiosa — soprattutto qualora capitino in una scena d’azione.


Bisogna sempre trovare la linea di mezzo tra il non dire e il dire troppo, e tenere a mente la benedetta regola del “mostra, non dire!”, che so già mi tirerai dietro perché l’avrai letta mille volte

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Published on June 19, 2018 23:00

June 16, 2018

La scrittura è terapeutica: la mia esperienza

La scrittura è terapeutica

Premetto che non ho seguito né corsi di scrittura terapeutica né altro.


Quello che ti dirò oggi è semplice esperienza.


Né vorrò elencarti grandi verità o i motivi per cui scrivere faccia bene. Se scrivi, lo sai anche tu.


Però mi piacerebbe condividere con te la mia esperienza con la scrittura.


Perché la scrittura è terapeutica, e tante volte mi ha salvato.


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Cromaconceptvisual/Pixabay


Ho iniziato a scrivere quando avevo dieci anni

ed ero appassionata dei Piccoli Brividi di R. L. Stine. Già da piccola mi piaceva leggere, soprattutto favole e racconti tratti dai libri della mia vecchia scuola rilegati con la carta marrone. Quando ero con mio zio, invece, sarei rimasta ad ascoltarlo tutto il giorno raccontarmi storie tramandate dalla sua famiglia o che inventava sul momento.


Insomma, questo per dirti che pure io, come tanti artisti in erba, ho iniziato il mio viaggio nella scrittura molti anni fa.


Allora ero troppo piccola per capire l’importanza della scrittura nella mia vita, e mi limitavo a buttare sui fogli storie che cercavo di scopiazzare da Stine ma che, ammetto, erano terribili.


La prima storiella che scrissi era ambientata nel mio paese e la protagonista ero io: non ricordo bene, ma mi trovavo davanti strane apparizioni e vivevo avventure surreali. Fortuna che quella storia è andata persa.


La mia passione per il paranormale e l’horror non poté che farmi incrociare la strada del Re, Stephen King, forse anche perché mia madre era una sua assidua lettrice e abbiamo in casa tanti suoi libri che lei aveva comprato da giovane.


Il primo romanzo che lessi, o uno dei primi, fu proprio “IT”. Una bella sfida, per una ragazzina di dodici anni!


Sono però sempre stata con la testa sulle nuvole,

amante di avventure magiche, fantastiche e in mondi sconosciuti.


Il mio primo grande amore (e forse l’unico) è stato il libro di Michael Ende: “La storia infinita”.


L’ho letto cinque volte e penso che una sesta arriverà a breve.


Leggere “La storia infinita” mi ha aperto un mondo: il fantasy.


Oltre all’horror e al thriller, il fantasy è un altro dei miei generi preferiti. Ho divorato tanti libri della Bradley quando ero tredicenne, per poi passare a “Il signore degli anelli” che, seppur pesante per la mia età, mi è piaciuto. “Lo hobbit” ha accompagnato la mia convalescenza dopo essere stata operata d’urgenza all’appendice.


Immergendomi in questi mondi fatati è stato quasi naturale decidere di crearne uno anche io: ed è nato Charma, l’isola fatata in cui sono ambientate le Cronache che usciranno a fine luglio.


In quegli anni, e come mi sarebbe capitato anche a venire, ero molto sola. Avevo pochi amici che vedevo poche volte, giusto qualche settimana in estate, e l’età pre-adolescenziale stava iniziando a mostrare i lunghi artigli.


Così, per distrarmi dalla solitudine passavo lunghe giornate a costruire l’ambientazione del mio piccolo universo fantasy — peccato aver perso i quaderni!


Scrivevo anche il mio diario personale. Ho scritto diari personali da quando avevo tredici anni a quando ne avevo ventisei o ventisette, e li conservo ancora tutti, divertendomi qualche volta a rileggere quei deliri — che però, per me, erano importanti.


Lì iniziai a vedere la scrittura come un’ancora a cui aggrapparmi.

Il grande periodo buio della mia vita sarebbe arrivato solo molti anni dopo, ma già durante il periodo infelice delle medie nascondermi nel mio diario personale mi aiutava a tirar fuori la rabbia, il dolore, l’allegria e a far chiarezza nei mille problemucci che avevo all’epoca.


L’anno scorso ho collaborato alla stesura di una guida sull’autobiografia e, documentandomi, ho letto molto della scrittura autobiografica come terapia.


Non ho mai scritto nulla di me, ma posso concordare con chi afferma che tenere un diario personale è benefico per lo spirito: gettare su carta i pensieri mi serviva per non sentirli più miei, in un certo senso, come se dopo che li avevo scritti li vedessi sotto una luce nuova.


Dovevo scrivere quei diari, era una necessità come bere acqua o dormire. E parlando con questo amico immaginario (sì, perché in breve tempo ho smesso di chiamarlo “diario”) mi sentivo meno sola.


In quel periodo scrissi quello che è diventato il mio prossimo romanzo: “Aequilibrium“, il fantasy di cui ho parlato prima.


Lo lasciai poi nel cassetto, e lì è rimasto fino a qualche mese fa, quando ho deciso di recuperarlo e darvi una veste quantomeno decente.


Presto, però, scrivere diari cominciò a essere più doloroso che vivere:

iniziò così il periodo buio della mia vita.


Non so quanti ci siano passati, e spero di no per loro, e lo spero per te che stai leggendo.


Fatto sta che, appena ventenne, mi sentivo già vecchia e fuori posto.


Non voglio annoiarti con questa parte triste della mia vita, ma dirti soltanto che è stata la scrittura a salvarmi.


Magari potresti sorridere o non crederci, ma non mi importa perché io so che è così.


Non era più, però, tempo di scrivere diari, o non era più tempo di scrivere solo diari.


Come ho detto prima, parlare della mia vita era più difficile che viverla.


E così creai il mio mondo parallelo, fatto di personaggi che vivono ancora oggi nella mia testa, dove mi rifugiavo quando vivere diventava troppo doloroso.


È stato lì che ho iniziato a scrivere davvero. Brevi racconti, parti di storie, o anche solo stralci di scene che mi venivano in mente al momento.


Scrivere, a quell’epoca, è stato davvero terapeutico, e consiglio a chi sta passando un periodo difficile di farlo: magari non aiuta, ma serve molto.


La scrittura, quindi, per me è stata di vitale importanza,

e lo è anche adesso, adesso che è diventata il mio mestiere.


Adesso non scrivo più per non sentirmi sola o fuggire dalla realtà: adesso scrivo perché mi piace e perché a volte, mannaggia, ci sono storie che se non escono mi fulminano il cervello.


Anche per questi motivi ho deciso di diventare editor freelance: so che la scrittura, oltre a essere un’arte bellissima, ti aiuta a vivere meglio.


In questi anni di lavoro ho conosciuto tante persone, tanti autori e tanti scrittori in erba, e sono felice di averli aiutati a coltivare il loro piccolo sogno e a creare un libro che potranno poi mostrare ai nipoti.


Perché scrivere ti fa sentire bene, ti fa sentire completo, ti fa sentire vivo.


Come disse Anna Frank: “Posso scrollarmi di dosso tutto mentre scrivo; i miei dolori scompaiono, il mio coraggio rinasce.”


 


L'articolo La scrittura è terapeutica: la mia esperienza proviene da Emanuela Navone Editor Freelance.

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Published on June 16, 2018 23:00