Alessio Brugnoli's Blog, page 213
March 16, 2017
Immagini del Retrofuturismo
Una delle peculiarità dell’editoria italiana è quella di appioppare l’etichetta steampunk a qualsiasi forma di retrofuturismo, nella strana convinzione che ciò moltiplichi miracolosamente le vendite.
La narrativa anglosassone, invece, ha l’abitudine opposta, la violazione del principio di Ockam, moltiplicando gli enti inutili, pardon i generi, appioppando il suffisso punk ad ogni cosa.
Come accade spesso in questi casi, la verità è nel mezzo: non bisogna esagerare nei bizantinismi, ma neppure buttare tutto in un calderone unico, poichè l’ambientazione del retrofuturismo non è neutrale: definisce lo sfondo, i personaggi, l’estetica della storia, con cui guidiamo lo sguardo e le intepretazioni che diamo al Presento e alle sue contraddizioni.
Nel Sandalpunk ,che può essere fracassone come un peplum o colto e misurato, rivive, nelle sue contraddizioni, il mito atemporale della classicità e della centralità dell’Uomo, intriso di eroismo etico e di equilibrio tra Natura e Cultura.
Nel Clockpunk, invece, la chiave di lettura dominante è lo stupore dinanzi alle infinite possibilità della tecnica.
Nello Steampunk dominano le contraddizioni del positivismo, con la lotta tra uomo e teknè alienante, che tende a ridurre ogni individuo in alienato meccanismo.
Nel Nouveaupunk, così mi piace definire, con un pizzico di civetteria, la mia narrativa, vige invece la malinconia di un’epoca che morendo, della sensazione della tragedia imminente e ineluttabile, contro cui gli uomini, senza speranza di riuscire, certi della sconfitta. In cui il sogno del Bello nasconde malamente la consapevolezza di una realtà industriale sempre più aliena dall’umano.
Il Dieselpunk, invece, è la realizzazione delle riflessione di Heidegger e di Severino sulla tecnica, viste come nascondimento e rifiuto dell’Essere, dato che il Reale si identifica in ciò che può essere dominato e utilizzato. E questo vale anche per l’Individuo, non più soggetto, ma oggetto del controllo dello stato totalitario.
E questa disperazione, che però da sicurezza, un’ancora in cui aggrapparsi nelle tempeste del Reale, si muta in malinconia, quando tutto è perduto: quando non rimangono che rovine e sogni, aperture al mistero dell’essere, come nell’Atompunk, in cui rinasce lo stupore dinanzi alle opere dell’Uomo, lo stesso che nasce osservando quel che rimane del Buran
March 15, 2017
Led e falsi storici
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Dato che l’argomento preferito dalla Sora Buggia
è spesso accolto con grasse risate, la nemica dell’ambiente e della tecnologia, per giustificare le sue posizioni passatiste, se ne uscita in una lunga serie di piagnistei, sul fatto che la nuova illuminazione tradirebbe, cito sempre testualmente
il carattere identitario degli storici luoghi
Insomma, manca solo che si metta a canticchiare
Vecchia roma sotto la luna
nun canti piu’
li stornelli
le serenate de gioventu’
er progresso t’ha fatto grande
ma sta citta’
nun e quella ‘n do se viveva
tant’anni fa
Che la fiera del patetico è servita… Anche perché, dietro a tutto il suo frignare, c’è un enorme falso storico, che dimostra o la sua malafede o la sua ignoranza.
Roma, per la maggior parte della sua storia è stata buia, al massimo illuminata da lumini e da torce o dalla luna piena. Solo nel 1833 fu dato all’imprenditore Giuseppe Mazio l’appalto dell’illuminazione pubblica a olio di Roma.
E per le paturnie di Gregorio XVI, probabilmente antenato della Sora Buggia, che inizialmente aveva bollato l’illuminazione a gas a Roma come qualcosa di sovversivo rispetto alla divina Provvidenza e solo poco prima di morire aveva dato mandato di preparare un capitolato per la costruzione di un gazometro, inizialmente all’Esquilino, poi poco fuori Porta Maggiore, l’Urbe tardò a modernizzarsi; solo Palermo fece peggio, perché i nobili e borghesi siciliani si opposero con le unghie e con i denti al mettere mano al portafoglio per adeguare l’illuminazione cittadina.
Solo l’elezione di Pio IX cambiò le cose nella Città Eterna: nel marzo del 1847 fu finalmente bandito il concorso per l’illuminazione a gas. Appalto che fu concesso ai francesi Fratelli Trouvé, che tuttavia non riuscirono a renderlo operativo.
La concessione passò in varie mani fino al 1852, quando fu assunta da Sir James Shepherd per conto della Imperial City of Rome and Italian Gas Light and Coke Company e poi devoluta alla Società Anglo-Romana per l’illuminazione a Gas della Città di Roma, costituitasi il 10 marzo dello stesso anno.
Luce che, essendo basata sull’acetilene, era molto simile a quella dei Led… Solo a inizio Novecento e con molta calma, fu introdotta quella elettrica…
Per cui, quando la Sora Bugia rimpiange la Roma de ‘na vorta, non lo fa con quella reale, ma con una immaginaria, figlia dei ricordi della sua giovinezza… Ora, non c’è nulla di male a essere nostalgici dei propri anni perduti, ma questo certo non può avvenire a spese del resto della comunità…
Lo stesso errore logico, confondere i propri pregiudizi con il Reale, è compiuto dagli ascari della Sora Buggia, le truppe cammellate che lanciano petizioni a destra e manca sui led gialli.
Il loro testimonial è Caravaggio e il loro argomento principe è la differente resa cromatica prodotta dai led bianchi e dai led gialli. Argomento, che, però è assai ad minchiam, per chi conosce un poco di storia dell’arte, materia altrettanto aliena a loro dell’illuminotecnica.
Nella processo che porta alla realizzazione di un quadro, si sovrappongono, in una rapporto dialettico e a volte conflittuale, tre tipologie di luci: quella platonica e ideale, che esiste nella mente del pittore, e quelle reali dello studio e del luogo di destinazione dell’opera.
Nel caso di Caravaggio, la luce ideale ha un valore teologico, la Grazia divina; però questo, per essere comprensibile al dotto e all’ignorante, doveva articolarsi nella progettazione dell’opera, secondo gli artifici scenici del teatro barocco e degli oratori dei Filippini
La luce concreta della realizzazione è quella filtrata della camera ottica. La luce, altrettanto concreta, del fruitore, è quella diffusa della luce naturale o quella variabile e rossastra delle candele.
Luci diverse sia dal led bianco, sia da quella del led giallo o dei faretti: per cui è abbastanza sciocco nascondere dietro la ricostruzione filologica un semplice, banale
Non mi piace
argomento, che però, per la sua natura, non ha valenza universale, specie in temi che riguardano la Res Publica..
Le citazione pericolose: Ian McEwan
I colpi di scena, le svolte sono invenzioni di narratori e drammaturghi, espedienti necessari quando si vuole ridurre, tradurre una vita in un intreccio, quando si vuole distillare un significato morale da una sequenza di atti, quando si intende congedare il pubblico con qualche cosa di indimenticabile che segni la crescita di un personaggio. Intravvedere la luce, il momento di verità, il nodo cruciale, è di sicuro una pratica che prendiamo a prestito da Hollywood o dalla Bibbia, per attribuire un senso retrospettivo a una memoria sovraffollata.
March 14, 2017
Buran
Una delle storie più affascinanti dell’ingegneria aerospaziale è quella del Programma Buran, la risposta sovietica allo Shuttle americano. Tale programma iniziò nel 1974, quando i vertici dell’URSS, resosi conto che il Programma Apollo stava spegnendosi e che quindi lo sbarco “proletario” sulla Luna, nato per esigenze di propaganda, poteva essere rimandato sine die, diedero un libera tutti ai loro ingegneri spaziali, i quali, dovendo gestire i problemi connessi al taglio di budget, si orientarono come la Nasa allo studio di un velivolo spaziale riutilizzabile, progetto Buran.
Solo che, a differenza della controparte americana, i sovietici stavano pensando una soluzione che sarebbe stata la nonna del Falcon9 della SpaceX, basato sulla filosofia del piccolo, economico, facilmente costruibile, poiché erano consapevoli dei problemi produttivi della loro industria elettronica e meccanica.
Però, nel 1976, i vertici militari sovietici, per la notizia dei finanziamenti del Pentagono al progetto Orbiter, temendo che questi avesse una finalità militare, ci misero bocca: dato che i servizi segreti erano riusciti a ottenere delle foto di quanto era in costruzione a Palmdale, buona parte del Politburo si presentò nell’ufficio di capo del progetto missilistico sovietico Valentin Glushko, sbattendogliele sotto in naso e gridando
“O questo o la Siberia”
E promettendo fondi illimitati: ora, essendo le risorse sovietiche quelle che erano, ciò penalizzò gli altri progetti di esplorazione spaziale.
Così Glushko, che già in gioventù aveva rischiato di finire in un gulag, sì imbarcò in un impresa di reverse enginering di dimensione epiche: capire come diavolo funzionasse l’accrocco americano, replicarle secondo le possibilità tecnologiche e produttive sovietiche e secondo le richieste dei militari e quanto possibile ottimizzarle.
E questo portò a una serie di soluzioni originali:
Il Buran, avendo un uso militare e non scientifico, non solo doveva poteva essere guidato da un equipaggio ridotto, ma poteva compiere missioni e atterrare anche senza equipaggio;
Vista la pessima esperienza avuta con il razzo N1, il Buran aveva una propulsione autonoma molto ridotta; questa veniva fornita dal vettore Energia,soluzione adottate per ridurre il rischio di esplosioni in orbita. L’Energia era riutilizzabile e alimentato propellente liquido, nonostante le precedenti opinioni di Glushko, perché i propellenti solidi sovietici risultavano avere grossi problemi di tossicità;
Dato il propellente liquido, l’Energia non poteva avere camere di combustione di grandi dimensioni. Gli ingegneri sovietici, risolsero il problema adottando una soluzione modulare, che poteva essere utilizzata anche per la sempre sognata spedizione su Marte, sia per mettere in orbita la risposta sovietica allo Scudo Spaziale di Reagan;
Per i limiti costruttivi dell’industria aerospaziale sovietica, l’Energia aveva booster divisi in sezioni e non era rivestito di schiuma; soluzioni che, per i paradossi della vita, furono le cause degli incidenti mortali degli shuttle americani;
Essendo utilizzato in casi di crisi bellica, il Buran doveva essere lanciato in tempi rapidissimi: per cui gli ingegneri sovietici progettarono, invece del fotogenico, ma macchinoso sistema di trasporto usato dalla Nasa, uno assai più semplice: l’orbiter era trasportato in treno, in posizione orizzontale, presso la rampo, per poi essere messo in posizione verticale e agganciato all’Energia.
Il programma Buran però, per le inefficienze dell’industria sovietica, si trasformò presto in un pozzo senza fondo: benché fossero in progetto cinque navette, la 1.01, che il 15 novembre 1988 fu lanciata, in modalità automatica, priva di equipaggio, dal Cosmodromo di Bajkonur e percorse due orbite, atterrando senza problemi, la 1.02, completata al 97%, la 2.01, Baikal, differente come cabina di pilotaggio, completata a metà, le 2.02 e 2.03 appena iniziate, il progetto fu cancellato al seguito del crollo dell’Urss. Eltsin non volle più sapere, considerandolo rubli sprecati… Visto quanto è accaduto negli ultimi anni, con il senno di poi, fu un’enorme miopia.
Ben poco rimane del progetto: la Buran 1.01 fu ricoverata a Bajkonur, dove venne irreparabilmente danneggiato per il crollo del tetto dell’hangar in cui giaceva il 12 maggio 2002. Il 1.02 è ancora ospite presso il cosmodromo di Bajkonur, mentre il 2.01, assieme a un modello a scala ridotta dell’1.01 è esposto presso il Museo della Cosmonautica di Mosca…
Ma il destino forse più strano è toccato al 2.02 e al 2.03 i cui presunti pezzi furono venduti su ebay…
Detto questo, prima o poi potrei raccontare l’epopea di un imprenditore privato, che comprando la navetta 1.02, si mette a fare concorrenza ad Elon Musk e realizza, con l’Enegia, il sogno sovietico della conquista del Pianeta Rosso..
Il ritorno di Vangelis
Il giorno in cui la sonda Rosetta dell’ ESA è atterrata sulla sua cometa, ponendo fine a una missione di grande successo, il compositore greco Vangelis ha pubblicato il suo nuovo album, intitolato appunto Rosetta. Evangelos Odysseas Papathanassiou, conosciuto a livello popolare come Vangelis, è stato associato alla musica elettronica con suggestioni spaziali sin dal 1970. Nel 1976, Vangelis ha prodotto il suo album Albedo 0.39, ispirato alla parola che indica la capacità di riflessione della Terra e contiene brani che prendono il nome di oggetti stellari. Molte persone si sono immerse nella sua musica mentre guardavano la serie Cosmos del grande Carl Sagan negli anni ’80: la sigla musicale di apertura fu tratta da una delle sue composizioni nell’album del 1975 Heaven and Hell.
Vangelis ha conseguito il suo maggiore riconoscimento quando ha vinto l’Oscar nel 1981 per la migliore colonna sonora originale per il film
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African Deli Kitchen: tre donne dello Zimbabwe diventano imprenditrici a Cape Town
Polpette deliziose, stufati di pollo o manzo accompagnati da riso, spaghetti o verdure, croccante pesce impanato e patatine fritte, gustose magwinya (le famose palline di pastella fritta ripiena di formaggio fuso). Questo è il business di Mercy, Mavelous e Nyaradzai, tre donne originarie dello Zimbabwe alle prese con la loro prima attività imprenditoriale: il catering “African Deli Kitchen”, che quotidianamente vende cibo ispirato alle tradizioni culinarie africane.
L’iniziativa imprenditoriale e’ stata lanciata nell’aprile 2016, grazie alla forza di volontà delle tre donne e al desiderio di essere economicamente indipendenti, ma anche grazie al supporto della Women’s Platform dello Scalabrini Centre, che propone alle donne migranti in Sud Africa corsi di formazione e tutoring nello sviluppo del business, nonche’ consigli pratici su come rendere redditizia una nuova attività.
Mercy, Mavelous e Nyaradzai vivono a Cape Town, dove svolgono l’attivita’ di catering. Molto tempo fa hanno lasciato lo Zimbabwe per…
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Deadpool 2: ecco il primo divertentissimo teaser trailer No Good Deed
Ryan Reynalds, tramite il suo canale YouTube, ha pubblicato online il primo teaser trailer del secondo capitolo di Deadpool. Il filmato, intitolato No Good Deed, non mostra nulla per quanto riguarda la trama di Deadpool 2, ma può essere piuttosto considerato un breve cortometraggio ironico e divertente in cui compare fra l’altro anche la stella numero uno dei Comics Marvel: Stan Lee. Buona visione!
March 13, 2017
Arte di Strada
Ieri mattina, dopo aver sghignazzato per ore dinanzi alla nuova idea di Coia, l’amico dei mutandari, per risolvere l’annosa questione dei pittori di strada romani, forse frutto della visione di troppi talent show, mi trovo all’improvviso davanti la notizia del divieto nel I Municipio dell’Arte di Strada.
Notizia che si diffonde rapidamente tra molti miei amici, tra lo sconcerto generale: tra chi invita alla disobbedienza civile e chi organizza flash mob di protesta, anche sopra le righe (detto fra noi, se la Sora Buggia prendesse a fucilate un centinaio di percussionisti impegnati a improvvisare alle tre di notte una performance sotto casa sua, avrebbe tutta la mia solidarietà), ho deciso di capirne di più, prima di scrivere boiate.
Ora, per prima cosa, l’atto votato dal Primo Municipio non è una delibera di giunta, ma una mozione in cui si, cito testualmente si
Impegna la Presidente e l’Assessore competente a trasmettere agli uffici municipali competenti, al Comando della Polizia Locale e all’Assessorato alle Politiche Culturali, il seguente elenco di Vie e Piazze in cui è inibita l’attività di artisti di strada
e
Impegna inoltre la Presidente e l’Assessore competente a trasmettere agli uffici competenti la richiesta di inibire al rilascio di autorizzazione per artisti di strada in Piazza di Pietra compatibilmente con la normativa vigente, visti i numerosi esposti in Procura ed esiguità degli spazi.
ossia, a meno di successive decisioni, nell’immediato non dovrebbe cambiare nulla. Però, tirato il sospiro di sollievo, mi permetto alcune considerazioni, sia di ordine pratico, sia di ordine teorico.
La prima considerazione è legata all’impressione che si abbia una conoscenza vaga del tema: cito la dichiarazione alla stampa di una delle promotrici della mozione, che afferma
Servirebbe un regolamento più restrittivo che bilanci gli interessi di tutte le parti. Tutte le città europee hanno una sorta di albo a numero chiuso per gli artisti di strada e sono vietati ovunque gli amplificatori e gli strumenti impattanti.
Dichiarazione inesatta… Questo registro già esiste; inoltre la parti delle Delibera n.24 del 12 Aprile 2012 in cui si vietavano gli amplificatori e gli strumenti impattanti sono state annullate da una sentenza del TAR del Lazio, sentenza di cui però ignoro le motivazioni, ma che dato che sembra non ci sia stato nessun ricorso al Consiglio di Stato, immagino siano sensate.
La seconda considerazione è nella vaghezza dell’ambito. Citando Le Danze di Piazza Vittorio
Bisogna capire qual’è la definizione esatta di “artista di strada”, mi spego, se io canto a squarciagola sotto le finestre di qualcuno a quest’ora di notte, quelli sono comunque schiamazzi notturni, ma se lo faccio alle cinque del pomeriggio a Via Condotti SENZA chiedere soldi, fare cappello, anche senza essere iscritto nelle liste degli artisti di strada ma come normale cittadino, sono in qualche modo considerato nella mozione?
Ossia le attività di volontariato e di animazione, come le Mazurke Clandestine o i flash mob, sono considerabili nell’ambito delle attività che il Consiglio Municipale invita a vietare ?
Terza considerazione, riguarda l’elenco delle strade che si vorrebbero vietare all’Arte… Sempre citando la delibera
“Largo Goldoni; Via Condotti; Via Frattina; Via dei Pastini; Via delle Paste; Via della Maddalena; Via degli Orfani; Via del Pantheon; Via Campo Marzio; Piazza del Colosseo; Via Sacra ; Piazza Madonna dei Monti; Via del Corso; Via delle Muratte; Via dei Serpenti; Via dell’Angeletto; Via di Torre Argentina; Largo di Torre Argentina; Via del Governo Vecchio; Via delle Carrozze; Via dei Giubbonari; Largo dei Librari; Via di Campo Marzio; Piazza di Sant’Egidio, Via della Lungaretta; Piazza Santa Maria In Trastevere; Via del Babuino; Via del Gambero; Via della Scala; Piazza della Scala; Vicolo del Cinque; Piazza Santa Apollonia; Piazza Cairoli; Largo dei Lombardi; Via Urbana; Via della Pace”
Premesso che alcune di queste vie hanno problemi di ordine pubblico che esistono a prescindere dagli artisti di strada, mi pare un poco ad esempio, suonare, proprio per la mancanza di spazio fisico, in via Urbana. Il che sembrerebbe l’ennesimo tentativo di contrastare l’Ottobrata Monticiana e le attività artistiche che si accompagnerebbero alla realizzazione pratica del progetto Argiletum, progetti che alcuni, per motivi più o meno validi, vede come il fumo negli occhi.
La quarta considerazione riguarda l’approccio contraddittorio del I municipio nei confronti dell’Arte di Strada: come è possibile che questa, nell’Esquilino, penso a Buskers for Amatrice, sia vista come strumento di riqualificazione urbana, mentre sull’altro lato di via Merulana, sia invece considerata una fonte di degrado
L’ultima considerazione, è di tipo più culturale e filosofico: ho l’impressione che le battaglie portate avanti da alcuni politici del I Municipio, siano finalizzate, con la scusa di combattere il degrado, a una desertificazione sociale e culturale del Centro Storico di Roma e a una sorta di pulizia etnica, finalizzata a cacciare i più poveri, per rendere tutto una sorta di resort per radical chic.
Disegno a cui sono fieramente contrario e che tutte le persone di buon senso dovrebbero contrastare… Per citare il buon vecchio HPL
“L’unica crociata degna dell’individuo illuminato è quella condotta contro tutto ciò che impoverisce l’immaginazione, il meraviglioso, la percezione sensoriale, la vita vissuta intensamente e l’apprezzamento della bellezza: null’altro conta”.
March 12, 2017
Amici del Parco Carlo Felice
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Sin da piccolo, ho sempre notato come all’Esquilino la capacità delle persone di lamentarsi è inversamente proporzionale alla loro capacità di sporcarsi le mani. L’argomento principe dei professionisti del piagnisteo è questo:
“Perché dovrei fare io le cose, quando pago le tasse ?”.
Argomento poco valido nel concreto, in un periodo di crisi del welfare e che ha un enorme baco logico: lo Stato non è un’entità astratta, che deresponsabilizza il singolo, ma è l’insieme di tutti i cittadini, del loro impegno e delle loro utopie.
Se questi sono attivi e responsabili, lo Stato prospera: se invece trionfa il disinteresse e il culto del particolare, questo decade.
L’impegno, la solidarietà non risolvono solo problemi concreti, ma rafforzano l’identità di una comunità e la sua resilienza. Per questo non posso che applaudire all’iniziativa degli Amici del Parco Carlo Felice e del loro impegno continuo per riqualificare lo spazio verde e dare loro, nel mio piccolo, una mano, pubblicizzando la loro attività
Mondi senza tempo e fantascienza per tutti: intervista a Francesco Troccoli
Ciao Francesco, è un piacere nonché un onore averti ospite qui fra le pagine virtuali di Kipple. Ti andrebbe di iniziare l’intervista illustrandoci il tuo percorso di autore?
A essere onorato sono io. L’avvio del mio percorso è stato del tutto casuale e imprevisto: nel 2005 mi fu regalato un corso di scrittura alla Scuola Omero di Roma e così mi accorsi che scrivere mi piaceva. Considerato che la proposta di Curcio di pubblicare il primo romanzo risale al 2011, direi che ho avuto fortuna. Nel frattempo ci sono stati concorsi, premi e racconti, di cui ti risparmio i dettagli. Diciamo che è iniziato tutto per gioco, e oggi è molto di più. Al punto che ho lasciato la mia precedente vita di manager in una multinazionale, e adesso mi dedico alla traduzione e alla scrittura.
Grazie ai i due tuoi romanzi Ferro Sette e Falsi Dei, recentemente ripubblicati da…
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